89° anno
LXXXIX
N. 4
Aprile
2010
in cruce gloriantes
MENSILE DELL’AZIONE CATTOLICA TICINESE
parrocchia
rampa di lancio
In questo
numero:
2
Creature nuove che
sanno sperare
3
La parrocchia: ovile
o rampa di lancio?
5
Quando la croce segna
il tempo e lo spazio
6
L’editoriale: Gesù
incontra un giovane
12
Educare: bisogna
metterci il cuore
14
Oltre le porte chiuse
15
E se ognuno fa qualche
cosa…
16
Il teologo risponde
dal presidente
Il tema dell’anno alla luce del tempo pasquale
Creature nuove che sanno sperare
È tempo di Pasqua – finalmente
l’anno liturgico ci proietta in questa
festa di luce, centro della Storia e di
ogni vicenda umana. Tutto si ricapitola in questo evento che ha sconvolto il corso dei tempi, tutto prende forma e si plasma su un modo
nuovo di essere e di vivere: in Cristo
diventiamo creature nuove e siamo
in Lui partecipi del Regno dei Cieli.
La Croce marca in modo indelebile il cammino di ogni uomo – in
questo numero presentiamo la magnifica mostra “Mysterium Crucis”
allestita a Mendrisio – e spesso sembrano prevalere le fatiche, le ango-
sce, le disgrazie, la solitudine, l’abbandono: conosciamo bene i mali
del nostro tempo. Ma come quelle
croci che troviamo sulle nostre cime
sono proiettate verso il cielo e assumono su di sé ogni peso terreno per
sollevare il mondo intero, così in
Cristo e con la sua Croce noi siamo
realmente “uomini nuovi”.
Allora siamo chiamati a vivere,
ragionare, comportarci come persone rinnovate, spogliate dell’ “uomo
vecchio”, guarite da quel vizio capitale che spesso ci annebbia, l’accidia, questa attitudine a trascinarsi
senza vigore, rassegnati, indolenti.
Soffi lo Spirito Santo per scuoterci,
per renderci cristiani autentici e coerenti. Il nostro tema dell’anno riguarda le “Ragioni della speranza
che è in noi”: ragioni divine, trascendenti ma anche umane: l’essere
stati toccati, raggiunti, visitati, redenti, qui e ora, come siamo.
Lasciamoci rinnovare da questa
grazia, sapremo così rispondere alle
sfide del nostro tempo. Buon Tempo
di Pasqua, buon tempo di rinnovamento!
Davide De Lorenzi
La meglio Gioventù: storia della GCT
I giovani hanno avuto da sempre un ruolo fondamentale nella vita dell’Azione Cattolica.
Giovani furono i fondatori; giovani furono coloro che diedero vita alle iniziative più importanti; in
tempi più recenti, furono i giovani a ridar vita ad un’associazione che molti davano già per scomparsa.
Ora l’Azione Cattolica Ticinese ha pubblicato nella collana “I Quaderni dell’Azione Cattolica”
un importante contributo offerto dai giovani alla vita dell’associazione.
Il Quaderno ripercorre la storia della Gioventù Cattolica Ticinese dalle sue origini, con la nascita
della Società dell’Avvenire e dell’Unione della Gioventù Cattolica Ticinese, fino alla sua fondazione
avvenuta il 3 ottobre 1909.
Si attraversa poi la vicenda di questo ramo giovanile dell’Azione Cattolica Ticinese fino alla sua
scomparsa alla fine degli anni Sessanta. In appendice viene pubblicato un interessantissimo documento: l’elenco di tutti i membri dei Comitati centrali della GCT dalla sua fondazione fino all’ultima
presidenza guidata da Ettore Cavadini.
Il libretto citato, realizzato da Davide De Lorenzi e Luigi Maffezzoli, si intitola Giovani di AC
(1909-1968) nel centenario della Gioventù Cattolica Ticinese, Quaderni di Azione Cattolica,
ottobre 2009, pag. 42.
È in vendita presso il Segretariato dell’Azione Cattolica Ticinese al prezzo simbolico di 2 franchi
(più spese postali se richiesta la spedizione).
Per quantitativi superiori alle 20 copie la spedizione è gratuita.
2 Spighe Aprile 2010
dalla diocesi
Come concretizzare la lettera pastorale del vescovo
La parrocchia: ovile o rampa di lancio?
“Per paralizzare le forze avversarie,
per restaurare ogni cosa in Cristo, è
necessario riedificare l’ovile, rendere
cioè alle parrocchie la loro forma primitiva, la loro normale organizzazione e richiamare i fedeli alla disciplina
parrocchiale. È difficile quindi trovare
un problema più importante a trattarsi
di quello della vita parrocchiale”. Sono parole di “un Benedetto fa”: quel
Benedetto XV, Giacomo Della Casa, che guidò la Chiesa cattolica dal
1914 al 1922. Le ho trovate, citate
dal maestro Alberto Bottani, in una
raccolta di “lezioni tenute alle Giornate di formazione e propaganda nel
1936” intitolata “Torniamo alla Parrocchia” e curata dal Fascio della
Gioventù Cattolica Ticinese. Emblematici i capitoli di quel sussidio
ciclostilato: l’altare; le campane;
l’adorazione; la sacrestia…
Oggi nessuno si sognerebbe di
usare questi termini per parlare della vita parrocchiale. Eppure, nella
mentalità corrente dei cattolici e
forse dei parroci, questa visione di
parrocchia, intesa come ovile dove
devono essere radunate le pecorelle,
rimane ancora molto forte. La parrocchia è racchiusa in quel perimetro intorno alla chiesa, alla casa
parrocchiale, all’oratorio (dove c’è).
E lo scopo che si prefigge il cattolico fervente è di radunare attorno a
questo perimetro il maggior numero
di persone alle quali proporre riti e
funzioni religiose, catechismo e
momenti formativi, occasioni di
svago e di incontro per i più piccoli.
Lamentandosi, naturalmente, se
a Messa viene solo un insignifican-
te numero di fedeli; oppure se altri
si vedono unicamente ai battesimi,
alle prime comunioni, alle cresime,
ai matrimoni e ai funerali. Se al catechismo viene preferita la gita domenicale o qualche attività sportiva, o se al film proposto nella sala
parrocchiale con un telone e un
DVD, si preferisce andare in una
moderna multisala in città con proiezioni in 3D.
Non è che non ci si sforzi di inventare e organizzare cose sempre
nuove. Anzi. Le iniziative sono
sempre tante e qualche volta geniali. Ma questo darsi da fare è spesso
frustrato proprio dalla scarsa partecipazione. Si invitano relatori di fama per presentare serate bibliche
alle quali assistono venti persone.
Si promuove qualche concerto in
chiesa o qualche mercatino per raccogliere fondi destinati a opere missionarie. Si mette su un coro di giovani voci entusiaste. Ma il risultato,
alla fine, rimane spesso deprimente.
Allora non resta che prendersela
con chi non c’è, con chi è assente,
con chi non partecipa mai. E tirare
avanti con le iniziative di sempre.
parrocchia così intesa non è troppo
arroccata attorno alla propria sacrestia, nella vana attesa di qualcuno che venga e partecipi ai suoi appuntamenti?
Insomma, è la società scristianizzata
che chiude gli occhi davanti alle
proposte fatte all’ombra del campanile, o è la comunità parrocchiale
ad esserne estranea, troppo occupata a “riedificare l’ovile” e a “richiamare i fedeli alla disciplina parrocchiale”, sempre più lontana dalla
vita quotidiana della gente comune?
Una galassia da esplorare
Se è vera questa seconda ipotesi, allora occorre cambiare completamente il concetto di parrocchia che
abbiamo in mente: dall’ovile, dove
Ma la “colpa” è davvero di quelli
che non vengono mai “in” chiesa?
Oppure è di una mentalità che vede
una concezione di parrocchia ormai anacronistica – quella dell’ovile, appunto – fuori dal tempo, inconcepibile in una società moderna
dove i riti da rispettare sono quelli
sportivi e del divertimento notturno, e i luoghi di incontro sono quelli virtuali delle chat e dei blog? La
Aprile 2010 Spighe 3
si è messa in salvo l’unica pecorella
rimasta, si deve partire alla ricerca
delle altre novantanove che si sono
perse. Il perimetro sacro intorno alla chiesa non deve più essere la fortezza inespugnabile dove – una volta dentro – ci si salva; ma deve
diventare una rampa di lancio alla
scoperta di universi sconosciuti,
tanto numerosi quante sono le umanità che popolano la parrocchia.
Già, perché a questo punto la parrocchia, da recinto chiuso diventa
una galassia da esplorare, una fetta
di territorio dove si confrontano e
si sfiorano mille modi di vivere la
propria vita. La parrocchia non è il
campanile, ma tutto quello che gli
è prossimo. La parrocchia è l’intero
popolo che vive sotto la sua giurisdizione. Tutto il popolo: credenti e
non credenti, fedeli che partecipano alla Messa e immigrati islamici,
cristiani totalmente indifferenti ed
ex cristiani ostili alla Chiesa.
La comunità dei fedeli è pienamente inserita all’interno di questa realtà confondendosi in essa, condividendo le case, il riposo, le feste, i
rapporti di vicinato, i momenti di
gioia e di sofferenza, i drammi, la
vita familiare. Il termine parrocchia deve ridiventare a pieno titolo
sinonimo di popolo di Dio, perché
della parrocchia fa parte tutto il popolo che Egli ha scelto.
4 Spighe Aprile 2010
Il nostro impegno nella parrocchia
dovrà allora partire proprio da qui.
Dalla considerazione che questa
suddivisione territoriale è ancora
da privilegiare perché è questo il
luogo dove le donne e gli uomini
vivono la loro quotidianità. Qui – e
solo qui – possiamo incontrarli tutti. A patto però che la parrocchia
che abbiamo in mente non sia – appunto – una saletta o una chiesa
dove stiamo ad aspettare che arrivi
qualcuno, ma una casa tra le case.
Anzi, l’insieme delle case dove vivono famiglie, anziani che non
escono mai dalle proprie quattro
mura, giovani “single” (che in italiano significa anche “soli”), mamme separate con i loro figli (anche
loro costrette a vivere una solitudine spesso insopportabile), adolescenti che appena si ritrovano in
branco si trasformano in bulli, manager che tolta la cravatta tagliano
l’erba del giardino, bambini che
passano ore davanti a un videogioco. Questa è la parrocchia di oggi.
E il nostro impegno è rivolto a questi luoghi, dove dobbiamo andare
prendendo il largo, con semplicità,
portando la nostra umanità, cioè la
testimonianza di Gesù fatto uomo.
Uomo come noi e come coloro che
incontriamo in queste case.
Se lo facessimo – e dobbiamo farlo
– ci accorgeremmo di quanto inespresso desiderio c’è di quella Parola
che ci è affidata. E di quale sorprendente risposta ci sarebbe da parte di
persone che non immagineremmo
mai, e mai potremmo incontrare
nel nostro ovile trasformato in una
fortezza del deserto dei tartari.
Maria, incinta, che va
Quando a Maria l’angelo portò l’annuncio, lei non si fermò a contemplare gelosamente il dono che le era
stato dato, ma si incamminò lungo
una strada dura e faticosa, soprattutto per le sue condizioni, con lo
scopo di raggiungere sua cugina e
porsi al suo servizio.
Anche noi non possiamo più, dopo
anni di formazione, chiuderci nel
nostro nido fatto di illusoria sicurezza, ma dobbiamo “andare”, nelle
condizioni in cui ci troviamo (per
alcuni davvero difficili), verso gli
altri. Incamminarci sulla strada dura e faticosa che ci porta dal nostro
vicino, dall’amico che abbiamo conosciuto o mai più rivisto, da chi è
solo, da chi ha bisogno di incontrarci.
C’è una schiera di persone che
aspetta una risposta che il Signore
solo attraverso noi può dare. Delle
tante famiglie che abbiamo incontrato in questi anni, molte oggi vivono situazioni di difficoltà. Ci sono passate accanto senza che ce ne
accorgessimo, oppure quel loro
“passaggio” accanto a noi era voluto
dal Signore perché fossimo noi - ora
che sono in difficoltà - ad occuparci
di loro?
Niente intorno a noi ci aiuta in
questo. La società che viviamo è
quella del disimpegno, della mancanza di assunzione di responsabilità, della provvisorietà degli affetti e
dei legami. Il nostro compito è
quello di aiutarci reciprocamente a
scoprire il senso cristiano della nostra esistenza. Questa scoperta però
non la possiamo fare attraverso i
corsi di formazione, ma nello stare
accanto agli altri. Non possiamo limitarci ad “apprendere” qual è il disegno di Dio su di noi: ma accompagnare chi è più fragile (e prima o
poi lo siamo tutti) vivendo gli uni
accanto agli altri.
(2 - continua)
Luigi Maffezzoli
dalla diocesi
Da non mancare: la mostra “Mysterium Crucis” a Mendrisio
Quando la croce segna il tempo e lo spazio
Fino a metà giugno è possibile visitare presso il Museo d’Arte Mendrisio una grande mostra inaugurata
lo scorso 23 marzo che pone al centro dell’attenzione la croce, intesa
come uno dei maggiori simboli
dell’umanità e della cristianità. Questa mostra è “un gesto di fede e di civiltà; di vera cultura umana e cristiana” scrive in apertura al catalogo il
vescovo Pier Giacomo Grampa e
giustamente si può consigliare ai nostri lettori di Spighe di recarsi nel
Magnifico Borgo in questo tempo di
Pasqua per ammirare la splendida
esposizione.
Documentata molto prima dell’avvento del cristianesimo, la croce nelle diverse culture del mondo esprime
la straordinaria polivalenza e la densità simbolica che la contraddistingue. La croce è concepita come un
centro che si espande nelle quattro
direzioni, ma anche come collegamento che riporta all’unità i punti
estremi delle due linee ortogonali.
Letta come simbolo cosmico, la croce unisce cielo e terra, congiungendo spazio e tempo e risponde a un
bisogno di orientamento dell’uomo.
Con l’avvento storico del cristianesimo, la croce assume altri significati.
Da simbolo di morte e di condanna
diventa il segno di redenzione e di
vita, condensando la dimensione
cosmica, biblica e soteriologica ed
esprimendo, in sintesi, il mistero cristiano. La mostra è curata dall’arciprete di Mendrisio, don Angelo Crivelli,
attento
ed
entusiasta
estimatore del patrimonio artistico e
degli arredi sacri, che ha già dato
prova del suo meticoloso lavoro ne-
gli anni passati. Dopo le mostre
«Mater Dolorosa» del 1998 e «Manto di Giubilo» del 2000, è ora la volta di «Mysterium Crucis» che conclude un trittico giocato attorno
all’iniziale «M», per essere anche un
tributo a Mendrisio e alle sue processioni storiche pasquali.
L’esposizione documenta, a partire
dal IV-V secolo d.C., il simbolo della
croce nelle terre ticinesi, attraverso
centoventi oggetti provenienti dalle
nostre chiese e da vari altri istituti
(Zurigo, Milano, Chalon-sur-Saône). Il percorso pone l’accento
sull’aspetto cronologico e sullo sviluppo iconografico della croce. Si
spazia dai reperti archeologici che
testimoniano i primi segni dell’evangelizzazione delle nostre terre in
epoca tardo romana e longobarda,
alle suggestive croci medievali romaniche con il Cristo trionfante. Si
prosegue con le croci gotiche e tardo
gotiche, dove comincia ad affacciarsi l’iconografia del Cristo sofferente,
e poi quelle rinascimentali e barocche, con un’attenzione particolare ai
prodotti dell’emigrazione che hanno
lasciato un segno evidente e commovente nella bellezza di molti arredi delle nostre chiese. In seguito si
giunge all’etnografia della croce nella vita quotidiana del Ticino rurale:
la croce che segna profondamente il
tempo naturale e quello rituale, il ciclo della vita e i momenti di passaggio, pericoli, sofferenza e morte, lo
spazio abitativo e il territorio. Conclude la mostra una croce contemporanea dell’orafo mendrisiense
Willi Inauen. Un ricco catalogo invita all’approfondimento del signifi-
cato simbolico della croce e alla “lettura” di tutti i sacri oggetti in
esposizione, grazie ai contributi di
diversi esperti.
Mysterium Crucis, Museo d’arte
di Mendrisio - Antiche sante croci
del Canton Ticino, dal 27 marzo al
13 giugno 2010.
Camorino
Cevio
Lottigna
Aprile 2010 Spighe 5
6 Spighe Aprile 2010
10 Spighe Aprile 2010
Aprile 2010 Spighe 11
dall’associazione
Rete docenti e valori per la scuola: serata con mons. Grampa e Perugini
Educare: bisogna metterci il cuore
I docenti devono rispondere alle sfide di oggi con una riaffermazione della propria autorevole posizione di
educatori e di persone che si mettono
in gioco educando. La scuola di oggi
vive i travagli dell’intera società: a
maggior ragione i docenti non possono rinunciare a cogliere l’interezza
delle questioni, che vanno oltre la trasmissione didattica di un sapere, ma
abbracciano anche la vita concreta e
quotidiana degli allievi, spesso confrontati con enormi problemi personali, famigliari o sociali.
In apertura della serata, promossa
lo scorso 23 marzo a Besso dalla
“rete docenti cattolici”, il nostro vescovo Pier Giacomo Grampa ha
evidenziato come sia preziosa e importante questa realtà di docenti
cattolici che si riuniscono e cercano insieme di rispondere alle esigenze poste dall’educazione oggi:
appare quindi fondamentale allargare il coinvolgimento dei docenti
cattolici e rendere più visibile quanto vissuto insieme.
Il procuratore pubblico Antonio
Perugini - invitato a lanciare dei temi di discussione - ha poi evidenziato alcuni tratti delle sfide educative, iniziando dai problemi che
coinvolgono le famiglie e la perdita
di responsabilità del singolo passando dai genitori fino a tutte le componenti sociali. Il signor Perugini
ha quindi illustrato alcuni punti,
emersi anche dal lavoro svolto sul
tema giovani e violenza.
Nella seconda parte della serata i
docenti presenti si sono suddivisi
per ordine scolastico e durante i la12 Spighe Aprile 2010
vori a gruppo hanno toccato i seguenti punti:
• scuole elementari e scuole dell’infanzia: ci sono grandi difficoltà
nelle famiglie e di riflesso è sempre più difficile alimentare dei
rapporti proficui tra la scuola e i
genitori; cresce il numero di
bambini problematici e i nuovi
docenti non vengono formati
adeguatamente per seguire questi
casi. Il “valore” sta nel “voler bene” a questi bambini e a questi
genitori dimostrando ascolto; tra
le proposte quella di diffondere le
“scuole per genitori”, con sinergie
tra enti locali e parrocchie.
• Scuole medie: i problemi della
scuola primaria si riportano al
settore medio, aggravati senz’altro dal momento difficile
dell’adolescenza. I docenti hanno denotato che si assiste a una
preoccupante incapacità di progettualità e a un vuoto di contenuti valoriali. Un altro punto
dolente è la difficoltà – o la
mancanza di desiderio – di molti
docenti nell’instaurare una relazione veramente educativa con
gli allievi, che porta il docente a
volte a non “mettersi in gioco”, a
rinunciare a essere una presenza
autorevole ma anche aperta alla
realtà dei ragazzi. I “valori” allora sono: accoglienza, ascolto, sapersi mettere in gioco, disponibilità, maggior corresponsabilità
con gli altri docenti, parlare della realtà, essere autorevoli ma
anche aperti alle situazioni in
cui gli allievi vivono (es. nuove
tecnologie).
Secondo noi non basta essere
semplici docenti, bisogna essere
anche educatori che si aprano
insieme ai ragazzi alla realtà che
ci circonda. La scuola non può
far finta di nulla di fronte a questa crisi, ma anche il mondo politico deve dare una mano, perché i docenti possano avere più
tempo e più risorse per dedicarsi
ai ragazzi.
• Scuole superiori: è importante
approfondire il discorso del docente che diventa un interlocutore indispensabile capace di dare valore e dignità a ciò che si fa.
Con le nuove tecnologie molti
giovani sembrano vivere in un
mondo parallelo, disincarnato e
vuoto. Occorre ripartire da un
patto educativo, solidale, in cui
tutti lavorino insieme. Come docenti cattolici è poi fondamentale che sappiamo testimoniare cosa significa credere ed essere
Chiesa, perché per molti giovani
la Chiesa è un’ agenzia che ti impone delle cose.
A conclusione del momento assembleare, il p.p. Perugini ha sintetizzato l’importanza di una presenza di
docenti significativi lanciando un
forte richiamo: “Pensate ai vostri
docenti del passato: quali figure vi
sono rimaste impresse? Quali sono
state significative e perché? Riflettendo su questo capirete quali sono i veri
valori. E poi avete un incredibile va-
lore aggiunto: essere cristiani, cioè di
Cristo. E essere di Cristo dà un
enorme di più”!
Il prossimo appuntamento della rete docenti sarà a inizio settembre,
mentre è stato aperto il sito
www.retedocenti.net
che nelle prossime settimane diventerà sempre più operativo.
In conclusione: possiamo dire che i
veri valori per la nostra scuola sono
anche i docenti stessi, docenti che
devono essere una presenza autorevole e disposta a giocarsi in un rapporto educativo e non solo didattico di trasmissione di conoscenze.
Per realizzare questa sfida occorre
rimboccarsi le maniche e costruire
insieme ai colleghi, superando quello strano individualismo che si aggira nelle nostre scuole, mentre la
realtà impone collaborazione e
apertura.
Rete docenti cattolici
Appuntamenti per le famiglie
• 29 maggio 2010 c’è l’incontro continuativo
“Famiglia, sorgente di comunione”.
Approfittando dell’arrivo della primavera ci sposteremo a Quinto.
Seguono le informazioni, ma voi intanto riservatevi la data...
pranzo compreso!
Responsabile: Luigi Maffezzoli
• 5-6 giugno 2010 c’è il week-end dell’amicizia a Camperio.
Si tratta di un week-end di svago e vacanza!
Noi ci saremo, speriamo ci sarete anche voi. Anche per questo
ci serve una preiscrizione. Potete iscrivervi telefonando
allo 091 950 84 64 o mandando una mail a:
[email protected]
Redazione-Amministrazione
Corso Elvezia 35
6900 Lugano
Telefono 091 950 84 64
Fax 091 968 28 32
[email protected]
CCP 69-1067-2
Un caro saluto a tutti e a presto!!!
Redazione
Davide De Lorenzi
Chiara Ferriroli
Isabel Indino
Chantal Montandon
Carmen Pronini
Abbonamento annuo fr. 25.–
Sostenitori fr. 35.–
TBL Tipografia Bassi Locarno
Aprile 2010 Spighe 13
riflessioni
Il Risorto ci invita a fare la nostra parte
Oltre le porte chiuse
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano
i discepoli per timore dei giudei, venne
Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse
“pace a voi”! detto questo, mostrò a
loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: “pace a
voi! Come il Padre ha mandato me,
anch’io mando voi”. (Giovanni
20,19-21)
Attraverso le porte chiuse: ci colpisce sempre questo particolare del
Risorto, che raggiunge il gruppo dei
discepoli serrati per paura e incredulità nel cenacolo. Offre la pace,
sta in mezzo a loro con una presenza luminosa, vuole portarli fuori,
dove si respira aria libera e si incontrano tante persone alle quali è
possibile annunciare la buona notizia della Vita più forte di ogni morte. In quel gruppo di discepoli,
chiusi per paura, vengono raffigurate anche le nostre comunità? Siamo
anche noi timorosi di dare buona
testimonianza di Gesù a quanti non
lo conoscono ancora, oppure a
quanti, avendolo conosciuto, non
sono forse molto convinti che valga
la pena lasciarsi incontrare da Lui?
In ogni caso il Risorto ci raggiunge
misteriosamente e ci chiede di aprire le porte chiuse dal nostro sentirci
a posto, dal ritenerci appagati della
nostra vita cristiana, dal pregiudizio
che tocchi sempre ad altri essere te-
stimoni ed annunciatori del Vangelo. Quello che sta più a cuore di una
comunità di cristiani che crede nel
Risorto, è proprio di poter annunciare il suo Vangelo. È il bene più
prezioso che abbiamo, vorremmo
annunciarlo, condividerlo con tutti
e con ciascuno.
Sappiamo che da parte di molti,
giustamente, si chiede alla Chiesa
di essere umana, comprensiva, misericordiosa, pronta ad aiutare con
le sue risorse spirituali, educative,
morali, di strutture. Noi però come
cristiani, che siamo Chiesa, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e fare la nostra parte.
Giuseppe Pesenti
Bellissimo questo numero di Spighe!!!
Peccato che non sono abbonato… 
…voglio però abbonarmi subito e ricevere ogni mese il giornale! 
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14 Spighe Aprile 2010
@
riflessioni
L’esempio e la testimonianza di padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia
E se ognuno fa qualche cosa…
“E se ognuno fa qualche cosa…”:
questa scritta luccica su alcune piastrelle di ceramica, a fianco della
Chiesa di san Gaetano in via Brancaccio a Palermo. Poco sopra il ritratto di un prete, padre Pino Puglisi, ucciso, poco lontano, dalla mafia
il 15 settembre 1993.
Nominato parroco di questo
quartiere popolare della città, in cui
nessuno voleva andare, padre Puglisi, accortosi del degrado, cominciò a costruire qualcosa di nuovo.
Egli aveva chiaro che non poteva
lui, con i suoi volontari, riscrivere
la storia dell’intero quartiere, risolvere tutti i problemi, estirpare la
malavita….
“Le nostre iniziative devono essere
un segno. Non è qualcosa che può trasformare il quartiere. Questa è un’illusione che non ci possiamo permettere.
È soltanto un segno per offrire altri
modelli, soprattutto ai giovani, e cercare di smuovere le acque. Ma non
dobbiamo illuderci: da soli non saremo
noi a trasformare Brancaccio. Lo facciamo soltanto per poter dire: dato che
non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche
cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto”.
Si deve riflettere su questa frase di
don Pino. Si deve intuire la portata,
la validità, la concretezza per ogni
situazione. Spesso ci ritroviamo di
fronte alla difficoltà di educare e far
maturare i nostri ragazzi. Però, senza illuderci di poter noi cambiare
tutto, siamo chiamati a dare semplicemente segni di novità, di un
modo diverso di vivere, di pensare,
di credere.
E se ognuno fa qualche cosa… sì
se ognuno di noi fa qualche cosa di
veramente evangelico nella sua vita
di tutti i giorni, tra le mura di casa,
sul luogo di lavoro, per la strada,
per le vie della nostra città… se
vinta la timidezza, se vinta la tentazione di lamentarci di un mondo
che va a rotoli, ognuno di noi ricominciasse proprio da sé, dalla sua
vita quotidiana a spargere segni di
una vita diversa, nuova, più umana,
di una fede viva… allora sì che potremo fare molto.
Se ognuno di noi rompesse la
tentazione dell’individualismo o lo
scoraggiamento, o il sentirsi inutile
e buono a poco e si dedicasse alla
comunità non come il salvatore
della patria, ma come chi è disponibile a fare semplicemente qualche
cosa… allora sì che potremo fare
molto.
Concludo con queste altre belle
parole di don Pino. “Venti, sessanta,
cento anni… la vita. A che serve se
sbagliamo direzione? Ciò che importa
è incontrare Cristo, vivere come Lui,
annunciare il Suo Amore che salva.
Portare speranza e non dimenticare
che tutti, ciascuno al proprio posto,
anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo”.
Giuseppe Pesenti
Aprile 2010 Spighe 15
G.A.B. 6600 LOCARNO 4
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il teologo risponde
Abusi sessuali frutto di criminosa omertà
Caro don Sandro, di fronte alla campagna scatenatasi contro la Chiesa sui casi
di abuso sessuale da parte di preti pedofili, la voce di Papa Benedetto si è alzata
chiara per condannare quanto accaduto. La lettera ai vescovi irlandesi è il
punto più alto. Ora però tocca ai vescovi di ogni diocesi non solo condannare,
ma prima di ogni altra cosa dimostrare con umiltà la loro vicinanza alle vittime
della violenza. Vittime che vanno cercate, incontrate, ascoltate senza “se” e
senza “ma”. Col solo desiderio di portare pace e riconciliazione.
Vi racconto un fatto capitato 50 anni
fa. Un bambino vedeva una sua vicina di
casa con un pancione e chiedeva lumi ai
genitori, i quali non gli davano risposta.
Finalmente lo stesso bambino, informato
dagli amici, portò la grande notizia a tavola: “Le hanno aperto la pancia e hanno trovato dentro un bambino”. I genitori montarono su tutte le furie, gli
picchiarono sulla bocca e gli ingiunsero
di mai più pronunciare parole così vergognose! Questo basta a indicare l’atmosfera di omertà, di incosciente silenzio, che
avvolgeva tutto il problema sessuale. Ci
sono spose che hanno vissuto l’incontro
matrimoniale come un terribile incubo
perché del tutto impreparate. Noi apparteniamo ancora alla generazione dei cavoli e delle cicogne, purtroppo. Gli abusi
sessuali che ci sono stati restano dei crimini, ma criminosa era anche l’“educazione” che si riceveva e l’omertà che era
la regola assoluta. Preti e religiosi coinvolti in queste turpi avventure sono relativamente poco numerosi per rapporto
ad altre categorie (familiari, docenti, allenatori) che pure erano coperte da una
16 Spighe Aprile 2010
corazza di impenetrabile omertà. Il colmo è anche che spesso le violenze sessuali venivano associate a quelle fisiche e
si faceva d’ogni erba un fascio. Ma mi
rendo conto che persone religiose per la
loro specifica missione sono particolarmente oggetto di reazioni negative là dove sono cadute in questi quasi inconcepibili abusi. Bisogna però applicare anche
qui la legge dell’amore. Innanzitutto per i
colpevoli (si noti però che molte accuse
sono campate in aria o frutto di atroci
vendette personali). Gli autori vanno
capiti, perdonati e aiutati a rinnovarsi.
Non vanno trattati come infami, maledetti, scomunicati. Chi li bolla così manca di umanità oltre che di carità. Prima
di alzare la pietra della lapidazione, ci si
interroghi sulle modalità di “formazione”
applicate in ambienti chiusi, accessibili
solo a maschi e dove il volto femminile,
che poteva apparire in TV, veniva sollecitamente velato, quasi fosse un’apparizione satanica. Degli individui sono stati
deformati da un ambiente manicheo,
sessuofobo, che condannava anche un
abbraccio di pace o una stretta di mano.
Prima di bollare a fuoco gli autori di questi misfatti, non dovremmo forse chiederci come mai sono stati provocati? Parliamo ora delle vittime, alle quali è stata
inferta una ferita indelebile. Nel mio
lungo ministero ho osservato che in genere le vittime, se crescono in un contesto familiare positivo e fondano una buona famiglia, superano signorilmente la
ferita. Capita però a volte che loro stessi
ripetano su altri le violenze subite. Ritengo indispensabile far circolare molta
aria fresca in seminari e noviziati, curando un’apertura al mondo che va conosciuto, apprezzato, confortato. I candidati che hanno la grazia di lavorare per i
poveri, per i malati, per i carcerati, o in
terra di missione, oppure che assumono
per un certo periodo un lavoro in un’officina, in una fabbrica, sono aiutati di più
nel rafforzamento delle loro scelte che da
lunghi anni di studio passati in un ambiente sterile. È anche auspicabile che
chi ha fatto dei voti ma non si sente più
di prolungarli, possa rimanere in un contesto di lavoro ecclesiale confacente alla
formazione ricevuta, senza sentirsi bollato di apostasia né sentirsi sospinto a vivere una doppia vita pur di assicurarsi il
pane quotidiano. La problematica è vasta e i veli da sollevare sono parecchi. Se
non lo si vuole fare si rimane in una situazione di grave ipocrisia.
don Sandro Vitalini
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2010_04_aprile - Azione Cattolica Ticinese