La vita fugge, et non s’arresta un’hora,
et la morte vien dietro a gran
giornate,
et le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future anchora;
E ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora,
or quinci or quindi, si che n’veritate,
se non ch’i’ o` di me stesso pietate,
i’sarei gia’di questi pensier’fora
La vita fugge e non si ferma un istante
e la morte la segue a marce forzate
e le cose del presente e del passato
mi creano affanno, e anche quelle del futuro;
da un lato mi angoscia il ricordo ( del passato ),
dall’altro l’attesa ( del futuro) , tanto che in verita’ se
non fosse per il fattoche ho pieta’di me stesso,
io mi sarei gia’tratto fuori da questi pensieri ( con la
morte)
Tornami avanti, s’alcun dolce mai
ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte
veggio al mio navigar turbati i venti;
Mi tornano in mente quelle gioie
che eventualmente provo’il mio cuore addolorato;
e poi rivolgendomi al futuro vedo una tempesta
che si abbatte sulla mia navigazione,
veggio fortuna in porto, et stanco
ormai
il mio nocchier, et rotte arbore et
sarte,
et i lumi bei che mirar soglio, spenti
vedo tempeste perfino nel porto
e vedo il mio timoniere ( la ragione ) ormai stanco
e (vedo) troncati tutti gli alberi della nave e le sartie,
e ( vedo ) spenti gli occhi belli ( di Laura) che ero solito
ammirare.
Il componimento e’uno dei piu’significativi testi di
introspezione, di analisi di una condizione interiore
desolata, caratterizzata dal dissidio e dalla sofferenza
esistenziale perche’ Petrarca , da uomo del Medioevo,
e’preoccupato di ogni passione che lo puo’allontanare
da Dio e quindi l’amore per Laura, il desiderio di gloria, i
beni terreni sono concepiti come ostacoli alla salvezza
ma si rende anche conto di non potersene staccare
completamente e cosi soffre, si autoinganna, combatte
e viene sconfitto.
In questo sonetto ritorna un
motivo caro a Petrarca : la fuga
inarrestabile del tempo e
l’incombenza della morte che
vanifica il senso dell’esistenza.
Tutto e’destinato a passare, il
tempo fugge e incalza il poeta,
le cose del mondo cambiano
rapidamente fino all’inevitabile
conclusione : la morte.
Tuttavia , in questo testo poetico, la consueta oscillazione
tra presente e passato si allarga ad abbracciare il futuro ,
che da’al dramma interiore ancora piu’incertezza e
precarieta’. La condizione del poeta e’ negativa allo stesso
modo nel passato, nel presente e nel futuro senza via di
scampo; se il presente e’tormentato, anche il ricordare la
felicita’passata gli da’tristezza e dall’altro lato il futuro gli
fa paura : quello che dovrebbe essere un porto, un rifugio
tranquillo , LA MORTE, appare fonte di angoscia, in quanto
per lui la salvezza e’incerta. L’angoscia deriva anche da un
senso di logoramento delle forze fisiche e spirituali, che
non consente piu’al poeta di affrontare la tempesta del
vivere. L’ultima desolata constatazione e’ che egli ha
perduto la sua guida, Laura.
Piu’volte Petrarca, nel Canzoniere, denuncia la stanchezza di
vivere e di pensare che imprigiona il suo animo, il bisogno di
riposo, di quiete e pace e la morte viene vista a tratti come
possibile soluzione, come fine del pianto, in Dio perche’solo in Lui
si puo’realizzare quel desiderio di stabillita’ che l’amore per
Laura, amore del tutto terreno, non riesce a soddisfare
La vita fugge, et non s’arresta
un’hora,
et la morte vien dietro a gran
giornate,
et le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future
anchora;
E ‘l rimembrare et l’aspettar
m’accora,
or quinci or quindi, si che
n’veritate,
se non ch’i’ o` di me stesso
pietate,
i’sarei gia’di questi pensier’fora
Nella prima parte, costituita
dalle due quartine, il ritmo
sostenuto e incalzante
e’determinato dal frequente
polisindeto ( et…et…) e
dalla presenza di verbi di
movimento ( <<fugge>>,
<<non s’arresta>>, <<vien
dietro>>).
Tornami avanti, s’alcun dolce mai
ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra
parte
veggio al mio navigar turbati i
venti;
veggio fortuna in porto, et stanco
ormai
il mio nocchier, et rotte arbore et
sarte,
et i lumi bei che mirar soglio, spenti.
Nella seconda parte, costituita dalle due terzine, la
corsa rallenta : il sonetto si conclude con una
sospensione lunghissima che separa “lumi”da
“spenti” , aggettivo che acquista un rilievo
particolare, posto alla fine dell’ultimo verso,
poiche’sintetizza il messaggio del testo : infatti,
come gli occhi di Laura sono spenti, cosi sembra
spegnersi anche ogni speranza per il futuro. La
lacerazione interiore di Petrarca si presenta anche
con l’uso dell’ ANTITESI, figura retorica ( di sintassi )
abituale nella poesia petrarchesca : “le cose
presenti et le passate “, “rimembrar et l’aspettar “,
“or quinci or quindi”
Sono presenti due costruzioni metaforiche all’inizio
del componimento e alla fine : quella della guerra
che passato, presente e futuro danno al poeta,
anticipata dalle “gran giornate” dell’avanzar della
morte, che e’ modo di dire del linguaggio militare;
poi quella del “navigar” che ricorda l’idea di un
“naufragio esistenziale”
Questo sonetto, inserito nella seconda parte del
Canzoniere, contenente le rime “in morte “di
Laura, assume il significato di una dolorosa
constatazione della vanita’dei beni terreni , che
prelude al pentimento e alla conversione
La canzone alla Vergine, posta in chiusura della
raccolta, testimonia appunto il volere di Petrarca
di intraprendere un cammino, se pur faticoso,
verso la purificazione e la salvezza in Dio, ma la
carne, la terra, sono sempre presenti e il poeta
tenta di staccarsene o meglio di trovare una
conciliazione tra cielo e terra e il fallimento di
questo tentativo e’la radice del suo dissidio.
Si nota come in questo sonetto ,il presente il
passato e il futuro si danno guerra, senza
allinearsi verso una direzione, come avveniva
nella concezione cristiana medioevale del tempo.
La navigazione, cioe’il percorso di vita di
Petrarca, si risolve cosi in un naufragio. Non
e’ il senso cristiano della salvezza a illuminare
la via del poeta-naufrago, infatti i <<lumi>>
sono metafora degli occhi di Laura e non della
luce divina, unica vera guida per il cristiano.
In questo caso Petrarca sceglie una soluzione
laica chiudendo il suo conto con un pensiero
rivolto alla donna di cui piange l’assenza.
Laura,
nel
Canzoniere,
e’
sempre
rappresentata come figura distante o assente
, ma Laura risulta lontana anche a causa del
suo
atteggiamento
infatti
e’spesso
caratterizzata come fredda e altera. Petrarca
considera Laura perfino una “nemica “
perche’non cede al suo amore cosi come,
nella mitologia classica, la ninfa Dafne, amata
da Apollo, preferisce essere trasformata in un
albero d’alloro pur di sfuggire al dio che la
insegue ( infatti dal nome Laura nasce il
senhal <<LAURO>>).
Rispetto alla donna lodata dagli STILNOVISTI,
Laura appare figura piu’concreta, ha una specifica
personalita’, e’donna mutevole : puo’essere di
buon umore o contrariata, puo’ammalarsi e
guarire, ecc…
Questa mutevolezza della donna e’un aspetto
nuovo rispetto allo Stilnovismo : Laura non
e’un’immobile figura divina , e’un essere mortale
e percio’fonte di una passione dolorosamente
terrena e precaria.
In cio’si puo’trovare un’affinita’di Petrarca con
Cavalcanti che considera la passione
amorosa una condizione di eccezionale
intensita’ vitale ma al tempo stesso una
minaccia di disgregazione del’io , un eccesso,
una disavventura quindi l’incontro con l’amata
sembra portare distruzione piu’che salvezza
Confronto Intertestuale
Analizzando in questo testo poetico
la figura di Laura viene naturale
confrontare questa donna, così
terrena, con la Beatrice di Dante
che dal poeta e’ sempre raffigurata
nei suoi testi come una donnaangelo, come colei che porta nel
mondo la salvezza o la verità di Dio.
Tuttavia è possibile ampliare ad
altre tematiche il confronto tra
Dante e Petrarca che ,sebbene
sono separati dallo spazio di una
sola generazione ( Dante è nato nel
1265, Petrarca nel 1304 ),
sembrano appartenere a epoche
diverse per carattere, educazione e
sensibilità.
Sul piano politico, ad esempio, Dante apparteneva al mondo
comunale, viveva da protagonista le passioni politiche del suo
tempo e pago' personalmente le conseguenze della sconfitta dei
guelfi bianchi con un duro esilio che durò fino alla morte; Petrarca,
invece, viveva nella grande corte della curia papale di Avignone o
protetto da vari signori e non si impegnò politicamente perché era
interessato ai suoi studi letterari.
Sul piano della collocazione storica, Dante rispecchia
pienamente
la civiltà medioevale, mentre Petrarca non si allontana dal
Medioevo ma non riesce a riconoscersi in esso e vive il passaggio
dal Medioevo all’ Umanesimo, infatti Petrarca riflette solo
sull’uomo, sull’ ”umanita’”, mentre Dante si interessa di ogni
aspetto della vita : filosofico, scientifico, politico, religioso,
linguistico.
Dante, inoltre, era un uomo di certezze che, superata la fase di
dubbio e “traviamento” di cui lo rimprovera Beatrice nel Purgatorio,
ha una salda visione della realtà e un messaggio chiaro da proporre
all’ uomo. Petrarca, invece, è un uomo di oscillazioni, di pentimenti,
di dubbi.
Tra i due autori ci sono differenze anche sul piano religioso :
Dante ha una “ fede salda” tipica della civiltà medioevale, Dio
al centro di tutto, tutto porta a Dio, cosi come si puo’notare, in
quello stesso periodo, anche nel campo artistico con lo slancio
verticale delle Chiese gotiche e con le vetrate che creano un
interno luminoso perché la luce allude simbolicamente a Dio.
Petrarca, invece, non si appaga delle certezze dei teologi, vuole
ritrovare Dio dentro di sé però lo sente spesso lontano, quindi
la sua fede è un “ fatto personale”.
Nel rapporto con gli autori classici Dante li considera un’
importante testimonianza letteraria ma, come uomo del
Medioevo, non cristiani ed infatti Virgilio, nella Divina
Commedia, era maestro di saggezza e guida di Dante solo fino
al Purgatorio perché per salire nel Paradiso era necessaria la
grazia di Dio, ovvero Beatrice.
Per Petrarca gli autori classici sono uomini perfetti e il fatto che
non fossero cristiani era secondario.
In ultimo un’ altra notevole differenza
tra i due grandi poeti la si nota nello
stile : il critico Gianfranco Contini parla
di “ monolinguismo o monostilismo”
per Petrarca perché rispetto alla
varietà di stili e di lingue della
Commedia dantesca ( per cui si parla di
plurilinguismo ) Petrarca, al contrario,
cerca un modello linguistico unitario,
universalmente valido, un linguaggio
letterario lontano dalla lingua viva e
parlata, selezionato e quindi c’è in lui
un lavoro incessante di purificazione
del vocabolario poetico ( labor limae )
Un confronto intertestuale si può cogliere anche con altri
due testi poetici del Canzoniere di Petrarca, ovvero “ Erano i
capei d’ oro a l’ aura sparsi “ e “ Era il giorno ch’ al sol si
scolorirono”. Nel primo sonetto ritorna il tema della fuga del
tempo e della precarietà di tutte le cose perché la bellezza
di Laura, come per qualsiasi creatura terrena, sfiorisce con
gli anni, i “begli occhi” ( che ricordano i lumi bei del sonetto
preso in esame) sono infatti , col passar del tempo, privi di
quella luce che avevano quando Petrarca si innamoro’ di lei,
ovvero nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone il 6 aprile
del 1327 come lui stesso dice nel sonetto “ Era il giorno ch’
al sol si scolorirono” dove ritorna un’altra volta l’espressione
“i bè vostr’ occhi” e qui Petrarca riprende l’ immagine
stilnovistica dello sguardo della donna che, attraverso gli
occhi, raggiunge il cuore.
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