Relazioni istituzionali e Gestione della responsabilità
sociale d’impresa
3. I target delle relazioni istituzionali
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Stefano Scarcella Prandstraller
Relazioni istituzionali e
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Pubblico e pubblici
• relazioni istituzionali = attività consapevoli che
un’organizzazione intraprende per entrare e/o restare in
relazione con i suoi pubblici influenti
• In sociologia generale pubblico= massa
• “moltitudine di persone politicamente passive, in posizione di
dipendenza rispetto alle istituzioni portanti di una società, e
quindi influenzabili da esse, incapaci di organizzarsi e di
esprimere una propria volontà” (Gallino, 2000)
• “formazione sociale caratterizzata dalla comparsa di un senso
di solidarietà disorganizzata, emotiva e però orientata in una
stessa direzione” (Von Wiese, 1933)
• Pubblico = concetto polisemico, definibile solo in relazione ad
un determinato referente: un attore sociale, un evento o un
mezzo di comunicazione. Per cui si avranno “i pubblici”.
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La teoria situazionale sui pubblici
(Grunig e Hunt,1984; Grunig e Repper, 1992)
• una organizzazione (o un attore) non ha un pubblico di
riferimento stabile, ma piuttosto una pluralità di pubblici,
che cambia a seconda delle situazioni che possono venirsi a
determinare nell’ambiente in cui l’organizzazione opera;
• i pubblici non sono entità sociali con una consistenza o una
compresenza stabile, ma aggregati in senso sociologico;
• aggregato = compresenza fisica o virtuale, senza che ciò si
traduca necessariamente in un rapporto di comunicazione
• gruppo = si caratterizza per l’interazione;
• pubblico = un aggregato che attraverso l’interazione può
dare origine al suo interno a gruppi più o meno organizzati;
• pubblico = si colloca fra la categoria, che non presuppone
neppure una compresenza fisica o virtuale e il gruppo, che
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presuppone invece rapporti sociali costanti.
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Le proprietà del pubblico
• le persone che formano il pubblico restano
sostanzialmente anonime, in quanto rimangono estranee
le une alle altre;
• all’interno di un pubblico non esiste l’altro in quanto
individuo, come nel gruppo, ma solo il senso della totalità;
• è dominato dalla “relazione di indifferenza” verso l’altro;
• non è organizzato, vale a dire “non possiede strutture o
gerarchie di posizioni o di funzioni”;
• il contatto sociale interno è limitato;
• ha carattere provvisorio e “situazionale”, per cui gli
individui che compongono il pubblico ne entrano a far
parte e ne escono in rapida sequenza e senza
complicazioni rilevanti una volta cessato l’interesse;
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La teoria situazionale sui pubblici
• i pubblici delle organizzazioni si aggregano quando
“percepiscono un problema”, vale a dire una
conseguenza indotta dalle attività dell’organizzazione su
di una determinata questione (issue), ritenuta rilevante
per gli interessi dei singoli che concorrono a formarli;
• i pubblici quindi possono:
• rimanere allo stato latente, in quanto non percepiscono o
non percepiscono ancora il problema;
• formarsi in quanto aggregati;
• evolvere in pubblici consapevoli, che riconoscono il
problema, ma non sono interessati ad agire;
• evolvere ulteriormente in pubblici attivi, coinvolti e
interessati alla risoluzione del problema.
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Le critiche alla teoria situazionale
• attribuisce un carattere di passività all’aggregazione dei
pubblici, che si formerebbero solo in conseguenza di
determinati comportamenti organizzativi, riferiti ad una
particolare e specifica questione;
• considera i pubblici come indifferenziati e omologati;
• La teoria sulla diversità dei pubblici (Duarte, 2004) sostiene
invece che i pubblici siano “gruppi di persone che
interagiscono con le organizzazioni in via continuativa”, e
non necessariamente su una questione specifica;
• I pubblici hanno una dimensione culturale e comunitaria;
• si ricollega al concetto sociologico di diversità, non
associata solo a questioni di genere, razza e cultura, ma di
interazione organizzazione-ambiente in contesti diversi.
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I pubblici influenti
• Il requisito che rende un pubblico influente è la rilevanza
delle sue opinioni, atteggiamenti, comportamenti o
decisioni in relazione alla realizzazione degli obiettivi
perseguiti dall’organizzazione;
• i pubblici influenti si compongono di soggetti dotati di poteri
decisionali rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi
perseguiti dall’organizzazione o almeno influenti su questi;
• l’organizzazione attiva relazioni con questi pubblici per
indurre in essi opinioni, atteggiamenti, comportamenti o
decisioni che consentano di raggiungere i suoi obiettivi con
il migliore rapporto tra costi e benefici, e che, nel medesimo
tempo permettano ai pubblici di ricavare un valore aggiunto
dall’aver aiutato o almeno non ostacolato l’organizzazione .
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Pubblici e slack organizzativo
• Principio della tendenziale simmetria fra le parti di una
relazione per un sistema di relazioni istituzionali efficaci.
• I pubblici devono essere posti nella convinzione di
ricavare un qualsivoglia valore aggiunto dalla relazione
che viene attivata con l’organizzazione.
• Teoria dello slack organizzativo di Thompson (1965):
• per poter negoziare da una posizione vantaggiosa
l’organizzazione deve disporre di una sufficiente quantità
di risorse appropriate, materiali o simboliche;
• queste risorse critiche sono necessarie per riuscire ad
affermare la propria autonomia dai condizionamenti
dell'ambiente e controllare le fonti esterne di incertezza;
• Il loro accumulo è più importante del profitto stesso.
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Dallo share of voice allo share of mind
• La composizione dei pubblici dipende dal sistema (economico,
politico o dei media) dove l’organizzazione opera, dato che
nei tre sistemi la legittimità si rileva con indicatori diversi.
• Spesso in più pubblici si trovano le stesse persone che
agiscono ruoli diversi (es. dipendente, elettore, consumatore)
• negli anni ’50 e ’60 l’impatto comunicativo di una
organizzazione veniva misurato in termini di percentuale di
share of voice, e cioè di spazio occupato sui media sul totale
della categoria merceologica e ricalcava le quote di mercato;
• ora l’effetto clutter impone di cambiare strategia:
• dallo share of voice allo share of mind, per cui il fatto di
riuscire ad attirare l’attenzione dei propri pubblici è divenuto
l’obiettivo prioritario di quasi qualsiasi tipo di organizzazione.
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Dallo share of voice allo share of mind
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• - Ho ingaggiato l'agenzia di relazioni istituzionali Dogbert
per farci avere un po' di redazionali gratuiti.
• - Ho già avvertito i media che i tuoi prodotti sono
mortali e che volontariamente li ritiriamo tutti!
• - Ma … non sono mortali!
• - Hey, io non ti dico mica come fare a essere grasso.
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La stakeholder theory (Freeman, 1984)
• Il termine stakeholder è elaborato nel 1963 al Research
Institute dell'università di Stanford.
• La stakeholder theory compare in Strategic Management: A
Stakeholder Approach, di Edward Freeman nel 1984.
• Nei modelli aziendali tradizionali input-output l’impresa
converte gli inputs degli investitori, dei dipendenti e dei
fornitori in outputs sul mercato che i consumatori acquistano
• In base a questo modello, le aziende tengono in
considerazione esclusivamente i bisogni e i desideri di:
investitori, dipendenti, fornitori e consumatori.
• La stakeholder theory obietta che ci sono altri gruppi coinvolti:
corpi governativi, gruppi politici, associazioni di commercio,
sindacati, comunità, associazioni di imprese, potenziali
dipendenti, potenziali consumatori e il pubblico in generale.
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La stakeholder theory (Freeman, 1984)
• Ogni organizzazione deve garantire un minimum di
prestazione a tutti i portatori di interesse, i quali, in
mancanza, tolgono all'azienda il supporto necessario e ne
rendendo impossibile la continuazione dell’attività.
• La stakeholder theory è considerata una teoria di
management organizzativo e di etica del business.
• La visione della strategia proposta dalla stakeholder theory
integra gli approcci basato sulle risorse e basato sul mercato,
con l’aggiunta di un livello socio-politico.
• La teoria normativa (Donaldson, 1995) stabilisce criteri
generali di identificazione degli stakeholder.
• La teoria descrittiva della salienza degli stakeholders
(Mitchell, 1997) individua le condizioni alle quali un
soggetto o un gruppo deve considerato uno stakeholder.
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Altre teorie sugli stakeholder
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• Mitchell, Agle e Wood (1997) costruiscono una tipologia di
stakeholder basata sui seguenti attributi:
• A) potere = disponibilità di mezzi che una parte di una
relazione ha per imporre la sua volontà all’altra;
• B) legittimazione = strutture di comportamento
socialmente accettate e attese
• C) urgenza = sensibilità al decorso del tempo e ad altri
fattori di criticità delle pretese dello stakeholder.
• Combinando i 3 attributi, individuano 8 tipi di stakeholder.
• Friedman e Miles (2002) analizzano il contenuto delle
relazioni tra organizzazione e stakeholder e introducono i
concetti di interesse compatibile o incompatibile e
connessione necessaria o contingente.
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La stakeholder view of the firm
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(Carroll e Bucholz, 2003)
• Gli stakeholder sono i destinatari diretti e indiretti
dell’agire complessivo dell’impresa;
• risentono pertanto degli effetti del suo comportamento
nel soddisfacimento dei loro bisogni e nel
raggiungimento dei loro obiettivi (Freeman, 1984);
• possono a loro volta influenzare l’organizzazione.
• Il modello gestionale concreta “una nuova visione
dell’impresa”, definita “stakeholder view of the firm”;
• Il successo dell’impresa si ottiene congiuntamente:
• a livello di profitto economico,
• a livello di successo sociale.
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Stakeholder primari e secondari
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(Carroll e Bucholz, 2003)
• Tale modello è caratterizzato dalla presenza di stakeholder:
• primari, che hanno qualche interesse diretto
nell’organizzazione, e comprendono i proprietari-azionisti, i
dipendenti, i consumatori-clienti, i partner di affari
(compresi fornitori e distributori), le comunità, le future
generazioni e l’ambiente naturale;
• secondari, che sono gruppi di interesse pubblico o privato
particolare, che non hanno un interesse diretto
nell’organizzazione, ma che subiscono comunque le
conseguenze delle sue attività; vi rientrano i governi locale,
dello Stato e Federale, i corpi regolativi, le istituzioni e i
gruppi civici ( di consumatori o ambientalisti), i gruppi di
interesse particolare, i gruppi dell’industria e del
commercio, i media e le aziende concorrenti.
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Definizione di stakeholder
• To hold a stake significa possedere o portare un interesse,
un titolo, inteso (quasi) nel senso di un diritto;
• Gli stakeholder sono quei soggetti sui quali l’organizzazione,
nel perseguire finalità e obiettivi operativi, produce
conseguenze” e, all’opposto, “coloro i cui atteggiamenti,
opinioni, comportamenti e decisioni producono
conseguenze sull’organizzazione” (Muzi Falconi, 2005)
• Lo stakeholder, in altri termini, è un soggetto:
• che ritiene di avere una propria posizione di interesse, che
considera giuridicamente, o quanto meno socialmente
legittima, da tutelare nei confronti dell’organizzazione;
• che si trova in una condizione di effettiva rilevanza nei
confronti dell’organizzazione stessa.
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Stakeholder e pubblici influenti
• La distinzione risiede nella fonte di legittimazione:
• la fonte di legittimazione di un pubblico influente è
l’organizzazione stessa, che lo ritiene tale;
• uno stakeholder è invece egli stesso a ritenere di avere il
titolo per rivendicare il diritto di interloquire, e non
sempre l’organizzazione gli riconosce questo titolo.
• Il titolo di legittimazione dello stakeholder può risiedere
infatti in una delle seguenti altre fonti:
• a) una norma dell’ordinamento giuridico;
• b) una norma del sistema sociale;
• c) un valore del sistema culturale.
• Es. le associazioni per la tutela del consumatore e la
salvaguardia dell’ambiente (L. 8 luglio 1986 n.349).
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Stakeholder e pubblici influenti
• Si possono quindi distinguere:
• A) pubblici influenti che si ritengono stakeholder e sono
quindi consapevoli e interessati ad una relazione;
• B) pubblici influenti che non si ritengono stakeholder, che
l’organizzazione ritiene influenti, ma che non hanno
interesse a mettersi in relazione con essa;
• C) stakeholder non ritenuti influenti dall’organizzazione,
motivati a far valere una propria posizione di interesse,
che l’organizzazione non riconosce e con i quali non ha
interesse a stabilire una relazione.
• Le modalità di instaurazione della relazione e il tipo di
relazione che si andrà a instaurare saranno differenti.
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Stakeholder e pubblici influenti
• A) pubblici influenti che si ritengono stakeholder:
• la relazione da instaurare deve essere a due vie e
tendenzialmente simmetrica, e il modello comunicativo
diretto, essenziale, argomentativo, di tipo pull;
• B) pubblici influenti che non si ritengono stakeholder:
• l’organizzazione deve operare con un modello
comunicativo di tipo push, più indiretto e più attraente,
per persuaderli poi a diventare stakeholder;
• C) stakeholder non ritenuti pubblici influenti:
• l’organizzazione tende a considerarli un disturbo e a
tenerli fuori dai flussi di decisione o di comunicazione
rilevante, salvo valutare di recuperarli in modo selettivo
qualora possano portare un qualche valore aggiunto.
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Stakeholder e settore pubblico
• Alcuni fattori del processo di cambiamento hanno
favorito il riconoscimento degli stakeholder nella P.A.:
• A) l’apertura ai portatori di interessi pubblici o privati,
ovvero di interessi diffusi in comitati o associazioni della
partecipazione al procedimento amministrativo (L. n.
241/1990, come modificata dalla legge n. 69/2009);
• B) la previsione dell’istituzione di Uffici Relazioni con il
Pubblico (URP) in tutte le pubbliche amministrazioni con
la legge 7 giugno 2000, n. 150;
• C) il ricorso a procedure di consultazione nelle decisioni
pubbliche (es. Unità per la Semplificazione e la Qualità
della Regolazione presso la PDCM);
• D) l’affermazione sempre più ampia di modelli di new
public management.
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Stakeholder e settore pubblico
• Marcello Fedele (1997) afferma che in occidente cresce il
rilievo del tipo di governance, dei caratteri del rapporto tra
poteri pubblici e sistemi di rappresentanza degli interessi;
• si afferma una statualità leggera, dove l’autorità si configura
come una funzione del consenso piuttosto che delle leggi;
• la decisione politica diviene un momento interno al
processo di implementazione amministrativa.
• attraverso i programmi e le iniziative di comunicazione
istituzionale, le P.A. promuovono i diritti di cittadinanza, tra
cui quelli ad informazione, trasparenza e partecipazione e
sostengono l’innovazione delle organizzazioni, l’efficienza
dei servizi e l’efficacia delle politiche pubbliche;
• la scelta degli stakeholder rappresenta un passaggio
fondamentale nella relazione pubblica con la comunità.
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La procedura di identificazione degli
stakeholder
• Gli stakeholder rappresentano una molteplicità complessa di
portatori di interesse della comunità di riferimento, e la loro
individuazione richiede un’analisi del contesto;
• Il sito Urp degli Urp individua tre macro-categorie:
• 1) istituzioni pubbliche: enti locali, agenzie, ecc.
• 2) gruppi organizzati: gruppi di pressione (sindacati, partiti,
imprese, associazioni di categoria) e associazioni del territorio;
• 3) gruppi non organizzati: cittadini e collettività.
• Si deve provvedere nell’ordine:
• A) ad una mappatura della situazione esistente;
• B) a individuare un elenco degli stakeholder che si vogliono
coinvolgere nell'ambito dell'intervento considerato;
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La procedura di identificazione degli
stakeholder (Regione Emilia Romagna)
• C) a definire il livello di influenza di ciascun stakeholder
individuato attraverso la sintesi di cinque fattori:
• 1) dimensione;
• 2) rappresentatività;
• 3) risorse attuali e potenziali;
• 4) conoscenze e competenze specifiche;
• 5) collocazione strategica.
• D) stabilire il livello di interesse di ciascun stakeholder, con
la sintesi di due fattori:
• 1) incidenza della politica considerata rispetto alla sfera di
azione e agli obiettivi del portatore di interesse;
• 2) iniziative di pressione che lo stakeholder è in grado di
mettere in campo per rivendicare i propri interessi.
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La procedura di identificazione degli
stakeholder
• Incrociando in una matrice i livelli di influenza e di interesse,
si ottengono tre categorie di stakeholders:
• gli stakeholders essenziali, cioè coloro che è necessario
coinvolgere perché hanno alto interesse e alta influenza
rispetto alla politica e quindi anche una forte capacità di
intervento sulle decisioni che la PA intende adottare;
• gli stakeholders appetibili, cioè coloro che opportuno
coinvolgere poiché hanno basso interesse ma alta influenza.
(gruppi di pressione, opinion leaders in grado di influenzare
l’opinione pubblica rispetto a determinate tematiche;
• gli stakeholders deboli, cioè coloro che hanno alto interesse
ma bassa influenza. (soggetti che non hanno i mezzi per
poter esprimere i loro interessi, come talora le fasce
destinatarie della politica, che è doveroso coinvolgere).
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Le critiche alla stakeholder theory
• 1) per Charles Blattberg (2004) la teoria assume che gli
interessi particolari degli stakeholder possono essere al
più bilanciati attraverso soluzioni di compromesso. Si
deve invece tenere conto in via prioritaria dell’interesse
generale, quello della nazione, espresso dal majority
party, con una “concezione patriottica dell’impresa”.
• 2) Milton Friedman (1970 e 1996) sostiene che il vero
dovere sociale di un’impresa è ottenere, in un mercato
aperto, corretto e competitivo, i profitti più elevati, per
creare ricchezza e produrre occasioni di lavoro per tutti.
• I manager sono agenti e dipendenti dei proprietariazionisti, e devono agire nel loro esclusivo interesse.
• Rigetta quindi sia la stakeholder view, sia la CSR sul piano
etico e di teoria economica come forma di violazione del
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principio del no taxation without representation.
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Gli shareholder
• Uno shareholder o stockholder è un singolo o una istituzione
(impresa, ecc.) che ha la proprietà legale di una o più azioni
o quote di capitale in una azienda pubblica o privata.
• Agli shareholder sono garantiti dalla legge alcuni diritti :
• vendere i loro titoli azionari;
• eleggere i membri del consiglio di amministrazione;
• nominare i manager e proporre risoluzioni degli azionisti;
• una quota sui dividendi, se ne sono stati dichiarati;
• acquistare novi titoli azionari emessi dall’azienda;
• i beni rimasti dell’azienda dopo l’eventuale liquidazione.
• Gli shareholder forniscono direttamente (mercato primario)
o indirettamente (mercato secondario) capitale all’azienda e
sono un settore della categoria più ampia degli stakeholder.
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La shareholder value theory
• Si fonda sulla creazione del valore per gli azionisti come
principio guida nella gestione dell’impresa.
• È conseguenza di alcuni eventi degli anni ‘80:
• posizioni degli economisti neoliberisti come Milton Friedman
• boom del mercato azionario negli Stati Uniti
• politiche neoliberiste come quelle di Ronald Reagan negli
Stati Uniti e di Margaret Thatcher nel Regno Unito
• La shareholder value theory è divenuta la nuova ideologia
dominante nella governance delle imprese in USA e UK e sta
guadagnando terreno anche in Europa e Giappone;
• nel 1999 l’OECD-OCSE ha approvato un documento, I
principi di governance aziendale dell’OECD, che mette in
evidenza che le imprese dovrebbero essere gestite, in primo
luogo e soprattutto, nell’interesse degli azionisti.
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La shareholder value theory
• Nelle grandi corporation americane negli anni ’60 il
principio di gestione era quello del “trattieni e reinvesti”.
• La politica era di trattenere sia il profitto in forma di denaro,
sia le risorse umane cui davano lavoro, e reinvestire sia in
capitale fisico, che in risorse umane complementari.
• Negli anni ’70 l’espansione delle corporation si scontra con
prestazioni deludenti e nuovi competitori (Giappone).
• Negli anni ‘80 un gruppo di economisti finanziari, convinti
che il mercato fosse più efficiente nell’allocare risorse degli
stessi manager, sviluppa la agency theory, per cui:
• 1) gli azionisti sono i principali e i manager i loro agenti;
• 2) i manager non subiscono le leggi del mercato, per cui
allocano le risorse nell’interesse loro e non degli azionisti.
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La shareholder value theory
• Il rendimento sugli investimenti nei titoli azionari
dell’azienda come nuovo indicatore di performance;
• Il compenso agli shareholder è motivato come corrispettivo
dell’attesa, dei rischi di detenzione dei titoli azionari e del
monitoraggio dell’attività dei manager;
• L’accentramento dei titoli presso gli investitori istituzionali
(fondi mutuo, fondi pensione e compagnie di assicurazione)
fornisce molto più potere collettivo agli shareholder;
• Nelle grandi corporation si passa dal principio “trattieni e
reinvesti”, al principio “riduci e distribuisci”, con la
riduzione delle dimensioni della corporation, con perdita di
milioni di posti di lavoro, e la distribuzione dei maggiori
profitti sotto forma di dividendi agli azionisti.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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La shareholder value theory
• I top manager sono motivati a questo cambiamento
dall’offerta di consistenti stock option, che ne fanno degli
shareholder, e dalla crescita degli investitori istituzionali,
che ora controllano i pacchetti azionari e la loro nomina.
• Questo porta all’allineamento dei loro interessi dei con
quelli del grande capitale finanziario esterno, piuttosto che
con quelli dell’azienda per cui lavorano.
• Nel nuovo regime i top manager diminuiscono le dimensioni
dell’azienda che controllano, con tagli alla forza lavoro
stabile, in un tentativo di incrementare gli utili.
• Si sostiene che la ricerca del shareholder value giovi non
solo agli azionisti, che possono fare del denaro dei dividendi
usi alternativi più efficienti, ma all’intera economia, e quindi
a lavoratori, consumatori, fornitori e distributori.
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•
•
•
•
Il boom degli anni ’90…
Come prove della correttezza di questa analisi si cita:
A) il boom degli anni ’90 del mercato azionario negli USA;
B) la riduzione del tasso di disoccupazione;
C) l’avvento della new economy attraverso investimenti
finanziari e la ricollocazione di capitali e lavoro in nuove
imprese di software e tecnologie informatiche (Silicon Valley)
• Ma in realtà (Lazonick, O’Sullivan, 2000):
• questi cambiamenti hanno accresciuto le disuguaglianze
sociali e prodotto un sistema fondato su posti di lavoro poco
stabili e bassi salari;
• lo sviluppo della Silicon Valley e di gran parte della new
economy si deve a imprese che hanno continuato a seguire il
principio di gestione del “trattieni e reinvesti”.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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..e la crisi dei 2000
• E’ vero che un elevato valore di mercato del titolo azionario è
funzionale ai piani di espansione dell’azienda e consente di
raccogliere capitale di rischio addizionale a un costo
competitivo, come di acquisire e integrare altre aziende.
• Tuttavia:
• A) lo straordinario afflusso di capitale sul mercato finanziario,
con l’aumento del valore di numerosi titoli azionari;
• B) una crescita dei consumi strettamente in relazione con la
crescita del mercato azionario e non più della crescita
dell’economia reale;
• hanno creato i presupposti delle spregiudicate manovre
speculative cui è seguito il crollo dei mercati azionari e la crisi
economica globale del decennio successivo.
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Stefano Scarcella Prandstraller
La shareholder value theory
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Grazie alla mia
Ora puoi usare le
campagna di relazioni azioni che possiedi
istituzionali, il valore
per acquistare
delle tue azioni in
aziende che facciano
borsa si è molto
davvero soldi
sopravalutato
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Stefano Scarcella Prandstraller
Dopo che le hai
rilevate e condotte
sull’orlo del fallimento,
dammi un colpo di
telefono
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La shareholder value theory
• La shareholder value theory stabilisce che un'azienda dovrebbe:
• selezionare quelle opportunità d'investimento che ne
aumentano il valore di mercato di lungo periodo;
• introdurre un sistema di pianificazione e controllo orientato al
valore e stabilire uno stretto legame fra il sistema premiante e i
parametri di misurazione del valore;
• consegnare agli investitori un livello di flussi di cassa
soddisfacente, e comunicare efficacemente agli investitori i
risultati ottenuti rispetto a quanto previsto e i risultati attesi;
• avere coerenza tra struttura finanziaria e strategia di business;
• il ruolo delle relazioni istituzionali (financial public relations e
inverstor relations) si concentra sulla comunicazione alla
comunità finanziaria e sulla relazione con gli shareholder,
attuali e potenziali.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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sociale d’impresa
Stakeholder e shareholder company
• In letteratura si parla di due diversi modelli d’impresa:
• la shareholder company (capitalismo anglosassone),
un’azienda con l’interesse primario di soddisfare le aspettative
degli azionisti, secondo la shareholder value theory;
• la stakeholder company (capitalismo europeo continentale e
giapponese), un’azienda con l’interesse primario di soddisfare
le aspettative di tutti i soggetti aventi una legittima posizione
di interesse, e aperta a questioni di corporate governance e
responsabilità sociale.
• I processi di finanziarizzazione e globalizzazione delle imprese
tenderebbero oggi a far prevalere la shareholder company;
• gli scandali finanziari e la crisi hanno riportato all’attenzione
corporate governance e CSR, temi della stakeholder company.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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sociale d’impresa
Gli opinion leader
• è un concetto che nasce con la teoria del two-step flow of
communication di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet (1948).
• il messaggio prodotto da un medium (primo livello del flusso
di comunicazione), non viene recepito in maniera uniforme
da tutti i destinatari, come ritenuto dalla teoria ipodermica;
• il messaggio viene invece filtrato dai rapporti interpersonali
tra gli individui e tre essi e i leader di opinione e viene
dunque rimandato a un secondo livello di comunicazione;
• il messaggio raggiunge prima i gli opinion leader, che filtrano
l’informazione e la rielaborano nel secondo livello per le
persone sulle quali esercitano la loro influenza, i followers;
• la gente tende ad essere molto più influenzata nei suoi
processi decisionali dagli incontri face to face con pari
influenti, che non dagli stessi mass media.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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sociale d’impresa
La teoria del two-step flow of communication
• i leader di opinione sono definiti come individui molto
interessati al tema e dotati di più conoscenze su di esso;
• l’opinion leader ha accesso a molte più informazioni sul tema di
un soggetto medio, ed ha il necessario bagaglio per
decodificare e rielaborare le relative informazioni.
• La mediazione che i leader di opinione svolgono tra i media e
gli altri individui del gruppo può avere tre diversi effetti:
• effetto di attivazione: trasforma le tendenze latenti, e cioè
rappresentazioni, opinioni e atteggiamenti, in comportamenti;
• effetto di rafforzamento: preserva le decisioni prese, evitando
mutamenti negli atteggiamenti;
• effetto di conversione: mediante una ridefinizione del
problema, porta ad un cambiamento negli atteggiamenti.
• gli effetti dei media si realizzano quindi come parte di un
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processo più complesso, che è quello dell’influenza personale.
Stefano Scarcella Prandstraller
Relazioni istituzionali e
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sociale d’impresa
La teoria del two-step flow of communication
• Al di sopra e al di là della leadership d’opinione, ci sono le
reciproche interazioni dei componenti del gruppo, che
rafforzano gli atteggiamenti ancora non precisati di ciascuno.
• La teoria è completata da Lazarsfeld e Katz nel 1955:
• i leader di opinione sono parimenti distribuiti nei vari livelli
sociali, economici ed educativi all’interno della comunità;
• non hanno alcun tratto particolare ma sono accomunati:
• dall’avere l’interesse più forte nella loro nicchia;
• dal detenere posizioni nella comunità che riconoscono loro
una particolare competenza nella predetta nicchia;
• nell’essere individui di accentuata sociabiltà e disponibilità;
• dall’avere un contatto esterno alla loro cerchia, attraverso
cui ricavano informazioni rilevanti per la loro nicchia.
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La teoria di Robert K. Merton (1949)
• la leadership di opinione non è una caratteristica generale
della persona, ma qualcosa di limitato a specifiche istanze,
per cui chi agisce come opinion leader in una nicchia può
essere considerato del tutto ininfluente in altri ambiti;
• l’influenza personale che si svolge nei rapporti intersoggettivi
è più efficace di quella che deriva direttamente dai media;
• Ci sono due diversi tipi di leader di opinione:
• il leader locale, che vive nella comunità ed opera attraverso
interazioni con gli altri individui della sua cerchia sociale;
• il leader cosmopolita, persona con una notorietà più o meno
estesa, che gli deriva dal successo in un ruolo sociale dotato di
visibilità per il pubblico dei media (sportivo, attore, ecc.).
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…e le sue conseguenze.
• Mentre il leader di opinione di tipo locale è polimorfico perché
esercita influenze su diverse sfere tematiche, il leader
cosmopolita è invece più mirato a influenzare nel suo ambito.
• Relativamente poche persone – i top influentials - esercitano
influenza su tutti i livelli della struttura di influenza, mentre le
persone tendono di regola ad essere influenzate dai loro pari.
• Un opinion leader che sia un top influential può costituire una
autorità affettiva o cognitiva per pubblici di followers
potenzialmente anche molto vasti, presso i quali è in grado di
agire potenziando la credibilità di un messaggio.
• Avere dalla propria parte un opinion leader ha grande valenza
strategica per le organizzazioni, perché può agire come un
moltiplicatore dei loro messaggi attraverso i media.
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Alcune conclusioni sugli opinion leader
• un o.l. è tale “in quanto riscuote la fiducia dell’influenzato”;
• l’efficacia della comunicazione di massa è largamente connessa
a e dipendente da processi di comunicazione non mediale
interni alla struttura sociale in cui vive l’individuo;
• per le organizzazioni è quindi importante identificare quali
specifici opinion leader possano esercitare influenza sui propri
pubblici di riferimento ed entrare in relazione con loro;
• Ronald Burt (1999) individua due condizioni affinché il contagio
dagli opinion leader possa avvenire:
• coesione= il c. avviene per la forza della relazione tra ego e alter
• equivalenza strutturale= il c. avviene per competizione , poiché
ego e alter hanno relazioni simili con altre persone.
• gli opinion leaders sono piuttosto degli opinion “brokers”, che
portano le informazioni attraverso i confini sociali tra i gruppi.
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•
•
•
•
I gatekeeper
“persone che possiedono le chiavi del cancello”.
sono individui che controllano l’accesso a qualche cosa:
A) rivestono alcuni ruoli sociali, detti gatekeeping roles;
B) decidono se un determinato messaggio debba essere o
meno diffuso da uno o più mass-media.
• Sono importanti per le relazioni istituzionali perché “filtrano,
reinterpretano e trasferiscono all’opinione pubblica, con il
peso della loro autorevolezza, i messaggi elaborati dalle
stesse organizzazioni” (Muzi Falconi, 2005)
• Vi rientrano “tutte le forme di controllo dell’informazione che
possono determinarsi nelle decisioni circa la codificazione dei
messaggi, la diffusione, la programmazione, l’esclusione di
tutto il messaggio o di sue componenti… “ (Wolf, 1995)
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I gatekeeper
• Lo sono tutti coloro che parlano ad un pubblico ampio attraverso
i media e si astengono dal dire alcune verità importanti;
• la sostanza dell’attività è quella di agire in modo tale da far
rispettare i limiti informativi imposti dal sistema;
• molti gatekeeper utilizzano tecniche emotive per generare
fiducia e ottenere credibilità;
• oltre ai giornalisti, possono assumere il ruolo di gatekeeper
anche scrittori, opinionisti, intellettuali, scienziati, politici e
diversi altri soggetti che ricoprono particolari ruoli sociali;
• Il gatekeeping si basa sul fatto che le persone comuni sono
portate a ritenere “vero” ciò che gli “esperti” dicono e questo
ostacola l’apprendimento di “fatti veri” riferiti da persone non
ritenute autorità cognitive nel settore.
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I gatekeeper
• Il potere e l’influenza esercitata dai gatekeeper deriva dal
fatto che vengono presentati dai media come esperti in
un campo del sapere nel corso di più passaggi mediali;
• La tipologia dei gatekeeper (Randazzo, 2008):
• 1) persone che sono del tutto inconsapevoli di esserlo,
ma che, per quanto preparate, sono condizionate e non
riescono a ragionare fuori dalle logiche del sistema;
• 2) persone consapevoli di esserlo, ma che agiscono per
timore di perdere privilegi o il posto di lavoro, per cui
“coltivano la capacità di escludere argomenti scomodi”;
• 3) persone consapevoli di esserlo, avendolo scelto
liberamente, di solito ben preparate e adattate al
sistema e persuase di essere nel giusto.
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I gatekeeper
• Il relatore istituzionale deve tenere conto che:
• le interazioni con i gatekeeper che rientrano nella seconda e
nella terza classe sono vere e proprie interazioni di ruolo, e
questo si riflette sul loro comportamento e disponibilità;
• spesso i gatekeeper hanno una notevole popolarità e
numerosi followers, su cui esercitano suggestione e influenza;
• i gatekeeper contano sull’effetto dell’interazione parasociale
(IPS), che “crea un legame emotivo” tra loro e il pubblico,
fondato sull’immagine creata dai media e sulla fiducia.
• nelle relazioni istituzionali i gatekeeper sono interlocutori
rilevanti e la loro identificazione è una delle fasi più delicate e
richiede un’attenta analisi delle variabili che influiscono sul
raggiungimento degli obiettivi da parte dell’organizzazione.
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Stefano Scarcella Prandstraller
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