Commercio internazionale
Lezione 2
Contesti storici e sviluppo economico
• Il periodo fra le due guerre mondiali fu caratterizzato da
contrastanti tentativi di risolvere le difficoltà di gestione di
un sistema economico internazionale uscito dalla prima
guerra mondiale con profondi squilibri repressi, che
peraltro vennero acuiti dalla fase della ricostruzione
post-bellica.
• L’aspetto, certamente non unico ma più vistoso, di tale
instabilità possono considerarsi le ampie fluttuazioni nei
cambi internazionali registrate tra gli anni 1919 e 1924.
• Nella seconda metà degli anni venti furono messi in atto
dei tentativi di conferire stabilità alle relazioni
economiche internazionali con un sistema di cambi fissi,
che però si infranse contro ostacoli di notevole portata:
– mancanza di adeguati meccanismi di aggiustamento,
– effetti destabilizzanti di intensi flussi internazionali di capitale (in
particolare dalla piazza di Londra a quelle di Parigi e New York)
– esplodere della crisi del ’29 e la successiva depressione degli
anni trenta
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• G. Myrdal (1972) descrive gli anni trenta del
novecento come il periodo “dell’integrazione
nazionale e della disintegrazione internazionale”
• Nella sua sinteticità è una definizione che ben
descrive l’intreccio di anarchia monetaria e di
ricorso al protezionismo commerciale del
periodo, durante il quale si produssero le
condizioni maggiormente negative per le
relazioni commerciali internazionali
• In particolare esse vennero condizionate in
maniera pesante da politiche commerciali
caratterizzate dall’imposizione di forti dazi e in
generale da restrizioni alle importazioni
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•
•
•
•
Nel corso della seconda guerra
mondiale vennero adottate ulteriori
politiche protezionistiche,
concretizzatesi in prevalenza da
severi controlli sui movimenti
finanziari e reali.
Alla fine del conflitto ci si pose il
problema di rimuovere tali blocchi
commerciali in modo da ripristinare
una ragionevole libertà di
movimento, sia per le merci che per i
capitali.
In questa direzione premevano in
particolare gli USA, che percepivano
perfettamente il rischio delle politiche
protezionistiche che alla fine del
conflitto avrebbero provocato loro
serie difficoltà nel collocamento delle
loro eccedenze commerciali
Da qui quell’insieme di provvedimenti
attuati subito dopo la seconda guerra
mondiale tendenti a liberare il
commercio internazionale e il varo di
organizzazioni quali BIRD e IMF e gli
accordi di Bretton Woods
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• Le relazioni commerciali nel secondo
dopoguerra, sono state influenzate da fattori
economici e politici,
– sia di natura endogena rispetto ai singoli paesi
(tipologie e caratteristiche dei settori produttivi,
formazioni di lobby, ecc.),
– sia di natura esogena, essenzialmente a causa
dell’esistenza di rapporti gerarchici informali tra paesi
ed aree.
• Tutto ciò ha contribuito a determinare la
definizione e l’evolversi di politiche commerciali
nazionali, spesso tutt’altro che orientate al libero
scambio
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• Le teorie del commercio internazionale di derivazione
neoclassica sono fondate sull’assunzione di ipotesi
modellistiche molto restrittive e di difficile riscontro nella
realtà, in particolare negli ultimi cinquanta anni,
caratterizzati dal tumultuoso sviluppo dell’integrazione
commerciale a livello planetario
• Un rilevante problema analitico, oltreché ovviamente
denso di conseguenze pratiche, riguarda il ruolo dei PVS
nella divisione internazionale del lavoro.
• Contrariamente al grande interesse mostrato dagli
economisti classici per le cause in grado di determinare
“la ricchezza delle nazioni” (o la loro povertà), gli
economisti di orientamento neo-classico si sono
dimostrati meno sensibili a tali problemi, rinunciando nei
fatti a sviluppare una coerente teoria del rapporto fra
commercio internazionale e sviluppo economico
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• La teoria neoclassica è in grado di spiegare
perché un paese godrà di miglioramenti in
termini di benessere decidendo di specializzarsi
nella produzione di quei beni in cui, data
l’esistenze dotazione fattoriale che lo
caratterizza, goda di un vantaggio comparato.
• Ma da questo punto di vista gli economisti neoclassici , in sostanza, prendono in
considerazione le dotazioni fattoriali esistenti, in
una visione statica della realtà economicoproduttiva di un paese, ignorando, o quanto
meno sottovalutando, le ragioni e i processi
attraverso i quali si sono venute configurando
tali dotazioni.
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• Tuttavia i concreti processi storici hanno un peso:
– oggi si riconosce largamente che vi è molto più di una dotazione fissa,
immutabile e da considerarsi “naturale” di fattori che determinano le
condizioni per un determinato vantaggio comparato.
• In questo senso, il processo di decolonizzazione avviatosi tra gli anni
cinquanta e sessanta, con il conseguente modificarsi dei rapporti di
forza internazionali, ha visto svilupparsi una nuova branca,
genericamente definita come economia dello sviluppo.
• Nell’ambito dell’economia dello sviluppo, la prima affermazione di peso
è stata la constatazione che i modelli di specializzazione
caratterizzanti i PVS non potevano considerarsi neutrali, ma il risultato
dell’azione secolare del colonialismo, il quale aveva assegnato loro il
compito di fornire un accesso alle principali materie prime e, al tempo
stesso, di rendere possibile disporre di mercati di sbocco per attività
manifatturiere dei paesi coloniali.
– Il vantaggio comparato non poteva dunque considerarsi come “naturale”,
ma al contrario, il risultato “artificiale” di azioni consapevoli e di rapporti di
forza esistenti.
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• D’altra parte, sempre di più venivano avanzati dubbi sulla
capacità del modello storico di specializzazione riguardo alla sua
pretesa di garantire un processo sostenuto e duraturo di crescita
economica ai paesi di recente indipendenza:
– si trattava di dubbi fondati sulla constatazione della profondità dei
meccanismi di ineguaglianza insiti nel modello stesso, nel cui ambito
asimmetrie strutturali, sia di natura tecnologica che politicoistituzionale, agivano nel determinare una redistribuzione
internazionale del reddito fortemente penalizzante per i PVS.
• Conseguentemente a ciò, la ricerca di una ridefinizione dei
vantaggi comparati divenne un imperativo sia teorico che
empirico.
– Tale ricerca, alla fine di un lungo processo analitico, suggerì che la
soluzione dovesse essere individuata nella realizzazione di estesi
processi di industrializzazione su produzioni manifatturiere labour
intensive.
– Questo suggerimento si scontrava però con le diseconomie di scala
che impedivano, o comunque rallentavano, l’affermarsi di un
processo di industrializzazione
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Commercio internazionale
Lezione 3
Evidenze empiriche
• La bilancia commerciale di un paese è la
differenza fra il valore totale delle sue
esportazioni e il valore totale delle sue
importazioni.
• In formula:
B=X–M
• È possibile avere tre casi diversi riguardo alla
situazione della bilancia commerciale di un
paese:
X=M
X>M
X<M
[email protected]
miliardi di US$ correnti (2009)
-100
Germany
-500
-700
-900
[email protected]
USA
EU-27
United Kingdom
Spain
India
France
Turkey
Greece
Poland
Portugal
Venezuela
Canada
Netherlands
Libya
Angola
Kuwait
Norway
Saudi Arabia
Russian Federation
-300
China
300
100
U
2000
2008
[email protected]
Ja
pa
n
Ita
ly
G
er
m
an
y
Fr
an
ce
-2
7
hi
na
Ki
n
SA
gd
om
U
et
he
rla
nd
s
ni
te
d
N
C
an
ad
a
EU
C
peso percentuale sul totale dell'export mondiale
12
10
8
6
4
2
0
U
hi
na
2000
2009
[email protected]
gd
om
SA
-2
7
U
EU
G
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m
an
y
Ja
pa
n
Ki
n
Fr
an
ce
C
Ita
ly
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he
rla
nd
s
ni
te
d
N
Be
lg
iu
m
peso percentuale sul totale dell'import mondiale
16
14
12
10
8
6
4
2
0
• Il paese che nel 2009 ha esportato di più non è la Cina, come
si è portati a credere, ma la Germania.
• La Cina segue a poca distanza e leggermente più staccati si
trovano gli USA, mentre gli altri paesi sono decisamente meno
rilevanti sul piano dell’export;
• L’Italia si trova in ottava posizione con poco più del 3%, che è
comunque un dato significativo tenuto conto delle dimensioni
economiche del paese.
• In riferimento all’import il dato di maggiore significatività è il
“primato” degli USA (se si esclude il caso dell’UE 27) che
importa poco meno del 12%, mentre paesi come la Germania
o la Cina sono attestati su valori decisamente più bassi.
• Spesso, per rendere l’idea di quanto un paese sia legato ad
un altro dal punto di vista commerciale, ma anche valutario e
in definitiva politico, si fa riferimento alla bilancia commerciale
bilaterale, cioè la differenza tra le esportazioni e le
importazioni tra due paesi.
– Per esempio, il disavanzo commerciale degli USA nei confronti della
Cina ammontava nel 2009 a più di 200 miliardi di dollari.
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Commercio internazionale
Lezione 4
Gli approcci ortodossi di derivazione classica e
neoclassica
• Teoria dei
vantaggi assoluti
(A. Smith)
• Teoria dei
vantaggi
comparati (D.
Ricardo)
• Teoria delle
dotazioni
fattoriali (E.F.
Heckscher e B.
Ohlin )
[email protected]
Paesi
A
B
a
=30
=20
b
=20
=30
Beni
Paesi
A
B
Totale
a
=30
= -20
10
b
= - 20
= 30
10
Beni
[email protected]
Paesi
C
D
c
=30
=5
d
=20
=5
Beni
Paesi
C
D
Totale
c
=30
= - 25
5
d
= - 20
= 25
5
Beni
[email protected]
• In base al modello di Heckscher-Ohlin , le differenze fra
due paesi non riguardano la dotazione tecnologica, e
quindi la produttività che essa consente, ma la dotazione
dei fattori produttivi.
• Si considerino, per semplicità, sistemi formati da soli due
fattori produttivi, lavoro e capitale.
– Il fattore lavoro è remunerato attraverso il salario, mentre il
capitale viene remunerato attraverso l’interesse.
– Dal momento che la regola di base di domanda ed offerta spiega
che tanto più è alta la quantità di un bene offerta sul mercato
tanto più basso sarà il suo prezzo, è possibile applicare tale
regola anche ai mercati dei fattori produttivi lavoro e capitale:
• tanto più un paese è dotato di forza lavoro tanto più basso sarà il
costo del lavoro;
• allo stesso modo, tanto più un paese è caratterizzato da grandi
dotazioni di capitale, tanto più basso sarà il tasso che lo remunera.
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• In base a tale regola, il paese maggiormente dotato di forza lavoro
si specializzerà in attività labour intensive, mentre il paese con
forti dotazioni di capitale prenderà la via di attività capital
intensive.
• Al teorema di Heckscher e Ohlin si era arrivati cercando di
riprodurre, attraverso l’uso di strumenti derivati dalla teoria
dell’equilibrio generale neoclassico, la dimostrazione della legge
del vantaggio comparato di diretta derivazione ricardiana
• Il risultato di maggiore consistenza, sia teorica che empirica, da
recuperare riguardava l’esistenza di mutui guadagni, come unica,
e rassicurante, conseguenza del libero scambio fra paesi
• In un simile contesto, essenzialmente statico, la causa del
commercio internazionale è agevolmente identificabile
nell’opportunità che hanno i paesi di aumentare il proprio
benessere rispetto a quanto accadrebbe in caso di equilibrio
autarchico;
• ma soprattutto le conseguenze della dimensione internazionale
risultano particolarmente ottimistiche:
– a certe condizioni, l’apertura allo scambio internazionale consente
una più efficiente allocazione delle risorse date e, di conseguenza,
assicura guadagni per tutti gli attori
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• La “mano invisibile” del commercio svolge il suo compito
facendo sì che gli scambi avvengano soprattutto fra
agenti il più possibile diversi nell’elemento che per
ipotesi non si può spostare, i fattori:
– alla fine del processo di scambio ciascuno degli attori vede
aumentato il suo benessere, ma nell’economia nel suo
complesso si produce un ulteriore risultato che va ben oltre
Ricardo:
• Il vincolo della non-mobilità dei fattori viene completamente
superato:
• l’economia si presenta con gli aspetti che avrebbe avuto se tale
immobilità non fosse mai esistita.
– In altri termini, con il commercio internazionale si riproduce
l’equilibrio tipico di un’economia integrata, corrispondente ad un
unico grande mercato globale con completa mobilità dei fattori.
• In questa situazione i fattori produttivi di tutti i paesi percepiscono gli
stessi compensi.
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• L’eleganza concettuale del modello di
Heckscher e Ohlin è probabilmente
all’origine del suo repentino e pressoché
generalizzato successo nell’accademia
neoclassica.
• Un successo, peraltro, non solo
intellettuale:
– l’affermazione del modello come paradigma
dominante diventa sin da subito criterio
operativo per politiche economiche orientate
all’affermazione dell’opportunità di un
generalizzato libero scambio
[email protected]
•
Le novità più recenti, che datano ormai
almeno due decenni di vita, si verificano al di
fuori, o quanto meno ai margini del modello di
Heckscher e Ohlin.
Sintetizzando, si può affermare che tali
contributi seguono almeno due direzioni:
•
–
–
la possibilità che comportamenti non walrasiani
possano guidare le azioni degli agenti economici
(imprese e/o paesi) coinvolti nello scambio;
la rinuncia all’ipotesi di rendimenti costanti
generalizzati, centrale nel modello di Heckscher e
Ohlin, a favore della possibilità che si verifichino
rendimenti crescenti
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• Più in particolare, la prima linea di sviluppo riguarda
paesi che non sono piccoli, o walrasiani, e non hanno
incentivi a comportarsi come tali:
– un paese può considerare un vantaggio derivante dal commercio
non tanto lo scambio passivo di stoffa contro vino, ma piuttosto
quello derivante dalla consapevole e ricercata modifica delle
condizioni iniziali.
– Tale modifica si può attuare attraverso la volontà della
differenziazione “dagli altri”, anche se le ragioni di fondo restano
ovviamente le stesse:
• massimizzazione dei profitti e aumento del potere di mercato.
– Ciascun paese può dunque comportarsi da monopolista ed
avere comportamenti strategici conseguenti.
• Tale comportamento diventa di maggiore rilevanza quando si
registra anche un leggero cambiamento dell’oggetto di scambio:
– non tanto, o non soltanto, beni ma tecnologie:
» non più stoffa o vino, ma conoscenza;
» non extraprofitti su beni che comunque potrebbero essere
facilmente prodotti da altri, forse a costi inferiori, ma monopolio sui
modi di produzione o su componenti strategiche del prodotto
stesso
[email protected]
• Tale potere di mercato potrebbe però derivare
non tanto o non solo da un’azione consapevole
di ciascun agente, ma anche da altre cause,
almeno in prima approssimazione identificabili
come fattori indipendenti:
– le tecniche produttive adottate.
• Questa rappresenta l’altra grande intuizione
delle analisi non ortodosse sul commercio
internazionale:
– il mondo potrebbe essere caratterizzato per quel che
riguarda certi settori, o certi beni, da rendimenti
crescenti nella produzione.
– Le cause del commercio, per quanto riguarda ciascun
paese, diventano allora la necessità di espandere i
mercati e di spingersi oltre l’esistente nella quantità di
merci prodotte
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labour intensive