I PRINCIPI GENERALI
DELL’AZIONE
AMMINISTRATIVA
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1.
LA
NOZIONE
AMMINISTRATIVA
DI
ATTIVITA’
L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA è la manifestazione della
funzione pubblica mediante la quale i soggetti preposti
provvedono alla CURA DI INTERESSI PUBBLICI ad essi
affidati.
Trattasi diattività mai libera e pienamente discrezionale ma
SEMPRE VINCOLATA, perché obbediente al perseguimento
di un fine pubblico.
L’individuazione del fine da perseguire, la sua qualificazione
come pubblico e la suaassegnazione alla PAsono operate in sede
di indirizzo politico, alla cui determinazione concorrono organi
cui è attribuita la funzione politica o di governo.
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La nozione di attività amministrativa può essere ricavata, in
negativo, attraverso il confronto con quella di ATTIVITA’
POLITICA, intesa come l’insieme degli atti con cui si realizza
in sede di indirizzo politico la direzione suprema della cosa
pubblica e si assicura l’attività di coordinamento e controllo
delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si
estrinseca.
Solo l’attività amministrativa soggiace al controllo
giurisdizionale ex art. 113 Cost. ossia è sindacabile dal giudice
amministrativo (Art. 7 CPA).
Secondo giurisprudenza consolidata, la politicità di un atto è
desumibile da tre elementi che devono essere necessariamente
compresenti (Cons. St., Sez. V, 6 maggio 2011, n. 2718 ):
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L’atto deve
riguardare la
costituzione, la
salvaguardia e il
funzionamento dei
pubblici poteri
nella loro organica
struttura e nella
loro coordinata
applicazione
Elemento finale
Elemento oggettivo
Elemento soggettivo
L’atto deve
provenire da un
organo preposto
all’indirizzo e alla
direzione al
massimo livello
della cosa pubblica
(Governo,
Presidente della
Repubblica,
Parlamento,
Regioni, ecc.)
L’atto deve essere
libero nella scelta
dei fini
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Gli atti politici costituiscono un numerusclausus, in quanto
sono inammissibili al di fuori delle previsioni
esplicitamente o implicitamente operate dalla Costituzione.
Quindi, FUORIESCONO certamente dalla nozione di
attività amministrativa GLI ATTI POLITICI, che,
essendo LIBERI NEI FINI, non sono qualificabili come
atti amministrativi funzionali e non soggiacciono al
controllo del giudice amministrativo.
Tuttavia, la nozione di insindacabilità di tali atti non è
assoluta. Gli atti politici infatti:
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A) sono suscettibili di
sindacato sul versante
costituzionale mediante gli
strumenti dei ricorsi in via
principale o incidentale
ovvero dei conflitti di
attribuzione
B) incontrano i vincoli
derivanti dal principio di
primazia del diritto
comunitario ai sensi degli
Artt. 117, primo comma , e
11 Cost.
C) soggiacciono ai controlli e
alle sanzioni di carattere
politico di competenza del
corpo elettorale (es. mancata
conferma del voto) e del
Parlamento (es. mozione di
sfiducia)
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Vi è, poi, una zona di confine costituita dalla cd.
ATTIVITA’ DI ALTA AMMINISTRAZIONE, che
fotografa l’attività con la quale si pongono in essere le
scelte amministrative di fondo della PA, caratterizzate da
una discrezionalità di massima estensione (es. D.P.R. di
conferimento dell’incarico di Capo Dipartimento).
Tali atti si pongono in una posizione intermedia tra gli atti
politici, quali atti di indirizzo volti alla scelta dei fini da
perseguire, e i provvedimenti in senso stretto
amministrativi, diretti all’attuazione concreta delle opzioni
stabilite a livello governativo, rappresentando il primo
grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo
amministrativo.
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Si tratta di atti costituenti manifestazioni d’impulso
all’adozione
di
atti
amministrativi
funzionali
all’attuazione dei fini della legge.
Tali atti conservano la loro natura amministrativa,
soggiacendo alle regole della legge n. 241 del 1990 ed
essendo suscettibili d’impugnazione innanzi al giudice
amministrativo in ragione dei classici vizi di legittimità.
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Il concetto di attività amministrativa ha subito una
profonda evoluzione nel corso del tempo.
Si è ormai definitivamente riconosciuto che la PA possa
avvalersi, nel perseguire l’interesse pubblico, oltre che
degli strumenti giuridici propri del diritto pubblico, anche
dei moduli e delle forme comuni del diritto privato.
Il riconoscimento generalizzato della AUTONOMIA
NEGOZIALE DELLA PA e, dunque, il superamento del
tradizionale
concetto
del
modulo
autoritativoprocedimentale quale strumento esclusivo di realizzazione
dell’interesse pubblico, trova un importante avallo
normativo negli artt. 1 e 11 della legge n. 241 del 1990 e
nell’art. 2, comma 4, del D.lgs. n. 163 del 2006.
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La natura privatistica dell’atto non incide sulla natura
pubblica del soggetto che lo pone in essere né sulla
conseguente tensione funzionale del suo agire
all’interesse pubblico.
Deriva da ciò:
 la necessità di una procedura di evidenza pubblica prima
della stipula del contratto (gara per la fornitura di beni o
servizi; concorso per l’assunzione nella PA);
 la soggezione anche all’attività privatistica della PA alle
regole in tema di accesso ai documenti amministrativi;
 la soggezione degli atti di gestione del rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici a un principio di funzionalità
amministrativa.
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2. CLASSIFICAZIONI
AMMINISTRATIVA
DELL’ATTIVITÀ
La dottrina distingue tre tipi di attività amministrativa:
AMMINISTRAZIONE ATTIVA: tutte le attività con
cui la PA agisce per realizzare i propri fini. Vi rientrano
sia le attività deliberative che esecutive.
2. AMMINISTRAZIONE CONSULTIVA: le attività
dirette a fornire – sotto forma di pareri – consigli,
direttive, orientamenti e chiarimenti alle autorità che
devono provvedere su un determinato oggetto.
3. AMMINISTRAZIONE DI CONTROLLO: tutte le
attività dirette a sindacare secondo diritto o secondo le
regole della buona amministrazione l’operato degli agenti
cui sono demandati i compiti di amministrazione attiva.
1.
11
L’attività amministrativa può inoltre essere:

VINCOLATA ove la scelta legislativa risulti essersi orientata
nel senso di tracciare in modo puntuale il modusagendi dei
pubblici poteri, con la conseguente privazione della PA di
qualsivoglia autodeterminazione nella individuazione della
scelta più opportuna;

DISCREZIONALE, nel caso di riserva di legge relativa, ove
la PA stessa è chiamata a specificare e puntualizzare la portata
delle norme attributive dei poteri ad essa conferiti ex lege, con
un margine di apprezzamento, a seconda dei casi concreti, più
o meno ampio – in ordine a tempi e modi di perseguimento
degli obiettivi prefissati in sede politica – che consente di
definirne l’attività come discrezionale.
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3.I PRINCIPI GENERALI DELL’ATTIVITA’
AMMINISTRATIVA
I PRINCIPI dell’azione amministrativa concernono
L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA IN GENERALE,
intesa come cura concreta dell’interesse pubblico, sia intesa
come attività autoritativa che come attività che si svolge
con moduli privatistici.
Tali principi generali trovano fondamento:
 nella COSTITUZIONE
nella LEGGE n. 241/1990 e s.m.i.
 nel DIRITTO COMUNITARIO
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3.1.
I
PRINCIPI
COSTITUZIONALE
DI
RANGO
PRINCIPIO DI LEGALITA’
PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’
PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO
PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA
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3.1.1. IL PRINCIPIO DI LEGALITA’
Il PRINCIPIO DI LEGALITA’, pur non essendo
esplicitato nella Costituzione, SI DESUME DA UNA
INTERPRETAZIONE
SISTEMATICA
DELLE
DISPOSIZIONI COSTITUZIONALI.
Esso sta ad indicare il primato della legge, ossia la
SUBORDINAZIONE
DELL’AMMINISTRAZIONE
ALLA LEGGE, alla quale sola spetta il compito di
indicare i fini e gli interessi pubblici che la prima deve
perseguire, nonché i modi e i mezzi attraverso cui
provvedere alla cura degli stessi.
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La DOTTRINA ha, comunque, ricercato un fondamento
positivo al principio. Varie tesi:
I. Il principio sarebbe implicito nelle varie riserve di
legge disseminate nella Costituzione (e in particolare
nell’art. 97 Cost.)
II. Il principio si ricaverebbe dagli artt. 24 e 113 Cost.
che sanciscono il controllo del giudice sull’attività della
PA e, per implicito, la sua non esercitabilità in contrasto
con la legge.
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Il principio:
inteso insenso formale: implica che ogni provvedimento
amministrativo abbia il proprio fondamento giuridico nella
legge, la quale definisci i limiti entro i quali deve esplicarsi
l’azione della PA; ne consegue il dovere della stessa di agire
nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il
relativo potere;

inteso in senso sostanziale: assume una connotazione ancora
più vincolante per la PA, imponendo che gli atti amministrativi,
oltre a rispettare i limiti fissati dalla legge, siano adottati in
conformità alla disciplina sostanziale dettata dalla stessa, la
quale incide anche sulle modalità di esercizio dell’azione e,
dunque, penetra all’interno dell’esercizio del potere.

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In sintesi, LA PA, AL DI FUORI DEI CASI
STABILITI DALLA LEGGE, NON PUO’ GODERE
DI NESSUNA POSIZIONE DI POTERE, DI
PRIVILEGIO O DI FAVORE.
Il principio va, quindi, inteso come PARAMETRO DI
VALUTAZIONE e come VINCOLO DI SCOPO per la
PA.
Ciò anche e nonostante la dequotazione della cogenza del
principio, derivante dalla nuova disciplina dei vizi non
invalidanti dell’atto amministrativo contenuta nell’art. 21
octies, comma 2, legge n. 241 del 1990, che importa che
il mancato rispetto di alcune regole dell’agire
amministrativo, ove non influenti sul risultato sostanziale
dell’azione della PA, sia irrilevante sotto il profilo
dell’annullabilità del provvedimento amministrativo.
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Il principio di legalità comporta anche:
una
GARANZIA a che le norme riguardanti
l’organizzazione e le funzioni della PA siano previste in
via generale dalla legge e non dal potere amministrativo;
un
OBBLIGO in capo alla PA, nel caso di
provvedimenti destinati ad avere efficacia perdurante nel
tempo, di verificare in ogni momento l’adeguamento
dell’atto adottato al quadro normativo di riferimento, e di
provvedere conseguentemente alla rimozione o alla
modifica dello stesso in sede di autotutela.
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3.1.2. I PRINCIPI DI IMPARZIALITA’ E DI
BUON ANDAMENTO
I PRINCIPI di IMPARZIALITA’ e di BUON
ANDAMENTO sono enunciati espressamente:
ART. 97, I comma, Cost.
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni
di legge in modo che siano assicurati il BUON
ANDAMENTO
e
l’IMPARZIALITA’
dell’amministrazione”.
Gli stessi trovano poi una conferma:
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ART. 97, III comma, Cost.
“Agli impieghi nelle PA si accede mediante concorso, salvo i
casi stabiliti dalla legge”.
ART. 98, I e III commi, Cost.
“I pubblici impiegati sono al AL SERVIZIO ESCLUSIVO
DELLA NAZIONE.
(…)
Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di
iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari in
carriera di servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i
rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.
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Nonostante il tenore letterale dell’art. 97 Cost. sembra
consacrare i due principi in riferimento alla sola
organizzazione dei pubblici uffici, gli stessi riguardano
invece, secondo dottrina e giurisprudenza ormai
consolidata, l’attività della PA nella sua interezza
(organizzazione e funzionamento).
I principi devono quindi essere intesi come CRITERIGUIDA di ogni atto o comportamento della PA.
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A) Il PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’ va inteso come
equidistanza tra più soggetti pubblici o privati che
vengono in contatto con la PA.
In questo senso, rileva la capacità del responsabile del
procedimento, nell’espletamento delle proprie funzioni,
di raggiungere un grado di astrazione tale da: bilanciare
gli interessi pubblici e privati coinvolti nell’azione
amministrativa per far prevalere l’interesse pubblico solo
se necessario e dopo un’attenta ponderazione delle
posizioni e dei valori di cui si fanno portatori coloro che
si trovino in potenziale conflitto con la PA agente.
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L’imparzialità trova pertanto diretta esplicazione nel
procedimento amministrativo; anzi il procedimento
amministrativo
nasce
proprio
per
garantire
l’imparzialità della PA, assicurando l’integrità del
contraddittorio, la completezza dell’istruttoria, l’obbligo
della previa determinazione dei criteri di massima per
l’attribuzione di sussidi e altre erogazioni, il rispetto dei
criteri prefissati, la motivazione degli atti, la loro
pubblicità.
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In tale prospettiva:
il principio di imparzialità, oltre che la tradizionale
connotazione
negativa,
quale
DIVIETO
DI
DISCRIMINAZIONE, assume anche una valenza
positiva, come OBBLIGO DI IDENTIFICARE E
VALUTARE, da parte della PA procedente, TUTTI GLI
INTERESSI COINVOLTI sì che la scelta finale si atteggi
a risultato coerente e consapevole di una completa
rappresentazione dei fatti e degli interessi in gioco.
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Dal principio di imparzialità derivano:
1.
2.
3.
4.
5.
L’ammissione di tutti i soggetti indiscriminatamente al godimento
dei servizi pubblici;
Ildivietodiqualsiasi favoritismoe l’illegittimità degli atti
amministrativi emanati senza aver valutato tutti gli interessi
pubblici e privati esistenti;
L’obbligo per i funzionari di astensionedalla partecipazione a
quegli atti, in cui essi abbiano direttamente o per interposta
persona, un qualche interesse;
L’onerea carico delle parti interessate di ricusare il funzionario nei
casi in cui questo debba decidere su questioni in cui è
personalmente interessato;
Icriteri tecnici e imparziali di composizione delle commissioni
giudicatrici di concorsi e di gare pubbliche (autovincolo o
autolimite).
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Secondo la giurisprudenza, del principio di imparzialità,
quale declinazione del principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., sono predicabili l’immanenza e la
pervasività, di guisa che la violazione del canone
costituzionale può venire in rilievo anche in fattispecie
sprovviste di tipizzazione normativa.
La parzialità dell’azione amministrativa, anche se non
effettivamente concretata in un risultato illegittimo,
essendo sufficiente che il prodursi del vulnus del bene
giuridico tutelato e con esso la diminuzione di prestigio
della PA, si prospetti come mera eventualità, può
configurare il vizio di violazione di legge, con la
conseguente annullabilità del relativo provvedimento.
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B) Il PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO indica
l’obbligo per i funzionari amministrativi di svolgere la
propria attività secondo le modalità più idonee e
opportune, in vista del perseguimento dell’EFFICACIA,
EFFICIENZA, SPEDITEZZA ed ECONOMICITA’
dell’azione amministrativa, con il MINOR SACRIFICIO
DEGLI INTERESSI PARTICOLARI DEI SINGOLI.
Tale canone generale è il frutto della compenetrazione di
diversi criteri, tutti di uguale peso e importanza, che la PA è
tenuta a rispettare e a contemperare tra loro:
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•Ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi a disposizione
ECONOMICITA’
•Celerità dell’azione
RAPIDITA’
EFFICACIA
•Idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi
legislativamente enucleati, valutata dal raffronto tra risultati
conseguiti e obiettivi programmati.
EFFICIENZA
•Idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi
legislativamente enucleati, valutata dal raffronto tra risorse
impiegate e risultati conseguiti.
MIGLIOR
CONTEMPERAMENTO
DEGLI INTERESSI
MINOR DANNO PER I
DESTINATARI DELL’AZIONE
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Ne deriva un modello di amministrazione votata al
risultato (cd. performance oriented).
La previsione di alcuni dei criteri citati nell’art. 1 della
legge n. 241 del 1990 – economicità ed efficacia – implica
che la violazione degli stessi configura una vera e propria
violazione di legge che può essere azionata anche in sede
di legittimità davanti al giudice amministrativo.
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3.1.3.
IL
PRINCIPIO
RAGIONEVOLEZZA
DI
Il PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA si pone come
sintesi dei principi di eguaglianza, imparzialità e buon
andamento e impone alla PA, al di là del rispetto delle
previsioni normative, di adeguarsi a un canone di
razionalità operativa quando agisce, sì da evitare decisioni
arbitrarie e irrazionali.
L’operato della PA deve essere immune da censure sul
piano della logica, aderente ai dati di fatto e agli interessi
emersi nel corso dell’istruttoria, coerente con le premesse
e i criteri fissati dalla stessa PA.
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La violazione di detto principio comporta un vizio di
eccesso di potere, in particolare in relazione alle figure
sintomatiche del difetto di motivazione (es. si disattende
immotivatamente il tenore di un parere precedentemente
acquisito) di ingiustificata disparità di trattamento (es.
ove ci si comporti in maniera diversa dinanzi a situazioni
analoghe) o di contraddittorietà della motivazione stessa.
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