Le opere
di
misericordia
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Inno GMG Cracovia 2016
Sei sceso dalla tua immensità
in nostro aiuto.
Misericordia scorre da te
sopra tutti noi.
Persi in un mondo d’oscurità
lì Tu ci trovi.
Nelle tue braccia ci stringi e poi
dai la vita per noi.
Beato è il cuore che perdona!
Misericordia riceverà da Dio in cielo!
Solo il perdono riporterà
pace nel mondo.
Solo il perdono ci svelerà
come figli tuoi.
Beato è il cuore che perdona..
Col sangue in croce hai pagato Tu
le nostre povertà.
Se noi ci amiamo e restiamo in te
il mondo crederà!
Beato è il cuore che perdona..
Le nostre angosce ed ansietà
gettiamo ogni attimo in te.
Amore che non abbandona mai,
vivi in mezzo a noi!
Beato è il cuore che perdona..
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Preghiera di papa Francesco
per il Giubileo della Misericordia
Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù
del denaro;
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti
alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono
e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore,
risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza
e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso,
amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il
lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e
ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a
teche vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei
secoli.
Amen
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Le opere di misericordia
1. “Un atto di amore, anche quando non può dare
nulla” (Kierkegaard)
“È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il
Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un
modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al
dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina” Così
ha scritto Francesco nella bolla d’indizione del Giubileo che stiamo
celebrando.
Le opere di misericordia sono indubbiamente un tema molto bello e importante su cui riflettere. Sono però anche un tema insidioso,
perché non c’è niente di più facile che ridurle a qualche forma esteriore di aiuto verso il prossimo o a qualche gesto occasionale di generosità. Per questo il celebre filosofo danese dell’Ottocento Søren
Kierkegaard (1813-1855) se la prendeva con il predicatore che “passa sotto silenzio la misericordia per parlare di generosità”, finendo
così per tradire anziché illustrare la logica del Vangelo.
Così ragiona Kierkegaard:
Dall’avere un cuore nel petto non segue che si abbia in tasca del denaro; ma per quanto concerne la misericordia, l’avere un cuore è la cosa più
importante e decisiva. […] Lasciamo che a fare calcoli e conteggi siano i giornalisti, gli agenti delle tasse, gli addetti alla mendicità; ma non dobbiamo mai
dimenticare che il cristianesimo parla di misericordia in modo essenziale. […]
Parlando di ciò, vogliamo […] contribuire un po’ a rendere, se possibile, pudico,
come è gradito a Dio, chi può essere generoso e benefico, facendolo arrossire
di santo pudore, come si addice a un cristiano; rendendolo pronto a donare e
tuttavia restio a prender atto che si tratta di un’elemosina, come si addice a chi
nasconde la faccia per non doversi vergognare che altri debbano vedere che
egli ne trae onore, o come è proprio di colui la cui sinistra realmente non sa
quello che fa la destra. La misericordia non ha nulla da dare. Se il misericordioso ha qualcosa da dare, va da sé che lo darà più che volentieri. Ma non
è su ciò che intendiamo portare l’attenzione, bensì sul come si possa essere
misericordiosi senza avere il benché minimo da dare. Ciò è di grande importanza, poiché il poter essere misericordiosi è una perfezione molto più grande
dell’avere denaro e dunque del poter dare (Gli atti dell’amore. Alcune riflessioni
cristiane in forma di discorsi, Morcelliana 2009, pp. 339-354)
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Parlare di misericordia in modo
essenziale, cioè andando al cuore di quest’atteggiamento, significa
rendersi conto che è necessario
passare dal piano dell’avere a quello dell’essere, un piano più profondo e coinvolgente, che non riguarda
soltanto qualche “bel gesto” verso i
poveri o qualche atto di generosità, ma un profondo coinvolgimento
personale nel destino del fratello. La questione decisiva, infatti,
non è se fai o non fai un dono, ma se in quel dono ci sono solo i
tuoi soldi (le tue capacità, conoscenze … ) o ci sei tu (il tuo stile di
vita, il mettere a disposizione te stesso…).
La qualità dei rapporti umani è l’elemento decisivo perché un
dono sia tale, perché un’opera di misericordia non sia un modo per
togliersi d’imbarazzo di fronte a un povero o per mettersi a posto la
coscienza per un po’, ma esprima realmente uno stile di vita. Proprio
per questo l’esercizio delle opere di misericordia è possibile sempre
e a tutti e non si riduce alla ricerca di politiche sociali umanitarie: c’è
un “tu per tu” con il fratello che nessuna politica sociale potrà mai
sostituire e che costituisce la misura reale della nostra umanità. La
domanda essenziale che dobbiamo porci ragionando sulle opere di
misericordia, dunque, ultimamente è: i bisogni degli altri, le esigenze
di chi ha di meno sul piano materiale e spirituale, che posto hanno
nella mia vita (nei miei progetti per il futuro, nel mio modo di pensare
il mio posto nella società e nella chiesa, nelle competenze che sto
acquisendo per il futuro o nel lavoro che sto facendo)?
Nella questione delle opere di misericordia, dunque, si gioca chi
sono. Non è questione di ciò che occasionalmente faccio, ma di
chi essenzialmente sono.
E ciò che diciamo per noi, vale anzitutto e in primo luogo per
Gesù.
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2. Le “opere di misericordia”di Gesù
e il volto di Dio
Le opere di misericordia, infatti, prima di essere dei doveri o degli ideali della vita cristiana, sono niente meno che la grammatica
attraverso cui Dio si è rivelato a noi in Gesù. Nelle opere compiute da
Gesù, infatti, Dio non ha soltanto elargito all’uomo qualche aiuto occasionale, ma ben più profondamente ci ha rivelato chi Egli è, nel suo
mistero più intimo e personale. Le opere buone compiute da Gesù
mostrano il mistero della grazia che alimenta, sostiene, orienta la nostra libertà, e anche la cura, la protegge, la riscatta, la ripara quando
essa è ferita e disorientata. Nelle opere di misericordia compiute
da Gesù c’è da riconoscere Dio all’opera nella storia, la sua volontà in azione.
Sembra una cosa semplice, ma in realtà è carica di conseguenze. Non è scontato, infatti, che noi ci rappresentiamo il Volto di Dio
attraverso le opere di Gesù. Molte volte l’immagine di Dio che ci trasmettiamo reciprocamente, quella che abita il nostro immaginario
di figli di Adamo feriti dalla colpa, è segnata da molte ambiguità e
contaminata da molte distorsioni. Ci rappresentiamo il volto di Dio
attraverso il prisma delle nostre idee di grandezza e di potere, proiettiamo su di Lui le nostre aspirazioni fino a sovrapporre sul suo volto
la maschera delle nostre attese e delle nostre paure. Ma quando Dio
stesso viene a manifestarsi pienamente nell’umanità di Gesù, egli lo
fa proprio attraverso le opere di misericordia. Egli ci chiede di riconoscere la luce del suo Volto nel gesto con cui Gesù guarisce i malati,
consola gli afflitti, rende dignità agli emarginati, accoglie i peccatori e
benedice i bambini.
Proprio per questo le opere di misericordia compiute da Gesù
sono i segni – quelli veri, reali … non altri, quelli che ci inventiamo
noi – del Regno di Dio. Quando Giovanni Battista manda due dei suoi
discepoli a chiedere conferma a Gesù della sua identità messianica,
la risposta che essi ricevono è la seguente:
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Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano
la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti
risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non
trova in me motivo di scandalo! (Lc 17,22s)
La scena originaria del Vangelo, quella
in cui Gesù mostra la novità inaudita che
sta al centro del suo rapporto con il Padre,
consiste nei gesti di cura e di liberazione
dell’uomo che Dio viene a introdurre nella
storia. Questi e solo questi sono i segni in
cui Dio si presenta: contro qualsiasi ostacolo od obiezione. Proprio nella tenacia
di questa identificazione di Dio attraverso
i gesti della misericordia, senza ombre e
senza residui, Gesù mostra di avere con il Padre un’intimità insuperabile, che fa di Lui l’interprete autentico, la Parola ultima e definitiva
in cui Dio personalmente si dice. Una Parola che non è solo detta su
Dio, ma detta da Dio.
Mentre dunque gli uomini continuano a immaginarsi che l’azione di Dio possa nascondersi allo stesso modo dietro la grazia e la
disgrazia, la benedizione e la maledizione, il beneficio lieto e l’imprevisto tragico, il dono e la sua sottrazione (“…tanto Dio non si può
capire”), in Gesù Dio viene a mostrarsi all’opera unicamente nell’atto
della cura che restituisce dignità: e su questo ci tiene a essere capito benissimo. Nell’umanità di Gesù appare con ogni evidenza, a chi
vuole vedere, che la grammatica che Dio usa per rivelarsi a noi non
lascia margini all’ambiguità: è la grammatica delle opere della misericordia.
D’altronde fin dall’inizio i figli di Adamo avrebbero potuto intuire.
Quando l’uomo e la donna peccarono, sottraendosi assurdamente
all’intesa con il loro Creatore, “il Signore Dio fece all’uomo e a sua
moglie tuniche di pelli e li vestì” (Gn 3,21). In questo versetto posto
alla fine del racconto del peccato di origine c’è tutta la tenerezza di
Dio. La prima volta in cui fu necessaria una delle opere di misericordia – vestire gli ignudi – la fece Lui, e proprio nel momento in cui
l’uomo e la donna lo rifiutavano, Egli fece per loro ciò che ogni madre
fa per i suoi bambini: li rivestì. Per proteggerli e per custodirli nella di8
gnità. È questo il suo modo di regnare, che il Figlio renderà evidente
in mezzo a noi.
3. “Avevo fame…”(Mt 25,31-46)
Si comprende in questa logica perché intorno all’accoglienza
o meno della misericordia l’uomo si giochi ultimamente l’intesa con
Dio, ossia la riuscita dell’esistenza, la salvezza. È il motivo per cui
le opere di misericordia costituiscono nel Vangelo il metro di misura
fondamentale del giudizio finale.
Conosciamo la famosa parabola di Gesù sul giudizio, presentata
in Mt 25, 31-46:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui,
siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e
porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli
che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno:
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o
assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e
ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto
malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra:
“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i
suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto
sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo
e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi
allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o
straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli
risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo
di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.
Su questo testo si potrebbero fare molte osservazioni. Ci limitiamo a evidenziare tre elementi.
Anzitutto l’identificazione di Gesù con coloro che egli chiama “i miei fratelli più piccoli” (v. 40b), una identificazione che arriva fino a tradursi in espressioni molto forti: “ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
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straniero e mi avete accolto, nudo e
mi avete vestito, malato e avete avuto
cura di me, ero in carcere e siete venuti da me”. La solidarietà che Gesù è
venuto a instaurare con l’uomo è tale
che toccare il povero, il bisognoso, è
toccare Gesù. Egli considera ognuno
di noi come parte del suo Corpo, uno
spazio in cui Egli misteriosamente vive e soffre. Tale identificazione
consente realmente di unire la dimensione operativa della fede con
quella mistica, quella orizzontale con quella verticale. Nel servizio
della misericordia esse realmente s’incontrano.
In secondo luogo è significativo che in questa pagina di Vangelo
vengano chiamati “giusti” non coloro che hanno esercitato una forma
di giustizia umana, limitandosi a dare a ciascuno ciò che si merita,
ma coloro che sono stati misericordiosi. La misericordia, dunque,
fa la differenza, decide del compimento o del fallimento dell’uomo.
Alla fine della storia essa appare come la verità di Gesù, il giudice
divino che si è fatto solidale con i suoi fratelli più deboli, e come la
misura dell’uomo, che si è conformato all’amore o l’ha tragicamente
rifiutato.
Infine, se il carattere decisivo della misericordia per la sorte finale dell’uomo si manifesta pienamente nella vita futura, il luogo in
cui essa va pratica è però la condizione ordinaria della vita presente.
L’affamato, l’assetato, il bisognoso di cui avere misericordia sono i
fratelli che ora stanno al nostro fianco. Ciò è evidenziato nel testo
dall’alternarsi di due avverbi che ritornano con frequenza: l’avverbio
“allora”, che indica il futuro del giudizio, e l’avverbio “quando” che indica il presente della nostra vita. Il giudizio che il Figlio dell’Uomo
farà di noi allora si gioca oggi. La posizione che quotidianamente
assumiamo rispetto alla misericordia, scegliendola come logica di vita
o escludendola dal nostro cuore, è la posizione che fin d’ora assumiamo di fronte al giudizio: a sinistra o a destra del Figlio dell’uomo.
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4. Le sette opere “materiali” e le sette “spirituali”:
un incontro con l’uomo tutto intero
È chiaro che la misericordia trova un’infinità di espressioni e di
manifestazioni, che non può essere in alcun modo rinchiusa in un
elenco esclusivo. Fin dall’inizio del cristianesimo, però, iniziano ad
apparire delle “liste” che hanno un valore indicativo. Esse esprimono
l’incontro tra il movimento perenne della carità di Dio, in cui l’uomo è
coinvolto, e le situazioni contingenti dei suoi bisogni, che si manifestano in modo diverso nelle varie epoche.
Non si tratta dunque soltanto di elenchi di cose da “fare” o “applicare”, ma piuttosto di esemplificazioni da cui lasciarsi ispirare per
compiere gesti che non siano solo “buoni”, ma anche “profetici”, gesti
cioè che parlano di Dio all’uomo del proprio tempo. Troviamo così ad
esempio in uno scritto del II secolo d. C., intitolato Il pastore di Erma,
questo elenco di attitudini buone da abitare:
Assistere le vedove, visitare gli orfani e i bisognosi, liberare dalle necessità i servi di Dio, praticare l’ospitalità, non ostacolare nessuno, essere tranquillo, divenire il più umile di tutti gli uomini, rispettare gli anziani, praticare la
giustizia, osservare la fratellanza, tollerare la tracotanza, essere longanime,
non avere rancore, consolare chi è afflitto, non respingere coloro che sono
scandalizzati ma convertirli e renderli gioiosi, ammonire i peccatori, non opprimere i debitori e i bisognosi Di simili elenchi, si trova un’ampia attestazione nei secoli successivi, con varietà di sottolineatura e una graduale tendenza alla sistematizzazione. È nel Medioevo, intorno al XII secolo, che le “opere
di misericordia” assumono la fisionomia della lista divenuta tradizionale, che qui sotto riportiamo:
Opere di misericordia corporali
1. Dare da mangiare agli affamati
2. Dare da bere agli assetati
3. Vestire gli ignudi
4. Alloggiare i pellegrini
5. Visitare gli infermi
6. Visitare i carcerati
7. Seppellire i morti.
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Opere di misericordia spirituali
1. Consigliare i dubbiosi
2. Insegnare agli ignoranti
3. Ammonire i peccatori
4. Consolare gli afflitti
5. Perdonare le offese
6. Sopportare pazientemente le persone moleste
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.
È interessante che questi elenchi si compongano di due “settenari”. Il numero 7 è raggiunto prendendo le 6 opere di cui parla il testo
di Mt 25 e aggiungendo la sepoltura dei morti, attestata dal libro di
Tobia. Nel numero 7 c’è, secondo la concezione antica che in parte
è viva anche per noi, l’idea di una pienezza, di una totalità. In effetti
in questi elenchi di azioni buone c’è un orientamento ad abbracciare tutto l’uomo, venendo incontro a tutte le sue esigenze, perché si
guarda all’uomo nella sua dimensione corporea e in quella spirituale.
Questa complementarietà ci ricorda qualcosa di molto importante,
ossia che l’uomo non ha bisogno solo di pane, ma anche di verità;
non bisogno solo di cose, ma anche di affetto e di amore; non cerca
solo di sopravvivere, ma realmente di vivere. L’equilibrio tra queste
dimensioni è importante, perché aiuta ad evitare tanto uno spiritualismo disincarnato, che non raggiunge mai la concretezza del fratello,
le esigenze del suo corpo, quanto un orizzontalismo disumanizzante,
che riduce la salvezza della persona alla soddisfazione dei bisogni
immediati.
5. Che cosa posso fare?
Penso che a questo punto sia importante che ciascuno di noi
s’interroghi concretamente su ciò che è chiamato a fare, sul piano
dell’azione concreta e degli atteggiamenti profondi. Non è difficile:
basta guardarsi attorno, a partire dalla propria famiglia, dall’ambiente
in cui si vive quotidianamente (università, lavoro, amici, conoscenti),
dalla comunità in cui si è inseriti, dalle persone che si incontrano…
fino ad allargare lo sguardo a ciò che spesso non si ha coraggio né
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voglia di vedere. Don Primo Mazzolari diceva, con la sua solita chiarezza evangelica: “Chi ha poca carità vede pochi poveri”.
Iniziamo dalla famiglia, dagli anziani che sono intorno a noi, a
cui spesso dedichiamo un tempo frettoloso, perché abbiamo in mente mille altre cose da fare. L’anziano invece ha bisogno di tempo,
di sentirsi ascoltato, anche se magari ripete qualcosa che ci ha già
raccontato tante volte. Se ci è possibile, facciamo il proposito di prenderci cura di qualche malato, di assicurargli la nostra vicinanza, che
è il conforto reale di cui ha bisogno.
Pensiamo ai ragazzi che vengono
nei nostri oratori, a cui ci impegniamo
a dare un pallone, un campo da calcio,
ma che ci chiedono soprattutto di essere aiutati a scoprire il segreto della vita,
dove si incontra la vera gioia, la capacità di amare, il gusto della verità.
Pensiamo ai poveri che bussano alle porte delle nostre parrocchie, agli immigrati che chiedono accoglienza e dignità. Sappiamo
che non possiamo risolvere tutti i problemi e non possiamo fare tutto;
quanta differenza c’è, però, tra una comunità in cui l’attenzione ai
poveri è un fatto occasionale, che costringe a risposte deboli e insignificanti, e una comunità in cui ci si organizza insieme, per trovare
tempi e modi dignitosi per dare volto alla carità del Vangelo.
Guardiamo ai nostri compagni di studio e di lavoro: quanta delicatezza si può avere nel sostenere un amico che fa fatica a preparare un esame, senza farglielo pesare; nel condividere con lui la fatica
di una decisione, aiutandolo a trovare la strada giusta; nell’aiutare
qualcuno che ha un carattere un po’ difficile a sentirsi accolto in un
gruppo che spontaneamente rischia di lasciarlo un po’ ai margini.
Una delle forme più alte della misericordia, poi, è la correzione
fraterna, che ci aiuta a riconoscere i nostri sbagli e anche i nostri
peccati, raggiungendoci così come un gesto di amore squisito. Naturalmente questa opera di misericordia richiede molta preghiera e
molta umiltà, ma può segnare profondamente la storia di una persona: quante vite sono cambiate, per una parola coraggiosa detta al
momento giusto da un vero amico!
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Concludiamo con due celebri preghiere di Madre Teresa di Calcutta, che ci aiutano a tradurre in preghiera e in vita la riflessione che
fin qui abbiamo fatto
Vuoi le mie mani?
Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani.
Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi.
Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con
quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la
mia voce.
Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni
uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore.
Mandami qualcuno da amare
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di una bevanda;
quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare;
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di
un altro;
quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno;
quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per
qualche momento;
quando sono umiliato, fa’ che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno
che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra
persona.
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Spazio per te
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Adorazione Eucaristica
Il Signore è la luce
Misericordias domini
Misericordias Domini
in aeternum cantabo
Il Signore è la luce che vince la notte!
Gloria, Gloria, Cantiamo il Signore!
Il Signore è l’amore che vince il peccato!
Il Signore è la gioia che vince l’angoscia!
Il Signore è la pace che vince la guerra!
Il Signore è speranza di un nuovo futuro!
Il Signore è la vita che vince la morte!
Dal Vangelo Secondo Luca 10,25-37
“In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore,
se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non
ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.”
Jesus Remember me
Silenzio
Jesus, remember me
when you come into your kingdom.
Jesus, remember me
when you come into your kingdom.
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Croce di Cristo noi ti adoriamo
Croce di Cristo noi ti adoriamo
Pasqua di Cristo noi ti acclamiamo
Croce di Cristo, Pasqua di Cristo
Preghiamo
Padre Nostro
O Padre, che nella morte e risurrezione del tuo Figlio hai redento
tutti gli uomini, custodisci in noi l’opera della tua misericordia, perché
nell’assidua celebrazione del mistero pasquale riceviamo i frutti della
nostra salvezza. Per Cristo nostro Signore.
Litanie
Benedizione Eucaristica
Dio sia benedetto
Benedetto il Suo santo Nome.
Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
Benedetto il Nome di Gesù.
Benedetto il Suo sacratissimo Cuore.
Benedetto il Suo preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel SS. Sacramento dell’altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima. Benedetta la Sua
santa e Immacolata Concezione.
Benedetta la Sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il Nome di Maria, Vergine e Madre.
Benedetto S. Giuseppe, suo castissimo Sposo.
Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.
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Ave Maria
Affidamento a Maria
Ave Maria, Ave.
Ave Maria, Ave.
Donna dell’attesa e madre di speranza
Ora pro nobis.
Donna del sorriso e madre del silenzio
Ora pro nobis.
Donna di frontiera e madre dell’ardore
Ora pro nobis.
Donna del riposo e madre del sentiero
Ora pro nobis.
Ave Maria, Ave.
Ave Maria, Ave.
Donna del deserto e madre del respiro
Ora pro nobis.
Donna della sera e madre del ricordo
Ora pro nobis.
Donna del presente e madre del ritorno
Ora pro nobis.
Donna della terra e madre dell’amore
Ora pro nobis.
Ave Maria, Ave.
Ave Maria, Ave.
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FILM
Uomini di Dio (2010) di X. Beauvois
Testimoni della misericordia
1996. Algeria. Una comunità di monaci benedettini opera in un piccolo monastero in
favore della popolazione locale aderendo
all’antica regola dell’”Ora et Labora”. Il rispetto reciproco tra loro, che prestano anche assistenza medica, e la popolazione
locale di fede musulmana è palpabile. Fino
a quando la minaccia del terrorismo fondamentalista comincia a farsi pressante. Christian, l’abate eletto dalla comunità, decide di
rifiutare la presenza dell’esercito a difesa del
monastero non senza trovare qualche voce
discorde tra i confratelli. Una notte un gruppo armato fa irruzione
nel convento chiedendo che si vada ad assistere due terroristi feriti.
Dinanzi al diniego vengono chieste medicine che vengono rifiutate
perché scarse e necessarie per l’assistenza ai più deboli. Il gruppo
abbandona il convento ma da quel momento il rischio per i monaci si
fa evidente.
Xavier Beauvois porta sullo schermo il sacrificio di sette monaci francesi che nel marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato
della Jihad islamica e le cui teste vennero ritrovate il 30 maggio di
quello stesso anno. Documenti ritrovati di recente coinvolgono le forze armate algerine nel tragico esito finale del sequestro.
Non era facile trovare la cifra stilistica giusta per raccontare la vita e il
progressivo avvicinarsi alla morte di questi religiosi facendoli restare
degli uomini e non trasformandoli agiograficamente in martiri quali
poi sarebbero divenuti. Beauvois, pur con una certa piattezza per
quanto attiene al linguaggio cinematografico, ci è riuscito sul piano
della sceneggiatura che ritma lo scorrere del tempo grazie al succedersi delle celebrazioni e delle preghiere e canti comunitari. A questi
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si alternano le vicende esterne e interne al luogo sacro con la messa
in luce di tutte le convinzioni ma anche di tutte le incertezze e debolezze dei monaci. Il film riesce a far emergere al contempo le singole
individualità così come la tenuta complessiva di un gruppo animato
da una fede che non si trasforma in esclusione ma che vuole, fino
all’ultimo, tradursi in atti di condivisione sia all’interno che all’esterno.
In un mondo distratto dal succedersi di eccidi e manipolato da una
propaganda che vuole assimilare Islam e terrorismo fondamentalista,
ricordare questo sacrificio non significa riaccendere la polemica ma
piuttosto il contrario. Uomini e dei possono incontrarsi, conoscersi e
rispettarsi a vicenda. Nonostante tutto.
La prima neve (2013) di Andrea Segre
Alloggiare i pellegrini
«Cari fratelli e sorelle migranti e rifugiati! Alla
radice del Vangelo della misericordia l’incontro
e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro
è accogliere Dio in persona! Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia di vivere che scaturiscono dall’esperienza della misericordia di
Dio, che si manifesta nelle persone che incontrate lungo i vostri sentieri! Vi affido alla Vergine Maria, Madre dei migranti e dei rifugiati, e a
san Giuseppe, che hanno vissuto l’amarezza
dell’emigrazione in Egitto». È il messaggio di papa Francesco per la
Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2016, un invito a non
lasciarsi privare della gioia di vivere, di un’esistenza migliore lontana
da guerre e violenza. Tra le numerose proposte cinematografiche sul
tema dei migranti...
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The Judge (2014) di David Dobkin
Riscoprire il rapporto padre-figlio. Vestire gli ignudi
«Il rapporto tra genitori e figli deve essere di
una saggezza, di un equilibrio tanto grande.
Figli, obbedite ai genitori, ciò piace a Dio. E voi
genitori, non esasperate i figli, chiedendogli
cose che non possono fare. E questo bisogna
fare perché i figli crescano nella responsabilità
di sé e degli altri» (Udienza Generale, 20 maggio 2015). Papa Francesco offre continue suggestioni e richiami sulla famiglia, sui rapporti
tra genitori e figli. Un richiamo, nello specifico,
che cade sulla figura del padre, chiamato a essere presente in maniera significativa nella vita del proprio figlio. The
Judge (2014) di David Dobkin, è un film che offre anche occasione
per riflettere sull’opera di misericordia corporale “Vestire gli ignudi”....
Tracks. Attraverso il deserto (2014) di John Curran
Dar da bere agli assetati
«Il deserto è il luogo dove si può ascoltare la
voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si
sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove
si gioca veramente il nostro destino, la vita o
la morte. E come sentiamo la voce di Dio? La
sentiamo nella sua Parola» (Angelus, 22 febbraio 2015). Così papa Francesco affronta il
tema del deserto, luogo sì della tentazione del
male, ma anche luogo dove cogliere la voce,
la grazia, del Signore. Il tema del deserto, dell’itinerario fisico-spirituale verso il riscatto, così come il richiamo all’opera di misericordia
corporale “Dar da bere agli assetati”, è il tema proposto con il film
Tracks. Attraverso il deserto (Tracks, 2014) di John Curran.
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In grazia di Dio (2014) di Edoardo Winspeare
Dar da mangiare agli affamati
«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il
mistero della misericordia. È fonte di gioia, di
serenità e di pace. È condizione della nostra
salvezza». Nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), papa Francesco
ricorda alla comunità tutta l’importanza della
misericordia, speranza di pace e salvezza.
Sul tema della misericordia, nello specifico
sulle opere di misericordia corporale “Dar da
mangiare agli affamati”, è il film In grazia di Dio
(2014) di Edoardo Winspeare.
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LIBRI
Le opere di misericordia spirituale e corporale
(ed. San Paolo) di Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione
«La Sacra Scrittura è lo specchio di come la misericordia si esprima nella sua concretezza. Prima
ancora di essere una dimensione affettiva, le pagine
della Bibbia evidenziano la concretezza della misericordia nella sua dimensione tangibile e visibile. Il
“grande fiume della misericordia- non si esaurisce
mai perché trova sempre persone che ne danno
concreta testimonianza nella vita di ogni giorno. Si
scopre che esiste un sentimento che lega uomini e
donne solo perché si appartiene tutti alla stessa umanità. Le opere
di misericordia corporale e spirituale si inseriscono all’interno di questo processo di solidarietà umana e ne specificano, comunque, una
caratteristica essenziale. “Lo avete fatto a me- (Mt 25,40) è il tocco
peculiare che permette di esprimere la testimonianza cristiana». Rino
Fisichella
La fatica della carità
Le opere di misericordia (ed. Qiqajon)
di Manicardi Luciano
La rilettura delle opere di misericordia, che questo
testo propone, trova oggi una rinnovata attualità.
Richiamare la tradizione delle opere di misericordia
significa cogliere la carità come arte dell’incontro,
della relazione, come prassi di umanità che travalica le fedi e che può unire ogni persona. È nell’oggi
della storia che possiamo manifestare la differenza
cristiana con la pratica dell’urgente carità.
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Gesti e parole d’amore
I ragazzi alla scoperta delle opere di misericordia (ed. Paoline)
di Tonino Lasconi, Fausto Negri, Mariangela Tassielli
Il testo è costruito grazie all’apporto di cinque
autori, conosciuti e apprezzati nell’ambito della
catechesi per ragazzi e adolescenti: Tonino Lasconi, Fausto Negri, Tassielli Mariangela, Cecilia
Salizzoni e Maria Teresa Panico. Ognuno di essi
affronterà le opere di misericordia sotto differenti
angolature, offrendo a catechisti e animatori input
di riflessione, attualizzazioni, percorsi ed esperienze da vivere con i ragazzi, idee da concretizzare
in gruppo e preghiere.Le dimensioni all’interno delle quali le opere
di misericordia vengono presentate e approfondite sono cinque: la
Bibbia, l’attualità, la musica, il cinema, il test.Le tappe del percorso
proposto nel testo sono otto e, partendo dall’icona biblica del buon
Samaritano, attraversano tutte le opere di misericordia, corporali e
spirituali; nello specifico: dar da mangiare agli affamati e da bere assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini, sopportare pazientemente le persone moleste, visitare gli infermi e i carcerati, perdonare
le offese, consolare afflitti e dubbiosi, pregare per tutti.
«Lo avete fatto a me».
Una rivisitazione delle opere di misericordia (ed. EDB)
di Aimone Gelardi
I testi dei vangeli e gli scritti degli apostoli invitano i primi cristiani a non limitarsi all’ascolto del
Signore, ma li sollecitano a mettere in pratica.
Le riflessioni dell’autore propongono una rilettura delle opere di misericordia corporale (dar da
mangiare agli affamati, da bene agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli
infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti) e
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spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire
i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti).
Esse attingono anche all’esempio di figure illuminate della tradizione
della Chiesa, che sanno ispirare linguaggio e impegno adeguati ad
accostare le necessità dell’uomo moderno.
Io sono fango (ed. San Paolo)
di Allegri Roberto
Una rilettura della parabola evangelica del padre buono e dei due fratelli: del figlio prodigo e
del figlio devoto. Un’analisi profonda della fede,
di quel mistero complesso e meraviglioso che è
il cuore umano, della profondità del peccato e
della scoperta del perdono. Io sono fango porta
il lettore a misurarsi con la terra da cui è tratto,
terra che diventa fango quando si cede ai compromessi della vita e agli istinti promossi dall’egoismo più bieco. Ma è proprio in quel fango che
l’uomo ritrova Dio, quel Dio che si fa carne, lasciandosi plasmare di
quella stessa terra da cui il primo uomo è stato tratto.
Misericordia (ed. Faligi)
Di Pérez Galdós Benito
La storia è ambientata a Madrid, alla fine del XIX
secolo. Benina è l’anziana cameriera di Doña
Paca, vedova di un alto funzionario governativo
caduta nella miseria più nera. Per sfamare Doña
Paca e i figli di quest’ultima, Antoñito e Obdulia, Benina si mette a mendicare, fingendo con
la padrona che le sue entrate provengano dal
mezzo servizio che compie in casa di un prete
immaginario, don Romualdo. Benina estende la
sua attività benefica anche a Frasquito Ponte,
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un vecchio dandy caduto in miseria, e ad Almudena, un marocchino cieco suo collega di mendicità. Benina sopporta pazientemente
anche le bizze di Doña Paca, ignara dei sacrifici compiuti dalla sua
domestica, e la gelosia di Almudena il quale vorrebbe che Benina
diventi sua moglie. Doña Paca, i suoi figli e Frasquito Ponte ricevono
una ricca eredità da un lontano parente; latore della buona notizia
è don Ro­mualdo, un prete con lo stesso nome di quello inventato
da Benigna. La famiglia di Doña Paca è nuovamente ricca, il sacrificio di Benina viene conosciuto, ma la ricompensa per la vecchia
domestica è l’ingratitudine: cacciata dalla casa di Doña Paca, Benina
andrà a vivere dal cieco Almudena, bisognoso di assistenza. Verso
la fine del ro­manzo si accenna a un certo ravvedimento da parte dei
vecchi padroni: don Frasquito ha un ictus e, nel delirio che precede
la morte, rimprovera a Doña Paca l’ingratitudine. Juliana, moglie di
Antoñito, crede che i propri figli siano ammalati e che solo Benigna,
sicuramente santa per la propria bontà, possa guarirli: Juliana si reca
pertanto dalla vecchia domestica accusandosi di ingratitudine («io ho
peccato, io sono cattiva») e invitandola a tornare; ma Benigna non
vuole abbandonare il povero Almudena e rivolge a Juliana parole di
perdono con cui il romanzo si chiude: «Io non sono una santa. Ma i
tuoi bambini stanno bene e non hanno alcun male... Non piangere...
E adesso torna a casa, e non peccare più.»
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Scarica il video e i contenuti dell’incontro sul sito
www.pastorale.salesianipiemonte.it
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7 Aprile 2016
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Buona Quaresima!
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