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ANNO XL N. 5
MAGGIO 1992
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
art. 11 della Costituzione italiana
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo
$ Il Presidente delia Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro:
2 «Stiamo attenti, che l'Europa non può attendere»
Luigi Einaudi
I limiti della sovranità nazionale:
il federalismo all'Assemblea Costituente
testo del discorso alla Costituente italiana nella seduta del 29 luglio 1947
Chiedo a voi, onorevoli colleghi, venia di parlare dal banco di deputato invece che da quello del governo. Dal banco del governo si pronunciano discorsi politici, e si sostengono
battaglie politiche. Queste mie parole vogliono invece esser un'umile appendice di considerazioni storiche al grande discorso col quale Benedetto Croce pronunciò l'altro giorno
un giudizio storico solenne sul trattato imposto a noi dalla volontà altrui.
Chiedo altresì il permesso di seguire coll'occhio il manoscritto all'uopo, contrariamente alle mie abitudini, approntato affinché
la commozione del dire improvviso non turbi
una espressione del pensiero, che oggi deve
invece essere attentamente meditata.
Al par di voi, ho ascoltato con commozione
ed ho riletto con ammirazione profonda il
giudizio storico che Benedetto Croce ha pronunciato in quest'aula intorno alla ratifica del
trattato di pace; giudizio che se l'autore intendesse dare un seguito alla sua Storia d'Italia assai degnamente chiuderebbe quella
grande opera sua. I1 giudizio pronunciato in
quel discorso chiude anche un'epoca nella
storia d'Italia. Vorrei tentare qui a guisa, come dissi, di appendice,una ideale prosecuzione di esso, guardando non più al passato ma
all'avvenire. Invece di una magnifica pagina
di storia conclusa, il mio sarà un informe tentativo di indovinare le logiche conseguenze
odierne di quelli che furono i connotati essenziali delle due grandi guerre combattute in
Europa nel secolo presente.
Già quei connotati erano visibili nella prima guerra; ma parve allora ai più che soltanto
si fosse riprodotto ancora una volta il tentativo egemonico di Filippo 11, di Luigi XIV e di
Napoleone I, contrastato ogni volta, a salvaguardia della libertà d'Europa, dalla potenza
navale britannica; e furono alte le proteste
fra gli storici tedeschi contro l'eterna seminatrice di discordia, contro la perfida Albione,
la quale, applicando il romano detto divide et
impera, si sforzava di mantenere discordi tra
loro i popoli europei e di impedire avesse alfine nascimento quell'Europa una, che era stato, in varia maniera, l'ideale di poeti e pensa-
som
ma
rio
tori, da Dante Alighieri ad Emanuele Kant
ed a Giuseppe Mazzini. Sicché, vinta la Germania, distrutta la monarchia austro-ungarica
e chiusasi la Russia in sé stessa, parve rivivesse nel 1918 l'antica convivenza europea di
stati indipendenti; ed anzi una nuova Santa
alleanza, sotto le sembianze di Società delle
nazioni, si costituì a garantire invano l'indipendenza delle minori nazioni contro l'egemonia della più potente e prepotente delle
nazioni maggiori. Invano, ché la Società delle
nazioni nasceva colpita a morte irrimediabilmente dallo stesso vizio capitale che aveva
tolto valore alla Lega anfionica greca, al Sacro romano impero ed alla Santa alleanza.
I1 vizio era chiaro: la Società delle nazioni
era una lega di stati indipendenti, ognuno dei
quali serbava intatti un esercito proprio, un
regime doganale autonomo ed una rappresentanza sovrana sia presso gli altri stati sia presso la lega medesima. Era facile prevedere, come a me accadde di prevedere nel 1917,
quando la Società delie nazioni era un mero
proposito di Wilson, e quando in Italia il più
rumoroso promotore della sua fondazione era
colui che, divenuto poscia dittatore, tanto
operò per distruggere la costituita società; era
facile, dico, prevedere che essa era nata
morta.
L'esperienza storica tante volte ripetuta
dimostra che le mere società di nazioni, le federazioni di stati sovrani sono impotenti ad
impedire, anzi per lo più sono fomentatrici di
guerre tra gli stessi stati sovrani federati; e
presto diventano consessi vaniloquenti, alla
cui ombra si tramano e si preparano guerre e
si compiono le manovre necessarie ad addormentare il nemico ed a meglio opprimerlo.
Sinché nella Svizzera non sorse un potere sovrano, signore unico dell'esercito e delle dogane, non fu possibile evitare le guerre civili,
che erano guerre fra cantoni sovrani; e nel
tempo volto dal 1776 al 1787 il pericolo di
guerre fratricide fra le 13 antiche colonie
nord-americane divenute stati sovrani fu
sempre imminente; e solo il genio di Washington, conforta0 dal pensiero di Jay, di
Jefferson e di Hamilton, trovò il rimedio
quando sostituì alla vana ombra della federazione di stati sovrani l'idea feconda della confederazione unica signora delle forze armate,
delle dogane e della rappresentanza Gerso l'estero, fornita di un parlamento unico; rappresentante, in un ramo, degli stati confederati,
ma nell'altro del popolo intero di tutta la confederazione.
La prima guerra mondiale fu dunque combattuta invano, perché non risolse il problema europeo. Ed un problema europeo esisteva. Scrivevo nel 1918 e ripeto ora a trenta anni di distanza: gli stati europei sono divenuti
un anacronismo storico. Così come nel secolo
XVI le libere città e repubbliche ed i piccoli
principati erano in Italia divenuti un anacronismo, perché l'Europa stava allora subendo
un travaglio di ricostruzione territoriale e
sorgevano le grandi monarchie spagnola e
francese e si affacciava al nord la unificata
nazione britannica; e l'indipendenza del consorzio dei piccoli principati tenuti in equilibrio dalla saggezza di Lorenzo i1 Magnifico,
rovinò dinanzi all'urto contrastante di Spagna e di Francia, di Carlo V e di Francesco
I; così, sin dall'inizio del secolo presente, era
divenuta anacronistica la permanenza di tanti
stati sovrani europei.
A mano a mano che si perfezionavano le
comunicazioni ferroviarie e la navigazione a
vapore ed a motore prendeva il posto di quella a vela, ed i popoli erano avvicinati dal telefono, dal telegrafo con e senza fili e dalla navigazione aerea, questa nostra piccola aiuola
europea apertamente palesava la sua inettitudine a sopportare tante sovranità diverse. Invano gli stati sovrani elevavano attorno a sé
alte barriere doganali per mantenere la propria autosufficienza economica. Le barriere
giovavano soltanto ad impoverire i popoli, ad
inferocirli gli uni contro gli altri, a far parlare
ad ognuno di essi uno strano incomprensibile
linguaggio di spazio vitale, di necessità geopolitiche, ed a fare ad ognuno di essi pronunciare esclusive e scomuniche contro gli immigrati stranieri, quasi essi fossero lebbrosi e
quasi d'restringersi feroce di ogni popolo in
se stesso potesse, invece di miseria e malcon-
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Luigi Einaudi
Pasqual Maragd ptesidente del CCRE
La dotza fedetalista), a Milano
A Totino la Commissione del CCRE
Un lungo itet finalmente concluso, di Moreno Bucci
12 Catta europea delle lingue tegionali o minotitarie
17 - Le confessioni di un veto fedetalista, di Nicholas Bethell
18 - Vocazione fedetale dell'Europa, Hans-Dietrich Genscher
19 - Ancota sul Mezzogiotno, di Fabio Pellegrini
19 - Per l'Europa l'ota della verità, di Natalino Guerra
19 Gli slavi del Sud, di Andrea Chiti-Batelli
INSERTO: Autonomie, minotanze, nazionalismi, Unione europea, di Gianfranco Martini
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COMUNI D'EUROPA
MAGGIO 1992
tento, creare ricchezza e potenza.
La prima guerra mondiale fu la manifestazione cruenta dell'aspirazione istintiva dell'Europa verso la sua unificazione; ma, poiché l'unità europea non si poteva ottenere attraverso una impotente Società delle nazioni,
il problema si ripropose subito.
Esso non può essere risoluto se non in una
di due maniere: o con la spada di Satana o
con quella di Dio.
Questa volta Satana si chiamò Hitler, 1'Attila moderno. Non va1 la pena di parlare del
nostro dittatore di cartapesta, il quale non
comprese mai la grandezza del problema.
L'Attila moderno, il pazzo viennese, aveva
invece, nelle sue escogitazioni frenetiche e
sconnesse, visto il problema e la sua grandez-
diali siano state determinate da cause economiche. Nessuno che sappia compiere un ragionamento economico corretto può credere
mai che dalla guerra alcun popolo, anche vincitore, possa trarre un qualsiasi risultato se
non di impoverimento, di miseria, di spirito
di odio e di vendetta, generatori alla loro volta di miseria e di abiezione.
Vero è invece che le due grandi guerre recenti furono guerre civili, anzi guerre di religione e così sarà la terza, se, per nostra sventura, noi opereremo in guisa da provocare l'opera sua finale di distruzione. Le due guerre
parvero guerre fra stati e fra popoli; ma la loro caratteristica fondamentale, quella che le
distingue dalla più parte, non da tutte, delle
guerre passate, quella che le assimila alle più
Luigi Einaudi in un incontro con Konrad Adenauer
za, ed aveva tentato di risolverlo. I1 modo tenuto da lui e dal suo popolo fu quello della
forza e del sangue. I1 modo era riuscito ai romani, i quali colla forza avevano vinto uno
dopo l'altro i cartaginesi, i greci e gli stati
alessandrini, tutti più colti dei romani; ma
questi si erano fatti perdonare poi il brutto
cominciamento instaurando nel mondo mediterraneo l'impero del diritto.
All'Attila redivivo il metodo della forza
non riuscì; ché gli europei erano troppo
amanti di libertà per non tentare ogni via per
resistere al brutale dominio della forza; e
troppi popoli al mondo discendono dagli europei e serbano il medesimo ideale cristiano
del libero perfezionamento individuale e dell'elevazione autonoma di ogni uomo verso
Dio, per non sentire nell'animo profondo
l'orrore verso chi alzava il grido inumano dell'ossequio verso ideali bestiali di razza, di
sangue, di dominazione degli uomini eletti
venuti su dalla terra generatrice di esseri autoctoni e dalla foresta primitiva.
Non è vero che le due grandi guerre monMAGGIO 1992
implacabili tra le guerre del passato, e queste
furono le guerre di religione - ricordiamo la
scomparsa della civiltà cristiana dal19Egittoa
Gibilterra, la ferocia della guerra contro gli
Albigesi e la distruzione operata dalla guerra
dei trent'anni in Germania - sta in ciò, che
quelle due grandi guerre furono combattute
dentro di noi. Satana e Dio si combatterono
nell'animo nostro, dentro le nostre famiglie e
le nostre città. Dovunque divampò la lotta
fra i devoti alla libertà e la gente pronta a servire. Se in tanta parte delllEuropa conquistata dai tedeschi, si ripeté l'esperienza che Tacito aveva scolpito con le parole solenni: Se-
natus, equites, populusque romanus ruere in servitium, ciò fu perché negli uomini lo spirito
non è sempre pronto a vincere la materia.
Non recriminiamo contro coloro che operarono male; perché la resistenza al male è
sempre un miracolo, che umilmente dobbiamo riconoscere avrebbe potuto non aver luogo. Ma diciamo alto che noi riusciremo a salvarci dalla terza guerra mondiale solo se noi
impugneremo per la salvezza e l'unificazione
dell'Europa, invece della spada di Satana, la
spada di Dio, e cioè, invece dell'idea della dominazione colla forza bruta, l'idea eterna dalla volontaria cooperazione per il bene
comune.
Al par di ogniino di voi, il dolore per le amputazioni ai confini orientali ed occidentali è
profondo nel mio cuore; e per quel che riguarda i confini occidentali, più che il dolore,
è viva in me l'indignazione e l'ira per la cecità
con la quale uomini così fini ragionatori, cervelli così limpidi come sono i francesi si sono
lasciati trascinare a ripetere i frusti argomenti
che noi, cultori di storia piemontese, avevamo letto nelle istruzioni ai diplomatici ed ai
generali di Luigi XIV per contrastare ai piemontesi la conquista del confine supremo delle Alpi, raggiunto finalmente, dopo secoli di
lotte, nel 1713 e consacrato nel definitivo
trattato dei confini del 1760.
Se ciechi furono i vincitori, non perciò
dobbiamo noi essere ciechi e sperare di vedere ricostituita la unità della patria a mezzo di
nuove guerre o di nuove carneficine. Nella
nuova era atomica, guerra vuol dire distruzione non forse della razza umana - ché nelle
riarse pianure, ridivenute paludi e foreste
vergini, e nei monti selvaggi una razza che
dell'uomo civile non avrà nulla, potrà salvarsi
e lentamente, attraverso i secoli, risorgere a
civiltà - ma certamente di quell'umanesimo
per cui soltanto agli uomini è consentito di
essere al mondo.
Ma noi non ci salveremo dall'imbarbarimento scientifico, peggiore di gran lunga della barbarie primeva, col gareggiare con gli altri popoli nel preparare armi più micidiali di
quelle da essi possedute. La sola speranza di
salvare noi e gli altri sta nel farci, noi prima
degli altri ed ove faccia d'uopo, noi soli, portatori di un'idea più alta di quella altrui. Solo
facendoci portatori nel mondo della necessità
di sostituire alla spada di Satana la spada di
Dio, noi potremo riconquistare il perduto primato. Non il primato economico; ché questo
viene sempre dietro, umile ancella, al primato
spirituale. Dico quel primato che, nell'epoca
feconda del Risorgimento, si attuava nella difesa delle idee di fratellanza, di cooperazione,
di libertà, che, diffuse dalla predicazione incessante di Giuseppe Mazzini e rese operanti, nei limiti delle possibilità politiche, da Camiiio di Cavour, avevano conquistato alla
nuova Italia la simpatia, il rispetto e l'aiuto
dell'Europa.
Non giova rinunciare a questa nostra tradizione del Risorgimento, pensando di poter
trarre pro dalle discordie altrui. La politica
dei giri di walzer, del «parecchio da guadagnare», del «sacro egoismo», che alla nostra
generazione parve machiavellicamente utile,
diede, quando fu recata dal dittatore alla logica conseguenza dell'autarchia economica,
volta a cercar grandezza nel torbito delle
sconvolte acque europee, diede amari frutti
di tosco.
Rifacciamoci, dal Machiavelli, meditante
solitario nel confino del suo rustico villaggio
toscano sui teoremi della scienza politica pura, al Machiavelli uomo, al Machiavelli cittadino in Firenze, il quale non aveva, no, timore di rivolgersi al popolo, da lui reputato «ca-
pace della verità», capace cioè di apprendere
il vero e d i allontanarsi dai falsi profeti quand o «surga qualche uomo d a bene che orando
dimostri loro come ei s'inganninon. Sì. Fa
d'uopo che oggi nuovamente surgano gli uomini d a bene auspicati da Nicolò Machiavelli, a dimostrare ai popoli europei la via della
salvezza e li persuadano ad infrangere gli idoli vani dell'onnipotenza di stati impotenti,
del totalitarismo, alleato al nazionalismo e
nemico acerrimo della libertà e dell'indipendenza delle nazioni.
Se noi non sapremo farci portatori d i un
ideale umano e moderno nell'Europa d'oggi,
smarrita ed incerta sulla via da percorrere,
noi siamo perduti e con noi è perduta l'Europa. Esiste, in questo nostro vecchio continente, un vuoto ideale e spaventoso. Quella bomba atomica, di cui tanto paventiamo, vive
purtroppo in ognuno di noi. Non della bomba
atomica dobbiamo sovrattutto aver timore,
ma delle forze malvagie le quali ne scatenarono l'uso. A questo scatenamento noi dobbiamo opporci; e la sola via d'azione che si apre
d'innanzi è la predicazione della buona
novella.
Quale sia questa buona novella sappiamo:
è, l'idea d i libertà contro l'intolleranza, della
cooperazione contro la forza bruta. L'Europa
che l'Italia auspica, per la cui attuazione essa
deve lottare, non è un'Europa chiusa contro
nessuno, è un'Europa aperta a tutti, un9Europa nella quale gli uomini possano liberamente
far valere i loro contrastanti ideali e nella
quale le maggioranze rispettino le minoranze
e ne promuovano esse medesime i fini, sino
all'estremo limite in cui essi sono compatibili
con la persistenza dell'intera comunità. Alla
creazione di quest'Europa, l'Italia deve essere pronta a fare sacrificio di una parte della
sua sovranità.
Scrivevo trent'anni fa e seguitai a ripetere
invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili
esperienze sofferte, non più invano, che il ne-
Luigi Einaudi con la moglie
mico numero uno della civiltà, della prosperità - ed oggi si deve aggiungere, della vita
medesima dei popoli - è il mito della sovranità assoluta degli stati. Questo mito funesto
è il vero generatore delle guerre; d'esso arma
gli stati per la conquista dello spazio vitale;
desso pronuncia la scomunica contro gli emigranti dei paesi poveri; desso crea le barriere
doganali e, impoverendo i popoli, li spinge ad
immaginare che, ritornando all'economia
~ r e d a t o r i adei selvaggi, essi possano conquistare ricchezza e potenza. I n un7Europa in
cui ogni dove si osservano rabbiosi ritorni a
pestiferi miti nazionalistici, in cui improvvisamente si scoprono passionali correnti patriottiche in chi sino a ieri professava idee internazionalistiche, in quest'Europa nella quale ad ogni pie' sospinto si veggono con raccapriccio riformarsi tendenze bellicistiche, urge
compiere un'opera di unificazione.
Opera, dico, e non predicazione. Vano è
predicare pace e concordia, quando alle porte
urge Annibale, quando negli animi d i troppi
Europei tornano a fiammeggiare le passioni
nazionalistiche. Non basta predicare gli Stati
Uniti d'Europa ed indire congressi d i parlamentari. Quel che importa è che i parlamenti
di questi minuscoli stati i quali compongono
la divisa Europa rinuncino ad una parte della
loro sovranità a pro d i un parlamento nel quale siano rappresentati, in una camera elettiva,
direttamente i popoli europei nella loro unità,
senza distinzione fra stato e stato ed in proporzione al numero degli abitanti, e nella camera degli stati siano rappresentati, a parità
di numero, i singoli stati.
Questo è l'unico ideale per cui valga la pena d i lavorare; l'unico ideale capace a salvare
la vera indipendenza dei popoli, la quale non
consiste nelle armi, nelle barriere doganali,
nella limitazione dei sistemi ferroviari, fluviali, portuali, elettrici e simili al territorio
nazionale, bensì nella scuola, nelle arti, nei
costumi, nelle istituzioni culturali, in tutto
ciò che da vita allo spirito e fa sì che ogni popolo sappia contribuire qualcosa alla vita spirituale degli altri popoli. Ma alla conquista di
una ricca varietà di vite nazionali, liberamente operanti nel quadro della unificata vita europea, noi non arriveremo mai se qualcuno
dei popoli europei non se ne faccia banditore.
Auguro che questo popolo sia l'italiano. A
conseguire il fine non si giungerà tuttavia mai
se non ci decidiamo subito, sinché siamo in
tempo, ed il tempo urge, ad entrare nei consessi internazionali oggi esistenti. Essi sono
per fermo imperfetti come quelli della vecchia Società delle nazioni; ma giova farne
parte per potere dentro essi bandire e spiegare la buona novella. Perciò io voterò, pur col
cuore sanguinante per le Alpi violate, a favore della ratifica del trattato, come mezzo necessario per entrare a fronte alta nei consessi
delle nazioni col proposito di dare opera immediata, tenace, continua, alla creazione di
u n nuovo mondo europeo.
Utopia la nascita di un'Europa aperta a
tutti i popoli decisi ad informare la propria
condotta all'ideale della libertà? Forse è utopia. Ma ormai la scelta è soltanto fra l'utopia
e la morte, fra l'utopia e la legge della
giungla.
Che importa se noi entreremo nei consessi
internazionali dopo essere stati vinti ed in
condizioni di inferiorità economica? Se vogliamo mettere una pietra tombale sul passato; se vorremo non più essere costretti a chiedere aiuti ad altri, ma invece essere invitati a
partecipare da paro a paro al godimento di
quei beni del mondo alla cui creazione noi pure avremo contribuito, dobbiamo non aver timore d i difendere le idee le quali soltanto potranno salvare l'Europa. La forza delle idee è
ancora oggi - ché l'Europa non è per fortuna del tutto imbarbarita e non è ancora adoratrice supina delle cose materiali - la forza
delle idee è ancora oggi la forza che alla lunga
guida il mondo. Non è nel momento in cui
quattrocento milioni di indiani riconquistano, col consenso e con l'aiuto unanime del
popolo britannico, la piena indipendenza,
che noi vorremmo negare la supremazia incoercibile dell'idea. Un uomo solo, il Mahatma Gandhi, ha dato al suo paese la libertà
predicando il vangelo non della forza, ma della resistenza passiva inerme al male.
Perché non dovremmo anche noi far trionfare in Europa gli ideali immortali, i quali
hanno fatto l'Italia unita e si chiamano libertà spirituale degli uomini, elevazione di ogni
uomo verso il divino, cooperazione tra i popoli, rinuncia alle pompe inutili, tra cui massima la pompa nefasta del mito della sovranità assoluta?
Difendendo i nostri ideali a viso aperto,
rientrando, col proposito di difenderli a viso
aperto, nella consociazione dei popoli liberi,
e prendendo con quell'intendimento parte ai
dibattiti fra i potenti della terra, noi avremo
assolto il nostro dovere. Se, ciononostante,
l'Europa vorrà rinselvatichire, non noi potremo essere rimproverati dalle generazioni venture degli italiani d i non aver adempiuto sino
ail'ultimo al dovere di salvare quel che di divino e di umano esiste ancora nella travagliata società presente.
MAGGIO 1992
Pasqual Maragall presidente del CCRE
Il Bureau Esecutivo riunito a Barcellona - La visita di Jacques Delors
I1 Bureau Esecutivo del CCRE - organo di
vertice previsto dal nuovo Statuto, che rimarrà provvisorio sino alla ratifica dello Statuto
stesso da parte dell'Assemblea dei Delegati
- si è riunito a Barcellona il 7 e 8 maggio:
nell'occasione Pasqual Maragall, Sindaco della città catalana, ha assunto le funzioni di
Presidente dell'Organizzazione. I punti principali all'ordine del giorno erano la preparazione dell'Assemblea dei Delegati del CCRE,
che si riunirà agli inizi del prossimo ottobre
a Praga, e un esame del ruolo delle comunità
locali e regionali dopo Maastricht. All'Esecutivo partecipavano il Presidente uscente Josef
Hofmann, la Segretaria europea Elisabeth
Giiteau, e i titolari van Canvwenberghe (belga), Chatfield (inglese), Kosmopulos (greco),
Le Pensec (francese), Serafini (italiano),
Stingi (austriaco); assistevano anche come invitati i rappresentanti della Sezione danese.
Ha partecipato alla parte conclusiva dell'Esecutivo Jacques Delors, Presidente della Commissione esecutiva della Comunità europea.
I1 nuovo Statuto del CCRE - è stato deciso - potrà ricevere entro giugno gli ultimi
emendamenti da parte del Comitato Meyers
- il Comitato incaricato dagli organi direttivi di elaborare il progetto finale (ne fa parte
per l'Italia il presidente dell'AICCRE) -,
sarà diffuso nelle Sezioni nazionali a partire
da luglio, sarà sottoposto alla ratifica all'Assemblea di Praga. Le quote associative della
nuova situazione potranno essere calcolate in
base al numero degli abitanti per Paese o
verso continue autodeterminazioni (cioè, in
sostanza, secessioni, separatismi), non mitigato da sentimenti nazionali per 10 più deboli
e da logiche statuali spesso di scarsa tradizione democratica. 11 compito del CCRE - ha
proseguito l'oratore - è quello di legare la riMAGGIO 1992
chiesta di autogoverno, più che legittima (e
del resto è un cardine del CCRE), con un
processo di solidarietà sovranazionale e una
capacità pattizia, che sono l'anima stessa del
federalismo, a sua volta ispiratore del CCRE.
La Giiteau ha insistito affinché non si suscitino troppe, irresponsabili speranze di entrare
domani nella Comunità europea. Serafini ha
replicato che non si tratta di entrare nella CE
e basta, ma piuttosto - a parte l'entrata in
quel forum pedagogico, preliminare, che potrebbe essere (e non sempre è) il Consiglio
d'Europa - il problema è aprire un discorso
comune sulle prospettive federaliste della Paneuropa, il che implica una regolazione prefederale dei rapporti fra i singoli Stati dell'Est,
da aiutare subito, senz'altro, ma non senza
tener continuamente presente questa strategia federalista, e accompagnando continuamente il discorso economico e sociale con
quello politico e istituzionale. La Giteau comunque ha insistito perché non si esageri con
gli approcci bilaterali (e qui c'è stata una critica implicita dei nazionalismi dell'ovest) e prevalgano approcci europei, globali. Hofmann,
Chatfield, Maragall hanno poi analizzato le
singole provvidenze comunitarie verso il
Centro-Est e in genere tutto quel che di specifico, concreto, si realizza o si progetta in
merito, mentre l'austriaco Stingi ha sottolineato le urgenze che richiamano le tragedie
delle città croate e slovene e la Giteau la tragedia della Bosnia, aggiungendo per altro che
noi non possiamo entrare nelle dispute relative alle secessioni nazionali, ma dobbiamo intervenire per singole città. I1 discorso non si
è tuttavia concluso e non si è arrivati a conclusioni comuni tali da permettere la formulazione di un progetto di dichiarazione politica
per la fine della Conferenza di Praga (una ocha sottocasione per tornare ~ull'ar~omento,
lineato la Giteau, potrà essere la riunione dei
Segretari nazionali, che si avrà a Parigi dopo
Barcellona). Un'appendice a questo punto
dell'ordine del giorno è nata quando, poco
dopo, l'Esecutivo ha brevemente toccato dell'attività mondiale della IULA (International
Union oflocal Authorities, di cui formalmente il CCRE è la Sezione europea, ma con ben
più chiari intendimenti democratici e federalisti): come distribuire gli aiuti europei (occidentali) tra l'Est europeo e il Sud del mondo?
La questione è stata inizialmente mossa dal
belga van Cauwenberghe, e non si può dire
che si sia arrivati a stabilire un punto d'accordo consistente, anche perché si è inserito il
sottoproblema del Sud dell'Europa e del Mediterraneo (che prevede incontri tra le Sezioni europeo-meridionali del CCRE).
Il contributo delle Regioni e delle Autonomie
locali
Quindi si è affrontato lo scottante problema della sistemazione istituzionale comunita-
Il nuovo Presidente del CCRE, Pasqual Maragall, insieme al Presidente della Commissione CE,
Jacques Delors. Delors è ora attaccato non solo dai noti antieuropeisti (fra cui molti inglesi),
ma anche da diversi ambiziosi presunti europeisti, perché vorrebbero sostituirlo "non in quanto
meno federalisti di Delors", ma perché - dicono loro - sarebbero più graditi agli antieuropeisti. È un bel ragionamento dei peggiori nemici dell9Europa:quelli che non la amano ma se ne
servono per scopi personali
ria degli Enti locali e regionali dopo Maastricht (e di conseguenza delle rispettive posizioni dell'Assemblea delle Regioni europee
- ARE - e del CCRE). La Giteau ha fatto
uno schizzo sintetico dell'esistente e del progettato, sottolineando da una parte che il lavoro del previsto Comité des Régions et des
Autonomies locales sarà delicato e pesantissimo (e ciò riguarda anche la struttura funzionale e l'organizzazione del Comité), e dall'altra - circa la formazione del Comité - che
col Trattato di Maastricht si introduce un
particolare ruolo codecisivo dei Laender e delle Regioni a carattere statale di qualsiasi partner a struttura federale interna. Sulla premes-
to proprio, si conceda ai Laender una voce accanto al Governo centrale o federale. Altra
cosa, altro àmbito è quello del Comité, ove
accanto alle autonomie locali sono rappresentate le autonomie regionali, cioè i territori regionali come tali: qui, accanto alle altre Regioni della Comunità, è ovvia una rappresentanza delle Regioni tedesche, equilibrata con
quella del resto di tutta la Comunità.
Chatfield come presidente uscente del
Consiglio consultivo delle autonomie, accordato già da tempo dalla Commissione di Bruxelles, ha riaffermato la linea - che è del
CCRE - di una rappresentanza equilibrata,
nel Comité previsto a Maastricht, dei diversi
I membri del Bureau Esecutivo del CCRE insieme a Jacques Delors
sa della Giteau si sono articolati i tre interventi principali di' Serafini, di Chatfield e di
Hofmann.
Serafini ha affermato che in materia si naviga alquanto con posizioni demagogiche e
malintesi ,giuridici. Pura demagogia - e una
vera mina contro i poteri prioritari da conferire immediatamente all'assemblea popolare
sovranazionale (il P.E.) - era la richiesta
(vecchia per il CCRE: ma da fare a tempo e
a luogo) dell'ARE di un Senato delle Regioni:
ha trionfato la tesi del CCRE, in piena sintonia col Progetto costituzionale Colombo approvato dal Parlamento europeo, cioè la creazione di un Comitato consultivo delle Regioni e delle Autonomie locali. Quanto ai Laender il malinteso consiste nel riferirsi confusamente a un altro istituto dell'unione prevista
a Maastricht, cioè il Consiglio dei Ministri:
quest'ultimo - che il CCRE vede in prospettiva trasformarsi in un Senato degli Stati dovrebbe col tempo trasformarsi da Consiglio o Senato dei Governi in.Consiglio degli
ordinamenti nazionali (come si è chiesto agli
Stati generali di Lisbona); essendo comunque
sin da ora la Germania, al suo interno, uno
Stato federale, è conseguente che, nell'àmbi-
livelli, Regioni, Poteri locali intermedi, Comuni, e l'esigenza che i rappresentanti non
devono essere funzionari delegati ma persone
elette. Hofmann ha sostenuto che il federalismo malinteso dei Laender tende a creare
"piccoli Stati", contro l'Europa dei cittadini
e non rispettando il principio di sussidiarietà:
il CCRE, a suo dire, deve affrontare questa
materia sia con l'approfondimento teorico sia
con le debite alleanze politiche, curando particolarmente i partiti politici.
La ripresa
Dopo una interruzione l'Esecutivo ha ripreso i suoi lavori, particolarmente per concordare con Maragall gli argomenti da illustrare a Jacques Delors - invitato a parteciGare alla parte finale dell'Esecutivo - e le
successive questioni da illustrare in un discorso pubblico, che lo stesso Maragall e Delors
avrebbero tenuto alle autorità spagnole e a
cittadini barcellonesi in una manifestazione
indetta per celebrare l'assunzione del Sindaco di Barcellona a Presidente di tutto 1CCRE
(Maragall ha avvertito che avrebbe tenuto
questo discorso in catalano, ma che il testo
sarebbe stato distribuito in castigliano). La
Giiteau ha insistito perché Maragall si riferisse soprattutto all'Europa dei cittadini e al
principio di sussidiarietà. Serafini perché si
citasse, più che la versione adottata dal Consiglio d'Europa, il testo originario della "Carta europea delle libertà locali", lanciata dal
CCRE nel 1953, col suo Proemio di prospettiva sovranazionale; e perché si sottolineasse
il cammino da percorrere dopo Maastricht,
col rilancio della centralità del Parlamento
europeo e il contenuto federalista, che dovrà
caratterizzare le elezioni europee del 1994.
Hofmann perché si sottolineasse il ruolo della
Commissione di Bruxelles, embrione di un
necessario governo europeo, in un momento
in cui è da combattere un neo-nazionalismo
qua e là risorgente (e si riferiva all'Europa occidentale). Maragall ha chiarito che avrebbe
toccato il tema della terribile crisi delle città
del centro-est d'Europa, senza toccare lo spinoso e irrisolto problema delle nazioni, minacciate nella loro unità, o degli Stati in via
di dissoluzione: il tutto in uno spirito federalista. Le Pensec ha insistito perché con Delors si rappresentasse l'immagine e la misura
del CCRE, che ha una sua grande storia.
Stingl perché non si tacesse dell'attuale
<<
guerra" - civile o meno - che infuria in
alcune parti d'Europa, e ha citato Serajevo, e
si esortasse a una lotta dei cittadini e delle
città per l'Europa unita.
Esaurita questa parte l'Esecutivo ha esaminato un rapporto della Segreteria europea sulla strutturazione delle commissioni di lavoro
del CCRE e sulla sede di Bruxelles. Chatfield
si è dichiarato d'accordo sul sistema delle
commissioni, ma ha messo in guardia contro
il pericolo di funzionari che prendono decisioni politiche (en passant ha detto a Barcellona non c'era ormai tempo di analizzare un
progetto di dichiarazione politica per Praga:
su quanto emergeva dall'Esecutivo, Hofmann ha allora proposto che ne abbozzassero
le prime linee i Segretari nazionali, che si sarebbero incontrati successivamente a Parigi).
Serafini ha stigmatizzato duramente lo schizzo burocratico che la Segreteria europea faceva del lavoro nelle commissioni, limitandosi a
quelle che controllava direttamente a Bruxelles e tacendo incredibilmente su quelle gestite, in pieno accordo col vertice del CCRE, da
singole Sezioni nazionali, specificamente le
due gestite dall'AICCRE - quella sul credito finanziario europeo ai Poteri locali e regionali, che forse è la più importante di tutto il
CCRE, e quella delle donne amministratrici,
che ha una squisita importanza politica e che
tra l'altro terrà prossimamente una riunione
di rilievo a Heidelberg -. Chatfield ha in
qualche modo ed esplicitamente appoggiato
Serafini, dichiarando che non saremo mai al
servizio di funzionari del CCRE di stanza a
Bruxelles: teme la burocratizzazione di tutto
il CCRE. Dopo una digressione sulla Conferenza ecologica di Rio (Serafini ha sottolineato il sabotaggio di fatto degli USA, che sono
in periodo elettorale e poco disposti all'"a1truismo"), e approssimandosi l'arrivo di Delors, la Giteau ha raccomandato di non di(segue a pag. 9)
MAGGIO 1992
ora due anni di battaglia
La «forza federalista)) a Milano
Il congresso dellYUnioneuropéenne des fédéralistes (UEF) - un nucleo federale (i Dodici o anche meno) e la strategia
federalista per la Grande Europa - ricollocare al centro dell'iniziativa il Parlamento Europeo; i partiti europei e
il fronte democratico europeo - gli Stati generali del CCRE a Strasburgo: ottobre 1993 - le nuove Assise europee:
fine del 1993 - il grande Congresso d'Europa e le elezioni del 1994
L'Union européenne des fédéralistes fu costituita formalmente a Montreux nel 194 7: raccoglieva i federalisti europei prodotti dalla Resistenza europea o già impegnati prima del secondo conflitto mondiale, ma maturati durante il
terribile scontro armato e la tortura culminata
nei Lager. Poco dopo I'UEF veniva costituito
un movimento ufficioso,sponsorizzato da molti
governi - il Movimento Europeo -, che consociava tutte le forze "democratiche" più o meno europeiste, sia federaliste che vagamente
unioniste. Dalla matrice dell'UEF sono nati diversi movimenti collaterali, coerentementefederalisti:fra questi il più importante senza dubbio
il CCRE (1951), ma tutti hanno giuocato un
ruolo da ricordare e hanno avuto con I'UEF un
intercambio di "quadri": il complesso di tutto
il federalismo associato si è chiamato la "forza
federalista". Di questa è venuto a far parte anche il Movimento Europeo, quando, dopo gli
Stati generali di Roma del CCRE (1964), si è
tentato di incarnare in esso il soggetto politico
di quel 'Ifronte democratico europeo ", su cui si
era imperniato tutto il dibattito del gigantesco
congresso romano: si costitui infatti una commissione per la riforma del suo statuto e si concluse che il suo fine era schiettamente federalista.
Tralasciamo le vicende dell'UEF, limitandoei a ricordare che a un certo punto, dopo la caduta della CED e col "nuovo corso federalista"
proposto da Altiero Spinelli, I'UEF si spaccò in
due: un'ala moderata e gradualista (Action européenne fédéraliste) e un'ala che chiedeva
l'assemblea costituente europea e una robusta
azione popolare (Mouvement fédéraliste européen: leader ne fu Etienne Hirsch). Nel Mouvement incubò l'idea del 'Ifronte democratico
europeo", che risultò vincente su quanto chiedeva il purismo di una sua corrente minoritaria,
quella di "autonomia federalista", sostanzialmente italiana e meritoria, col gruppo di Pavia,
per i suoi studi federalisti e per la formazione
preziosa di "quadri": fra l'altro "autonomiafe-
Pisa per l'Europa
I1 24 aprile il Sindaco Cortopassi (neila foto qui sopra) ha consegnato al nostro Direttore il Premio, decretato dai federalisti locali, <&sa per l'Europa». Serafini infatti ha maturato il suo impegno federalista fin dail'inizio (1935) deila frequentazione deila Scuola Normale: iniziata la battaglia l'anno precedente, sotto l'entusiasmo deila lettura della «Pace perpetua» di Kant, portò
avanti a Pisa il suo impegno costruttivo per gli Stati Uniti democratici d'Europa, e frattanto
(1936-1937) approfondì uno studio sul Commonwealth britannico, cercandovi invano una traccia di federalismo (ma in quellyoccasionescoprì il robusto pensiero dei federalisti britannici, particolarmente di Lione1 Curtis)
MAGGIO 1992
deralista" si collocò a lungo fuori del giuoco politico, non riconoscendo i Trattati di Roma che la maggioranza del Mouvement accettava
criticamente - e opponendosi alla prospettiva
di elezioni europee cosi come previste dai
Trattati.
Molta acqua è passata sotto i ponti, si è ricomposta l'unità delllUEF e questa ha tenuto a
Milano (15-17 maggio) il suo quindicesimo congresso, a cui hanno partecipato rappresentanti di
tutta la 'Iforzafederalista". Il saluto di tutto il
CCRE è stato portato dal suo vice-presidente
anziano, Umberto Serafini, che era al contempo
membro uscente del Comitato federale delI'UEF (e che è stato riconfermato). Nel suo intervento breve ma articolato Serafini ha anzitutto sottolineato che la grande preoccupazione del
momento europeo è una falsa concezione delle
autonomie, che porta all'idokggiamento di singole etnie, a un rozzo e spesso violento micronazionalismo e all'ossessione dell'autodeterminazione, cioè della secessione, del separatismo. Il
dilemma approfondimento o allargamento della
Comunità europea è un falso problema: l'approfondimento è, infatti, un obiettivo urgente e irrinunciabile, ma occorre, verso l'Europa centroorientale, determinare una strategia federalista,
che dia rilievo e appoggi subito tutte le propensioni pattizie sovranazionali proprio fra i singoli
Paesi centro-orientali; verso i Paesi delllEFTA
ci vuole invece un severo rigore politico e istituzionale, poiché nessuno impediva loro di aderire
e ora sembrano attratti da semplici ragioni di
mercato. I Dodici frattanto, dopo Maastricht,
debbono democratizzare il processo di integrazione, collocare al centro del processo il Parlamento Europeo e ciò implica la creazione di
partiti europei: le minoranze federaliste dei partiti tradizionali e nazionali debbono dunque
rompere i lacci delle segreterie nazionali e appoggiarsi a un 'Ifronte democratico europeo",
che ha con sé ingentiforze della società europea
aperte alla sovranazionalità. L'UEF dovrebbe
fornire i "quadri" politici del 'Ifronte": il
CCRE farà la sua parte.
Riportiamo qui di seguito la risoluzione politica generale del congresso dell'UEF, che ha trovato l'unanimità dei consensi e che interessa direttamente il CCRE nella parte finale propositiva
(III):si ribadisce un cahdario d'azione, che segue una linea politica iniziata dal CCRE col Manifesto di Bordeaux, e che l'Assemblea dei Delegati del CCRE (si riunirà a Praga agli inizi di ottobre) dovrebbe ribadire: del resto coincide con
un orientamento che ha visto protagonista il
Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa
e che darà un ruolo specifico e la sua principale
ragion d'essere agli Stati generali previsti a Strasburgo per I'ottobre 1993. Circa il Congresso del-
l'Europa o Convenzione per la Costituzione Federale Europea, da tenersi ad apertura della campagna elettorale europea del 1994, ci si dovrebbe
riferire alla riunione di Roma (in Campidoglio)
del 14 dicembre 1990, promossa da tutta la 'Sforza federalista" e particolarmente dal CCRE (e in
esso dall'AICCRE), che si rifaceva esplicitamente a un 'ponte democratico europeo": la Convenzione romana approvò un Appello per I'Unione democratica europea, riportato da "Comuni d'Europa" del gennaio 1991.
Il Comitato federale dell'UEF, eletto dal
Congresso di Milano, ha rivolto un saluto e un
invito a Pasqual Maragall, Sindaco di Barcellona e nuovo Presidente del CCRE. Lo riportiamo nel riquadrato qui a fianco.
I1 XV Congresso dell'UEF, riunito a Milano il 15-16-17 maggio 1992,
considerato
che l'equilibrio fondato sulla minaccia della
distruzione reciproca di Stati Uniti e Unione
Sovietica, definitivamente tramontato con la
dissoluzione dell'impero sovietico, non è ancora stato sostituito da un nuovo equilibrio
più pacifico ed evolutivo, che sappia dare
espressione politica all'interdipendenza crescente che si sta manifestando a livello
mondiale;
che in Europa il quadro della CSCE si è indebolito, e che all'Est si sono manifestate, e si
stanno manifestando tuttora, devastanti
spinte disgregatrici che, se non frenate in
tempo, metteranno a repentaglio la stessa
coesione della Comunità Europea e alimenteranno al suo interno le tendenze autoritarie,
nazionalistiche, razziste e separatiste che già
oggi sono d'opera in alcuni dei suoi Stati
membri e che, se ulteriormente rafforzate, ne
comprometteranno gravemente la governabilità;
che la Comunità ha la possibilità di invertire
la tendenza, facendo prevalere l'unità nei
confronti della divisione, e quindi ha la responsabilità di prendere l'iniziativa per creare, in Europa e nel mondo, un nuovo ordine
che promuova la pace e la collaborazione tra
i popoli e avvicini l'unità del genere umàno;
che la sola via di salvezza per l'Europa, di
fronte ai seri pericoli che la minacciano, è
quella delle trasformazione, in tempi brevi,
della Comunità in una vera Unione federale,
mediante l'attribuzione al Parlamento Europeo del mandato di elaborare il testo di una
costituzione federale. Essa dovrà riconoscere
i diritti sociali degli europei e garantire l'autonomia delle regioni e delle comunità territoriali più piccole, applicando il principio di
sussidiarietà; e dovrà prevedere l'attribuzione al Parlamento Europeo del potere legislativo e di quello di controllare il governo, la trasformazione della Commissione in un vero
governo europeo e quella de! Consiglio dei
Ministri in un Senato degli Stati;
che, una volta raggiunta l'unità federale, e
sventato così il pericolo che'la propria esten-
Un caldo saluto a Maragall
«Il Congresso delllUEF, riunito a Milano il 15, 16 e 17Maggio 1992, invia i suoi cordiali auguri a Pasqual Maragall, Sindaco di Barcellona e nuovo Presidente del CCRE. Il Congresso ricorda
la grande tradizione federalista del CCRE e le sue lotte per la democratizzazione della Comunità
europea: ad avviso del Congresso, gli Stati generali del CCRE, che si terranno a Strasburgo nell'ottobre 1993, saranno una tappa essenziale per la preparazione della Convenzione federale europea
e per le elezioni europee del 1994. L'UEF appoggia la creazione del Comitato delle Regioni e
dei Poteri locali contenuto nel Trattato di Maastricht, di cui chiede la ratifica urgente».
(FrancescoRossolillo presidente, John Pinder presidente d'onore, Cùaus Schondube vicepresidente e Gerard Wisselssegretario generale).
sione geografica comporti la sua diluizione in
un'area di libero scambio, l'Unione Europea
dovrà iniziare senza indugio il processo del
proprio allargamento ai paesi dell'Europa
centro-orientale - oltre che a quelli dell'EFTA. Soltanto attraverso la costituzione di un
grande Stato Federale esteso fino ai confini
occidentali dell'ex-Unione Sovietica potrà essere garantito lo sviluppo equilibrato dell'intero continente. Soltanto in questo modo potrà essere concretamente favorita la democratizzazione degli Stati della CSI e avviato un
processo di ricostituzione di forme di unità
federale tra di essi.
Nell'immediato, e con specifico riferimento ai problemi connessi con l'Unione Economica e Monetaria, il XV Congresso dell'UEF
sottolinea
l'importanza della decisione presa a Maastricht di dotare l'Europa di una moneta unica - l'ECU - e di adottare le disposizioni
previste dal Trattato per l'Istituzione della
Banca Centrale Europea;
rivolge un pressante appello
ai Parlamenti nazionali perché procedano rapidamente alla ratifica delle nuove disposizioni del Trattato, sottolineando come l'esigenza che l'Europa si doti di una moneta unica imporrà - anche in relazione alla situazione finanziaria internazionale - di anticipare
l'avvio della fase finale dell'unione monetaria prevista per il 1997;
zionale, regionale e locale) al fine di realizzare la massima efficienza e di contenere i sacrifici dei cittadini-contribuenti;
sottolinea
a questo fine l'importanza dell'adozione a livello europeo della tassa sul carboni0 (carbon
tm)quale strumento di innovazione della politica fiscale in grado di contribuire alla salvaguardia delle esigenze ecologiche;
ricorda infine
come, senza la piena competenza in materia
monetaria e di bilancio, l'Europa non sarà in
grado di vincere la sfida della stabilizzazione
e dell'integrazione delle economie dei paesi
dell'Europa Centrale e Orientale e della CSI
e di dare un contributo decisivo al grande
compito comune di promuovere lo sviluppo
delle economie dei paesi del Terzo Mondo.
I1 Congresso invita pertanto gli Organi del1'UEF e le proprie sezioni nazionali, regionali
e locali a:
- sottolineare con forza in tutte le sedi
l'esigenza di anticipare le scadenze dell'unione monetaria;
- elaborare e promuovere, a sostegno del
Parlamento Europeo, tutte le iniziative necessarie per dotare l'Europa degli strumenti
fiscali e di bilancio necessari per portare a
termine il processo di creazione della federazione europea.
In vista della realizzazione di questi obiettivi, il XV Congresso del19UEF
decide
richiama
che è indispensabile dotare l'Europa, oltre
che della moneta unica, dei poteri fiscali e di
bilancio necessari per garantire la stabilità e
lo sviluppo dell'economia europea;
sostiene con fermezza
in questa prospettiva, la necessità di adottare
il nuovo piano finanziario pluriennale recentemente approvato dalla Commissione;
'
ricorda
che il Parlamento Europeo e i Parlamenti nazionali hanno la responsabilità di delineare
- anche in vista della prossima riunione delle «Assise» - un piano finanziario che, partendo dall'aggiornamento in corso del rapporto Mc Dougall, sappia razionalizzare la
spesa pubblica ai diversi livelli (europeo, na-
di lanciare una campagna popolare, il cui scopo sia di:
a) chiedere che il Consiglio Europeo attribuisca al Parlamento Europeo, prima delle
elezioni del 1994, il compito di elaborare, in
consultazione con i Parlamenti nazionali, un
progetto di costituzione federale europea per
i paesi che saranno disposti a far parte dell'Unione secondo le liiee precedentemente
enunciate. Il progetto di costituzione del Parlamento Europeo dovrà essere sottoposto d a
conferenza intergovernativa prevista dal
Trattato di Maastricht per il 1996, che dovrà
essere anticipata al 1994 e svolgere i suoi lavori sulla base di una codecisione paritetica
tra Parlamento Europeo e i governi nazionali;
b) esercitare una pressione sul Parlamento
Europeo perché comunque elabori - sulla
base dei lavori già effettuati - un progetto di
MAGGIO 1992
costituzione Federale dell'unione Europea,
ottenga la sua approvazione da parte delle
«Assise»e mobiliti su di esso il consenso delle
assemblee elettive delle comunità regionali e
locali, nonché quello di tutte le associazioni
politiche, economiche, sociali e culturali, in
modo che le elezioni europee del 1994 si trasformino in un referendum di fatto sulla Costituzione Federale Europea;
C) chiedere al Parlamento Europeo che
elabori un sistema uniforme per la propria
elezione che sia tale da dare impulso alla creazione e al rafforzamento di veri partiti europei, in grado di fare dell'unione Europea il
principale tema del loro confronto politico.
Gli strumenti principali di questa campagna saranno i seguenti:
a) il lancio di una petizione per una Costituzione Federale dell'Europa, da sottoporre
d a firma di parlamentari, poteri locali, organizzazioni politiche, economiche e culturali,
di personalità e di cittadini;
b) lo sviluppo di contatti sistematici con i
partiti politici per spingerli ad assumersi
quelle responsabilità d e quali finora si sono
sottratti e a fare deiia costituzione federale
dell'Europa il punto programmatico essenziale della prossima campagna elettorale europea e deU'Unione Europea un tema permanente di agitazione politica e di confronto con
l'opinione pubblica;
C) l'organizzazione, in collaborazione con
il Movimento Europeo, col Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa e con le altre
organizzazioni impegnate sul terreno della
lotta per l'Europa, di un grande Congresso
dell'Europa (chiamato «Convenzione per la
Costituzione Federale Europa») da tenere
prima delle prossime elezioni Europee nell'intento di sensibilizzare e mobilitare l'opinione pubblica e le forze disponibili ad impegnarsi per l'obiettivo di un'Europa democratica e federale.
I
zati nel campo più squisitamente politico, anche se è problematico il controllo democratico, che si è inadeguatamente previsto. La politica estera è ancora ferma alla cooperazione,
ma potrà avanzare di fatto con "azioni comuni", mentre sta prendendo rilievo l'Europa
giudiziaria, che ha una indubbia attinenza
con l'Europa dei cittadini. Quanto al Comité,
che particolarmente interessa al CCRE, avrà
un ruolo assai vasto (anche sui temi scottanti
dell'emigrazione). E' necessario comunque
allargare i poteri del Parlamento europeo (attualmente risultano limitati anche i poteri
della Commissione): il Consiglio europeo (il
Vertice dei Capi di Stato e di Governo) dovrà
restare un semplice organismo di impulso,
mentre occorrerà associare al progresso del
P.E. (ma non istituzionalmente) i Parlamenti
nazionali; poi ha bruciato un granello di incenso a favore del principio di sussidiarietà,
si è schierato a favore dell'Europa dei cittadini (non meglio qualificata), e ha sottolineato
che non è opportuno europeizzare tutto, lasciando per esempio autonome cultura, educazione, sanità. Infine Delors ha confessato
che, nella disputa post-bellica tra federalisti e
semplici unionisti, egli si è schierato realisticamente a mezza strada.
Su Delors e come convenuto ha preso subito la parola Chatfield, presidente uscente lo ripetiamo - del Consiglio consultivo delle
autonomie: ha sottolineato a proposito del
Comité soprattutto due cose, cioè che il Comité non dovrà essere un monopolio delle Regioni e che i suoi membri dovranno essere degli eletti locali o regionali. Hofmann ha ribadito le sue tesi sull'Europa dei cittadini e
contro la visione particolaristica dei Laendev.
Le Pensec ha sottolineato i molti pericoli dell'attuale momento europeo, riflettendo abbastanza ovviamente preoccupazioni anche di
Mitterrand (è Ministro dell'attuale Governo
francese). A questo punto Delors, un po' me-
Pasqua1 Maragall
(segue da pag. 6)
menticare - anche agli effetti migliorativi
del Comitédes Régions et des Autonomies locales - che Maastricht potrà essere rinegoziato
nel 1996, ma Serafini le ha obiettato che già
nel 1993 il CCRE dovrà dare una grande
spallata politica con gli Stati generali di Strasburgo e che, ben prima del 1996, potranno
essere determinanti - se lo vogliamo - le
elezioni europee del 1994.
Le opinioni di Delors
Arrivato Delors, gli è stata data subito la
parola. 11 Presidente della Commissione ha
sottolineato che siamo, dopo Maastricht, in
un periodo "cerniera", tra la Comunità e I'Unione. Senza dubbio lo sviluppo immediatamente più fecondo è dato dal progetto di
Unione economica e monetaria; si è poi avanMAGGIO 1992
La riunione del Bureau Esecutivo del CCRE
ravigliato del suo silenzio, ha sollecitato Serafini a prendere la parola.
Serafini ha detto che, tiratovi per i capelli,
avrebbe parlato schiettamente. Negli anni
trenta, anni di cospirazione, egli era di necessità (e del resto in sede teorica o pedagogica)
un federalista massimalista: ma nel dopoguerra, anche sugli esempi di Jean Monnet e di
Spinelli, non aveva rifiutato posizioni gradualiste e di temporanea conciliazione tra federalisti e unionisti. Tuttavia, ha soggiunto,
che residui di federalismo (a parte la questione della moneta unica, ma col vuoto politico
alle spalle) erano rintracciabili a Maastricht?
Anzi a Maastricht non avevano vinto neanche gli unionisti, perché, su più pilastri scoordinati, si era progettata la Disunione europea, dove avrebbe dominato il Consiglio europeo: insomma, ha esclamato, a somigliare al
Congresso di Vienna post-napoleonico manca
solo Metternich. Per altro non tema Delors,
anch'egli è d'avviso che occorre ratificare e
presto - in Dodici o anche in Undici o in
Dieci - gli accordi di Maastricht, ma il problema centrale che resta è creare la democrazia, sovranazionale, europea. In questo clima
democratico il Comité, di cui tanto parliamo,
avrà il suo brodo di cultura.
Nella sua replica Delors ha sostenuto di essersi persuaso sul Comité della tesi del
CCRE, la sola rispettosa del principio di sussidiarietà: ci dovranno convivere, ovunque,
le Regioni e tutte le altre Autonomie territoriali, e la Commissione dovrà esprimere questo parere. Ma state attenti, ha esclamato rivolto all'Esecutivo, a non trasformare il Comité in un organo di routine, perché vi spetta
una rilevante iniziativa politica.
Cosi si è concluso il Buveau esecutivo di
Barcellona, di cui abbiamo voluto dare, al suo
esordio e per offrire un cenno del suo modo
di lavorare, un resoconto piuttosto ampio.
Lettori e Soci debbono essere informati.
a Torino la Commissione del CCRE
Finanza e credito degli Enti locali e regionaii europei
Su invito del Comune di Torino e con la partecipazione del suo Sindaco, Giovanna Cattaneo Incisa, si è svolta a Torino, il 27 aprile,
una riunione della Commissione del CCRE
per i problemi della finanza e del credito agli
Enti locali e regionali.
Con la partecipazione di rappresentanti di
una larga maggioranza delle Sezioni del
CCRE delllEuropa dei 12, di dirigenti bancari e finanziari e di esperti europei, la Commissione ha valutato anzitutto il lavoro compiuto dal Gruppo di lavoro europeo; ha analizzato quindi il Rapporto «Finanza locale e
credito agli enti locali nella prospettiva europea» - che esamina la situazione nei Paesi
europei con particolare riferimento alle risorse a disposizione degli enti territoriali per l'adempimento dei loro compiti e che è stato
predisposto nell'ambito di un progetto FERS
presentato dal Comune di Torino - ed ha
adottato il programma di lavoro per i prossimi mesi.
Ha portato il saluto di tutto il CCRE Umberto Serafini, nella sua qualità di vicepresidente europeo anziano, mentre le due sedute
di lavoro sono state presiedute la mattina dal
segretario generale dell'AICCRE Gianfranco
Martini e il pomeriggio dal segretario generale aggiunto Fabio Pellegrini.
La riunione si è aperta con i saluti del Sindaco di Torino che, augurando un buon lavoro ai partecipanti, ha sottolineato come la città di Torino sia stata sempre in prima fila nel
promuovere e sostenere le inziative dell' AICCRE a favore dell'integrazione europea in un
quadro di autonomia e di partecipazione delle
autonomie locali.
I temi della discussione e le motivazioni
della riunione e dell'iniziativa sono stati
esposti invece da Serafini e Martini. Martini
ha voluto esporre in particolare le motivazioni dell'iniziativa, rilevando come la riunione
fosse una tappa nell'ambito di un'azione più
ampia promossa inizialmente dalla Sezione
italiana e poi divenuta un impegno di tutto il
CCRE sulla base delle indicazioni degli Stati
generali del CCRE di Lisbona.
I1 Dr. Antonio Majocchi, dell'università
-
di Pavia, ha quindi illustrato le linee principali del lavoro relativo alle finanze locali in
Europa alla vigilia della realizzazione del
mercato unico. Dopo una breve presentazione delle differenti situazioni relative alla finanza locale nei diversi paesi europei, Majocchi ha evidenziato le problematiche che le autonomie locali europee dovranno affrontare a
seguito della completa liberalizzazione della
circolazione dei capitali nella Comunità. In
quest'ottica sono state elencate le proposte,
già elaborate da eminenti studiosi ed operatori del settore, relative all'istituzione di un organismo europeo di credito agli enti locali.
Su questi temi si è aperto il dibattito in cui
sono intervenuti tutti i presenti. I rappresentanti delle diverse delegazioni nazionali hanno integrato le informazioni fornite dal rapporto di apertura ampliando gli elementi conoscitivi relativi alle differenti situazioni nazionali. Dopo questo primo giro di orizzonte,
che ha fornito un quadro completo della situazione della finanza locale in Europa, i partecipanti si sono soffermati sulle problematiche aperte dal processo di integrazione per le
comunità locali dei rispettivi Paesi.
In quest'ambito è emerso l'alto grado di
differenziazione che caratterizza il panorama
delle autonomie locali europee.
Sono particolarmente gravi, ad esempio, i
dati riferiti all'autonomia impositiva degli
Enti locali: dal 61% di entrate tributarie autonome sul totale delle entrate locali in Spagna e dal 53% della Repubblica federale tedesca e della Francia fino al 6 % dei Paesi
Bassi ed al 5% del171talia,valore estremo.
Questa differenziazione si è esplicata in un
differente approccio al problema della libera
circolazione dei capitali per cui due posizioni
differenti si sono delineate nell'ambito del
dibattito. Da un lato, infatti, i rappresentanti
di Paesi quali la Francia, la Germania e la Danimarca hanno sottolineato come il problema
dell'indebitamento nei loro Paesi sia affrontato già ma in un'ottica di mercato che, in
quanto tale, è già aperta ed in grado di affrontare la liberalizzazione in corso in ambito
comunitario. Dall'altro lato i rappresentanti
Una riunione preparatoria, presso la sede romana de119AICCRE,sul tema deila finanza e del
credito degli Enti locali e regionali europei
di altri Paesi quali ad esempio l'Italia e la
Spagna hanno invece sottolineato le esigenze
di armonizzazione nell'ambito della finanza
locale europea al fine di garantire a tutte le
autonomie locali la possibilità di sfruttare appieno le opportunità offerte dal mercato unico dei capitali.
Nel pomeriggio la discussione è stata aperta da Pellegrini il quale, dopo aver presentato
i risultati raggiunti nel dibattito del mattino,
ha invitato i partecipanti ad illustrare le proprie posizioni relativamente alle proposte elaborate nel corso della mattinata. Nel dibattito che è seguito tutti i partecipanti sono intervenuti evidenziando le loro osservazioni e
valutazioni sulla proposta di istituzione di un
organismo europeo specializzato nella concessione del credito agli enti locali.
Anche in questo caso due posizioni di massima si sono evidenziate.
Da un lato i rappresentanti di quei Paesi in
cui il credito è concesso secondo regole di
mercato hanno sottolineato come le regole di
liberalizzazione imposte dalla Comunità in
ambito finanziario siano una garanzia della
completa liberalizzazione del credito agli enti
locali. In questa ottica l'istituzione di un ente
creditizio di dimensione europea specializzato nel credito agli enti locali si andrebbe a sovrapporre all'azione già svolta dagli altri istituti privati e pubblici nazionali.
Dall'altro, alcuni partecipanti hanno evidenziato come la nuova istituzione potrebbe
porsi come elemento unificante nell'ambito
del nuovo spazio finanziario europeo favorendo la transizione verso il mercato in quelle
aree in cui il credito è erogato ancora a tassi
agevolati e garantendo un accesso paritario al
mercato europeo dei capitali anche per quelle
comunità che presentano maggiori difficoltà
per ragioni di dimensioni, per inadeguate attitudini ed esperienze o per l'insufficienza
delle risorse proprie.
La riunione si è chiusa quindi con l'adesione di tutti i partecipanti alla proposta di proseguire con la costituzione di un gruppo di lavoro per la stesura di un'ipotesi di «statuto»
di un organismo finanziario europeo entro la
fine di giugno-inizi di luglio, in modo da poter essere valutato e poi discusso nella prossima riunione della Commissione da convocarsi nel mese di settembre.
Infine per consentire un ulteriore e più allargato momento di riflessione della Commissione CCRE prima delle sue conclusioni che
saranno sottoposte ai prossimi Stati Generalii del 1993 e per dare un concreto contributo
federalista al dibattito su queste riforme in
Italia, la Federazione Regionale Piemontese
dell'AICCRE ha annunciato in occasione di
questa riunione l'organizzazione, in collaborazione con l'Associazione nazionale e il
CCRE, di un convegno internazionale nel
prossimo autunno 1992 proprio sui temi del
federalismo fiscale e delle autonomie locali
dopo Maastricht.
m
MAGGIO 1992
Autonomie, minoranze, nazionalismi, Unione europea
Testo del rapporto del segretario generale dell'AZCCRE alla ventisettesima sessione della
Conferenza permanente dei Poteri locali e regionali d'Europa, Strasburgo, 17-19 marzo 1992
di Gianfranco Martini
1. Introduzione
I1 dibattito molto interessante e significativo che si è sviluppato nel corso della Sessione
plenaria di marzo 1991 con la partecipazione
dei rappresentanti degli enti territoriali dei
Paesi dell'Europa centrale e orientale, ha
messo in evidenza la necessità di approfondire, in modo più sistematico, certe grandi questioni di fondo che si ripercuotono sull'avvenire delle collettività locali e regionali e sul
processo di unificazione politica dell'Europa;
vale a dire sui due argomenti che caratterizzano, fin dalla sua creazione, la CPLRE e che
riguardano non solo i Paesi dell'Europa occidentale ma anche quelli dell'Europa centrale
e orientale in cerca di una nuova organizzazione democratica nella libertà.
Fra queste grandi questioni di fondo non
possiamo certamente trascurare i diritti delle
minoranze, il rafforzamento dell'autonomia e
dell'«autogoverno», il principio cosi spesso rivendicato dell'autodeterminazione, i diritti
non solo individuali ma anche quelli dei popoli e delle nazioni, i rischi di forme sempre
più virulente di nazionalismo e di separatismo di un'Europa che, al contrario, ha urgente bisogno dell'avvio di un processo unitario
richiesto dalla crescente interdipendenza fra
i diversi Paesi e di una stabile solidarietà nella pace.
La competenza e l'interesse della CPLRE
di affrontare seriamente questo problema
non possono essere messe in discussione.
I1 Consiglio d'Europa, in effetti, ha sempre costituito un foro privilegiato per il dibattito sulle grandi tematiche politiche e culturali riguardanti l'Europa; ciò non esclude, naturalmente, che gli argomenti di cui sopra siano
anche di grande interesse politico ed economico per la Comunità europea che, per altro,
dimostra un'attenzione crescente in merito.
2. Difficoltà nelia definizione dei concetti
Abbiamo impiegato diversi termini comunemente usati per discutere sulle minoranze
e sui nazionalismi: autodeterminazione, autodecisione, autogoverno, popolo, nazione, autonomia, confederazione, federazione, ecc.
Dobbiamo chiederci se queste parole abbiano sempre un significato univoco e chiaro
e se siano sempre utilizzate correttamente.
Senza voler approfondire, dal punto di vista lessicale, la definizione di tutti questi termini, ci sembra utile attirare l'attenzione, fra
l'altro, almeno sulle seguenti questioni.
MAGGIO 1992
Uno dei problemi più gravi rispetto alla
protezione delle minoranze è quello di scegliere se riconoscere i diritti collettivi al gruppo sociale o attribuire i diritti esclusivamente
alle persone appartenenti alle minoranze.
I1 dibattito non è soltanto teorico, è evidente; e d'altra parte la dicotomia «Diritti
collettivi - diritti individuali» è stata oggetto di una discussione molto vivace nella riunione di Copenaghen (1990) in occasione della Conferenza sulla dimensione umana della
CSCE.
La questione è ancora aperta, ma è stato
fatto qualche passo avanti: ad esempio, gli
Stati sono obbligati non solo a proteggere l'identità delle minoranze nazionali, ma anche
a prendere misure atte a promuovere l'identità di un «gruppo» in quanto tale. Inoltre, sebbene la titolarità dei diritti sia riconosciuta
agli individui facenti parte del gruppo, va da
sè che alcuni di questi diritti non si prestano
a essere esercitati a livello esclusivamente individuale (il diritto di costituire istituzioni
scolastiche, culturali e religiose, o di creare
organizzazimi e associazioni, ecc.).
Un altro problema riguarda la definizione
del concetto di «minoranze» rispetto a quello
di «popolo». I documenti internazionali (ad
esempio il Principio VIII del decalogo dell'atto finale di Helsinki) usano distinguere fra i
«popoli» (ai quali è riconosciuto il diritto di
autodeterminazione) e le «minoranze» (alie
quali non è concesso il diritto di secessione),
ma essi non forniscono elementi sufficienti
per stabilire cos'è un «popolo» nè definiscono
cos'è una «minoranza».
A questo proposito è ugualmente necessario sottolineare che l'autodeterminazione è
spesso presentata come il criterio più democratico che consente a un gruppo sociale o a
una minoranza etnica nazionale di raggiungere la sua indipendenza, sovranità, libertà in
rapporto al potere dello Stato che non vuole
riconoscerne i diritti. Nel concetto di autodeterminazione rientrano l'aspirazione al riconoscimento della propria diversità, della propria identità, la volontà di avere un peso politico, l'aspettativa di poter gestire e risolvere
i propri problemi.
Ma dove finisce il diritto ali'autodeterminazione? Nella nostra società ove non vi è
una corrispondenza esatta fra le realtà etnonazionali, linguistiche, culturali e un dato
territorio, l'autodeterminazione di un gruppo
sociale (vale a dire la sua aspirazione a divenire uno Stato indipendente e sovrano o a riunirsi con un altro Stato omologo) deve tener
conto che, assai frequentemente, tale gruppo
ingloba altri gruppi sociali con diverse identità i quali, a loro volta, rivendicano lo stesso
diritto all'autodeterminazione.
Abbiamo davanti a noi esempi drammatici:
il caso di Serbia e Croazia, e quello di popolazioni russe, risiedenti nelle Repubbliche appartenenti all'ex Unione Sovietica, che si dichiarano indipendenti e sovrane. E' evidente
la difficoltà di trovare una soluzione secondo
il criterio dello Stato-nazione.
Completamente diverso è il diritto all'autonomia, a una forte autonomia e all'autogoverno, riconosciuto e garantito nelle rispettive Costituzioni.
I documenti della CSCE cosi come altri
documenti hanno dunque tentato di definire
il regime applicabile ai «popoli» e alle «minoranze», ma essi non hanno enunciato criteri
sufficientemente precisi per identificare i titolari del diritto.
In attesa che le nozioni di «popolo» e di
«minoranza» siano definite con criteri non
ambigui, gli Stati che hanno partecipato alla
riunione di Copenaghen hanno cercato d'introdurre nel documento finale una clausola
che salvaguardi il principio dell'integrità territoriale degli Stati e alio stesso tempo hanno
sottolineato che gli obblighi relativi alle «minoranze» non implicano il diritto di agire
contro tale principio.
Si tratta di un altro esempio di una situazione ancora molto fluida in materia, in cui i
documenti ufficiali comprendono una serie di
affermazioni che svelano ancora esitazioni,
perplessità, a volte contraddizioni, in un clima di transizione tra la difesa del sistema tradizionale di Stati-nazioni sovrani e la ricerca
di nuove soluzioni più coerenti con la concezione di un mondo più solidale e attento al
SUO «bene comune».
Possiamo trovare un'altra conferma di questa costatazione nel documento di Copenaghen (già citato varie volte) nel paragrafo 35
che riguarda forme idonee di amministrazione locale o autonoma intese come un possibile mezzo per creare condizioni favorevoli alla
promozione dell'identità etnica, culturale,
linguistica e religiosa di alcune minoranze nazionali.
Ma la proposta avanzata dai Paesi membri
della Pentagonale (Austria, Cecoslovacchia,
Italia, Jugoslavia, Ungheria) contenuta nell'Articolo 17 era di più vasta portata perchè
chiedeva di concedere, alie minoranze nazionali che si trovano in condizioni territoriali
specifiche, il diritto a una forma appropriata
di autogoverno sul territorio in cui esse vivono. L'«autogoverno» è diventato, nel docuCOMUNI D'EUROPA
mento di Copenaghen null'altro che un riferimento molto generico alla creazione di «amministrazioni locali o autonome».
È sempre più urgente approfondire inoltre
la nozione di «cittadinanza» e le variazioni del
suo concetto tradizionale radicato fino ad ora
nel sistema degli Stati nazionali e che deve,
sempre più, adattarsi al sistema politico europeo sovranazionale. I1 Parlamento europeo ha
dibattuto recentemente questo argomento sulla base del rapporto presentato dall'on. Rosy
Bindi.
Gli argomenti fin,qui menzionati non sono
esaustivi ma sono utili per dimostrare quanto
necessario sia ancora approfondire e chiarire
i concetti utilizzati. E che dire del termine
«nazione»? Uno scrittore francese sottolineava recentemente che «ciò che Sant'Agostino
diceva del tempo noi possiamo ripeterlo per la
parola nazione. Cos'è la nazione? Se qualcuno
me lo chiede io lo so; ma se mi chiedono di
spiegare cosa significa non lo so più».
3. Come affrontare una questione
così complessa?
I1 relatore deve porsi un problema preliminare: quale approccio scegliere? In effetti si
potrebbe:
a) limitarsi a considerare il fatto che oggigiorno, in Europa, in tutta l'Europa, ma più
drammaticamente nei paesi della sua parte
centrorientale, le minoranze esistenti auspicano il riconoscimento delle loro aspirazioni
e dei loro diritti e la necessità di trovare i
mezzi politici e giuridici idonei. La CPLRE
ha già contribuito al dibattito su tale questione elaborando la Carta europea delle lingue
regionali o minoritarie. Essa propone soluzioni concrete per proteggere l'identità culturale
e linguistica delle minoranze.
b) I n ogni modo, un approccio di questo
tipo ci sembra decisamente parziale, tenuto
conto dell'entità dei problemi posti dalla situazione in fermento in varie zone dell'Europa. Tale realtà ha radici profonde nella storia
e la sua soluzione non può essere limitata ad
un semplice approccio d'ordine tecnicogiuridico, necessario senza dubbio, ma certamente insufficiente.
Consapevole di questa realtà, il rapporto
cerca di valutare e dare risposte in un orizzonte più vasto, in cui i problemi dei nazionalismi, delle sovranità, dell'autodeterminazione e della protezione delle minoranze si integrino con le tematiche più tradizionali dell'organizzazione degli Stati, grazie al riconoscimento del principio delle autonomie locali
nel contesto più generale della costruzione
delllEuropa. Non si tratta di sottovalutare le
difficoltà di questa impresa e la complessità
della posta in gioco, ma la scelta del tema per
questo rapporto e per il co-rapporto dei due
colleghi, il sindaco di Budapest e il sindaco
della città slovacca di Liptowski-Mikulash,
dev'essere considerata un'occasione da non
mancare per meglio comprendere gli avvenimenti e per meglio ricercare le risposte auspiCOMUNI D'EUROPA
cate e necessarie, non solo a livello dei governi, ma anche della società e dei cittadini.
Situare i problemi delle autonomie, delle
nazionalità e della rinascita del nazionalismo,
dell'unificazione europea e del federalismo
nel loro significato culturale e politico e nel
contesto delle loro radici storiche, non significa assolutamente voler trasformare questo
rapporto in un esposto accademico e puramente teorico o in un esercizio erudito. Significa piuttosto cercarè (e ne vedremo i risultati) di fornire le basi per trovare soluzioni
che non si limitino a semplici rapporti provvisori o parziali, valide per «lo spazio d'un mattino», ma che siano, al contrario, durevoli e
situate in un'ampia prospettiva, fondate sul
consenso dei popoli e non sulla loro sottomissione.
4. L'Europa di fronte ai suoi problemi, ad
ovest come ad est
Siamo, senza alcun dubbio, in presenza di
un grave problema molto diffuso, quello,
cioè, della affermazione dell'identità nazionale, dell'etnia, di una lingua o di una cultura
specifica all'interno di uno Stato. Come spiegare questo risveglio? Quali sono le cause che
l'hanno originato, specialmente nei paesi dell'Europa centrale e orientale? A questo proposito esistono aspetti comuni alle due parti
dell'Europa?
I1 processo di distensione fra Est e Ovest
e il crollo dei regimi del «socialismo reale»
hanno indebolito le ragioni superiori dell'unità, tante volte sottolineate per far fronte al sistema antagonista, hanno liberato le aspirazioni a lungo represse nelle periferie dell'impero, hanno provocato, allo stesso tempo,
processi di liberazione ma contemporaneamente anche rivendicazioni. I n questi fenomeni emerge il ricupero legittimo di valori,
diritti individuali e collettivi, tradizioni CUIturali e linguistiche diversificate, strutture
particolari sia sociali sia territoriali, insieme a
spinte incontrollate di vero e ostinato nazionalismo.
,
Riguardo a quanto sopra esposto vi sono,
in ogni caso, differenze obiettive fra la realtà
in Europa occidentale e quella delle altre parti d'Europa. In Europa occidentale, movimenti autonomisti più che indipendentisti,
sorgono all'interno di Stati unitari spesso caratterizzati d a un'ampia predominanza di
un'etnia sulle altre.
Nell'Europa dell'Est, al contrario, assistiamo spesso all'insorgere di movimenti tendenti alla secessione. I1 risveglio delle identità etniche e nazionali è strettamente collegato ad
una delegittimazione sostanziale, ideologica e
politica dello Stato e alla destrutturazione del
sistema economico precedente: in una parola,
ad un vuoto di potere. Ad Est la crisi dei partiti comunisti è divenuta spesso crisi degli
Stati.
5. Due tendenze simultanee
Stiamo assistendo attualmente a due tendenze che coesistono nella nostra società europea (ma che sono conosciute anche in altre
parti del pianeta). Da un lato la ricerca e la
scoperta di un'identità (etnica, linguistica,
culturale, storica, ecc.) propria di gruppi sociali specifici, che rivendicano il diritto di autonomia e di autogoverno o, a volte, di indipendenza e di sovranità, o persino di separazione dallo Stato in seno al quale essi hanno
vissuto fino ad oggi.
Dall'altro, i popoli sono alla ricerca, con
consapevolezza e lucidità, di nuove dimensioni della loro convivenza nel contesto europeo, vale a dire di una nuova identità collettiva, che sia in grado di darsi leggi e istituzioni
adeguate, democratiche e sovranazionali.
La seconda tendenza si dirige verso il superamento dello Stato-nazione e cerca di creare
comunità sovranazionali: il desiderio di rendere l'Europa una vera «Casa comune» si ricollega, sia pure in modo ancora assai vago,
a questa tendenza. L'altra, al contrario, è caratterizzata dalla frequente esplosione di nazionalismi, dalla frammentazione dell'organizzazione politica e giuridica esistente, dai
diritti delle minoranze e dei popoli rivendicati, a volte con violenza, contro realtà, da lungo tempo presenti, di accentramento e uniformità spesso imposte con l'impiego della
forza.
Interi sistemi stanno per entrare in crisi e,
all'interno delle rivendicazioni nazionaliste,
si manifestano altri micronazionalismi: ne risulta un processo di frammentazione che non
può evitare di preoccupare tutti coloro che
auspicano, al contrario, passi avanti verso la
creazione di un solo mondo («one world») o,
almeno, di una sola Europa.
Paradossalmente, la fine - tante volte auspicata - della guerra fredda coincide con
nuove tensioni in Europa, dovute alla situazione sopra citata. La fine della paura dello
scoppio di una terza guerra mondiale non
esclude il rischio di nuove «guerre civili» fra
gli europei; non si tratta più del confronto
Ovest-Est ma di conflitti possibili soprattutt o all'interno di quello che fu l'impero sovietico. È sufficiente elencare (seppure in modo
incompleto) le rivendicazioni «nazionali» ed
etniche riguardanti l'Ungheria, la Romania,
la Boemia e la Slovacchia, la Moldavia, la Iugoslavia, varie repubbliche dell'ex Unione sovietica, ecc.
Un parlamentare europeo ha coilstatato di
recente che sebbene in Europa occidentale
un giudizio negativo sul nazionalismo sia considerato, in genere, del tutto naturale, all'Est
questa conclusione è meno evidente perchè si
sta uscendo d a una situazione ideologica e politica di un internazionalismo forzato. Gli europei dell'ovest, egli ha aggiunto, sono spesso e più facilmente post-nazionalisti: possono
essi comprendere che i loro colleghi all'Est
sono, almeno provvisoriamente, postinternazionalisti?
D'altronde, anche in Europa occidentale si
assiste a un risveglio etnico-nazionale: è sufficiente riflettere sia sui diversi movimenti autonomisti che vogliono reagire alla centralizzazione e a una certa tendenza all'omogeneizzazione spesso alla deriva, sia allo scoppio di
fenomeni di xenofobia che spesso nascondono vere forme di razzismo e di violenza. Certamente, non bisogna confondere o ridurre a
MAGGIO 1992
una forzata uniformità queste diverse manifestazioni; qui ci limitiamo ad attirare l'attenzione su radici comuni d'ordine etniconazionale, sebbene sia d'obbligo una valutazione adeguata delle diverse risposte.
L'avvio di un nuovo ordine europeo, capace di garantire la pace, la cooperazione e la
solidarietà sostenute da istituzioni sovranazionali, non può fare astrazione dalla ricerca
di risposte adeguate al problema di una equa
soddisfazione delle esigenze della diversità.
Quest'affermazione non si limita unicamente
ad assicurare ~ n ' e g u a ~ l i a n zdia trattamento,
o la non-discriminazione o le pari possibilità
di esercitare le libertà democratiche e i diritti
fondamentali, o di disporre delle stesse opportunità di sviluppo economico e sociale, ma
essa deve anche includere il riconoscimento
dell'uguale dignità delle diverse culture storicamente fondate su dati etnico-linguistici.
I n questa prospettiva vanno sottolineate le
difficoltà di risolvere il problema della coesistenza di gruppi diversi all'interno degli Stati
da parte di una Comunità internazionale che
continua, al giorno d'oggi, a organizzarsi in
base a un sistema con una pluralità di soggetti
indipendenti e sovrani.
La storia europea ha dimostrato l'impossibilità di raggiungere la piena coincidenza tra
Stato e Nazione, malgrado i tentativi fatti
per realizzare l'indipendenza belga e greca o
l'unità italiana e tedesca, fino alla dissoluzione degli imperi multinazionali austriaco, russo e turco, alla fine della prima guerra mondiale. Tali tentativi miravano alla creazione
di Stati fondati su base nazionale, fenomeno
che è sfociato nei ben noti nazionalismi nel
periodo compreso fra le due guerre mondiali.
Come conseguenza si è avuta la tendenza di
ciascuna nazione a ottenere l'unità politica
attraverso due vie. La prima con la modifica,
anche violenta, della situazione esistente,
esercitando una sorta di diritto d i secessione
e costituendo uno Stato indipendente. La seconda (senza modificare l'ordine esistente),
con risanamento di situazioni insoddisfacenti
grazie alla creazione e alla garanzia sul piano
internazionale d i regimi che offrano una tutela particolare alle minoranze rimaste all'interno di un determinato Stato, ma diverse per le loro caratteristiche etnico-linguistiche
- dalla maggioranza della sua popolazioni.
I n alcuni casi, anche attraverso la creazione
di legami omogenei con la popolazione che risiede in altri Stati.
A volte si parla di gruppi, sempre più numerosi, di immigrati come di una vera «minoranza». Più esattamente, i lavoratori immigrati non sono considerati come minoranze
nel vero senso della parola, poichè, tra l'altro,
essi sono titolari di una cittadinanza straniera. Ma l'ampiezza del fenomeno delle persone migranti (specialmente in Europa) non potrà essere trascurata più a lungo, anche nell'ottica d'uno statuto delle minoranze: esse
costituiscono in effetti vere comunità che
pongono seri problemi di dialogo, di confronto di usanze, di tradizioni, di culture e di religioni assai differenti rispetto a quelle delle
popolazioni autoctone, con tutte le conseguenze, spesso drammatiche, che sono davanti agli occhi del mondo intero.
MAGGIO 1992
6. La posta in gioco: vere e false soluzioni
Per rispondere a queste sfide dobbiamo allora tornare allo Stato-nazione? Non lo riteniamo opportuno.
L'esperienza storica indica che gli Stati
non sono necessariamente Stati-nazioni, realtà mono-nazionali: la definizione delle frontiere secondo i criteri e le linee etniche va
spesso incontro, in effetti, a gravi difficoltà e
provoca conflitti.
Esiste il diritto di identità etnico-nazionale, ma non quello di esclusivismo etniconazionale che sta alla radice di vari fenomeni
negativi, pericolosi e iritollerabili quali I'assimilazione forzata, lo sterminio delle popolazioni, l'imposizione violenta di scambi di popolazioni fra diversi paesi.
Vari Stati europei si sono costituiti in base
all'idea dominante nel diciannovesimo secolo
secondo cui ogni «nazione» - considerata
come realtà pre-giuridica, etnica, linguistica e
culturale - deve avere la possibilità di organizzarsi come uno Stato. Sono note nel mond o intero le nefaste conseguenze del principio
che attribuisce allo Stato il diritto e il dovere
di agire in nome degli interessi della «nazione», sia all'interno, sia in rapporto ad altre
nazioni o altri Stati, con qualsiasi mezzo,
compresa una politica d'espansione coloniale.
Ma lo stesso principio di nazionalità a cui
s'ispira questa azione dello Stato, non può
escludere l'aspirazione di altre collettività
«nazionali» esistenti all'interno dello stesso
Stato a diventare, a loro volta, veri Stati sovrani e indipendenti. Da qui sorgono i ben
noti conflitti. D'altronde, la realtà in Europa,
così come è stata provocata dai processi e dalle. tensioni del XIX secolo e della prima metà
di questo secolo, dimostra sufficientemente i
limiti e i rischi della risposta dello Statonazione ai problemi delle nazionalità. Vi sono
frontiere d i Stato che non rispettano quelle
dei gruppi nazionali, vi sono Stati in cui le zone di frontiera sono abitate da popolazioni
aventi diverse nazionalità, mescolate fra loro.
Ciò sfocia spesso in una contestazione a
volte anche violenta della dimensione dello
Stato e la necessità di superarla in due direzioni: verso il basso, attraverso un rafforzamento delle autonomie e dell'autogoverno a
livello regionale e locale; verso l'alto, mediante nuove formule di organizzazione politica
(che non si identifica più nella formula dello
Stato-nazione) con carattere federale, in grad o di favorire la coabitazione e la cooperazione pacifica fra realtà differenti che accettano
liberamente di vivere sotto la stessa Costituzione.
Lo Stato-nazione non elimina la tentazione
del separatismo. Al contrario, è molto probabile che i principi che esso rivendica («ogni
Stato è uno Stato nazionale», «a ciascuna Nazione, uno Stato», «ogni Stato-nazione ha la
propria sovranità») diventino la parola d'ordine di altri gruppi di popoli che contestano
lo stesso Stato-nazione e che esigono lo stesso
diritto di organizzarsi, a loro volta, come Stati sovrani. I1 rimedio è peggiore del male. Si
invoca spesso l'autodeterminazione dei popoli, ma a questo proposito è d'obbligo fare al-
cune precisazioni su questo così delicato argomento.
I1 diritto all'autodeterminazione o all'autodecisione non è un diritto assoluto: esso deve
tener conto, al contrario, di una realtà che
non può essere ignorata e d'una esigenza alla
quale non si può rinunciare. Nella realtà si assiste a una crescente interdipendenza, fra
paesi, popoli, economie, culture, che non tollera più situazioni chiuse ed impermeabili.
L'esigenza è la coesistenza degli uomini nella
pace che deve trasformarsi in collaborazione
e solidarietà.
Per raggiungere questo risultato sono necessarie almeno due condizioni: il rispetto dei
principi democratici (la libertà, il consenso, la
rappresentazione politica, la partecipazione,
ecc.) e il rispetto dei diritti fondamentali della persona e dei gruppi sociali.
E in questa direzione e non nella riaffermazione degli Stati-nazione che bisogna procedere per tentare di risolvere i problemi della valorizzazione dell'identità legittima delle
nazionalità, delle «piccole patrie», delle minoranze. I n questo contesto, una politica a
favore della tolleranza e del pluralismo non
può esser concepita soltanto come «il male
minore»; gli obiettivi da raggiungere sono
piuttosto la ricerca e l'istituzione di una società pluralista considerata come un vero «valore» e come una realtà da sviluppare, poichè
essa rappresenta la difesa della «persona».
7. Quale Europa vogliamo? Il ruolo delle
istituzioni europee e delle autonomie locali e
regionali
Convinti che il ritorno allo Stato-nazione
giacobino non sia una soluzione ai problemi
posti dal tema di questo rapporto, e che anzi
esso debba essere sottoposto a una verifica in
due direzioni - da una parte l'autonomia
delle autorità locali e regionali, e dall'altra la
partecipazione a una nuova organizzazione
istituzionale a livello sovranazionale - bisogna interrogarsi sul ruolo e sulla struttura d i
cui dovranno dotarsi i livelli istituzionali substatuali ed europei.
È evidente che le risposte relative alle minoranze, all'autonomia, all'autodeterminazione, alle etnie e alle identità nazionali saranno diverse a seconda dell'Europa che auspichiamo: un'Europa che non superi lo stadio di una Confederazione di Stati sovrani
(gli Stati tradizionali e quelli che potrebbero
nascere da un'applicazione automatica dell'auto-determinazione e del separatismo), oppure un'Europa capace di guardare più lontano e di cercare nuove formule di organizzazione politica, in cui la differenza delle identità non ostacoli una maggior solidarietà e un
processo unitario sostenuti da istituzioni comuni, basate sul principio di sussidiarietà.
Quest'ultima è la formula federalista.
E pur vero che questa formula è stata contestata in Jugoslavia e nell'URSS, ma tutti
sanno molto bene che il federalismo jugoslavo
e i1 federalismo sovietico non sono stati autentici federalismi. Per ragioni ideologiche o
per la volontà di una delle componenti di prevalere sulle altre, questa formula si è tradotCOMUNI D'EUROPA
ta, sfortunatamente, nei fatti, nel rifiuto di
alcuni diritti fondamentali dei popoli e delle
et!ie.
E dunque arrivato il momento di tentare di
approfondire la situazione e le formule esistenti e di discutere sulla questione di fondo:
come assicurare l'unità nella diversità, come
impedire il ritorno puro e semplice all'Europa
del 1919, come compiere passi avanti verso
una vera «Casa comune», senza naturalmente
minacciare ciò che costituisce l'embrione politico di una futura Europa integrata, vale a
dire la Comunità europea che rappresenta,
fin d'ora, pur in modo del tutto parziale e insufficiente, un elemento essenziale di riferimento e di attrazione per i paesi dell'Europa
centrale e orientale.
Uno dei punti decisivi da affrontare è quello di capire con quali mezzi e con quali iniziative le collettività locali e regionali possono
realmente favorire un processo che non si limiti ad associare singolarmente i diversi paesi
dell'Europa centrale e orientale alla Comunità europea, ma a creare una concezione nuova
dell'Europa nel suo complesso.
Si tratta di un processo che, mentre consente fasi transitorie ancora caratterizzate da
soluzioni «confederali» fra Stati sovrani, deve comunque avanzare verso formule nuove
di sovranazionalità democratica all'interno
della quale l'autonomia delle minoranze e
delle collettività territoriali di cui sono portavoci possano espandersi ulteriormente. In
sintesi, come rafforzare il pluralismo, aumentando allo stesso tempo la solidarietà, senza
distruggere la capacità e la possibilità di vivere insieme, pur avendo profonde differenze
culturali, linguistiche, religiose, politiche?
Come riuscire ad amare la propria patria
(grande o piccola), in un sistema istituzionale
che garantisca allo stesso tempo la pace sociale e il pluralismo?
Ritengo che l'autonomia locale (l), se realizzata bene, costituisca un mezzo per riconoscere l'identità delle minoranze senza per altro mettere in pericolo l'esistenza degli Stati.
E ciò può avvenire in due modi.
Innanzitutto creando, ogni qual volta sia
possibile, una collettività territoriale (regione
o comune) che presenti una coerenza etnica o
linguistica che consenta alla minoranza di autogestirsi e di sentirsi «autonoma» pur facendo parte dell'organizzazione dello Stato.
I1 secondo modo prevede la sua utilizzazione in tutti i casi, ma sopratutto laddove l'importanza numerica della minoranza o altre
realtà di fatto non consentono di far coincidere una circoscrizione amministrativa con il
territorio in cui è insediata la minoranza.
In questo caso spetta alle collettività locali
e regionali assumersi le loro responsabilità. In
che modo? Innanzitutto con una maggior
consapevolezza che lo Stato non è più il solo
soggetto politico a cui affidare la soluzione di
questi problemi. Essi riguardano la società e
non solo i governi: è il «corpo politico» (per
utilizzare una definizione di Jacques Maritain) che non s'identifica tout court, con I'ap(1) Il concetto di «autonomia locale» è utilizzato nel suo senso geografico più ampio comprendente il livello regionale e subregionale
COMUNI D'EUROPA
parato statale o governativo, e che deve cercare anche di rispondere alle sfide dei nazionalismi e dei diritti delle minoranze. E il
«corpo politico» comprende la complessa articolazione delle autonomie e delle istituzioni
territoriali che hanno, anzitutto, un compito
insostituibile sul piano politico-culturale.
Quello di informare, sensibilizzare, mobilitare l'opinione pubbica, le forze politiche, sociali, economiche e culturali verso un approccio corretto della «questione nazionale», tenendo conto dei principi e delle esigenze qui
sopra elencati: superare lo Stato-nazione, ricercare le vie della coesistenza fra il diritto
d'identità nazionale e la solidarietà fra i popoli, le loro interdipendenze e le loro aspirazioni alla pace.
Le assemblee comunali, regionali e le altre
collettività intermedie sono i luoghi (non
esclusivi, certamente, ma sicuramente privilegiati) dove i problemi delle minoranze, del
vivere insieme, malgrado le differenze, della
solidarietà e della mediazione fra diverse esigenze possono essere discussi nell'esercizio di
quel potere di rappresentanza dei cittadini
che spetta loro come risultato dell'elezione
democratica.
Queste assemblee, inoltre, sono gli organi
di verifica delle situazioni locali e svolgono il
ruolo di portavoci non solo presso le autorità
governative ma anche, grazie alla CPLRE e al
Consiglio Consultivo creato presso la Commissione della Comunità europea (o dagli altri organismi che il processo di unificazione
sarà in grado di creare a livello europeo),
presso le Istituzioni europee.
Vogliamo sperare che le considerazioni e le
proposte sopra citate possano provocare, in
seno alla CPLRE e sotto la pressione degli avvenimenti spesso drammatici, un dibattito
che sia d'altezza della sfida lanciata dall'evoluzione della situazione europea in un quadro
internazionale più pacifico e più giusto. D'altra parte va ricordato, che noi, europei occidentali, avremo il diritto di dare consigli e
suggerimenti credibili agli europei centrorientali soltanto quando potremo dimostrare
che siamo capaci, concretamente, di creare
una federazione autentica.
L'indebolimento e la depoliticizzazione
graduale delle frontiere come conseguenza
della perdita d'importanza dello Statonazione avente una sovranità assoluta, con* tribuiranno a ridurre l'impatto delle minoranze etniche; ciò .non significa che esse
scompariranno ma, certamente in un'Europa
unita, ci sono buone ragioni per affermare
che i problemi delle minoranze e delle nazionalità assumeranno caratteristiche nuove.
Bisogna aggiungere che l'incidenza totalizzante - in passato - delle etnie dovrebbe
ugualmente indebolirsi in seguito al progresso verso una molteplicità di appartenenze che
modifica la psicologia, i sentimenti e anche le
azioni del nuovo cittadino europeo che deve
imparare ad essere fedele a diversi padroni
contemporaneamente: tutto ciò dovrà favorire la coesistenza pacifica di gruppi sociali e
culturali diversi e a questo fine l'azione delle
autorità locali e regionali può, senza dubbio,
fornire un sostegno importante.
In conclusione, si propone che una confe-
renza su «federalismo, nazionalismo, autonomia locale e minoranze» sia organizzata dalla
CPLRE nel 1993, nel corso della quale si potrà studiare, fra l'altro, le esperienze realizzate in Europa in materia di autonomia locale
e di minoranze. In base alle conclusioni di tale conferenza, la CPLRE potrà allora formulare raccomandazioni al Comitato dei Ministri sul ruolo che l'autonomia locale può giocare per aiutare a risolvere il problema delle
minoranze.
ALLEGATO
Qualche riferimento all'azione delle istituzioni e delle organizzazioni europee e intemazionali nellambito della protezione delle minoranze e del rispetto delle identità nazionali.
Abbiamo già avuto l'occasione di citare le
dichiarazioni e le prese di posizione di organizzazioni internazionali e europee: i riferimenti volevano fornire esempi di alcuni nodi
della questione, oggetto del presente rapporto. Sarebbe senza dubbio molto interessante
e molto utile presentare un panorama esaustivo e più sistematico dell'azione svolta a livello internazionale ed europeo. In ogni modo,
il risultato sarebbe una dilatazione a dismisura del rapporto: anche l'aggiunta di numerosi
allegati non potrebbe risolvere correttamente
il problema.
Bisognerà quindi scegliere un approccio
molto sintetico che permetta ai membri della
CPLRE, se lo desiderano, di ricercare la documentazione utile.
I1 Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili
e politici (1966), all'Art. 27, prende in considerazione le minoranze etniche, religiose o
linguistiche, ma non specifica il contenuto
particolare dei loro diritti.
L'Atto finale di Helsinki (1975) e i documenti successivi fanno riferimento, al contrario, alle sole minoranze nazionali, ma non
danno una definizione del termine «minoranze». I1 Principio VI1 dell'Atto suddetto non
riconosce in ogni modo alcun diritto alle minoranze in quanto tali, ma si riferisce espressamente ai suoi membri.
I1 tema delle minoranze è ripreso nel terzo
«cesto» dell'Atto d'Helsinki, riguardante la
cooperazione nel settore umanitario e in altri
settori, dove non si parla nemmeno di diritti,
ma si riconosce soltanto il contributo che le
minoranze nazionali possono dare alla cooperazione fra gli Stati partecipanti.
La successiva riunione di Madrid (1983) si
è limitata a sottolineare - con molto ottimismo - il progresso costante nello sforzo di
garantire i diritti delle persone appartenenti
alle minoranze e di proteggere i loro interessi
legittimi.
Soltanto nel documento conclusivo della
riunione di Vienna (1989) si gettano le basi
per una regolamentazione più adeguata della
questione delle minoranze (paragrafo 19, l o
cesto). In esso si afferma, quale effettivo dovere degli Stati, il dovere di proteggere e
creare le condizioni per promuovere I'identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali nel loro territorio.
In ogni modo, è solo nel documento conMAGGIO 1992
clusivo della riunione di Copenaghen (1990)
della Conferenza suiia dimensione umana che
la CSCE riesce a stabilire un elenco di diritti.
I1 tema delle minoranze, successivamente,
è ripreso nella Carta di Parigi per una Nuova
Europa (1990) - nel testo e nell'Megato I11
- in cui si riafferma il nesso fra il trattamento riservato alle minoranze e le istituzioni democratiche (Stato di diritto), già messo in rilievo a Copenaghen.
Nella riunione di esperti sulle minoranze nazionali tenutasi a Ginevra nel mese di luglio
1991 è continuato lo studio del problema,
non solo dal punto di vista, storico e politico,
ma anche da quello economico.
Bisogna menzionare altresi la riunione di
Mosca della Conferenza sulla dimensione
umana (specialmente il paragrafo 37 del documento finale), tenutasi nell'autunno del
1991, mentre nel mese di marzo 1992 la questione sarà oggetto di una nuova riunione ad
Helsinki.
È importante sottolineare che tutti i documenti adottati nel quadro della CSCE e delle
diverse riunioni sopracitate non costituiscono «progetti di trattati»; non sono disposizioni giuridicamente obbligatorie, ma semplici
impegni politici di cui non si può tuttavia sottovalutare l'importanza.
Vi sono altri ambiti, oltre alla CSCE, in
cui si affrontano le sfide poste dalle minoranze e i loro diritti: il Consiglio d'Europa e il
Parlamento Europeo, quest'ultimo nel quadro della Comunità.
In seno al Consiglio d'Europa, il primo approccio a questo proposito risale all'inizio degli anni '60 quando - nel quadro della redazione di un secondo protocollo addizionale
alla Convenzione Europea dei Diritti Umani
e dopo aver esaminato il rapporto della sua
Commissione giuridica - l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha adottato,
il 28 aprile, la Raccommandazione 285 «relativa ai diritti delle minoranze nazionali».
Questo diritto, in ogni modo, non è mai stato
iscritto in alcun protocollo, essendo tutti i diritti individuali (vale a dire diritti in cui l'individuo è titolare) protetti dalla Convenzione
al Capitolo I e ai suoi Protocolli I, 4.7 e 7. 11
diritto proposto dall'Assemblea Parlamentare non è stato considerato come un diritto
umano, ma come un diritto della collettività.
Pertanto non è un diritto protetto dalla Convenzione.
I1 secondo approccio risale agli anni '70 e
agli inizi de11'81, quando varie istanze del
Consiglio d'Europa hanno affrontato la questione delle lingue parlate in Europa.
Dalla questione dei diritti delle minoranze
nazionali, siamo anche passati ai diritti delle
minoranze linguistiche. La riflessione su questo tema sfocierà nella Raccomandazione 828
(1981) dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, relativa ai problemi dell'istruzione e della cultura posti dalle lingue minoritarie e dai dialetti in Europa.
I1 Parlamento Europeo ha adottato, il 16
ottobre 1981, la risoluzione sulla Carta Comunitaria delle lingue e culture regionali e
sulla Carta dei diritti delle minoranze etniche, ma la Conferenza dei Poteri Locali e Regionali non è ancora riuscita a fare adottare
MAGGIO 1992
la sua Carta delle lingue regionali e minoritarie, ancora sottoposta all'analisi degli esperti
governativi.
Una nuova tappa è caratterizzata da una riflessione riguardante le questioni della regionalizzazione e della cooperazione transfrontaliera, ampiamente dibattute negli anni '70,
ma che si protrarranno fino a metà degli anni
80.
Come giustamente sottolineato dal Direttore del CIEMI, Antonio Perotti, questa riflessione è di fondamentale importanza per
l'evoluzione del dibattito che metterà in prospettiva la questione del risveglio delle nazionalità.
Se si privilegia il territorio, che è in genere
il supporto di base ai fattori linguistici ed etnici, la questione del risveglio delle nazionalità può essere posta in un quadro più razionale
e obiettivo. Tale questione sarà in effetti ancorata a fattori geografici, economici e sociali
e dunque a un problema comune alle popolazioni che risiedono sul territorio e che l'hanno plasmata culturalmente.
Alla luce di questa riflessione, un ruolo nevralgico è stato svolto dalla Conferenza dei
Poteri Locali e Regionali del Consiglio d'Europa. E' sopratutto nella Dichiarazione di
Bordeaux (1978), adottata a maggioranza
dalla Convenzione, che abbiamo trovato elementi chiave per la nostra questione, specialmente a causa dell'approccio sociologico che
coniuga l'aspetto economico con quello politico, sociale e culturale della nozione di regione, e mette in rilievo i rapporti esistenti tra
la politica di regionalizzazione e la politica da
adottare verso le nazionalità minoritarie in
seno allo Stato.
Dinnanzi a noi si crea tuttavia un nuovo
problema con la trasformazione di situazioni
che, se in passato potevano essere assimilate
a realtà «regionali» all'interno di uno stesso
Stato oggi costituiscono Stati indipendenti e
sovrani.
Un'altra questione è quella delle regioni
frontaliere e della cooperazione transfrontaliera.
E importante sottolineare, a questo proposito, le dichiarazioni finali dei due incontri
europei sulle regioni frontaliere (il primo tenutosi a Strasburgo, dal 29 giugno al 1 luglio
1972, e il secondo a Innsbruck dall'll al 13
settembre 1974) e della I11 Conferenza europea sulle regioni frontaliere organizzata con il
patrocinio dell'Assemblea Parlamentare del
Consiglio d'Europa e della Conferenza europea dei Poteri Locali e Regionali, con la partecipazione dei rappresentanti eletti delle regioni frontaliere. «Ieri cicatrici della storia, le
frontiere devono divenire il punto di incontro delle nazioni».
A partire dell'inizio degli anni 80, ricorda
ancora il Dr. Antonio Perotti, il Consiglio
d'Europa (in particolare il CCC, in collaborazione con varie altre istanze del Consiglio
d'Europa quali il Comitato Direttivo dei Diritti Umani e il Comitato Europeo delle Migrazioni) ha riflettuto sul nuovo pluriculturalismo introdotto in Europa dalla stabilizzazione di importanti comunità di origine straniera. Questo fenomeno ha introdotto in Europa, accanto al pluralismo etnico, linguistico
e culturale, risultato dal processo storico della
costituzione di Stati-Nazioni (pluralismo di
cui si è parlato nelle pagine precedenti e che
è caratterizzato dal suo radicamento storico
su un territorio preciso), un altro pluralismo
diffuso sull'«insieme del territorio nazionale,
concentrato nelle grandi zone urbane e industriali d'Europa, e caratterizzato dal suo statuto giuridico (statuto di straniero), sociale e
economico.
Sebbene comporti aspetti caratteristici
propri e non presenti le stesse rivendicazioni
- ciò che lo distingue dalla questione della
nazionalità - questo pluralismo ha imposto
allo Stato e alle istituzioni educative, in particolare, esigenze analoghe a quelle presentate
dalle minoranze nazionali: rispetto del diritto
alla differenza linguistica e culturale, rispetto
dei diritti umani, revisione dei contenuti dell'insegnamento (soprattutto dei testi di storia
e di geografia), verifica del sapere cognitivo
da trasmettere, delle capacità e degli atteggiamenti da sviluppare, dei valori da inculcare e
da imprimere nello spirito (tolleranza, dialogo), per l'istruzione del nuovo cittadino.
La cooperazione europea in materia di
istruzione e di cultura fra tutti gli Stati d'Europa è uno degli obiettivi principali del Consiglio d'Europa. Si può prevedere che la riflessione, già sviluppata in vari lavori del
CCC sull'istruzione in una società pluriculturale, sia necessariamente ripresa e confrontata di fronte al nuovo problema sollevato dal
risveglio della nazionalità nei paesi europei
recentemente entrati nel sistema politico della democrazia pluralista e dell'economia di
mercato.
Un ulteriore approccio contenuto nella riflessione del Consiglio d'Europa, che potrebbe costituire un punto di partenza per nuove
prospettive riguardanti la questione delle nazionalità, è quello approvato dalla VI Conferenza dei Ministri europei responsabili degli
Affari Culturali tenutasi a Palermo (Italia) i
giorni 25-26 aprile 1990, sul tema «La Società multiculturale: una sfida alle politiche culturali».
Ma le situazioni pluriculturali di una Società meritano in effetti un'analisi diversa a seconda se esse risultino dalla storia dei nazionalismi, dalla storia della colonizzazione, da
quella dell'immigrazione o da quella della
specificità culturale (popolazioni tzigane).
Malgrado tali situazioni pluriculturali comportino analogie formali, esse non sono vissute con gli stessi sentimenti collettivi, nè dalla
popolazione locale, nè da gruppi minoritari.
Da uno Stato all'altro, i progetti politici confrontati con i problemi d'integrazione di queste minoranze sono diversificati.
Bisogna aggiungere, sempre nell'ambito
del Consiglio d'Europa, l'azione della Commissione europea per la democrazia attraverio il
diritto, organo consultivo del Consiglio d'Europa composto da esperti dei diversi Stati
membri, che ha elaborato, su richiesta dell'Italja, dell'ungheria e della Jugoslavia, un
«progetto di convenzione europea per la protezione delle minoranze». Questo è stato
adottato dalla Commissione 1'8 febbraio
1991 e sottoposto al Comitato dei Ministri
.
COMUNI D'EUROPA
che non ha ancora, per ora, preso posizione
al riguardo.
Questo progetto merita di richiamare I'attenzione perchè esso tenta a sua volta di conciliare la protezione delle minoranze con la
preservazione dell'integrità territoriale, della
sovranità e dell'indipendenza politica degli
Stati e tenta ugualmente di instaurare un
meccanismo di garanzia dei diritti delle minoranze. Alla fine il progetto è giunto a un livello di protezione moderata. La ricerca di consenso in seno alla Commissione CE, I'urgenza della questione e la volontà di raggiungere
COMUNI D'EUROPA
una soluzione realistica spiegano di volta in
volta le esitazioni nel riconoscere i diritti
«collettivi» alle minoranze e il carattere poco
vincolante del sistema di garanzia del diritto.
I1 Parlamento Europeo ha, da parte sua,
adottato una serie di risoluzioni sul tema delle lingue, culture minoritarie e minoranze nazionali. Le disposizioni più significative sono
riprese nel rapporto Arfé (1981) e nel progetto di rapporto Stauffenberg (1982), con I'intenzione di elaborare in seguito una Carta
delle minoranze linguistiche, culturali ed et-
niche. La filosofia che sottintendono questi
testi è fondata sull'idea che l'unità dell'Europa dev'essere più che un'unità di mercato e
che essa è possibile soltanto nel rispetto del
pluralismo culturale esistente, fonte ed
espressione della sua ricchezza. Superando il
quadro della semplice costatazione, questi testi esprimono per l'avvenire una scelta d'ordine filosofico e politico, scelta che esige che
una regolamentazione giuridica adeguata sia
adottata per realizzare ciò che ancora oggi
non è che un ideale.
MAGGIO 1992
A.ICCRE
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI E DELLE REGIONI D'EUROPA
ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE, DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI
00187 ROMA
i
PIAZZA DI TREVI, 86
i
TELEFONO (06) 68.40.461 (5 LINEE) - FAX (06) 6793275
MAGGIO 1992
la «Carta» delle lingue minoritarie del Consiglio d'Europa '
Un lungo iter finalmente concluso
di Moreno Bucci *
Il lavoro del Comitato ad Hoc sulle lingue regionali o minoritarie è concluso: il 1 o aprile
scorso questo Comitato ha varato sia il testo definitivo della «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie~,sia il rapporto esplicativo
che l'accompagna.
Il nuovo testo aggiorna quello adottato dalla
Conferenza dei Poteri locali e regionali diEuropa (presso il Consiglio d'Europa)nel 1988, nella
risoluzione n. 192 (relatore Herbert Kohn).
La risoluzione della CPLRE ebbe un lungo
periodo di gestazione, essendo iniziati i lavori
nel 1983, ed avendo dovuto subire, a causa delle profonde riserve di alcuni grandi paesi, anche
il rinvio in aula nella sessione del 1987. I1 lavoro del Comitato ad Hoc, creato all'uopo, dal
Comitato dei Ministri, è durato dall'ottobre '89
fino al marzo del '92.
Già nel progetto della CPLRE la «Carta»
non trattava dei diritti politici delle minoranze
nazionali. Coscienti del fatto che trattare sic et
simpliiiter delle minoranze avrebbe reso vano
qualsiasi lavoro, l'ottica della CPLRE fu quella
di curare la preservazione di questo importante
elemento del patrimonio culturale europeo: il
suo oggetto fu perciò di natura essenzialmente
culturale e si incentrò sulla protezione delle lingue regionali o minoritarie, come elemento importante di quella «identità culturale europea*
che sempre più sarebbe poi stata oggetto di interesse per le sorti future dell'Europa.
Anche nella nuova versione questa impostazione è rimasta; anzi essa è stata accentuata attraverso l'epurazione dei termini più compromettenti presenti nella versione della CPLRE.
È rimasta anche la impostazione generale della Conferenza, anche se il Comitato ad Hoc ha
scelto la strada di una stnrttura della Carta più
flessibile di quella precedente.
Prendendo le mosse nel 1983 la Carta delle
lingue aveva come campo principale di azione i
paesi membri del Consiglio d'Europa: dopo la
sua adozione, nel 1988, in Europa e nel mondo
abbiamo assistito alla caduta del muro di Berlino ed alla fine del comunismo e delllURSS. In
questi anni, nel lavoro del Comitato ad Hoc,
non solo si è tenuto conto delk esigenze provenienti dall'Europa centro-orientale,ma addirittura i paesi ex-comunistisono entrati a far parte
del Consiglio d'Europa e così hanno anche partecipato alla fase finale del lavoro. Si è venuta
a creare un'aspettativa crescente da parte dei
paesi di nuova democrazia. E allora non era più
solo la vecchia Europa occidentale, ma anche la
nuova Europa centro-orientale che aveva bisogno di questa Carta: e non solamente per motivi
collegati alla salvaguardia delle lingue, cioè per
un motivo culturale, ma anche e forse principalmente perché dalle rovine del comunismo erano
sorte le più grandi aspettative di carattere nazionalistico, tutte comportanti grandi rischi - tra-
*Membro della Direzione nazionale dell'AZCCRE e
Vicepresidentedella Commissione Cultura Educazione e Media della CPLRE
MAGGIO 1992
Minoranze, diritti civili e fedeiatism~
La copertina di un inserto di «Comuni d'Europa» dedicato alle minoranze
dottisi in lotta sanguinosa in alcuni paesi - di
collusioni interetniche.
La possibilità di avere regole certe - almeno
nel campo della lingua - può dare ai paesi di
nuova democrazia il senso giusto di marcia nella
ricerca di nuovi modi di convivenza tra popoli
differenti da secoli stanziati negli stessi territori.
Da questo punto di vista è illuminante la dichiarazione congiunta presentata da Polonia,
Ungheria e Cecoslovacchia nell'ultima seduta
del Comitato ad Hoc nella quale ritengono che
la Carta sia un contributo molto importante per
il sistema di protezione delle minoranze, capace
di prevenire tensioni e conflitti. Egualmente esse
hanno chiesto che la Carta assuma il carattere
di convenzione del Consiglio d'Europa.
Su quest'ultimo punto si è svolta una battaglia serrata all'interno del Comitato ad Hoc.
Francia, Grecia e Cipro si sono dichiarati contra2 alla forma convenzionale mentre Germania, Svezia, Turchia e Regno Unito si sono astenuti: a favore della Convenzione si sono invece
dichiarati gli altri 15 membri del Consiglio
d'Europa.
Il Comitato dei Ministri dovrà decidere su
questo tema quando lo prenderà in esame in occasione del ~dossierminoranze*. La scelta di
una pura e semplice raccomandazione sarebbe
certamente troppo minimale perché la Carta
possa essere di valido ausilio a quellazione importante e risolutiva che il Consiglio d'Europa
vuol compiere in direzione del problema delle
minoranze, divenuto uno dei principali problem i da dirimere nella «grande Europa* che si è
ricostituita dopo la caduta del comunismo sovietico.
Il preambolo della Carta precisa che l'obiettivo principale di questo documento è d'ordine
culturale. Essa perciò non soltanto contiene una
clausola di non discriminazione,ma prevede anche misure spect$che per assicurare l'impiego
delle lingue regionali o minoritarie nell'insegnamento e nei mass media, oltre a permetterne l'uso nel sistema giudiziario, in campo amministrativo, nella vita economica e sociale e nelle
attività culturali.
La Carta non crea veri e propri diritti individuali o collettivi per i locutori di queste lingue,
anche se gli impegni presi dai diversi stati avranno un evidente effetto sulla situazione delle comunità interessate.
I problemi delk minoranze dovrebbero essere
più facilmente risolti con il ricorso alle previdenze offertedalla Carta. Lungi dal sostenere le
tendenze centrifughe il riconoscimento della lingua e tutte le serie di misure a favore del suo sviluppo possono permettere una migliore convivenza tra i varii gruppi etnici, nel paees ove vivono e, in generale, in Europa.
Infatti il rapporto tra lingua nazionale e lingua regionale o minoritaria è concepito in maniera non conflittuale. L'approccio interculturale e plurilinguistico risponde completamente
agli indirizzi da sempre sostenuti dal Consiglio
d'Europa ed al tentativo di far convivere, in una
migliore comprensione, le comunità che parlano
lingue differenti.
La Carta si limita a trattare le lingue regionali
o minoritarie «storicamente» presenti nel territorio europeo: sono perciò escluse le lingue parlate da quei gruppi creatisi in seguito all'immigrazione da 'altri continenti.
Di fronte alle grandi differenze che esistono
tra le lingue regionali o minoritarie la Carta ha
voluto non imporre distinztoni: ciascuna lingua
costituisce un caso a sé. E lasciato al singolo
Stato di decidere e di adattare gli impegni che
vorrà prendere alla situazione di ciascuna di
queste lingue. Nello stesso senso va la scelta che conferma l'indirizzo della CPLRE - di
non presentare nessuna lista di lingue regionali
o minoritarie, sia per impedire eventuali assenze, sia per lasciare agli Stati la più ampia libertà,
secondo le situazioni specifiche.
La struttura della Carta è duplice: da una parte essa stabilisce una serie di principi comuni
(parte II); dallaltra contiene una serie di disposizioni spec$iche che riguardano l'impiego delle
lingue regionali o minoritarie nei diversi aspetti
della vita economica e sociale (parte III). Gli
impegni, al riguardo, sono stati stabiliti secondo
il principio di un «minimo» di 35 capoversi
compresi nella parte III, di cui almeno 3 in ciascuno degli articoli 8 (Insegnamento)e 12 (Attività e attrezzature culturali) ed uno in ciascuno
degli articoli 9 (Giustizia), l O (Autorità amministrative e servizi pubblici), 11 (Mass Media) e
13 (Vita economica e sociale).
Tra le disposizioni di applicazione della Carta è stato confermato - anche se con un'impostazione meno costrittiva - il Comitato di
esperti incaricati di seguire l'applicazione della
Carta nei diversi Stati contraenti.
m
COMUNI D'EUROPA
Carta europea delle
regionali
rninoritarie
Testo adottato dal Comitato ad Hoc di esperti sulle Lingue Regionali o Minoritarie nella sua Riunione del 19-21 Febbraio 1992 e sottoposto al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (Comprendente successivi emendamenti redazionali introdotti dal Servizio Affari Giuridici del Consiglio d'Europa)
PREAMBOLO
Gli Stati membri del Consiglio d'Europa
firmatari della presente Carta,
Considerando che il fine del Consiglio
d'Europa è realizzare una unione più stretta
fra i suoi membri, specialmente al fine di salvaguardare e di promuovere gli ideali ed i
principi che sono il loro patrimonio comune;
Considerando che la protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell'Europa, certune delle quali, col passare del tempo, rischiano di scomparire, contribuisce a
mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale del17Europa;
Considerando che il diritto di praticare
una lingua regionale o minoritaria nella vita
privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile conformemente ai principi contenuti nell'dccordo internazionale ai diritti
civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per
la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle
Libertà fondamentali del Consiglio d'Europa;
Tenendo conto del lavoro realizzato nel
quadro della CSCE e in particolare dell'Atto
Finale di Helsinki del 1975 e del documento
della Riunione di Copenaghen del 1990;
Sottolineando il valore dell'interculturalismo e del plurilinguismo e considerando che
la protezione e l'incoraggiamento delle lingue
regionali o minoritarie non dovrebbe farsi a
detrimento delle lingue ufficiali e della necessità di apprenderle;
Coscienti del fatto che la protezione e la
promozione delle lingue regionali o minoritarie nei differenti paesi e regioni d'Europa
rappresenta un contributo importante alla costruzione di un'Europa fondata sui principi
della democrazia e della diversità culturale,
nel quadro della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale;
Tenuto conto delle condizioni specifiche e
delle tradizioni storiche proprie di ciascuna
regione dei paesi d'Europa;
convengono quanto segue:
PARTE I
Disposizioni Generali
Articolo 1
Definizioni
Ai sensi della presente Carta:
a) con l'espressione «lingue regionali o minoritarie», si intendono le lingue
i) praticate tradizionalmente in un
territorio di uno Stato da cittadini
di questo Stato che costituiscono un
gruppo numericamente inferiore al
resto deila popolazione dello Stato,
e,
ii) differenti dalia(e) lingua(e) ufficiale(i) di questo Stato;
essa non include i dialetti della(e) lingue o
le lingue dei migranti;
6) per «territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria è praticata», si intende
l'area geografica nella quale questa lingua è il
modo di espressione di un numero di persone
che giustifichi l'adozione delle differenti misure di protezione e di promozione previste
dalla presente Carta;
C) per «lingue sprovviste di territorio» si
intendono le lingue praticate dai cittadini
deilo Stato che sono differenti dalla(e) lingua(e) praticata(e) dal resto della popolazione
dello Stato ma che, benché tradizionalmente
praticate sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate ad un'area geografica
particolare.
che essa applicherà il paragrafo 1 del presente
articolo ad altre lingue regionali o minoritarie
o ad altre lingue ufficiali meno diffuse su tutto o parte del suo territorio.
3. Gli impegni previsti al paragrafo precedente saranno reputati parte integrante della
ratifica, dell'accettazione o dell'approvazione
ed avranno gli stessi effetti a partire dalla data della loro notifica.
Articolo 4
Statuti di protezione esistenti
1. Nessuna disposizione della presente
Carta può essere interpretata come limite o
deroga ai diritti garantiti dalla Convenzione
Europea dei diritti dell'uomo.
2. Le disposizioni della presente Carta
non pregiudicano le disposizioni più favorevoli che regolano la situazione delle lingue regionali o minoritarie o lo statuto giuridico
delle persone appartenenti alle minoranze e
che già esistono in una Parte o che sono previste da pertinenti accordi internazionali bilaterali o multilaterali.
Articolo 2
Impegni
Articolo 5
Obblighi esistenti
1. Ogni Parte si impegna ad applicare le
disposizioni deila parte I1 ali'insieme delle
lingue regionali o minoritarie praticate sul
suo territorio e rispondenti alle definizioni
deil'art. 1.
Niente nella presente Carta potrà essere
interpretato come diritto di intraprendere
qualsiasi attività o di compiere qualsiasi azione che contravvenga ai fini della Carta delle
Nazioni Unite o ad altri obblighi di diritto internazionale, ivi compreso il principio di sovranità e di integrità territoriale degli Stati.
2. Per ciò che concerne ogni lingua che
Essa avesse indicato al momento della ratifica, accettazione o approvazione, conformemente all'articolo 3, ogni Parte si impegna ad
applicare un minimo di trentacinque paragrafi o alinea scelti tra le disposizioni della Parte
111 della presente Carta, di cui almeno tre
scelti in ciascuno degli articoli 8 e 12 ed uno
in ciascuno degli articoli 9, 10, 11 e 13.
Articolo 3
Modalità
1. Ciascun Stato contraente deve specificare nel suo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, ogni lingua regionale o minoritaria o ogni lingua ufficiale meno
diffusa su tutto o su una parte del suo territorio, alla quale si applicano i paragrafi scelti
conform~menteal paragrafo 2 dell'articolo 2.
2. Ogni Parte può, in ogni ulteriore momento, notificare al Segretario Generale che
essa accetta le obbligazioni derivanti dalle disposizioni di ogni altro paragrafo della Carta
che non era stato specificato nel suo strumento di ratifica, accettazione o approvazione o
Articolo 6
Informazione
Le Parti si impegnano a vigilare affinché le
autorità, organizzazioni e persone interessate
siano informate dei diritti e dei. doveri stabiliti dalla presente Carta.
PARTE I1
Obiettivi e Principi persegniti conformemente al Paragrafo 1 dell'Articolo 2
Articolo 7
Obiettivi e Principi
1. In materia di lingue regionali o minoritarie, nei territori ove queste lingue sono praticate e secondo la situazione di ciascuna lingua, le Parti fondano la loro politica, la loro
legislazione e la loro pratica sugli obiettivi e
principi seguenti:
a) il riconoscimento delle lingue regionali
o minoritarie come espressione della ricchezza culturale;
MAGGIO 1992
6) il rispetto dell'area geografica di ogni
lingua regionale o minoritaria facendo in modo che le divisioni amministrative esistenti o
nuove non costituiscano un ostacolo alla promozione di questa lingua regionale o minoritaria;
C) la necessità di un'azione risoluta di
promozione delle lingue regionali o minoritarie allo scopo di salvaguardarle;
d) la facilitazione e/o l'incoraggiamento
dell'uso orale e scritto delle lingue regionali o
minoritarie nella vita pubblica e nella vita
privata;
e) il mantenimento e lo sviluppo di relazioni nei campi coperti dalla presente Carta
fra i gruppi che praticano una lingua regionale o minoritaria e altri gruppi dello stesso Stato che parlano una lingua praticata in forma
identica o vicina, così come lo stabilimento di
relazioni culturali con altri gruppi dello Stato
che praticano lingue differenti;
f) la messa a disposizione di forme e mezzi adeguati di insegnamento e di studio delle
lingue regionali o minoritarie in tutti gli stadi
appropriati;
g) la messa a disposizione di mezzi che
permettano ai non locutori di una lingua regionale o minoritaria, che abitano nell'area
ove questa lingua è praticata, di apprenderla,
se lo desiderano;
h) la promozione degli studi e delle ricerche sulle lingue regionali o minoritarie nelle
università o in stabilimenti equivalenti;
i) la promozione delle forme appropriate
di scambi transnazionali, nei campi coperti
dalla presente Carta, per le lingue regionali o
minoritarie praticate in una forma identica o
vicina in due o più Stati.
2. Le parti si impegnano ad eliminare, se
non l'hanno ancora fatto, ogni distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza ingiustificata avente per oggetto la pratica di una lingua regionde o minoritaria e avente lo scopo
di scoraggiarla o metterne in pericolo il mantenimento o lo sviluppo. L'adozione di misure speciali a favore delle lingue regionali o minoritarie destinate a promuovere l'eguaglianza tra i locutori di queste lingue e il resto della popolazione o tendenti a tener conto delle
loro situazioni particolari non è considerato
atto di discriminazione contro i locutori delle
lingue più diffuse.
gliare, le autorità su tutte le questioni concernenti le lingue regionali o minoritarie.
5. Le Parti si impegnano ad applicare mutatis mutandis - i principi enunciati nei
precedenti paragrafi da 1 a 4 alle lingue
sprovviste di territorio. Tuttavia, nel caso di
queste lingue, la natura e la portata delle misure da prendere per dare effetto alla presente Carta saranno determinate in modo flessibile, tenendo conto dei bisogni e dei voti e rispettando le tradizioni e le caratteristiche dei
gruppi che praticano le lingue in questione.
PARTE I11
Misure a favore dell'impegno delle
Lingue Regionali o Minoritarie nella vita pubblica da prendere in conformità
con gli impegni sottoscritti in virtù del
Paragrafo 2 dell'Articolo 2
Articolo 8
Insegnamento
1. In materia di insegnamento le Parti si
impegnano, per ciò che concerne il territorio
nel quale queste lingue sono praticate, secondo la situazione di ciascuna di queste lingue
e senza pregiudizio dell'insegnamento della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato, a:
a ) i) prevedere una istruzione prescolare
assicurata nelle lingue regionali o
minoritarie; o
ii) prevedere che una parte sostanziale
dell'istruzione prescolare sia assicurata nelle lingue regionali o minoritarie; o
iii) applicare una delle misure previste
sotto i punti i) e ii) di cui sopra almeno agli d i e v i le cui famiglie lo
desiderino ed il cui numero è reputato sufficiente; o
iv) se i poteri pubblici non hanno competenza diretta nel campo dell'istruzione prescolare, favorire e/o incoraggiare l'applicazione delle misure
previste dal punto i) al punto iii) di
cui sopra;
prevedere un insegnamento primario assicurato nelle lingue regionali
o minoritarie; o
ii) prevedere che una parte sostanziale
dell'in~e~namento
primario sia assicurato nelle lingue regionali o minoritarie; o
iii) prevedere, nel quadro dell'istruzione primaria, che l'insegnamento
delle lingue regionali o minoritarie
faccia parte integrante del curricolo; o
iv) applicare una delle misure previste
dal punto i) al punto iii) di cui sopra
almeno agli alunni le cui famiglie lo
desiderino ed il cui numero sia re,
putato sufficiente;
6 ) i)
3. Le Parti si impegnano a promuovere,
per mezzo di misure appropriate, la reciproca
comprensione tra tutti i gruppi linguistici del
paese, specialmente facendo in modo che il
rispetto, la comprensione e la tolleranza riguardo alle lingue regionali o minoritarie figurino fra gli obiettivi dell'istruzione e della
formazione dispensata nel paese, e ad incoraggiare i mezzi di comunicazione di massa a
perseguire lo stesso obiettivo.
4. Nel definire la propria politica verso le
lingue regionali o minoritarie le Parti si impegnano a prendere in considerazione i bisogni
ed i voti espressi dai gruppi che praticano
queste lingue. Esse sono incoraggiate a creare, se necessario, organi incaricati di consiMAGGIO 1992
C)
i) prevedere un insegnamento secondario che sia assicurato totalmente
nelle lingue regionali o minoritarie;
ii) prevedere che una parte sostanziale
dell'insegnamento secondario sia
assicurata nelle lingue regionali o
minoritarie; o
iii) prevedere, nel quadro hll'istruzione secondaria, l'insegnamento delle
lingue regionali o minoritarie come
parte integrante del curricolo; o
iv) applicare una delle misure previste
dal punto i) al punto iii) di cui sopra
almeno agli alunni che lo desiderino
- o all'occorrenza, le cui famiglie
lo desiderino - in numero reputato
sufficiente;
d ) i) prevedere un insegnamento tecnico
e professionale che sia assicurato
nelle lingue regionali o minoritarie;
O
ii) prevedere che una parte sostanziale
dell'in~e~namento
tecnico e professionale sia assicurata nelle lingue regionali o minoritarie; o
iii) prevedere, nel quadro dell'istruzione tecnica e professionale, l'insegnamento delle lingue regionali o
minoritarie come parte integrante
del curricolo; o
iv) applicare una delle misure previste
dal punto i) al punto iii) di cui sopra
almeno agli alunni che lo desiderino
- o d'occorrenza, le cui famiglie
lo desiderino - in numero reputato
sufficiente;
e ) i) prevedere un insegnamento universitario ed altre forme di insegnamento superiore nelle lingue regionali o minoritarie; o
ii) prevedere lo studio di queste lingue,
come discipline di insegnamento
universitario superiore; o
iii) se, a causa del ruolo dello Stato, riguardo agli stabilimenti di insegnamento superiore, i punti i) e ii) non
possono essere applicati, incoraggiare e/o autorizzare l'istituzione di un
insegnamento universitario o di altre forme di insegnamento superiore nelle lingue regionali o minoritarie, o di mezzi che permettano di
studiare queste lingue all'università
od in altri stabilimenti di insegnamento superiore;
f ) i) prendere disposizioni perché siano
svolti corsi di istruzione degli adulti
o di istruzione permanente assicurati principalmente o totalmente nelle
lingue regionali o minoritarie; o
ii) proporre queste lingue come discipline dell'istruzione degli adulti e
dell'istruzione permanente; o
iii) se i poteri pubblici non hanno competenza diretta nel campo dell'istruzione degli adulti, favorire e/o incoraggiare l'insegnamento di queste
lingue nel quadro dell'istruzione degli adulti e dell'istruzione permanente;
COMUNI D'EUROPA
g) prendere disposizioni per assicurare
l'insegnamento della storia e della cultura
delle quali la lingua regionale o minoritaria è
l'espressione;
h) assicurare la formazione iniziale e permanente degli insegnanti, necessaria alla messa in opera dei paragrafi da a) a g) accettati
dalla Parte;
i) creare uno o più organi di controllo incaricati di seguire le misure prese ed i progressi realizzati nell'istituzione o nello sviluppo dell'insegnamento delle lingue regionali o
rninoritarie e di redigere su questi punti rapporti periodici che saranno resi pubblici.
2. In materia di insegnamento e per ciò
che concerne altri territori da quelli sui quali
le lingue regionali o minoritarie sono tradizionalmente praticate, le Parti si impegnano
ad autorizzare, incoraggiare o istituire, se il
numero dei locutori di una lingua regionale o
minoritaria lo giustifica, un insegnamento
nella o della lingua regionale o minoritaria
agli stadi appropriati dell'insegnamento.
Articolo 9
Giustizia
1. Le parti si impegnano, per ciò che concerne le circoscrizioni delle autorità giudiziarie nelle quali risiede un numero di persone
che praticano le lingue regionali o minoritarie
che giustifichi le misure di cui sotto e secondo la situazione di ciascuna di queste lingue
e alla condizione che l'utilizzazione delle possibilità offerte dal presente paragrafo non sia
considerata dal giudice di ostacolo alla buona
amministrazione della giustizia:
a) nelle procedure penali:
i) a prevedere che le autorità giudiziarie, a domanda di una delle parti,
conducano la procedura nelle lingue
regionali o minoritarie; e/o
ii) a garantire d'accusato il diritto di
esprimersi nella sua lingua regionale
o minoritaria; e/o
iii) a prevedere che le richieste e le prove, scritte o orali, non siano considerate come irricevibili semplicemente perché sono presentate in
una lingua regionale o minoritaria;
40
iv) a stabilire, a domanda, in queste
lingue regionali o minoritarie, gli atti legati ad una procedura giudiziaria;
se necessario con il ricorso ad interpreti e
a traduzioni che non comportino spese addizionali per gli interessati;
6) nelle procedure civili:
i) a prevedere che le autorità giudiziarie, a doinanda di una delle parti,
conducano la procedura nelle lingue
regionali o minoritarie; e/o
ii) a permettere, quando una parte in
causa deve comparire di persona davanti a un tribunale, che essa si
esprima nella sua lingua regionale o
minoritaria senza perciò dover subire spese addizionali; e/o
iii) a permettere la produzione di documenti e prove nelle lingue regionali
o minoritarie,
se necessario facendo ricorso ad interpreti
ed a traduzioni;
C) nella procedura davanti alle giurisdizioni competenti in materia amministrativa:
i) a prevedere che le autorità giudiziarie, a domanda di una delle parti,
conducano la ~roceduranelle lingue
regionali o minoritarie; e/o
ii) a permettere, quando una parte in
causa deve comparire di persona davanti a un tribunale, che essa si
esprima nella sua lingua regionale o
minoritaria senza perciò dover subire spese addizionali; e/o
iii) a permettere la produzione di documenti e prove nelle lingue regionali
o minoritarie,
se necessario facendo ricorso a interpreti
ed a traduzioni;
d) a prendere misure affinché l'applicazione dei capoversi i) e iii) dei paragrafi b) e C)
di cui sopra e l'impiego eventuale di interpreti e di traduzioni non comportino spese addizionali per gli interessati.
2. Le Parti si impegnano:
a) a non rifiutare la validità degli atti giuridici compiuti nello Stato per il solo fatto
che essi sono redatti in una lingua regionale
o minoritaria; o
6) a non rifiutare la validità, tra le parti,
degli atti giuridici compiuti nello Stato per il
solo fatto che essi sono redatti in una lingua
regionale o minoritaria e a prevedere che essi
saranno opponibili ai terzi interessati non locutori di queste lingue alla condizione che il
contenuto dell'atto sia portato a loro conoscenza da parte di chi lo ha fatto valere;
C) a non rifiutare la validità, tra le parti,
degli atti giuridici compiuti nello Stato per il
solo fatto che essi sono redatti in una lingua
regionale o minoritaria.
3. Le Parti si impegnano a rendere accessibili, nelle lingue regionali o minoritarie, i più
importanti testi legislativi nazionali e quelli
che concernono particolarmente coloro che
utilizzano queste lingue, a meno che questi
testi non siano già disponibili altrimenti.
Articolo 10
Autorità amministrative e servizi pubblici
1. Nelle circoscrizioni delle autorità amministrative statali nelle quali abita un numero di locutori delle lingue regionali o minoritarie che giustifichi le misure seguenti e secondo la situazione di ogni lingua, le Parti si
impegnano, nella misura in cui ciò è ragionevolmente possibile, a:
a ) i) vegliare affinché le autorità amministrative utilizzino le lingue regionali o minoritarie; o
ii) vegliare affinché i loro agenti che
sono in contatto col pubblico impieghino le lingue regionali o minorita-
rie nelle loro relazioni con le persone che si rivolgono a loro in queste
lingue; o
iii) vegliare affinché i locutori delle lingue regionali o minoritarie possano
presentare domande orali o scritte e
ricevere una risposta in queste lingue; o
iv) vegliare affinché i locutori delle lingue regionali o minoritarie possano
presentare domande orali o scritte
in queste lingue; o
V) vegliare affinché i locutori delle lingue regionali o minoritarie possano
sottoporre validamente un documento redatto in queste lingue;
6) mettere a disposizione dei formulari e
testi amministrativi di uso corrente per la popolazione nelle lingue regionali o minoritarie
in versioni bilingue;
C) permettere alle autorità amministrative
di redarre documenti in una lingua regionale
o minoritaria.
2. Per ciò che concerne le autorità locali e
regionali nei territori delle quali risieda un
numero di locutori delle lingue regionali o minoritarie che giustifichi le misure di cui appresso, le Parti si impegnano a permettere e/o
incoraggiare:
a) l'impiego delle lingue regionali o minoritarie nel quadro dell'amministrazione regionale o locale;
6) la possibilità, per i locutori delle lingue
regionali o minoritarie, di presentare domande orali o scritte in queste lingue;
C) la pubblicazione, da parte delle collettività regionali, dei testi ufficiali da esse originati anche nelle lingue regionali o minoritarie;
d) la pubblicazione, da parte delle collettività locali, dei testi ufficiali da esse originati,
nelle lingue regionali o minoritarie;
e) l'impiego da parte delle collettività regionali delle lingue regionali o minoritarie nei
dibattiti delle loro assemblee, senza peraltro
escludere l'uso della(e) lingua(e) ufficiale(i)
dello Stato;
f) l'impiego da parte delle collettività locali delle lingue regionali o minoritarie nei dibattiti delle loro assemblee senza peraltro
escludere l'impiego della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato;
g) l'impiego o l'adozione, all'occorrenza
congiuntamente con la denominazione nella(e) lingua(e) ufficiale(i), delle forme tradizionali e corrette della toponimia nelle lingue
regionali o minoritarie.
3. Per ciò che concerne i servizi pubblici
forniti dalle autorità amministrative o da altre persone che agiscono per loro conto, le
Parti contraenti si impegnano, nei territori
ove le lingue regionali o minoritarie sono praticate, in funzione della situazione di ciascuna lingua e nella misura in cui ciò è ragionevolmente possibile, a:
a) vegliare affinché le lingue regionali o
MAGGIO 1992
minoritarie siano impiegate in occasione della
prestazione del servizio; o
6) permettere ai locutori delle lingue regionali o minoritarie di formulare una domanda e ricevere una risposta in queste lingue; o
C) permettere ai locutori delle lingue regionali o rninoritarie di formulare una domanda
in queste lingue.
4. Ai fini della messa in opera delle disposizioni dei paragrafi 1, 2 e 3 che esse hanno
accettato, le Parti si impegnano a prendere
una o più delle misure seguenti:
a) la traduzione o l'interpretazione eventualmente richieste;
6) il reclutamento e, se del caso, la formazione dei funzionari e degli altri agenti pubblici necessari;
C) la soddisfazione, nella misura del possibile, delle domande degli agenti pubblici che
conoscono una lingua regionale o minoritaria,
di essere dislocati nel territorio nel quale questa lingua è praticata.
5 . Le Parti si impegnano a permettere, a
domanda degli interessati, l'impiego o l'adozione dei patronimici nelle lingue regionali o
minoritarie.
Articolo 11
Mass Media
1. Le Parti si impegnano, per i locutori
delle lingue regionali o minoritarie, nei loro
territori ove queste lingue sono praticate, secondo la situazione di ciascuna lingua e nella
misura in cui le autorità pubbliche hanno, in
modo diretto o indiretto, una competenza,
poteri o un ruolo in questo campo, e nel rispetto dei principi di indipendenza e di autonomia dei media:
a) nella misura in cui la radio e la televisione hanno una missione di servizio pubblico:
i) ad assicurare la creazione di almeno
una stazione radio e di un canale televisivo nelle lingue regionali o minoritarie; o
ii) ad incoraggiare e/o facilitare la creazione di almeno una stazione radio
e di un canale televisivo nelle lingue
regionali o minoritarie; o
iii) a prendere disposizioni appropriate
affinché le stazioni emittenti programmino emissioni nelle lingue regionali o minoritarie;
6 ) i)
lingue regionali o rninoritarie, in
modo regolare;
6) a incoraggiare e/o facilitare la produzione e la diffusione di opere audio e audiovisive
nelle lingue regionali o minoritarie;
e ) i) a incoraggiare e/o facilitare alla
creazione e10 il mantenimento di almeno un organo di stampa nelle lingue regionali o minoritarie; o
ii) ad incoraggiare e/o facilitare la pubblicazione di articoli di stampa nelle
lingue regionali o minoritarie, in
modo regolare;
f) i)
a coprire il costo supplementare dei
mass media che utilizzano le lingue
regionali o minoritarie, allorché la
legge preveda un'assistenza finanziaria, in generale, per i mass
media;
ii) di estendere le esistenti misure di
assistenza finanziaria alle produzioni audiovisive nelle lingue regionali
o minoritarie;
g) a sostenere la formazione di giornalisti
e di altro personale per i mass media che utilizzano le lingue regionali o minoritarie.
2. Le Parti si impegnano a garantire la libertà di ricezione diretta delle emissioni radio-televisive dei paesi vicini in una lingua
praticata in forma identica o vicina a una lingua regionale o minoritaria, e a non opporsi
alla ritrasmissione di emissioni radiotelevisive dei paesi vicini in quella lingua. Esse si impegnano inoltre a vegliare affinchè
nessuna restrizione alla libertà di espressione
e alla libera circolazione dell'informazione in
una lingua praticata in forma identica o vicina a una lingua regionale o minoritaria, sia
imposta alla stampa. L'esercizio delle libertà
sopra menzionate che comportano doveri e
responsabilità può essere sottoposto a certe
formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni
previste dalla legge, che costituiscono misure
necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale e
alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine
e alla prevenzione del crimine, alla protezione della salute o della morale, alla protezione
della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l'autorità o l'imparzialità del potere giudiziario.
3. Le Parti si impegnano a vegliare affinché gli interessi dei locutori delle lingue regionali o minoritarie siano rappresentati o
presi in considerazione nel quadro delle strutture eventualmente create conformemente alla legge e che hanno il compito di garantire la
libertà e la pluralità dei mass media.
Articolo 12
Attività e attrezzature culturali
I. In materia di attrezzature e di attività
culturali - in particolare di biblioteche, videoteche, centri culturali, musei, archivi, accademie, teatri e cinema, così come di produzione letteraria e cinematografica, d'espressione culturale popolare, di festivals, d'industrie culturali, includendo specialmente I'utilizzazione delle nuove tecnologie - le Parti
si impegnano, per ciò che concerne il territorio ove queste lingue sono praticate e nella
misura in cui le autorità pubbliche hanno una
competenza, poteri o un ruolo in questo campo, a:
a) incoraggiare l'espressione e le iniziative proprie alle lingue regionali o minoritarie
e favorire i differenti modi di accesso alle
opere prodotte in queste lingue;
6) favorire i differenti modi di accesso in
altre lingue alle opere prodotte nelle lingue
regionali o rninoritarie aiutando e sviluppando le attività di traduzione, doppiaggio, postsincronizzazione o sottotitolatura;
C) favorire l'accesso nelle lingue regionali
o minoritarie ad opere prodotte in altre lingue aiutando e sviluppando le attività di tra-
Gemelle Terdobbiate e Saint Julien
ad incoraggiare e10 facilitare la creazione di almeno una stazione radio
nelle lingue regionali o mnoritarie;
O
ii) a incoraggiare e/o facilitare l'emissione di programmi radio nelle lingue regionali o minoritarie, in modo
regolare;
C)
a incoraggiare e/o facilitare la creazione di almeno un canale televisivo
nelle lingue regionali o minoritarie;
o
ii) a incoraggiare e/o facilitare la diffusione di programmi televisivi nelle
i)
MAGGIO 1992
La visita al Castello sforzesco di Vigevano, uno dei momenti della manifestazione per il gemellaggio tra la cittadina novarese e quella francese
duzione, doppiaggio, post-sincronizzazione e
sottotitolatura;
d) vegliare affinché gli organismi incaricati di intraprendere o di sostenere diverse
forme di attività culturali integrino in una
misura appropriata la conoscenza e la pratica
delle lingue e delle culture regionali e minoritarie nelle operazioni delle quali esse hanno
l'iniziativa o alle quali danno un sostegno;
e) favorire la messa a disposizione degli
organismi incaricati di intraprendere o di sostenere attività culturali, di personale che conosca la lingua regionale o minoritaria oltre a
quella(e) del resto della popolazione;
f) favorire la partecipazione diretta, per
ciò che concerne le attrezzature ed i programmi di attività culturali, di rappresentanti dei
locutori della lingua regionale o minoritaria;
g) incoraggiare e/o facilitare la creazione
di uno o più organismi incaricati di raccogliere, ricevere in deposito e di presentare al
pubblico le opere prodotte nelle lingue regionali o minoritarie;
h) all'occorrenza, creare o promuovere e
finanziare servizi di traduzione e di ricerca
terminologica in vista, specialmente, di mantenere e sviluppare in ciascuna lingua regionale o minoritaria una terminologia amministrativa, commerciale, economic,a, sociale,
tecnologica o giuridica adeguata.
2. Per ciò che concerne altri territori da
quelli nei quali le lingue regionali o minoritarie sono tradizionalmente praticate, le Parti
si impegnano ad autorizzare, incoraggiare e/o
prevedere, se il numero dei 1ocut.ori di una
lingua regionale o minoritaria lo giustifica, attività o attrezzature culturali appropriate
conformemente al paragrafo precedente.
3. Le Parti si impegnano, nella loro politica culturale d'estero, a dare un posto appropriato alle lingue regionali o minoritarie ed
alla cultura che ne è l'espressione.
Articolo 13
Vita economica e sociale
1. Per ciò che concerne le attività economiche e sociali, le Parti si impegnano, per
l'insieme del paese, a:
a) escludere d d a loro legislazione ogni
disposizione che interdisca o limiti senza giustificate ragioni il ricorso d e lingue regionali
o minoritarie negli atti della vita economica
o sociale e specialmente nei contratti di lavoro e nei documenti tecnici, come le prescrizioni d'impiego dei prodotti o di attrezzature;
6) interdire l'inserzione nei regolamenti
interni delle imprese e negli atti privati di
clausole che escludano o limitino l'uso delle
lingue regionali o minoritarie, quanto meno
tra locutori della medesima lingua;
C) opporsi d e pratiche che tendano a
scoraggiare l'uso delle lingue regionali o minoritarie nel quadro delle attività economiche o sociali; .
d) facilitare e/o incoraggiare con altri
mezzi oltre a quelli previsti ai punti prece-
denti l'uso delle lingue regionali o minoritarie.
2. In materia di attività economica e sociale, le Parti si impegnano, nella misura in cui
le autorità pubbliche ne hanno competenza,
nel territorio nel quale le lingue regionali o
minoritarie sono praticate e nella misura in
cui ciò è ragionevolmente possibile, a:
a) definire, con loro regolamentazione finanziaria e bancaria, le modalità che permettano, nelle condizioni compatibili con gli usi
commerciali, l'impiego delle lingue regionali
o minoritarie nella redazione di ordini di pagamento (assegni, cambiali, ecc.) o di altri documenti finanziari o, all'occorrenza, a vegliare d a messa in opera di questo processo;
6) nei settori economici e sociali che promanano direttamente dal loro controllo (settore pubblico), realizzare azioni che incoraggino l'impiego delle lingue regionali o minorit arie;
C) vegliare affinché le attrezzature sociali
come ospedali, case di riposo, pensionati, offrano la possibilità di ricevere o di curare nella loro lingua i locutori di una lingua regionale o minoritaria che necessitano di cure per
ragioni di salute, di età o per altre ragioni;
d) vegliare, secondo modalità appropriate, affinché le consegne di sicurezza siano
egualmente redatte nelle lingue regionali o
minoritarie;
e) rendere accessibili nelle lingue regionali o minoritarie le informazioni fornite dalle autorità competenti concernenti i diritti
dei consumatori.
Articolo 14
Scambi transfrontalieri
1. Le parti si impegnano:
a) ad applicare gli accordi bilaterali e
multilaterali esistenti che le legano agli Stati
ove la stessa lingua è praticata in modo identico o vicino, o a sforzarsi di concludere, se
necessario, in modo da favorire i contatti tra
locutori della stessa lingua negli Stati interessati, nei campi della cultura, dell'insegnamento, dell'informazione, della formazione
professionale e dell'istruzione permanente;
6) nell'interesse delle lingue regionali o
minoritarie, a facilitare e/o promuovere la
cooperazione attraverso le frontiere, specialmente tra collettività regionali o locali nel cui
territorio la stessa lingua è praticata in modo
identico o vicino.
PARTE IV
Applicazione della Carta
Articolo 15
Rapporti periodici
1. Le Parti presenteranno periodicamente
al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, in una forma che sarà definita dal Comitato dei Ministri, un rapporto sulla politica
seguita conformemente alla parte I1 della presente Carta e sulle misure prese in applicazione delle disposizioni della Parte I11 che esse
hanno accettato. I1 primo rapporto deve esse-
re presentato entro l'anno seguente l'entrata
in vigore della Carta nei confronti della Parte
in questione, gli altri rapporti ad intervalli di
tre anni dopo il primo rapporto.
2. Le Parti renderanno pubblici i loro
rapporti.
Articolo 16
Esame dei rapporti
1. I rapporti presentati al Segretario Generale del Consiglio d'Europa in applicazione
dell'articolo 15 saranno esaminati da un comitato di esperti costituito conformemente
dl'articolo 17.
2. Organismi e associazioni legalmente costituiti in una Parte potranno attirare l'attenzione del comitato di esperti su questioni relative agli impegni presi da questa Parte in
virtù della Parte I11 della presente Carta. Dopo aver consultato la Parte interessata, il comitato di esperti potrà tener conto di queste
informazioni nella preparazione del rapporto
previsto al paragrafo 3 del presente articolo.
Questi organismi o associazioni potranno
inoltre sottoporre dichiarazioni sulla politica
seguita da una Parte in conformità alla Parte
11.
3 . Sulla base dei rapporti previsti al paragrafo 1 e delle informazioni previste al paragrafo 2, il comitato di esperti preparerà un
rapporto all'attenzione del Comitato dei Ministri. Questo rapporto sarà accompagnato
dalle osservazioni che le Parti saranno invitate a formulare e potrà essere reso pubblico
dal Comitato dei Ministri.
4. I1 rapporto previsto al paragrafo 3 conterrà in particolare le proposte del comitato
di esperti al Comitato dei Ministri in vista
della preparazione, d'occorrenza di ogni raccomandazione di quest'ultimo ad una o più
parti.
5. I1 Segretario Generale del Consiglio
d'Europa terrà un rapporto biennale dettagliato all'Assemblea Parlamentare sull'applicazione della Carta.
Articolo 1 7
Comitato di esperti
1. I1 Comitato di esperti sarà composto di
un membro per ciascuna Parte, designato dal
Comitato dei Ministri su una lista di persone
della massima integrità, con una competenza
riconosciuta nelle materie trattate dalla Carta, che saranno proposte dalla Parte interessata.
2. I membri del Comitato saranno nominati per un periodo di sei anni ed il loro mandato è rinnovabile. Se un membro non può
terminare il suo mandato sarà rimpiazzato
conformemente alla procedura prevista al paragrafo 1 ed il membro nominato in sostituzione resterà in carica fino al termine del
mandato del suo predecessore.
3. I1 Comitato di esperti adotterà il suo regolamento interno. La sua segreteria sarà assicurata dal Segretario Generale del Consiglio d'Europa.
(segue in ultima)
MAGGIO 1992
le minoranze intelligenti
Le confessioni di un federalista inglese
di Nicholas Bethell
Sono un federalista europeo. O almeno penso
di esserlo. Qualche giorno fa, come gli altri
32 membri conservatori del Parlamento Europeo, seguendo il suggerimento dato dalla
Thatcher nel 1989, che fu successivamente
confermato da Major, ho firmato una lettera
di richiesta di iscrizione al Partito Democratico Cristiano, all'interno del Parlamento
Europeo.
Oggi avverrà il nostro primo incontro in
un gruppo unico. Siamo a Granada in Spagna
per discutere i risultati dell'accordo di Maastricht.
(. ..)
I1 problema è che questo gruppo politico in
cui siamo entrati, il Partito del Popolo Euro-
Pubblichiamo qui sopra ampi estratti di un articolo di Lord Nicholas Bethell, ospitato dal
"Daily Telegraph" del 27 aprile 1992. Non ci
interessa, in questa sede, il problema - che ha
avuto reazioni contrastanti - relativo alla compatibilità o meno della partecipazione, sia pure
a titolo individuale, di euro-parlamentarigià appartenenti al Gruppo democratico europeo (in
massima parte conservatori britannici), al Gruppo del PPE @C) del Parlamento europeo. In altra occasione, chi vorrà farlo, potrà approfondire e confrontare i contenuti delle rispettive ispirazioni ideologiche e filosofie politiche: qui ci
occupiamo di quanto Lord Bethell sc.rive in merito alla sua esplicita scelta di un certo tipo di
Europa, quella federale: scelta che non cowisponde certo alle posizioni ufficiali del governo
conservatore britannico che anche nel recente
Consiglio europeo di Maastricht ha manifestato
il suo rifiuto di ogni rgerimento al federalismo
come criterio cui attenersi nella costruzione delL'Unione europea.
L'articolo che pubblichiamo ci sembra interessante proprio perché esso, sia pure in forma
molto sintetica, coglie l'essenziale della impostazione federalista nella battaglia europea, contestando i facili "slogansJ'diffusi dal partito cui
appartiene (oltre che presente in larga parte dell'opinione pubblica britannica) che dà del federalismo, e quindi di una Europa unificata in
senso federale, una intevpretazione inesatta, distorta e quindi facile bersaglio di critiche prive
di fondamento.
Non sappiamo quanto condivisesiano dagli
euro-parlamentari britannici, conservatori e
non, le convinzioni espresse da Lord Bethell: ci
auguriamo che qualcosa si stia muovendo nella
aprioristica resistenza alla concezione dell'Europa federale, riallacciandosi a quel periodo deL
la storia britannica, soprattutto degli anni '30 e
40, in cui in Gran Bretagna era attiva una corrente di pensiero politico che si richiamava appunto ai principi e all'esigenza di un federalismo come futuro assetto di una Europa finalmente unita.
La storia del federalismo inglese nel periodo
MAGGIO 1992
peo (PPE) ha adottato un manifesto che auspica "un'unione europea che sia anche
unlEuropa federale". Questo è ciò che abbiamo accettato, altrimenti non ci avrebbero
permesso di entrare nel partito.
Di fatto, il consenso nei nostri riguardi all'interno della votazione si è dimostrato più
scarso di quanto ci saremmo aspettati, con 72
membri del Parlamento Europeo a nostro favore e 36 contro. I paesi che si sono schierati
contro di noi come i1 Belgio, l'Olanda, l'Italia
e l'Irlanda ci reputano nazionalisti e britannici di estrema destra, cattivi collaboratori che
credono che occuparsi dell'Europa significhi
esclusivamente difender gli interessi dello
Stato britannico, come ha detto David Mel-
tra le due guerre, e in particolare durante il conflitto, non è ancora molto conosciuta. Esso aveva dato l'esempio, di grande valore culturale ma
anche organizzativo, della "Federal Union",
sviluppatasi sulla scia di tre dei principali scrittori di federalismo, Philip Kew - meglio conosciuto come Lord Lothian -, Lionel Curtis che invano si era battuto per la trasformazione
del Commonwealth britannico in una federazione T e l'economista Lionel Robbins. Possiamo qui ricordare il più tenace e conseguente
sostenitore britannico (anche se di origine australiana) delle tesi federaliste in questo periodo,
R. W. G. Mackay, che lo restò anche dopo la
guerra quando, divenuto deputato laburista, si
trovò a militare in un partito che mostrò un'ostilità profonda ad ogni idea anche vaga di limitazione delle sovranità nazionali: rimandiamo
alle molte altre sue pubblicazioni della fine degli anni quaranta e dell'inizio degli anni cinquanta, che a lui si devono, e alla sua attività
in seno allJAssembleaConsultiva del Consiglio
d'Europa, per la realizzazione - secondo una
fomzula da lui escogitata - di un'autorità europea "con competenze limitate, ma poteri reali".
Il Mackay dunque, in un volume apparso nel
1940 col titolo Federal Europe, e ristampato,
nel 1941, col titolo Peace Aims and the New
Order, volume che si concludeva con un organico progetto di costituzionefederale, sulla scorta anche di alcune tesi sostenute da Clarence
Streit, in particolare in ordine all'impotenza
congenita della Società delle Nazioni, svolse,
nel suo Union Now, che cosi larga e meritata
eco ebbe nel mondo anglosassone, come fra i federalisti italiani, sia una critica severa di qualsiasi ordine europeo postbellico che non fosse
basato su una genuina struttura federale, sia una
dimostrazione altrettanto efficace che la Gran
Bretagna apparteneva, e avrebbe dovuto sempre
più appartenere, a tale ordine, entro il quale,
egli affermava, doveva svolgere pienamente la
sua funzione, vedendo ormai nell'Europa unita,
e nella propria impegnata appartenenza ad essa,
le sole positive prospettive del suo avvenire.
g. m.
lor durante la sua campagna elettorale.
Questa è la schizofrenia insita nella situazione: da un lato ci si aspetta di essere tutti
dr. Jekyll, fedeli sostenitori degli interessi
britannici, pronti ad andare a picco a bordo
della nave piuttosto che comprometterci, e
dall'altro, di essere tutti mr. Hyde, pronti a
portare avanti trattative con gli altri membri
della Comunità e, se convinti che corrisponda agli interessi della Gran Bretagna, essere
disposti ad accettare esiti anche inferiori a
quelli che ci spetterebbero. Noi proviamo ad
essere entrambi, ma non è facile. Specialmente quando ci troviamo di fronte all'assai temuta lettera "F".
(...l
Ho sentito Major il 5 aprile a Wembley accusare il Partito Liberale e auello Laburista
di federalismo definendolo "una minaccia alla nostra Costituzione". In seguito, proprio
alla vigilia delle elezioni, lo stesso giorno che
sono entrato a fare parte del PPE, ha aggiunto: "Non potrei mai accettare un'Europa fe-
derale". Mi sono adoperato affinché vincesse
ed ho applaudito di tutto cuore per la sua vittoria elettorale. Ed ora sono qui a Granada,
di nuovo nelle vesti di mr. Hyde, il federalista dichiarato, un "federasta" come amano
chiamarci i giornalisti di destra. Ed è per la
Thatcher e Major che sono qui. E' stato su loro suggerimento che sono entrato a far parte
di questa organizzazione federalista. Non c'è
da meravigliarsi se ci sentiamo confusi, essendo costretti a cavalcare pericolosamente in
piedi sul dorso di due cavalli lanciati al
galoppo.
Esiste tuttavia una spiegazione. Poche persone hanno letto il manifesto del PPE pubblicato a Dublino nel dicembre 1990. Ma chiunque legga anche solo il primo capitolo potrà
COMUNI D'EUROPA
rendersi conto che il "federalismo" dei tedeschi e degli italiani è definito con estrema cura. Colui che scrisse il discorso per il Primo
Ministro a Wembley fece apparire il termine
"federalismo" quale sinonimo di "centralismo". Questa, forse, è l'accezione comune
della parola in Gran Bretagna, ma quella nel
resto dell'Europa è alquanto diversa.
Per i Democratici Cristiani, federalismo significa un'unione europea fondata sul principio di sussidiarietà con i dovuti riguardi nei
confronti dell'autonomia locale.
Successivamente il documento spiega questo principio:
"L'Unione europea avrà potere solo in
quelle situazioni dove possa agire con maggiore efficienza che non gli Stati stessi membri della Comunità, qualora agissero indipendentemente l'uno dall'altro: specialmente in
quelle circostanze in cui gli effetti delle azioni intraprese travalicano le frontiere nazionali".
Federalismo quindi significa in questo caso
l'opposto di centralismo. Significa potere decisionale ridotto ad un livello minimo di autorità.
La definizione data nell'accordo di Maastricht è ancora più ristretta, avendo i Dodici
Stati dichiarato che le istituzioni della CE
avranno potere decisionale solo qualora i Governi nazionali non possano agire con altrettanta efficacia.
A questo punto, la situazione non si presenta del tutto negativa. Concordo sul fatto
che i1 Parlamento europeo è un luogo più
adatto che non la Camera dei Comuni ad affrontare, ad esempio, il problema della pioggia acida in Europa, la conservazione delle
giacenze di pesce o i regolamenti commerciali
con gli Stati Uniti.
Se questo mi rende un federalista, allora
certo lo sono. Non sono però d'accordo nel
considerare il Parlamento europeo come il
luogo migliore per deliberare leggi sulla costruzione della circonvallazione di Winchester. Se la Commissione a Bruxelles volesse
avere tali poteri, allora sarebbe opportuno
sottrarglieli e ricondurli alle autorità nazionali o locali.
Sono un federalista anche su richiesta di
Major e nonostante il suo punto di vista che
considera il federalismo come una minaccia
alla nostra "indipendenza nazionale, per la
quale i'nostri antenati hanno combattuto e
sono caduti".
Spero che Major mi solleverà da questa
schizofrenia accettando di riconciliare pacificamente questi due grandi ideali.
¤
peo in quanto democraticamente eletto dai
cittadini europei.
Si tratta di applicare concretamente, il più
presto possibile, la politica estera e di sicurezza comune sulla base del nuovo Trattato.
Dobbiamo fornire la prova che la futura
Unione europea ha rafforzato la sua capacità
d'azione, verso l'interno come verso l'estero.
La politica estera concordata dai Dodici deve
diventare una vera politica comune dell'Unione europea.
La futura Unione europea dovrà essere federale. Dovrà rispettare l'identità degli Stati
membri e dei loro popoli e dovrà essere, prima di tutto, vicina ai cittadini. La consacrazione del principio di sussidiarietà grazie al
Trattato di Maastricht costituisce una decisione in questo senso.
Roland Dumas, il Ministro degli affari
esteri polacco Kraysztov Skubiszewski e io
stesso abbiamo proclamato, il 24 aprile 1992,
nella dichiarazione di Bergerac il nostro co-
il testamento dell'ex ministro degli esteri tedesco?
Vocazione federale dell'Europa
di Hans-Dietrich Genscher
Pubblichiamo, dopo la voce minoritaria di
Lord Bethell, un articolo dell'ex ministro.
degli esteri tedesco, apparso su «Le Mode»
del 15 maggio 1992
Duecento anni dopo la Rivoluzione francese,
la storia europea dà ragione, ancora una volta, a Victor Hugo.
Scegliendo di proseguire verso l'Unione
europea, la Comunità europea riunita a Maastricht ha indicato ai popoli d'Europa la via
da seguire, la via verso un avvenire federale
europeo.
Le attese e le speranze di tutti i popoli europei si indirizzano verso la Comunità europea. E la stessa potrà rispondere alle attese
solo se il Trattato sull'unione europea diverrà realtà.
Per l'Europa non cogliere ora questa opportunità significherebbe sprecare una buona
occasione. In effetti la storia non ripropone
le sue offerte. La Francia e la Germania sono
sempre state il centro propulsore della costruzione europea. Cerchiamo di non abbandonare questo cammino europeo. Rifiutare il progresso europeo potrebbe significare un ritorno al nazionalismo.
Io mi rallegro per la viva discussione che è
scaturita sul Trattato sdl'unione europea
nell'opinione pubblica e nell'ambito dei no-
stri Parlamenti. E ciò perché il Trattato di
Maastricht è una posta in gioco enorme per
l'avvenire dell'Europa e in particolare per la
comunità franco-tedesca, in favore della quale degli uomini politici lungimiranti si sono
battuti nei nostri due paesi da quaranta anni.
Se il Trattato di Maastricht merita di essere discusso apertamente, non dovremmo lasciarci scoraggiare dagli animi scettici né in
Francia, né in Germania.
L'Unione economica e monetaria è la conseguenza economica logica del completamento del mercato interno.
Occorre far presente ai critici il fatto che
la moneta europea comune non causerà una
perdita, ma un aumento della stabilità monetaria nel nostro nuovo mercato interno
comune.
La volontà di sottomettere la Comunità al
controllo democratico è un altro elemento
importante per l'adesione al pensiero
europeo.
In effetti Maastricht ha permesso di realizzare dei grandi progressi, sia introducendo un
processo di codecisione in materia legislativa
sia migliorando il controllo democratico della
Commissione per mezzo del Parlamento europeo. Ma ciò non basta.
Più rinforziamo l'integrazione europea,
più cresce l'importanza del Parlamento euro-
mune attaccamento all'idea europea: "Le decisioni di Maastricht riguardo l'Unione europea e l'insieme delle misure previste per l'ampliamento della Comunità europea rivestono
in quest'ottica un'importanza capitale. La loro attuazione è il compito prioritario per i governi dei Dodici. È una condizione essenziale
per l'ampliamento della Comunità".
La Comunità potrà assumere pienamente
le sue responsabilità, verso l'interno cosl come verso l'estero, solo se proseguirà nella via
dell'approfondimento e si metterà a disposizione i mezzi per assicurarsi l'avvenire nella
prospettiva del suo prossimo ampliamento. I1
Trattato di Maastricht ha creato l'Unione europea, ma questa non è stata ancora completata. Altri passi devono essere fatti sempre
con l'obiettivo di una Costituzione europea
democratica con vocazione federale.
La Legge fondamentale ha dato al popolo
tedesco la missione di servire la pace in
un'Europa unita. Noi tedeschi vogliamo opporre al ritorno del nazionalismo un'azione
ed un pensiero europei, noi puntiamo sulla
solidarietà e la fraternità per vincere ogni
nuovo egoismo nazionale.
MAGGIO 1992
INTERVENTI
Sfederalismo e Mezzogiorno
L'editoriale di Serafini del numero di aprile
di "Comuni d'Europa" ("Lo sfederalismo")
è molto interessante sul piano culturale ed efficace sul piano politico, soprattutto per l'attacco polemico alle posizioni del prof. Miglio
e della Lega Lombarda sulla questione del regionalismo e federalismo.
Se devo muovere un rilievo all'articolo di
Serafini è alla parte finale. Non perché non
ne condivida la sostanza delle cose dette. ma
perché poteva essere ancora più deciso e pesante nel considerare i vantaggi del sistema
economico e finanziario del Nord r i s ~ e t t oad
una parte (Centro-Sud) del Paese meno sviluppata e, se non in parte arretrata, comunque subalterna.
Direi di più. Senza riprendere tutti i termini storici della "questione meridionale", ancora oggi tale rapporto rimane qualitativamente del tipo di quello stabilito con l'Unità
d'Italia. Non a caso il primo re d'Italia portava il nome del Regno di Sardegna (Vittorio
Emanuele 11)e non pochi nomi di famiglie industriali del Nord, o divenute industriali nell'Italia unita, furono protagonisti della spedizione dei Mille.
Ma veniamo alla storia più recente. Lo
stesso intervento pubblico nel Mezzogiorno a
favore dell'industrializzazione (soprattutto
attraverso la grande industria chimica, siderurgica, meccanica, ecc.) è stato a vantaggio
delle imprese del Nord (basti ricordare la Sir,
la Montedison, la Fiat) distruggendo l'intero
tessuto connettivo economico e sociale - inizialmente forte e diffuso anche nel Mezzogiorno - dell'artigianato e delle piccole e medie imprese, creando al Sud un mercato interno subalterno al Nord e provocando un processo di "desertificazione" del Mezzogiorno.
Non vennero affatto costruite le cattedrali
nel deserto, come si è sempre detto: con le
"cattedrali" si desertificò il Mezzogiorno distruggendo appunto il tessuto connettivo economico e sociale della società meridionale.
Molti furono i "meridionali" che si opposero a tale politica e anticiparono quelle che
sarebbero state le conseguenze negative e le
sia esterno di rapporti con la società e con le
sue pluralistiche articolazioni. I1 Parlamento
appare stupito, stordito ed immobilizzato, insciagure (Manlio Rossi Doria, Giorgio Amencapace comunque di esprimere un Governo
dola, Francesco De Martino, Francesco Comsia di radicale trasformazione sia di im~ossipagna, ecc.). Pochi, invece, pochissimi furobile e sorpassata mediazione. Le Istituzioni a
no i politici e gli industriali del Nord che si
tutti i livelli, occupate e gestite da Partiti imopposero agli indirizzi che poi prevalsero nelpazziti in una impazzita orgia del potere, venla politica governativa per il Mezzogiorno
gono sempre più avvertite lontane, strumencon tutti i guasti economici, politici e morali
talizzate ed in genere inefficaci.
che essa ha comportato.
Eppure non ci si può rassegnare all'inerzia
I massicci trasferimenti finanziari ~ubblici
ed all'impotenza, pena il suicidio dell'Italia
al Mezzogiorno è noto che sono serviti a creainsieme al naufragio delllEuropa. Ci si deve
re un sistema di consenso politico per i partiti
ribellare. e la ribellione non DUÒ non avvenire
che hanno amministrato nelle regioni e nelle
che chiamando a raccolta tutte le forze e tutcittà del Sud. Ma hanno anche determinato.
te le energie che nei Partiti e nella società non
ed alimentano, un livello dei consumi molto
accettano più nessuna forma di conformismo.
alto, funzionale in gran parte al sistema proLa protesta prepotente e rozza dell'antica e
duttivo del Nord.
della nuova destra degli
- interessi costituiti è
Le spese per i consumi e lo stesso risparmio
vana e controproducente. Solo una nuova
familiare (si sa che nelle zone meno s v i l u ~ ~ a - trasversalità politica e sociale, che si liberi fite si risparmia di più) tornano a beneficio del
nalmente dall'immobilismo degli apparati e
sistema economico del Nord.
delle nomenclature, che si impegni al di là di
La nuova denuncia di tali guasti, che sale
tutti i conformismi, che netti l'anima morale
da una parte rilevante di opinione pubblica
al di là di ogni steccato di potere, può raccodel Nord, coglie nel segno, ma dovrebbe
gliere e portare avanti la bandiera degli Stati
prendere coscienza ed essere consapevole
Uniti d'Europa.
che, se il resto del Paese ha pagato un prezzo
Anche qui è l'ora della verità: il sole di ieri
molto alto. il ~ezzopiorno-insenso territonon scalda più.
riale è stata la vittima diretta. Prezzo che
Natalino Guerra
stiamo ancora pagando anche per le consePresidente Federazione
guenze che si sono avute nel sistema
AICCRE dell'Emilii Romagna
economico-industriale e finanziario. rimasto
arretrato rispetto alle economie degli altri
Paesi industrializzati, perché favorito e protetto dall'intervento pubblico.
Sul dissesto finanziario dello Stato italiano
Il Conte luna - "Se un vi1 non sei,
l'inadeguatezza del sistema finanziariodiscopriti!" (Salvatore Cammarano,
industriale del Nord non grava meno dell'arlibretto del Trovatore, atto I)
retratezza economica e del sistema clienterale
Caro Direttore,
del Sud, facendo oggi del "sistema Italia" un
in genere non ritengo che valga la pena popunto debole e preoccupante dell'Europa colemizzare
con chi non vuole o non DUÒ difenniunitaria. E' da qui che dobbiamo partire
dere
le
sue
affermazioni a viso aperto. Ma
per portare l'Italia nell'unione europea e
questa
volta
l'argomento
è troppo importante
consentirle di poter avvantaggiarsi di una
- e il mio dissenso troppo profondo - per
nuova fase politica, istituzionale e democratinon far un'eccezione.
ca che speriamo si apra con i nuovi Trattati
Rare volte, infatti, anzi nessuna mi è capidi Maastricht e con ciò che si dovrà fare, antato
di leggere un articolo, come quello di
dando oltre essi, per colmarne i limiti da mol"Gianni
Schicchi" (nel numero di gennaio di
ti denunciati.
Fabio Pellegrini
"Comuni d'Euro~a") che abbia suscitato in
me un dissenso cosl radicale.
Ciò che i federalisti devono sostenere, a
proposito di quanto avviene nella ex Iugoslavia, è che occorre un potere politico europeo
dei poteri, principio di sussidiarietà. Non più
per metter in opera un'attività politica in tutrinviabile infine è l'adozione di una linea coto il mondo dell'Europa centrale e orientale
mune per affrontare, all'interno dei singoli
(e non solo nell'Europa balcanica), volta a
Stati, le scottanti problematiche sia delle diproporre e realizzare la Paneuropa federata
verse minoranze e delle molteplici nazionalità
come strumento per imporre una soluzione
sia del rapporto con le sempre più ampie impacifica e democratica - ma cogente - dei
migrazioni extracomunitarie.
conflitti etnici, sotto I'egida della legge e delDi fronte a tali immani ed urgenti scadenle ~rocedurefederali.
ze, gli «europeisti» del nostro Paese verso
L'argomento - senza dubbio vero - che
quali «interlocutori» possono e debbono oggi
i torti non sono da una sola parte è infatti sorivolgersi? A quali porte bussare? A quali
lo un pretesto, e particolarmente odioso, se
orizzonti debbono aprirsi?
vuol dimostrare, contro l'evidenza, che tali
I1 quadro arcaico degli «interlocutori» è lotorti sono equamente divisi fra aggressore e
goro e cadente. Prima, ma specialmente dopo
aggrediti. E tale "argomento" - se lo si può
le elezioni del 5-6 aprile i Partiti tradizionali,
chiamar così - è ancor meno una giustificaumiliati dal voto dei cittadini, sembrano non
zione del principio di neutralità e di non inavere ancora compresa la lezione ed appaiono
tervento - e soprattutto per un potere poliimpotenti ad un profondo rinnovamento sia
tico europeo -, principio già condannato da
interno di programmi, di costumi, di uomini,
Mazzini come una sorta di "ateismo" nelle
-
A
A
-
Gli slavi del Sud
A
.
Per l'Europa l'ora della verità
Le scadenze per l'Europa sono precise, fondamentali, inderogabili.
I1 documento di Maastricht, fatto proprio
da un voto alauanto contrastato del parlamento E u r o ~ e ocon l'ormai famosa risoluzione del «si, ma.. .» deve essere ratificato dai
Parlamenti Nazionali. Non più rinviabiie
quindi è la costruzione del nuovo assetto economico e democratico dell'Euro~aattraverso
I'adozione delle linee essenziali del «progetto
Colombo». Contemporaneamente il cambiamento radicale delle Istituzioni è imposto con
urgenza dalla richiesta indifferibile di entrare
nella Comunità Europea da parte delle 5 Nazioni dell'EFTA e dei 3 nuovi Stati dell'Est,
Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Urgente
è ancora I'adeguamento assoluto di tutti gli
Stati della CE ai 3 reauisiti basilari della Comunità: trasparenza delle decisioni, controllo
MAGGIO 1992
COMUNI D'EUROPA
relazioni internazionali. E' l'abc del federalismo, su cui insisteva Ernesto Rossi, il quale
ricordava che anche il Giusti aveva messo in
ridicolo tale principio nel Congresso dei birri.
Gianni Schicchi d h e n t i c a e "scotomizza"
- O piuttosto vorrebbe far dimenticare tutto questo così come ignora interamente
l'alternativa federalista: e perciò falsifica e
distorce due volte sia la realtà presente che le
prospettive future. Non a torto dunque egli
ha assunto, come pseudonimo dietro cui calarsi, - e davvero non poteva sceglier meglio
- il nome del personaggio dantesco che falsificò le ultime volontà di Buoso Donati, "testando e dando al testamento norme". Con-
veniunt saeoe nomina rebus suis.
Ti ringrazio, se vorrai pubblicarmi, e ti ringrazio in modo particolare, dato che "Comuni d'Europa" è ormai, e non da ieri l'ultimo
foglio federalista in cui sia possibile un libero
dibattito e in cui possono trovar ospitalità
non solo voci di dissenso, ma anche - e qui
esageri - sepolcri imbiancati anti-federalisti
e anti-mazziniani che, con non invidiabile
faccia tosta, scrivono - sotto colore di obiettività - a nome e per conto del lupo, per meglio difender, senza parere, questo contro l'agnello.
Sarebbe interessante sapere - oggi che anche Vukovard e Sarajevo hanno fatto la stessa fine di Dubrovnik - se l'ineffabile, e non
meglio identificato. "Gianni Schicchi" confermerebbe quanto sosteneva a gennaio (e soprattutto se tu lo pubblicheresti ancora, e
senz'alcun tuo commento).
Nel frattempo, invero, è sopravvenuto un
fatto nuovo: i Serbi non solo fanno fuori degli Europei, per dir così, "normali": si permettono anche di massacrare degli Europei
mussulmani. Ed è noto che un morto di questi ultimi vale più che non milie morti dei primi: perché allora si muove la Turchia, si scuote il mondo islamico, gli Stati Uniti non ritengono più che i loro interessi strategici non siano in gioco e perfino quei pelandroni della
CE - in realtà confermando, e non correggendo, la loro vigliaccheria - danno qualche
segno di ravvedimento. Non mi meraviglierei
che anche Gianni Schicchi fosse sensibile a
tale singolare "tropismo".
Saluti
ha reagito, a suo tempo, contro il riconoscimento anticipato (particolarmente tedesco) di singoli
frammenti della ex Iugoslavia. Gianni Schicchi
si è limitato a
uno storico disegno certamente tradito dalla Iugoslavia totalitaria
-, che
far crescere nella libertà, nellJunione e - perché no? - nel massimo rispetto
delle rispettive autonomie gli Slavi del Sud,
greco-ortodossi, cattolici, musulmani e liberi
pensatori: la speranza era che tutto il complesso
contribuisse a un assetto federale di un lembo
agitato dell'Europa. Gianni Schicchi poi, elogiata quella che fu la linea politica del Conte
Sfolza, criticava alcuni attuali e precisi errori
italiani. Io stesso ho pregato il personaggio di assumere un pseudonimo, perché mi sembravano
ed erano tempestive (allora) le critiche che egli
avanzava, e non volevo che il lettore si distraesse facendo il processo alle intenzioni di chi le
aveva espresse (che è un brutto vizio corrente).
(U.S.)
Carta europea delle
lingue regionali
o minoritarie
(segue da pag. 16)
PARTE V
Disposizioni Finali
-
Articolo 18
La presente Carta è aperta alla firma degli
Stati membri del Consiglio d'Europa. Essa
sarà sottoposta a ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, d'accettazione o d'approvazione saranno depositati
presso il Segretario Generale del Consiglio
d'Europa.
Articolo 20
I. Dopo l'entrata in vigore della presente
Carta il Comitato dei Ministri del Consiglio
d'Europa potrà invitare ogni Stato non membro del Consiglio ad aderire alla Carta.
2. Per ciascun Stato aderente, la Carta entrerà in vigore il primo giorno del mese trascorso il periodo di tre mesi dopo la data di
deposito delio strumento di adesione presso il
Segretario Generale del Consiglio d'Europa.
Articolo 21
1. Ogni Stato può, al momento della firma
o al momento del deposito del suo strumento
di ratifica, d'accettazione, d'approvazione o
d'adesione, formulare una o più riserva ai paragrafi dal 2) al 5 ) dell'articolo 7 della presente Carta. Non è ammessa nessun'altra
riserva.
2. Ogni Stato contraente che ha formulato
una riserva in virtù del paragrafo precedente
può ritirarla in tutto o in parte inviandone
notifica al Segretario Generale del Consiglio
d'Europa. I1 ritiro avrà effetto dalla data del
ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale.
Articolo 22
1. Ogni Parte può, in ogni momento, denunciare la presente Carta notificandolo al
Segretario Generale del Consiglio d'Europa.
2. La denuncia avrà effetto dal primo giorno del mese trascorso il periodo di sei mesi
dopo la data di ricevimento della notifica da
parte del Segretario Generale.
Articolo 23
Articolo 19
Andrea Chiti-Batelli
1. La presente Carta entrerà in vigore il
primo giorno del mese trascorso il periodo di
tre mesi dalla data entro la quale cinque Stati
membri del Consiglio d'Europa avranno
espresso il loro consenso a vincolarsi alla Carta conformemente alle disposizioni dell'articolo 18.
Posso condividere quanto Chiti chiede allJUnione europea e ai federalisti europei che debbono contribuire a farla esistere (oggi non esiste).
La Nota di Gianni Schicchi - che è, si badi,
dello scorso gennaio - non è di un attivo militantefederalista, ma di un uomo di cultura, che
2. Per ogni Stato membro che esprimerà
successivamente il suo consenso a vincolarsi
alla Carta essa entrerà in vigore il primo giorno del mese dopo che sia trascorso il periodo
di tre mesi dopo la data del deposito dello
strumento di ratifica, accettazione o approvazione.
mensile dell'AICCRE
Direttore responsabile: Umberto Serafini
Condirettore: Giancarlo Piombino
Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma,
te]. 6840461-2-3-4-5, fax 6793275
Questo numero è stato finito di stampare il 30/6/1992
ISSN 0010-4973
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I1 Segretario Generale del Consiglio d'Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio e ad ogni Stato che abbia aderito alla presente Carta:
a) ogni sottoscrizione;
b) il deposito di ogni strumento di ratifica,
accettazione, approvazione o adesione;
C ) ogni data di entrata in vigore della presente Carta conformemente agli articoli 19 e
20;
d) ogni notifica ricevuta in applicazione
delle disposizioni dell'articolo 3, paragrafo 3;
e) ogni altro atto, notifica o notificazione
W
riferentesi alla presente Carta.
Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000)
I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato:
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Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento;
2) sulc.c.p. n. 38276002intestato a "Cornunid'Europa",piazzadiTrevi, 86-00187 Roma;
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MAGGIO 1992
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