Didattica e carceri [2]
da Benelli C., 2008, Promuovere la formazione in carcere, edizioni del Cerro
«una vita umana, non è una vita fino a
quando non è esaminata; […] fino a
quando non è veramente ricordata e
assimilata; e […] questo ricordo non è
qualcosa di passivo, ma attivo, la
costruzione attiva e creativa della vita di
un individuo, la scoperta e la narrazione
della vera vita di un individuo»
[O. Sacks, Prefazione a Un
mondo perduto e ritrovato di A.R. Lurija, Editori Riuniti, Roma, 1991]
per migrare
scrittura
anche sul corpo e
sui muri
l’esplorazione del mondo
interiore;
per non essere dimenticati
relazione
educativa
scrittura autobiografica,
autori del proprio
racconto;
rimarginare se stessi
laboratorio
autobiografico
democratizzazione; per
farsi ascoltare
come strumento di autoriflessione
dimensione sociale
snodi fondamentali
autobiografia come mappa;
molteplicità
un esempio
parlare e scrivere
la scrittura per sopravvivere
spazio da vivere;
non oppositivo
la scrittura come catarsi
finalità del percorso
per sostare e ripartire
• Tra i bisogni fondamentali dell’uomo vi è la
relazione e la competenza prima per un
educatore è la relazione; essa si basa su:
contatto, ascolto, attenzione;
• la relazione educativa si sviluppa su queste tre
linee che continuamente si intersecano;
• la rel educ. rappresenta la base sulla quale
sviluppare qualunque percorso teso al
recupero.
• La sua efficacia sta nella lettura e nella comprensione della
risonanza tra due mondi che si influenzano;
• comprendere l’altro significa entrare nel suo mondo interiore;
• ma comprendere l’altro significa intervenire sul proprio mondo
per essere in grado di comprendere emozioni, esperienze, stati
affettivi affini;
• è necessario che ci si renda disponibile ad una analisi interiore
autocritica che possa permettere di riconoscere gli stati
dell’altro e rifuggire da analisi che dipendano da propri stati,
da visioni egocentriche del mondo;
• l’educatore deve essere in grado di fare ciò.
• “È pertanto attraverso la costruzione di
una relazione educativa che sappia
sempre tener conto della soggettività
dell’altro, con tutte le sue implicazioni,
che possiamo, anche in carcere, realizzare
precorsi di formazione e autoformazione
(attraverso pratiche narrative e
autobiografiche).”
pag. 166
La scrittura
• “La scrittura è uno dei pochi strumenti che il
detenuto ha a disposizione per migrare, per andare
verso terre migliori, per respirare odori buoni,
profumi familiari, legati a ricordi piacevoli della
propria esistenza.”
• Tutti i detenuti scrivono:
– producono scritture autobiografiche a carattere
• personale,
• intimistico come poesie e diari,
– scrivono per comunicare con i propri cari,
– scritture a carattere burocratico.
si scrive anche sui muri e sui propri corpi
• Scrivono su carta, ma anche:
– sui propri corpi: sono segnati momenti apicali di vita
resi visibili attraverso l’incisione sulla pelle di
tatuaggi; sono anche segni di autolesionismo;
– sui muri: le pareti parlano, raccontano di sofferenze di
chi ha vissuto quegli spazi. «Si sottovaluta spesso il
valore aggressivo del gesto di scrittura: si bada ai suoi
contenuti, più che all’azione fisica intrapresa, quando
il muro-carta diventa la propria storia, che si vorrebbe
riscrivere prima aggredendola, come a poterla mutare
[…]» [Demetrio D., Crepe sul muro. Primapersona. Carceri e carcerati]
si scrive per esplorare il proprio mondo interiore
Esplorazione del mondo interiore
• Sembra proprio che la detenzione spinga a scrivere.
Probabilmente la spinta è l’esplorazione del mondo
interiore e avviene per il fatto che i detenuti si trovano
costretti da una pausa forzata dal mondo esterno;
• la comunicazione con l’esterno avviene
prevalentemente attraverso la scrittura epistolare; una
scrittura nomade che viaggia oltre le mura abitando
spazi di libertà desiderate, ma dirigendosi verso un
paesaggio interiore;
• partendo da ‘queste esigenze’, si cerca di impostare
trattamenti che usino la scrittura per fini educativiterapeutici.
pag. 168
si scrive per farsi leggere, per esistere …...
inoltre
• succede a tutti noi di pensare che ciò che si scrive si
vorrebbe fosse letto da qualcuno;
• probabilmente per l’angoscia di essere dimenticato, di
non lasciare traccia nel mondo;
• in particolare questa evidenza viene rintracciata negli
scritti dei detenuti: il soggetto assicura, attraverso lo
scritto, la sua presenza al mondo e a se stesso (annota
se stesso attraverso le proprie percezioni, le emozioni, i
gesti che compie, e il quadro spazio-temporale in cui si
trova).
scrittura autobiografica, riconoscimento propria soggettività …...
scrittura autobiografica
• Questa si offre come uno degli scenari più interessanti
della ricerca e della prassi educativa (anche in carcere).
• Dietro ogni scrittura autobiografica c’è un soggetto con
nome proprio, che diventa l’autore, il narratore, il
personaggio;
• L’individuo narra se stesso e così facendo si riconosce
nelle sue competenze e capacità e può così valorizzarsi.
• Ciò rende possibile attribuire un senso alla propria
vicenda umana e professionale, senso dal quale ripartire
per una rinnovata progettazione di sé.
scrivere di sé, democratizzazione …...
Il detenuto sulla scena del proprio racconto
• Il narratore di sé diviene protagonista della sua
storia; il racconto diviene la scena sulla quale
recita, della quale è regista e protagonista;
• è importante riappropriarsi di sé in uno spazio che
tende a togliere e spersonalizzare dove il detenuto
vive in una istituzione totale che tende ad
annullarlo partendo dallo spazio fisico, fino ad
arrivare a quello psicologico, esistenziale;
• il detenuto, sulla scena del proprio racconto,
riprende contatto con se stesso e così con il
mondo.
con il racconto il detenuto rimargina se stesso…...
rimargina se stessi
• con il racconto (orale o scritto) il detenuto
rimargina se stesso, colma gli squarci che ha
dentro di sé;
• acquisisce un metodo per dare un pieno al vuoto,
stratifica la propria esperienza in modi dinamici;
• questa costruzione di senso non è data una volta
per tutte, ma è un divenire, è un processo che
scorge continuamente nuovi scorci della propria
vita;
• il sé diventa un ‘lavori in corso’; così è la vita.
autobiografia come mappa…...
Democratizzazione della scrittura
• Lo scrivere di sé rappresenta il rimettere al
centro la propria soggettività;
• permette l’avvio di una democratizzazione
della scrittura di sé (dal basso);
– la storia del detenuto è sempre raccontata
attraverso le parole dello psicologo, dell’educatore,
dell’avvocato, ..; invece
– con una scrittura autobiografica, il detenuto
reclama e si riappropria della propria presenza nel
mondo.
per farsi ascoltare…...
per farsi ascoltare
• “Molti detenuti, nella loro vita, non hanno avuto un reale
diritto di parola, non hanno mai potuto esprimere
veramente se stessi, i propri stati d’animo, le proprie
rabbie, le proprie emozioni e riflessioni. Avere qualcuno
che ascolta, con rispetto e senza giudizio, può diventare
quella boccata d’aria che fa respirare profumo di nuovo,
innesca fiducia e apre pertanto spazi di educabilità e per
una relazione educativa. Dare voce a chi, per vari motivi,
non ha normalmente titolo di esprimersi, schiude inedite
occasioni a soggetti destinati al silenzio: è un contributo
alla loro vita e al mondo, che si arricchisce così di nuove
parole.”
mappa…...
autobiografia come mappa
• l’autobiografia come mappa per ritrovarsi;
• è una costruzione per raffinamenti o per aggiunte successive di nodi;
• nasce schematica poi, rianalizzando noi stessi, particolareggiamo quelli già
esistenti o troviamo altri nodi;
• la costruzione è mai definitiva;
• la nostra esperienza in una mappa ci rende più tranquilli (anche se mai è
definitiva);
• il lavoro su noi stessi, nel e per raccontarci, ci fa creare nuovi nodi, ci fa
risistemare la mappa ma può farcela percorrere in modi diversi:
l’orientamento non è mai definitivo;
• in definitiva
– “Il detenuto, ripercorrendo le tappe della propria esistenza, racconta il senso
assegnato agli eventi passati o presenti tracciando un disegno nel quale il
significato può diventare visibile”
– comunque, non è definitivamente visibile allo stesso modo.
• Nella recita del proprio raccontarsi il narratore
assume diversi ruoli in diverse scene; ciascuna ha
una propria trama e rivela un proprio mondo;
• questa molteplicità vive in ciascuno e il riconoscere
che esiste e riconoscere che possono o non possono
esistere delle connessioni fra le diverse
rappresentazioni, significa assumere la capacità di
dare senso;
• “non si tratta di perseguire il mito dell’integrazione
e della coerenza, bensì di accettare ed accogliere la
molteplicità del tessuto identitario”.
“l’autobiografia diviene una mappa per ritrovarsi: in
essa scopriamo una rappresentazione grafica iniziale
ma poi, rivisitandola, rintracciamo nuove strade, nuove
vie, così che l’orientamento non è statico ma flessibile e
dinamico. I racconti che si intrecciano nel formare una
vita hanno il potere di far sentire più al sicuro, per non
sentirsi sperduti; così una mappa orientatrice diviene
strumento necessario in un luogo dove è fin troppo
facile perdere le proprie coordinate, non solo spaziotemporali. Il detenuto, ripercorrendo le tappe della
propria esistenza, racconta il senso assegnato agli
eventi passati o presenti tracciando un disegno nel
quale il significato può diventare visibile.”
la scrittura per sopravvivevere…...
la scrittura fa sopravvivere
• “la scrittura di sé, in particolare all’interno del
carcere, acquista un valore di sopravvivenza:
possiamo dire che essa manifesta, attraverso il
rivivere, la voglia di vivere ancora”;
• l’autobiografia tiene insieme la personalità del
soggetto in un luogo che tende a frantumarla, a
destrutturarla, a ‘svuotarla’ in una vita quotidiana
priva di agganci con la vita, vuota di significati;
questo vuoto si impossessa della persona, si
distribuisce nell’arco della vita vissuta.
• ciascuno può divenire tutor di se stesso
attraverso una operazione che, piano piano, fa
emergere la parte costruita in precedenza (si
ricostruisce) e permette di aggiungerci del
nuovo e, dando valore alle attuali esperienze, e
dando una forma alla prospettiva di fine pena.
• “lo spazio chiuso del carcere può farsi, se ben
utilizzato, un momento in cui scoprire e aprire
stati d’animo ed emozioni sepolte da tempo”.
la scrittura come catarsi
• “l’autobiografia [diviene strumento per
prendersi cura di se stessi] distogliendo
l’attenzione dall’urgenza dei problemi
quotidiani1[…]; permette quasi una catarsi, una
riparazione, oltre a offrire uno sguardo più
consapevole sulla realtà”.
1. In carcere il problema quotidiano è spesso ‘l’assenza di problemi quotidiani’
• “Grazie alla presa di coscienza
della propria vita, dei propri pregi
e limiti, lo scrittore autobiografico
è stimolato a intraprendere un
cammino di crescita, a partire
dalla propria storia”.
Sostare e ripartire
• Lo stop della vita normale, cioè il periodo di carcerazione,
può essere utilizzato per ricostruire una propria identità e
vedere un fine pena migliore, forse anche programmare un
(dopo) fine pena;
• Il vuoto quotidiano, l’inquietudine, il senso di fallimento, in
definitiva il disagio può rappresentare lo stimolo per una
rifondazione;
• “il disagio non è oggettivo, è prima di tutto un vissuto
soggettivo per cui l’unica cura possibile è la cura di sé,
intesa come ascolto del dolore, dell’angoscia, di bisogni e di
desideri, diventando di conseguenza momenti di
comprensione attiva, riflessione, bilancio,
responsabilizzazione e bilancio di vita.”
Sostare e ripartire
• Il sostare in carcere, vissuto insieme ad una
pratica autobiografica che parte dal e riflette
sul proprio disagio, diventa un sostare
pensando; è una pausa (forzata) nella quale
l’individuo, nel suo gruppo (compagni,
educatore, ..), recupera se stesso e (forse)
anche il gusto per la vita e con la
consapevolezza di se stesso può vedere un
dopo (fuori) con maggiore speranza.
Laboratorio autobiografico
• Laboratorio di narrazione e
scrittura autobiografica
come strumento di
autoriflessione nei contesti
di detenzione;
*. 15, 20 persone
• L’operazione di dare senso (dinamica,
diversa in base a quali attraversamenti e
riattraversamenti si realizzano) ai nodi della
propria esistenza è una operazione che
permette di proiettarsi (attraverso la nuova
dimensione, di se stessi, acquisita) verso
una nuova vita nella quale vedere in modo
diverso i fatti, le persone, le situazioni, …
«una vita umana, non è una vita fino a
quando non è esaminata; […] fino a
quando non è veramente ricordata e
assimilata; e […] questo ricordo non è
qualcosa di passivo, ma attivo, la
costruzione attiva e creativa della vita di
un individuo, la scoperta e la narrazione
della vera vita di un individuo» »
[O. Sacks, Prefazione a
Un mondo perduto e ritrovato di A.R. Lurija, Editori Riuniti, Roma, 1991]
Dimensione sociale ….
• In un laboratorio autobiografico il racconto
si esplicita in oralità e scrittura e incontra
– la dimensione sociale: costruire insieme
qualcosa in un gruppo di partecipanti in
modo che il lavoro possa essere
condiviso, scambiato e i ricordi e le
rievocazioni di uno possano servire da
stimolo per altri.
• Il lavoro nel gruppo tende a far emergere:
– parti di sé dimenticate,
– memorie belle e meno belle,
• che permettono un rispecchiarsi l’un l’altro, un
conoscere se stessi e gli altri in modo diverso e
quindi
• una rete di relazioni diversa fra sé e gli altri;
inoltre
• nel laboratorio non esiste (non deve
esistere) un atteggiamento giudicante e
quindi
• ciascuno può raccontare liberamente le
proprie esperienze e
• riconoscersi in quelle di altri rassicura e
rafforza coloro che hanno paura dei propri
sentimenti;
Parlare e scrivere
• Il parlare, sapendo che si è ascoltati e non
giudicati, rende liberi di pensare, di produrre idee,
rielaborarle, riprenderle e collegarle in modi
diversi alle altre;
– si compone uno spesso tessuto dentro il quale si naviga
piacevolmente e
– si accresce la stima di sé;
• tuttavia il solo parlare rischia di disperdere la
bellezza, l’originalità, la fertilità, la profondità
delle idee e pensieri se non li si ferma con la
scrittura.
• È la scrittura che impone riflessione dettata dal dover
scrivere, lo scrivere di per sé è una operazione lenta
rispetto al parlare; oltre al dover vergare le parole
esiste il tempo di riflessione per la costruzione della
frase; mentre si scrive si è proiettati verso il mondo
della frase dentro al mondo del paragrafo, dentro al
mondo del capitolo;
• c’è lo sforzo interiore di trasformare il nostro
pensiero in una serie di parole che esprimano il nostro
senso.
• Nel contesto di un laboratorio, il dover
comunicare con altri impone una
accuratezza maggiore, una riflessione più
riflessiva, ….;
• nel parlare, il senso di una frase può
sfuggire; spesso si può essere anche vaghi
quando si è in difficoltà, a volte non si
riesce a spiegare bene; il parlare ha degli
standard, della scappatoie.
• Lo scrivere significa riversare il vero pensiero
su carta; lo scrivere è un nostro timbro, lo
scrivere ci differenzia, lo scrivere fa capire chi
siamo ‘in modo indelebile’; non esiste il
‘volevo dire’;
• il parlato si dimentica, lo scritto resta;
• il parlare ci rende più anonimi, lo scrivere ci
differenzia.
Spazio da vivere …..
Spazio da vivere
• Il laboratorio è una spazio da vivere, non è uno
spazio costretto;
• è uno spazio:
– allestito con opportuni dispositivi per facilitare il
raccontare , lo scrivere, le relazioni;
– nel quale produrre, nel quale si lasciano segni del
passaggio;
• il soggetto ha libertà di azione, di movimento.
• se spesso “in carcere le modalità di relazione
sono di tipo oppositivo (far guerra a tutto e a
tutti) oppure impermeabile (farsi scivolare le
cose di dosso), nello spazio autobiografico la
relazione acquista significato e diventa cura;
una sorta di terza via e nuova modalità di
sopravvivere e vivere il carcere, una strada che
non richiede né l’essere agguerriti né mostrarsi
impermeabili, ma presenti, più autentici e
comunicativi”.
Finalità del percorso
• È quella di ricostruire la propria vita passata
attraverso nuovi riattraversamenti, nuovi
sguardi, per dare un senso e/o un senso nuovo,
attraverso:
– creazione di uno spazio di riflessione,
– rafforzamento dell’identità e dell’autostima,
– cura di sé,
– cura dell’intelligenza e delle capacità di pensare,
– riprogettarsi oltre le sbarre.
In definitiva
• Il laboratorio autobiografico
rappresenta un momento
formativo/trasformativo che,
partendo dalla considerazione che il
detenuto non è il reato, lo identifica
come persona in cammino verso una
nuova prospettiva di fine pena.
Snodi fondamentali[1]
Alcuni snodi fondamentali:
1. l’inizio: tempo utilizzato per creare un clima di fiducia, la percezione di
uno spazio di benessere, una relazione positiva con se stessi, con gli altri
del gruppo e con chi conduce;
2. il riconoscimento della persona: il detenuto non è il reato, non è il
deviante, il tossicodipendente, il …, ma una persona con la sua storia;
3. il rispetto e l’attenzione: essenziali nei confronti della storia di vita dei
soggetti; occorre stabilire fin da subito un patto formativo centrato sul
non giudizio, sul rispetto, sulla cura dei racconti e delle scritture; inoltre il
detenuto deve sentirsi riconosciuto: quindi sono importanti l’ascolto e
l’attenzione; l’educatore deve fidelizzare il detenuto, deve fargli capire
che lo ha ascoltato evidenziando, durante momenti di discussione, passi
della sua storia; il detenuto deve capire che è stato pensato, che quello che
ha raccontato è stato preso in considerazione;
Benelli C., Promuovere formazione in carcere
Snodi fondamentali[2]
4.
5.
6.
Il ritmo: non fornire troppi momenti di analisi autobiografici; nei
momenti del racconto, occorre cogliere degli input in numero
adeguato, in modo tale che il detenuto possa tornarci a riflettere e
a scrivere; il ritmo deve essere lento; non occorre inseguire un
programma;
la progettualità: dopo il fine pena? È importante razionalizzare il
dopo, ancorarlo al passato, alla vita vissuta, alle fondamenta
private e sociali dell’individuo per evitare improprie collocazioni;
partire dagli spazi di benessere: il carcere e anche la vita usata per
annientarsi appiattiscono nel nulla della vita quotidiana anche
pezzi e spazi di vita piacevole del passato. Sono segmenti legati a
luoghi idilliaci dell’infanzia (monti, campagna, mare) o ad affetti:
genitori, nonni. Occorre ripartire da lì per poter impostare un
percorso autobiografico; il detenuto deve riconoscersi in quello
che era prima della deviazione, deve rintracciare i momenti nei
quali si è sentito persona e da lì ripartire;
Snodi fondamentali[]
• E dopo? una volta terminato il percorso
autobiografico, a volte, si presenta l’esigenza
di continuare il percorso; alcuni detenuti
chiedono di approfondire: seguitare a lavorare
su di sé con la scrittura autobiografica; si può
attivare un percorso individuale di colloquio
epistolare per approfondire tematiche emerse
durante il laboratorio.
Esperienza
Titolo: puzzle di vita. La costruzione di sé tra passato, presente, futuro
Luogo: istituto penitenziario …..
operatori
interni
esterni
…………….
………
Tempi: 15 incontri di 2 ore ciascuno, nell’anno … a partire da ….., incontri settimanali
Per quale motivo:
Trasformare il periodo di stasi in carcere in opportunità per ripercorrere la propria storia; ri-pensandosi,
ri-scoprendosi, per riprogettarsi.
Offrire uno spazio di riflessione sul periodo della carcerazione per capire il senso che ha avuto per il
soggetto e per individuare cambiamenti, prospettive e possibilità future.
Il laboratorio è anche occasione di conoscenza reciproca, scambio, confronto e condivisione con gli altri
sui vissuti individuali
Metodi e strumenti
Metodi:
Narrazione orale e scritta integrata con altre proposte espressive (acquarelli, collage, pittura, musica).
Strumenti: diari, memorie e scritture private, poesie di grandi autori per sollecitare ricordi e narrazione;
storie e testimonianze scritte di detenuti.
È prevista la realizzazione di un documento finale come ‘restituzione’ del laboratorio.
da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato
esperienza
Fase I°
I° incontro
II° incontro
III° incontro
IV° incontro
V° incontro
Conoscenza
Distribuzione della
scheda di
presentazione del
laboratorio
(motivazioni,
finalità, obiettivi).
Esercitazione
autobiografica
di
presentazione.
Esercitazione
autobiografica
di
presentazione.
Riflessione
sulle dinamiche
di inclusione ed
esclusione in
carcere:
‹‹Come
sopravvivere in
carcere››.
Scrittura
rievocativa:
‹‹Mi ricordo
quella volta
…››.
Letture e
condivisione
delle scritture
sui diari
Letture e
condivisione
delle scritture
sui diari
Letture e
condivisione
delle scritture
sui diari
Dichiarazione
delle proprie
motivazioni.
Definizione del
patto formativo
Strumenti
Diario per scrivere riflessioni post laboratorio
da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato
esperienza
Fase II°
VI° incontro
VII° incontro
VIII° incontro
IX° incontro
Inizia
l’autobiografia
Laboratorio su
pensieri e parole; i
partecipanti produco
delle immagini di sé
(‹‹Io sono … …..
……››).
Rivisitazione
delle storie
raccontate.
Ricordi di storie
di famiglia; i
sensi e le
emozioni che
hanno
attraversato le
fasi della propria
vita.
Scrittura dei talenti
personali e degli eventi
familiari; percorsi di
costruzione personale
(‹‹ Come mi sono costruito
e cosa ho ereditato dalla
famiglia››).
Strumenti
Indirizzare
verso storie di
famiglia.
Diario per scrivere riflessioni post laboratorio;
Brani di canzoni, immagini, articoli di giornali; attrezzatura multimediale per realizzare
collage digitali
da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato
esperienza
Fase III°
X° incontro
XI° incontro
XII° incontro
Autobiografia
(ci si orienta
maggiormente
sulla scrittura)
Esercitazione
autobiografica sulla
storia di formazione;
cosa e chi ha
contribuito alla
propria crescita: i
maestri di vita.
Rivisitazione
delle storie di
formazione.
Esercitazione autobiografica sulle tappe e
svolte della propria vita.
Strumenti
Testi di testimonianze di detenuti e di gente comune
da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato
esperienza
Fase IV°
XIII° incontro
XIV° incontro
XV° incontro
Interviste
individuali e
riflessione
retrospettiva
del
Laboratorio.
Analisi di gruppo e
valutazione finale
per una rilevazione
dei guadagni del
percorso
autobiografico.
Interviste finali
di fine corso.
Costruzione della valutazione finale e
restituzione degli elaborati ai partecipanti.
Strumenti
Strumenti per costruire la relazione finale
da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato
Interviste ai detenuti
Interviste ai detenuti
Interviste ai detenuti
“A un certo punto, nelle Confessioni, Agostino si pone una domanda semplice e
cruciale: ‹‹Perché mi confesso a Dio, che sa tutto?›› In effetti, confessarsi a un
onnisciente è una attività un po’ bizzarra, eppure lui lo sta facendo da un bel po’.
Perché? Agostino ha una risposta potente e vera: si confessa per fare la verità non
solo nel suo cuore, ma anche con la penna, e di fronte a molti testimoni. Come se la
verità - nella fattispecie, della vita e dei sentimenti – non esistesse se non viene
esposta e scritta, messa in piazza […] . In effetti è proprio così: quante volte ci
chiariamo con noi stessi mettendo per iscritto il nostro stato d’animo, o almeno
parlandone con altri. […] le scritture proliferano […] e rivestono una funzione di
confessionale pubblico, spesso involontario e inconsapevole. […] gli scriventi
pensano semplicemente di comunicare e di stabilire un rapporto sociale più o meno
esteso; e invece si confessano – e sono confessioni parossistiche, se si considera che
sono dette cose estremamente private. […] La verità […] non esiste se non
registrata, espressa e trasmessa. Scrivendo la manifestiamo e costruiamo, e insieme
costruiamo noi stessi” [Ferraris M., 2011, Anima e iPad]
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educatori e carceri 2 - Tecnologie autonome nella didattica. Verso la