Parrocchia
Santa Maria della Consolazione
Il libro dei Salmi
Il salmo 126
don Alfonso Capuano
E tu, Signore, per questa gioia degli umili gioia divina, da impazzire -, continua a
intervenire: sarà anche per te la gioia più
grande e umana! Troppi popoli poveri ancora
seminano nel pianto, senza neppure il diritto di
raccogliere il frumento maturato con l'acqua
delle loro lacrime.
D.M. Turoldo
Il salmo degli scampati
Usciti dai campi di concentramento, scampati
dai forni crematori nazisti, affidati ad
imbarcazioni di fortuna - scrive A. Chouraqui - in
vista del Carmelo e della costa di Palestina, «noi
cantavamo il Sal 126 che sembrava essere
scritto per questa circostanza, il ritorno dei
prigionieri di Sion verso la terra promessa. Il
salmo era divenuto all'improvviso una realtà viva
che palpitava nelle nostre vite ferite. I prigionieri
che il Signore riportava, finalmente liberi, nella
terra promessa, eravamo noi! Il riso che
riempiva la bocca del salmista 2500 anni or
sono era il nostro riso e la nostra lingua cantava
il suo canto!».
Il salmo degli scampati
Questa chiave di lettura del Sal 126 come inno
dei rimpatriati è certamente una delle più
immediate e suggestive. Se il Secondo Isaia è
stato il cantore appassionato del nuovo esodo,
cioè del ritorno d'Israele dall'esilio babilonese in
seguito all'editto di Ciro del 538 a.C., questa
piccola composizione di sole 48 parole ne
potrebbe essere la sintesi in cui si fondono
mirabilmente ringraziamento gioioso per il
grande dono della libertà e supplica per
l'orizzonte futuro non tutto sgombro da incubi.
Il salmo degli scampati
L'inserzione del carme nella collana dei
cantici delle ascensioni a Sion conferma
questa interpretazione: come l'itinerario
delle
carovane
da
Babilonia
a
Gerusalemme era visto sotto lo schema di
una processione su una «via sacra»
totalmente rettilinea e piana (Is 40,3-4)
così ogni pellegrinaggio a Sion si
trasforma in una commemorazione del
glorioso ritorno verso il tempio, verso la
libertà e verso Dio (1Re 8,46-51).
Il salmo degli scampati
Stupore, sorriso, gioia, canto, quel canto che
prima era impossibile nella schiavitù, come
ricorda il Sal 137, sono le reazioni e le emozioni
che si affollano nel cuore degli ebrei liberati da
Ciro e liberi successivamente sotto l'impero
persiano. II sarcasmo con cui l'oppressore
aveva dichiarato Jahweh impotente di fronte agli
eserciti e alle potenze politico-militari (Sal 79,10;
115,2) ora lascia il posto a una professione di
fede pronunziata anche dagli avversari e ripresa
con entusiasmo da Israele (vv. 2b-3).
Il salmo degli scampati
Questo atteggiamento euforico di libertà è, però,
ben presto incrinato dalle difficoltà reali della
ricostruzione, dagli ostacoli, dalle opposizioni
interne ed esterne (Ne 6; 13; Esd 47; Is 59,9-11;
Ag 2,16). Il salmo si colloca proprio in questo
nodo storico e psicologico: è uno sguardo rivolto
al passato glorioso del ritorno dall'esilio con tutto
il suo corteo di speranze e di attese ed è
contemporaneamente uno sguardo al futuro, un
futuro diverso dal presente faticoso della
ricostruzione. In questo senso è necessario
pregare perché Dio restauri di nuovo le sorti di
Israele secondo un progetto grandioso dai
contorni messianici.
La struttura letteraria
Il carme, pur nella sua semplicità e brevità, è
percorso da un intenso afflato poetico.
Pensiamo soltanto ad una delle sue immagini:
come l'inverno con le sue piogge torrenziali
riesce a ricondurre l'acqua nei wadi
dell'aridissimo deserto meridionale del Negheb,
deserto bruciato dall'implacabile sole estivo (Gb
6,15-20; Ger 15,18), così il Signore ha riportato
Israele dalla schiavitù che è deserto e morte alla
gioia della libertà che è terreno fertile e
produttivo.
La struttura letteraria
La brevità della composizione facilita la ricerca
della sua costruzione letteraria che può essere
così delineata:
Prima strofa (vv. 1-3): Quando Jahweh restaurò
le sorti di Sion
– Riso ed esultanza
– professione di fede centrale
dei gộjîm
di Israele
Seconda strofa (vv. 4-6): Restaura, Jahweh, le
nostre sorti!
– Lacrime ed esultanza
– simbologia agricola della fiducia
1^ strofa
1 Canto delle ascensioni.
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,
ci sembrava di sognare.
2 Allora la nostra bocca si aprì al sorriso,
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.
Allora si diceva tra i popoli:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
3 Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.
1^ strofa
Ai punti cardinali i quattro «Jahweh», due al
centro (vv. 2-3) e due ai confini (vv. 1 e 4). Lo
stesso salto metrico tra i vv. 1-3 (che hanno il
ritmo dei 4+2 accenti) e 4-6 (che hanno il ritmo
dei 3+2, caratteristico dei canti delle ascensioni),
indica un'intenzionale divisione di quadri o di
movimenti poetici. La tecnica della ripresa
«graduale» dei termini e dei temi è visibilissima
nei vv. 2 e 3 ove le nazioni e Israele proclamano
la stessa professione di fede sia pure con lievi
ritocchi:
1^ strofa
i gộjîm = lett. «Jahweh si è magnificato
nell'agire con loro»
Israele = lett. «Jahweh si è magnificato
nell'agire con noi, siamo stati gioiosi».
La prima parola va ai popoli pagani che
confessano la gloria di Jahweh gloria che
essi ritenevano crollata con la fine di
Gerusalemme e l'esilio di Israele gloria
che ora rifulge nuovamente col ritorno
dall'esilio e la restaurazione d’Israele.
1^ strofa
La prima unità strutturale è ben circoscritta ai vv.
1-3, segnati da un'inclusione abbastanza
suggestiva:
v. 1 hajinú holmim = lett. «siamo stati sognanti»
v. 3 hajinú somehîm = lett. «siamo stati gioiosi».
Tutta la strofa è resa compatta dall'omogeneità
lessicale e simbolica centrata sulla «parola»
(bocca, lingua, dire) e sulla felicità (il riso,
l'esultanza espressa col verbo rnn che ricorre in
inclusione generale anche nei vv. 5.6, l'allegria).
Il v. 2 è, poi, ritmato dal duplice 'az, «allora».
2^ strofa
4 Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,
come i torrenti del Negheb.
5 Chi semina nelle lacrime
mieterà con giubilo.
6 Nell'andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.
2^ strofa
Se i vv. 1-3 sono in stile diretto e «teorico»
esplicativo, i vv. 4-6 della seconda strofa si
sviluppano in modo indiretto e metaforico. La
simbologia dominante, che è di tipo agricolo
regge, secondo un ritmo binario la sezione:
seminare
la semente
mietere
i covoni
lacrime
piangere
esultanza
esultare
portare
andare
portare
tornare.
2^ strofa
Si crea, così, un movimento
antifonale che, in tono di supplica,
descrive la ripresa della libertà dopo
l'inverno della schiavitù. Salvezza e
liberazione devono ormai riprendere il
loro ritmo come i torrenti stagionali
del Negheb, in secca durante l'estate,
gonfi d'acqua d'inverno durante la
fase delle piogge.
La simbologia
La semplicità poetica del salmo si affida a pochi
paradigmi simbolici di sicuro effetto. Dominante
è lo schema psicologico della gioia, valorizzato
per antitesi dall'evocazione delle lacrime.
Naturalmente il riferimento concreto che spiega
questo entusiasmo fatto di sogno, di sorriso, di
esultanza (rnn), di «troppo bello per essere
vero» è il crollo di Babilonia, lo spalancarsi delle
porte delle prigioni, è l'ora della rivincita e della
riabilitazione, è il coraggio dei primi «sionisti», è
il loro idealismo. D'altra parte nella Bibbia la
gioia è la reazione spontanea della fede davanti
ai grandi interventi salvifici di Dio.
La simbologia
L'esuberanza dell'allegria è il vincolo che unisce
il Salvatore e i salvati ed è proprio su questa
base che il salmo acquista una tonalità
messianico
escatologica.
«Farò
di
Gerusalemme una gioia, del suo popolo un
gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del
mio popolo». La gioia espressa dal poeta
prende solo lo spunto dall'allegria elementare e
primitiva della semina e della mietitura, segni di
benessere e di pace (Is 9,2). Il simbolismo
agricolo è, quindi, solo uno stimolo per illustrare
la salvezza e la liberazione.
La simbologia
Israele era partito verso l'esilio con gli occhi
velati dalle lacrime: sembrava una semina
sterile, senza speranza e senza frutto. Ed ora,
invece, c'è una restaurazione felice come una
mietutira abbondante: «Hai infuso più gioia nel
mio cuore di quando abbondano vino e
frumento» (Sal 4,8). Il passato è cancellato, il
presente ancora esitante si sta aprendo su un
futuro di gioia e di pace. L'alternanza stagionale,
esemplificata dai torrenti del Negheb e dal ciclo
stagionale della campagna, diventa una
parabola della storia della salvezza.
La simbologia
La semina è il tempo dell'attesa, il torrente
secco dell'aridissima regione del Negheb
palestinese è il momento della sete; la
raccolta in covoni è il tempo della
realizzazione e del benessere, i torrenti
gonfi fanno fiorire anche l'arido deserto e
lo fanno gioire.
La simbologia
«La storia della salvezza dal nostro poeta è resa
a immagine del ciclo agrario. Le restrizioni e le
fatiche del momento sono la condizione
indispensabile per abbondanza e soddisfazioni
future. Così la rinuncia è il passaggio obbligato
verso la ricchezza autentica. La semente
perduta si ritrova nei covoni falciati. Allo stesso
modo l'esilio ha preparato un più giusto modo di
riprendere in mano il paese. Talvolta occorrono
le devastazioni di una guerra per ricostruire una
patria più forte e più bella di prima. Per la fede
non ci sono strade che si perdano. Ogni andata
ha la possibilità di un ritorno».
La simbologia
Il Salmo si trova tra i Cantici delle ascensioni,
quasi a trasformare ogni pellegrinaggio – e
perciò ogni esistenza umana di cui questo è
figura – in un nuovo Esodo. Il componimento
acquista, perciò, anche una dimensione
sapienziale,
diventa
parametro
di
comportamento: Sempre bisogna accettare di
seminare tra le lacrime, se vogliamo raccogliere
nella gioia (v. 6). L’ascesi è necessaria ad ogni
impegno che voglia essere serio e duraturo.
Come nella vita, anche nel componimento
poetico, pianto e gioia non hanno soltanto
un’alternanza temporale, ma spesso anche
causale.
La simbologia
Il simbolismo agrario e il suo valore
teologico saranno rielaborati anche dal NT:
«In verità vi dico: se il chicco di grano
caduto in terra non muore, rimane solo; se
invece muore, produce molto frutto».
Papa Benedetto XVI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 17 agosto 2005
1. Ascoltando le parole del Salmo 125 si ha
l’impressione di vedere scorrere davanti agli
occhi l’evento cantato nella seconda parte del
Libro di Isaia: il «nuovo esodo». È il ritorno di
Israele dall’esilio babilonese alla terra dei padri
in seguito all’editto del re persiano Ciro nel 538
a.C. Allora si ripeté l’esperienza gioiosa del
primo esodo, quando il popolo ebraico fu
liberato dalla schiavitù egiziana.
I Esodo
JHWH
II Esodo
JHWH
Papa Benedetto XVI
2. Il Salmo introduce in un’atmosfera di
esultanza: si sorride, si fa festa per la libertà
ottenuta, affiorano sulle labbra canti di gioia (cfr
vv. 1-2).
La reazione di fronte alla libertà ridonata è
duplice. Da un lato, le nazioni pagane
riconoscono la grandezza del Dio di Israele: «Il
Signore ha fatto grandi cose per loro» (v. 2). La
salvezza del popolo eletto diventa una prova
limpida dell’esistenza efficace e potente di Dio,
presente e attivo nella storia. D’altro lato, è il
popolo di Dio a professare la sua fede nel
Signore che salva: «Grandi cose ha fatto il
Signore per noi» (v. 3).
Gioia di vivere
Matisse
Grandi cose ha fatto
il Signore
JHWH
Come i torrenti del Negheb
Come attesta anche la storia ebraica, non
basta un atto generatore di salvezza; la
vicenda di Israele è come quella delle
stagioni, ha fasi di aridità, di semina e fasi
di fecondità e raccolta. Dio deve riportare
nel terreno della storia l'acqua che casca
nei torrenti e fa affiorare un sottile tappeto
di verde persino nella steppa, proprio
come avviene per i letti dei torrenti del
Negheb.
Esodo
JHWH
Papa Benedetto XVI
3. Il pensiero corre poi al passato, rivissuto con un
fremito di paura e di amarezza. Vorremmo fissare
l’attenzione sull’immagine agricola usata dal Salmista:
«Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (v. 5).
Sotto il peso del lavoro, a volte il viso si riga di lacrime: si
sta compiendo una semina faticosa, forse votata
all’inutilità e all’insuccesso. Ma quando giunge la
mietitura abbondante e gioiosa, si scopre che quel
dolore è stato fecondo. In questo versetto del Salmo è
condensata la grande lezione sul mistero di fecondità e
di vita che può contenere la sofferenza. Proprio come
aveva detto Gesù alle soglie della sua passione e morte:
«Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane
solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
JHWH
Papa Benedetto XVI
4. L’orizzonte del Salmo si apre così alla festosa
mietitura, simbolo della gioia generata dalla libertà, dalla
pace e dalla prosperità, che sono frutto della
benedizione divina. Questa preghiera è, allora, un canto
di speranza, cui ricorrere quando si è immersi nel tempo
della prova, della paura, della minaccia esterna e
dell’oppressione interiore. Ma può diventare anche un
appello più generale a vivere i propri giorni e a compiere
le proprie scelte in un clima di fedeltà. La perseveranza
nel bene, anche se incompresa e contrastata, alla fine
giunge sempre ad un approdo di luce, di fecondità, di
pace. È ciò che san Paolo ricordava ai Galati: «Chi
semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna.
E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non
desistiamo, a suo tempo mieteremo» (Gal 6,8-9).
Papa Benedetto XVI
5. Concludiamo con una riflessione di san Beda il
Venerabile (672/3-735) sul Salmo 125 a commento delle
parole con cui Gesù annunziava ai suoi discepoli la
tristezza che li attendeva e insieme la gioia che sarebbe
scaturita dalla loro afflizione (cfr Gv 16,20).
Beda ricorda che «piangevano e si lamentavano quelli
che amavano Cristo quando lo videro preso dai nemici,
legato, portato in giudizio, condannato, flagellato, deriso,
da ultimo crocifisso, colpito dalla lancia e sepolto.
Gioivano invece quelli che amavano il mondo…, quando
condannavano a morte turpissima colui che era per loro
molesto anche solo a vederlo. Si rattristarono i discepoli
della morte del Signore, ma, conosciuta la sua
risurrezione, la loro tristezza si mutò in gioia; visto poi il
prodigio dell’ascensione, con gioia ancora maggiore
lodavano e benedicevano il Signore, come testimonia
l’evangelista Luca (cfr Lc 24,53).
Papa Benedetto XVI
Ma queste parole del Signore si adattano a tutti i fedeli
che, attraverso le lacrime e le afflizioni del mondo,
cercano di arrivare alle gioie eterne, e che a ragione ora
piangono e sono tristi, perché non possono vedere
ancora colui che amano, e perché, fino a quando stanno
nel corpo, sanno di essere lontani dalla patria e dal
regno, anche se sono certi di giungere attraverso le
fatiche e le lotte al premio. La loro tristezza si muterà in
gioia quando, terminata la lotta di questa vita,
riceveranno la ricompensa della vita eterna, secondo
quanto dice il Salmo: "Chi semina nelle lacrime, mieterà
nella gioia"»
(Omelie sul Vangelo, 2,13: Collana di Testi Patristici,
XC, Roma 1990, pp. 379-380).
Patristica
“Per la messe materiale, come per quella spirituale,
sono necessarie fatiche e sudori; è per questo che
Dio rende stretta e angusta la via che conduce alla
virtù (cf. Mt 7,14). E come l’acqua è necessaria per
far crescere la messe, così le lacrime servono alla
virtù; come l’aratro è necessario per la terra, così
giovano all’anima fedele le tentazioni e le afflizioni
che la lacerano. Il profeta quindi vuol dire che
dobbiamo ringraziare Dio non solo per il ritorno ma
anche per la prigionia. E come il seminatore non si
rattrista ma pensa alla messe futura, quando siamo
nell’afflizione non tormentiamoci ma pensiamo che
ciò ci procurerà un gran bene”.
GIOVANNI CRISOSTOMO
TORNAVAMO DAI LAGER
Tornavamo dai lager come torrenti in piena
verso la terra del sole.
Tutti i volti erano in pianto
e il cuore impazziva
nella «paura» di sentirci liberi.
Un nembo solo di cenere avvolgeva morti e vivi
in cammino sulle strade d'Europa.
Ma non sapevamo, Signore,
quanto è difficile essere liberi.
Era bene che pure i vincitori fossero uccisi,
libertà non sopporta vittorie.
Ritorna, Signore,
e disperdi quanti hanno nuovamente
ucciso milioni di morti:
anch'essi sono divenuti assassini,
hanno superato l'infamia dei vinti.
Ritorna, Signore, e uccidi
tutti i potenti: maledetti
che usano perfino il tuo nome!
Almeno gli ultimi poveri del mondo
conoscano solo inni di pace.
D.M. Turoldo
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Salmo 126