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Corso di laurea in Economia e Management delle Imprese di Servizi
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LEZIONE DEL 11 NOVEMBRE 2010
Anno accademico 2010/2011
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Storia delle repubbliche marinare
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Bandiera che raggruppa gli stemmi delle 4 repubbliche marinare principali: dall'alto
a sinistra, in senso orario, gli stemmi di Venezia, Genova, Pisa e Amalfi.
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La definizione di repubbliche marinare, nata nel 1800, si riferisce ad alcune città
costiere, soprattutto italiane, che nel Medioevo, dopo il X secolo, godettero di
un'autonomia politica basata su una prosperità economica dovuta alle loro attività
marittime.
Dal secondo dopoguerra la definizione è in genere riferita in particolare alle
quattro città italiane i cui stemmi sono riportati nella bandiera della Marina
Militare: Amalfi, Genova, Pisa e Venezia. La bandiera della marina si fregia degli
stemmi di queste quattro città dal 1941; è dal quel momento si cominciò a parlare
di
quattro
repubbliche
marinare.
In realtà, una città può essere annoverata tra le repubbliche marinare quando
possedeva le seguenti caratteristiche: godere di indipendenza (governo autonomo
sotto forma di repubblica oligarchica), avere una propria moneta accettata in tutto
il Mediterraneo, aver partecipato alle crociate, possedere una flotta di navi, avere
fondaci, "consoli delle nationes" che ne curassero gli interessi commerciali nei porti
mediterranei. Fra le repubbliche marinare si possono quindi ricordare anche
Ancona, Gaeta, la repubblica dalmata di Ragusa, Trani e Noli. In alcuni momenti
storici esse ebbero un'importanza non secondaria rispetto ad alcune delle quattro
più note.
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Le principali repubbliche marinare furono senz'altro la Repubblica di Genova e
la Repubblica di Venezia, quest'ultima nel momento della sua massima
espansione territoriale era riuscita a conquistare gran parte dell'Italia del
Nord-Est, arrivando a pochi chilometri da Milano, oltre all'Istria, l'intera
Dalmazia (Ragusa per centocinquant'anni), e vaste regioni della Grecia: le isole
Ionie, la Morea (attuale Peloponneso, anche se solo temporaneamente) e le
isole di Creta e di Cipro, oltre a diverse isole dell'Egeo.
L'antagonista per eccellenza della Repubblica di Venezia fu la Repubblica di
Genova , denominata con vari nomi a causa della propria superiorità nei
confronti delle altre repubbliche marinare soprattutto in campo navale, quali
La Superba, La Dominante dei Mari, La Dominante (nome che viene dato
erroneamente a Venezia), o La Repubblica dei Magnifici: se Venezia
controllava il commercio nel Mediterraneo Orientale, Genova oltre ad una
presenza significativa in Oriente e nel Mar Nero (detto anche il lago
genovese), aveva il monopolio dei commerci nel Mediterraneo Occidentale.
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Notevole la sua massima espansione territoriale, che oltre alla Liguria e alcune
zone limitrofe (come l'Oltregiogo), giunse a comprendere per oltre 500 anni la
Corsica, Sardegna, Crimea, Tabarca in Tunisia, Cipro, Creta,Gibilterra,alcune
zone della penisola Iberica,della Sicilia e diverse altre isole dell'Egeo, compresi
importanti insediamenti nell'Impero bizantino, come il quartiere di Galata di
Costantinopoli.
Pisa ebbe una notevole importanza, anche per le conquiste territoriali che nel
momento della sua massima espansione comprendevano la Sardegna, la
Corsica e le Baleari; era attiva soprattutto in Occidente; la rivalità con Genova
e le guerre con Firenze le furono fatali.
Amalfi ebbe una storia gloriosa e precoce di potenza marittima, e le navi
amalfitane battevano i mari insieme a quelle veneziane quando le altre
repubbliche ancora neppure esistevano. La città campana non occupò mai
vasti territori. Se la sua storia di indipendenza e di navigazione iniziò molto
presto, anche la decadenza arrivò presto, a causa dell'arrivo dei Normanni nel
Meridione e per la rivalità di Pisa e Genova.
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Le repubbliche adriatiche di Ancona e quella di Ragusa, sempre alleate per
resistere a Venezia, ebbero una naturale vocazione per la navigazione in
Oriente, e non si espansero mai in modo significativo nell'entroterra,
concentrando tutte le loro forze nelle attività marinare. Dovettero combattere
a lungo con Venezia e il loro periodo di massimo splendore fu tra il Trecento e
Cinquecento. Caratteristica della loro storia è il fatto di non aver mai attaccato
le altre repubbliche marinare, ma anzi la loro continua necessità di difendere
la propria libertà.
Le repubbliche marinare sono importanti non solo per la storia della
navigazione e del commercio: nei loro porti non arrivano solo preziose merci
altrimenti introvabili in Europa, ma anche nuove idee artistiche e notizie su
paesi lontani. Lo spirito di avventura dei navigatori di queste città è sempre
stata una gloria per l'Italia, sebbene offuscata dalla rivalità commerciale che le
metteva l'una contro l'altra.
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Origini
La ripresa economica che si ebbe in Europa intorno all'anno mille, abbinata
all'insicurezza delle vie di comunicazione interne via terra, fece sì che le
principali rotte commerciali si sviluppassero lungo le coste del Mediterraneo.
In questo contesto, la crescente indipendenza via via assunta da alcune città
portuali le portò ad assumere un ruolo di primo piano nello scenario europeo.
Queste città, esposte alle incursioni dei pirati e dei corsari, soprattutto
musulmani, organizzarono in modo autonomo la loro difesa, dotandosi di
flotte sempre più forti da guerra, e furono in grado nei secoli X e XI di passare
all'offensiva, sfruttando le rivalità tra la potenza marittima bizantina e quella
islamica, con le quali vennero in competizione per il controllo del commercio
con l'Asia e l'Africa e delle rotte mediterranee.
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Sviluppo
Sul piano istituzionale, le città formarono dei governi autonomi repubblicani,
espressione del ceto mercantile che costituiva il nerbo della loro potenza. La
storia delle repubbliche marinare si intreccia, infatti, sia con l'avvio
dell'espansione europea verso Oriente, sia con le origini del moderno
capitalismo, inteso come sistema mercantile e finanziario. I mercanti delle
repubbliche marinare italiane utilizzarono monete coniate in oro, in disuso da
secoli, misero a punto nuove operazioni di cambio e di contabilità. Vennero
inoltre incentivati i progressi tecnologici nella navigazione, supporto
fondamentale per la crescita della ricchezza mercantile.
Le crociate offrirono loro occasione per le proprie mire espansionistiche. Venezia,
Amalfi, Ancona e Ragusa erano già impegnate nel commercio con il Levante, ma
con le crociate il fenomeno si accrebbe: migliaia di italiani delle Repubbliche
marinare si riversarono in Oriente, creando basi, scali e stabilimenti commerciali.
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Questi centri mercantili italiani ebbero inoltre una grande influenza politica a
livello locale: i mercanti italiani costituivano, infatti, nei centri dei loro affari,
associazioni di carattere corporativo, dirette a ottenere dai governi stranieri
privilegi giurisdizionali, fiscali e doganali, entro un preciso quadro politico; ne
nacquero varie signorie personali.
Amalfi dal mare
Arsenale di Venezia
Antica mappa di Pisa
Fortezza
genovese
a
Sudak, Ucraina
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Amalfi
Amalfi, forse quella delle repubbliche marinare che raggiunse per prima
un'importanza di primo piano, aveva sviluppato intensi scambi con Bisanzio e
con l'Egitto. I mercanti amalfitani sottrassero agli Arabi il monopolio dei
commerci mediterranei e fondarono nel X secolo basi mercantili nell'Italia
meridionale ed in Medio Oriente.
Tra le testimonianze più importanti della grandezza di Amalfi, sono le Tavole
amalfitane, un codice che raccoglieva le norme del diritto marittimo rimasto
valido per tutto il medioevo.
Per lungo tempo, sulla base di un'erronea tradizione, ad Amalfi è stata
attribuita l'invenzione della bussola.
Amalfi nel 1137 fu saccheggiata dai Pisani, in un momento in cui era
indebolita da catastrofi naturali (gravi inondazioni) e dall'annessione al regno
normanno. Dopo la conquista da parte dei Normanni, iniziò una rapida
decadenza e venne sostituita nel suo ruolo di principale polo mercantile
campano da Napoli.
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Genova
Genova era risorta agli albori del X secolo, quando - dopo la distruzione della
città per mano saracena - i suoi abitanti ripresero la via del mare. L'importanza
della sua flotta le guadagnò il riconoscimento, da parte del sacro romano
imperatore, delle rivendicazioni autonomiste in materia legislativoconsuetudinaria ed economica.
L'alleanza con Pisa consentì la liberazione del settore occidentale del
Mediterraneo dai pirati saraceni, con la riconquista di Corsica, Sardegna, Isole
Baleari e Provenza.
La costituzione della "Compagna Communis", riunione di tutti i consorzi
commerciali della città (chiamati appunto Compagne), cui aderirono anche i
nobili feudatari delle valli limitrofe e delle riviere, sancì definitivamente la
nascita del governo genovese. Le fortune del comune aumentarono
notevolmente grazie all'adesione alla prima crociata: la loro partecipazione
procurò l'acquisizione di grandi privilegi per le comunità genovesi trasferitesi
in molte località della Terra Santa.
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L'apice della fortuna genovese si ebbe nel XIII secolo con la stipula del Trattato
di Ninfeo (1261) con l'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, che, in
cambio dell'aiuto alla riconquista bizantina di Costantinopoli, estrometteva di
fatto i Veneziani dagli stretti che conducono al Mar Nero, che in breve divenne
un mare genovese. Poco dopo venne definitivamente sconfitta Pisa nella
battaglia della Meloria, nel 1284.
Nel 1298, i Genovesi sconfissero inoltre la flotta veneziana presso l'isola
dalmata di Curzola: durante lo scontro venne fatto prigioniero lo stesso doge
veneziano e Marco Polo, il quale durante la prigionia a palazzo San Giorgio
dettò a Rustichello da Pisa, suo compagno di cella, il racconto dei suoi viaggi. Il
dominio dei mari rimase appannaggio di Genova per circa settant'anni, fino al
secondo ed ultimo grande conflitto con Venezia, la guerra di Chioggia del
1379, conclusosi con la vittoria dei veneziani, che riconquistarono
definitivamente il dominio sui commerci per l'oriente.
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Dopo la triste parentesi quattrocentesca, segnata da pestilenze e dominazioni
straniere, la città visse il suo momento di massimo fulgore dopo la riconquista
dell'autogoverno per mano di Andrea Doria nel 1528, infatti per tutto il secolo
seguente Genova si segnalò quale principale finanziatrice della monarchia
spagnola, ricavandone enormi profitti, che permisero alla vecchia classe
patrizia di mantenere ancora per un certo periodo una sostanziale vitalità. La
Repubblica comunque risultava indipendente solo de iure, perché di fatto si
trovava spesso sotto l'influenza delle principali potenze vicine, prima i francesi
e gli spagnoli, poi gli austriaci ed i Savoia; la repubblica infine venne
sottomessa dall'ondata napoleonica nel 1805 ed annessa al Regno di Sardegna
nel 1815 che ne affossò definitivamente l'economia e provocò l'emigrazione
delle migliori maestranze e di gran parte della popolazione rurale verso le
Americhe.
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L'espansione di Genova nel Mar Mediterraneo
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Pisa
Nel 1016 Pisa e Genova, tra loro alleate, sconfissero i Saraceni conquistando la
Corsica e la Sardegna, oltre ad acquisire il controllo del Tirreno. Un secolo
dopo liberarono le Baleari e questa spedizione fu celebrata nel "Gesta
Triumphalia per pisanos" e in un poema epico il "Liber Maiorichinus" composti
negli anni 1113-1115.
Pisa, che a quel tempo si affacciava sul mare, alla foce dell'Arno, raggiunse
l'apice dello splendore tra il XII e il XIII secolo, quando le sue navi
controllavano il Mediterraneo occidentale.
La rivalità tra Pisa e Genova si acuì nel XIII secolo e sfociò nella battaglia navale
della Meloria (1284), che segnò l'inizio del declino della potenza pisana, con la
rinuncia di Pisa a ogni pretesa sulla Corsica e con la cessione a Genova di una
parte della Sardegna (1299). Inoltre, dal 1324, iniziò la conquista aragonese
della Sardegna, che privò la città toscana del dominio sui giudicati di Cagliari e
di Gallura. Dal punto di vista territoriale Pisa mantenne la sua indipendenza ed
in sostanza il dominio della costa toscana fino al 1405, quando venne annessa
da Firenze.
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L'espansione di Pisa nel Mar Mediterraneo
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Venezia
La potenza di Venezia, detta anche la Serenissima, nacque dallo sviluppo dei
rapporti commerciali con l'Impero Bizantino, di cui formalmente fece
inizialmente parte, pur nell'ambito di una sostanziale indipendenza. Venezia
rimase anche in seguito alleata a Bisanzio nella lotta contro Arabi e Normanni.
Intorno all'anno mille cominciò la sua espansione nell'Adriatico, sconfiggendo
i pirati che occupavano le coste dell'Istria e della Dalmazia ponendo la regione
e le sue principali città sotto il suo dominio. All'inizio del Duecento raggiunse il
culmine della propria potenza, dominando i traffici commerciali nel
Mediterraneo e con l'Oriente. Durante la quarta crociata (1202-1204) la sua
flotta fu determinante nell'acquisizione del possesso delle isole e delle località
marittime commercialmente più importanti dell'impero bizantino. La
conquista degli importanti porti di Corfù (1207) e Creta (1209) le garantì un
commercio che si estendeva a Levante, e raggiungeva la Siria e l'Egitto, punti
terminali dei flussi mercantili. Alla fine del XIV secolo, Venezia era divenuta
uno degli stati più ricchi d'Europa.
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Il suo dominio nel Mediterraneo orientale nei secoli successivi fu minacciato e
compromesso dall'espansione dell'Impero Ottomano in quelle aree,
nonostante la grande vittoria navale nella battaglia di Lepanto del 1571 contro
la flotta turca, combattuta insieme alla Lega Santa.
La Serenissima Repubblica di Venezia ebbe forte espansione anche sulla
terraferma, diventando la più estesa delle repubbliche marinare e fu il regno
più potente del nord Italia fino al 1797, quando Napoleone invase la laguna
veneta e conquistò Venezia. Dopo la caduta della Repubblica Cisalpina,
Venezia tornò indipendente, ma era ormai ridotta a una piccola città - stato. Il
maggior consiglio decretò lo scioglimento dei moltissimi organi che
amministravano la repubblica e fu costretto a mettere a capo della città un
duca cadetto degli Asburgo. Venezia cadde definitivamente nel 1848 quando il
generale Radetzky la unì al regno Lombardo Veneto, controllato dall'Austria, di
cui era capitale Milano. In quest'occasione venne sciolta l'ultima magistratura
veneziana, la serenissima signoria, e Venezia rimase all'Austria fino al 1866,
quando il Veneto passò nel Regno d'Italia.
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I domini di Venezia all'inizio del XVI secolo, al momento della sua massima
potenza
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Ancona
Compresa nelle terre pontificie dal 774, Ancona entrò nel Sacro Romano Impero
intorno all’anno 1000, ma acquisì gradualmente autonomia fino a diventare
pienamente indipendente con l'avvento dei comuni (XI secolo). Sebbene
piuttosto chiusa dalla supremazia veneziana sul mare, fu repubblica marinara
degna di nota per il suo sviluppo economico e per i suoi traffici privilegiati
soprattutto con l’Impero Bizantino, con il quale ebbe un legame particolare. Fu in
ottimi rapporti anche con il regno d'Ungheria e fu alleata fraterna della
Repubblica di Ragusa; fu grazie a queste preziose alleanze che riuscì sempre a
difendersi contro Venezia che mirava a rendere l'Adriatico un mare
esclusivamente veneziano. Nonostante il legame con Bisanzio mantenne buoni
rapporti anche con i Turchi.[2]
Attraverso Ancona passava la via commerciale, alternativa a quella veneziana, che
dal Medio Oriente passando per Ragusa, Ancona, Firenze, le Fiandre, conduceva
in Inghilterra; fu perciò la porta d’Oriente dell’Italia centrale; fondachi della
Repubblica di Ancona furono continuamente attivi a Costantinopoli, Alessandria
d'Egitto e negli altri porti bizantini; inoltre inviava e riceveva ambasciatori dalle
stesse città.
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Mentre gli anconitani (sia nobili sia popolani) si dedicavano direttamente ai
traffici marittimi, per lo smistamento via terra delle merci importate
(soprattutto stoffe e spezie) si affidavano invece a mercanti ebrei, lucchesi e
fiorentini. La moneta di Ancona, accettata su tutte le piazze commerciali
mediterranee fu l'agontano. Il suo territorio era compreso tra l‘Adriatico, i
fiumi Esino, Musone ed Aspio ed era difeso da venti castelli: i castelli di
Ancona. Caratteristiche importanti di questa repubblica furono dunque: non
aver mai attaccato le altre città marinare, la continua necessità di difendersi, il
dedicarsi totalmente alla navigazione, il totale disinteresse per l'espansione
territoriale (limitata allo spazio vitale per la difesa e per l'approvvigionamento
alimentare), l'assenza di conflitti interni. A proposito della necessità di
difendersi dagli attacchi esterni si ricorda che Ancona dovette guardarsi
soprattutto dalle mire dell'Impero Germanico (contro cui vinse ripetuti assedi)
e del papato. Le lotte per difendere la propria libertà ebbero sempre esito
positivo, fino a che, nel 1532, il papa Clemente VII, con astuta manovra
politica, riuscì ad impossessarsene.
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Dal punto di vista artistico fu uno dei centri del cosiddetto rinascimento
adriatico, ossia di quel particolare tipo di rinascimento che si diffuse tra
Dalmazia, Venezia e Marche, caratterizzato da una riscoperta dell'arte
classica accompagnata però da una certa continuità con l'arte gotica.
Il più celebre navigatore anconitano fu Ciriaco Pizzecolli, detto il navigatorearcheologo e chiamato dai suoi colleghi umanisti anche "padre delle
antichità"; oggi è detto a volte "padre dell'archeologia", perché dedicò tutta
la vita alla ricerca di testimonianze del periodo greco-romano e perché fece
conoscere ai suoi contemporanei l'esistenza del Partenone, delle Piramidi,
della Sfinge e di altri monumenti antichi celebri e creduti distrutti. Altro noto
navigatore anconitano fu il cartografo marittimo Grazioso Benincasa.
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Ragusa
Nella prima metà del VII secolo Ragusa cominciò a sviluppare un attivo
commercio nel Mediterraneo orientale. A partire dall'XI secolo si impose come
città marittima e mercantile soprattutto nell'Adriatico; il primo contratto
commerciale conosciuto risale al 1148 e fu stipulato con la città di Molfetta,
ma altre città si aggiunsero nei decenni a venire, tra cui Pisa, Termoli, Napoli e
soprattutto Ancona.
Dopo la caduta di Costantinopoli durante la IV Crociata nel 1204, Ragusa
cadde sotto il dominio della Repubblica di Venezia, dalla quale ereditò gran
parte delle sue istituzioni. Il dominio veneto si prolungò per un secolo e
mezzo, determinando l'assetto istituzionale della futura repubblica, con la
comparsa del Senato (1252) e l'approvazione dello Statuto Raguseo (9 maggio
1272). Nel 1358, in seguito ad una guerra con il Regno d'Ungheria, Venezia fu
costretta a rinunciare, con la pace di Zara, a gran parte dei suoi possedimenti
in Dalmazia. Ragusa si diede volontariamente come vassallo al Regno di
Ungheria, da cui ottenne il diritto di autogoverno in cambio del vincolo di
assistenza con la propria flotta e del pagamento di un tributo annuale.
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Ragusa venne fortificata e dotata di due porti. La Communitas Ragusina iniziò
a chiamarsi Respublica Ragusina a partire dal 1403.
Basando la sua prosperità sul commercio marittimo, Ragusa divenne la
maggiore potenza dell'Adriatico meridionale e giunse a rivaleggiare con la
Serenissima Repubblica di Venezia. Per secoli Ragusa rimase alleata dell'altra
repubblica marinara adriatica rivale di Venezia: Ancona. Questa alleanza
permise alle due città poste sulle sponde opposte dell'Adriatico di resistere ai
tentativi della Serenissima di rendere l'Adriatico un "Golfo veneziano", cioè di
controllare direttamente o indirettamente tutti i porti adriatici. Ancona e
Ragusa svilupparono una via commerciale alternativa a quella veneziana
(Venezia-Germania-Austria): tale via iniziava dall'Oriente, passava per Ragusa
ed Ancona, poi interessava Firenze per giungere infine nelle Fiandre.
Ragusa fu la porta dei Balcani e dell'Oriente, luogo di commercio di metalli,
sale, spezie e cinabro. Ragusa raggiunse il suo apogeo nei secoli XV e XVI
grazie anche a convenienti esenzioni fiscali per le merci.
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La struttura sociale era rigida e gli appartenenti alle classi inferiori non
avevano alcuna influenza sul governo della Repubblica. D'altro canto, la
Repubblica di Ragusa si dimostrò estremamente avanzata per altri versi. Nel
XIV secolo fu aperta la prima farmacia, poi un ospizio e il primo lazzaretto
(1347); infine, nel 1418 fu abolita la tratta degli schiavi.
Di fronte all'avanzata ottomana nella penisola balcanica e in seguito alla
sconfitta ungherese nella battaglia di Mohács (1526), Ragusa passò sotto la
supremazia formale del sultano, obbligandosi a pagargli un simbolico tributo
annuale: un'abile mossa che permise di salvaguardare la sua indipendenza.
Con il XVII secolo iniziò per la Repubblica di Ragusa un lento declino, dovuto
soprattutto ad un terremoto (6 aprile 1667), che rase al suolo gran parte della
città facendo 5.000 vittime tra cui il rettore Simone de Ghetaldi.
La città venne presto ricostruita a spese del Papa e dei sovrani di Francia e
Inghilterra, che ne fecero un gioiello dell'urbanistica seicentesca, e la
Repubblica visse un'effimera ripresa.
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La pace di Passarowitz del 1718 riconobbe da un lato la piena
indipendenza, ma dall'altro aumentò il tributo da versare alla Porta,
fissandolo a 12.500 ducati. Per ironia della sorte, la Repubblica
ragusea sopravvisse alla veneta rivale (1797), ma fu occupata dagli
Austriaci il 24 agosto 1798. La pace di Presburgo del 1805 assegnò la
città alla Francia.
Nel 1806, dopo un assedio di un mese, Ragusa si arrese ai Francesi. La
Repubblica venne infine soppressa per decreto dal generale Marmont
il 31 gennaio 1808 ed inserita nel napoleonico Regno d'Italia e quindi,
circa due anni dopo, nelle Province Illiriche dell'impero francese.
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Esplorazione e navigazione
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ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E COMMERCIO MARITTIMO
Nella società comunale al progredire delle industrie è connesso lo sviluppo del
commercio. Questo fu favorito dall'abbattimento di molti castelli (con annessi
territori) feudali, che liberò le vie dai balzelli dei signori, dal progresso della
tecnica navale, dai banchi commerciali di Genova e Venezia che avevano
succursali ed agenti in tutte le città d'Europa e in molte dell'Asia e dell'Africa,
dalla coniazione del fiorino d'oro a ventiquattro carati (1252) che divenne la
moneta più ricercata, dall'istituzione delle lettere di credito e dalle colonie
italiane stabilite in tutti i porti del Mediterraneo orientale e del Mar Nero.
Nel Duecento gli italiani non solo esportano i prodotti delle industrie
nazionali, ma hanno nelle loro mani quasi tutto il commercio d'Europa, di cui
sono i banchieri più ricchi e meglio organizzati, ai quali sovente ricorrono per
prestiti perfino il Pontefice e i sovrani. L'Italia non esiste come stato e sono
ben lontani i tempi in cui dominò il mondo; ma gli italiani sono padroni delle
vie di comunicazione e dominano il Mediterraneo, che economicamente, è
ritornato il "mare nostrum".
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Da necessità commerciali fu causata - sul finire del duecento, un'audacissima
impresa destinata ad aprire nuove vie al commercio con le Indie. L'impresa è
ideata da Genovesi, e tentata con navi, capitali ed equipaggi di Genova. Poiché
quasi preclusa è la via dell'Egitto e della Siria, e lunga e dispendiosa è quella
dell'Asia Minore e dell'Armenia per giungere alle Indie, e gli intermediari
musulmani chiedono prezzi esagerati per le spezie del lontano Oriente, si
cerca di arrivare "ad partes Indiae per mare oceanum", circumnavigando
l'Africa ed affrontando pericoli e difficoltà d'ogni sorta.
I fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi sono gli arditi navigatori che tentano
l'impresa nel maggio del 1291, e l'Allegranza e la Sant'Antonio le navi che
s'avventurano oltre lo stretto di Gibilterra, per l'Oceano sconosciuto che la
fantasia ha popolato di mostri.
Importanza maggiore, per i risultati, hanno i lunghi viaggi dei POLO. Nel 1261 i
fratelli NICCOLÒ e MATTEO Polo, figli del patrizio veneziano Andrea, raggiunta
Sudac, sul Mar Nero, si spingono, per ragioni commerciali, fino a Bolgar, sul
Volga, residenza di BARCA KHAN, dove dimorano parecchi mesi.
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Impedito il loro ritorno da una guerra scoppiata ai confini meridionali del
Kapciac, vanno fino a Bokkara, dove vi rimangono tre anni, e di là, al seguito di
un'ambasceria tartara, giungono in Cina, alla corte del GRAN KHAN KUBLAI,
principe liberale e figlio di madre cristiana, il quale li accoglie gentilmente e
dopo un anno circa, accordata la licenza di partire, incarica i due fratelli di
chiedere al Papa l'invio in Cina di cento uomini dotti allo scopo di diffondere in
quel lontano impero la religione cristiana. Dopo tre anni di penoso viaggio
attraverso l'Asia, i due Polo giungono al porto di Lajazzo e, nell'aprile del 1269,
ad Acri, dove s'imbarcano per Venezia. Ma papa Clemente è morto e la
cattedra di S. Pietro è vacante. Per ben due anni i fratelli Polo aspettano a
Venezia l'elezione del nuovo Pontefice; stanchi dell'attesa e desiderosi di
tornare alla corte del Gran Khan, vanno ad Acri, dove ricevono lettere per il
sovrano dei Mongoli da TEBALDO di PIACENZA, legato pontificio, poi si recano
a Lajazzo, ma qui giunti sono richiamati ad Acri dal legato che nel frattempo è
stato eletto Papa col nome di Gregorio X e che li munisce di credenziali per
Kublai e li fa accompagnare da due frati, NICOLA di Vicenza e GUGLIELMO di
Tripoli.
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Insieme con i due fratelli c'è un giovinetto diciassettenne, MARCO, figlio di
Nicolò Polo, che, insieme col padre e lo zio, per ventiquattro anni soggiornerà
in Asia, percorrendola quasi tutta. Abbandonati, poco dopo, dai due frati, i
Polo proseguirono soli per la lunga e difficile via: attraversarono l'Armenia e la
Persia; per l'altipiano di Kirman, il Korassan e il Badakscian giunsero nella
regione del Pamir e poi, attraversata la val del Tarim e il deserto di Gobi,
giunsero a Clemenfu, residenza estiva del Gran Khan, dopo circa tre anni e
mezzo di viaggio. Alla corte del sovrano mongolo, MARCO POLO imparò i
costumi e la lingua del paese e tanto entrò nelle grazie e nella stima del Gran
Khan che questi lo mandò in missione speciale nelle province della Cina
Meridionale. E così MARCO POLO ebbe occasione di viaggiare ancora, di veder
paesi nuovi, ignoti perfino allo stesso imperatore, ed arricchire il suo già vasto
corredo di cognizioni durante un anno di peregrinazioni.
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Rivelatosi viaggiatore audace e resistente alle fatiche e ai disagi, osservatore
acuto di uomini e cose, conoscitore delle lingue e dei costumi e, forse, abile
diplomatico, ed acquistata per questi motivi la fiducia dell'imperatore, Marco
Polo fu nominato governatore di Jang-ceu, carica che ricoprì per tre anni, dal
1278 al 1280; visitò in lungo e in largo l'Asia orientale, fu in India e nel
Turkestan; rese preziosi servizi al sovrano in spedizioni militari e non trascurò
di chieder notizie di paesi e popoli lontani.Poi nacque nei tre Veneziani la
nostalgia della patria; chiesero ed ottennero licenza di ritornare al loro paese,
ma a condizione che accompagnassero al re Argon di Persia, pronipote di
Kublai, la principessa tartara Cocacin.
Furono fatti preparativi imponenti per il viaggio: si allestirono quattordici navi
a quattro alberi, si caricarono viveri per due anni, furono date ai Veneziani due
tavole d'oro come passaporto, ricchissimi doni e messaggi per i principi
tributari, ai quali il Gran Khan ordinava di fornire gratuitamente l'ambasceria e
il suo seguito di quanto abbisognassero, e quando ogni cosa fu pronta, al
principio del 1292, la piccola flotta con a bordo seicento persone oltre gli
equipaggi, partì da un porto vicino a Pechino.
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L'armata costeggiò le rive del Mar Giallo e del Mar Cinese Orientale, toccò
Ciang-ciou, i porti dell'Annam, della Cocincina, l'isola di Bintang, Malacca e,
dopo tre mesi di navigazione, giunse all'isola di Sumatra. Per ben cinque mesi i
venti contrari costrinsero la flotta a rimanere all'ancora in uno dei porti della
costa settentrionale, e quando il vento propizio tornò a gonfiare le vele, i
viaggiatori salparono; toccarono prima le isole Nicobare, poi le Andamane; di
qui iniziarono la traversata del Golfo del Bengala e giunsero all'isola di Ceylon,
indi, toccata Kael e doppiato il capo Comorin, giunsero a Quilon, sulla costa
del Malabar, poi costeggiando la provincia di Canara e la penisola del Guzerat,
arrivarono a Cambay.
Dopo diciotto mesi di navigazione nell'Oceano Indiano, giunsero finalmente
nel porto di Ormuz. Molte cose durante tutto questo tempo erano accadute,
vicende certamente dolorose - forse combattimenti con selvaggi, epidemie,
tempeste, naufragi - tanto che di quattordici navi probabilmente una sola
gettò l'ancora nel porto di Ormuz e di seicento e più uomini solo diciotto
riuscirono a giungere in Persia.
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Ma quando l'ambasceria giunse finalmente alla sua meta il re Argon era morto
e in sua vece regnava il fratello Acatu, il quale così pare - consigliò Marco Polo
e i suoi compagni di portare la principessa al principe Cazar, figlio di Argon,
che si trovava allora nel Khorassan.
Di ritorno da questa missione i tre Veneziani presero commiato da Acatu.
L'ultima parte del loro viaggio fu compiuta attraverso luoghi sconosciuti della
Persia e dell'Armenia fino a Trebisonda, da dove poi veleggiarono per
Costantinopoli. Nel 1295, dopo aver toccato Negroponte, giungevano a
Venezia. Ventiquattro anni di assenza, l'aspetto, mutato, la strana foggia del
vestire e l'ibrido linguaggio avevano resi i tre Poli irriconoscibili; ma i parenti si
affrettarono a riconoscerli quando, in un banchetto, furono loro mostrate le
moltissime pietre preziose portate dai viaggiatori; e la Corte di Sabbionera,
dove sorgevano le case, dei Polo, diventò la meta dei curiosi; di tanti Veneziani
che desideravano saper notizie dei lontani paesi dell'Oriente.
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Pochissimi però credevano vere le meraviglie raccontate da Marco Polo ed i
più stimarono il grande viaggiatore un fantasioso narratore di un milione di
favole, ed infatti, questo nomignolo gli fu affibbiato: messer Milione.Tre anni
dopo il suo ritorno a Venezia, e precisamente nel settembre del 1298, nella
battaglia navale di Curzola (che abbiamo già narrata nelle precedenti pagine)
Marco fu fatto prigioniero, condotto a Genova e chiuso nel Palazzo del
Capitano del Popolo, dove fu compagno di prigionia di messer RUSTICHELLO,
scrittore pisano, anche lui catturato dai Genovesi alla famosa battaglia della
Meloria. A Rustichello, Marco Polo iniziò a narrare i suoi famosi viaggi e il suo
lungo soggiorno nei paesi del Levante. Nel maggio del 1299, conclusasi la pace
tra le due repubbliche rivali, MARCO POLO ritornò a Venezia dove morì più
che settantenne tra il 1325 e il 1330. Dall'amicizia con Rustichello da Pisa
nacque il libro che prese il titolo dal nomignolo del suo narratore: "Il Milione“,
una relazione concisa e rapida di tutte le cose che il Polo ebbe occasione di
vedere e di osservare nei suoi viaggi, e di tutte le altre cose di cui da altri ebbe
notizia.
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Non è un vero e proprio racconto delle vicende occorsegli durante le sue
peregrinazioni, perché anzi lo scrittore evita di proposito di parlare di se
stesso e solo nei pochi capitoli che aprono il libro dà alcune notizie sommarie
dei viaggi dello zio e del padre e del suo, ma è una miniera preziosa, ricca,
inesauribie di osservazioni esposte con ordine e diligenza, ed il dettato è così
facile e schietto e sono così grandi le novità e il numero delle cose mostrate
che la mancanza della narrazione dei casi personali non si avverte e non
diminuisce per nulla l'interesse del lettore. Marco Polo non è un letterato né
uno scienziato; ma un mercante desideroso di sapere, un osservatore acuto e
diligente cui non sfugge nulla, che nota, confronta, s'informa, che ha
acquistato, con i suoi viaggi e al contatto di tante e così diverse genti,
grandissima esperienza, che con le numerose relazioni al Gran Khan delle sue
ambasciate ha imparato la difficile arte del riferire, che non si perde nelle
minuzie e non si lascia fuorviare dalle cose di poco conto, ma sa con occhio
sicuro trovare e mostrarci le caratteristiche di un popolo e di un paese e dare il
necessario rilievo alle cose.
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Trasporto idroviario
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Si considerano idrovie le vie d’acqua adibite alla navigazione interna costituite
da corsi d’acqua naturali, corsi d’acqua canalizzati, canali artificiali e canali
attraverso delta ed estuari.
I canali artificiali sono alimentati dalle acque di fiumi o di laghi e possono
essere a versante unico o a versante doppio a seconda che l’acqua scorra in
un’unica o in una doppia direzione. Poiché i battelli che li attraversano sono,
generalmente, di notevoli dimensioni, questi canali devono rispondere a
determinate caratteristiche tecniche per non intralciare la navigazione:
 velocità della corrente compresa tra 1 e 1,5 m/sec;
 raggi di curva non inferiori a 100 metri;
 tirante d’acqua minimo tra i 2 metri per i natanti da 1.350 tonnellate e 3
metri per quelli da 3.000 tonnellate (di portata lorda - dwt).
Le idrovie in corsi naturali sono quelle che utilizzano i fiumi nei quali vengono
effettuati alcuni correttivi (allineamento del tracciato, ampliamento delle
curve, aumento della profondità). Sui corsi d’acqua vengono allestite delle
strutture attrezzate d’attracco a terra dette “porti”.
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Le idrovie in corsi canalizzati o in canali artificiali sono le vie d’acqua realizzate
trasformando tratti di corsi d’acqua naturali in una serie di bacini mediante
sbarramenti, o traverse, lungo il corso stesso.
Infine, le idrovie nei delta e negli estuari permettono a navi di grossa stazza ad
intermodalità FLO-FLO (navi porta chiatte tipo Lash, tipo Seabee) di risalire un
tratto di fiume, anche se questo tipo di navigazione presenta diversi problemi
di idraulica fluviale, soprattutto per i delta che, essendo in continua
evoluzione, non consentono di mantenere un tracciato stabile.
I dislivelli vengono superati dalla navigazione mediante la costruzione di
conche di navigazione, dette “conche vinciane” essendo state inventate da
Leonardo da Vinci, che sono strutture scatolari a cielo aperto, coibentate,
munite di porte su entrambe le testate per mezzo delle quali i natanti possono
entrare e uscire.
Vincoli: le imbarcazione che solcano i canali ed i fiumi sono soggette a vincoli
di tirante d’acqua, cioè la differenza tra franco dell’acqua (distanza tra letto e
cresta) contro il pescaggio dell’imbarcazione e di tirante d’aria (vincolo dei
ponti).
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Come si vede dalle figure, il dislivello può essere superato, in salita o in
discesa, innalzando e abbassando alternativamente con mezzi artificiali il pelo
d’acqua entro conche contigue, o mediante ascensori o piani inclinati. Le
dimensioni delle conche, come anche la profondità, sono variabili.
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Le idrovie hanno costituito, soprattutto in passato, importanti vie di
comunicazione riservate al traffico e al trasporto di grossi quantitativi di merci
pesanti, ingombranti, anche non deteriorabili e, comunque, considerate povere,
cioè di non elevato valore in modo che il costo del trasporto fosse adeguato al
valore delle merci. Nel XX secolo la rapida evoluzione dei sistemi di trasporto, con
l’ammodernamento delle ferrovie, lo sviluppo delle autostrade, l’utilizzo dei mezzi
aerei per le merci più pregiate, ha messo in crisi il trasporto a mezzo idrovia e
frenato lo sviluppo. Se pure la rete idroviaria italiana non può essere confrontata
con quella dei paesi dell’Europa settentrionale come l’Olanda, la Germania, il
Belgio, la Francia, già nel 1220 l’Italia poteva vantare la prima rete fluviale del
mondo, per giungere al XVIII secolo allorché aveva raggiunto un’efficienza tale da
consentire in territorio della Repubblica Veneta il passaggio da Aquileia fino oltre
il Po, in territorio pontificio.
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Fu certamente Torino a promuovere la prima realistica iniziativa tendente a
realizzare una efficiente ed organica rete di canali navigabili nella valle
Padana, configurandosi il Po come l’asse centrale dell’intero sistema idroviario
padano-veneto.
Durante il Medioevo in quasi tutte le città dell’Emilia, della Lombardia e del
Veneto emerse la necessità di costruire canali navigabili allo scopo di
raggiungere il Po, ossia Venezia, che sino al XVI secolo costituì il punto di
incontro del traffico commerciale tra l’Europa e l’Oriente, per inserirsi nel
commercio internazionale. Il canale navigabile assicurava un’autonomia
politica e il collegamento diretto con Venezia evitava lunghe e a volte
vessatorie contrattazioni con città vicine. Le merci che transitavano
maggiormente sui canali erano costituite da materiali da costruzione,
legname, ghiaia, canapa.
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Le reti infrastrutturali idroviarie europee
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I mezzi
La classe unitaria,
secondo CEMT, è la IV
(Rhein-Herne Kanal)
• di larghezza 9,5 mt.
• di lunghezza 80,0 mt.
• di pescaggio a max
carico 2,5 mt.
• di dislocamento a
vuoto 300 ton.
• di dwt 1.350 ton.
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Idroviario in Italia
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Nel sistema idraulico bolognese è possibile individuare ancora il canale Navile
e il canale di Reno. Il primo fu utilizzato in passato come via commerciale con
Ferrara e Venezia; collegava Bologna al grande commercio internazionale ed
era alimentato dal canale di Savena e dalle acque del Reno.
Il secondo servì all’inizio per azionare i mulini e, successivamente, fu adibito
per trasporto merci da Bologna a Ferrara: sino al 1861 ha rappresentato
l’unica fonte di energia per le industrie bolognesi.
Grande importanza ebbe sin dall’antichità nel Friuli il fiume Livenza. Navigabile
con chiatte da 1.350 tonnellate – IV classe, fu molto attivo sino alla fine
dell’Ottocento allorché furono costruite le ferrovie Venezia-Portogruaro e
Treviso-Motta.
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In Lombardia è possibile riconoscere la trama di un sistema, il primo e più
antico, di canali artificiali, detti navigli, che collegavano Milano con l’Adda e il
Ticino originando così un vero sistema idrografico. Attraverso questo sistema,
che nel Medioevo era anche adibito alla difesa della città, si è potuto
assicurare, per secoli, l.irrigazione della vasta pianura, il trasporto di merci e di
persone, nonché la produzione di energia.
Il trasporto di merci fu senza dubbio il più interessante e si sviluppò
velocemente in assenza di altri sistemi concorrenziali e per la possibilità di
trasportare carichi pesanti (di oltre 20/30 tonnellate) in un tempo ragionevole.
Le barche discendevano verso Pavia spinte dalla debole corrente e risalivano
trainate da cavalli o da persone che seguivano lungo le vie alzaie che
fiancheggiavano tutto il percorso.
Nel XV secolo furono scavati canali per 90 km forniti di 25 conche di
navigazione.
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Il complesso delle vie d’acqua navigabili in Italia è stimata in 1127 km.
Secondo le applicazioni della legge n. 380 del 29 novembre 1990 e del
successivo decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione n. 759 del 25
giugno 1992, la sola rete delle idrovie padano-venete è di 957 km. La più
recente normativa (legge 16/2000) individua le vie navigabili d’interesse
internazionale, sulle quali transitano imbarcazioni della IV e della V classe, e
vie d’interesse regionale.
La rete sulla quale si effettua oggi la navigazione merci e pax è di circa 544 km,
riferita ai tratti navigabili del Po e ai canali artificiali, ed è così costituita:
• fiume Po da Cremona al mare (km 292). Nel primo tratto Cremona-Foce del
Mincio vi è il porto di Cremona e vi sono collegamenti col canale CremonaMilano, Mincio e Fissero; nel tratto foce del Mincio-Mare il porto è a Ferrara
(all’inizio dell’idrovia omonima) e i collegamenti sono con l’idrovia ferrarese,
canale Po di Levante e canale Po Brondolo
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• Idrovia Milano-Cremona (km 13,5), d’interesse internazionale. Progettata per il
transito delle moderne navi da carico fluviali è stata dimensionata per la V classe
CEMIT. Attualmente è in funzione solo un tratto del canale che arriva a
Pizzighettone.
• Fiume Mincio, da Mantova alla confluenza del Po (km 21), d’interesse
internazionale. Il tratto navigabile del fiume Mincio, inaugurato nel 2002 e
adibito alla navigazione commerciale, è quello che va dal lago di Mezzo di
Mantova alla foce sul Po avendo le caratteristiche corrispondenti alla IV classe
CEMIT . La parte superiore, dal lago di Garda al lago Superiore di Mantova, è
invece percorso solo da imbarcazioni sportive.
• Idrovia Mantova-mare, attraverso i canali Fissero-Tartaro-Bianco (km 135),
d’interesse internazionale. Si tratta di un percorso parallelo al Po, ad una
distanza di 30-40 km da esso. Si origina a monte del porto di Mantova e, dopo
aver attraversato i territori provinciali di Mantova, Verona e Rovigo, termina a
porto Levante alla foce del Po. Lungo il suo percorso sono state costruite sette
conche necessarie per superare i dislivelli. Attraverso numerosi interventi è stata
adeguata per le navi della IV classe CEMIT. Sull’idrovia sono stati previsti i porti di
Mantova, Legnago, Ostiglia, Canda e Rovigo.
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• Idrovia Ferrara-Ravenna (km 70). Realizzata tra gli anni ‘50 e ‘60, questa
idrovia collega il Po a Ferrara con Porto Garibaldi e rappresenta l’ingresso
meridionale al sistema idroviario padano-veneto dall’Adriatico.
• idrovia Po Brondolo (km 14,8). Realizzata alla fine della prima guerra
mondiale e soggetta, nel tempo, a diversi interventi di adeguamento, questa
idrovia collega il Po alla laguna di Venezia in località Brondolo di Chioggia. Su
questa idrovia transita gran parte del movimento ferroviario italiano che
proviene o si dirige verso Venezia e Chioggia.
Attualmente ha caratteristiche relative alla IV classe CEMIT, ma è in progetto
l’adeguamento alla V classe.
A questa rete vanno aggiunte:
• l’idrovia litoranea veneta da Venezia alla foce del fiume Isonzo, lunga 127
km, in funzione turistica; dalle caratteristiche assai variabili a seconda dei
tratti, è nel complesso compatibile con le caratteristiche dei natanti della II
classe CEMIT.
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• l’idrovia Padova-Venezia, progettata all.inizio degli anni .60, dovrà sostituire
il collegamento tra le due città sinora attuato attraverso il naviglio del Brenta
con navi di 150-300 tonnellate; lunga 27,575 km, una volta terminata
consentirà l.attraversamento di navi fluviali da 1350 tonnellate, corrispondenti
alla IV classe CEMIT.
Nel 1978 le competenze sulla navigazione interna sono passate dallo Stato alle
regioni: ciò ha determinato una ripresa e una maggiore attenzione alla rete
idroviaria nazionale.
Recentemente è stata realizzata una idrovia che mette in comunicazione
Chioggia, Mantova e Cremona, attuando un vecchio progetto del 1912 che
intendeva collegare Milano al mare. Su questo canale possono navigare navi
della classe V europea, con carico che può raggiungere le 2000 tonnellate.
Con ulteriori interventi questo canale potrà unire Ferrara e Rovigo e utilizzare
la tratta Peschiera-Mantova. Con i lavori ultimati le province di
Verona, Brescia e Trento raggiungeranno l’Adriatico attraverso il lago di
Garda; in questo modo quasi tutta la pianura padana potrà essere collegata da
Torino al mare.
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Per il traffico pax esiste una navigazione a scopo turistico con:
• il naviglio del Brenta, importantissima via navigabile già dal 1200, fa parte
della linea navigabile di II classe Vicenza-Padova-Fusina e rappresenta un
canale navigabile di eccezionale interesse turistico incontrando lungo il suo
percorso numerosissime ville edificate fra il XVI ed il XVII secolo dai patrizi
veneti, tra cui la ben nota villa Foscari «Malcontenta» e la villa Nazionale
Pisani di Stra;
• il canale Battaglia, completato nel 1201, si origina da Padova per giungere a
Monselice attraverso la riviera Euganea: lungo il suo percorso è possibile
ammirare le sontuose ville e gli edifici signorili che sorgono a breve distanza
dal canale;
• il canale Pontelongo, importante via per il traffico commerciale, perdette la
sua importanza allorché fu costruito il canale Battaglia sul Piovego; oggi
rappresenta un eccezionale percorso naturalistico tra boschi lussureggianti e
la campagna bonificata sino alla laguna di Chioggia e di Venezia sud.
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Le evoluzioni recenti del trasporto per acque interne, nel nostro Paese,
mostrano una tendenza alla crescita per alcune tipologie di merci, anche se
con peso e percentuali diverse rispetto alle maggiori idrovie europee. E’
innegabile che le vie navigabili giocano un ruolo maggiore nelle Regioni che
attraversano e che possono servire direttamente. Dati del 2005 rilevano un
trasporto fluviale al 3% in Francia, 12% in Belgio, 15% in Germania e 43% in
Olanda, attraversata da una fitta rete di canali e fiumi che hanno come
terminale uno dei più importanti porti del mondo: Rotterdam.
La rete italiana, concentrata esclusivamente al nord, offre condizioni geografi
che limitate, che solo in parte possono essere superate dal collegamento con
il corridoio proposto dal mare Adriatico. Inoltre, le caratteristiche tecniche
della stessa rete sono ancora eterogenee con prevalenza per la navigazione di
navi di 3a e 4a classe. La capacità e il ruolo delle vie d’acqua è fortemente
legato al tessuto produttivo ed alla connessione con il territorio che le
circonda.
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Nel 2007 il trasporto nel sistema idroviario padano-veneto ha mantenuto le
stesse caratteristiche del precedente biennio, con un aumento sensibile delle
merci secche alla rinfusa (cereali e sfarinati) che nell’area mantovana hanno
avuto un aumento di quasi il 90%. Si stanno affrancando e consolidando
alcune tipologie tipiche di merci nel trasporto via acqua: le rinfuse secche, i
prodotti chimici, i prodotti energetici e gli inerti. Sono ancora poche, ma è già
un buon punto di partenza. I cereali e gli sfarinati, complessivamente, sono
aumentati di circa il 20%, sostenuti da una politica di incentivi del porto di
Mantova e dal trasporto di un fornitore-armatore che ha la sua area di
distribuzione a nord del Po.
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Un’altra filiera interessante potrebbe essere quella del container, che soffre
degli stessi problemi ed anche di scarsa organizzazione logistica.
Diversamente da quanto dovrebbe essere, il trasporto fluviale in Italia soffre di
competitività economica, dovuta anche al fatto che i viaggi delle navi o
convogli hanno un percorso, in salita o discesa, sempre a vuoto che incide sui
costi.
In Francia il costo del trasporto varia in funzione delle dimensioni delle navi. In
media (dati 2007) è di 2,5 centesimi di euro per t-km (c€/t-km) per i piccoli
convogli e di 2 c€/t-km per le classi più grandi. Nel nostro sistema idroviario i
costi sono di circa 4÷4,5 c€/t-km.
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Il movimento delle chiatte avviene
• Semovente, con motore a bordo, che presenta:
•
•
•
•
•
Attraverso “spintore” (imbarcazione motorizzata) a tergo della colonna, a
formare un treno di chiatte, che presenta:
•
•
•
•
•
Maggiore autonomia in acqua
Maggiori consumi energetici
Costi totali elevati
Elevato impatto ambiantale
Minore autonomia in acqua
Minori consumi energetici
Costi medi contenuti e distribuiti su più convogli
Basso impatto ambientale
Attraverso “alaggio”, con “ala” (corda) attraverso le “alzaie” cioè terrapieni
a lato dei canali navigabili, chiatte trainate da trattori ovvero cavalli frisoni
“deiettanti” per la conservazione delle alzaie, che presenta:
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•
•
•
•
Minore autonomia in acqua
Minori consumi energetici
Costi totali contenuti
Basso impatto ambientale
• Con “tonneggio”, attraverso una catena annegata in acqua e trainata da
verricello sulla chiatta, che presenta:
•
•
•
•
Minore autonomia in acqua
Minori consumi energetici
Costi totali contenuti
Maggiore impatto ambientale (specializzazione del territorio)
• Con “rimorchiatore”, davanti alla chiatta, che presenta:
•
•
•
•
Maggiore autonomia in acqua
Maggiori consumi energetici
Costi totali elevati
Elevato impatto ambientale
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La velocità media delle chiatte è di 12-15 km/h (pari a 6-8 nodi – un nodo è
pari a 1,852 km/ora=1.852 metri/ora)1.
Ogni chiatta di classe IV da 1.350 tonnellate sottrae alla strada circa 70 TIR e,
se ben organizzata, può costituire un “magazzino viaggiante” per la tecnica del
“just in time”.
Alle chiatte - a fondo piatto - dev’essere garantita la navigabilità specialmente
nei mesi estivi o di “magra” attraverso l’alimentazione di un “alveo di magra”
su giornate/anno, cioè di una porzione navigabile, solitamente centrale, del
canale o del fiume, alveo di magra che viene descritto in apposite tavole di
avviso da parte dell’Autorità di Porto.
1
Nodo è definito come un miglio nautico internazionale (1852 m.) per ora. Questo valore è usato in moltissime
circostanze, anche se non nella totalità, nella navigazione marittima, in idroviaria, lacuale ad aerea. Il suo simbolo,
specificato nel Sistema internazionale di unità di misura è kn, derivante da knot, denominazione anglosassone
dell'unità di misura. Anticamente in alcune navi, la velocità veniva misurata lanciando un solcometro dalla poppa. Il
solcometro era formato principalmente da una sagola alla cui estremità era legato un travetto di legno, (per creare
opposizione all'acqua), e lungo la quale erano stati fatti dei nodi posti ad una distanza fissa di circa 50 piedi e 7,6
pollici (15,433 m). Il calcolo veniva effettuato da due marinai posti a poppa dell'imbarcazione. Uno doveva lanciare la
sagoletta e contare quanti nodi attraversavano le sue dita, mentre un altro teneva il tempo usando una clessidra di 30
secondi. Dato che 15,433 m sono 1/120 di miglio marino, mentre 30 secondi sono 1/120 di ora, il conteggio dei nodi
passati tra le dita del marinaio, in trenta secondi, corrispondeva alla velocità dell’imbarcazione.
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Solcometro (1620)
I nodi marini derivano dall’uso di questo strumento
La sagola che veniva svolta era contrassegnata da nodi equidistanti
La velocita’ erano il numero di nodi che filavano duralte il tempo di una clessidra
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Trasporto su laghi e canali marittimi
I mezzi
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L'aliscafo è una particolare imbarcazione che ferma o a bassa velocità è tenuta
a galla dalla spinta idrostatica ossia a dislocamento (principio di Archimede).
Se - quando propulso per mezzo di un motore (ma anche a vela) - raggiunge
una sufficiente velocità, grazie alla portanza di particolari superfici immerse
(ali collegate allo scafo) si può ottenere la totale emersione dello stesso, con
una conseguente importante riduzione della resistenza di avanzamento. In
queste condizioni, tale imbarcazione, può raggiungere velocità di oltre 50 nodi
(92,7 km/h) con moderato dispendio energetico.
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Il primo prototipo di aliscafo fu costruito da Enrico Forlanini nei primi anni del
Novecento. Per un lungo periodo rimase in una fase sperimentale finché negli
anni cinquanta cominciò ad operare nelle acque interne degli Stati Uniti.
In assoluto la prima rotta aperta in Italia (e nel mondo) è stata nel maggio del
1953 tra Locarno (Svizzera) e Stresa (Italia) sul Lago Maggiore. L'aliscafo, del
modello "PT10" (Freccia d'Oro), era costruito dalla Supramar, società Svizzera
che concesse poi la licenza ai Cantieri Navali Rodriquez.
Il PT10 ospitava 32 passeggeri alla velocità di crociera di 35 nodi marini (circa
65 km/h).
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Il funzionamento dell'aliscafo si basa sul principio di ottenere la forza di
sostentamento del mezzo attraverso la portanza generata dalla parte immersa
di alcune ali collegate inferiormente allo scafo.
Alle basse velocità, l'aliscafo si comporta come una nave convenzionale. Man
mano che la velocità aumenta, la pressione dell'acqua sotto le ali, unita alla
depressione che si forma sopra alle stesse, genera una forza di portanza
opposta al peso del mezzo, che oltre una certa velocità, è sufficiente alla
completa fuoriuscita del suo scafo dall'acqua. Le uniche parti che rimangono
immerse, oltre naturalmente alle ali e relativi "strut" di collegamento di
queste con lo scafo, sono l'elica (collegata all'estremità di un lungo asse) e
l'eventuale timone di direzione. Quando lo scafo risulta del tutto sollevato, la
sola resistenza di avanzamento in acqua è quella prodotta dalle ali che lo
tengono sollevato, resistenza inferiore a quella che lo stesso avrebbe prodotto
(a pari velocità) nel caso fosse rimasto immerso.
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Le ali possono essere di tipo parzialmente immerso o di tipo completamente
immerso; il tipo di ala parzialmente immerso dispone di una capacità
intrinseca di adattamento all'altezza delle onde incontrate in navigazione, il
tipo ad ali completamente immerse necessita di un comando di variazione
continua della portanza delle ali in navigazione per adattarsi all'altezza delle
onde incontrate.
L'efficienza di un aliscafo è maggiore quanto più è ridotto il suo dislocamento,
questo ha reso il suo principio di funzionamento applicabile su mezzi fino a
circa 30 m di lunghezza.
In Italia, le flotte più numerose si trovano in Campania (per il collegamento
con le isole del golfo) e in Sicilia (per il collegamento con le isole Eolie, le Isole
Egadi e Ustica).
Sono in servizio aliscafi anche sui maggiori 3 laghi italiani (Garda, di Como e
Maggiore).
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Il catamarano è una imbarcazione appartenente alla categoria dei multiscafo,
formato da due scafi collegati da una struttura di collegamento chiamata ponte.
I catamarani sfruttano la caratteristica riduzione della resistenza al moto che si
realizza, per le carene dislocanti (cioè il cui sostentamento/galleggiamento è
garantito dalla spinta idrostatica e non da effetti idrodinamici) veloci, attraverso
carene filanti di elevato allungamento cioè con la lunghezza accentuata rispetto
a larghezza ed immersione. Il carico trasportato generalmente trova ospitalità
sia all'interno dei due scafi che sul ponte formato dalla struttura di
collegamento dei due scafi.
I catamarani, in Occidente, sono natanti di concezione relativamente recente,
sono utilizzati per il trasporto veloce di passeggeri e cose, per lo svago e lo
sport. Il Classe A è un catamarano monotipo di piccole dimensioni. La parola
catamarano deriva dalla parola in lingua Tamil kattu-maram கட்டுமரம்: kattu
"legare" + maram "albero", in quanto trae origine dalle imbarcazioni utilizzate
dalle popolazioni del Paravas.
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Anche se i natanti con configurazione dello scafo a catamarano offrono elevati
livelli di stabilità e velocità, non sono certo ideali per il trasporto delle merci
(cargo). È necessario ricordare che l'espansione oceanica delle popolazioni
europee è avvenuta nel principale interesse di apertura delle rotte commerciali
di trasporto, rotte per le quali risultavano redditizie solo imbarcazioni ad
elevato carico (stazza), per le quali la forma monoscafo è perfettamente
idonea.
Vista frontale che evidenzia i due scafi che
compongono l'opera viva del natante
Catamarano Ro-Ro della Condor Ferries
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Catamarano Ro-Pax
Negli ultimi anni si sono diffusi in tutto il mondo i catamarani per il trasporto
combinato di passeggeri ed auto al seguito, su rotte di medio e breve raggio.
Appartenenti alla categoria HSC (High Speed Craft) permettono di ridurre i
tempi di traversata rispetto ai traghetti tradizionali. Grazie ad una propulsione a
idrogetti ed ad un minore attrito sull'acqua questi possono raggiungere velocità
comprese tra i 35 e i 45 nodi, trasportando centinaia di passeggeri assieme a
decine di autovetture, autobus e camion. In Europa queste imbarcazioni
vengono regolarmente impiegate nel Canale della Manica, nel Lago di Costanza,
tra Inghilterra ed Irlanda e tra Svezia e Germania, In Italia vengono impiegati
nella stagione estiva per i collegamenti con Croazia e le isole greche di Corfù e
Paxos.
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Trasporti atipici
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Hovercraft
Un hovercraft o aeroscafo (o anche aeroscivolante come viene talvolta tradotto
in italiano) è un veicolo sostentato da un "cuscino d'aria" e mosso da una o più
eliche. Esso è in grado di spostarsi su diverse superfici. Può essere in grado di
spostarsi a velocità superiori ai 150 km/h. Realizzato in forma industriale o
hobbystica in misure che vanno da 2 metri di lunghezza sino a 130 metri
(RUSSIA Classe ZUMRO). Viene usato per uso dilettantistico, soccorso e militare
per la sua rapidità di lancio, la sua velocità e soprattutto per la sua versatilità
nell'attraversare superfici di differente composizione. Al momento non esiste
normativa Mondiale per la definizione dettagliata di "Veicolo a cuscino d'aria".
L'hovercraft è stato classificato come penultima invenzione nel settore trasporti,
prima dello Space Shuttle. Secondo alcuni autori, tecnicamente, un hovercraft
può essere classificato come appartenente alla classe degli aeromobili ed in tale
ambito, può essere quindi definito come un aerodine a sostentazione per
reazione diretta (il citato "cuscino d'aria") ed in parte alla classe delle
imbarcazioni, anche se non ha eliche immerse in acqua.
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Il funzionamento "nel concetto" è molto semplice, l'aria prodotta dall'elica e
convogliata alle gonnelle crea un flusso costante di uscita verso la superficie,
creando l'effetto "on cushion" (sul cuscino). Questo effetto "galleggiamento"
permette all'hovercraft di alleggerire il suo peso definito dagli Americani "Rabbit
footprint" in quanto l'impronta che "in quel momento" il mezzo ha non è più
pesante di quella lasciata da un coniglio, le gonnelle oltre che offrire stabilità ed
"effetto galleggiante" servono anche ad attraversare asperità senza soffrire come
farebbe la murata di una barca. La parte d'aria non convogliata viene usata come
"Spinta" ovvero per far muovere l'hovercraft in avanti, la direzionalità viene data
dai timoni posti alla fine del tubo venturi. I piccoli Hovercraft virano a 360° su se
stessi (senza nessun problema) sia essi da fermi che a tutta velocità, l'importante
è fare molta pratica. I grossi Hovercraft (ultima generazione) sono muniti di
eliche a passo variabile che servono come aiuto per una rapida virata (su se
stessi) o alla diminuzione di velocità in caso di rallentamento.
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Il primo hovercraft a produzione industriale fu nominato SR-N1 ed era
equipaggiato con motore a pistoni che azionava una serie di eliche intubate,
creando un flusso di "sostentamento" diretto sulla superficie e tramite
canalizzazioni d'aria un sistema di "spinta" attraversando il 25 luglio del 1959 ed
in sole 2 ore di navigazione il Canale della Manica. Alla guida il Capt. Peter Lamb
coadiuvato dall'Ingegnere John B. Chaplin e come "contrappeso a prua" il suo
inventore Ingegner Christopher Cockerell.
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Il successo commerciale degli "hovercraft civili" ha sofferto per la rapida
crescita del costo del combustibile alla fine degli anni "60 e negli anni "70 a
seguito del conflitti nel medio oriente. Gli hovercraft hanno invece continuato
a godere di un certo successo in ambito militare, in particolare negli Americani
con il LCAC, mentre solo dopo la caduta del muro di Berlino si è scoperto in
Occidente che l'Unione Sovietica negli anni del "gelo" aveva realizzato dei veri
e propri "Hovergiant". Definiti dalla NATO come classi ZUMRO e KATALYNA,
questi enormi hovercraft erano in grado di trasportare interi arsenali militari, in
qualunque condizione meteorologica e su qualunque terreno di battaglia.
Negli ultimi anni con l'avvento del kevlar/Carbonio, sono stati sviluppati altri
mezzi di trasporto che utilizzano "la via del mare" con tecniche di costruzione
innovative e consumi ridotti (peso/potenza) e con prestazioni comparabili (se
utilizzati in acqua) ricordiamo gli aliscafi, i catamarani, i trimarani, gli
idrovolanti grandi quanto un Jumbo Jet che viaggiano sfruttando l'effetto
suolo.
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Attualmente gli hovercraft popolano il nostro globo ad ogni latitudine sia per
uso civile che militare. Indistintamente per lunghezza o conformazione
vengono usati come traghetti, mezzi di lavoro su laghi, fiumi, paludi, delta e
mezzi di soccorso sia in mare che in acque interne, con notevole successo
sono stati collaudati come "taxi" per percorrere fiumi ghiacciati o come
rompighiaccio ed anche come mezzi di sbarco per truppe militari.
Altissime velocità, facile manovrabilità, grandi capacità di carico, molteplicità
di utilizzo, indifferenza ed insensibilità alle asperità delle superficie percorse,
invisibilità ai radar o ai sonar nelle versioni militari, unite all'ormai basso costo
di manutenzione, fanno dell'hovercraft un mezzo unico ed insostituibile.
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