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La fiaba nell’antichità
Confronto tra fiaba e leggenda
Teorie sulle origini della fiaba
Fiaba e letteratura
Le mille e una notte
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Fiaba Il termine,derivante,come il francese fable e l’italiano
favola, dal latino fabula in senso generale designa un
racconto fantastico di origine popolare e di tradizione orale,
in cui il meraviglioso e il magico
(fate,folletti,maghi,streghe,metamorfosi,bacchette,ecc.)
abbia una parte predominate e di cui siano
protagonisti,indistintamente,uomini,animali e oggetti magici.
La si distingue dalla favola ,che è una breve narrazione in cui
si fingono atti o parole di animali o di cose inanimate,e sotto
il velo di questa finzione si ricopre una verità: la Fiaba
sembra meglio collocarsi tra i più remoti prodotti di
folklore, prossima alle forme del simbolo e al mito. Suoi
caratteri, comuni ad altre forme di tradizione popolare
(miti,leggende,saghe,credenze,proverbi,ballate,ecc.), sono
l’impersonalità, il suo nascere non per un singolo attori
creazione individuale (come fatto dalla parola), ma il suo
sussistere come prodotto collettivo indipendente,dal
narratore, il quale può beninteso variarla, ma non la inventa
(in quanto essa rientra nella langue, nell’ambito del sociale).
– Al pari di miti e leggende la fiaba ha propria una natura
ripetitiva, la fissità e limitatezza dei temi, la peculiarità del
suo processo comunicativo affidato all’oralità. Mentre però
nel mito si riconosce una forte carica religiosa e la
dimensione sacrale di un sapere segreto, nel racconto
fiabesco il meraviglioso sopranaturale no mira a rilevare
verità; il suo contenuto è immaginario e ha per fine il semplice
diletto dell’ascoltatore. Secondo Propp la nascita di molte
delle Fiabe popolari giunte fino a noi potrebbe risalire al
momento di trapasso dalla società dei clan, basata sulla
caccia, alle prime comunità fondate sull’agricoltura, allorché i
riti di iniziazione caddero in disuso e i racconti segreti che li
accompagnavano o li precedevano cominciarono a essere
narrati senza più alcun rapporto con le istituzioni e le funzioni
pratiche cui erano legati, diventando storie di meraviglie,
crudeltà e paure.
• I primi a distinguere la Fiaba dalla leggenda furono i fratelli
Grimm, ritenendo la prima più poetica e di contenuto fantastico,
la seconda più storica e legata a fatti, luoghi e nomi determinati.
A acuta definizione hanno sostanzialmente aderito, più
precisandola e perfezionandola, quasi tutti gli studiosi successivi.
Lo studioso svizzero M.Luthi è pervenuto ad una
caratterizzazione stilistica dei due prodotti folklorici, definendo
“a una dimensione” la rappresentazione fornita dalla Fiaba, ove
non esiste distacco tra il mondo soprannaturale e quello in cui si
svolge la vicenda narrata, “due dimensioni” (umana l’una, l’altra
soprannaturale) quella data dalla leggenda; onde i personaggi
della Fiaba sono descritti come figure incorporee, mentre quelli
della leggenda assumono precisi contorni reali. L’assenza di ogni
intenzione realistica, del resto, e ciò che distingue il racconto
fiabesco anche dalla novella cui l’accomuna bensì la sua forma di
racconto in prosa. Le veline o novelle da contare a veglia sono in
molte regioni italiane, e specialmente in Toscana, sinonimi di
fiaba.
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Il carattere controverso della Fiaba e la difficoltà a definirla si rispecchiano
anche nella latitudine di significati presentata dal termine, mentre in altre lingue
occorrono parole che ne designano troppo restrittivamente un solo aspetto
specifico (è il caso del francese conte de fèes e dell’inglese fairy tale, vocaboli
che pongono l’accento su un unico elemento del meraviglioso fiabesco : la presenza
delle fate). Si tratta del resto di un genere popolare a diffusione mondiale,
dotato di una storia millenaria e soggetto all’indagine delle più svariate discipline.
Lo studio scientifico del materiale fiabesco fu caratterizzato da un orientamento
storico a partire dal secolo XIX . Furono i fratelli Grimm i primi ad occuparsi
dell’origine della fiaba. A loro fa capo la teoria mitica, che scorge nei racconti
popolari il residuo o il riflesso di primitivi miti ariani. Ricollegandosi a queste
intuizioni M. Muller interpretò le Fiabe come allegorie di fenomeni naturali.
L’edizione di una antica raccolta di novelle indiane, il pancatantra (1859), indusse
il curatore T.Benfey a derivare dall’India l’origine di gran parte del patrimonio
favolistica e fiabesco europeo, pur non escludendo creazioni e sviluppi originali. E
questa la cosiddetta tendenza storico – orientalistica che discepoli e continuatori
(R. Kohler, M. Landau, E. Cosquin) portarono alle estreme conseguenze. Ma già il
filologo romanzo J. Bèdier, oltre ad aver genialmente additato alcune soluzione
fondamentali per una più comprensione dei meccanismi fiabeschi, aveva
manifestato i suoi dubbi circa la possibilità di risolvere definitamene la complessa
questione della provenienza della fiaba.
• La teoria antropologico – culturale o evoluzionistica, seguita da
studiosi come E. P. Tylor, A.Lang e J.G.Fraser, muovendo dal
principio dell’identità dello spirito umano nel suo stadio primitivo
e dalle analogie che esso mostra nelle fasi del suo sviluppo
culturale, analizza le fiabe come prodotti culturalmente autonomi
ed esclude una origine comune.
Questa teoria è stata recentemente ripresa secondo schemi
funzionalistici e d’uso della comunicazione da D.Ben Amos.
Nell’ambito delle interpretazioni ritualistiche che ricollegano la
maggior parte dei motivi narrativi a riti iniziatici, un contenuto
notevole allo studio della narrativa popolare è stato dato da
A.van Gennep, che ha rivelato il riflesso dei riti totemici sulle
fiabe di animali. Un nuovo orientamento ha assunto la scuola
finnico- americana (dal finlandese A.Aarne suo iniziatore e dal
americano S.Thonpson che ne proseguì gli studi), cui spetta il
merito di aver proposto una concreta classificazione del
materiale fiabesco.
Essa scompone ciascun racconto in un insieme di motivi o
varianti (personaggi, eventi, temi mitici, episodi) la cui
presenza e successione consente di individuare un
determinato tipo narrativo. Superando sia la questione
storica dell’origine della fiaba sia quella più empirica
di una sua classificazione, i seguaci della scuola
freudiana hanno applicato all’universo fiabesco e alla
sua irrealtà gli strumenti di indagine della psicanalisi,
riconoscendovi un repertorio di ambigui sogni comuni a
tutti gli uomini, fissati in forma canonica per
rappresentare le paure più elementari.
• Il grande folklorista russo V.J Propp spiega lo
svolgimento dalla fiaba come passaggio da funzioni
negative (allontanamento, divieto,
danneggiamento,mancanza,ostacolo) a funzioni che ne
rovesciano o superano la negatività. In Morfologia
della fiaba (1928) egli invece di classificare in
materiale fiabesco in tipi e distinguervi dei motivi,
analizzando un gruppo omogeneo di fiabe di magia di
Afans’ev, contrappone ai personaggi e ai loro attributi,
che ne costituiscono gli elementi variabili, un numero
finito d’azioni e funzioni che sono invece costanti e si
ritrovano in tutte la fiabe nella stessa successione.
• Pone così l’accento non tanto su quel che viene narrato quanto sui
meccanismi formali che regolano lo svolgimento del racconto. I
personaggi vengono definiti in rapporto alle sfere d’azione cui
partecipano; i ruoli non coincidono necessariamente con i
personaggi: un unico può essere ricoperto da più personaggi come
da uno solo, più ruoli da un unico personaggi. L’interpretazione
proppiana è stata però accusata da C. Lèvi-Strauss di
formalismo. Secondo l’etnologo (sostenitore dell’inseparalità
dello studio del mito da quello della fiaba) il più grave errore di
codesta teoria consiste nell’aver voluto separare lo studio delle
forme narrative dal loro contenuto.
• Levi-Strauss rivolge la sua attenzione al contenuto concettuale
della fiaba, che secondo lui ne costituisce analogamente a quanto
avviene per il mito l’elemento primario, in funzione del quale
operano i meccanismi narrativi. La complessa questione dei
rapporti tra forma e contenuto nella fiaba resta comunque
ancora aperta.
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Le indubbie difficoltà che si incontrano a definire in sede teorica
l’essenza del racconto fiabesco non impediscono di considerare l’aspetto
letterario, il valore d’arte assoluto che secondo B.Croce (negatore così
degli indirizzi comparativi come della ricerca intorno all’origine dei
racconti popolari), può raggiungere questo prodotto del folklore. Motivi
fiabeschi si rintracciano nell’ epopea babilonese del Gilgamesh e nella
Bibbia. Ma è nel lontano Oriente che si hanno precoci raccolte di novelle,
favole a Fiaba come il pancatantra (I cinque libri) databile tra il secondo
e il sesto secolo dell’era cristiana, la Brhatkathamanjarì (il mazzo di
fiori della Brhatkatha)di Ksemendra e il Kathasaritasagara (L’oceano
delle novelle simili a fiumi) di Somadeva, entrambe del undicesimo secolo
ma ricavate dalla Brhatkatha (Il gran romanzo) di Gunadhya, un’opera
del secondo e terzo secolo D.C. Larga diffusione in India e fuori ebbero
due raccolte fantastiche : la Vetalapancavimsatika (Le venticinque
(novelle) del lemure), conglobata anche nelle due opere precedenti, e la
Simhasanadvatrimsinkà (Le trentadue (novelle) del trono).
• Anche le celebri Mille una notte, che nelle loro vulgata attuale
sono una compilazione anonima sorta in Egitto alla fine del
quattordici secolo, risalgono ad una più antica e versione araba
(decimo secolo) di un originale persiano, il quale a sua volta
doveva attingere indubbiamente a fonti indiane. Lo straordinario
influsso che tale raccolta esercitò in Occidente discende dalla
vivace traduzione francese datane dal Galland, 1704-17. In
Occidente, il mondo classico, che tanto esercitò nella favola, ha
conservato tenui tracce del genere fiabesco: innanzitutto la
bella fabella di Amore e Psiche che, tra la fine del quarto secolo
e il principio del sesto libro, occupa il centro delle Metamorfosi
di Aupelio. Ma anche nei primi tre libri gli oscuri sortilegi delle
maghe tessale determinano un irreale e pauroso clima fiabesco.
• Secondo alcuni studiosi essi imiterebbero il
Satyricon di Petronio (primo secolo d.C.) dove non
mancano racconti magici (Sat. 62,63). Fiaba o
elementi fiabeschi si possono rintracciare nei romanzi
del ciclo Bretone, nella gran congerie dei libri di
novelle (Il Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, oppure
le Novelle del Sercambi) e persino nei poemi in ottave
(dal Mambriano del Cieco di Ferrara, ai più celebri
esemplari). Iniziò la fortuna del genere G.F
Straparola pubblicando nella prima serie delle
Piacevoli notti (1550), il più ricco gruppo di Fiorentino
che fosse mai stato fino allora accolto in un libro. I
racconti sono derivati dalla tradizione orale e uno
serba ancora la veste del dialetto. In dialetto
napoletano sono anche la le cinquanta fiabe di cui si
compone Lo Cunto de li cunti overo Lo trattenemiento
de’peccerille di G.B Basile (1634-36): questo
fortunatissimo capolavoro e capostipite del racconto
fiabesco europeo racchiude dentro una cornice
bocacciana (anch’essa fiabesca) e argina con il
sapiente artificio di una complessa struttura la
• Il regno di Luigi quattordicesimo e il raffinato mondo
della corte francese videro il sorgere del fèisme
culminato con Les Contes de ma mère l’Oye (1697) di
C. Perrault, che pur nella elegante stilizzazione
letteraria seppero conservare al genere una preziosa
semplicità, riflettendo l’atmosfera incantata e gli
irreali splendori della grande èpoque. Ma le
numerosissime raccolte susseguitesi per tutto il primo
decennio del 700 si riducono spesso eccezion fatta
per quella mirabile di Mme d’Aulnoy e per alcuni altri
modi di manierate allegorie cortigiane. Nel corso del
secolo si continuò a scrivere fiabe ispirate a più
modeste virtù borghesi e provviste di una
trasparente morale: esse occupano gran parte dei
trentasette volumi del Cabinet des Fèes, summa della
letteratura fantastica settecentesca. Se l’illuminismo
preferì il conte philosophique, a Venezia C. Gozzi si
servì di fiabe drammatiche in un remoto Oriente per
satireggiare la riforma teatrale goldoniana (L’amore
delle tre melarance, 1761) o la filosofia (L’augellin
belverde, 1765).
• Pervasi da un delicato gusto rococò sono i racconti fiabeschi in
versi e la raccolta Dschinnistan ovvero fiaba scelte di fiabe e
folletti (1786-89), di C.M. Wieland che si ispirò alla galante
fèerie francese piuttosto che alla herderiana voce del popolo
poetante. E quasi allo scadere del secolo Mozart (sil libretto di
E. Schikaneder) compose il flauto magico (1791), straordinaria
fiaba musicale. Ma il crescente per lo studio delle leggende e
delle tradizioni popolari, sorto nel preromanticismo inglese a
proposito delle ballate inglesi e scozzesi, ricevette in Germania
da Herder un vivo impulso anche verso le fiabe, nelle quali egli
riteneva sopravvissero i resti di antiche credenze religiose,
comuni a ogni popolo, e venne proseguito con ardore dal
romanticismo, inteso a resuscitare tutto il patrimonio popolare
tedesco.
• Nacquero così le fiabe per bambini e per le famiglie
(1812-15) dei fratelli J. e W. Grimm; e prima C.
Brentano aveva infuso nelle sue fiabe le malinconie e
la mutevole levità di un temperamento romantico. È
questa l’epoca in cui il racconto fiabesco diventa
complessa e poetica creazione individuale: nei satirici
Volksmarchen (1797) di L. Tieck, nella delicatissima
Undine (1811) di fiabe de la Motte-fouquè o nelle
fiabe fantastico-grottesche di E. Th. A. Hoffmann,
febbrilmente oscillanti fra sogno e realtà. Con il
romanticismo la passione della fiaba si diffuse in
Europa. P.Arbjrsen e J.Moe raccolsero racconti
popolari norvegesi (1841-42); Altrettanto fece
A.Afanas’ev con le antiche favole russe (1855-64);
anche Puskin si era cimentato con originalità nel
genere. Dal 1835 al 1872 H. C.Andersen pubblicò i
fascicoli delle sue fiabe: tradizioni popolari, racconti
infantili, vecchi motivi novellistici vi sono trasfigurate
insieme con le esperienze autobiografiche dello
scrittore, per dar vita a un mondo poetico di sognante
e infantile candore.
• Ma ormai gli scrittori si volgevano al genere fiabesco
per nostalgia di un paese innocente: così avvenne per
The Happy Prince and Other Tales (1888) di O. Wilde,
per le fiabe drammatiche di J. M. Barrie (Peter Pan,
or The Boy Who Wouldn’t Grow up, 1904; Peter Pan
and Wendy, 1910) e per quelle di ispirazione
simbolistica di M. Maeterlinck, per il romanzo
fiabesco Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson
(1906-07) della svedese S.Lagerlof o per le spesso
felici fiabe di G. Gozzano (I tre talismani, 1904; La
principessa si sposa, 1917). Dalla seconda metà del
diciannovesimo secolo, sotto l’influsso del positivismo,
folkloristi e demospicologi si diedero a raccogliere e a
trascrivere secondo criteri scientifici il patrimonio
della tradizione orale. In Italia tale lavoro, iniziato da
studiosi stranieri, portò alla raccolta del Nericci e a
numerose altre tra le quali quelle dell’Imbriani, del
Comparetti e soprattutto Pitrè.
• Tuttavia il genere fiabesco non conobbe tra noi la
voga e la diffusione romantica, restando appannaggio
degli studiosi del Folkler da un lato e dall’ altro
venendo confinato nell’ ambito più angusto della
letteratura per l’infanzia( il pinocchio di Collodi è
però un capolavoro di stile e di originalità inventiva e
notevole è anche il c’era una volta di L. Capuana ). Fu
un altro scrittore,I.Calvino, con la sua importante
silloge di 200 F. italiane (1956) a dare all’Italia, con
tanto ritardo sugli altri paesi europei, quel libro
utilitario e nazionale che le mancava.
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