STORIA DELLE FLORE
Le specie hanno una storia, si sono generate in una certa zona ed in
seguito si sono allargate su tutta la superficie terrestre sulla quale si
presentano le condizioni ecologiche che permettano ai semi di
germinare, alle giovani plantule di attecchire, alle gemme di sopportare i
freddi primaverili senza restare danneggiate ed infine che permettano
alla pianta di riprodursi sessualmente.
Però questa superficie si è allargata e ristretta, frammentata o
ricomposta per effetto delle variazioni climatiche degli ultimi periodi
geologici.
Quindi per capire la corologia delle piante conviene tenere conto
dell’evoluzione delle stesse almeno dal periodo Carbonifero (Era
Paleozoica superiore) all’attuale periodo Olocene (Era Neozoica).
• WURM (120-70.000)
• RISS
(240-180.000)
• MINDEL (480-430.000)
• GUNZ
TIRRENIANO 2 (60.000)
Temperature
TIRRENIANO 1 (190.000) simile all'attuale
MILAZZIANO (70.000)
(600-550.000 mila anni fa)
10.000 anni fa
Angiospermae
Clima caldo
Tropicale
130
204
Clima
umido e caldo
245
290
360
400
360 milioni di anni fa
Coniferae
Le più antiche piante italiane risalgono all'Era Paleozoica e sono
incluse in depositi del periodo Carbonifero in Sardegna (360-290
milioni di anni fa) e del periodo Permiano nelle Alpi Carniche (290245 milioni di anni fa), hanno dunque un'età di 250-350 milioni di
anni.
Si tratta di Pteridofite (il gruppo dominante in quell'epoca)
abbastanza simili a quelle che ancora oggi vivono nei boschi italiani.
Però non si può pensare che da quelle pteridofite fossili si sia poi
sviluppata la flora attuale del nostro territorio.
Infatti la maggior parte dei luoghi nei quali si trova attualmente
l’Italia era occupata da un mare poco profondo senza vita vegetale
superiore e inoltre le profonde modificazioni subite in seguito dalle
terre emerse rende appunto impossibile far derivare la flora attuale
dalle pteridofite fossili.
ERA MESOZOICA
Per quanto riguarda le prime impronte fossili di Angiosperme si trovano, invece,
nei depositi del periodo Cretacico inferiore (130 milioni di anni fa). Queste
Angiosperme erano presenti in quantità modesta e la vegetazione era composta
prevalentemente da Gimnosperme e Pteridofite ed era una vegetazione
tropicale.
Le Angiosperme diventano straordinariamente frequenti, così da soppiantare
quasi del tutto la flora precedente, nel periodo Cretacico superiore (circa 80
milioni di anni fa) ed all’inizio dell'Era Cenozoica (Terziario) (cioè gli ultimi 60
milioni di anni fino all’inizio del Quaternario o Era Neozoica).
E’ infatti dell’Era Cenozoica (Terziario) che la configurazione delle terre emerse
comincia ad avvicinarsi a quella attuale (si ebbe il completamento dell'apertura
verso nord dell‘Oceano Atlantico, ormai unificato, con la separazione della
Groenlandia dall'Europa, inoltre le 2 Americhe entrano in contatto, con la
formazione dell'istmo di Panama e inizia la separazione tra Antartide e Australia,
con migrazione dell'Australia verso nord fino a raggiungere la sua attuale
posizione; tutto questo ebbe come risultato l'aumento della compressione nelle
zone di fossa del Pacifico con attivazione dei sistemi di arco ancora oggi attivi
(Ande, Giappone).
Ma l'evento più importante per noi è che nell‘Era Cenozoica
(Terziario) si ebbe un colossale movimento orogenetico che portò
alla formazione delle principali catene montuose attuali [Pirenei,
Carpazi, Caucaso, Himalaja, Alpi (il cui sollevamento è iniziato
precedentemente alla fine dell’Era Mesozoica ed è quasi completato
alla fine del periodo Miocenico)].
Per quanto riguarda la formazione degli Appennini (e la contestuale
apertura del Mar Tirreno) questa è molto più recente, infatti pur
avendo avuto inizio nell’Oligocene il sollevamento finale sino alle
quote attuali è addirittura di epoca Pleistocenica (Era Neozoica).
E’ quindi nel Terziario (Cenozoico) che la configurazione delle terre
emerse cominciano ad avvicinarsi a quella attuale. Bisogna però
ricordare che il polo sud si trova a pochi gradi dal Sudafrica e
l’equatore decorreva lungo l’Europa meridionale. Quindi il clima
italiano, in questo periodo, è tipicamente tropicale e così pure la flora,
che è caratterizzata da un progressivo arretramento delle Pteridofite e
delle Gimnosperme e da uno sviluppo sempre più forte delle
Angiosperme.
Nel Terziario italiano le Angiosperme diventano il 90% della flora
macrofita terrestre (nella attuale flora vascolare sono circa il 97%).
Ad esempio nei depositi del Terziario italiani si trovano ad esempio ben 56
fossili di specie di Palme (attualmente abbiamo la sola Chamaerops humilis);
specie di felci; specie di gimnosperme: Taxodium (3), Sequoia (4), Thuja (2);
specie di dicotiledoni: Ficus (31), Laurus (25), Magnolia (3), Sterculia (3), ecc.;
specie di monocotiledoni: Smilax (23), Agave (1), ecc. che oggi sono
attualmente scomparsi o quasi dalla nostra flora e si trovano solamente ai
tropici e nella fascia equatoriale.
Per quanto riguarda la zolla sardo-corsa era originariamente saldata
alle Baleari e alla Provenza si è distaccata da queste durante l’era
Cenozoico o Terziaria (inizio del Miocene) compiendo una rotazione in
senso antiorario, e si è avvicinata alla Penisola Italiana che solo allora
cominciava ad emergere.
Rotazione e spostamento del sistema sardo-corso e balearico durante il Terziario
La Sardegna è una zolla estremamente stabile dal punto di vista
tettonico, che praticamente non ha subito trasformazioni importanti
dalla fine del Terziario ad oggi, a parte le generali variazioni climatiche
del bacino mediterraneo.
Quest’isola è dunque ricca di paleoendemismi a carattere relitto quali:
Anthyllis hermannae, Erodium corsicum, Viola arborescens, Armeria
pungens, Nanathera perpusilla, Centaurea horrida, ecc.
I legami con le Baleari ed altre parti del Mediterraneo occidentale sono
alla base delle distribuzioni di specie W-Medit.-nesicole (dette anche
Tirreniane) quali Arenaria balearica, Viola corsica, Sesleria insularis,
ecc.
Quindi la corrispondenza tra le evidenze geologiche e gli areali di specie
vegetali è talmente impressionante che l’esistenza di un legale causale
fra questi eventi geologici antichi e la distribuzione attuale della flora
sembra fuori dubbio.
Nel Cenozoico si completa il processo di spostamento dei Poli verso le
loro sedi attuali; in conseguenza di questo il clima delle zone nelle quali
sta sorgendo l’Italia muta progressivamente da Tropicale a subtropicale.
Sempre nel Terziario si ha la cosiddetta Crisi Messiniana: la soglia di
Gibilterra si innalza e la connessione con l’Oceano Atlantico si
interrompe e questo avviene proprio mentre il Mediterraneo si trova in
una situazione climatica analoga a quella del Sahara attuale. Quindi
interrotta la comunicazione con l’oceano, l’evaporazione provoca il
prosciugamento di gran parte del Mediterraneo, mentre la portata dei
fiumi che sfociano in questo mare, per l’aridità del clima, è ridotta a
livelli minimi.
Il Mediterraneo quindi costituisce una grande depressione desertica, con
pochi corsi d’acqua a carattere torrentizio e sul fondo una serie di laghi
salati (condizioni simili attualmente si hanno nel Mar Caspio o nel Mar Morto).
In questo periodo attorno al Mediterraneo si era formata una flora ricca
di piante spinose e succulente, ben adattata all’ambiente desertico.
Questa flora dopo la desertificazione del bacino mediterraneo ha invaso
anche quest’aria.
Probabilmente in questo periodo si può situare la comparsa nel nostro
territorio di alcuni importanti gruppi di piante:
a) piante delle creste ventose: soprattutto arbusti a cuscinetto spinoso
come varie specie di Astragalus e Genista, Thymus herba-barona,
Festuca morisiana, Cerastium boissieri, Trisetum gacile;
b) piante dei suoli salati: chenopodiacee succulente (Salicornia, Salsola,
Suaeda, Arthrocnemum) e altre piante di ambiente salmastro (Inula
crithmoides, Tamarix, Artemisia caerulescens, Aster tripolium);
c) piante delle rupi marittime: si tratta soprattutto di specie del genere
Limonium; ad esse sono collegate altre plumbaginacee di ambiente
desertico montano come il genere Armeria.
La migrazione di questi gruppi, almeno per quanto riguarda il gruppo a
(piante delle creste ventose) e c (piante delle rupi marittime), sembra
aver seguito la sponda meridionale del Mediterraneo dal Levante lungo il
Nordafrica fino alla Penisola Iberica, e da qui lungo l’arco pirenaicoalpino-appenninico oppure attraverso il sistema Sardo-Corso essi sono
giunti da noi.
Impressionanti fenomeni di vicarianza geografica sono probabilmente
collegati a questi eventi
Alla fine del Cenozoico (Terziario) i caratteri geografici del territorio
italiano erano abbastanza simili a quelli attuali: Alpi e Appennini erano
parzialmente emersi ma ancora separati da un ampio mare interno
corrispondente alla vallata del Po; Sardegna, Corsica e la Sicilia erano
già completamente formate, la Sicilia collegata all’Africa settentrionale.
Durante questo periodo si sono verificate importanti trasgressioni
marine, fino a 270-280 m al di sopra del livello attuale marino.
Queste trasgressioni hanno lasciato tracce importanti un po’ da per
tutto dell’Italia meridionale e centrale.
La frequenza di specie endemiche nelle isole minori (alcune di esse
attualmente sono unite alla terraferma e pertanto costituiscono delle
penisole) sembra strettamente collegate a queste trasgressioni.
In effetti le isole che raggiungono un’elevazione superiore a 270-280 m
s.l.m. risultano molto più ricche dal punto di vista floristico di quelle con
altitudine minori.
Relazione tra l'altezza massima delle piccole isole circondanti l'Italia e la
ricchezza floristica di ciascuna
Origine della Flora alpina
Durante tutto il Terziario il clima della nostra zona rimase caldo; dal clima
tropicale (caldo-umido) dell’Eocene (circa 50 milioni di anni fa) al clima
temperato-caldo del Pliocene (un milione di anni fa). Dal Pliocene ad oggi il
clima dell’Europa fu invece sconvolto da una serie di raffreddamenti che
portarono i ghiacciai polari fino al cuore dell’Europa centrale e provocarono una
radicale trasformazione della vegetazione.
Quindi il Quaternario è caratterizzato da un progressivo raffreddamento del
clima e da una serie di fasi fredde che determinarono la formazione di ampi
ghiacciai nel Nord dell’Europa (e nel Nordamerica orientale); ad esse si da il
nome di glaciazioni.
Almeno 4 di queste sono riconoscibili nella storia bioclimatica del nostro
Paese
1.
2.
3.
4.
Glaciazione
Glaciazione
Glaciazione
Glaciazione
di
di
di
di
Gűnz
Mindel
Riss
Wűrm
600-550.000 anni fa
480-430.000 anni fa
240-180.000 anni fa
120-70.000 anni fa
La massima glaciazione fu quella di Riss durante la quale la calotta glaciale
occupava tutta l’Europa settentrionale e spingeva le proprie lingue più avanzate
fino a Londra, a Lipsia ed al bacino del Don.
Durante queste glaciazioni il clima dell’Italia era molto più freddo di
quello attuale.
Le Alpi erano ricoperte da una calotta di ghiaccio continua, dalla
quale emergevano soltanto le cime più elevate; ai margini della
calotta i ghiacciai scendevano fino alla pianura.
I ghiacciai quaternari scavarono nelle Alpi profonde vallate con la
caratteristica forma ad U; il ghiacciaio della Val di Susa arrivava fino
a pochi km da Torino, quello della Val d’Aosta fino a sud d’Ivrea a 25
km dal Po; il ghiacciaio dell’Adda giungeva in Brianza ad una trentina
di km a nord di Milano.
Forte glaciazioni si ebbe anche sui Pirenei ed il Caucaso, minore
sull’Appennino dove non si ebbero vere e proprie calotte ma solo
ghiacciai di circo.
Con le glaciazioni si ebbe l’immobilizzazione di una enorme massa
d’acqua che portò come conseguenza all’abbassamento del livello
dei mari: circa 90 metri sotto l’attuale nel Wűrm, quasi 200 metri nel
Riss.
Fra l’una e l’altra glaciazione si ebbero tre periodi interglaciali
(Milazziano, Tirreniano 1 e Tirreniano 2) con temperatura simile
a quella attuale, e dove il livello marino era più elevato di oggi.
Nell’interglaciale Milazziano o Siciliano: + 50 metri,
nell’interglaciale Tirreniano 1: +30 metri e
nell’interglaciale Tirreniano 2: +15-20 metri.
Di conseguenza ampie aree lungo le coste adriatiche e tirreniche e
parti della Padania rimasero sommerse.
Conseguenze delle glaciazioni per la flora europea
Questi sconvolgimenti climatici portarono notevolissimi conseguenze sulla flora
europea:
· Durante le glaciazioni le specie di clima temperato o subtropicale dovettero
arretrare verso sud; qua e là poterono mantenersi in stazioni di rifugio.
· Negli Interglaciali queste specie termofile avanzarono nuovamente verso Nord
ma con aggressività sempre minore così che rimasero localizzate, oppure
scomparvero da vaste aree dell’Europa.
· Durante ciascuna culminazione glaciale la vegetazione sulle Alpi era ridotta a
lembi di piccola estensione solamente sulle cime periferiche e sulle poche altre
emergenti dal ghiacciai. Questi piccoli lembi vengono detti nunatakker Quindi la
calotta glaciale che copriva le Alpi interrupe la continuità della vegetazione così
che individui di una stessa specie, isolati su diversi nunatakker, spesso ebbero
evoluzione indipendente, dando luogo alla formazione di nuove specie.
· Un fenomeno simile, ma di minore ampiezza, fu la formazione di nuove specie
entro gruppi di piante litorali, per isolamento geografico causato dalle
variazioni di livello dei mari, contemporaneamente alle glaciazioni.
· Inoltre nelle stazioni di rifugio si formarono, per mutazione, nuove specie
adattate all’ambiente freddo, e queste quando i ghiacciai si ritirarono, entrarono
in competizione con le loro progenitrici sostituendole in parte o completamente.
Il risultato complessivo delle glaciazioni fu dunque l’annientamento
della flora terziaria e un notevolissimo impoverimento della flora,
soprattutto per quanto riguarda le specie arboree, e la formazione di
una nuova flora.
Questa nuova flora in parte deriva dai generi terziari e in parte da piante
centroasiatiche-montane o artiche già adattate ai climi freddi.
I meccanismi che portarono a questi risultati sono i seguenti:
·Distruzione della flora terziaria nella massima parte dell’Europa
e formazione di stazioni di rifugio .
Questa si ebbe già con la calata dei ghiacciai del Gűnz (1 glaciazione).
Alcune specie poterono arretrare verso sud, fino a raggiungere stazioni
di rifugio in Spagna meridionale, nelle coste del Mar Nero e nell’Africa
centrale, altre, forse la maggioranza, rimasero completamente distrutte.
Quando i ghiacciai si ritirarono, alcune specie poterono riconquistare i
territori europei, ma altre rifugiatesi in Africa centrale, vennero arrestate
nella loro avanzata verso nord dal Mediterraneo (che si era innalzato di
55-60 m rispetto all’attuale livello) finirono così per soccombere.
Di conseguenza la flora temperato-caldo dell’Europa durante il primo
interglaciale risultava decimato rispetto alla flora pliocenica.
· Disgiunzione di areali
Anche la disgiunzione di areali di alcune specie si ebbe già a causa della
prima glaciazione: la flora terziaria che fino al Pliocene aveva costituito
una fascia omogenea dalla Cina all’Europa ed agli Stati Uniti (che allora
erano più vicini a noi) venne a scomparire in Europa determinando la
formazione di grandi disgiunzioni cino-americane.
Anche la disgiunzione euro-africane si ebbe a causa delle glaciazioni. Ad
esempio il genere Erica possedeva nel Terziario un areale europeo-centro
africano e nel Miocene (per il sopraggiungere di un clima desertico
nell’Africa centrale) si disgiunse: un gruppo di piante rimase in Europa ed
un secondo emigrò dall’Africa centrale all’Africa meridionale dove ebbe
un’attivissima attività differenziazione (530 specie); durante le glaciazioni
le Eriche europee si rifugiarono di nuovo nell’Africa centrale (dove vi era
un clima pluviale) e vi si mantennero in aree disgiunte fino ai giorni nostri
(areale dell’Erica arborea).
Attiva speciazione per isolamento geografico sulle montagne
e sulle coste

Tra i meccanismi che hanno portato l’annientamento della flora terziaria e la
formazione di una nuova flora ricordiamo l’attiva speciazione per isolamento
geografico sulle montagne e sulle coste dovuto sempre alle glaciazioni.
Gli effetti della speciazione per isolamento geografico furono particolarmente
evidenti sulla catena alpina. La calotta glaciale coprì tutto il sistema alpino e le
specie che formavano la flora terziaria vennero schiacciate, esse si mantennero
solo nelle zone montagnose rimaste sgombre dai ghiacciai e cioè: Vosgi, Selva
Nera, le Alpi orientali austriache, le Alpi marittime, le Alpi Giulie, i Lessini, le
montagne attorno a Brescia ed a Bergamo e inoltre le due ghirlande di cime
sporgenti sopra la calotta glaciale (dette nunatakker) rispettivamente al piede
meridionale e settentrionale delle Alpi.
I risultati di questa situazione furono i seguenti:
1.
2.
la formazione di endemismi conservatesi nelle stazioni di rifugio;
la formazione di entità vicariantesi nello spazio.
La formazione degli endemismo, infatti, è dovuta a specie che nel
Terziario avevano un areale più o meno ampio e che si sono mantenute
soltanto in limitate oasi di rifugio: ad esempio per le Alpi orientali sono
note ben 24 endemiche e ancora 11 per il Friuli, 2 attorno a Vicenza, 9
nel Veronese, 15 nel Bresciano e Bergamasco, 9 nel Ticino; di grande
importanza fu la zona di rifugio delle Alpi Marittime, favorite dalla
vicinanza del mare, che è dimostrata dalla presenza nella Liguria
occidentale di 60 endemiche.
Speciazione per isolamento geografico si ebbe sulle Alpi entro diversi
gruppi, comprendenti ciascuno parecchie specie o sottospecie.
Si ebbero fenomeni di speciazione per isolamento geografico anche sulle
coste, sia pure con minore ampiezza, per effetto delle variazioni di livello
del Mediterraneo. Particolarmente interessate sono le specie alofite, che
vivono in diretto contatto con l’acqua marina.
Il genere Limonium ci offre molti esempi in quanto, nel Mediterraneo,
questo genere è rappresentato da specie esclusivamente litorali, alcune
delle quali vivono solamente su sabbie salate, altre solo su roccia.
Studiando la distribuzione attuale delle specie che vivono su sabbia si nota
come in certe zone esse siano assai numerose, in altre relativamente rare.
Questa varietà di quantità è da riportare rispettivamente o al fatto che la
spiaggia essendo prodotta da alluvioni seguì le oscillazioni di livello del
Mediterraneo e quindi funzionò da stazione di rifugio o dal fatto che la
spiaggia fu completamente sommersa e quando riemerse dovette essere
colonizzata ex novo e vi si affermarono solo le specie di maggiore vitalità.
Analoghe stazioni di rifugio furono per le specie rupicole l’arcipelago delle
Balaeri, le bocche di Bonifacio, ecc..
Formazione di nuove entità che invasero le zone lasciate libere dal
ritirarsi dei ghiacciai

Al ritirarsi dei ghiacciai quaternari le specie meno adatte ai nuovi ambienti rimasero
confinate nelle stazioni di rifugio o irradiarono ben poco attorno ad esse, mentre
altre specie, spesso forme del tutto nuove formatesi per mutazione od anche specie
esistenti prima delle glaciazioni che comunque risultarono meglio adattate, invasero
i nuovi territori. Il risultato di ciò fu un profondo rinnovamento della flora alpina con
la formazione di numerose nuove specie, che in parte continua tuttora. Infatti si è
notato che spesso le forme che colonizzano le zone lasciate libere dai ghiacciai
quaternari sono polipoidi: ad esempio Biscutella levigata nelle regioni europee di
pianura e bassa montagna è rappresentata da razze diploidi, mentre sulle Alpi e
nelle zone coperte dalle glaciazioni presenta razze tetraploidi che però
morfologicamente sono ancora mal differenziate.
Non si può affermare che tutte le nuove specie che occuparono le zone lasciate
libere dalle glaciazioni siano polipoidi; però su base statistica la cosa è evidente.
Questo spiega il costante aumento percentuale dei polipoidi che si riscontrano in
Europa ed America avvicinandosi al Polo Nord e invece ad esempio nelle zone
temperate-calde, come la Sicilia, i polipoidi sono solo il 36%, salgono al 50% nelle
zone temperate-fredde dell’Europa media, in Svezia rappresentano il 72% fino ad
arrivare all’80% nella Groelandia settentrionale. Questo aumento va spiegato col
fatto che le regioni settentrionali sono state maggiormente interessate al fenomeno
glaciale.
Formazione della flora artico-alpina
Cioè il formarsi di una flora comune per le regioni fredde circumpolari e
per le alte montagne delle zone temperate boreali.
Nel Terziario il Polo Nord giaceva circa nello stretto di Behring: attorno al
Polo Nord si avevano terre gelate e si era formata una flora glaciale.
Contemporaneamente l’orogenesi terziaria aveva formato le grandi catene
montuose dell’Eurasia (Alpi, Pirenei, Carpazi, Caucaso, Himalaja, Altai) che
a quel tempo aveva un clima tropicale. Anche su queste grandi catene
montuose, dove il clima era più freddo delle regioni circostanti, si era
formata una flora glaciale (la flora alpino-terziaria: data dall’adattamento
di vegetali che prima vivevano in ambiente tropicale). Fra queste due flore
glaciali l’affinità era minima, essendosi formate in zone assai distanti fra
loro. Le glaciazioni però posero in contatto queste due flore che si
mescolarono intimamente e i generi di origine artica (come ad es. Carex,
Betulla,ecc.) invasero le Alpi e le altre montagne dell’Asia centrale
formando spesso anche specie nuove; inversamente specie eurasiatichemontane seguirono la ritirata dei ghiacciai durante gli interglaciali fino alla
regione artica e vi si insediarono stabilmente (come ad es. Salix, Primula,
Genziana, Taraxacum) e molte di esse diedero luogo ad una vivace attività
di speciazione. Quindi le Alpi furono un punto d’incrocio fra la flora
discendente dal settentrione e quella che si propagava dall’oriente.


Stabilirsi di “relitti glaciali”
Il ritirarsi dei ghiacci dopo l’ultima glaciazione portò come conseguenza
una progressiva ritirata verso il nord delle specie adattate al clima nivale;
alcune di esse rimasero come specie relitte, dove le condizioni ecologiche
lo permettevano. Si ebbe una sorta di fenomeno inverso al formarsi di
oasi di rifugio per le specie termofile durante l’avanzamento dei ghiacci.
Stazioni con condizioni di vita simili a quelle delle zone polari si hanno
dovunque sulle alte montagne (per es. sulle Alpi sopra i 2500 m s.l.m.,
sui Carpazi e sul Caucaso) dove infatti le specie artico-alpino sono
particolarmente abbondanti. Ma queste specie artico-alpino sono
abbastanza abbondanti anche su sistemi montuosi ben più modesti (es.
Vosgi, il Massiccio Centrale, ecc.) ma la loro distribuzione e da
considerare una distribuzione relittuale in quanto si trovano solo ad una
certa altitudine ed esposizione. Ben più interessanti sono le stazioni
relitte dove le condizioni ecologiche o microclimatiche del tutto particolari
hanno permesso ad alcune specie settentrionale di conservarsi anche in
pianura. In Italia le zone di pianura più ricche di relitti glaciali sono le
paludi friulane, le paludi della Brianza, le paludi Pontine.
Considerando che almeno 4 volte nel corso degli ultimi 600
mila anni si sono avute glaciazioni seguite da interglaciazioni
si può comprendere l’importanza di questi meccanismi nel
determinare la distribuzione della flora attuale in Italia e in
Europa.
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