L’ILLUSIONE
DELLO SVILUPPO
SENZA RICERCA
Vittorio Silvestrini
Presidente
FONDAZIONE IDIS-CITTÀ DELLA SCIENZA
Conferenza del Consiglio Europeo della Ricerca
martedì 29 ottobre 2013
L’idea che ha portato alla realizzazione di Città
della Scienza è che in un’economia basata sulla
conoscenza, la materia prima siano la cultura e
la ricerca e il principale attore utente siano i
giovani e i cittadini complessivamente. Per
questo le nostre società devono investire in
educazione e in ricerca.
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Voglio ricordare che i musei interattivi di nuova
generazione nascono negli Stati Uniti nel secolo
scorso come luoghi in cui tutti possano avvicinarsi
alla scienza e i suoi fenomeni; luoghi in cui la
scienza esca dai laboratori per diffondere il metodo
scientifico nella società.
Nel corso degli anni i Science Centre (oggi oltre
2.000 in tutto il mondo) hanno visto allargare la
propria missione. Non solo quindi luoghi di visita e di
educazione; non solo ambienti di ricerca e riflessione
sul rapporto tra scienza e società,
coinvolgendo i cittadini sulle grandi controversie legate alla scienza e alla
tecnologia; ma anche luoghi in cui sperimentare la “terza rivoluzione
industriale”, come avviene nel nostro incubatore per imprese innovative.
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Nella visione di Città della Scienza solo la sinergia feconda tra ricerca,
sviluppo, produzione e diffusione democratica del sapere pone le basi
per la costruzione di una società democratica della conoscenza.
Il sapere scientifico e la cultura dell’innovazione, di cui si sono pienamente
appropriati i grandi operatori della produzione e
dell’economia, non appartengono alla società nella
sua generalità e non sempre sono metabolizzati
organicamente in quel patrimonio di valori comuni
e condivisi che costituiscono la nostra “cultura”.
Città della Scienza è nata appunto come
strumento per la alfabetizzazione scientifica di
massa e per rafforzare il collegamento tra
cultura scientifica, innovazione e sviluppo.
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Il rapporto Vannevar Bush
Sul finire della seconda guerra mondiale, il
matematico statunitense Vannevar Bush,
consulente scientifico del presidente
Franklin Delano Roosevelt, scrisse un
famoso rapporto in cui si analizzava
l’esperienza del progetto Manhattan e
in cui si proponeva che l’esperienza
maturata con questa rilevante impresa
venisse utilizzata per impostare la
politica scientifica del paese in tempo
di pace.
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La proposta di Bush
Il punto di partenza del rapporto era la constatazione
che un migliaio di scienziati, fino al giorno prima impegnati ciascuno nella
propria ricerca nella diverse università e laboratori del paese, organizzati a
squadra sotto una sapiente guida, erano stati capaci di conseguire un
raggiungimento conoscitivo, tecnologico e applicativo così rilevante da
stravolgere il corso della storia e i connotati della civiltà umana.
Ciò dimostrava che i laboratori universitari in cui si svolge la ricerca
fondamentale sono una palestra in cui si sviluppano conoscenze, abilità e
metodi cui il paese può accedere all’occorrenza, per conseguire importanti
obiettivi strategici di interesse generale. E dunque valeva la pena che lo
stato investisse importanti risorse pubbliche a sostegno della ricerca libera,
“curiositiy driven”, anche se ciò a prima vista poteva apparire un lusso.
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Il sostegno alla ricerca curiosity driven
Le linee di politica scientifica indicate nel
rapporto Bush furono fatte proprie dal
Presidente e dal governo USA con la messa
in campo fra l’altro di importanti strumenti
quali la National Science Foundation per il
sostegno alle iniziative di ricerca
spontanea; nonché i grandi programmi e
laboratori di ricerca pura alla scala nazionale
e sovranazionale, di cui i grandi acceleratori
di particelle sono un tipico esempio.
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Le grandi imprese scientifiche
L’altissimo standard di competenze
indotto dal sostegno alla ricerca pura ha
reso possibile lanciare e portare a
termine imprese tecnico-scientifiche
di tale sofisticazione e impegno che, al
confronto, il Progetto Manhattan appare
come una impresa da ragazzi
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Le ricadute
Fu subito evidente che il generoso sostegno
pubblico alla ricerca di base – sia quella
“curiosity driven”, che quella organizzata in
grandi progetti – nei fatti non solo produceva una
abbondante messe di nuove conoscenze e nuovi
spazi, ma metteva anche a disposizione del
sistema produttivo una varietà di nuove
tecnologie capaci di elevare da un lato l’impatto
sulla qualità della vita; dall’altro di accrescere la
competitività del sistema-paese nel contesto
internazionale.
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Serendipity
Nel caso della ricerca libera, le invenzioni figlie della ricerca scientifica avvengono
spesso attraverso il meccanismo cosiddetto della “serendipità”, come viene
chiamato il processo euristico che porta a una scoperta, mentre era nato per
produrne un’altra.
Perché ciò avvenga, è tuttavia necessario che il sistema produttivo si attrezzi in
modo tale da filtrare, e finalizzare a proprio vantaggio, le
potenziali applicazioni della ricerca di base; e ciò richiede che
anche gli operatori della produzione siano presenti e attivi sul
terreno della ricerca con competenze e laboratori adeguati.
Ecco perché nei paesi più avanzati lo Stato non solo finanza
la ricerca libera; ma stimola con opportuni incentivi anche il
settore privato a investire adeguatamente, per sua parte, in
ricerca (applicata).
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Sviluppo senza ricerca
L’Italia è l’unico fra i paesi più avanzati ad
avere fatto la scelta dello “sviluppo senza
ricerca”. Una scelta non pienamente
consapevole, che affonda le sue radici
nello stato in cui il paese si trovava
quando, alla metà del XX secolo, avviò il
suo nuovo corso dopo il degrado del
ventennio fascista e dopo la più
devastante guerra della storia.
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Al degrado si reagì con una generale, fortissima volontà di
riscatto che faceva conto su pochi punti di forza:
• abbondanza di manodopera a basso costo per il settore
industriale, anche grazie alla migrazione interna;
• mercato in forte espansione, grazie al generale desiderio di
disporre di dispositivi e strumenti già largamente diffusi nei
paesi più ricchi;
• incentivi alla ricostruzione edile e agli investimenti produttivi,
anche grazie al Piano Marshall;
• il sapiente ricorso al design industriale; e così via.
Insomma, il “miracolo economico” di cui ha goduto il nostro paese tra gli anni
’50 e la metà degli anni ’60, si è verificato senza che la parola “ricerca”
venisse nemmeno pronunciata.
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La politica scientifica
Mentre il paese procedeva nel progetto di sviluppo senza ricerca, la
comunità scientifica – e in particolare i fisici – non rinunciarono a
offrire, e a pretendere di avere un ruolo nel processo di ricostruzione.
Su iniziativa dei due decani più
prestigiosi fra i fisici italiani – Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini –
fu elaborato un progetto di promozione della ricerca fondamentale in
fisica nucleare incardinato su tre grandi iniziative: l’elettrosincrotrone di
Frascati, e il relativo Laboratorio Nazionale; la costituzione dell’INFN,
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; il CERN di Ginevra. Iniziative già
tutte e tre operative entro gli anni ’50, e ancor oggi su livelli di assoluta
eccellenza a livello mondiale.
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La politica scientifica
Iniziative già tutte e tre operative entro gli anni ’50 e ancor oggi su livelli
di assoluta eccellenza a livello mondiale. Iniziative generosamente
finanziate, eccellenti palestre per i giovani ricercatori, che ponendo di
fronte ad essi una asticella molto alta, stimolarono anche le altre
discipline scientifiche a portarsi su livelli di eccellenza.
Pur se è vero che nel nostro paese le risorse allocate alla ricerca
fondamentale sono state e sono scarse, questa critica vale però solo in
termini quantitativi; in termini qualitativi, la ricerca fondamentale ha svolto
egregiamente il suo ruolo. Perché attrezzarsi per tradurre in iniziative
produttive le opportunità offerte dalla ricerca, è un compito che
dovrebbe essere assolto dalle imprese, e non tanto dalla università
e dai laboratori di ricerca.
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La fuga dei cervelli
Va ricordato che il sistema più efficace
di trasferimento tecnologico è lo
scambio e la mobilità dei ricercatori
che, purtroppo, diviene “fuga dei
cervelli” nel nostro paese, che non dà
occupazione a nuovi ricercatori e non
riassorbe quelli che si trasferiscono
all’estero per poter lavorare, portando
via con sé anche le ingenti risorse
pubbliche che sono state investite per
formarli, in lunghi anni di studio e alta
formazione.
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Città della Scienza
Tutto ciò porta alla necessità di
costruire nuovi sistemi di relazione fra
la ricerca e la società. Da un lato è di
grande importanza dunque il ruolo di
quei soggetti di collegamento che a
vari livelli – comunicazione e
diffusione della cultura scientifica,
trasferimento tecnologico, ecc. – si
occupano di colmare lo scarto tra
scienza e società, in senso ampio,
come Città della Scienza.
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HIT 2020
Dall’altro lato non è un caso che il nuovo programma nazionale
italiano per la ricerca, HIT 2020, conferisca una particolare
enfasi sulla necessità di valorizzare il ruolo del ricercatore e di
migliorare la comunicazione delle ricadute sociali della ricerca.
HIT 2020 fa proprie, assumendole come habitus caratterizzante,
tre dinamiche centrali:
 avvicinare cittadini, imprese e altri stakeholders,
rafforzando la fiducia pubblica nella ricerca;
 dare rendicontabilità sociale agli investimenti in ricerca
 ambire ad una maggiore apertura di processi ed
organizzazioni della ricerca per innovarne i confini e gli
ambiti di applicazione.
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Tutto ciò, ovviamente, non può che avvenire in una dimensione europea,
come testimonia questa giornata in cui avremo modo di incontrare esempi
concreti di ricerca eccellente, frutto del lavoro – è bene non dimenticarlo –
delle nostre scuole e delle nostre università e cioè del patrimonio più
grande del nostro paese.
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