Il convenzionalismo di Goodman
La verità è che un quadro, per rappresentare
un oggetto, deve essere un simbolo di esso,
stare per esso, riferirsi ad esso […]. Un quadro
che rappresenta – come un passo che descrive
— un oggetto si riferisce ad esso e, più
precisamente, lo denota. La denotazione è il
nocciolo della rappresentazione (I linguaggi
dell’arte, (1968), trad. it., a cura di F. Brioschi,
Il saggiatore, Milano 1976, p. 13).
La relazione di raffigurazione è, in
primo luogo, una relazione denotativa.
• La regola che correla i simboli con i denotata
può anche non assegnare alcun denotatum
effettivo ad alcun simbolo, di modo che il
campo di riferimento sia nullo; ma gli elementi
diventano
rappresentazioni
solo
in
congiunzione con una qualche correlazione di
questo tipo, effettiva o teorica
Non tutte le immagini, tuttavia, stanno per un oggetto reale: si debbono dunque
distinguere due differenti nozioni di raffigurazione.
Quando dico che una figura rappresenta una talcosa, resta perciò profondamente
ambiguo se sto dicendo che cosa la figura denoti oppure chetipo di figura sia. Si può
evitare in qualche misura tale confusione se nel secondo caso noi parleremo piuttosto
di una «figura-che-rappresenta- Pickwick» o di una «figura-che-rappresenta-ununicorno» o di una «figuradi-uomo»; o ancora, per brevità, di una «figura-di-Pickwick»,
o «figura-di-unicorno» o «figura-di-uomo». Ovviamente una figura non può,
escludendo ogni gioco di parole, rappresentare Pickwick e non rappresentare nulla. Ma
una figura può essere di un certo genere — una figura-di-Pickwick o una figura-diuomo — senza rappresentare alcunché (ivi, p. 27).
Rappresentare qualcosa, rappresentazioni-di-qualcosa e rappresentazioni di qualcosa
come-qualcosa
“Una figura che rappresenta un uomo lo denota; una figura che
rappresenta un uomo immaginario è una figura-di-uomo; e una
figura che rappresenta un uomo come un uomo è una figura-diuomo che lo denota” (p. 31).
Posso rappresentare Socrate avvalendomi di una figura-di-filosofo e in questo caso lo
raffiguro così – come un filosofo. Ma posso raffigurarlo diversamente: ogni immagine
può raffigurare ciò che vuole come vuole
il senso denotativo e il senso descrittivo che si legano
ambiguamente nel concetto di raffigurazione sono
reciprocamente indipendenti
• la denotazione di una figura non determina il suo genere più di quanto
il genere di figura determini la denotazione. Non ogni figura-di-uomo
rappresenta un uomo; inversamente, non ogni figura che rappresenta
un uomo sarà unafigura-di-uomo (ivi, pp. 30-31)
• Il referente di un’immagine non può essere ricondotto al come del suo
raffigurare; la tesi secondo la quale ogni rappresentazione può
raffigurare ogni oggetto ci appare in una luce più determinata: in
questa affermazione così apertamente paradossale si esprime di fatto
la richiesta di separare ciò di cui l’immagine ci parla dalla
determinatezza sensibile dell’immagine stessa, dalla pretesa di
ancorare la meta della rappresentazione al suo aspetto intuitivo. La
critica alla fondazione del nesso raffigurativo sul concetto di
somiglianza ci si mostra così sotto una nuova luce.
Un’immagine si dà solo all’interno di un determinato sistema simbolico e di una prassi
che renda esplicite le regole che determinano l’uso dei segni
E questo è vero sia per la dimensione descrittiva, sia per la dimensione denotativa, sia
per la dimensione descrittiva
“quasi ogni quadro può rappresentare quasi ogni
cosa; vale a dire, dati un quadro e un oggetto
esiste di regola un sistema di rappresentazione e
un piano di correlazione, secondo il quale il
quadro rappresenta l’oggetto” (p. 40).
“l’assolutista all’erta argomenterà che per il secondo quadro
avremo bisogno di una chiave, ma non per il primo. La differenza
sta piuttosto nel fatto che per il primo la chiave è a portata di
mano. Per una lettura appropriata del secondo quadro dobbiamo
scoprire le regole di interpretazione e applicarle
deliberatamente. La lettura del primo è assicurata da abitudini
virtualmente automatiche; la pratica ha reso i simboli così
trasparenti che non siamo consapevoli di alcuno sforzo, di alcuna
alternativa, o addirittura di alcuna interpretazione da parte
nostra. Precisamente qui, a mio avviso, è dato di trovare la pietra
di paragone del realismo: non nella quantità di informazione, ma
nella facilità con cui è trasmessa. E ciò dipende da quanto
stereotipato è il modo di rappresentazione, da quanto banali
sono divenute le etichette e i loro usi” (ivi, p. 39).
“Il realismo è relativo, determinato dal sistema di rappresentazione
corrente in una data cultura o persona, in un dato tempo. I sistemi
nuovi, arcaici o stranieri sono considerati artificiali o maldestri. Per
un egiziano della quinta dinastia, il modo più chiaro per
rappresentare qualcosa non è il medesimo che vale per un
giapponese del XVIII secolo; e nessuno dei due è quello che vale per
un inglese del Novecento. Ognuno di costoro dovrebbe in qualche
misura imparare a leggere un quadro dipinto in uno degli altri due
stili. Questa relatività è offuscata dalla nostra tendenza a non
specificare un sistema di riferimento quando è il nostro. Così
«realismo» finisce spesso per essere usato come il nome di uno
stile o sistema di rappresentazione particolare” (ivi, p. 39).
si sarebbe tentati di usare a proposito di un sistema di
raffigurazione, il termine «linguaggio»; ma qui mi arresto.
Il problema di che cosa distingua i sistemi rappresentativi
dai sistemi linguistici esige un attento esame. Si potrebbe
supporre che valga anche qui la pena di far ricorso al
criterio del realismo; che i simboli si dispongano su una
scala, dalle raffigurazioni più realistiche a quelle sempre
meno realistiche, alle descrizioni. Sicuramente non è così;
la misura del realismo è l’assuefazione, ma le descrizioni
non diventano raffigurazioni attraverso l’assuefazione. I
nomi più ricorrenti della lingua italiana non sono
diventati quadri (ivi, p. 43)
Una storia inquietante o strappalacrime?
As a child, van Meegeren developed an
enthusiasm for the marvelous colours used by
painters of the Dutch Golden Age, and later set
out to become an artist himself. When art critics
decried his work as tired and derivative, van
Meegeren felt that they had destroyed his
career. Thereupon, he decided to prove his
talent to the critics by forging paintings of some
of the world's most famous artists,
includingFrans Hals, Pieter de Hooch, Gerard ter
Borch and Johannes Vermeer. He so well
replicated the styles and colours of the artists
that the best art critics and experts of the time
regarded his paintings as genuine and
sometimes exquisite. His most successful forgery
was Supper at Emmaus, created in 1937 while
living in the south of France. This painting was
hailed by some of the world’s foremost art
experts as the finest Vermeer they had ever
seen.
Vi sono dunque arti autografiche ed arti allografiche:
“Diremo che un’opera d’arte è autografica se
e solo se la distinzione tra falso ed originale è
significativa; meglio, se e solo se anche la più
esatta duplicazione non conta per questo
come genuina. Se un’opera d’arte è
autografica, potremo chiamare autografica
anche quell’arte. Così la pittura è autografica,
la musica non autografica o allografica “(ivi, p.
102).
un brano musicale e un testo letterario hanno uno spartito, un quadro ne è invece privo:
“il fatto che un’opera letteraria sia composta in una notazione definita, che
consiste di certi segni o caratteri che debbono essere combinati in successione,
fornisce in effetti il mezzo per distinguere le proprietà costitutive dell’opera da
tutte le proprietà contingenti — cioè a dire, per fissare i tratti necessari e, per
ciascuno di essi, i limiti di variazione ammissibile. Semplicemente accertando se la
copia che abbiamo davanti è compitata correttamente possiamo accertare se
essa rispetta tutti i requisiti dell’opera in questione. Nella pittura, al contrario,
dove manca un alfabeto analogo di caratteri, nessuna delle proprietà pittoriche —
nessuna delle proprietà che il quadro possiede in quanto tale — è distinta dalle
altre come costitutiva; nessun tratto può essere trascurato come contingente,
nessuna deviazione come insignificante. L’unico modo per accertare se la Lucrezia
che abbiamo davanti è autentica consiste pertanto nello stabilire il fatto storico
che si tratta dell’oggetto materialmente prodotto da Rembrandt” (ivi, pp. 104105).
La natura dei sistemi notazionali:
Riflessioni su uno spartito
La funzione di uno spartito: identificare un’opera. Ma vale anche la reciproca:
“non solo uno spartito deve determinare univocamente la
classe di esecuzioni appartenenti all’opera, ma lo spartito (in
quanto classe delle copie o iscrizioni che definiscono l’opera
in tal modo) deve essere determinato univocamente, una
volta data un’esecuzione o un sistema notazionale” (p. 115).
È una tesi molto impegnativa che avanza una serie di presupposti al sistema dei
segni – che pone un insieme di condizioni che debbono essere soddisfatte da un
sistema di segni per essere un sistema notazionale
Il primo requisito: l’indifferenza di carattere. Tutte le iscrizioni di un carattere dato sono
equivalenti sintatticamente.
L’indifferenza di carattere è una relazione di equivalenza. È riflessiva, simmetrica, e
transitiva.
“un carattere di una notazione è la classe più comprensiva di iscrizioni indifferenti di
carattere , cioè una classe di segni che sono indifferenti a coppie, tale che nessun segno al di
fuori della classe sia indifferente di carattere con alcuno dei suoi membri” (p. 117).
Una conseguenza importante: ogni segno appartiene ad un e un solo carattere. I caratteri
sono dunque disgiunti perché nessuna iscrizione può appartenere a due caratteri
Il secondo requisito: perché uno schema sia notazionale devono essere finitamente
differenziati.
Per ogni due caratteri K e K’ e ogni segno s che non appartenga di fatto ad entrambi, è
teoricamente possibile stabilire che s non appartiene a K o che s non appartiene a K’
(p. 120).
Le cose non stanno sempre così. Un orologio
analogico è sintatticamente denso: per ogni due
caratteri ne esiste sempre uno intermedio. Ma questo
ci impedisce di dire che – dato un segno – possiamo
sempre dire che appartiene ad uno ed un solo
carattere.
tre requisiti semantici
Il primo: un segno tracciato in una certa posizione sul pentagramma deve
necessariamente stare sempre per la stessa nota. In altri termini: un carattere non
deve essere ambiguo e deve essere legato a ciò che denota da una relazione stabile
tale che, dato un segno, vi sia uno ed un solo denotato che gli corrisponde.
Il secondo: due segni sul pentagramma non possono avere in comune un oggetto
denotato, perché ciò cancellerebbe la possibilità di risalire dal terreno oggettuale al
piano linguistico in modo univoco.
Il terzo: anche la sfera semantica deve essere finitamente articolata.
Possiamo comprendere le ragioni del carattere allografico della musica e
autografico della pittura. La musica è allografica perché possiamo scrivere lo
spartito di una sonata, e possiamo farlo perché di fatto vi è da tempo una
prassi consolidata che ci consente di effettuare una segmentazione del
continuum sonoro così da poterlo piegare alle esigenze di uno schema
notazionale.
Questo non vale invece per la pittura perché non vi è una prassi consolidata
che ci consenta di ricondurre secondo una regola condivisa la continuità delle
forme e dei colori di una raffigurazione ad un sistema di segni disgiunti. E non
è un caso che non vi sia: le raffigurazioni sono oggetti materiali che durano
nel tempo e non è necessario fissare la loro identità sul piano linguistico.
Uno spartito non rappresenta un brano musicale ma lo definisce e lo descrive,
perché i sui simboli sono finitamente differenziati; al contrario, un quadro o un
termometro non graduato non descrivono un paesaggio o la temperatura, ma la
raffigurano (rappresentano) perché ogni posizione del tratto sulla tela o del
mercurio nella colonnina è un valore in una scala continua che non permette
un’ulteriore articolazione e una scansione finita.
La mancanza di differenziazione sintattica diviene così la caratteristica distintiva di
quei sistemi simbolici che ci consentono di raffigurare, ma non di descrivere.
Se confrontiamo un elettrocardiogramma momentaneo con un disegno del monte
Fujiyama di Hokusai. Le linee nere segmentate su sfondo bianco possono essere
esattamente le stesse in entrambi i casi. Tuttavia, uno è un diagramma, l’altro è una
figura. Che cosa produce la differenza? Ovviamente qualche tratto dei due diversi
schemi secondo i quali i due segni funzionano come simboli. Ma, essendo entrambi gli
schemi densi quale tratto? La risposta non sta in ciò che è simbolizzato; le montagne
possono essere diagrammate e i battiti cardiaci disegnati. La differenza è sintattica: gli
aspetti costitutivi del carattere diagrammatico, a paragone del carattere pittorico, sono
espressamente e fortemente ristretti. I soli tratti rilevanti del diagramma sono l’ordinata
e l’ascissa di ciascuno dei punti attraversati dal centro della linea. La sottigliezza della
linea, il suo colore, la sua intensità, la dimensione assoluta del diagramma, ecc., non
contano; che un supposto duplicato del simbolo appartenga o no allo stesso carattere
dello schema diagrammatico non dipende affatto da tali tratti. Quanto invece allo
schizzo, il discorso è diverso. Qualsiasi assottigliamento o ispessimento della linea, il suo
colore, il suo contrasto con lo sfondo, la sua dimensione, persino le qualità della carta
— nessuno di questi tratti può essere trascurato o ignorato. Per quanto i due schemi,
pittorico o diagrammatico, siano simili per il fatto di non essere articolati, alcuni tratti,
che sono costitutivi nello schema pittorico, sono tralasciati come contingenti nello
schema diagrammatico; i simboli nello schema pittorico sono relativamente saturi (ivi,
pp. 198-199).
Esiste così da un lato una differenza netta, almeno dal
punto di vista teorico, tra uno schema articolato (una
descrizione)
e
uno
schema
denso
(una
rappresentazione), mentre esiste una distinzione di
grado tra il rappresentazionale diagrammatico e il
rappresentazionale figurativo, poiché la proprietà
dell’essere saturi è una proprietà che ha gradi.
Scarica

corso 12 2 6 - Benvenuto al Dipartimento di Filosofia