UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA
LA RESIDENZA DELLE
PERSONE FISICHE
a cura del dott. Giovanni Barbato
• La legislazione tributaria nazionale, alla stregua
della maggior parte degli altri ordinamenti fiscali,
sottopone a tassazione, ai fini dell’imposizione
personale, per i soggetti residenti, tutti i redditi
posseduti, in Italia ed all’estero, in virtù del noto
principio della tassazione dell’utile mondiale o
“world wide taxation” e, per i soggetti non
residenti, i soli elementi reddituali prodotti nel
territorio dello Stato, in base al c.d. “principio di
territorialità”.
• Più precisamente il principio del "reddito
mondiale" si basa infatti sul criterio della
residenza e postula l'assoggettamento dei
residenti a tassazione di tipo personale per ogni
tipologia di reddito a prescindere dal luogo di
produzione,
ricostruendone
le
condizioni
economiche complessive. Di contro, nei
confronti dei non residenti viene, invece,
applicato il principio della territorialità (ovvero
della fonte), in virtù del quale vengono attratti ad
imposizione in Italia i soli redditi prodotti nel
territorio nazionale.
• La disciplina della residenza delle persone
fisiche è contenuta nell’art.2, comma 2 del
vigente testo unico delle imposte sui redditi,
approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917;
tale norma stabilisce che sono soggetti passivi
dell’imposta le persone fisiche, residenti e non
residenti nel territorio dello Stato e che si
considerano residenti le persone che per la
maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte
nelle anagrafi della popolazione residente o
hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la
residenza ai sensi del codice civile
• La legge 448/1998 ha proceduto ad integrare la
disposizione de quo con il comma 2-bis
prevedendo che si considerano residenti,
salvo prova contraria, anche i cittadini italiani
cancellati dalle anagrafi della popolazione
residente ed emigrati in Stati o territori aventi un
regime fiscale privilegiato, individuati con
apposito
decreto
ministeriale
Cfr. art.10 della legge 23 dicembre 1998, n.448
che ha aggiunto il comma 2-bis all’art.2 del
TUIR.
Ma andando ad analizzare più nel dettaglio l’art. 2 del
TUIR occorre in prima analisi rilevare come il dettato
normativo riconduca la determinazione della residenza
fiscale delle persone fisiche essenzialmente a tre
elementi fondamentali:
• il primo, di tipo formale, consistente nell’iscrizione
anagrafica;
• gli altri due,e cioè il domicilio e la residenza , di tipo
sostanziale, da individuare secondo le disposizioni e le
regole interpretative adottate in sede civilistica e da
utilizzare evidentemente in carenza del primo requisito
• Come precisato al riguardo dalla Circolare
del
Ministero
delle
Finanze
del
02/12/1997, n. 304 dal dettato testuale
della legge citata emerge chiaramente che
i predetti requisiti sono tra loro alternativi
e non concorrenti, con la conseguenza
che sarà pertanto sufficiente il verificarsi di
uno solo di essi affinché un soggetto sia
considerato fiscalmente residente in Italia
• Accanto a tali presupposti la norma
richiama anche un elemento legato alla
decorso del tempo ed uno connesso alla
dislocazione dei vari contribuenti.
Il requisito di iscrizione
all’anagrafe della popolazione
residente. Le conseguenze
dell’iscrizione all’Aire
• Si tratta di un elemento di tipo oggettivo, legato
al dato formale della «mera» iscrizione.
• L’iscrizione all’anagrafe della popolazione
residente appare porre prima facie porre una
presunzione legale di residenza fiscale. In altri
termini, l’essere iscritto all’anagrafe sarebbe
condizione sufficiente per qualificare la
residenza fiscale di un determinato contribuente
non essendo necessari per l’Amministrazione
finanziaria ulteriori elementi probanti.
• Si deve segnalare una posizione tendenzialmente
concorde sulla natura di presunzione assoluta (iuris et
de iure) della citata disposizione di legge, anche se non
sono mancate in dottrina talune prese di posizione
antitetiche.
• Su tale aspetto, appare interessante la presa di
posizione della Guardia di Finanza. Infatti nella circolare
1-2008 si osserva che “Il legislatore ha previsto che la
sussistenza
dell'elemento
oggettivo
di
natura
meramente formale, rappresentato dall'iscrizione
nell'apposito registro anagrafico della popolazione
residente determina l'insorgenza di una presunzione
assoluta di residenza fiscale in Italia. In ambito tributario,
è stato dunque preferito un approccio formalistico, a
differenza di quanto avviene in ambito civilistico, in cui le
risultanze anagrafiche danno luogo a presunzioni
relative, superabili mediante prova contraria.”.
• La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare
come ai fini tributari l’iscrizione all’anagrafe della
popolazione residente è una circostanza preclusiva “di
ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione
del soggetto passivo d’imposta, diversamente da quanto
avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche
sono invece concordemente considerate idonee
unicamente a dar luogo a presunzioni relative,
superabili, come tali, dalla prova contraria”. Per la
Suprema Corte “in materia fiscale, a differenza di quanto
avviene ai fini civilistici, la forma è destinata a prevalere
sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga
collegata
al
presupposto
anagrafico”
Cfr. Cass. n. 9319/2006.
• L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è
disciplinata dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal
relativo regolamento di attuazione, approvato con DPR
30 maggio 1989, n. 223. La disciplina posta dalle norme
citate fissa il presupposto per l’iscrizione nell’avere nel
Comune la propria dimora abituale ovvero per le
persone senza fissa dimora il proprio domicilio. Peraltro,
non cessano di appartenere alla popolazione residente i
soggetti che dimorano temporaneamente in altri Comuni
o all’estero per occupazioni stagionali o per altre ragioni
di durata limitata.
• In ogni caso dalla posizione dell’Amministrazione
finanziaria assunta in materia ne deriva che la semplice
iscrizione nelle liste anagrafiche in Italia fa scattare
automaticamente il requisito della residenza fiscale a
mente del citato comma 2 dell’art.2, con le relative ed
intuibili conseguenze in materia di tassazione dei redditi
ovunque prodotti.
• Tuttavia al presupposto della mera iscrizione non è
consentito attribuire lo stesso valore probatorio
nell’ipotesi inversa, vale a dire in caso di cancellazione
dalle liste. In altre parole, se è evidente che la semplice
iscrizione fa derivare automaticamente le conseguenze
appena ricordate, un accertamento di tipo sostanziale è
invece comunque necessario nel caso di cancellazione
dalle liste medesime.
• Del resto, appare evidente che il soggetto interessato pur cancellatosi dall’anagrafe della popolazione
residente - potrebbe tuttavia aver mantenuto in Italia il
domicilio e/o la residenza ai sensi del codice civile, con
ciò facendo in ogni caso perfezionare una o entrambe le
due ipotesi ulteriori ed alternative previste dallo stesso
art. 2, comma 2, TUIR.
• Ma volendo entrare più nel dettaglio,
occorre precisare che per i cittadini italiani
che abbiano stabilito la propria dimora
all’estero non è sufficiente la cancellazione
dall’anagrafe in questione, in quanto il
nostro ordinamento impone anche la
realizzazione di un quid pluris, consistente
nell’iscrizione nell’Anagrafe degli italiani
residenti all’estero (Aire)
•
•
•
•
•
•
La cancellazione dall’Aire si verifica:
per iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in
Italia, a seguito di un nuovo trasferimento dall’estero nel
territorio della Repubblica;
in virtù dell’immigrazione dall’estero in altro Comune
italiano;
per causa di morte, anche nel caso in cui l’evento sia
presunto, se giudizialmente dichiarato;
per irreperibilità presunta trascorsi cento anni dalla
nascita o dopo l’effettuazione di due «rilevazioni»
successive;
per perdita della cittadinanza;
per trasferimento nell’Aire di un altro Comune italiano.
• La cancellazione dall’anagrafe della
popolazione residente e l’iscrizione
nell’anagrafe degli italiani residenti
all’estero (AIRE) non costituiscono
elemento determinante per escludere il
domicilio o la residenza nello Stato, ben
potendo questi ultimi essere desunti con
ogni mezzo di prova anche in contrasto
con le risultanze dei registri anagrafici
• L’iscrizione all’AIRE costituisce condizione
necessaria ma non sufficiente per poter
essere considerato non residente, a
differenza dell’iscrizione nell’anagrafe
della popolazione residente che, da sola,
costituisce presupposto per essere
considerato residente in Italia
Il domicilio
• Il domicilio di una persona è nel luogo in cui
essa ha stabilito "la sede principale dei suoi
affari ed interessi". Alla luce di tale disposto, la
giurisprudenza prevalente considera il domicilio
un rapporto giuridico col centro dei propri affari,
prescindendo dalla presenza effettiva in un
luogo . Esso consiste dunque principalmente in
una situazione giuridica che è principalmente
caratterizzata dall'elemento soggettivo, cioè
dalla volontà di stabilire e conservare in quel
luogo la sede principale dei propri affari ed
interessi
• Secondo la giurisprudenza della Cassazione per
determinare il luogo del domicilio è necessario che vi sia
la volontà della persona di stabilire in un luogo il centro
delle proprie relazioni familiari e sociali: in altri termini il
domicilio viene considerato un rapporto giuridico col
centro dei propri affari, prescindendo dalla presenza
effettiva in un luogo. Esso consiste dunque
principalmente in una situazione giuridica che è
principalmente caratterizzata dall'elemento soggettivo,
cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo
la sede principale dei propri affari ed interessi.
Cfr. Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322; Cass. 22
maggio1963, n.1342; Cass. 21 marzo 1968, n. 884
• Ma proprio con riguardo alle parole «affari e
interessi» si deve segnalare che la dottrina
prevalente ne ha fornito un significato molto
ampio, tale da ricomprendere non soltanto gli
interessi di natura patrimoniale ma anche quelli
di tipo morale, come ad esempio quelli che
«attengono al consorzio di vita coniugale» o che
«confluiscono normalmente nel luogo in cui vive
la famiglia».
•
• Tale impostazione è conforme ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale, per rilevare la preminenza degli
interessi familiari su quelli di natura patrimoniale, è necessario
verificare la ricorrenza di alcune circostanze utili ai fini della
determinazione del domicilio dei contribuenti.
• La Suprema Corte ha individuato degli elementi rilevanti per
ricostruire l’esistenza dei legami con il territorio, quali, ad esempio,
la presenza fisica del soggetto e dei suoi familiari, la disponibilità di
un’abitazione, il luogo di frequenza delle scuole da parte dei figli,
quello di esercizio di eventuali attività professionali o imprenditoriali,
quello dei legami amministrativi con le Autorità pubbliche e gli
organismi sociali.
• Cass. n. 9856 del 21 marzo 2008 e n.13803 del 7 novembre 2001.
• Anche per l’Amministrazione finanziaria la locuzione
"affari ed interessi" di cui al citato art. 43 deve intendersi
in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di
natura patrimoniale ed economica ma anche morali,
sociali e familiari; sicché la determinazione del domicilio
va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che,
direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in
un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere
principale che esso ha nella vita della persona.
• Sul punto,cfr. Circolare del Ministero delle Finanze,
Dipartimento delle Entrate, del 02/12/1997, n.304.
Residenza
• La residenza civilistica, si è visto come questa sia
definita, ai sensi dell’art. 43 C.C., come "il luogo in cui la
persona ha la dimora abituale". Pertanto è possibile
affermare che essa sia determinata dall'abituale
volontaria dimora di una persona in un dato luogo,
sicché concorrono ad instaurare tale relazione
giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile
permanenza in quel luogo sia l'elemento soggettivo della
volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti
univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente
compenetrata nel primo elemento
• La residenza è determinata dall'abituale
volontaria dimora di una persona in un dato
luogo, sicché concorrono ad instaurare tale
relazione giuridicamente rilevante sia il fatto
oggettivo della stabile permanenza in quel luogo
sia l'elemento soggettivo della volontà di
rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti
univoci
evidenzianti
tale
intenzione,
è
normalmente compenetrata nel primo elemento.
• Sul tema, cfr. Cass. 5 febbraio 1985, n. 791.
• La dottrina prevalente e la giurisprudenza di legittimità
sono concordi nell'affermare che affinché sussista il
requisito dell'abitualità della dimora non é necessaria la
continuità o la definitività. Cosicché l'abitualità della
dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre
attività al di fuori del comune di residenza (del territorio
dello Stato), purché conservi in esso l'abitazione, vi
ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di
mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e
sociali
• In tal senso, cfr. Cass. 29 aprile 1975, n. 2561; Cass.
S.U. 28 ottobre 1985, n. 5292.
• In definitiva perché sussista la residenza
devono ricorrere due requisiti, vale a dire
l’elemento oggettivo della permanenza
in un luogo con una certa stabilità e
continuità e l’elemento soggettivo
dell’intenzione della persona di rimanere in
quello stesso luogo
• Cfr. Cass. 5 febbraio 1952, n. 221
Cass., 26 luglio 1966, n. 2073.
• La residenza non può essere mantenuta
solo animo, in quanto non è certamente in
questo senso ininfluente l’effettività della
permanenza, da riscontrare sul piano
probatorio attraverso elementi di fatto,
quali le consuetudini di vita dell’interessato
• La residenza, peraltro, non viene meno
per assenze più o meno prolungate,
dovute alle particolari esigenze della vita
moderna, quali ragioni di studio, di lavoro,
di cura o di svago
• In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto
che fino a quando la mobilità del soggetto viene
considerata come fenomeno interno al territorio italiano,
normalmente il giudizio di prevalenza quantitativa di
una permanenza abitudinaria sull’altra deve essere
formulato con riferimento (spaziale) alla circoscrizione
amministrativa comunale, ambito nel quale soste e
permanenze dell’individuo in sedi diverse - private o di
lavoro - devono essere sommate e ridotte ad unità prima
di procedere alla comparazione con la sommatoria delle
soste e permanenze del soggetto stesso in altra
circoscrizione comunale.
• Tra le altre, cfr. Cass, sez. unite, 5292 del 1985.
• Quando però la mobilità del soggetto acquisisce
dimensioni internazionali, è utile un confronto tra
le sue abituali permanenze e consuetudinarie
dimore nel territorio italiano con quelle all’estero:
ma anche in questo contesto più ampio resta
immutata la necessità che le reiterate stabili
permanenze del cittadino straniero in sedi
dislocate in diverse circoscrizioni amministrative
minori, comprese nel territorio nazionale, siano
sommate e riunite in un dato unitario, prima di
compararle con quelle che interessano ambiti
territoriali di altri Stati.
Il requisito temporale
• La disciplina del TUIR prescrive un
ulteriore presupposto necessario per
qualificare una persona fisica come
residente e cioè quello temporale, in
quanto la persona fisica deve essere
iscritta dell’anagrafe residente ovvero
avere il domicilio/residenza ai sensi del
codice civile “per la maggior parte del
periodo d’imposta”.
• In merito, va osservato che il nostro legislatore
ha fatto ricorso all’espressione maggior parte del
periodo d’imposta (e quindi 184 giorni) rispetto
ai “183 giorni” normalmente utilizzati nelle
convenzioni contro le doppie imposizioni. Invero
la scelta adottata dal legislatore nazionale
appare più esatta, in quanto in caso di anno
bisestile la sussistenza dei requisiti richiesti
dovrà coprire l’arco temporale di 184 giorni,
superando solo così la metà del periodo di
riferimento.
• Interessanti appaiono talune prese di posizione
dell’Amministrazione finanziaria in ordine ad
alcuni casi di trasferimento di residenza in corso
d’anno. Per vero nell’ambito di un interpello è
stato chiesto all’Agenzia delle entrate se il
soggetto che trasferisca la residenza all’estero
nella seconda metà dell’anno perda lo status di
soggetto residente a partire dal momento in cui
acquista quello di soggetto residente nello Stato
di destinazione, ovvero se lo status di soggetto
residente in Italia permanga fino alla fine
dell’anno solare.
• L’Agenzia delle entrate ha ritenuto nel caso di specie
che ai fini della normativa italiana – e, dunque, anche di
quella convenzionale, che rinvia sul punto alle norme
interne – non è possibile considerare un soggetto
residente limitatamente ad una frazione dell’anno
d’imposta. Per l’Agenzia, in mancanza di una disciplina
espressa della decorrenza dell’acquisto o della perdita
della residenza in corso d’anno, si deve ritenere,
pertanto, che il contribuente che si trasferisca all'estero
dopo aver maturato i requisiti per l'applicazione del
"worldwide principle" continuerà ad essere assoggettato
a tassazione in Italia anche per tutti gli eventuali redditi
prodotti dal momento del trasferimento al momento di
chiusura del periodo d'imposta
• Sempre in ordine al profilo temporale, inoltre, si segnala
che una volta accertato il requisito della residenza fiscale
in Italia, la persona interessata sarà tassata nel nostro
Paese in relazione ai redditi ovunque prodotti nell’intero
periodo d’imposta. Questo significa che un soggetto che
si trasferisce all’estero, rispettando anche i requisiti
formali
della
cancellazione
dall’anagrafe
della
popolazione residente e dell’iscrizione all’Aire (in quanto
altrimenti il problema non si porrebbe!), dopo aver fatto
maturare i requisiti per la configurabilità dell’ipotesi
delineata dall’art. 2 TUIR sarà tassato in Italia anche per
gli eventuali redditi prodotti (ovunque) sino alla chiusura
del periodo d’imposta. Gli eventuali problemi di «doppia
residenza» che si dovessero creare in un’ipotesi della
specie, al di là delle norme sul credito d’imposta
contenute nell’art. 15 TUIR, dovrebbero così essere
risolti su base bilaterale, vale a dire sulla scorta delle
convenzioni contro le doppie imposizioni.
RESIDENZA OCSE
Per un inquadramento compiuto della disciplina è necessario
fornire brevi cenni alla disciplina della residenza contenuta nel
modello Ocse e riprese nei tratti contro le doppie imposizioni
stipulate dal nostro Paese. In primis, proprio prendendo le
mosse da quanto affermato dal Commentario al Modello di
Convenzione Ocse, a livello internazionale la nozione di
“residente di uno Stato Contraente” ottempera a diverse
funzioni e rileva nei seguenti casi:
• nella limitazione dell’ambito di applicazione soggettivo della
Convenzione;
• nella risoluzione dei casi di doppia imposizione derivanti dalla
doppia residenza;
• nella risoluzione dei casi nei quali la doppia imposizione
scaturisca dalla imposizione concorrente nello Stato di
residenza e nello Stato della fonte o nello Stato ove i beni
sono situati.
• Secondo l’art. 1 del modello OCSE la convenzione si
applica alle persone che sono residenti di uno o di
entrambi gli Stati contraenti. Gli articoli successivi del
modello definiscono poi i concetti di persona e di
residenza. In particolare, il concetto di persona
comprende le persone fisiche, le società ed ogni altra
associazione di persone, mentre l’espressione residente
in uno Stato contraente riguarda ogni persona che ivi
abbia il domicilio, la residenza, la sede della sua
direzione (o che sia assoggettata ad imposta in detto
Stato per ogni altro criterio analogo) e non comprende le
persone il cui reddito sia imponibile in quello Stato
soltanto per la parte ricavata da fonti situate nel suo
territorio o per il capitale ivi ubicato.
• Quando in applicazione di dette regole
una persona fisica si considera residente
in entrambi gli Stati contraenti, al fine di
determinare il concetto di residenza
occorre fare riferimento ad una serie di
criteri alternativi individuati dal modello
Ocse.
• Secondo il Commentario il criterio di riferimento dovrà essere di tal
guisa da essere soddisfatto in un Stato soltanto ed allo stesso
tempo esso deve riflettere un vincolo tale per cui appaia naturale
che il diritto di assoggettare a tassazione la persona sia attribuito a
quello specifico Stato. Per vero, il modello Ocse accorda preferenza
primariamente allo Stato contraente in cui la persona fisica disponga
di un’abitazione permanente. Di conseguenza, alla luce della
lettera a) del paragrafo 2, l’applicazione della Convenzione, sempre
che vi sia un conflitto di attribuzione della residenza per effetto delle
legislazioni dei due Stati, comporta che la residenza della persona
fisica sia fissata nel luogo ove la stessa “possiede” un’abitazione, la
quale deve anche qualificarsi come permanente
• Al riguardo, il Commentario OCSE precisa che «l’individuo deve
averla sistemata ed utilizzata per proprio uso permanente in
contrasto con il soggiorno in un dato luogo in condizioni che
dimostrino evidentemente l’intenzione di un soggiorno di breve
durata». Sempre in tale contesto si afferma, inoltre, che non occorre
avere riguardo alla forma dell’abitazione o al tipo di rapporto
giuridico sottostante (ad esempio non rileva il fatto che si tratti di una
casa di proprietà o in affitto) quanto piuttosto alla sua disponibilità
continuativa e non occasionale (come avverrebbe in caso, ad
esempio, di viaggi di qualunque tipo - di piacere, d’affari, ecc.)
• Se poi una persona fisica disponga di
un’abitazione permanente in entrambi gli Stati
contraenti, il paragrafo 2 accorda la preferenza
allo Stato ove la persona ha stabilito le
“relazioni personali ed economiche … più
strette” così che in tale Stato sia individuabile il
“centro degli interessi vitali” della persona. Nel
caso in cui anche questo secondo criterio non
consenta di determinare la residenza, la
disposizione convenzionale indica ulteriori criteri
secondari; innanzitutto, il luogo di soggiorno
abituale e, in secondo luogo, la nazionalità
• Se la persona fisica possiede la nazionalità di
entrambi gli Stati Contraenti, ovvero non ha la
nazionalità di alcuno di essi, la questione dovrà
essere risolta tra gli stati contraenti, in
applicazione della procedura amichevole di cui
all’art. 25 del Modello Ocse. Al fine di accertare
in quale dei due Stati la persona abbia stabilito
le sue relazioni personali ed economiche più
strette, viene suggerito di prendere in
considerazione le relazioni familiari e sociali
della persona fisica, la sua occupazione, le sue
attività politiche, culturali o di altro tipo, il luogo
d’affari, il luogo da dove amministra i propri beni,
eccetera.
•
•
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In definitiva gli step fissati dal modello Ocse per risolvere
i casi di dual residence della persona fisica sono i
seguenti:
in primo luogo la persona fisica di considera residente
nello stato nel quale possiede un’abitazione
permanente;
se l’abitazione permanente si trova in entrambi gli stati
contraenti, si deve riscontrare dove la persona fisica
abbia il centro degli interessi vitali;
in caso di ricorrenza contemporanea ovvero mancanza
dei sopra citati requisiti si deve guardare allo Stato in cui
la persona fisica soggiorna abitualmente;
in via residuale la persona fisica è considerata residente
nello stato contraente del quale ha la nazionalità;
in ultima analisi il potenziale conflitto si deve risolvere di
comune accordo tra gli Stati contraenti.
PRESUNZIONI
Il comma 2-bis dell’art. 2 del TUIR ha
sancito che si devono considerare
“residenti, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della
popolazione residente ed emigrati in Stati
o territori aventi un regime fiscale
privilegiato, individuati con decreto del
Ministro delle finanze” (decreto emanato
poi il 4 maggio 1999).
• Il Ministero delle Finanze
ha precisato al
riguardo che le nuove disposizioni, sia pure con
effetti limitati ai soli "Stati o territori aventi un
regime fiscale privilegiato", consentono di
ampliare la operatività della normativa
preesistente, nel senso che la residenza fiscale
è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per
coloro che siano anagraficamente emigrati in
uno degli anzidetti Stati o territori senza
dimostrare la effettività della nuova residenza.
- Cfr. Circolare del Ministero delle Finanze n.
140/E del 24 giugno 1999.
• Occorre precisare che, a mente della
citata norma, l'onere della controprova
riguarda tutti i soggetti che sono emigrati
in uno degli Stati o territori aventi un
regime fiscale privilegiato, come individuati
(inizialmente) nel menzionato decreto del
Ministro delle Finanze 4 maggio 1999,
anche quando l'emigrazione sia avvenuta
transitando anagraficamente per uno Stato
terzo, non ricompreso in tale decreto.
• Proprio in relazione al concreto e specifico contenuto
dell’onere probatorio ora posto a carico dei cittadini che
emigrano verso un paradiso fiscale, la circolare in parola
afferma che può “essere fatto ricorso, in negativo, alle
medesime circostanze ed elementi probanti suggeriti agli
uffici dalla ripetuta circolare n. 304/E, al fine di superare
la mera formalità della cancellazione dalle anagrafi della
popolazione
residente
con
la
dimostrazione
dell’insussistenza nel nostro Paese della dimora abituale
(residenza) ovvero nel complesso dei rapporti afferenti
gli affari e gli interessi, allargati, oltre che agli aspetti
economici, a quelli familiari, sociali e morali (domicilio)”.
• la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente
privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
• l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di
formazione del Paese estero;
• lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo,
stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una
qualunque attività economica con carattere di stabilità;
• la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili
residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese immigrazione;
• fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni
tariffari, pagati nel Paese estero;
• la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre
attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia;
• l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese d’immigrazione;
• l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti
di donazione, compravendita, costituzione di società, eccetera;
• la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di
carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e
ricreativo.
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