Il Predicatore
Grazioso
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VITA E OPERE
A Caleruega, villaggio montano della Vecchia Castiglia, Domenico nasce da Felice de Guzmàn
e da Giovanna de Aza intorno al 1170. Fanciullo, è affidato allo zio arciprete perché venga
iniziato alle verità della fede e ai primi elementi del sapere. A quindici anni passa a Palencia
per frequentare i corsi regolari (arti liberali e teologia) nelle celebri scuole di quella città. Ma,
terminati gli studi (1196-97), il generoso castigliano decide di assecondare la chiamata di Dio
al sacerdozio: entra nel capitolo canonicale di El Burgo de Osma dietro invito dello stesso
priore Diego de Acebes. Quando Diego, da poco eletto vescovo (1201), deve partire per una
delicata missione diplomatica in Danimarca, si sceglie Domenico come compagno di viaggio,
dal quale non si separerà più.
Il contatto vivo con le popolazioni della Francia meridionale in balìa degli eretici càtari,
l'entusiasmo delle cristianità nordiche per le grandi imprese missionarie verso l'Est,
costituiscono per Diego e per Domenico una rivelazione: anch'essi saranno missionari. Di
ritorno da un secondo viaggio in Danimarca, scendono a Roma (1206) e chiedono di potersi
dedicare all'evangelizzazione dei pagani. Innocenzo III orienta il loro zelo missionario verso
quella predicazione nell'Albigese da lui ardentemente e autorevolmente promossa fin dal
1203.
Domenico accetta la nuova consegna e rimarrà eroicamente sulla breccia anche quando si
dissolverà la legazione pontificia, e l'improvvisa morte di Diego (30 dicembre 1207) lo lascerà
di fronte a un avversario implacabile e schiacciante. Pubblici dibattiti, colloqui personali,
trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza: così fino al 1215
quando Folco, vescovo di Tolosa, lo nomina predicatore della sua diocesi.
• Intanto alcuni amici si stringono intorno a Domenico che viene
maturando un ardito piano: dare alla predicazione forma stabile
e organizzata. Insieme a Folco si reca quindi a Roma (1215) e
sottopone a Innocenzo III il progetto, che lo conferma.
• L'anno successivo, il 22 dicembre, Onorio III darà l'approvazione
ufficiale alla «sacra predicazione» di Tolosa.
• Nell'estate del 1217 il santo fondatore dissemina i suoi figli in
Europa, inviandoli soprattutto a Parigi e Bologna, i primi centri
universitari del tempo. Poi con un'attività meravigliosa prodiga
tutte le energie alla diffusione della sua opera.
• Nel 1220 e nel 1221 presiede in Bologna ai due capitoli generali
destinati a redigere la magna charta e precisare gli elementi
architettonici dell'Ordine: predicazione, studio, povertà
mendicante, vita comune, legislazione, distribuzione geografica,
spedizioni missionarie.
• Sfinito dal lavoro apostolico, il 6 agosto 1221 Domenico muore,
circondato dai suoi frati, nell'amatissimo convento di Bologna.
Gregorio XI, a lui tanto cordialmente legato, lo canonizzerà il 3
luglio 1234.
• Era di statura media,
di corporatura delicata, la faccia bella e un poco
rossa,
i capelli e la barba leggermente rossi, belli gli
occhi.
Dalla sua fronte, e fra le ciglia,
irraggiava un certo splendore,
che attirava tutti a venerarlo e ad amarlo.
Sempre giocondo,
se non mosso a compassione
per qualche afflizione del prossimo.
Aveva le mani lunghe e belle.
Aveva una grande voce bella e risonante.
Non fu affatto calvo, ma aveva la corona
della rasura del tutto integra,
cosparsa di pochi capelli bianchi.
• Vi era in lui qualcosa di più splendente e meraviglioso degli
stessi miracoli. Era tale la perfezione morale dei suoi costumi,
tale lo slancio di fervore divino che lo trasportava, da non
potersi minimamente dubitare ch’egli fosse un vaso di onore
e di grazia, un vaso ornato d’ogni specie di pietre preziose.
Aveva una volontà ferma e sempre lineare, eccetto quando si
lasciava prendere dalla compassione e dalla misericordia. E
poiché un cuor lieto rende ilare il viso, l’equilibrio sereno del
suo interno si manifestava al di fuori nella bontà e nella
gaiezza del volto. Era, però, talmente irremovibile nelle cose
ch’egli aveva giudicato secondo Dio ragionevole farsi, che mai
o quasi mai consentiva di mutare una decisione, una volta
presa dopo maturo consiglio. E poiché la testimonianza della
sua buona coscienza, come s’è detto, rischiarava
continuamente d’una grande gioia il suo volto, lo splendore
del suo viso non veniva offuscato dalle cose terrene.
• Per questo egli s’attirava facilmente l’amore di tutti; senza difficoltà appena
lo conoscevano, tutti cominciavano a volergli bene. Dovunque si trovasse,
sia in viaggio coi compagni, sia in casa con l’ospite e la sua famiglia, oppure
tra i grandi, i principi e i prelati, con tutti usava parole di edificazione, dava a
tutti abbondanza di esempi capaci di piegare l’anima degli uditori all’amore
di Cristo e al disprezzo del mondo. Ovunque si manifestava come un uomo
evangelico, nelle parole come nelle opere. Durante il giorno, nessuno più di
lui si mostrava socievole coi frati o con i compagni di viaggio, nessuno era
con loro più gioviale di lui.
Viceversa, di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera.
Alla sera prorompeva in pianto, ma al mattino raggiava di gioia. Il giorno lo
dedicava al prossimo, La notte a Dio, ben sapendo che Dio concede la sua
misericordia al giorno e il suo canto alla notte.
Piangeva spesso e abbondantemente; le lacrime erano il suo pane giorno e
notte: di giorno, soprattutto quando celebrava, spesso e anche ogni giorno,
la Messa; di notte, invece, quando più di ogni altro prolungava le sue veglie
estenuanti.
• Aveva l’abitudine di passare assai spesso la notte in chiesa, a tal
punto che si pensava che mai o raramente egli usasse un letto per
dormire. Di notte, dunque, pregava e prolungava le sue veglie fino
a quando glielo permetteva la fragilità del suo corpo. Quando poi
alfine sopravveniva la stanchezza e la mente s’intorpidiva, vinto dal
bisogno del sonno appoggiava la testa all’altare o in qualunque
altro luogo, ma in ogni caso su una pietra come il Patriarca
Giacobbe, e riposava un momento. Poi si risvegliava e riprendeva
la sua fervorosa preghiera.
Accoglieva tutti gli uomini nell’ampio seno della sua carità e
perché tutti amava, da tutti era amato. Faceva sue le parole di san
Paolo: « Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange ».
Traboccante com’era di pietà, si dedicava tutto per aiutare il
prossimo e sollevare le miserie. Questo inoltre lo rendeva a tutti
carissimo: la semplicità del suo agire. Mai nessun segno di
doppiezza o di finzione fu riscontrato nelle sue parole o nelle sue
azioni.
• Vero amante della povertà, usava vestiti di poco
valore. Nel mangiare e nel bere la sua temperanza era
rigorosa: evitava cibi delicati, e s’accontentava
volentieri di un semplice unico piatto. Aveva un
dominio assoluto sulla sua carne. Beveva vino ma
talmente annacquato che, mentre soddisfaceva alle
necessità del corpo, non correva certo rischio di
annebbiare la sua intelligenza sveglia ed acuta.
Chi sarà mai capace d’imitare la virtù di quest’uomo?
Possiamo ammirarlo e misurare dal suo esempio la
pigrizia del nostro tempo. Ma poter ciò ch’egli potè,
supera le umane capacità, è frutto di una grazia unica,
a meno che la bontà misericordiosa di Dio non si degni
di innalzare qualcuno a un simile fastigio di santità.
• Imitiamo perciò, o fratelli, come possiamo,
le orme del padre e nello stesso tempo
ringraziamo il Redentore per aver dato a noi
suoi servi, sulla via che percorriamo, un tale
condottiero, per mezzo del quale egli ci ha
rigenerati alla luce di questa nostra forma di
vita religiosa. E preghiamo il Padre delle
misericordie affinché, governati da quello
Spirito che fa agire i figli di Dio, percorrendo
la strada che percorsero i nostri padri, senza
deflettere possiamo giungere anche noi a
quella stessa meta di perpetua felicità ed
eterna beatitudine, nella quale felicemente
e per sempre egli è entrato.
• Una preghiera incessante. - Quando si rileggono le fonti
primitive della storia di San Domenico, l'immagine che
si impone principalmente è quella di un uomo di
preghiera intensa e incessante. Egli prega dappertutto.
Fa silenzio quando cammina. Mentre cammina se è in
prossimità di qualche monastero e se sente suonare la
campana che raduna i monaci per l’ufficio; egli si unisce
a loro per pregare. Evidentemente egli prega prima di
tutto in convento, durante la messa dove il clero lo vede
commuoversi e piangere; durante l’ufficio divino, nelle
veglie mattutine, anche in refettorio mentre prende i
suoi pasti. Ma è soprattutto nella solitudine notturna
della cappella dove lui si abbandona pienamente alla
sua vocazione di uomo orante. Qui, Domenico vi passa
notti intere, al punto che a Bologna, non si conosce la
sua cella o il suo letto personale. La lampada che nel
santuario vacilla permette al giovane frate che la scorge
di edificarsi, di seguire tutte le fasi della sua preghiera.
Uomo del meridione, Domenico accompagna la sua
preghiera con i gesti del suo corpo, come dei suoi
gemiti profondi. Vinto dal sonno, egli pone il suo capo
sulla predella dell’altare. Poi comincia la sua preghiera.
• PRIMO MODO
• In piedi profondamente inchinato, si
umiliava dinanzi all’altare, come se
Cristo... fosse lì realmente e
personalmente...
Dopo aver pregato in tal modo
riassumeva la posizione eretta, poi
inclinava il capo e fissando con umiltà
il Cristo, suo vero capo, confrontava la
di lui eccellenza con la propria
bassezza....
Questa maniera di inclinare
profondamente il capo era il punto di
partenza delle sue devozioni. Analogo
segno di umiltà egli lo esigeva dai frati
in onore di tutta la Trinità quando
recitavano solennemente il «Gloria...».
• SECONDO MODO
• Spesso pregava completamente disteso
con la faccia contro la terra (venia).
Eccitava allora nel suo cuore sentimenti
di compunzione, richiamando alla
memoria e dicendo a voce alta «O Dio,
abbi pietà di me che sono un
peccatore»... e piangeva emettendo
gemiti....
Talvolta, volendo insegnare ai frati con
quanta riverenza dovessero
pregare diceva loro: «...Abbiamo
trovato l’Uomo-Dio con Maria sua
ancella. Perciò venite adoriamolo e
prostriamoci piangendo davanti al
Signore Dio che ci ha creati». E invitava
anche i più giovani a piangere per i
peccatori.
• TERZO MODO
• Per questo motivo si rialzava da
terra e con una catena di ferro si
dava la disciplina.
Da questo esempio del Padre
venne nell’Ordine la
disposizione che tutti i frati nei
giorni feriali la sera, dopo
Compieta, ricevessero a dorso
nudo la disciplina con verghe di
legno, recitando devotamente il
Miserere o il De profundis per le
colpe proprie e per quelle dei
benefattori.
• QUARTO MODO
• In seguito davanti all’altare o nel
Capitolo egli (in piedi e a mani
aperte) fissava lo sguardo nel
Crocifisso, contemplandolo con
incomparabile penetrazione e
davanti a lui si genufletteva più
volte. Succedeva così che, qualche
volta, da dopo Compieta fino a
mezzanotte, ora si alzava, ora si
metteva in ginocchio... Mettendosi
in ginocchio gridava per i
peccatori: «Signore non imputar
loro i peccati».
Sorgeva allora in lui un sentimento
di grande fiducia nella misericordia
di Dio nei suoi riguardi e in quelli di
tutti i peccatori e per la
conservazione dei suoi frati...
• QUINTO MODO
Talvolta si metteva davanti all’altare in
posizione ben eretta, senza appoggiarsi né
sostenersi, con le mani aperte sul petto
come (a sostenere) un libro. E restava in
piedi così con grande riverenza e
devozione, come leggendo alla presenza di
Dio.
Sembrava meditasse le parole di Dio,
ripetendole dolcemente a se stesso.
Talvolta giungeva le mani, tenendole
fortemente unite davanti agli occhi e tutto
chiudendosi in se stesso. Tal’altra le alzava
all’altezza delle spalle (come fa il sacerdote
nella Messa), quasi volesse tendere
l’orecchio per udire meglio
qualcosa....Avresti creduto vedere un
profeta intrattenersi con un angelo o con
Dio...
• SESTO MODO
• Il santo padre Domenico alle volte fu
visto pregare anche con le mani e le
braccia completamente aperte e stese
a forma di croce, mentre col corpo
stava il più possibile eretto.
Questa forma di preghiera non era
frequente, ma egli vi aveva fatto
ricorso quando, per divina ispirazione,
sapeva che in virtù della sua preghiera
sarebbe avvenuto qualcosa di grande
e di meraviglioso.
Così a Roma quando risuscitò il
giovane che era morto cadendo da
cavallo; così a Tolosa quando salvò
circa quaranta pellegrini inglesi che
stavano annegando nel fiume; così
durante la celebrazione di una Messa.
• SETTIMO MODO
• Spesso lo si vedeva, mentre
pregava, protendersi tutto
verso il cielo, come una
freccia scoccata dritta in
alto: elevava le mani
tenendole tese sopra il
capo, ora congiunte ora un
po’ aperte come a ricevere
qualcosa. Era rapito fuori di
sé.
• Quando tornava in sé era
come se venisse da lontano
e lo avresti detto un
pellegrino...”
• OTTAVO MODO
• Il santo padre Domenico aveva anche
un altro modo di pregare, assai bello,
devoto e simpatico...Questo buon
padre, ammirevole per la sua sobrietà e
per lo spirito di devozione attinto nelle
divine parole che si erano cantate in
coro..., subito si ritirava in un luogo
solitario...per leggere o pregare,
raccolto in sé stesso e fissato in Dio. Si
sedeva tranquillamente e, dopo essersi
fatto il segno della croce, apriva un libro
e leggeva. E mentre leggeva così in
solitudine, faceva atti di riverenza vero il
suo libro, chinandosi spesso a baciarlo,
soprattutto se si trattava del Vangelo o
vi leggeva riportate le parole proferite
da Cristo. Poi...si alzava alquanto, con
riverenza, e inclinava il capo. Quindi di
nuovo calmo e tranquillo riprendeva a
leggere.
• NONO MODO
• Quando a piedi viaggiava, sovente si
separava dagli altri e pregava da solo.
Si accendeva allora come fuoco
ardente. Da altre fonti sappiamo che
ruminava dei salmi cantava l’ «Ave
maris stella» o il «Veni creator
spiritus»....
Avvicinandosi ad un paese pregava
per i suoi abitanti.
Aveva l’abitudine di passare assai
spesso la notte in chiesa, a tal punto
che si pensava che mai o raramente
egli usasse un letto...Pregava e
prolungava le sue veglie. Quando poi
sopravveniva la stanchezza, vinto dal
bisogno del sonno, appoggiava la testa
all’altare ... e riposava un momento.
Poi si risvegliava e riprendeva la sua
fervorosa preghiera.”
I SIMBOLI
• Il bianco per il Frate
domenicano è segno,
simbolo di purezza e di
castità, mentre il nero, di
rinuncia e di penitenza.
Ma, oltre che nello stemma,
tali smalti sono presenti
anche nell’abito religioso dei
Domenicani, essendo, da
sempre, il saio di bianco ed il
mantello di nero
•
• La stella, per la
tradizione
domenicana, è
simbolo di
predestinazione e
segno personale di
San Domenico,
poiché si narra che,
nel giorno del
battesimo, la madrina
vide risplendere una
fulgida stella sulla
fronte del Santo
Il giglio è invece simbolo di
integrità e moralità, mentre
la palma rappresenta,
come ideale, il martirio. San
Domenico, infatti, avrebbe
desiderato, nel predicare
agli infedeli, nella
fattispecie i Cumani,
conseguire il martirio.
•
Il cane rappresenta poi la fedeltà al messaggio
evangelico, mentre la fiaccola simboleggia la
diffusione della Parola di Dio tra i fedeli e
gl’infedeli, per opera di San Domenico e dei Suoi
figli spirituali, i Frati Predicatori.
Il cane con la fiaccola è legato, infine, ad un
racconto immaginifico.
Si narra, infatti, che la madre di San Domenico, al
momento del parto, abbia avuto la visione di un
cane, con una fiaccola fiammeggiante tra le fauci,
correre, illuminando tutto il mondo.
Ma i Frati di San Domenico, i Domenicani
Domini canes, sono anche i cani del Signore, ossia
i difensori della verità che azzannano gli eretici e
difendono il gregge di Cristo.
A completamento dell’analisi del simbolo
domenicano, ne ricordiamo anche il motto:
"Laudare, Benedicere, Praedicare".
L’Arca di San Domenico
• La vita di San Domenico
è “fotografata” negli
episodi salienti che
sono scolpiti nel
sarcofago. Queste
sculture, originate dalle
testimonianze dei frati
che hanno
personalmente
conosciuto il Santo,
sono un documento
vivo e affascinante.
• Per “leggere” l’arca di San Domenico occorre
prima rendersi conto di quale tesoro racchiude.
Il 24 maggio del 1233, a 12 anni dalla morte, il
corpo di San Domenico venne trasferito dal
luogo della sua prima sepoltura ad altro luogo
più degno e più accessibile alla devozione dei
fedeli. In tale circostanza si manifestò un
prodigio testimoniato unanimemente da tutti i
presenti: «Tolta la pietra che copriva la cassa,
un meraviglioso profumo incomincia a esalare
da un foro, e gli astanti attoniti per la sua
fragranza si domandano meravigliati di che
cosa si tratti. Abbiamo sentito anche noi la
dolcezza di tale profumo, e sebbene fossimo
stati intenzionalmente a lungo vicino al corpo di
Domenico, non eravamo mai sazi di così grande
dolcezza» (B. Giordano, Lettere circolari
all’Ordine Domenicano). Quelle spoglie
benedette furono poi riposte nella cassa di
cipresso attualmente racchiusa nell’arca.
Preghiera a San
Domenico
• Luce della chiesa, maestro
di verità
rosa di pazienza, avorio di
castità,
hai distribuito con
generosità
l'acqua della sapienza;
predicatore della grazia
ottienici di ritrovarci con
te
tra i beati del cielo
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San-Domenico