Ode
«All'amica risanata» è un’ode d’occasione, composta da Ugo Foscolo per celebrare la
guarigione della sua amata (Antonietta Fagnani Arese) e pubblicata nel 1803 a Milano
nell'edizione definitiva delle Poesie (assieme a dodici sonetti e all'ode A Luigia
Pallavicini caduta da cavallo, comparsa già in precedenti edizioni).
In tale componimento il poeta illustra la vanità di una bellissima donna che soleva
organizzare feste nella Villa Litta di Lainate, a cui partecipavano artisti e letterati ,
finché un giorno si ammalò e, scossa dalla malattia, non riuscì più a partecipare agli
incontri per problemi sia fisici sia mentali. Come il pianeta Venere si alza brillante a
far fuggire le tenebre, così la donna si alza dal letto finalmente guarita e in lei rinasce
quel fascino che faceva trepidare. Le Ore che durante la malattia erano dispensatrici
di medicine, ora le porgono bei vestiti e ornamenti in modo che, quando ritornerà nei
luoghi notturni, tutti la potranno ammirare come se fosse una dea. L’autore afferma
che solo il canto di un poeta riesce a rendere eterna la bellezza di una donna: così
come fu per Diana, Bellona e Venere, donne mortali rese immortali dai versi dei
poeti.
Qual dagli antri marini
L'astro più caro a Venere
Co' rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo viaggio
Orna col lume dell'eterno raggio;
E i candidi coturni
E gli amuleti recano,
Onde a' cori notturni
Te, Dea, mirando obliano
I garzoni le danze,
Te principio d'affanni e di speranze:
Sorgon così tue dive
Membra dall'egro talamo,
E in te bèltà rivive,
L'aurea beltate ond'ebbero
Ristoro unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.
0 quando l'arpa adorni
E co' novelli numeri
E co' molli contorni
Delle forme che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto
Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa, tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidiando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.
Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l'agile
Corpo all'aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.
Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de' farmachi,
Oggi l'indica veste
E i monili cui gemmano
Effigiati Dei
Inelito studio di scalpelli achei,
-Strofe di cinque settenari, alternatamente
piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo
in rima con il settenario precedente
-Schema delle rime: abacdD
Come dalle profondità del mare appare il pianeta più
caro a Venere con i suoi raggi simili a chiome cariche di
rugiada tra le tenebre che si dileguano, e abbellisce il
suo cammino celeste con la luce del suo eterno raggio;
così le tue divine forme sorgono dal letto dove giacesti
malata e in te ritorna la bellezza, la splendida bellezza
grazie alla quale le menti degli uomini, destinate a
errare, ebbero il solo ristoro ai propri mali. Vedo tornare
sul tuo caro viso il colore roseo; tornano a sorridere i
grandi occhi, abili a sedurre; e a causa tua le madri
preoccupate e le amanti insospettite sono prese da
timore e restano sveglie, tormentate da nuovi pianti. Le
Ore che prima mestamente erano le somministratrici
delle medicine, oggi ti portano la veste pregiata, e i
monili su cui splendono le effigi di divinità opera
immortale di artigiani greci, e i candidi stivaletti da ballo
e gli altri ornamenti a causa dei quali, vedendoti nelle
danze notturne, i giovani dimenticano le danze intenti a
contemplarti, o donna divina, che sei per loro causa di
affanni e di speranze d’amore. Sia quando abbellisci il
suono dell’arpa con nuove armonie e con i morbidi
contorni delle tue forme che la stoffa aderente
asseconda, e nel frattempo il tuo canto giunge più
insidioso fra i sommessi sospiri; sia quando danzando
disegni una serie di volteggi, e affidi all’aria il tuo agile
corpo, sfuggono dalla veste e dal velo scomposto e
trascurato sul petto ansante nascoste bellezze.
-Baldi (volume 4)
-Wikipedia
-Treccani
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