Lezione X:
La discriminazione di prezzo
• Difficilmente due passeggeri di un volo di linea
avranno pagato prezzi simili per quello stesso
volo, pur tenendo conto del tipo di biglietto
(classe di volo, cambiabilità, etc.).
• E si tratta solo di un esempio in cui beni identici
(o simili) sono pagati un prezzo differente. Altri
esempi sono i dentifrici, i biglietti per il cinema
o per i musei, il software, etc.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
1
La discriminazione di prezzo: definizione
• La pratica di fissare prezzi diversi per lo stesso (o quasi lo stesso) bene, in funzione della
quantità acquistata, delle caratteristiche del
cliente, o di certe clausole contrattuali, è detta
discriminazione di prezzo (d’ora in poi
DisP).
• In un mercato perfettamente competitivo vale
la legge dell’unico prezzo, e nessuna DisP è
possibile (per beni identici per i consumatori), altrimenti si metterebbe in moto un meccanismo di arbitraggio.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
2
La discriminazione di prezzo: praticabilità
La DisP, per essere praticabile, richiede dunque
(oltre alla presenza di potere di mercato) che
essa non generi un mercato secondario significativo per il bene in questione, cioè che esso
non sia rivenduto successivamente al primo
acquisto.
Questo accade o perché i consumatori non sono
informati delle differenze di prezzo, e/o perché
le caratteristiche fisiche del bene o le regole legali impediscono la rivendita.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
3
Esempi:
• Per esempio, potrebbe essere difficile rivendere un servizio personalizzato.
• O l’energia elettrica acquistata (di cui è comunque usualmente vietata legalmente la rivendita).
• O il gioco non varrebbe la candela (dati i
costi di transazione che si dovrebbero affrontare).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
4
Differenze di costo e discriminazione di prezzo
• C’è una certa ambiguità nella definizione di
DisP che abbiamo proposto, perché beni simili con utilità diverse per i consumatori e/o
costi differenti per le imprese non dovrebbero essere considerati identici. Per esempio, una Fiat in Francia è uguale alla stessa
Fiat in Italia?
• Una definizione più precisa suggerisce di
guardare alle differenze nei rapporti prezzo/costo marginale. Ex: edizione per studenti di libri di testo vs edizione in brossura.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
5
Tipi di discriminazione di prezzo
• La DisP prende una molteplicità di forme.
• Una utile classificazione guarda alle informazioni disponibili per il produttore/venditore sulla disponibilità a pagare dei consumatori/compratori:
• 1) la DisP di terzo grado assume che certe
caratteristiche dei compratori (correlate alla
loro disponibilità a pagare) siano osservabili e utilizzabili tariffariamente. Ex: prezzi
distinti geograficamente, prezzi per studenti, anziani, non residenti, residenti, etc.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
6
Tipi di discriminazione di prezzo: continuazione
• 2) la DisP di secondo grado assume che le
caratteristiche dei compratori non siano osservabili, ma che il venditore abbia delle informazioni sulla eterogenità dei consumatori che gli permettono di offrire dei menu
contrattuali rispetto ai quali i clienti si autoselezionano.
• Ex: tariffe aere Apex per turisti, versioni diverse di prodotti informatici, etc.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
7
Tipi di discriminazione di prezzo: continuazione
Si noti che esistono classificazioni alternative delle
forme di discriminazione.
Per esempio, alcuni autori (Pigou, Varian) definiscono DisP di secondo grado il caso in cui il prezzo dipende dalla quantità acquistata ma non dall’identità
del consumatore. Il classico esempio è quello delle
tariffe non lineari utilizzate in molti servizi di pubblica utilità.
Ma non c’è davvero nulla di speciale nella dipendenza del prezzo dalla quantità piuttosto che da altre caratteristiche del servizio (qualità, garanzie, etc).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
8
Tipi di discriminazione di prezzo: conclusione
• 3) la DisP di primo grado (o perfetta) si applica al caso (teorico) nel quale il venditore
conosce esattamente la disponibilità a pagare
dei consumatori ed è in grado di applicare a
ciascun consumatore e a ciascuna unità venduta un prezzo diverso, potendo così estrarre tutto
il surplus lordo dei consumatori.
• Gli esempi potenziali richiamano il caso di un
venditore che applichi prezzi del tutto personalizzati (artigiano, piccolo dettagliante, etc.).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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La DisP di terzo grado
• In questo caso il produttore può segmentare il
proprio mercato in più gruppi, per esempio su
base geografica (ma non solo: età, reddito, professione sono altri esempi di segmentazione).
• Ex (DisP spaziale): diversi giornali (WSJ Europe) o riviste (l’Economist) internazionali
sono venduti a prezzi diversi nei vari paesi.
• Si veda il riquadro 10.1 a p. 216 per il mercato europeo delle automobili (Verboven, 1996):
prezzi all’esportazione più bassi?
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
10
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
11
La DisP di terzo grado: il caso di un monopolista con due mercati
• (p1, p2) = p1D1(p1) + p2D2(p2) – C(D1(p1) + D2(p2))
Le FOC (per una volta rispetto ai prezzi) forniscono
una semplice implicazione della regola dell’elasticità
inversa:
• /p1 =
D1(p1) + p1D1’(p1)– C’(D1(p1) + D2(p2)) D1’(p1) = 0,
• /p2 =
D2(p2) + p2D2’(p2)– C’(D1(p1) + D2(p2)) D2’(p2) = 0.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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La DisP di terzo grado: il caso di un monopolista con due mercati (continuazione)
Ovvero:
p1(1 – 1/1(p1)) = p2(1 – 1/2 (p2))
= C’(D1(p1) + D2(p2)),
dove i = -piDi’(pi)/Di (pi) è l’elasticità della
domanda sul mercato i (i = 1, 2).
Perciò p2m < p1m se e solo se 2m > 1m.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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La DisP di terzo grado monopolistica (costi unitari costanti) graficamente (dalla Lezione 5):
p1
p2
p1m
p2m
P1(q1)
q1
q1
m
R1’(q1)
P2(q2)
q2m
C’(q)
q2
R2’(q2)
q = q1 + q2
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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Tariffe (prezzi) non lineari
• La possibilità di utilizzare tariffe non lineari (ovvero prezzi unitari che dipendono dalla quantità venduta) aumenta
certamente la profittabilità di un venditore monopolista (ma su di un mercato
oligopolistico bisognerebbe tener conto
anche degli eventuali effetti strategici tra
imprese).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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Tariffe a due parti
• Si consideri il caso più semplice di tariffa
non lineare, quello di una cosiddetta tariffa
a due parti (già menzionata nella Lezione
5):
• T(q) = f + pq,
con “prezzo unitario” dato da T(q)/q = p +
f/q (p = T’(q) è detto “prezzo marginale”).
In tal caso la tariffa offre sconti di quantità
crescenti al crescere di q.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
16
Tariffe a due parti monopolistiche
•
•
Supponiamo che i consumatori siano tutti uguali, e che la loro disponibilità a pagare (la curva di
domanda individuale D(p)) sia nota al venditore.
Se il monopolista deve usare una tariffa lineare, i
suoi ricavi da ciascun consumatore sono pD(p)
e, come sappiamo, le sue scelte ottimali richiedono di produrre e vendere la quantità qm che eguaglia il ricavo marginale (complessivo) al costo marginale. Tali scelte sono illustrate nel grafico che segue (assumendo costi unitari costanti).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
17
Tariffe a due parti monopolistiche
• Se il venditore può usare una tariffa a due
parti, il valore ottimale (ovvero che massimizza i suoi profitti) della sua parte fissa
dovrebbe essere uguale alla somma massima che i consumatori sono disposti a pagare, dato il prezzo marginale p. Perciò:
• f = CS(p)
• (si noti che CS(pm) = B, CS(c) = A + B + C).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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Tariffe a due parti monopolistiche: continuazione
• Ne segue che (sempre in termini individuali):
(p, f) = v(p) + f = (p - c)D(p) + CS(p) = W(p).
• Perciò il prezzo marginale che massimizza i
profitti (poiché CS’(p) = - D(p)) è quello che
massimizza anche il benessere collettivo, ovvero:
• p* = c, q* = qe, f* = CS(c) e
•  *= We = A + B + C!
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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Tariffe a due parti monopolistiche: continuazione
• Si noti che v(c) = 0 e CS(c) – f* = 0, ovvero il
venditore non fa profitti sulla parte variabile, e il
consumatore non ottiene surplus al netto della
parte fissa che deve pagare (si tratta di fatto di un
caso di perfetta DisP).
• Tuttavia il benessere collettivo è massimizzato,
anche se prende interamente la forma di profitto
del venditore:
(c, CS(c)) = CS(c) = W(c).
• C’è dunque un potenziale conflitto tra efficienza
allocativa e (eventuali) preoccupazioni distributive!
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
21
Consumatori eterogenei
• Se i consumatori sono eterogenei, e il monopolista non li può accuratamente distinguere (altrimenti la DisP sarebbe ancora
perfetta, con pi* = c e fi* = CSi(c), anche se
probabilmente illegale a causa delle norme
che tutelano i consumatori), le cose sono
più complicate, ma in generale il prezzo
marginale sarà più basso di quello di monopolio, e perciò il benessere collettivo (e non
solo il profitto) sarà più elevato (minore l’inefficienza allocativa).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
22
Supponiamo per esempio che ci siano due tipi di consumatore (egualmente diffusi), con CS2(p) > CS1(p).
Ex:
p
p°
p
0
B1
D(p)
B2
D2(p°) q1
B1 = CS1(p), B2 = CS2(p),
q1 = D1(p), q2 = D2(p),
D(p) = D1(p) + D2(p),
D(p) = q1 + q2.
D1(p) D2(p)
q2
D(p)
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
q
23
Consumatori eterogenei (2 tipi): continuazione
• Pur potendo usare una tariffa a due parti, il
monopolista non potrà chiedere f = CS2(p), se
desidera vendere anche al consumatore di tipo 1 (altrimenti il risultato è ovvio). Il massimo che può chiedere in tal caso è cioè
f = CS1(p).
• Perciò, ragionando per una coppia di tipi 1 e
2:
(p)= (p - c)D(p) + 2CS1(p) < W(p).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
24
Consumatori eterogenei (2 tipi): continuazione
• La precedente diseguaglianza suggerisce che
in tal caso il prezzo marginale ottimale non
sarà pari al costo marginale (il monopolista
non si appropria in questo caso di tutto il surplus collettivo).
• Si noti che (assumiamo che D1(pm) > 0) pm è
definito dalla condizione che:
D(pm) + (pm – c)D’(pm) = 0.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
25
Consumatori eterogenei (2 tipi): continuazione
Ne segue che (CS1’(p) = - D1(p)):
d(pm)/dp = - 2D1(pm) < 0,
e
d(c)/dp = D2(c) - D1(c) > 0.
Perciò sarà effettivamente:
pm > p* > c.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
26
Consumatori eterogenei (2 tipi): continuazione
• Si dimostra comunque che il monopolista
può fare di meglio se offre ai compratori la
scelta tra due tariffe (a due parti).
• Anche se “non può” (perché non funzionerebbe) offrire le tariffe che corrisponderebbero alla discriminazione perfetta (nessuno
sceglierebbe quella con f = CS2(c)), può in
generale trovare due tariffe (i = 1,2):
Ti = {pi, fi},
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
27
Consumatori eterogenei (2 tipi): continuazione
tali che:
• (i) ogni tipo di consumatore ottiene (al netto della parte fissa) un surplus non negativo
(vincolo di partecipazione o razionalità individuale);
• (ii) ogni tipo di consumatore preferisce la
tariffa disegnata per lui all’altra (vincolo di
autoselezione o compatibilità con gli incentivi).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
28
Consumatori eterogenei (2 tipi): Conclusioni 1
Si dimostra in particolare che (nel nostro esempio):
• p1* > c e f1* = CS1(p1*),
• p2* = c e f1* < f2* < CS2(c).
• Si noti che il consumatore di tipo 1 consuma
una quantità inefficiente q1* < D1(c) e ottiene
un surplus nullo (al netto della parte fissa).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
29
Consumatori eterogenei (2 tipi): Conclusioni 2
• Invece il consumatore di tipo 2 consuma la quantità
efficiente q2* = D2(c) e ottiene un surplus netto positivo.
• In particolare, per riuscire ad ottenere autoselezione
da parte del compratore di tipo 2 (il più disposto a
spendere) il venditore deve concedergli una rendita
(rispetto al caso di perfetta DisP), e fissa p1* > c per
contenerla.
• Il valore del benessere collettivo, relativamente alle
altre possibilità tariffarie, in generale dipende dalle
specificità dell’esempio.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
30
Interpretazione
• Si noti che le tariffe sopra indicate hanno l’ovvia caratteristica che a parti fisse più elevate:
f2* > f1*
• corrispondono parti variabili inferiori:
p2*q < p1*q
(altrimenti una delle due tariffe sarebbe dominata dall’altra: si pensi per esempio ai profili
tariffari più comuni nella telefonia mobile).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
31
Versioning (Categorizzazione)
Il versioning è una forma di DisP del 2° ordine per la quale si offrono pacchetti prezzoqualità {Ti, qi}, dove Ti è la somma da pagarsi per la qualità qi, con modalità del tutto analoga ai menù contrattuali prezzo-quantità visti
sopra.
Esempi sono le tariffe aere Pex e le classi di
molti servizi di trasporto, o le versioni gold di
alcuni prodotti informatici o delle carte di credito.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
32
Versioning: continuazione
•
•
Il principio che governa le forme di versioning è simile a quello visto sopra: tipicamente le “classi” inferiori ottengono una
qualità distorta verso il basso (rispetto a ciò
che sarebbe efficiente) e un surplus nullo o
piccolo, mentre le classi “business” ottengono la qualità efficiente e un surplus elevato o almeno positivo.
Si tratta di un fenomeno già studiato da J.
Dupuit nel 1844 relativamente alle classi
ferroviarie.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
33
Versioning: beni danneggiati
• Un esempio estremo è quello dei “beni danneggiati”, ovvero il caso in cui la versione
di “bassa qualità” è addirittura più costosa
da produrre di quella di qualità elevata (e si
“giustifica” dunque solo come mezzo per
realizzare la DisP).
• Ex: tariffe Apex, Mathematica per studenti
(si veda il riquadro 10.3 a p. 225 del Cabral:
Deneckere & McAfee, 1996).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
34
Beni danneggiati: continuazione
• Il caso dei beni danneggiati illustra un caso indubbio
di DisP (di 2° grado).
• Inoltre è importante anche perché suggerisce che la
possibilità di realizzare la DisP possa consentire un
miglioramento paretiano. Si immagini infatti di
proibire la vendita di una versione danneggiata. Potrebbe ben accadere che la vendita del solo prodotto
di elevata qualità, oltre a danneggiare il venditore,
peggiori la situazione dei mancati acquirenti del
prodotto danneggiato (soprattutto se non possono
permettersi quello integro) e aumenti anche il prezzo
del primo (non ci sono per il produttore vincoli di auto-selezione da rispettare che potrebbero calmierarne
il prezzo).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
35
DisP del 3° grado e miglioramenti paretiani
• Una cosa del genere accade anche quando
la possibilità di fare DisP del 3° grado ha
l’effetto di “aprire” un mercato che rimarrebbe chiuso nel caso dell’utilizzo di un
prezzo uniforme.
• E’ possibile infatti che il prezzo uniforme
ottimale per il venditore sia così elevato
che i consumatori sul segmento “più debole” non sarebbero in grado di acquistarlo.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
36
Bundling (Vendite collegate)
• Alcuni beni sono tipicamente venduti “a pacchetto” per una varietà di ragioni.
Ex: film, Office, diamanti, “tre per due”, etc.
• Si parla di bundling “puro” quando non è possibile acquistare i singoli prodotti, in caso contrario di bundling “misto”.
• Il bundling misto può essere spiegato come una
forma di DisP che permette di “personalizzare” i
prezzi per consumatori differenti.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
37
• Ex: si consideri la seguente disponibilità a
pagare (in €) per due prodotti elettronici
(Tab. 10.1 a p. 226 del Cabral)
Tipi di
n. di
consumatore utenti
Scrittore
40
Contabile
40
Generalista
20
Videoscrittura
50
0
30
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
Foglio
elettronico
0
50
30
38
Bundling: continuazione
• Se i prodotti sono venduti solo separatamente,
i prezzi possibili per entrambi i prodotti sono
30€ o 50€, ma è chiaro che il secondo, che
permette di ricavare 2000€ da ciascun prodotto (senza vendere ai generalisti), è il più conveniente.
• Si consideri ora di aggiungere la possibilità di
un pacchetto venduto a 60€ (bundling misto).
E’ chiaro che in tal caso i profitti salgono di
altri 1200€ ottenuti dai generalisti, che altrimenti non avrebbero acquistato (si tratta dunque di un miglioramento paretiano)!
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
39
Beni durevoli
• Nel caso della vendita di beni durevoli (auto, elettrodomestici, computer), la DisP può prendere la
forma di un prezzo elevato ora (destinato ai consumatori più disposti a spendere), e un prezzo
successivamente più basso per gli altri (per
“ripulire” il mercato).
• Tale eventuale prassi può però trasformarsi in un
boomerang per il venditore, se i consumatori la anticipano e decidono di aspettare (vendite differite e
prezzi inferiori a quello “uniforme” (cioè costante)
di monopolio).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
40
Beni durevoli: come evitare il fato
delle vendite procrastinate?
• 1) impegnandosi (credibilmente) a non
abbassare il prezzo (per esempio offendo
una garanzia di “prezzo minimo”, come ha
fatto la Chrysler; o razionando le vendite,
come la Harley-Davidson e forse la Ferrari);
• 2) affittando il bene (rendendolo cioè non
durevole), come faceva la Xerox.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
41
La DisP dovrebbe essere legale?
• Si riconsideri il caso della perfetta DisP (ottenibile
per esempio mediante una tariffa a due parti se i
consumatori sono tutti uguali, e il monopolista ne
conosce la domanda).
• Si noti che in tale situazione il potere di mercato,
se sufficiente a praticare la suddetta forma di
DisP, non causa nessuna perdita di efficienza, e
anzi permette la fornitura “universale” del servizio.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
42
La DisP dovrebbe essere legale?: continuazione
• Si genera in tal caso, però, un serio problema distributivo, visto che il surplus dei consumatori si
annulla (come abbiamo visto).
• Se, inoltre, la pratica della DisP avesse un costo,
potrebbe accadere che, dal punto di vista sociale, il
benessere al netto di tale costo diminuisca. Si consideri (con riferimento al grafico che illustra la
DisP perfetta) il caso in cui il costo, CDisP, è tale
che:
 = B + C > CDisP > C = W,
dove  e W sono rispettivamente gli aumenti
di profitto e welfare al lordo del costo della DisP.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
43
La DisP dovrebbe essere legale?: continuazione
• Può dunque accadere che la discriminazione
di prezzo riduca il benessere collettivo.
• E’, per esempio, quello che accade con curve di domanda lineari nel caso della DisP di
3° grado rispetto all’imposizione legale dell’utilizzo di un prezzo uniforme, se la DisP
non permette l’’apertura’ di nuovi mercati
(in tal caso la quantità complessivamente
prodotta rimane la stessa).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
44
DisP: considerazioni antitrust
• Sia l’Antitrust europeo che quello statunitense
considerano la DisP anche alla luce di ulteriori
considerazioni, che poco hanno a che vedere con
le implicazioni di efficienza allocativa.
• Per esempio, la Commissione europea si è in passato soprattutto preoccupata della creazione di un
vero mercato unico, per cui ha vietato in diversi
casi la pratica di vendere a prezzi diversi nel territorio dell’Unione (caso United Brands).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
45
Considerazioni antitrust: continuazione
• Analogamente, sulla base del fatto che la
tutela del brevetto si estinguerebbe con la
prima vendita del prodotto, la Corte di
Giustizia europea è sempre stata favorevole
alle cosiddette “importazioni parallele” (la
rivendita da un paese all’altro) all’interno
dell’Unione (che naturalmente ostacolano la
possibilità di fare DisP), ma non dall’esterno (caso Silhouette).
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
46
Considerazioni antitrust: continuazione
• L’Antitrust statunitense si è invece tradizionalmente preoccupato che la DisP venisse utilizzata
come una pratica anticompetitiva tra le imprese
(vietata dal Robinson-Patman Act).
• Per esempio, nel 1950 la Corte Suprema ha vietato
una politica (limitata al territorio di St. Louis) di
sconti della Anheuser-Busch sulla propria birra
perché danneggiava i produttori locali.
IO: X Lezione (P. Bertoletti)
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