La teoria della guerra giusta nel pensiero
politico della prima età moderna
Docente Prof. Scuccimarra
II SEMESTRE
A.A. 2010-2011
Tommaso d’Aquino:
Le condizioni della guerra giusta:
1) Deve essere proclamata dal principe (ovvero
dall’autorità legittima);
2) Deve derivare da una giusta causa, e cioè da «una
colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra»;
3) l’intenzione di chi combatte deve essere retta, e
cioè mirare «a promuovere il bene e ad evitare il
male».
Balthazar Ajala, De jure et officiis bellicis libri tres
(1597)
I diritti di guerra si applicheranno solo in una
guerra condotta per autorità e in nome del
principe supremo, perché altrimenti non la si
può chiamare guerra. Ma le ostilità portate
avanti da ribelli sono notoriamente l’opposto
della guerra giusta e dunque non possono
essere condotte sotto il diritto di guerra (I, II,
14-15).
Alberico Gentili, De jure belli (1598)
La guerra è la giusta contesa delle pubbliche armi. Certamente
in guerra non si fa altro che contendere, e si tratta di una
contesa con le armi. Infatti, condurre una guerra con gli
animi e non con le armi è proprio dell’ignavia e non della
guerra. (…) Occorre inoltre che la contesa sia pubblica.
Infatti, la guerra non è una rissa, una battaglia o
un’inimicizia fra privati; e le armi devono essere pubbliche
da entrambe le parti. Infatti la contesa bellica prende il
nome dal fatto che due parti uguali contendono per la
vittoria, e perciò in principio era chiamata duello…
Alberico Gentili, De jure belli (1598)
E’ nella natura della guerra il fatto che
entrambe le parti affermino che esse
stanno sostenendo una causa giusta. In
generale può essere vero in quasi ogni
tipo di disputa che nessuno dei due
contendenti sia ingiusto.
Hugo Grotius, De jure belli ac pacis (1625):
Una guerra sarà giusta, nello stesso senso in cui
si dice testamento giusto, giuste nozze […]. E’
importante fare questa precisazione perché
molti, mal interpretando il termine giusto,
ritengono che tutte le guerre cui questa
qualifica non attenga siano condannate come
inique o illecite.
Hugo Grotius, De jure belli ac pacis (1625):
Perché la guerra sia solenne secondo il diritto
delle genti si richiedono due condizioni: in
primo luogo che entrambe le parti che la
fanno siano investite nella loro nazione
dell’autorità sovrana; e in secondo luogo che
si osservino determinate formalità.
Hugo Grotius, De jure belli ac pacis (1625):
La ragione per cui alle nazioni è parso bene così, consiste nel
fatto che volersi pronunciare sulla giustizia di una guerra
tra due popoli sarebbe pericoloso per gli altri, che in questo
modo si troverebbero coinvolti in una guerra altrui. […] C’è
anche da dire che, sia pure in una guerra legittima, non si
può mai sapere, attraverso indicazioni esteriori, quale sia il
giusto limite accordato per difendersi, per proteggere i
propri beni, o per infliggere una punizione; è quindi parso
più conveniente lasciare questa valutazione alla coscienza
dei belligeranti, invece che ad arbitri esterni .
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
La prima regola di questo diritto, nell’ambito di cui
stiamo trattando, è che la guerra regolare, quanto ai
suoi effetti, deve essere considerata giusta da
entrambe le parti. Ciò è assolutamente necessario
(…) se si vuole dare un po’ d’ordine e di regole ad
uno strumento violento come le armi, fissare dei
limiti alle calamità che produce e lasciare una porta
sempre aperta al ritorno della pace .
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
Così i diritti fondati sullo stato di guerra, la legittimità dei suoi
effetti, la validità delle conquiste fatte con le armi, non
dipendono per nulla – da un punto di vista esteriore, e in un
ambito umano – dalla giustizia della causa, ma dalla
legittimità dei mezzi in se stessi, ossia da tutto ciò che è
necessario perché la guerra sia regolare (une guerre en
forme). Se il nemico osserva tutte le regole della guerra
regolare, noi non siamo autorizzati a lagnarci di lui, come se
avesse infranto il diritto delle genti: egli pretende tanto quanto
noi di esercitare un proprio buon diritto. Non abbiamo altra
risorsa che la vittoria, o di cercare un accomodamento .
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
La guerra regolare (guerre en forme) può essere
chiamata “anche guerra regolata, perché vi si
osservano alcune regole prescritte o dalla legge
naturale o adottate per consuetudine. Bisogna
accuratamente distinguere la guerra legittima e
regolare (legittime & dans les formes) da quelle
guerre informali e illegittime, o meglio da quei
brigantaggi, che si fanno o senza l’autorità
legittima o senza un motivo apparente o ancora
senza formalità o solamente per saccheggiare”.
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
Per capire bene il fondamento di questa distinzione è necessario
rammentare la natura e il fine della guerra legittima. La legge naturale
la consente solo come rimedio contro l’ostinata ingiustizia. Da qui
derivano i diritti che concede (…) e ancora da qui le regole che
bisogna rispettare. E visto che è possibile che l’una o l’altra parte
abbia il buon diritto dalla propria parte, e che nessuno, data
l’indipendenza delle nazioni, possa giudicare, per tutto il periodo della
guerra, la condizione dei due nemici è la stessa. Perciò quando una
nazione o un sovrano ha dichiarato guerra a un altro sovrano a causa di
un contenzioso che si è aperto fra di loro, la loro guerra è ciò che
chiamiamo una guerra legittima fra nazioni, e regolare; e (…) secondo
il diritto volontario delle genti gli effetti sono gli stessi da una parte e
dall’altra, indipendentemente dalla giustizia della causa.
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
Niente di tutto questo vale per una guerra informe e
illegittima,
chiamata
con
più
ragione
brigantaggio. Intrapresa senza nessun diritto,
senza neppure un motivo apparente, essa non può
produrre effetti legittimi né conferire alcun diritto
a colui che ne è l’autore. La nazione attaccata da
nemici di questo tipo non ha alcun obbligo di
osservare nei suoi confronti le regole prescritte
per la guerra regolare (guerre en forme): li può
trattare come briganti.
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
Se le altre [Nazioni] pretendessero di (…) giudicare [una
Nazione], esse attenterebbero alla sua libertà, la
colpirebbero nei suoi diritti pù preziosi. Inoltre, ciascuno
tirando la giustizia dalla sua parte, si attribuirebbe tutti i
Diritti della Guerra, pretendendo che il suo nemico non ne
abbia alcuno, che le sue ostilità non siano che atti di
brigantaggio, di infrazioni al diritto delle genti, degne di
essere punite da tutte le Nazioni. La decisioni di diritto,
della controversia, non ne sarebbe avvantaggiata e la
disputa diverrebbe più crudele, più funesta nei suoi effetti,
più difficile da terminare
E. de Vattel, Droit des Gens (1758):
1) La guerra regolare (Guerre en forme), per quanto riguarda si
suoi effetti, deve essere considerata come giusta da una parte e
dall’altra;
2) Poiché il diritto è reputato eguale tra i due nemici, ciò che è
permesso all’uno, in virtù dello stato di guerra, è anche
permesso all’altro;
3) Questo diritto delle genti volontario, ammesso per necessità e
per evitare mali peggiori, non attribuisce a colui le cui armi
sono ingiuste un vero e proprio diritto, capace di giustificare la
sua condotta e rassicurare la sua coscienza, ma solo l’effetto
esteriore del diritto e l’impunità tra gli uomini.
Jean-Jacques Rousseau, Contrat social (1762):
La guerra non è (…) una relazione da uomo a uomo,
ma una relazione fra Stato e Stato, in cui i privati
sono nemici solo per accidente, non come uomini
o come cittadini, ma come soldati; non come
membri della patria, ma come suoi difensori.
Infine, ciascuno Stato può avere per nemici solo
degli altri Stati, non degli uomini, poiché fra cose
di natura diversa non si può stabilire alcun vero
rapporto.
Jean-Jacques Rousseau, Contrat social (1762):
Questo principio è anche conforme alle massime stabilite in tutti i tempi e alla pratica
costante di tutti i popoli civili. Le dichiarazioni di guerra sono meno degli
avvertimenti ai capi che non ai sudditi. Lo straniero, re, o privato, o popolo, che
ruba, uccide o detiene i sudditi senza dichiarar guerra al principe non è un nemico,
ma un bandito. Anche in piena guerra, un principe giusto s’impadronisce, in paese
nemico, di tutto ciò che appartiene allo Stato, ma rispetta la persona e i beni dei
privati; rispetta dei diritti su cui si fondano anche i diritti suoi. Il fine della guerra
essendo la distruzione dello Stato nemico, si ha diritto di ucciderne i difensori
finché impugnano le armi; ma appena le depongono e si arrendono, cessando di
essere nemici o strumenti del nemico, tornano ad essere semplicemente uomini e
non si ha più diritto sulla loro vita. Talvolta si può uccidere lo Stato senza uccidere
nessuno dei suoi membri; ora, la guerra non dà nessun diritto che non sia
necessario al suo fine. Questi principi non sono i principi di Grozio, non sono
fondati sull’autorità di poeti, ma derivano dalla natura delle cose e si fondano sulla
ragione..
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Seminario guerra giusta 2011