Generalita' sull'inquinamento idrico
L'acqua pura in natura non esiste.
Questa risorsa contiene già, anche negli ambienti più incontaminati, un certo grado di
impurità, spesso indispensabile agli ecosistemi naturali.
La risorsa viene definita contaminata quando contiene quantità eccessive di impurità
naturali o di origine antropica. La definizione di inquinamento non è mai (o quasi)
qualitativa, ma quantitativa.
Si definisce inquinamento idrico (Direttiva CEE 76/464 art. 2 comma e):
" lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall'esterno nell'ambiente
idrico di sostanze o di energia, le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo
la salute umana, nuocere alle risorse viventi o al sistema ecologico idrico,
compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque“
L'inquinamento idrico comporta dunque una degradazione della qualità dell’acqua che
compromette la funzionalità dei sistemi ecologici e che ne preclude l'uso del tutto o in
parte.
L’accumularsi di sostanze anomale per l’ecosistema interagisce profondamente con la
componente biotica, ossia con gli organismi viventi.
Differentemente dall’aria che ha una composizione chimica costante da cui è
facilmente rilevabile e quantificabile la deviazione da una situazione normale, l’acqua
di fiumi e torrenti presenta grande varietà di situazioni.
A conseguenza di ciò le leggi di tutela delle acque superficiali non contengono valori
assoluti, ma relativi all'uso che si vuole fare dell'acqua. Pertanto nella normativa sono
presenti parametri diversi: chimici, fisici, microbiologici e biologici che definiscono
criteri di qualità ognuno dei quali esprime le condizioni richieste per un dato uso.
Effetti delle sostanze organiche biodegradabili
Tossicità
Effetti indiretti: eutrofizzazione, accumuli
Effetti delle sostanze organiche non biodegradabili
Effetti diretti
Riduzione della trasparenza dell’acqua,
occlusione e infiammazione degli organi dei pesci
Effetti indiretti
deossigenazione dell'acqua ad opera di reazioni chimiche di ossido-riduzione o alterazione del
pH.
Effetti sulla temperatura
Effetti sulla portata
L’inquinamento delle falde acquifere può avvenire con meccanismi diretti o
indiretti:
Allo scopo di tutelare le acque, secondo il testo aggiornato del D.Lgs. 11 Maggio 1999, n.
152 la qualità dell'acqua è definita secondo due categorie di obiettivi:
 la qualità ambientale
 la qualità per specifica destinazione.
Qualità ambientale
E’ definita in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di
autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.
Qualità per specifica destinazione
Individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad una particolare utilizzazione da parte
dell'uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.
Schema per l’individuazione della qualità dei corpi idrici sulla base del D. Lgs.
152/99 (con particolare riferimento alla qualità ambientale
I PARAMETRI DI QUALITA’ DEI CORPI IDRICI PER SPECIFICA
DESTINAZIONE FUNZIONALE distinguono le acque come:

Acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile

Acque destinate alla balneazione

Acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla
vita dei pesci

Acque destinate alla vita dei molluschi
Le Regioni hanno il compito di stabilire programmi, inseriti nel piano di tutela, e di
fornire un elenco delle acque da aggiornare periodicamente.
I PARAMETRI DI QUALITA’ AMBIENTALE DEI CORPI IDRICI
In linea generale lo stato di qualità ambientale per i corpi idrici viene definito in base allo
stato chimico ed allo stato ecologico definiti a loro volta da parametri precisi.
I metodi utilizzati per la valutazione dello stato chimico variano a seconda degli ambienti
considerati:
 ACQUE SUPERFICIALI
 ACQUE SOTTERRANEE
 AMBIENTI MARINI E COSTIERI
 AMBIENTI DI TRANSIZIONE
Ad esempio, i principali parametri chimici
considerati in acque superficiali sono:
Anche i metodi utilizzati per la valutazione dello stato ecologico variano a seconda degli
ambienti considerati.
 Nel caso di ACQUE SUPERFICIALI viene utilizzato l'Indice Biotico Esteso (I.B.E.),
integrato dall'analisi sui macrodescrittori chimici e microbiologici per ottenere un indice
globale (indice SECA - Stato Ecologico dei Corsi d'Acqua).
 Per gli AMBIENTI LACUSTRI lo stato ecologico viene definito dallo stato di trofia
delle acque (indice SEL - Stato Ecologico dei Laghi), ricavato in base ai parametri
solitamente utilizzati in limnologia: trasparenza, ossigeno ipolimnico, clorofilla "a" e
fosforo totale.
 Anche per le ACQUE MARINE in assenza di indici standardizzati basati sulle
comunità animali e vegetali, la valutazione dello stato ecologico viene fatta in base a un
indice di trofia (indice TRIX).
 Nel caso delle ACQUE DI TRANSIZIONE dal momento che lo stato delle conoscenze
e delle esperienze di studio presenta un livello non sufficiente per definire compiutamente i
criteri per il monitoraggio e lo stato ecologico, è stato previsto un indicatore generico,
rappresentato dai giorni di anossia (insufficienza di ossigeno) che interessino oltre il 30 %
della superficie del corpo idrico.
La qualità
ambientale delle
ACQUE
SUPERFICIALI
viene descritta
dallo stato
ambientale,
distinto in cinque
classi che
considerano
insieme lo stato
ecologico e
chimico delle
acque.
Analisi per la
valutazione dello
stato chimico
Colonna d’acqua
Parametri di base
Macrodescrittori
utilizzati per la
classificazione
Sedimenti
Parametri addizionali
Componenti
biotiche
Valutazioni sullo stato chimico
Lo stato chimico, secondo il D.Lgs. 152/99, è definito in base alla presenza di
microinquinanti ovvero di sostanze chimiche pericolose.
La valutazione dello stato chimico dei corpi idrici superficiali è effettuata inizialmente in
base ai valori soglia riportate nella direttiva 76/464/CEE e nelle direttive da esse derivate.
Matrice acquosa
I parametri vengono rilevati innanzitutto nella matrice acquosa.
Accumulo nei sedimenti e nelle componenti biotiche
Al fine di una valutazione completa dello stato chimico, in particolare per quei
microinquinanti che presentano una loro maggiore affinità coi sedimenti rispetto alla
matrice acquosa e/o per la alta capacità di diluizione dei corpi idrici aperti come il mare,
non si trovano in concentrazioni significative nelle acque, pur avendo potenziali effetti
tossici sugli organismi a causa di fenomeni di bioaccumulo, deve essere attuata la
rilevazione e la valutazione della qualità dei sedimenti, nonché la valutazione degli effetti
sulle componenti biotiche degli ecosistemi.
Matrice acquosa
Per quanto riguarda la matrice acquosa, si devono determinare due gruppi di parametri:
parametri di base e parametri addizionali. I parametri macrodescrittori vengono
utilizzati per la classificazione; gli altri parametri servono a fornire informazioni di
supporto per la interpretazione delle caratteristiche di qualità e di vulnerabilità del sistema.
I parametri di base
riflettono le pressioni
antropiche e le caratteristiche
idrologiche del trasporto
solido. La determinazione
dei parametri di base è
obbligatoria.
I parametri addizionali sono relativi ai
microinquinanti organici ed inorganici
di più ampio significato ambientale.
La selezione dei parametri da esaminare
è effettuata in relazione alle criticità
conseguenti agli usi del territorio.
Le analisi vanno effettuate nel caso in
cui si individuino o si abbiano
informazioni su sorgenti puntuali e
diffuse che apportino una o più specie
di tali inquinanti nel corpo idrico e nel
caso in cui dati recenti dimostrino livelli
di contaminazione, da parte di tali
sostanze, delle acque e del biota o segni
di incremento delle stesse nei sedimenti.
Accumulo nei sedimenti e nelle componenti biotiche
L'eventuale necessità di integrare le indagini sulla matrice acquosa e sul biota, prevede
l'esecuzione di analisi sui sedimenti, da considerarsi come supplementari per avere,
ulteriori elementi conoscitivi utili a determinare le cause di degrado ambientale del corso
d'acqua.
Valutazioni sullo stato ecologico (biologico)
Per quanto riguarda il biota, si devono valutare gli impatti antropici sulle comunità
animali che popolano il corso d'acqua, attraverso l'Indice Biotico Esteso (IBE).
L’Indice Biotico Esteso IBE è un indice che valuta la comunità degli invertebrati
bentonici (che vivono almeno una parte del loro ciclo biologico a contatto con i
substrati del corso d’acqua).
Un analisi più approfondita delle cause di degrado del corpo idrico prevede
l'esecuzione di saggi di tossicità su organismi acquatici appartenenti alle diverse
categorie trofiche dell'ecosistema (Crostacei, Alghe, Batteri, etc.) finalizzati ad
evidenziare eventuali effetti a breve o lungo termine (acuti o cronici).
Parametri utilizzati per la valutazione sintetica della qualità dei corsi d’acqua
LIM = Livello Inquinamento Macrodescrittori
IBE = Indice Biotico Esteso
SECA = Stato Ecologico dei Corsi d’Acqua
Per un’analisi globale della situazione delle acque di un comprensorio tali
parametri sono espressi con la distribuzione di frequenza delle diverse classi.
QUALITA’ DELLE
ACQUE MARINE
Per la valutazione dello
stato di qualità ambientale
delle acque marine, il Dlgs
152/99 stabilisce
l'applicazione dell' indice
trofico denominato “TRIX”.
Tale indice riassume in un
valore numerico (in una
scala di valori da 1 a 10) le
condizioni di trofia del
sistema di acque
considerato, in pratica viene
a considerare alcuni
parametri normalmente
monitorati, quali la
clorofilla a, l’ossigeno
disciolto, l’azoto minerale
ed il fosforo totale.
A partire da valori di TRIX di 5-6, le acque cominciano a
manifestare un evidente rischio eutrofico.
Le acque marine e costiere, dunque, vengono classificate esclusivamente in base ad un
indice di trofia che fornisce delle indicazioni solo su alcune delle condizioni del sistema
considerato.
Approfondimento delle analisi
Per una valutazione più completa dello stato di qualità ambientale è necessario un
approccio integrato, che tenga conto, ad esempio, dei popolamenti vegetali o animali e
delle caratteristiche chimiche e fisiche dei sedimenti, fondamentali per una corretta
interpretazione dello stato degli ecosistemi marini.
Del resto nel testo integrato dal Dlgs 258/00, come premessa alla classificazione viene
detto (Allegato 1 par. 3.4.3.1):
"In attesa della definizione di un approccio integrato per la valutazione dello stato di
qualità ambientale la prima classificazione delle acque marine costiere viene condotta
attraverso l'applicazione dell'indice trofico riportato in tabella 16, tenendo conto di ogni
elemento utile a definire il grado di allontanamento dalla naturalità delle acque costiere.
Tale classificazione trofica sarà integrata dal giudizio emergente dalle indagini sul biota e
sui sedimenti".
La necessità di poter disporre di un criterio oggettivo per la classificazione delle acque
marine costiere riveste importanza essenziale nell'attività pianificatoria, quando è
necessario definire gli obiettivi di qualità da raggiungere e le strategie di risanamento.
L'introduzione dell'Indice Trofico e della relativa Scala Trofica, rende possibile la misura
dei livelli trofici in termini rigorosamente quantitativi, nonché il confronto tra differenti
sistemi costieri, per mezzo di una scala numerica che copre un'ampia gamma di situazioni
trofiche, così come queste si presentano lungo tutto lo sviluppo costiero italiano, e più in
generale, nella Regione Mediterranea.
Indicatori biologici
Per le acque marine costiere, così come per le acque interne, l'approccio biologico ha avuto
negli ultimi anni un notevole sviluppo, ma, nonostante ciò, lo stabilire indicatori biologici
per le acque marine costiere risulta essere una problematica molto più complessa, e di
soluzione quindi meno immediata, rispetto alle acque dolci (specialmente quelle correnti),
dove si fa già ampiamente uso di tali indicatori.
La complessità dell'ambiente marino costiero, dove i fattori di variazione sono molto
numerosi e con una gerarchia non sempre evidente, non permette però di individuare un
gradiente prioritario che riassuma la maggior parte delle fonti di variazione.
QUALITA’ DELLE ACQUE LAGUNARI E STAGNI COSTIERI (ZONE DI
TRANSIZIONE)
Per la classificazione delle acque lagunari e gli stagni costieri si valuta il numero di
giorni di anossia/anno, misurata nelle acque di fondo, che interessano oltre il 30 %
della superficie del corpo idrico secondo la tabella sottostante.
Approfondimento delle analisi
Da questa analisi è evidente che per integrare e migliorare i criteri ecologici indicati
dal D.Lgs 152/99 è importante lo sviluppo di progetti di ricerca il cui obiettivo
ultimo sia la messa a punto e la validazione di descrittori di stato trofico e di
descrittori di qualità e d'integrità ecologica degli ambienti di transizione.
QUALITA’ DEI CORPI IDRICI SOTTERRANEI
Anche per i corpi idrici sotterranei lo stato di qualità ambientale prevede cinque classi ed
è definito dallo stato quantitativo e chimico degli acquiferi.
Sulla base delle caratteristiche dell'acquifero (tipologia, permeabilità, coefficienti di
immagazzinamento) e del relativo sfruttamento (tendenza piezometrica e della portata,
prelievi) viene determinato lo Stato Qualitativo delle Acque Sotterranee, attraverso
l’indice “SQuAS”.
Il monitoraggio delle acque sotterranee è articolato in una fase conoscitiva iniziale ed una
fase di monitoraggio a regime.
Per le attività di monitoraggio e classificazione dello stato di un corpo idrico sotterraneo è
necessaria una preventiva ricostruzione del modello idrogeologico in termini di:
* individuazione e parametrizzazione dei principali acquiferi;
* definizione delle modalità di alimentazione-deflusso-recapito;
* identificazione dei rapporti tra acque superficiali ed acque sotterranee;
* individuazione dei punti d'acqua (pozzi, sorgenti, emergenze);
* determinazione delle caratteristiche idrochimiche;
* identificazione delle caratteristiche di utilizzo delle acque.
Qualità delle acque sotterranee
Lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici sotterranei è definito sulla base dello stato
quantitativo e dello stato chimico. Nella normativa attualmente in vigore (D. Lgs. 152/99),
per le acque sotterranee sono definiti 5 stati di qualità ambientali.
Definizione di compiti e scadenze
Il compito di identificare per ciascun corpo idrico significativo quale sia la classe di
qualità, è affidato alle Regioni ed aveva scadenza 30 aprile del 2003; entro il 2008 la
qualità di ciascun corpo idrico deve aver raggiunto lo stato sufficiente e entro il 2016
lo stato buono.
Le Regioni definiscono e adottano le misure per il raggiungimento degli obiettivi di
qualità ed hanno inoltre la facoltà di stabilire obiettivi anche meno rigorosi, a
condizione che questi:
 non comportino l'ulteriore deterioramento del corpo idrico,
 non impediscano il raggiungimento degli obiettivi anche in altri corpi idrici
all'interno dello stesso bacino idrografico,
 non comportino gravi condizioni, tali da rendere impossibile ed economicamente
insostenibile il miglioramento dello stato di qualità del corpo idrico,
 siano compatibili con la natura geomorfologica del bacino di appartenenza,
 o comunque sussista l'esistenza di casi imprevisti o eccezionali come alluvioni e
terremoti.
Tutte le misure adottate sono inserite nel piano di tutela delle acque che viene rivisto
ed aggiornato ogni 6 anni.
Eutrofizzazione
Come avviene nell’ambiente terrestre, anche in acqua la vita si organizza sulla base
dei rapporti che si stabiliscono tra alcuni organismi chiamati produttori primari e
altri (erbivori e carnivori) detti consumatori, tra i quali si collocano quelli denominati
degradatori o decompositori.
Dal punto di vista dell’eutrofizzazione, il massimo interesse rivestono i produttori
primari, organismi vegetali che, con il processo della fotosintesi possono sintetizzare,
in presenza di luce, la materia organica (zuccheri o carboidrati). Con elaborazioni
successive e l’assunzione di altri composti minerali, i produttori primari possono
sintetizzare ulteriori composti organici di grande interesse (grassi, proteine, vitamine,
ormoni ecc.) utilizzando, come fonte di energia per queste sintesi, gli zuccheri da essi
stessi prodotti.
Fotosintesi
I produttori primari in ambiente acquatico sono rappresentati da piante o macrofite
sommerse, da piante emerse con radici acquatiche e da alghe microscopiche.
Nelle acque interne non
correnti, quali sono i laghi il
gruppo vegetale che svolge il
maggiore ruolo ai fini della
produzione primaria di
sostanza organica vivente o
biomassa, è quello delle
alghe microscopiche che
stanno in sospensione
nell’acqua e le cui
dimensioni sono, di norma
dell’ordine del millesimo di
millimetro (Marchetti, 1994).
Il meccanismo iniziale di mantenimento della vita in acqua è quello della trasformazione
fotosintetica della sostanza minerale in sostanza organica (produzione primaria) e
che la sostanza organica così prodotta costituisce un serbatoio di energia chimica
derivata dalla luce solare, che i vari organismi si trasferiscono in successione
(catena alimentare o trofica) via via esaurendolo per le varie esigenze vitali
(riproduzione, crescita, mantenimento, movimento).
La struttura delle catene alimentari possiede una influenza decisiva sulla qualità
dell’acqua di un bacino idrico.
La qualità è determinata soprattutto dalla presenza e dalla concentrazione dei nutrienti
in acqua i quali, combinati con la disponibilità di luce (necessaria per il meccanismo
della fotosintesi clorofilliana), possono provocare la crescita incontrollata di notevoli
quantità di biomassa algale, meglio conosciuta come fitoplankton (sostanzialmente si
tratta di alghe unicellulari e cianobatteri).
Il fitoplankton risulta poi nutriente
primario per lo zooplankton, il
quale, a sua volta, viene consumato
dai piccoli pesci; seguono nella
catena i pesci di maggiori
dimensioni, che si nutrono dei
precedenti organismi.
Il ciclo alimentare si chiude poi
mediante i batteri che
mineralizzano le sostanze
organiche attraverso i processi di
decomposizione.
Cinque sono i fattori dai quali dipende la variazione della massa degli organismi vegetali
nel tempo:
1.
la velocità iniziale con cui la biomassa iniziale si riproduce;
2.
la quantità di alghe neoformate che viene esportata dall’ambiente;
3.
l’entità della biomassa alloctona (prodotta altrove) che affluisce a
quell’ambiente;
4.
la rapidità con cui la biomassa algale presente viene utilizzata dai consumatori
primari e questi vengono predati dai livelli successivi;
5.
la velocità con cui la biomassa muore e hanno luogo i processi di
decomposizione della sostanza organica morta.
Benché tutti i cinque fattori elencati concorrano a determinare la dimensione della
biomassa, il ruolo prioritario che ciascuno di essi assume, dipende dalle
caratteristiche fisiografiche dell’ambiente in esame, quali la profondità, la velocità
con cui si ricambiano le acque, il volume ecc. (Marchetti, 1994).
E’ intuitivo, per esempio, che negli ambienti lotici (fiumi) propriamente detti,
l’importazione e l’esportazione di biomassa generalmente prevarranno sulla
produzione locale autoctona a differenza di quanto avviene per gli ambienti lentici
(laghi) a basso ricambio.
Negli ambienti lentici, se esistono condizioni di scarso ricambio, la produzione di
biomassa algale dipenderà soprattutto dall’attività autoctona che aumenta o
diminuisce principalmente in funzione della disponibilità di composti minerali
(carbonio, azoto, fosforo), che le alghe assimilano e trasformano in sostanze
organiche. Per questo motivo i composti minerali citati vengono denominati sali
nutritivi o nutrienti o, più in generale, fattori trofici.
Quando i sali nutritivi sono
in difetto la produzione di
nuova biomassa rallenta fino
a cessare mentre, nel caso
opposto, se la disponibilità di
sali aumenta, anche la
biomassa che si forma è
maggiore. In questo caso la
crescita algale può assumere
un andamento esplosivo e
dare luogo alla formazione di
masse enormi di materiale
vivente la cui presenza (e
soprattutto la sua successiva
decomposizione) innesca
tutta una serie di fenomeni
degenerativi. Si parla in
questo caso di “blooms”
algali cioè “fioriture algali”.
Appare dunque evidente che, a parità di altre condizioni, il fattore più importante risulta
la concentrazione dei sali nutritivi presenti in acqua di cui la biomassa iniziale può
disporre.
Se l’ambiente è povero di questi sali viene detto oligotrofo,
se ne dispone in rilevante quantità è definito eutrofo,
vi è inoltre una condizione intermedia detta mesotrofica e due condizioni estreme di
ultra-oligotrofia e di iper-eutrofia o ipertrofia.
L’eutrofizzazione è un fenomeno del quale si sta prendendo coscienza in maniera
crescente negli ultimi venti anni in coincidenza di una reimmissione in ecosfera di grossi
quantitativi di azoto e fosforo estratti dalle loro riserve geologiche per uso agricolo
(fertilizzanti) ed industriale.
Sul fenomeno “eutrofizzazione” sta crescendo la consapevolezza che esso è causa di
una serie di effetti diretti ed indiretti sulle comunità biologiche, in funzione delle
caratteristiche morfologiche ed idrodinamiche dell’ecosistema acquatico.
Diverse sono le definizioni di eutrofizzazione. Una tra le prime coniate è stata quella
dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) negli anni
‘70 :
“l’eutrofizzazione è un arricchimento delle acque di sali nutritivi che provoca
cambiamenti tipici quali l’incremento della produzione di alghe e piante
acquatiche, l’impoverimento delle risorse ittiche, la generale degradazione della
qualità dell’acqua ed altri effetti che ne riducono e precludono l’uso”.
Altre definizioni coniate più di recente sono:
“un aumento del tasso di fornitura di sostanza organica ad un ecosistema” Scott
W. Nixon, (1995);
“un fenomeno di instabilità ecologica causata da un eccesso nel tasso di fornitura
di sostanza organica ad un ecosistema” Izzo et al., (1998).
L’aumento di sali nutritivi,
generalmente sali di fosforo e azoto
(principali fattori limitanti), all’interno
di un qualsiasi ecosistema acquatico
comporta un aumento della biomassa
algale (consumatori primari); ciò, a sua
volta, provoca un proporzionale
aumento ai livelli successivi della
catena alimentare e un incremento della
produttività peschiera. Quando la
crescita algale non è più controllata
dalla riduzione dei nutrienti o da altri
fattori, si forma una biomassa sempre
più consistente il cui destino è quello di
prendere la via della degradazione.
Questa via viene denominata catena del
detrito in contrapposizione alla catena
del pascolo.
Se in acqua è disponibile una quantità sufficiente di ossigeno disciolto, necessario alla
respirazione degli organismi operanti in aerobiosi, la catena del detrito è mantenuta attiva
da funghi e batteri e può procedere alla mineralizzazione della sostanza organica senza
particolari problemi.
Possono però
instaurarsi processi di
demolizione della
biomassa che si
realizzano con un
consumo eccessivo di
ossigeno. Tale
consumo ha luogo con
velocità diverse
secondo vari fattori, tra
i quali la quantità di
biomassa presente e la
temperatura
dell’ambiente.
Se la velocità di consumo è maggiore di quella di rigenerazione dell’ossigeno tramite
fotosintesi e diffusione, il deficit si accumula e, alla scomparsa dell’ossigeno nelle acque,
si instaura una condizione anaerobica o anossica. Quando si raggiunge la condizione di
anossia, agli organismi aerobi subentrano gli organismi degradatori anaerobi che
compiono i processi di demolizione della biomassa liberando composti che, nella maggior
parte dei casi, sono tossici, quali ad esempio l’ammoniaca e l’idrogeno solforato.
Quindi, da una condizione ipertrofica, riscontrabile con un maggior tasso di crescita e
di produzione di micro- e macroalghe, di macrofite, di alghe galleggianti, radicate o
sommerse, accompagnate da agglomerazioni batteriche o fungine, si passa ad una
condizione di distrofia.
Le acque si intorbidiscono e sul fondo, a causa dell’instaurarsi dei processi anaerobici,
si ha produzione di cattivi odori, nonché morie dei pesci e della fauna bentonica.
Condizioni anossiche, precedute da periodi più o meno lunghi di ipossia (bassa
concentrazione di ossigeno), sono tipici delle acque profonde di laghi eutrofici, ma si
possono instaurare condizioni analoghe in ambienti lotici, marini e lagunari
(Albertozza, 1980; Sfriso et al., 1987; Damiani, 1990; Marchetti, 1994; Izzo, 1991).
Questa premessa introduce all’importanza dei sedimenti; essi infatti conservano
memoria dei principali fenomeni occorsi nel bacino ed inoltre rappresentano una sede
di accumulo di energia chimica che influisce stagionalmente sulla stabilità
dell’ecosistema.
Per effetto degli intensi flussi di sedimentazione organica, i sedimenti contengono
spesso riserve molto abbondanti di carbonio, azoto, e fosforo, che possono essere
ceduti alle acque secondo modalità e flussi non sempre prevedibili.
I nutrienti contenuti nei sedimenti sono trattenuti o rilasciati a seconda delle condizioni
chimico-fisiche e delle attività batteriche ad esse associate.
Le conseguenze negative dell’eutrofizzazione potranno essere risentite a livelli diversi
nei vari ambienti.
Il problema nelle acque correnti
Per le acque correnti è piuttosto
improbabile che l’aumento dei sali
nutritivi, che può dare luogo a un
rilevante sviluppo di macrofite, possa
tradursi anche in un aumento della
componente vegetale planctonica vera
e, cioè, delle alghe microscopiche
viventi sospese in acqua. Questo per
una questione di turbolenza, di velocità
della corrente e quindi di tempi: la
biomassa che si produce nel sistema
viene esportata a una velocità che è
superiore a quella con cui si moltiplica
ed accresce.
Ciò non esclude però che le acque correnti possano convogliare quantità notevoli di
materiale vegetale fino a perdere di trasparenza e assumere colorazione verdastra. Si
tratterrebbe in questi casi di un effetto negativo secondario dell’eutrofizzazione che può
avere interessato i laghi tributari del corso d’acqua o zone collaterali del corso d’acqua
stesso.
Poco probabile è anche la possibilità che in acque correnti s’instaurino situazioni
anossiche e, di conseguenza, si producano composti della degradazione anaerobica,
determinati da un fatto eutrofico.
Esistono, tuttavia, non pochi casi di corsi d’acqua in condizioni ipossiche e talora persino
anossiche, da attribuire però agli effetti diretti di apporti inquinanti diversi dai sali
nutritivi, quali possono essere scarichi civili putrescibili, altro materiale ossidabile o
apporti da scarichi industriali in quantità superiori alle capacità autodepuranti del
recettore (Marchetti 1994).
Il problema nei laghi
A differenza delle acque
correnti, le conseguenze
dannose
dell’eutrofizzazione sono
massime negli ambienti in
cui
il
rimescolamento
verticale, che favorisce la
riossigenazione degli strati
profondi e il ricambio
d’acqua, è limitato, come
avviene nei laghi.
In questi ambienti la produzione di macrofite litorali può assumere aspetti invasivi e
le alghe planctoniche possono svilupparsi a formare dense biomasse che, nei casi
estremi, ricoprono come una coltre la superficie dell’acqua. Questa coltre può
diminuire la trasparenza, impedendo già a pochi decimetri di prodondità la
penetrazione della luce solare e la produzione fotosintetica di ossigeno.
Logica conseguenza di questi processi è l’instaurarsi di condizioni anaerobiche con
gli effetti negativi già descritti.
Sui meccanismi che regolano l’eutrofizzazione, la stratificazione non è una
condizione stabile nel tempo ma dipende dalle variazioni termiche e da altre
caratteristiche del clima locale quale è il regime dei venti.
In periodi caldi le acque si riscaldano e l’ambiente si stratifica in una lamina
superficiale, detta epilimnio, che si sovrappone alla massa d’acqua fredda
sottostante detta ipolimnio. Tra le due si inserisce una zona intermedia detta
metalimnio, caratterizzata da un rapido salto di temperatura o termoclino.
Nei periodi invernali o autunnali il mescolamento delle acque diventa possibile e
quindi lo scambio di gas con l’atmosfera sono massime, mentre in estate la
stratificazione preclude l’ossigenazione delle acque più profonde.
temperatura
EPILIMNIO
IPOLIMNIO
TERMOCLINIO
profondità
METALIMNIO
Un corpo idrico ad elevato volume d’acqua come i grandi laghi potrà rispondere
meglio all’apporto di sali nutritivi che non un corpo di modesto volume, essendo da
un alto maggiore la capacità diluente e, dall’altro, più elevata la riserva di ossigeno.
Più fragile potrà considerarsi un lago di bassa profondità nei confronti di uno
profondo, essendo nel primo caso facilitati i processi di riciclo dei nutrienti e minore
la riserva di ossigeno.
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qualità ambientale - Università degli Studi di Milano