I secoli IX e X
Storia Medievale (i)
Università degli Studi di Verona
a.a. 2012-2013, semestre I, semestrino I
30 ottobre 2012
Aula 2.1, ore 15.40-17.20
via S. Francesco 22, Verona
L’immunità
• Nella storiografia tradizionale le immunità sono viste come
processo autodistruttivo (l’imperatore rinuncia alle sue
prerogative) in una prospettiva di un processo di
dissoluzione dello Stato.
• Nella storiografia attuale l’immunità non ha niente a che
fare con la dissoluzione dello Stato, ma è concepita come
una prova di forza regia nel limitare il raggio d’azione dei
suoi funzionari.
• Le immunità del IX secolo hanno come oggetto precisi
ambiti d’azione e obiettivi: le rendite ‘risparmiate’ devono
essere spese per le luminarie delle Chiese (laus perennis).
• La diffusione dell'immunità in età carolingia si spiega non
con una volontà di rinuncia alle proprie prerogative da
parte del potere pubblico, come si è scritto in passato,
bensì con il tentativo da parte del potere centrale di
rafforzare la potenza sacrale dello Stato.
L’immunità
• Infatti chiese e monasteri immuni erano di regola
sottoposti alla tuitio imperiale, ossia alla protezione da
parte del sovrano, che era attivamente coinvolto nelle
questioni – religiose e patrimoniali – che riguardavano le
diverse istituzioni ecclesiastiche (per esempio la nomina
dell’abate) finendo in questo modo per esercitare un
forte controllo su di esse.
• Gli enti immuni, con i loro possessi in continua
espansione grazie alle donazioni pubbliche e private,
rappresentarono una straordinaria risorsa per il potere
regio.
• Il potere pubblico carolingio in conclusione si basava su
una triplice coordinazione di forze: della struttura
pubblica, della rete vassallatica, degli enti immuni
protetti dal sovrano.
Il potere pubblico
• I rapporti vassallatico–beneficiari – meno universalmente
diffusi, in età carolingia, di quanto si sosteneva un tempo
• Le immunità concesse agli enti ecclesiastici erano quindi
strumenti di governo e non delle manifestazioni di
impotenza dell'apparato pubblico.
• Queste tre forze avevano al loro interno potenzialità di
sviluppi fra loro contrastanti.
• Tali sviluppi si manifestarono solo in seguito, a mano a
mano che ci si inoltra nel secolo IX, in occasione dei
conflitti per la successione regia e imperiale e per
l’accrescersi della consapevolezza aristocratica di essere
determinante nella scelta di sostenere questo o quel
candidato.
La divisione dell’impero carolingio (a. 843)
Il potere pubblico e i rapporti con l’aristocrazia
• Nel corso del IX secolo si assiste al lento capovolgimento
dell’assunto iniziale:
• - senza i Carolingi non ci sarebbe un’aristocrazia
• - senza un supporto da parte dell’aristocrazia non ci
sarebbero i Carolingi
Lo spazio e il tempo cristiani
• I movimenti del re, oltre che per le campagne militari e
per le assemblee, avvenivano soprattutto per celebrare il
Natale e la Pasqua.
• Per ciò che riguarda il calendario liturgico fu imposta
un’uniformità nella celebrazione delle feste cristiane in
tutto l’impero che era basata, oltre che sulle due festività
cardine, sulla celebrazione del culto dei santi.
• E’ quest’ultimo quindi che diventa centrale nella
costruzione del tempo cristiano, unico in tutto l’impero
(anche se un spazio sarà lasciato anche ai santi locali,
ma solo in aggiunta ai culti comuni dell’impero).
• In esso i martiri del primo cristianesimo e quelli romani, i
vescovi gallo-romani e poi merovingi, i monaci e i
missionari franchi e anglosassoni stavano gli uni accanto
agli altri.
• I santi da venerare (e che operano miracoli) sono
controllati dall’alto.
• Non vi sono più (fino al X secolo) Vitae di santi locali
(come in età merovingia); non vi sono più Vitae di sante.
Il culto dei santi e le traslazioni di reliquie
• Nuovo genere letterario: le Traslazioni (cioè i trasporti delle
reliquie da un luogo a un altro).
• La società carolingia non sperimenta tanto il sacro, quanto
la sua narrazione.
• Culto dei santi significava venerazione profonda per le loro
reliquie.
• Esse davano evidenza materiale alla storia cristiana e
fornivano un accesso privilegiato alla sfera del sacro: di qui
i numerosissimi doni di reliquie di Carlo Magno, che le
possedeva come un suo tesoro personale di cui fece dono
a monasteri e chiese, specie di nuova fondazione.
• Nelle regioni di nuova conquista, inoltre, la loro presenza
costituiva un tentativo di sacralizzare in senso carolingio
quei paesi, con la forza ideologica rappresentata dalla
presenza fisica delle reliquie di santi gallo-romani e
franchi.
Lingua e scrittura
• La lingua dei classici era indispensabile per tutte queste
operazioni: grande fu perciò l’interesse dei chierici carolingi
per i capolavori letterari dell'antichità.
• I codici tardo-antichi contenenti i classici circolavano fra i
monasteri e le chiese episcopali, dove venivano copiati.
• Si formarono cosi sia i primi nuclei dì biblioteche in paesi di
tradizione recente in merito alla cultura scritta, come nella
Germania dei monasteri di Lorsch e di Fulda, o nella futura
Svizzera, a S. Gallo, sia si rafforzarono le importanti
biblioteche là dove già esistevano, come nell'antica Gallia, a
Corbie, Luxeuil, Fleury.
• La scrittura maggiormente utilizzata: minuscola carolina.
• Una scrittura semplice, insegnata in tutti
i centri scrittori dell’impero.
Il nuovo latino parlato
• Il nuovo latino scritto carolingio si distaccò così dalla
lingua parlata, nei territori romanzi, interrompendo un
processo che lo stava avvicinando ai nascenti volgari.
• Allo stesso tempo, pur puntando tutto sul latino come il
tessuto connettivo dell’amministrazione dell’impero e
della liturgia cristiana, si riconobbe il valore di altre lingue.
• Nel concilio di Tours dell’813, ci si raccomandò che i
predicatori, per farsi comprendere, a seconda dei casi,
parlassero in rusticam romanam lingua aut theotiscam,
ossia in lingua romanza o tedesca, le lingue del popolo
parlate rispettivamente a ovest e a est del Reno
Lingua e scrittura
• L'Epistola de litteris colendis, una missiva del 797, nella
quale si affermava la necessità che gli enti religiosi
dovessero accondiscendere ad istruire nell'esercizio delle
lettere coloro che fossero in grado di apprendere “perché
coloro che si sforzano di piacere a Dio vivendo rettamente
(recte vivendo) non trascurino di piacergli anche parlando
correttamente (recte loquendo)”.
• Il testo esprime bene l'ideale culturale carolingio: lo studio
filologico e grammaticale viene messo al servizio di
un'elevazione del livello morale e religioso, che si riflette
positivamente sul governo dell'impero cristiano.
• Le conseguenze del lavoro degli intellettuali carolingi
furono notevolissime.
Lingua, scrittura e tradizione testuale
• La maggior parte delle opere di autori antichi giunte sino a
noi risalgono ad un codice di età carolingia che costituisce
l'archetipo di tutta la successiva tradizione manoscritta,
fino ad arrivare alle prime edizioni a stampa.
• Qualche dato numerico: sopravvivono solo ca. 2.000
codici scritti nel periodo precedente l’anno 800, circa
7.000 scritti sono invece quelli scritti nel solo IX secolo.
• Il nostro debito verso gli intellettuali carolingi è enorme, in
quanto la nostra conoscenza dei classici – il che vuol dire
di una parte rilevante della civiltà antica – deriva dal
lavoro da loro svolto.
• Bisogna sottolineare che ciò che noi oggi conosciamo
deriva dalle lontane scelte compiute da costoro.
• Ciò che essi non copiarono o comunque non decisero di
conservare nelle loro biblioteche, fu in buona parte
destinato alla scomparsa per la rovina dei codici nei quali
era scritto o, talvolta, per la loro raschiatura ai fini di un
successivo riutilizzo (palinsesti).
Il regno in Italia (844-875)
• Morto Lotario, il regno italico con la corona imperiale era
passato a suo figlio Ludovico II, che era già rex
Langobardorum dall’844, e che si disinteressò dei domini
paterni a nord delle Alpi, concentrando la sua attività in
Italia (Incmaro arcivescovo di Reims, lo definì “colui che
viene chiamato imperatore d’Italia”).
• Ludovico II, nonostante il suo titolo imperiale, fu un sovrano
solo italiano. In questo ambito relativamente limitato, egli
interpretò il suo ruolo con il massimo impegno, cercando di
consolidare la dominazione carolingia in Italia.
• Nel centro-nord, essa si appoggiava sui vassalli più potenti,
tra i quali i principali erano i Supponidi, titolari di varie
contee, e i marchesi del Friuli, di Ivrea, della Tuscia, di
Spoleto, tutti appartenenti a grandi famiglie di funzionari
imperiali immigrati dai territori transalpini durante il regno di
Lotario.
• In più Ludovico II poteva contare sul controllo dei beni del
fisco (in particolare le ricche curtes della pianura padana),
degli episcopati e della rete dei maggiori monasteri.
Il nuovo ruolo della regina
• Certamente vi erano dei segnali che il complesso equilibrio
fra queste forze cominciava ad alterarsi – ad esempio a
vantaggio dei vescovi in molte città –, ma
complessivamente il potere di Ludovico II risultava ancora
saldo e la sua egemonia politico-militare indiscutibile.
• Angelberga, moglie di Ludovico II, compare come un
intermediario/intercessore nei diplomi regi
• È detta sia dulcissima coniux sia consors regni – consors
imperii (ruolo della regina che trascende quello di genere
femminile)
• 860 = carta di dotalicium con elenco di terre fiscali. E’ la
prova scritta della pubblicità del matrimonio.
Il papato e le terre bizantine
• Al centro della penisola agiva la chiesa di Roma, con la
sua ancora informe dominazione territoriale, dove alcuni
papi del periodo, come Nicolò I, riuscirono anche a
giocare un ruolo politico decisivo, intervenendo nei
conflitti interni alla famiglia carolingia, quali la lunga
contesa legata al divorzio di Lotario II.
• Quest’ultimo, rimasto unico erede di Lotario I nel nord
Europa, alla fine fu costretto a sottomettersi alla volontà
papale (dietro alla quale c’era la volontà politica dei suoi
zii, ansiosi di impadronirsi del suo dominio).
• Al sud sfuggivano all'autorità diretta dell'imperatore le
terre longobarde (gli ex-ducati/principati) e quelle
bizantine, inserite in un’area priva di un forte potere
centrale.
L’Italia meridionale
• I Bizantini, nonostante l’avanzata araba a partire
dall’827, erano ancora presenti in Sicilia come
dominazione diretta, mentre le città greche tirreniche
(Napoli, Gaeta, Amalfi) avevano trovato un loro equilibrio
politico sotto delle dinastie locali di funzionari resisi
autonomi dal potere centrale.
• Il meridione continentale invece dall’849 era diviso fra
due formazioni politiche fra loro rivali, i principati
longobardi di Benevento e di Salerno, eredi dell’antico
ducato beneventano.
• All’interno del principato salernitano – il più dinamico,
grazie al porto della sua città capitale, rifondata dal duca
Arechi II alla fine dell’VIII secolo – si profilava sempre più
nettamente, inoltre, l’autonomia del comitato di Capua,
sotto una dinastia locale di gastaldi-conti.
• La frantumazione politica del meridione era quindi molto
forte.
L’Italia meridionale
• Tuttavia, quando a partire dall'840 circa esso si trovò
sotto la minaccia crescente dei Saraceni, per Ludovico II
si aprì uno spazio nuovo di intervento.
• Presentandosi come protettore delle popolazioni cristiane
del sud, egli strappò Bari ai Saraceni che vi si erano
installati, trasformandolo in un emirato che era al tempo
stesso un pericoloso nido di pirati, e stabilì una precaria
egemonia sul Mezzogiorno.
• Alla sua morte (875), però, il sistema di potere da lui
messo in piedi, già incrinato da una prima reazione ostile
del principe di Benevento Adelchi – che lo aveva
addirittura temporaneamente imprigionato nell’871 –,
crollò del tutto e il sud tornò a essere disputato fra i
principi longobardi, i Saraceni e i Bizantini.
• I Bizantini colsero i maggiori frutti della situazione,
creando di nuovo, a partire dalla Puglia, una dominazione
territoriale sul continente che nei decenni successivi, con
il nome di catepanato di Langobardia, sarebbe diventata,
nel
tempo,
sempre
più
importante.
Le lotte per la successione e ricomposizione
• Nella crisi che seguì alla scomparsa di Ludovico II, il
papato si inserì, rivendicando a sé la capacità di disporre
della corona imperiale.
• Papa Giovanni VIII (872–882), convocata una sinodo dei
vescovi italiani a Ravenna, assegnò la corona a Carlo il
Calvo, che unì così l'Italia al regno della Francia
occidentale che già possedeva (875).
• Ma la morte a breve distanza di Ludovico il Germanico
(876) e dello stesso Carlo (877), fu seguita da una serie di
sfortunati eventi che eliminarono dalla scena i vari eredi
maschi carolingi.
• Nell’884 rimase solo Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il
Germanico.
• In quanto re di Alamannia, questi si era già fatto nominare
re d’Italia nell’879 e imperatore nell’881; la morte dei suoi
rivali carolingi gli spianò la strada per una riunificazione
totale dell'impero, la prima dall’840.
Le lotte per la successione e ricomposizione
• La riunificazione dell’autorità imperiale di Carlo il Grosso
fu effimera e più teorica che reale.
• I problemi più pressanti che si ponevano in quel momento
infatti non erano tanto legati alla sopravvivenza della
complessa impalcatura unitaria dell’impero, bensì erano
quelli della difesa delle popolazioni dalle incursioni
normanne e saracene, in continuo aumento, alle quali, di
lì a poco, si aggiunsero le scorrerie degli Ungari.
• Le lotte intorno alla carica imperiale in fondo distoglievano
i ceti dominanti dalla loro principale occupazione, la difesa
locale.
• Così l'impero, non più necessario, morì di morte naturale,
almeno nella sua più impegnativa forma carolingia.
Le lotte per la successione e ricomposizione
• La crisi dell'impero trascinò con sé un restringimento
d'orizzonti del papato, rinchiuso ormai in una dimensione
romana o al massimo centro-italiana.
• Inoltre fu incapace di approfittare anche di situazioni
favorevoli, come quella offerta dalle cosiddette Decretali
Pseudo–Isidoriane, una raccolta di falsi canoni di concili
che circolava dalla seconda metà del IX secolo nella
chiesa franca e che aveva lo scopo primario di indebolire il
potere dei metropoliti (in particolare dell'arcivescovo di
Reims) nei confronti dei vescovi, ma che, al tempo stesso,
ribadiva, in alternativa, i vincoli di subordinazione dei
vescovi stessi nei confronti del papato.
• Era un'occasione per affermare la primazia di Roma sulla
potente chiesa franca.
• Ma fu un'occasione che andò, per il momento, quasi
totalmente sprecata a causa della scarsa statura
intellettuale e politica dei papi succeduti a Giovanni VIII.
La deposizione di Carlo il Grosso (888)
• In questo quadro, la deposizione di Carlo il Grosso ha in
un certo modo un carattere emblematico.
• Carlo, privo di eredi maschi adulti e colpito da una grave
crisi epilettica durante la dieta di Tribur dell'887, fu
deposto dai grandi e confinato presso una villa pubblica
dove morì (889). Con lui ebbe fine la dinastia carolingia.
• Gli ultimi Carolingi avevano fallito proprio nel loro compito
principale, proteggere le popolazioni loro affidate.
• Così come nel 751 l’ultimo re merovingio era stato
deposto in quanto ‘inutile’, ora lo stesso appellativo
veniva adottato per l’ultimo dei Carolingi, a significare che
il prestigio dinastico elaborato dalla famiglia carolingia
non era stato sufficiente a far dimenticare all’aristocrazia
che il buon re si misurava non solo dalla sua nobile
origine, ma soprattutto in base alla sua efficacia.
Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
• La situazione interna dell'impero carolingio era stata
aggravata dall'improvvisa e dura minaccia militare che
venne a pesare sulle regioni dell'occidente europeo a
partire dagli inizi del IX secolo.
• Lo scatenarsi più o meno simultaneo delle incursioni
vichinghe e saracene, in uno scenario compreso tra le
coste del sud mediterraneo e del nord continentale,
contribuì a destabilizzare la società carolingia.
• Alla fine dello stesso secolo IX, poi, gli Ungari si unirono
da oriente a Vichinghi e a Saraceni, completando
l'accerchiamento delle vecchie regioni carolinge e
riproponendo all'occidente l'antica minaccia delle
popolazioni nomadi o semi-nomadi.
• Si trattò delle cosiddette ‘ seconde invasioni ’ , il cui
sviluppo temporale va, approssimativamente, dal 750 al
950.
Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
• Di fronte ai danni provocati da queste seconde invasioni,
ci si deve chiedere prima di tutto come mai l'impero
carolingio, che solo pochi decenni prima aveva imposto
la sua schiacciante forza militare contro tutti suoi nemici,
non sia stato in grado di opporsi in modo efficace alle
incursioni.
• I conflitti interni e gli stessi processi di trasformazione
sociale non bastano a spiegare del tutto un simile
insuccesso, che va interpretato innanzitutto dal punto di
vista militare.
• In questo campo non si deve pensare ad una superiorità
numerica degli aggressori o a una loro superiorità in fatto
di tecnica militare o di armamento.
• Tutt'altro: la superiorità tecnologica era tutta dalla parte
carolingia, tant'è vero che i capitolari imperiali proibivano
con durezza di vendere armi ai pirati vichinghi o ad altri
nemici esterni.
Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
• Il motivo-chiave è un altro: l'impero carolingio non era
preparato a difendersi.
• Infatti l'esercito carolingio era fatto per l'aggressione
premeditata, ossia per campagne d'attacco nelle quali era
formidabile.
• Essendo lento sia a riunirsi che a muoversi, non era
capace di resistere a incursioni rapide e improvvise, né
tanto meno di prevenirle.
• Inoltre i vassalli, che ne costituivano il nucleo
fondamentale, erano disponibili per l'esercito solo per un
numero limitato di giorni.
• La stessa cavalleria, strumento militare eccellente e
capace di fornire una schiacciante superiorità (spesso
infatti gli aggressori furono battuti in campo aperto), era
utilizzabile per le campagne solo nelle stagioni nelle quali il
foraggio era abbondante e, anche in quei casi, per poco
tempo, dato l'elevato costo del suo mantenimento.
Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
• Insomma, la concentrazione dell'esercito era macchinosa
e, per di più, era possibile solo in un posto stabilito con
molto anticipo, data la difficoltà delle comunicazioni.
• La difesa territoriale, poi, esisteva quasi solo in teoria.
Inoltre, all’interno dei conflitti locali, la presenza di entità
esterne fu spesso utilizzata contro i propri nemici interni.
• Tutto ciò metteva l'impero nelle mani di aggressori inattesi
e imprevedibili.
• Le invasioni misero insomma a nudo i limiti di fondo della
costruzione carolingia, la fragilità delle sue basi:
• la mancanza di vere finanze
• di estese fortificazioni
• di una marina
• di un esercito permanente
Fattori esterni: le ‘seconde invasioni’
•la vastità del territorio in rapporto all'atomizzazione della
vita sociale
•la stessa sostanziale indifferenza delle popolazioni verso
le sorti generali dell'impero.
•il complesso ruolo dell’aristocrazia, che sfruttò le invasioni
come mezzo per indebolire il potere dei sovrani, o anche la
stessa azione di questi ultimi, che alternarono guerra e
accordi sulla base della loro agenda politica interna.
•L'unica difesa realmente efficace fu quella locale.
•Ed essa fu sopportata in primo luogo da quegli stessi
grandi vassalli (prima di tutto gli ufficiali pubblici) e signori
che erano così tiepidi nel soccorrere re e imperatori, ma
che trovarono proprio in questo ruolo difensivo un mezzo
efficace per accrescere e rafforzare la propria supremazia
sugli abitanti che venivano protetti dalle loro armi.
Una storia esemplare: i Danesi
• I Danesi furono in prima fila – fin dall'811 –
nell'aggressione verso l'impero carolingio.
• In questo caso, il periodo più caldo delle aggressioni iniziò
con l’850 circa: i Vichinghi risalirono i grandi fiumi e
misero sotto attacco tutto il regno della Francia
occidentale, la Frisia e la Lotaringia.
• Le chiese, i monasteri, le popolazioni vennero più volte
depredati e tributi in denaro vennero spesso pagati per
evitare il saccheggio.
• Poi, intorno all'880, si verificano dei mutamenti: i campi
temporanei che i pirati costruivano nei punti di sbarco
sulle coste marittime o fluviali, per ripararsi durante il
saccheggio delle zone circostanti, cominciarono in alcuni
casi a diventare permanenti, almeno sulle coste del Mare
del Nord.
• Lo sfruttamento della popolazione divenne più regolare e
meno violento.
Una storia esemplare: i Danesi
• Nel 911, prendendo atto della situazione, il re della Francia
occidentale, Carlo il Semplice (uno degli ultimi Carolingi),
dette in feudo al capo vichingo Rollone la terra che da allora
fu detta Normandia, e che divenne un ducato.
• In cambio Rollone giurò fedeltà vassallatica al sovrano e si
convertì al cristianesimo.
• Da questo momento, i Normanni difesero le stesse terre
che prima depredavano.
• Il peso delle incursioni iniziò a diminuire ed essi si
integrarono rapidamente nel mondo franco, assorbendone
lingua, religione e cultura pur senza perdere le loro spiccate
attitudini guerriere.
Una storia esemplare: i Danesi
• Dappertutto intorno al 930 circa, l'impeto delle incursioni
vichinghe e danesi si placò.
• Farne un bilancio è difficile, anche perché è indubbio che la
loro violenza fu esasperata nel racconto che ce ne fanno le
nostre fonti, che sono quasi tutte di provenienza
ecclesiastica, scritte cioè in quelle chiese e monasteri che,
per la loro ricchezza, furono più di tutte nel mirino degli
attacchi.
• Subito dopo la deposizione di Carlo il Grosso, nell’888, non
essendoci maschi adulti di stirpe carolingia, l’aristocrazia
dei vari regni elesse re dal suo interno.
• Lo fece utilizzando tutti i rituali politico-ecclesiastici della
regalità consolidatisi in età carolingia, quali le assemblee e
i rituali di inaugurazione officiati dai vescovi.
I successori di Carlo il Grosso
• In sostanza si può dire che il sistema di potere carolingio cercò
di continuare ad andare avanti, anche se indebolito, senza i
Carolingi.
• Ma alla lunga il tentativo fallì, perché la mancanza di sovrani di
discendenza maschile carolingia legittima fra i nuovi reguli
(come li chiamò Reginone di Prüm) conferì loro un deficit di
legittimità.
• Da qui scaturirono inevitabilmente violenti conflitti interni fra le
fazioni aristocratiche, poste di fronte di solito ad una dura
scelta: sottomettersi o opporsi con le armi.
• Infatti le opportunità del periodo precedente, rappresentate da
una pluralità di corti carolinge verso le quali indirizzare la
propria fedeltà, era venuta meno.
• Ormai la divaricazione fra i vari regni era divenuta troppo forte.
• Tali conflitti si sommarono agli altri fattori di debolezza
nell’incrinare progressivamente la forza e l’incisività dell’azione
dei poteri pubblici nel periodo post-carolingio.
La Francia
• Una prima divaricazione politica netta ci fu tra Francia e
Germania.
• In Francia (il regno della Francia occidentale) fu eletto re
Oddone, conte di Parigi, capo della resistenza della città ai pirati
vichinghi, che apparteneva alla stirpe dei Robertini, poi detta dei
Capetingi.
• Nei decenni successivi, mentre continuavano le incursioni
vichinghe, il potere regio fu conteso a lungo fra Carolingi e
Capetingi, finché questi ultimi – che erano duchi della Francia,
ossia dell'Île-de-France – salirono definitivamente al trono con
Ugo Capeto nel 987.
• Ma i Capetingi controllarono di fatto solo l'Île-de-France, un
territorio non più grande di quello dei più forti fra i loro vassalli.
• Si avviò quindi un processo di dissociazione del regno in unità
minori, i cosiddetti principati.
La Francia
• Fra quelli destinati a vita più lunga, c'erano il ducato di
Normandia, le contee di Fiandra, di Champagne, di Bretagna,
d'Angiò, di Tolosa, di Borgogna e di Aquitania.
• Non tutti erano frutto del dinamismo di dinastie di origine
comitale: la Normandia era un’eredità delle incursioni
vichinghe, la Bretagna e l'Aquitania erano antiche unità
amministrative carolinge.
• Nel sud del paese, inoltre, si erano creati due piccoli regni
autonomi, di Provenza – i cui sovrani aspirarono
periodicamente alle corone di Francia o d'Italia – e di
Borgogna.
La Germania
• L'evoluzione della Germania è simile solo in apparenza a
quella francese.
• La differenza principale è data dalla presenza in Germania
di grandi aggregazioni territoriali su base etnica, i ducati.
• Fu proprio questo sottofondo etnico-tribale che garantì una
maggiore solidità ai poteri regionali, rispetto ai principati
francesi, perché bloccò l'eccessiva intraprendenza delle
dinastie locali.
• Inoltre, in una prima fase le aggressioni che
caratterizzarono il periodo delle seconde invasioni furono
più lievi in Germania che in Francia.
• Per questi motivi, il potere centrale rimase più forte.
La Germania
• I Carolingi dapprima si mantennero sul trono con Arnolfo di
Carinzia, discendente illegittimo di Ludovico il Germanico,
che fu eletto nell'888 re di Germania.
• Dopo un periodo di instabilità, i duchi e gli altri grandi
diedero la corona prima a Corrado duca di Franconia (911),
poi, morto questi, a Enrico I duca di Sassonia (919–936),
che organizzò definitivamente il regno come un’unione di
ducati etnici:
• Sassonia, Franconia, Svevia (Alamannia), Baviera, cui si
aggiunse anche la Lotaringia, strappata ai re della Francia
occidentale.
La penisola italiana
• La lotta per il potere all'interno dell'antico regno
longobardo si scatenò violenta, dopo la fine della dinastia
carolingia, e portò sul trono gli esponenti di alcune antiche
famiglie franche trapiantate in Italia, nessuno dei quali
riuscì però a fondare una dinastia regia.
• Ciò derivò anche dalla relativa debolezza della grande
aristocrazia laica del regno, tutta di origine transalpina,
che si era fusa solo in modo imperfetto con la piccola e
media aristocrazia indigena (longobardo-italica) e che era
invece ancora molto legata a proprietà e interessi a nord
delle Alpi.
• La scomparsa di un potere unitario a sud e a nord delle
Alpi fu un duro colpo per un'aristocrazia di questo tipo.
• Tuttavia anche in Italia si erano formate grandi
aggregazioni territoriali, di origine pubblica, le marche di
Spoleto, Tuscia, Ivrea, Friuli, e fu da esse che uscirono gli
attori principali della vicenda politica.
La penisola italiana
• Dopo l'887, la lotta si scatenò fra Guido marchese di
Spoleto e Berengario marchese del Friuli (che discendeva
dai Carolingi per via materna) e vide inizialmente il
prevalere del primo, che nell'891 cinse anche la corona
imperiale, unendola a quella di re d'Italia.
• Guido seguiva così una tradizione che risaliva a Ludovico II,
re d'Italia e imperatore, e che aveva le sue radici nello
speciale rapporto, di protezione e di collaborazione al
tempo stesso, che il sovrano italico aveva con il papa e la
chiesa di Roma.
• Poco importava che, nella pratica, un sovrano come Guido
fosse tanto debole da non riuscire a imporsi senza contrasti
nemmeno nel suo regno.
• Proprio il valore particolare, di base legittima per una
rivendicazione del titolo imperiale, che aveva la corona del
regno italico, finì per attirare il Italia il re di Germania Arnolfo
di Carinzia, chiamato da una fazione dell'aristocrazia e della
chiesa ostile a Guido e capeggiata da papa Formoso.
La penisola italiana
• Battuto facilmente Guido e conseguito a sua volta il potere
imperiale (896) Arnolfo, ammalatosi improvvisamente,
dovette però ripassare in gran fretta le Alpi attraverso un
paese che gli era ridiventato immediatamente ostile.
• Scomparso il sovrano tedesco, la lotta tra le dinastie di
Spoleto e del Friuli si riaccese immutata, finché, dopo il
breve regno del figlio di Guido, Lamberto, morto per un
incidente di caccia nell'898, il potere rimase infine a
Berengario I del Friuli (888-924), che, tuttavia, non riuscì
mai a esercitarlo realmente al di fuori dell'Italia nord–
orientale.
• I nuovi re usciti dalla crisi del potere imperiale carolingio
nell’887-888 furono dunque, con l’eccezione dei re di
Germania, sovrani complessivamente piuttosto deboli.
La regalità
• Essi – molti dei quali erano imparentati con i Carolingi –
continuarono comunque a muoversi sempre entro un
quadro concettuale politico carolingio, sia per ciò che
riguardava l’idea del ministerium regio, o il rapporto con la
chiesa o quello con la stessa idea imperiale.
• Come dimostrano i ripetuti aspiranti al titolo imperiale che,
nel periodo che intercorre fra la deposizione di Carlo il
Grosso e l’elezione di un imperatore forte ed autorevole
come Ottone I di Sassonia (961), cinsero la corona a Roma.
• Questo a dimostrazione della forza della tradizione
carolingia – ben al di là della sua stessa breve storia politica
– e dell’impronta che essa aveva impresso sulla società,
all’interno di un occidente che ormai possiamo definire ‘altomedievale’ e non più semplicemente ‘post-romano’.
Cause caduta impero carolingio (888)
• Crisi dinastica
• Aggressioni militari esterne
• Indebolimento istituzioni per ereditarietà delle cariche
• Forze centrifughe dei “sub-regni”
Conseguenze caduta impero carolingio (X sec.)
• Creazione regni indipendenti (franco occidentale e
orientale, italico, Borgogna, Provenza)
• Titolo imperiale legato al regno italico
• Ereditarietà delle cariche pubbliche laiche: da comitati si
formano le contee
• Appoggio istituzionale sugli episcopati (concessione di
diplomi regi e imperiali)
Regno italico
• Titolo imperiale
• Elezione regia, solo alcune incoronazioni (Berengario II
950, Arduino 1002, Enrico II 1004)
• Ruolo della capitale: funzione del palatium (Liutprando)
• Continuità delle istituzioni pubbliche regie (i placiti)
Regno franco occidentale
• Crisi del potere pubblico e aumento autonomie principati
• Aggressioni normanne
• Limitazione autorità pubblica regia
• Dai comitati carolingi ai principati territoriali
Regno franco orientale
• Affermazione della dinastia dei duchi di Sassonia
• Ottone I: conquista l’Italia e il titolo imperiale
• Riaffermazione dell’autorità pubblica (ruolo dei vescovi,
diplomi)
• Strutturazione in ducati: Lotaringia, Sassonia, Franconia,
Svevia, Baviera, Austria (Ost Mark = Oester Reich)
Storiografia: la crisi del potere pubblico
• Vecchia interpretazione: Giovanni Tabacco e i re
“autolesionisti”(G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture
del potere nel medioevo italiano, Torino 1979)
• Nuova interpretazione: Barbara Rosenwein e il “ giftgiving” (B. H. Rosenwein, Negotiating Space. Power,
Restraint and Privileges of Immunity in Early Medieval
Europe, Manchester 1999).
Vecchia interpretazione: Feudalesimo
• Vassallaggio come feudalesimo: strumento di
inquadramento dello “stato”
• Struttura statale: una piramide del potere
• Karl Marx: modello produttivo feudale (Ancien régime)
Vassallaggio (NO feudo)
• Nascita e sviluppo rapporti vassallatico-beneficiari in età
merovingia e carolingia (VII-IX secolo)
• Diffusione del vassallaggio di laici ed ecclesiastici (X-XI
sec.)
• Assenza della “piramide feudale” sino al XII secolo
Crisi potere pubblico (X-XI sec.)
• Ereditarietà delle cariche
• Sviluppo della giurisdizione vescovile
• Lontananza e difficoltà del potere regio (Italia, Francia,
Germania)
Signorie territoriali (NO feudo)
• Dalla signoria fondiaria (colonato tardo-romano e
sistema curtense carolingio) (IV-IX sec.),
• alla signoria territoriale o “di banno” (difesa e controllo
militare, giustizia, tassazione) (X-XII sec.)
• Verso l’Ancien Régime
Incastellamento (X secolo?)
• Storiografia giuridica: crisi regia e aggressioni esterne
(Giovanni Tabacco)
• Innovazioni storiografiche: conflittualità interna (Aldo
Settia) e modificazione dell’insediamento (Pierre
Toubert)
• Dati archeologici: modello “toscano” e trasformazione
del paesaggio e dell’insediamento dal VI sec. in avanti
(Riccardo Francovich)
Feudalesimo (da XII sec.)
• Capitolare di Quercy di Carlo il Calvo (877) e Constitutio
de feudis di Corrado II (1037): ereditarietà dei benefici
vassallatici.
• Feudo “oblato” e riaffermazione del potere imperiale con
Federico I di Svevia (XII sec.).
• “Piramide feudale” come mezzo di aggregazione
istituzionale nelle “monarchie nazionali” (da XII sec.).
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I secoli IX e X (30-31 ottobre) (vnd.ms