Funzioni di due variabili
Una funzione z = f(x, y)
nelle due variabili x e y è
una relazione fra tre
sottoinsiemi U, V, W del
campo reale, tali che:
U  V W
ossia per ogni x  U e
per ogni y  V si abbia
z = f(x, y) con z  W.
•
x e y si chiamano variabili indipendenti
•
z si chiama variabile dipendente
ed è tale che ad ogni coppia (x, y)  U  V corrisponda
uno ed un solo valore di z W.
In modo analogo si definiscono le funzioni di più variabili.
1
Dominio di funzioni a più variabili
L’insieme U  V si chiama il
dominio della funzione e W è lo
spazio di arrivo o codominio.
z
Esempio 1:
z = g(x, y) =
x2
+
y2
2
-xy
 il dominio di g(x, y) è R2.
Esempio 2: z  x 2  y 2  4
il dominio è il luogo dei punti
per cui: x2 + y2 - 4  0, cioè è
costituito dall’insieme dei punti di
R2 privato del cerchio di centro O
 (0,0) e raggio 2
y
x
r=2
z = f(x, y) è una superficie.
2
Equazioni parametriche
Se si considerano tre funzioni definite e continue di due
parametri u e v il punto
 x   x(u, v )
y   y(u, v )
  

 z   z(u, v )
descrive una superficie in forma parametrica (che in
particolare è un piano se le tre funzioni sono lineari), purché
però le due variabili u e v siano funzionalmente indipendenti.
Esempi di equazioni parametriche
 x  r cos u 
 x  v cos u 
 x  r cos  cos 
  

sferay    r cos sen  , cilindro y    rsenu , cono y    vsenu 
  

 z   v 
 z   v 
 z   rsen 
3
Curve di livello
Sia z = f(x, y), ponendo f(x, y) = c, (c costante reale) , si
ottengono, per ogni valore di c le curve di livello, ossia
l’insieme dei punti di ugual quota.
z
Curve di livello
y
x
4
Curve disegnate sulla superficie
Se nelle tre funzioni parametriche si pone u in funzione di v (o
viceversa) si ottiene una curva sulla superficie.
Allo stesso modo, se nell’equazione z = f(x, y) si pone x = g(y)
o viceversa, si ottiene una curva disegnata sulla superficie.
Se la funzione è lineare (y= mx+ q) si ottiene una sezione
piana della superficie.
Nella figura, sulla sfera
in forma parametrica,
si è posto = 3
5
Sistema di curve coordinate
Su una superficie in forma parametrica, l'insieme di tutte le
curve ottenute ponendo u costante (o v costante) viene
chiamato sistema di curve coordinate.
Lo stesso accade se nell’equazione z = f(x, y) si pone x=h e
y=k si
Ogni coppia di valori (u, v) o (h, k) dà un punto della superficie.
Esempio: nella sfera
• =0 dà l'equatore,
• =0 dà il meridiano di Greenwich,
E in generale:
• =h dà i paralleli
• =k dà i meridiani
6
Limiti di funzioni di più variabili
Sia z = f(x, y) una funzione di due variabili; sia P0  (x0, y0) un
punto fissato del piano e P  (x, y) un punto generico del piano.
Come è noto, si chiama distanza tra P e P0, la quantità:
d  ( x  x0 )2  (y  y0 )2
Si dice che:
lim
( x ,y )( x0 ,y0 )
f ( x, y )  L
se per ogni ε > 0 si può determinare un numero positivo δ che
dipende dalla scelta di ε del punto P0, tale che se:
d(P, P0) < δ,
con P  dom(f )
si abbia :
|f (P) - L| < ε 
L - ε < f (P) < L + ε
7
Continuità
Sia z = f(x, y) una funzione di due variabili; sia P0  (x0, y0) un
punto fissato del dominio; si dice che z = f(x, y) è continua in
P0 se:
lim f (x, y )  f (x0 , y0 )
P P0
f(x, y) è continua nel dominio DR2, se è continua in tutti i
punti del dominio.
Per mostrare che vale la condizione, è sufficiente considerare la
generica retta in R2, passanti per P, e verificare che lungo di
essa f(x, y) abbia sempre il valore del limite uguale al valore
della funzione nel punto.
Empiricamente, possono essere punti di discontinuità i punti al
bordo del dominio o i punti che sostituiti nella funzione danno
luogo ad una forma di indecisione.
8
Esempio
Stabilire la continuità di z 
(1)
xy
nell’origine O  (0,0).
2
2
x y
Per mostrare che lim f (x, y ) non esiste è sufficiente individuare
P O
due curve in R2, passanti per O, lungo le quali f(x, y) abbia
valore del limite diverso.
• Se ci si muove lungo l’asse delle ascisse, cioè lungo la retta
di equazione y = 0, si ottiene:
xy
h0
lim

lim
0
( x ,y )(h,0) x 2  y 2
( x ,y )(h,0) h2  02
• analogamente se ci si muove lungo l’asse delle ordinate,
ossia lungo la retta di equazione x = 0, si ottiene:
xy
0k
lim

lim
0
( x ,y )(0,k ) x 2  y 2
( x ,y )(0,k ) k 2  02
9
Esempio
(2)
 se invece ci si muove lungo la retta generica uscente
dall’origine, di equazione y = mx, (con m  0) si ha:
xy
x(mx)

lim

( x ,y )( x ,mx ) x 2  y 2
( x ,y )( x ,mx )) x 2  (mx )2
lim
mx 2
m

lim

( x ,y )( x ,mx )) x 2 (1  m2 )
1  m2
Avendo trovato valori del limite diversi lungo direzioni differenti,
il limite non esiste poiché per il teorema di unicità del limite, se
esistesse esso dovrebbe essere unico; quindi la funzione ha un
punto di discontinuità nell’origine.
10
Derivate parziali
Sia z = f(x, y); e sia (x0, y0) un punto del dominio, si chiama
derivata parziale lungo l’asse x valutata in (x0, y0), la
quantità, se esiste:
f (x0  h, y0 )  f (x0 , y0 )
 f 

lim
 
h
 x ( x0 ,y0 ) h0
Analogamente per la derivata parziale lungo l’asse delle
ordinate:
f ( x0 , y 0  k )  f ( x0 , y 0 )
 f 
 lim
 
k
 y ( x ,y ) k 0
0
0
In altre parole, la derivata parziale si calcola come una
derivata ordinaria, mantenendo costante la variabile che non
viene coinvolta nella derivazione.
È possibile estendere in modo ovvio la definizione di derivata
parziale a funzioni con più di due variabili indipendenti.
11
Esempio
Sia :
z = f(x, y) = x2y3 + sen(xy2) + x - 4y.
Valutare le derivate parziali prime nell’origine O  (0,0) e nel
punto P  (1,-1)
 f 
 2 xy 3  y 2 cos(xy 2 )  1 (0,0)  1
 
 x (0,0)
 f 
 3x 3y 2  2 xy cos(xy 2 )  4 (0,0)  4
 
 y (0,0)
 f 
 2 xy 3  y 2 cos(xy 2 )  1 (1,1)  1  cos(1)
 
 x (1,1)
 f 
 3x 3y 2  2xy cos(xy 2 )  4 (1,1)  1  2 cos(1)
 
 y (1,1)








Come si è già detto più volte per le funzioni di una variabile,
prima si calcola la derivata, poi si sostituiscono le coordinate
del punto.
12
Derivata direzionale (1)
La limitazione delle derivate parziali è che il calcolo avviene
muovendosi solo lungo gli assi coordinati, ma non si hanno
informazioni se ci si muove in una direzione qualsiasi.
Si introduce allora un’altra definizione.
Sia z = f(x, y) definita in un intorno sferico di P0  (x0, y0) e
sia
u 
u   1
u2 
un vettore unitario (versore): tale cioè che ||u||2=u12+u22=1.
Si chiama derivata di f nella direzione del vettore u , se
esiste, la quantità:
f (x0  hu1, y0  hu2 )  f (x0 , y0 )
 f 
 lim
 
h
 u ( x0 ,y0 ) h0
13
Derivata direzionale (2)
1
0
u 
u 
Se in particolare: u=e1=i   1     o se u=e2=j  1    
u2  0
u2  1
Risulta:
 f 
f (x0  h, y0 )  f (x0 , y0 )  f 


 lim
 
h

0
h
 x  x0 ,y0 
 e1  x0 ,y0 
o:
 f 
f (x0 , y0  h)  f (x0 , y0 )  f 


 lim
 
h
 y ( x0 ,y0 )
 e2 ( x0 ,y0 ) h0
Si dimostra che è possibile costruire la derivata direzionale
lungo il vettore u a partire dalla conoscenza delle derivate
parziali prime lungo gli assi coordinati:
 f 
 f 
 f 
 
u1   
u2
 
 u ( x0 ,y0 )  x ( x0 ,y0 )
 y ( x0 ,y0 )
14
Esempio
 1
3
Sia: z = f(x, y) = x2y3 e u   3 
u  i
j
 
2
2 
Valutare la derivata direzionale in P  (1, 1).
Per ottenere il versore v associato al vettore u, basta dividere
le componenti di u per la norma del vettore u :
3
1
2
3
3
7
7
v
i 2 j 
i
j
u  1 

7
7
7
7
4
4
2
2
2
Usiamo la relazione precedente: è
 f 
3
   2xy
 x 
Quindi:
 f 
2
 
 x (1,1)
 f 
   3x 2y 2
 y 
 f 
3
 
 y (1,1)
2
3 4 7  3 21
 f 
2
3

 
7
7
7
 u (1,1)
15
Operatore nabla
Si può notare un’analogia tra la relazione:
 f 
 f 
 f 

u

u

 

1
2

u

x

y
 ( x ,y )
 ( x ,y )
 ( x ,y )
e l’usuale prodotto scalare tra vettori. Si dimostra che le
quantità
f
e f
x
y
costituiscono le componenti di un vettore che viene associato
ad una qualsiasi funzione f(x, y); tale vettore si chiama
gradiente di f : grad f = f .
Il simbolo f è detto nabla f ed equivale al gradiente di f
(gradf ). Il vettore f ed il vettore u si rappresentano nella
base canonica {i, j}:
f
f
f
f
f 
i
j
f  u 
u1 
u2  gradf  u
x
y
x
y
Ove u = u1 i+ u2 j è un vettore unitario.
16
Derivate di ordine superiore al primo
Data la funzione in più variabili z = f(x, y), è possibile
costruire le derivate successive di ordine superiore al primo:
z = f(x, y)
z
y
z
x
  z  2 z
 
x  x  x 2
3 z
x 3
3 z
yx 2
  z 
2 z
 
y  x  yx
3 z
xyx
3 z
y 2x
  z 
2 z
 
x  y  xy
3 z
x 2y
3 z
yxy
  z  2 z
 
y  y  y 2
3 z
xy 2
3 z
y 3
………………………………………………………………………………………………
17
Significato della notazione utilizzata
Derivata della derivata
Derivazione rispetto ad
x per due volte
Derivata della derivata
Prima si deriva rispetto
ad x ed il risultato è
derivato rispetto ad y
2 z
x 2
2 z
yx
Nell’esempio seguente si nota che le due derivate seconde
“miste” hanno lo stesso valore. Tale uguaglianza si verifica
sempre, purché sia soddisfatto il teorema di Schwartz.
Se la funzione z = f(x, y) è continua e derivabile con derivate
prime continue nell’intorno sferico del punto P0  (x0, y0), allora
vale l’uguaglianza:
 2 z 
 2 z 




 yx    xy 

 P0 
 P0
18
Esempio
Data la funzione: z = x3y2 + x - y2 calcolare le derivate
parziali prime e seconde.
Derivate prime:
z
 3x 2y 2  1
derivata rispetto ad x:
x
z
derivata rispetto ad y:
 x 3(2y )  2y
y
Derivate seconde:
  z  2 z
2
2

(
y
)(
6
x
)

6
xy
 
x  x  x 2
  z 
2 z
 (3x 2 )(2y )  6 x 2y
 
x  y  xy
  z 
2 z
 (3x 2 )(2y )  6 x 2y
 
y  x  yx
  z  2 z
   2  (x 3 )  2  2  1  2x 3  2
y  y  y
19
Sviluppo di Taylor per una funzione di più variabili
Sia P0  (x0, y0)  D e la funzione z = f(x, y) sia continua e
derivabile nell’intorno di P0 fino all’ordine k, cioè di classe Ck.
La funzione si può approssimare mediante un polinomio
centrato in P0; tale sviluppo si chiama serie di Taylor con
centro in P0.
Se lo sviluppo viene centrato nell’origine, allora la formula di
Taylor assume il nome di formula di McLaurin.
Risulta:


1

f

f




f(x, y) = f(x0, y0)  (x  x0 )   (y  y0 )   
1! 
 x P0
 y P0 
  2f 
  2f  
1
 2f 
2
2
  (y  y0 ) 
 
 (x  x0 )  2   2(x  x0 )(y  y0 )
2


2! 
xy P
x P
y P 




0
0
0 
+ … + Rk
20
Il resto Rk
Rk è il resto o errore che si commette approssimando la
funzione con il relativo sviluppo polinomiale.
Il termine Rk dipende dall’ordine della prima derivata che si
trascura nello sviluppo; ad esempio, arrestando lo sviluppo
alle derivate parziali di ordine k, il resto dipenderà dalle
derivate parziali di ordine k + 1 .
Il termine Rk, inoltre, verifica la relazione:
Rk
lim
0
2
2
( x ,y )( x0 ,y0 ) ( x  x )  (y  y )
0
0
Pertanto Rk è un infinitesimo di ordine superiore rispetto al
quadrato della distanza tra il generico punto Q  (x, y),
ed il punto P0  (x0, y0) nell’intorno del quale avviene lo
sviluppo.
I “conti” sono analoghi a quelli fatti per gli sviluppi di Taylor
per le funzioni di una variabile e si possono estendere alle
funzioni di più variabili.
21
Punti stazionari
Data una funzione z = f(x, y) i punti stazionari sono quei
punti per cui valgono contemporaneamente le relazioni:
 f
 x  0
grad(f ) = 0
f = 0


f

0
 y
Cioè i punti P0  (x0, y0) per cui, presi h e k infinitesimi del
primo ordine, si costruisce Df = f (x0 + h, y0 + k) - f(x0, y0) e
se ne valuta il segno.
Se Df > 0 nell’intorno di P0, allora P0 è punto di minimo.
Se Df < 0 nell’intorno di P0, allora P0 è punto di massimo.
Se Df cambia segno, nell’intorno di P0, si ha un punto di sella.
La proprietà ricorda quella delle funzioni di una variabile:
minimo, massimo, flesso.
22
Matrice Hessiana
Lo studio diretto è piuttosto complicato.
Risulta invece più semplice il metodo che si basa sulla
costruzione delle derivate seconde valutate nel punto
stazionario.
Sia P0  (x0, y0) un punto stazionario; costruiamo le quantità:
  2f 
 2f 
 2f 






 x 2   A
 xy   B
 y 2   C

 P0

 P0

 P0
mediante le quali costruiamo la matrice Hessiana:
HP0 
A B
B C
Per cui risulta: det( HP0 )  AC  B2
23
Classificazione
Essendo
  2f 


 x 2   A

 P0
 2f 


 xy   B

 P0
 2f 


 y 2   C

 P0
in base ai valori assunti dal determinante della matrice
Hessiana si ottengono vari casi:
Se det(HP )  0
0
e A>0 (o C>0): P0 è punto di minimo
Se det(HP )  0
0
e A<0 (o C<0): P0 è punto di massimo
Se det(HP )  0
0
: P0 è punto di sella.
Se det(HP0 )  0 : il caso è indecidibile ossia non si può dire
nulla circa la natura del punto.
24
Esempio
Sia:
(1)
z = 2x3 - 6xy + 3 y2
Determinare gli eventuali punti stazionari.
Se ne esistono, classificarli.
Ricerca dei punti stazionari:
 z
2

6
x
 6y  0
 x
annulliamo le derivate prime: 
 z  6 x  6y  0
 y
 x  0
 P0  (0,0)

2
2
x  x
y  x
y  0



x  y
x  y
 x  1  P  (1,1)
1
y  1
25
Esempio
(2)
Classificazione dei punti P0  (0, 0) e P1  (1, 1) . È
 2 z
 2  12 x
x
 z

2
 x  6 x  6y  0
  2 z
 6



z
 xy

 6 x  6y  0
 y
 2 z
 2 6
 y
La matrice Hessiana calcolata nel generico punto P  (x, y)
vale:
12x  6
H
6
6
quindi in base alla matrice Hessiana, nel punto P0  (0, 0) è:
0 6
HP0 
6 6
det H(0, 0) =-36 < 0  P0 risulta essere un punto di sella.
26
Esempio
(3)
Classifichiamo il punto P1  (1, 1)
12x  6
12  6
H
HP1 
6
6
6 6
det H(1, 1) = 36 > 0 .
Siccome risulta:
  2f 


 x 2   12 x


  2f 


 12  0
 x 2 

(1,1)
P1 è un punto di minimo.
27
Integrali doppi
(1)
Gli integrali definiti hanno il
significato geometrico di area
della regione piana sottostante la
funzione z = f(x,y).
Se si considera una funzione di
due variabili z = f(x, y) il calcolo
dell’area della superficie
delimitata dal rettangolo R:
a≤x≤b c≤y≤d
può essere fatto in modo analogo
suddividendo [a,b] in m intervalli
parziali ∆xr e [c, d] in n intervalli
parziali ∆ys e quindi il rettangolo
in mn rettangoli .
28
Integrali doppi
(2)
Chiamate Lrs e lrs gli estremi superiore e inferiore della f(x, y) nel
rettangolo di lati ∆xr e ∆ys le somme
m n
m n
  Lrs x r y s
  lrs xr y s
r 1s 1
r 1s 1
si chiamano somma superiore e somma inferiore della
funzione z = f(x, y) nella suddivisione.
Procedendo come per gli integrali semplici considerando
l’estremo superiore delle somme inferiori si costruisce:
 f (x, y )dxdy
R
mentre prendendo l’estremo inferiore delle somme superiori:
 f (x, y )dxdy
R
Ove la riga indica rispettivamente le somme superiori o inferiori.
La funzione si dice integrabile se i due integrali sono uguali.
Si ha così l’integrale doppio:
 f (x, y )dxdy
R
29
Proprietà
Come per le funzioni di una variabile, è condizione necessaria e
sufficiente perché una funzione f(x, y) sia integrabile e che sia
definita e continua in R.
Valgono per gli integrali doppi proprietà analoghe a quelle che
valgono per gli integrali semplici:
• Additività: Se R = R1  R2 disgiunti è
 f (x, y )dxdy   f (x, y )dxdy   f (x, y )dxdy
R
R1
R2
• Se f1(x, y) e f2(x, y) sono funzioni integrabili e k1 e k2 sono
due costanti, risulta
 k1f1(x, y )  k2f2(x, y )dxdy  k1  f1(x, y )dxdy  k2  f2(x, y )dxdy
R
R
R
• Il prodotto di due funzioni integrabili è integrabile.
Queste proprietà consentono a volte di semplificare il calcolo di
un integrale doppio, che si può ridurre al calcolo di due
integrali semplici nidificati.
30
Riduzione
È possibile ridurre un integrale doppio definito nel
rettangolo R (a ≤ x ≤ b c ≤ y ≤ d) a due integrali semplici
consecutivi
b
d
a
c
 f (x, y )dxdy   dx  f (x, y )dy
R
Si calcola quindi il primo integrale mantenendo x costante,
per cui si ha una funzione della sola y che si può integrare.
La funzione ottenuta dal primo integrale definito è funzione
della sola x e quindi si può integrare rispetto ad x.
Risulta:
b
d
d
b
a
c
c
a
 f (x, y )dxdy   dx  f (x, y )dy   dy  f (x, y )dx
R
31
Dominio non rettangolare
Se un integrale doppio è definito in una regione S “semplice”
rispetto agli assi, cioè tale che le rette parallele agli assi la
intersechino in segmenti singoli, ugualmente si può ridurre
l’integrale doppio a due integrali semplici consecutivi, uno
dei quali a estremi variabili.
b
d( x )
a
c( x )
c(x)
 f (x, y )dxdy   dx  f (x, y )dy
S
d(x)
Nell’esempio della figura si ha anche:
d
c
b
b( y )
 f (x, y )dxdy   dy  f (x, y )dx
S
a
c
a( y )
d
E risulta:
b
d( x )
d
b(y )
a
c( x )
c
a(y )
a(y)
b(y)
 f (x, y)dxdy   dx  f (x, y )dy   dy  f (x, y)dx
S
32
Esempio 1
(1)
Sia R il rettangolo : 1 ≤ x ≤ 3; 2 ≤ y ≤ 5
Calcolare il valore di
 x 2y  3x 2  xy  4y 2 dxdy
R


La funzione è una combinazione lineare di funzioni, quindi si
ha:
 x 2y  3x 2  xy  4y 2 dxdy
R



2
2
2
x
ydxdy

3
x
dxdy

xydxdy

4
y



 dxdy
R
R
R
Calcoliamo separatamente i vari integrali.
R
Poiché la funzione è un polinomio, e la regione un rettangolo,
è indifferente calcolare prima l’integrale rispetto a x o y;
conviene vedere volta per volta.
3
5
5
3
2 3

y
21  x 3  21 26
2
2
x
ydxdy
  x dx  ydy     x dx 


 91
  
R
2  3 1 2 3
1
2
 2 2 1
2
33
Esempio 1
3
2
5
3
2
1
3 x dxdy  3 x dx  dy  3  3   x 2dx  3  3 
2
1
R
5
3
(2)
26
 78
3
5
8
21

ydy
xdx


ydy
xydxdy

4

 42




2 2
2
2
1
R
2
5
2
3
5
1
2
4 y dxdy  4 y dy  dx  4  2   y 2dy  4  2 
R
2
117
 312
3
Risulta quindi
 x 2y  3x 2  xy  4y 2  dxdy  91  78  42  312  439
R
34
Esempio 2
Sia R la regione piana contenuta tra la parabola di equazione
y = 1 – x2 e l’asse x.
y
Calcolare il valore di  dxdy
1
R
Come si vede dalla figura, è:
-1 ≤ x ≤ 1
0 ≤ y ≤ 1 – x2
Per cui
1
1 x 2
1
1
0
1
x
1

x3  
1 
1 4
2
dxdy

(
1

x
)
dx

dx
dy

x


1



1











3  1 
3 
3 3
R
1

1
0
Più complicato sarebbe calcolare prima l’integrale rispetto a
y, poiché se consideriamo 0 ≤ y ≤ 1, per la x dobbiamo
prendere x2 = 1 – y che non è una funzione a un sol valore,
cioè
 1 y  x  1 y
35
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