Verona è
Quinta Parete
www.quintaparete.it
cultura e società
Anno 1° - n. 1 Ottobre 2010
Direttore responsabile Federico Martinelli
Arte
Musica
Giochi di ruolo
Il rock d’autore di Mattia Pattaro Vr - Mi per Salvador Dalì
La testa piena di storie
L’artista veronese
si divide tra i Dioniso
e la nuova carriera
da solista.
Salvador Dalì. Il sogno si
avvicina all’interno delle sale
di Palazzo Reale a Milano
fino al 30 gennaio.
Carta, matita ma soprattutto
portate la fantasia!
Viaggio alla scoperta di tre
avvincenti giochi di ruolo.
A pagina 3
A pagina 4
A pagina 8
Ne hanno viste di cose, questi occhi
Editoriale
Qualche giorno fa, alcuni colleghi,
dalle pagine di un grande giornale
d’informazione, raccontavano i dieci
anni del Grande Fratello, celebre
(ahimè !) trasmissione targata Mediaset. Dopo aver ripercorso l’evoluzione
del programma attraverso la sequenza
di conduttrici e inviati speciali, e aver
magnificato tutte le “celebrità” che,
una volta uscite dalla “casa”, hanno
avuto successo, l’articolo indugiava a
raccontare le novità della prossima
edizione. Che si preannunciano mirabolanti, eccezionali e uniche, talmente
uniche che sarà impossibile non apprezzare la qualità e la validità della
proposta. Questi sono i buoni motivi,
in virtù dei quali non dovremo perderci nemmeno una puntata della più
attesa trasmissione degli ultimi anni.
A detta loro. Ovviamente, tutto questo non può rispecchiare la nostra opinione né, tantomeno, l’opinione di
chi ha ancora un minimo di buonsenso e sa riconoscere ciò che valorizza l’individuo e ciò che invece lo
trascina nella volgarità più triste. Mi inquieta vedere tanta convinzione in colleghi che elogiano questo oltraggio
all’intelligenza umana. Siamo proprio
nel periodo della Volgarità, come diceva Giorgio Gaber: «La Volgarità. Sì,
volgarità di tutto e di tutti. La volgarità
degli oggetti, delle case, degli uomini,
del successo, del fare, del non fare,
delle parole, dei vestiti, delle facce, dei
gesti, delle risate. La volgarità degli uomini politici, dei funzionari, dei giornalisti, degli intellettuali, degli attori,
dei cantanti. La volgarità del mondo
intero...».
Noi di Quinta Parete non siamo, e
non saremo mai, compiacenti nei
confronti di chi fa un uso strumentale
dell’intelligenza delle persone.
Saremo sempre dalla parte di chi ama
la cultura, quella vera.
Segue a pag. 2
di Federico Martinelli [email protected]
A dieci anni dalla fondazione applausi per l’Avanteatro
Questi Baldi attori
La Compagnia Teatrale Einaudi-Galilei
Lo spettacolo Quel signore che venne
a pranzo ha sovvertito -involontariamente- questa rubrica. Fino a
fine agosto avevo già in mente
cosa trattare e di quali spettacoli
parlare. Inevitabilmente, mi sembra invece giusto soffermarsi su
questo spettacolo e in particolare
sulla compagnia teatrale che l’ha
messo in scena: Lavanteatro di
Avesa. Ne hanno viste di cose questi
occhi…settore del giornale più che
mai adeguato per questa analisi.
È difatti una decina d’anni che
seguo questa compagnia, e di
strada ne ha fatta parecchia. Sul
loro sito internet si legge: “La compagnia è nata nel 2000 in occasione
della festa della Comunità di Avesa,
borgo collinare di Verona in cui molti di
noi vivono, e dall'idea di riunire un
gruppo di amici e conoscenti presi "dalla
strada" per rappresentare una commedia
dialettale veronese, "I lavandari no' i
canta più", che ricordava la vita vissuta
dal borgo tanti anni fa, quando il mestiere dei lavandai era l'unico sostentamento economico della gente di Avesa.
Sotto la guida di un vero "maestro",
quale è Renato Baldi, siamo partiti per
gioco, inconsapevoli di poter salire su un
palcoscenico e recitare, ma animati da
grande spirito e da una crescente passione. Eravamo convinti che comunque
quella sarebbe stata l'unica esperienza
fatta insieme in questa attività ma invece
la passione profusa, la voglia di divertirsi e, perché no, il successo riscosso ci
hanno spinto a continuare; ed eccoci qua
sempre "in scena", pronti per nuove avventure”. Sul merito del regista,
Renato Baldi, vera anima del
gruppo, non possiamo che esserne convinti. E confermiamo.
Confermiamo perché lo stesso regista, ogni anno compie un vero
e proprio “miracolo” teatrale,
portando su un palcoscenico un
nutrito gruppo di liceali con l’altrettanto valida compagnia tea-
trale Einaudi-Galilei. Gruppo unito
ed affiatato che riesce a rappresentare, senza sbavature e con efficace bravura, i più difficili testi
della storia del teatro, strizzando
l’occhio alternativamente a produzioni dedicate al divertimento
e alla spensieratezza e a produzioni impegnate come Il Calapranzi di Pinter o La Panne di
Durematt. Ma tornando a
L’Avanteatro non possiamo non
sottolineare il percorso individuale di ogni singolo attore. Mi
ricordo, anche se ero giovane, i
primi spettacoli che pur essendo
gradevoli, mancavano di quel
ritmo e di quella sicurezza sulla
scena che sono propri dello studio
e dell’esperienza acquisita negli
anni. Mi ricordo i “primi passi”
del presidente Gianfranco Tognolini, ora attore convinto ed
equilibrato. Mi ricordo il salto di
qualità da Giulieta…l’ultima? a Il
signore va a caccia, fino alla definitiva consacrazione quest’anno
con Quel signore che venne a pranzo,
riuscito allestimento del gruppo
teatrale “amatoriale” Lavanteatro. Volete vederlo? Andate il 9
ottobre al teatro di Corbiolo
(VR). Volete seguire la compagnia? Leggete il nostro giornale,
consultate il sito internet www.lavanteatro.it
o
chiamate
045.91.71.10…ore pasti ! Così gli
rimarrà il boccone sullo stomaco
ma saranno orgogliosi di ricevere
il vostro plauso telefonico.
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cultura e società
Ottobre 2010
Saremo sempre contro chi antepone
alla cultura interessi personali o di secondo ordine.Volutamente, abbiamo
costruito il menabò del nostro giornale
con rubriche dedicate al teatro, all’arte,
ai libri, al cinema, alla musica. Alla cultura!
In testa a ogni sezione del mensile, abbiamo riportato battute di grandi film:
non è forse vero che «All the world is a
stage and all the men and women merely players»?
Troverete così Il re è nudo, graffiante
rubrica che tratterà gli argomenti più discussi del mese, Ne hanno viste di cose
questi occhi, riflessioni a posteriori dedicate al teatro, Verso l’infinito e oltre,
in cui gli appassionati di musica troveranno curiosità, interviste e considerazioni sui concerti, Visto abbastanza?,
analisi cinematografiche e consigli sui
film da vedere, È la stampa, bellezza…
che presenterà i nuovi libri in uscita e
– perché no? – vi consiglierà qualche
classico da rileggere e apprezzare. La
vostra lettura proseguirà con La televisione è dannosa come i narcotici, ironico e pungente spaccato sulla
televisione d’oggi, La vita non imita
l’arte, imita la cattiva televisione, tuffo
nell’arte e nelle proposte artistiche con
attenzione agli eventi sia maggiori sia
minori, Ho cercato di diventare qualcuno intervista-servizio che presenterà
un personaggio di particolare rilievo nel
mondo sociale, Houston, abbiamo un
problema, rubrica di viaggi, Serviti il
pasto cow boy, per gli appassionati del
settore enogastronomico.
E molte altre rubriche… Ma ora, buona
lettura !
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cultura e società
Mensile on-line
Edito da
Quinta Parete
Via Vasco de Gama
37024 Arbizzano di Negrar - Verona
Direttore responsabile
Federico Martinelli
Direttore Editoriale
Silvano Tommasoli
Autorizzazione del Tribunale di Verona
del 26 novembre 2008
Registro Stampa n° 1821
In redazione
Daniele Adami
Paolo Antonelli
Barbara Donatoni
Francesco Fontana
Federico Martinelli
Ernesto Pavan
Alice Perini
Silvano Tommasoli
Giordana Vullo
Realizzazione grafica
Barbara Donatoni
Primo piano
2
Il re è nudo
di Silvano Tommasoli [email protected]
I lavori stradali in città durano troppo a lungo. Eppure…
C’era una volta un re...
Oddio, non proprio un re, facciamo un vassallo, dai! Egli era
molto fedele al suo principe, che
da un tot di anni dominava sui
territori di Nordestia, ma minacciava che un giorno avrebbe fatto
una bella secessione dallo stato
centrale e i suoi sudditi sarebbero
diventati tutti svizzeri. No, non
solo puntuali e ordinati come
sono gli elvetici. Che pagano le
loro brave tasse e non gettano
nemmeno le cicche per terra, e
poi fanno per bene tutte quelle
cose che a noi italiani fanno sballare dal ridere. Avete presente
fermarsi davanti alle strisce pedonali per far attraversare uno di
quei matti che si avventurano a
piedi per la strada? O anche mettersi ordinatamente in fila davanti allo sportello postale per
pagare un divieto di sosta, magari preso fermandoci un attimino
in seconda fila, giusto il tempo
per fare l’ape con gli amici? Ecco,
gli svizzeri sono quelli lì, immeritatamente famosi per il cioccolato, che noi li freghiamo anche
su quello («Sfizzero? No, Novi».
Mah!)
Tutti svizzeri, dunque. Per schiarirsi le idee, il vostro novelliere
prese l’auto e fece un giro per Verona, la città del vassallo. Giù per
Corso Milano, lavori di rifacimento e allargamento sede stradale e costruzione di una mezza
dozzina di rotonde. Tempo previsto dall’impresa, un semestre
circa. Tempo reale di traffico incasinato, almeno tre volte tanto.
Quando poi riaprono le scuole,
Corso Milano sarebbe una via di
grande traffico, ma… Ma non
per proseguire verso Castelvecchio, perché Piazza Corrubbio
era sbarrata da un anno per risistemare giardini e parcheggio,
con previsione di altrettanto
tempo. Piazzetta Santi Apostoli
era chiusa per lavori da quanto?
Facciamo due anni, tanto per
gradire? E del Lungadige dei Capuleti è meglio non parlare. Intanto, gli omini che, seduti sui
loro sgabelletti martellavano sui
san pietrini per piazzarli a mano
uno per uno, da tre mesi buoni
tenevano chiusa la Via Zambelli.
Piazza San Nicolò, per lavori che
si sarebbero potuti eseguire in
sette-giorni-sette, era rimasta sottosopra almeno dieci volte tanto.
E qualche persona di buon cuore,
di quelle che hanno per missione
il bene del prossimo, particolarmente se sofferente, si era dato da
fare perché fossero fatti questi
(inutili) lavori, che avevano comportato la cancellazione di ben
tre stalli auto per disabili. Che se
uno non può camminare, saranno stracavoli suoi, no? [Ma su
questo problema, ci torneremo,
tranquilli. Che tra un sagrato
brutto e inutile davanti a una
chiesa esternamente brutta – che,
architettonicamente,
sarebbe
quasi meglio demolire – e un
aiuto a chi è in difficoltà, gli uomini di buona volontà, quelli
veri, sanno che cosa scegliere,
no?]
Gli svizzeri, dunque. E il vassallo.
Che se Verona diventasse città
del quinto cantone svizzero,
quello lombardo-veneto, dovrebbe tagliare tante teste. Soprattutto la propria.
Infatti, recatosi quindici anni fa
nella lontana Berna, il vostro narratore, alla conclusione di una
“tre giorni” di lavoro, fu invitato
alla grande festa d’inaugurazione
della via principale della capitale,
la Kochergasse, che è il proseguimento della Bundesgasse, e porta
alla Biblioteca centrale, per intenderci. Una via lunga alcuni chilometri, forse cinque, che era stata
scavata per una profondità di tre
metri e rifatta completamente,
sottoservizi inclusi, come si usa
tra gli svizzerotti ogni venti anni.
Forte della sua esperienza di
uomo che veniva dalla culla della
civiltà e da una città patrimonio
dell’umanità, egli esplose in una
sonora risata, chiedendo se i lavori stradali fossero durati meno
di sette anni, tempo medio prevedibile per un simil impegno in
terra italiota. Candido candido, il
suo interlocutore rispose che no,
gli operai per quel “soli” cinque
chilometri di centro cittadino
avevano lavorato tre mesi, ventiquattro ore il giorno e in moltissimi, contemporaneamente. Con
martelli pneumatici silenziati (e
silenziosissimi davvero!) e alla
luce delle fotoelettriche. Tre mesi
di disagio! Normale, no?
Ecco, qualcuno glielo faccia presente al vassallo. Che gli svizzeri
prenderanno a calci nel posteriore anche gli uomini del principe e il vassallo stesso come
extracomunitari qualsiasi, se non
si adegueranno alle loro semplici
regole al servizio della comunità.
Qualcuno si era accorto che il
vassallo che governa la città crede
di essere elegantissimo e invece
gira tra i cantieri del centro completamente nudo?
Verona è
Quinta Parete
cultura e società
Ottobre 2010
Musica
Verso l’infinito e oltre
Biografia
di Francesco Fontana [email protected]
L’artista veronese si divide tra i Dioniso e la nuova carriera da solista
Il rock d’autore di Mattia Pattaro
Mattia Pattaro è un giovane cantautore veronese che, dal 2009,
dopo più di dieci anni con il
gruppo Dioniso, ha scelto di intraprendere anche una carriera
artistica da solista con il nome
d’arte di Colore. Mattia, strumentista e cantante, ha iniziato giovanissimo a scrivere canzoni: «Per
me scrivere» spiega «è un’esigenza fisica, una spinta che
arriva da dentro, troppo
forte per essere contenuta,
che deve essere espressa a
ogni costo. Non mi sono
mai imposto di scrivere
canzoni di un genere piuttosto che di un altro» prosegue il cantautore «e tanto
meno di scegliere i momenti nei quali comporre.
Di solito prendo in mano la
chitarra o mi metto davanti
al piano e provo a vedere
cosa nasce ma, ultimamente, ho sperimentato
anche la composizione
senza il riferimento dello
strumento musicale: diciamo che dopo molti anni di
pratica pretendo un po’ di
più da me stesso».
Gli anni passati con i Dioniso hanno portato Mattia
(voce e chitarra del gruppo)
a ottenere grandi soddisfazioni.
«Abbiamo avuto il privilegio»
racconta il cantante «di essere
scelti come band di supporto di
artisti come, tra gli altri, Zucchero, Max Pezzali, Formula Tre,
Angelo Branduardi e Le Vibrazioni. Avere la possibilità di
aprire i concerti di questi “big”
della musica è stato davvero
molto gratificante dal punto di
vista personale e artistico».
La consacrazione per il gruppo
arriva nel 2006, quando i Dioniso
pubblicano il loro primo album
titolato Dalla mia camera che, oltre
all’ampio riscontro e compiacenza da parte di critica e pubblico (i magazine Rockstar, Tribe
e Rolling Stone recensiscono entusiasticamente l’album), riceve
anche da Fnac Italia il riconoscimento come “Rivelazione indipendente 2006”. Il gruppo si
aggiudica anche numerosi altri
premi e i pezzi dei Dioniso in-
iziano a essere trasmessi anche da
importanti emittenti radio come
“Radio Due”, all’interno della seguitissima trasmissione “Viva
Radio Due” condotta da Fiorello,
“Radio studio più”, “Radio
Verona”, “Radio Adige” e altre
stazioni locali. I videoclip di Un
gran bel film e Come tutto il resto
non è entrano anche in rotazione
su canali televisivi nazionali quali
All Music, Videoitalia e Musicbox.
L’esordio da solista si apre per
Colore con un’importante opportunità: le selezioni finali del Festival di Sanremo 2010. Mattia si
presenta con Se solamente, un bel
pezzo melodico accompagnato
da un toccante testo ispirato a
una storia vera. Spiega il cantante: «Alle selezioni finali ho
ricevuto i complimenti di tutta la
commissione artistica ma, nonostante questo, non sono stato selezionato per far parte dei sei
finalisti che hanno raggiunto il
palco dell’Ariston». Il singolo Se
solamente viene poi pubblicato
con la produzione artistica dello
stesso Colore e di Sandro
Franchin, già collaboratore di
musicisti del calibro di Tiziano
Ferro, Vasco Rossi e Simply Red.
Mattia, parlando degli artisti che
hanno influenzato il suo modo di
3
vedere e scrivere la musica racconta: «Sono appassionato della
musica britannica in genere e dei
cantautori italiani come, ad esempio, Battisti, del quale ho tutti gli
album. Potremmo dire che il mio
genere è una sorta di “rock d’autore”.
Parlare di questi “grandi” del passato spinge a una riflessione sul
momento, piuttosto triste,
del panorama musicale
italiano, caratterizzato, almeno per quanto riguarda
i grandi palcoscenici, da
un drammatico vuoto
artistico. «Attualmente le
case discografiche» afferma Colore «alla qualità
preferiscono il prodotto
commerciale, quello che
risponde a requisiti di
vendibilità. Si predilige investire su cantanti, magari
neppure musicisti, usciti
dai vari talent show. Io
penso che in Italia ci
sarebbe la qualità e la
gente avrebbe voglia di ascoltare musica di buon livello, differente da quella
imposta: da qui si spiega il
perché il pubblico di
fronte a un concerto di De
Gregori, per fare un
nome, rimane a bocca aperta. La
qualità media che ci viene proposta da radio e televisione ci ha
disabituati, purtroppo, ad ascoltare musica di un certo valore».
«La mia soddisfazione» racconta
«è quella di sentire che alla gente
piacciono le mie canzoni. Se persone, non solo di Verona, che magari hanno ascoltato un singolo o
hanno visto un videoclip, mi contattano per complimentarsi e acquistano l’album sui portali di
vendita digitale significa che il
mio prodotto è apprezzato».
Prosegue Mattia: «A settembre
2009 abbiamo suonato al Teatro
Romano per l’iniziativa benefica
“Artisti Uniti per Verona” e successivamente, a maggio di
quest’anno, ho avuto la possibilità
di esibirmi davanti a una Piazza
Brà piena di spettatori per la
rassegna musicale “Dolci note”.
Da veronese quale sono è stato
Mattia Pattaro, in arte Colore,
nasce a Verona nel 1983. Si avvicina alla musica ascoltando il rock
and roll inglese e il cantautorato
italiano e a 14 anni fonda la sua
prima e unica band: i Dioniso.
L’autore della maggior parte dei
brani del gruppo è proprio Mattia,
aiutato dalla penna del fratello
Ricky. I Dioniso (Mattia Pattaro,
Ricky Pattaro, Tommaso Franco,
Giovanni Scarlata e Alessandro
Chesini) pubblicano nel 2006 l’album d’esordio: Dalla mia camera,
che acquisisce forte credibilità e
compiacenza tra critica e pubblico.
Molti artisti quali Zucchero, Le Vibrazioni, Max Pezzali, New Trolls
e Gemelli Diversi scelgono infatti il
gruppo come band di supporto per
i loro concerti.
Nel 2010 Mattia, assumendo il
nome d’arte di Colore, si presenta
alle selezioni di Sanremo, raggiungendo, con il pezzo titolato Se solamente, le selezioni finali per la
categoria “Nuova Generazione”.
Se solamente, pubblicata assieme alla
splendida b-side Per metà, è anche il
singolo di debutto per la nuova carriera artistica da solista di Mattia.
Partecipazioni
e riconoscimenti
I Dioniso vincono premi quali il
“Cornetto Free Music Festival”, lo
“Jesolo Music Festival” e il
“Bologna Music Festival”.
locali
emittenti
Moltissime
trasmettono i primi due singoli
dell’album d’esordio. I videoclip di
Un gran bel film e Come tutto il resto
non è entrano in rotazione sui
canali televisivi All Music,
Videoitalia e Musicbox.
Il gruppo partecipa come ospite al
programma televisivo di Raidue
“Freedom” con un live set.
L’album “Dalla mia camera”
viene premiato da Fnac Italia
come rivelazione indipendente
2006.
davvero un piacere cantare in
contesti simili, nella mia città e
davanti a un pubblico così numeroso».
In conclusione l’artista parla dei
suoi progetti futuri: «A settembre
inizierò una nuova collaborazione
con “Altoparlante”, un promotore
discografico di Torino, e nel 2011
tornerò probabilmente alle selezioni di Sanremo con una
nuova canzone, fiducioso di poter
raggiungere le finali».
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Musica/Arte
4
La musica fa viaggiare
senza partire | La musica fa capire
ciò che vuoi capire.
Litfiba
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana [email protected]
La stagione della musica moderna in Arena chiude con Peter Gabriel. A novembre Anna Oxa al Filarmonico
“L’estate musicale” continua a Verona
L’estate di Eventi Verona è stata
ricchissima di appuntamenti musicali. Nelle suggestive location di Verona e provincia grandi artisti
hanno dato luogo ad una stagione
di grande spessore artistico che ha
avuto uno dei suoi capitoli più prestigiosi il 26 settembre, con Peter
Gabriel in Arena
Il Teatro Romano è stato il palcoscenico oltre che del discutissimo
quanto atteso concerto di Morgan
del 15 settembre, preceduto dalle
polemiche suscitate da alcune dichiarazioni del cantate che hanno
messo a rischio lo svolgimento dello
spettacolo, anche di altre esibizioni.
Il 3 settembre Elio e le Storie
Tese, con la loro raffinata tecnica
affiancata alla consueta ironia,
hanno aperto la rassegna “Cantautori Doc” che è proseguita il 9 settembre con lo spettacolo di
Gianrico Carofiglio “Le notti
dell’avvocato Guerrieri”. I Nuovi
Cedrini, supportati dalla “Ottovolante orchestra” di Mauro Ottolini,
hanno presentato il 6 settembre il
loro “Casarotti & Fred” (un tributo
a Fred Buscaglione).
Al Castello Scaligero di Villafranca
si sono esibiti invece i percussionisti
Tambours du Bronx e i Litfiba
che, dopo quasi dieci anni, sono
tornati dall’11 settembre 2009 alla
formazione originale con la voce di
Piero Pelù e la chitarra di Ghigo
Renzulli presentando il nuovo
album live “Stato Libero di Litfiba”.
Il prestigioso palcoscenico dell’Arena è stato senza dubbio il contesto nel quale si sono esibiti gli
artisti maggiori. Ennio Morricone, maestro assoluto per le colonne sonore di molti film
internazionali, dopo sei anni dall’ultimo concerto in Arena è tor-
nato a Verona per la sua unica data
italiana. Domenica 12 settembre è
stata la volta di Fiorella Mannoia che si è esibita in Arena presentando il suo nuovo progetto
discografico “Il tempo e l’armonia”.
Lo spettacolo più prestigioso è stato
senz'altro quello del 26 Settembre
con Peter Gabriel che ha scelto Verona per la sua unica data italiana
del suo “New Blood Tour”. L’eclettico musicista britannico, ex cantante e fondatore nel 1966 dei
Genesis oltre che organizzatore di
numerosi festival musicali a partire
dagli anni Ottanta, ha presentato il
suo nuovo album “Scratch My
Back”, composto di dodici pezzi incisi utilizzando strumenti orchestrali e voce, accompagnato da
un’intera orchestra priva però di
chitarre e batteria.
Lunedì 22 novembre è in pro-
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Federico Martinelli [email protected]
gramma al Teatro Filarmonico di
Verona il concerto di Anna Oxa
che, dopo quattro anni di lontananza dai palcoscenici, torna ad
esibirsi raccogliendo nella nuova
tournee i successi del passato affiancati alla presentazione del
nuovo album “Proxima” in vendita
dal 28 settembre.
Quelli che non vogliono imitare
qualcosa, non producono nulla.
Salvador Dalì
L’arte del genio del surrealismo sbarca a Milano
Da qui a lì. Vr - Mi per Salvador Dalì
Si potrà ammirare (nel vero
senso della parola) fino al 30 gennaio, la mostra Salvador Dalì. Il
sogno si avvicina all’interno delle
sale di Palazzo Reale a Milano.
A distanza di oltre cinquant’anni
torna, nelle stesse stanze di allora, l’arte finemente geniale e
surreale dell’artista scomparso
nel 1989. Cinquantasei opere esposte e un catalogo finemente
curato fanno da corredo alla
vera grande mostra-evento della
stagione. Arte pittorica ma
anche video-sorprese e inaspettate riproduzioni; tutto questo
accoglierà lo spettatore che non
sarà passivo fruitore delle opere
esposte ma diverrà protagonista
assoluto dell’evento, grazie alla
speciale riproduzione di una
stanza in cui l’osservatore sarà
accompagnato a sedersi immedesimandosi totalmente nell’arte e nel pensiero di Dalì
stesso. Veri e propri simboli
dell’arte moderna abbrancheranno (per usare un termine altamente futurista- non me ne
vogliano i surrealisti) il visitatore:
dal divano a forma di labbra agli
orologi disciolti, dai giochi di luci
e ombre ai volti e agli animali infuocati. Arte e coinvolgimento
ma anche un aspetto particolare
e ai più pressoché sconosciuto.
Dalì ha difatti collaborato con
Walt Disney alla creazione del
cortometraggio Destino. Sarà
quindi l’evento di Milano un’occasione per vedere, per la prima
volta, questo prodotto artistico di
recente completato dai Walt Disney Animation Studios utilizzando le tavole originali di Dalì.
Numerosi anche le stanze in cui
poter assistere a documenti rari
e inediti in cui ascoltare interviste e contributi dell’artista
spagnolo.
Info
22.09.2010 - 30.01.2011
Palazzo Reale
Piazza del Duomo, 12
20122 Milano
Tel. 02 875672
www.mostradali.it
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Ottobre 2010
Teatro
5
Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve
di Federico Martinelli [email protected]
Compagnie veronesi e non per la rassegna di Borgo Roma
Teatro Aperto: al via la stagione
Tra i primi teatri di Verona a inaugurare la stagione invernale c’è
quello di Santa Teresa con la
rassegna Teatro Aperto, a cura del
Circolo Culturale di Tombetta.
Quattro appuntamenti il mese di
ottobre e tre il mese di novembre,
questa l’anticipazione per i nostri
lettori. Il sipario si aprirà, dopo la
pausa estiva, sabato 9 ottobre
alle 21.15, con lo spettacolo I
Rusteghi, di Carlo Goldoni, messo
inscena dal gruppo Teatro d’arte
Rinascita di Treviso. Lo spettacolo -con i suoi colpi di scena- ritrae
magnificamente
la
contrapposizione tra giovani e
anziani, restituendo uno degli
scenari tipici della società del’epoca. Prosegue, il sabato successivo, la nostrana Piccolo Teatro
del Garda con El moroso de la nona
di Giacinto Gallina. Trama fitta
ed intricata anche per questo
testo, ambientato in una casa di
un gondoliere veneziano, sposato
a ritrattare e a dire di aver sognato. E ora rischiano l’arresto
perché la polizia crede che abbiano ritrattato per paura ma
anche una querela dei vicini. Nel
mese di novembre, dopo il successo estivo torna l’Estravagario
Teatro con il divertente testo di
Ken Ludwig Inganno in gonna (6
novembre) e Gli insoliti noti con
il testo di Donato de Silvestri, Un
cretino per l’onorevole. Un cartellone
ricco di spettacoli, che non
mancherà di accontentare tutti
gli appassionati dei vari generi,
anche nei mesi successivi in cui
proseguirà la rassegna.
in seconde nozze e diviso tra una
famiglia di giovani innamorati e
anziani e burberi zii. Sarà poi il
turno de La Maschera con l’originale testo tratto da Moliere Le
furbarie di Scapin, testo ispirato
all’amore, sentimento molte
caratteristico nelle opere dello
scrittore
e
drammaturgo
francese. Chiude il mese di ottobre il Piccolo Teatro al Borgo con Le
voci di dentro, di Eduardo de Filippo in cui i due fratelli protagonisti, credendo di aver assistito a
un omicidio e avendo denunciato
i loro vicini di casa, sono costretti
Info
Teatro di Santa Teresa
Via Molinara, 23
37135 Verona
Tel. e Fax 045 508380
www.teatrosantateresa.org
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cultura e società
Ottobre 2010
Libri
6
É la stampa, bellezza
di Ernesto Pavan [email protected]
Dalla Campagna di Russia all'oppio: come le piccole molecole hanno influenzato i grandi eventi
La storia in provetta
La leggenda vuole che l'esercito di
Napoleone sia uscito massacrato
dalla Russia per via dei bottoni
delle uniformi: fatti di stagno, che
si polverizza a temperature molto
basse, col freddo sarebbero letteralmente svaniti, lasciando i soldati ad
affrontare l'inverno coi cappotti
aperti. Questa è appunto una leggenda; tra le vere ragioni della disfatta potrebbe esserci la scarsità di
vitamina C, che provoca sofferenza
e pazzia, o l'eccessiva quantità di
alcaloidi (le stesse sostanze contenute nell'oppio, nella morfina e
nella cocaina) consumati dai soldati
attraverso la segale cornuta da cui
ricavavano la farina. L'obiettivo de
I bottoni di Napoleone è appunto spiegare il modo in cui in cui piccole
molecole hanno dato luogo a eventi
storici di portata mondiale; obiettivo che, ci sentiamo di dire, i chimici Le Couteur e Burreson hanno
raggiunto con grande abilità.
Il saggio tratta di diciassette sostanze, fra cui il fenolo (alla base
della produzione della plastica, ma
anche primo agente sterilizzatore
usato in chirurgia), la capsacina (la
molecola responsabile del sapore
piccante del peperoncino e, di conseguenza, una delle cause del colonialismo) e la seta, con uno stile
divulgativo chiaro e piacevole; non
è necessaria alcuna conoscenza di
chimica per godersi l'opera, dal
momento che i termini tecnici sono
pochi e spiegati o nell'introduzione
o man mano che vengono usati.
Storia e scienza si intrecciano senza
soluzioni di continuità, evidenziando come una singola scoperta
sia in grado di cambiare il mondo
in meglio o in peggio: è sorprendente apprendere come dalla coltivazione dell'olivo derivarono la
grandezza e la decadenza della
Grecia classica e venire a conoscenza delle basi chimiche, sociali
ed economiche di questi fenomeni.
Non abbiamo trovato nulla da eccepire nell'edizione italiana: la traduzione è ottima, i refusi
praticamente assenti e l'aspetto grafico ben curato.
Penny le Couteur e Jay Burreson,
I bottoni di Napoleone, Tea, pp. 408,
€ 10,00
Quando gli americani divennero supereroi e affrontarono McCarthy
Una mano di Assi e Joker
Wild Cards è un perfetto esempio di
pastiche: universo letterario creato da
alcuni fra i maggiori autori di genere statunitensi (George Martin,
Roger Zelazny, Chris Claremont,
Walter Jon Williams e molti altri),
fonde in sé generi diversi come
l'ucronia, la fantascienza, le storie di
supereroi e il giallo. L'origine è il
primo volume della serie, il cui
spunto è un virus alieno che contamina gli Stati Uniti del secondo dopoguerra: come carte estratte a caso
da un mazzo, i sintomi dell'infezione
sono casuali e variano da individuo
a individuo, trasformando alcuni in
mostri (Joker) e conferendo ad altri
poteri favolosi (Ace). Ciascuno degli
autori coinvolti nel progetto contribuisce al volume con un racconto,
dando al lettore molti punti di vista
differenti sull'universo immaginario:
accanto alla storia del mostruoso
Gargoyle, vittima di una delle mutazioni più bizzarre, si trova il resoconto dell'amaro ritorno a casa di
Jetboy, eroe di guerra chiamato a
compiere un'ultima missione, e la
denuncia di come gli ideali della
Costituzione americana siano facili
da dimenticare nei momenti di crisi
attraverso il racconto dell'ascesa e
della caduta dell'agente governativo
Golden Boy. Storie di tono diverso,
dunque, ma senza che venga mai
meno un certo impegno di fondo,
eco di quello che spesso si vede sulle
pagine dei fumetti di genere.
L'editing di Martin garantisce la con-
tinuità dei racconti, di cui tuttavia è
d'obbligo segnalare la qualità altalenante: forse a causa della stretta vicinanza tra le opere dei “grandi” e
quelle di autori meno dotati, abbiamo avuto l'impressione che alcuni abbiano lavorato abbastanza
pigramente, attingendo a piene
mani a cliché e stilemi inflazionati,
mentre altri ci abbiano messo maggiore impegno.
L'edizione italiana presenta scelte di
traduzione discutibili e un certo numero di refusi, che per fortuna non
danneggiano troppo la lettura. Il volume è cartonato con sovraccoperta,
di grande formato.
Wild Cards è una serie di genere, non
consigliabile a chi vedere questo tipo
di letteratura come un puro strumento di evasione; lo è certamente,
ma dare un giudizio netto è difficile,
visto che gli autori sono molti e con
stili molto diversi. Questo è il punto
di forza e, assieme, la debolezza dell'opera.
George R.R. Martin e altri, Wild
Cards, Rizzoli, pp. 566, €16,00
Carta rubata alle ritirate
Ovvero i libri da non comprare
assolutamente. Cominciamo
con la saga de La Ruota del
Tempo di Robert Jordan: lo stile
non è malvagio, ma è tutta roba
già vista e per di più è incompiuta causa morte dell’autore (il
che rende l’uscita dell'”ultimo”
volume, a pochi mesi dal triste
evento, e quella dei successivi
già previsti, alquanto sospetta).
Risparmiate i soldi per comprare qualcosa di più meritevole e, magari, che non superi i
dieci volumi.
Può sembrare una bestemmia,
eppure è vero: Nessun dove di
Neil Gaiman, da molti considerato un classico della letteratura
fantastica, è un concentrato di
idee banali, descrizioni frettolose, personaggi bidimensionali
e soluzioni ovvie. Una grandissima delusione per chi ha conosciuto l’autore attraverso
Sandman, il geniale fumetto di
cui Gaiman scrive le sceneggiature, o altre sue opere quali
American Gods e Stardust. Etichettiamo Neverwhere come “errore
di gioventù” e pensiamo ad
altro.
Passando agli imbrattacarte nostrani, ci imbattiamo subito in
un grande nome e in un grande
titolo: Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti. È difficile dire
cosa sia peggio, se il tono da
finta denuncia (non si capisce di
cosa), le situazioni improbabili
risolte in modo improbabile, il
tentativo di sembrare un autore
“da giovani” usando l’organo
genitale maschile come intercalare assoluto, la punteggiatura
bizzarra o il finale da “son
cento pagine che non so come
andare avanti”. Da tenere accanto al WC.
Concludiamo con i classici
della letteratura-spazzatura: i
romanzi di Licia Troisi. Avete
presente il luogo comune secondo il quale la fantasy sarebbe un genere per bambini
con problemi di socializzazione? Nasce da opere come
queste, dall’idea che il lettore
non meriti dialoghi scritti come
si vede, trame che vadanno
avanti senza forzature, l’uso di
un Italiano corretto e qualunque altra cosa. Dal pensare, insomma, che si accontenti di
poco.
Verona è
Quinta Parete
cultura e società
Ottobre 2010
Giochi di ruolo
8
Nessun uomo è un fallito se ha degli amici
di Ernesto Pavan [email protected]
Tre giochi per tutti, dalle miserie dell'animo alle corti d'Arabia
La testa piena di storie
Mentre il colonnello Wilson bussava alla porta del Duca di
Wellington e il figlio da lui abbandonato contrattava il matrimonio
con una giovane borghese, un
neonato veniva deposto davanti al
convento di St. Catherine. In quel
momento sono arrivate le ordinazioni al tavolo, così abbiamo
fatto una pausa e discusso della
storia che stavamo vivendo.
Nella loro definizione più semplice, i giochi di ruolo sono giochi
nel corso dei quali i partecipanti
creano un immaginario condiviso
e, dialogando e seguendo determinate regole, lo esplorano e interagiscono con esso; non si usano
altri strumenti che la fantasia (e,
nella maggioranza dei casi, carta
e matita e qualche dado). Quello
a cui stavamo giocando noi era
Annalise (Narrattiva, € 29,90), attraverso il quale si dà vita a storie
di vampiri narrate dal punto di
vista delle vittime. Ciascun giocatore crea un personaggio definito
da una Vulnerabilità (quella del
colonnello era “Sono vulnerabile
perché tormentato dal senso di
colpa per la perdita dei miei uomini a Waterloo”) e da un Segreto, assegnatogli a caso fra quelli
creati da tutti (il più leggero dei
nostri era “Nessuno sa che sono
un trafficante d'armi”; gli altri
potrebbero offendere animi gentili). Il gioco si divide in tre fasi,
così riassumibili: l'introduzione di
ciascun personaggio; le vicende
che ne approfondiscono le personalità; il confronto col Vampiro
(che non è un personaggio e di cui
prima di questa fase non si
conosce l'identità). A turno, ciascun giocatore narra la storia dal
punto di vista del suo personaggio; un altro giocatore da lui
scelto gli fa da Guida, responsabile del resto del mondo immaginario; gli altri commentano e
danno suggerimenti. La durata di
ciascuna fase del gioco dipende
esclusivamente dalla volontà dei
partecipanti.
Naturalmente, non tutti i giochi
di ruolo sono così “pesanti” dal
punto di vista emotivo. Fra gli
altri vi è Lo Spirito del Secolo (Janus
Design, € 35,00), che prende ispirazione dalla letteratura pulp
"Scriverò un libro su foglie di fiori / [...]
Ti canterò accompagnandomi
con questo docile liuto, ti mostrerò
il Mondo / In tutta la sua vita,
quando ogni minimo grano di polvere
esalta la sua gioia"
William Blake
Dove trovarli?
Foto di Giulia Barbano
degli anni '20 e ha come protagonisti donne e uomini straordinari
che incarnano lo “spirito” di
quanto di buono avverrà nel “secolo a venire”. È un gioco molto
diverso da Annalise, relativamente
“complesso”, nel senso che i personaggi sono definiti da molte
qualità che hanno un riscontro
nelle meccaniche di gioco: Aspetti
(quello che “sono”), Abilità
(quello che “sanno fare”) e Stunt
(i modi in cui violano le leggi della
fisica, della probabilità e del pudore). A differenza di Annalise, inoltre, il ruolo di giocatore-guida
appartiene a una sola persona,
chiamata Game Master; tutti i
giocatori sono però chiamati a
contribuire al gioco, il cui sistema
consente a ciascuno di fare
dichiarazioni che, fatti salvi determinati requisiti, diventano parte
integrante della narrazione.
Queste dichiarazioni costano
Punti Fato, una valuta utilizzata
anche per attivare alcuni Stunt e
per ritirare i dadi o aumentarne il
risultato; i Punti Fato si recuperano all'inizio di ogni sessione, oppure – meccanismo interessante –
il Game Master può “attivare” il
lato negativo di un Aspetto di un
personaggio, spingendo il giocatore a farlo agire in un modo piuttosto che in un altro, in cambio
di un Punto Fato. La scelta non è
in alcun modo obbligata, ma rifiutare costa un Punto Fato. Giocare a Lo Spirito del Secolo,
insomma, significa stabilire un dialogo continuo fra giocatori e
Game Master per creare una storia ricca di azione e avventura; le
situazioni di conflitto, che si tratti
di uno scontro a fuoco o di stilettate verbali fra un brindisi e l'altro, sono gestite in modo agile e
dinamico, pur essendoci un buon
numero di opzioni tattiche, in
modo da produrre narrazioni alla
John Woo o alla Doc Savage.
Esistono anche giochi di ruolo
competitivi: uno di questi è Mille
e una notte (Narrattiva, € 22,90),
ambientato nella favolosa corte
del Sultano. Ciascun partecipante
crea un cortigiano, caratterizzato
attraverso brevi descrizioni sensoriali (“La mia pelle è liscia come
seta”, “Nessuno mi sente camminare”, “Vedo quello che gli uomini pensano”) e un'Ambizione
che vuole raggiungere a costo di
passare sui cadaveri degli altri.
Ognuno a turno narra una breve
storia, in cui gli altri personaggi
assumono i ruoli delle comparse,
cercando di metterli in imbarazzo
il più possibili; nel contempo,
ciascuno – tranne ovviamente il
narratore – può scommettere su
determinati esiti delle vicende
narrate dal cortigiano (per esempio dicendo “Chissà se il principe
ritroverà la sua sposa?”), costringendo quest'ultimo a scegliere se
risolvere l'esito e rischiare di far
guadagnare una gemma all'altro
- ma c'è anche la possibilità che
sia lui stesso a guadagnarla – oppure evitare di menzionare l'argomento.
Le gemme (dadi di ogni forma e
colore) sono utilizzate dai giocatori per conseguire le Ambizioni
dei personaggi, garantire la loro
Sicurezza contro la volubilità del
Sultano e permettere loro di conquistare la Libertà dall'oppres-
Non esistono negozi dedicati specificamente ai giochi di ruolo, anche
se molti rivenditori di giochi da
tavolo e di carte collezionabili ne
hanno un assortimento. A Verona ci
sono I Giochi dei Grandi (via San
Nicolò 5/B), un grande negozio
molto fornito, e Manicomix –
Games Academy (Circonvallazione
Oriani 2/C), mentre a Brescia si
può andare al Manicomix locale
(Corso Palestro 50/A), allo
Starshop (Piazzetta Tito Speri 4) o
a La Grotta di Merlino (via San
Faustino 54). I negozi esclusi da
questo elenco possono contattarci
per fornire i loro indirizzi ed essere
segnalati in futuro.
Si può anche fare acquisti direttamente dagli editori, attraverso i siti
web di Janus Design, Narrattiva e
Coyote Press (dei cui prodotti parleremo nelle prossime uscite). In
questo caso ci saranno da pagare le
spese di spedizione, ma l'intero
prezzo di copertina andrà all'editore, che è un bel modo di ricompensarne gli sforzi.
Una nota sui prezzi: possono sembrare alti, sopratutto viste le dimensioni dei manuali (Mille e una notte è
un libretto di 73 pagine in formato
A5), ma sono pienamente giustificati dalla scarsità delle tirature e dai
costi che gli editori devono
sostenere (diritti di traduzione,
stampa e spesso una grafica rinnovata). Inoltre, un gioco di ruolo non
è un libro: il suo valore sta nelle ore
piacevoli che si passano giocando a
esso con gli amici. Bisognerebbe piuttosto paragonarne il prezzo con
quelli dei giochi in scatola o dei
videogames, in confronto ai quali
questi giochi paiono addirittura
economici.
sione della corte. Mille e una notte
richiede dunque di mettere in
gioco la propria creatività e di
sapersi destreggiare all'interno di
trame in continuo cambiamento,
nonché buone capacità di valutazione tattica per valutare il rischio di concedere una gemma a
un avversario.
Se uno o più di questi giochi vi intrigano, date un'occhiata al box!
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cultura e società
Ottobre 2010
FuoriVerona
9
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Daniele Adami [email protected] e Alice Perini [email protected]
Comincia qui l’avventura del giovane 15 enne Arran Fernandez. Buona fortuna!
A Cambridge ci si allena… in matematica
I numeri non sono fondamentali
per la matematica
Ludwig Wittgenstein
L’ipotesi di Riemann ha un altro
sfidante. L’irrisolta teoria sulla sequenza dei numeri primi, considerata il più importante problema
aperto della matematica, occuperà presto i pensieri di Arran
Fernandez, ragazzo 15enne del
Surrey, contea dell’Inghilterra
sud-orientale. Tra qualche anno
però. Lasciamogli almeno il
tempo di “farsi le ossa” a Cambridge, la seconda migliore università del mondo in base alla
classifica stilata annualmente dal
Times (il primo gradino del podio
è occupato da Harvard).
Il giovane Arran è stato ufficialmente ammesso il 3 Settembre
scorso: meglio di lui fece soltanto
William Pitt il Giovane che, nel
lontano 1773, a soli 14 anni, diventò studente della prestigiosa
università inglese.
Cresciuto in Inghilterra da geni-
tori di origine latinoamericana, le
doti matematiche di Fernandez si
sono manifestate già in tenera
età. A soli 5 anni, all’esame di licenza elementare, ottenne il voto
più alto mai dato in matematica.
Forse non gli diede troppa importanza, dato che, all’epoca, il suo
sogno era di diventare un
camionista. Con il passare degli
anni, incalzato dai successi ottenuti, quel camion si è lasciato
raggiungere e poi sorpassare da
un treno carico di numeri,
equazioni e teoremi, tanto che
ora la matematica è diventata il
suo modus vivendi. Arran Fernandez, commentando la sua ammissione, così dichiara: “Ciò che
conta per me non è l’età, ma la
possibilità di confrontarmi con le
menti brillanti che studiano qui”.
Si tratta, infatti, della prima esperienza di studio collettivo per il
giovane matematico che finora
ha sempre avuto come precettori
i genitori, sostenendo gli esami da
privatista.
Una volta comparsa la notizia,
numerosi cronisti non hanno
perso tempo nel ricercare e riportare alla luce casi di altri giovani “geni” che, avviati sulla
strada della notorietà, non hanno
concluso la loro esperienza nel
migliore dei modi, tradendo le aspettative riposte in loro da molti,
in primis da genitori ambiziosi
che spingono i propri figli a rincorrere il successo fin da piccoli.
Vogliamo credere che non tutti i
genitori siano assetati di fama
tanto da assillare e costringere i
loro pargoli ad un’esistenza fatta
di sfide da vincere ad ogni costo.
Contro tutti. Senza guardare in
faccia a nessuno. Vogliamo invece credere che nella mente di
questi ragazzi viva un vero dono
di natura, un talento che non ha
bisogno di essere estratto con le
pinze e “dopato” all’estremo.
Una dote che li renda semplicemente felici di quello che sono e
di ciò che fanno. Ricordiamoci
della lezione di Socrate: con la
sua maieutica, l’arte della levatrice, si riproponeva di aiutare a
far emergere quel qualcosa che
già era dentro ogni uomo,
nascosto e che grazie all’esercizio
poteva affiorare e crescere.
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Ottobre 2010
Viaggi
10
Houston, abbiamo un problema
di Alice Perini [email protected]
Una proposta per viaggiatori avventurosi alla scoperta di una Sardegna insolita: Cala Goloritzè
Passo dopo passo, roccia dopo roccia: il mare
Le persone non fanno i viaggi,
sono i viaggi che fanno le persone
John Steinbeck
“Il viaggio è una specie di porta
attraverso la quale si esce dalla
realtà”: questo è il pensiero di
Guy de Maupassant, noto scrittore e viaggiatore francese del
secondo Ottocento. In quegli
anni, non dobbiamo dimenticarlo, viaggiare era il completamento della propria formazione
per i giovani benestanti, un’esperienza di arricchimento della
propria cultura. Maupassant
ebbe l’opportunità, grazie ai
proventi dei suoi libri, di essere
un viaggiatore solitario in età
adulta. Viaggiatore e non turista: perché il viaggiatore ha il coraggio di avventurarsi sul
sentiero di ghiaia o per strade
tortuose piuttosto di lanciarsi
sulle arterie a scorrimento veloce; perché la sua curiosità, sinonimo di un intelletto attivo, lo
porta a soffermarsi su ciò che
per lui ha il sapore del nuovo,
della scoperta; perché ha conservato il desiderio di farsi stupire e
la capacità di rimanere a bocca
aperta davanti agli “imprevisti”
della natura.
L’avventura di questo mese ci
porta in una Sardegna diversa
rispetto all’isola di sole spiagge
pubblicizzata dalle riviste. Con i
suoi 23.813 km², è la terza regione d’Italia dopo Sicilia e Piemonte: impensabile ridurla a
quello spicchio di territorio ribattezzato come “Costa Smeralda”, zona certamente amata
dai turisti ma che di sardo conserva ben poco. Preferiamo perciò allungare il nostro tragitto e
arrivare nell’Ogliastra, una delle
nuove province istituite con la
legge regionale 9 del 2001, e
punto di partenza per escursioni
indimenticabili.
Arrivare a Cala Goloritzè, la caletta forse più celebre che segna
il confine meridionale del golfo
di Orosei, con il suo arco e l’imponente guglia, è piuttosto impegnativo. Prima di tutto,
convincete la vostra auto: raggiunto il paese di Baunei, dovrà
dare il meglio di sé arrampicandosi per una strada tanto panoramica quanto tortuosa. Arrivati
all’altopiano del Golgo, un ambiente quasi lunare, si prosegue
per una decina di chilometri
prima di lasciar riposare la macchina al parcheggio di Su Porteddu. E ora tocca a voi:
equipaggiatevi di buon fiato e di
tanta forza d’animo per affrontare il percorso lungo circa 3.5
chilometri che separa il punto in
cui si lascia l’auto dalla vostra
agognata meta. La discesa verso
il mare cristallino vi terrà impegnati per circa un’ora e mezza,
contando qualche piccola sosta
per ammirare ciò che vi circonda: un paesaggio maestoso,
selvaggio, silenzioso. Non sentitevi solo circondati da pietre, ma
cercate di allargare lo sguardo
alla vegetazione, ai vecchi rifugi
e agli ovili dei pastori, di annusare i profumi della macchia mediterranea, di ascoltare il vento
o il rumore dei passi sul sentiero
di ghiaia. Viene quasi da chiedersi se percorrendo questa stradina si riesca a raggiungere il
mare: in alcuni punti non si vede
altro se non ciottoli. Eppure,
quando meno ve lo aspettate,
ecco che compare. Prima il blu
intenso, poi, più ci si avvicina
alla ripida scala in legno, ultima
fatica prima di tuffarsi nelle
acque cristalline, le varie tonalità
dell’azzurro. Il mare. La visione
ripaga tutte le fatiche del viaggio.
Prendetevi qualche ora per nuotare in questo specchio d’acqua
limpida. La spiaggia, di ciottoli
bianchi, è piccola, quasi a suggerire una sensazione di intimità
e accoglienza; alcuni scogli, an-
ch’essi di colore chiaro e levigati
dalle onde del mare, affiorano
dall’acqua trasparente, abitata
da piccoli pesci. Di tanto in
tanto il vostro sguardo diretto all’orizzonte incontrerà alcune
barche cariche di turisti in visita
alle calette del golfo di Orosei: la
barca si avvicina al famoso arco
per un momento, giusto il tempo
di permettere ai gitanti di scattargli una fotografia, di avvistare
la guglia e poi si riparte. Fortunatamente, nessuna imbarcazione può attraccare in questo
paradiso: si raggiunge in piccoli
gommoni o, ancora meglio, a
piedi. Se siete amanti dell’abbronzatura, vi conviene arrivare
alla cala già in mattinata, così da
potervi godere il sole finché,
verso le 15.30, non si sarà nascosto dietro alle imponenti pareti
sopra la vostra testa.
Una volta ritemprati dal contatto con la natura, vi rimane da
affrontare la parte più difficile.
Se prima siete discesi per un dislivello di 400 metri buoni, sappiate che ora il tragitto è tutto in
salita. Cercate di non guardare
troppo in alto, perché potreste
trovarvi davanti ad un sentierino
di sole rocce e ciottoli che si alza
e si alza davanti a voi. Guardate
piuttosto dove mettete i piedi: vi
aiuterà non solo a evitare brutte
storte ma anche a non spaventarvi per ciò che vi aspetta!
Valo
Valore
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cultura e società
Ottobre 2010
Sport
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Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami [email protected]
La morte di un giovane pilota non ha fermato lo spettacolo. Addio Shoya Tomizawa
Quando c’è in gioco la vita, lo sport...
Ogni gioco è anzitutto e soprattutto
un atto libero. Il gioco comandato
non è più gioco.
Johan Huizinga
Il pancration, negli antichi
giochi olimpici, era un tipo di
lotta corpo a corpo assai cruenta. Non di rado alcuni atleti
morivano durante i combattimenti. I corpi senza vita venivano proclamati vincitori per la
fama della loro terra natale. Il
Colosseo era stato edificato dai
Romani per sfide all’ultimo
sangue da offrire al popolo. E il
popolo esultava alla morte dei
nemici della patria. Facciamo
un salto di quasi duemila anni.
Il semiologo francese Roland
Barthes, nel suo celebre saggio
Miti d’oggi, definisce il catch
“uno spettacolo”, non uno
sport. Una frase a dir poco
azzeccata, soprattutto al giorno
d’oggi, e non solo per questo
tipo di competizione. Lo sport è
tale senza spettatori che lo con-
templano?Dipende. I mass
media direbbero no. Le coscienze potrebbero affermare il
contrario.
Tutte queste righe introduttive
costituiscono il trampolino per
parlare (e per riflettere) di un
fatto accaduto lo scorso 5 settembre. Un giovane e promettente pilota giapponese, Shoya
Tomizawa, è deceduto all’ospedale di Riccione in seguito
alle gravi lesioni causate da un
terribile incidente durante il
Gran Premio di Moto2 a Misano. Mentre percorreva una
rapida curva a velocità
sostenuta, le due ruote su cui viaggiava hanno oltrepassato il
cordolo, finendo sull’erba sintetica. Scivola, cade. Due piloti che
lo stavano seguendo, De Angelis
e Redding, lo hanno incolpevol-
mente investito. Arrivano i soccorsi, ma la gara prosegue. La
gravità dell’incidente è sotto gli
occhi di tutti. Il peggio si muove
nell’aria. A confermarlo è la
stessa ambulanza che, compiuto
il suo dovere, procede senza relativa fretta. La bandiera rossa
non viene esposta. Lo sport, pertanto, non si ferma. Le motociclette praticamente distrutte e i
piloti feriti, dopotutto, erano
stati spostati e la pista era stata
ripulita dai detriti. Gli organizzatori e gli addetti al circuito
hanno compiuto quelle azioni
necessarie al proseguimento
della corsa, come se fosse stato
un qualsiasi altro incidente. Il
19enne
Tomizawa
viene
dichiarato morto alle 14.19.
Sulla pista che gli ha tolto la
vita, nel frattempo, si sta disputando la gara delle MotoGp.
Al termine, Valentino Rossi e
colleghi sono stati informati
della morte del giovane giapponese. Sono tutti sotto shock,
ma il podio si fa lo stesso. I fes-
teggiamenti vengono appena accennati.
Chi corre a queste velocità
conosce i rischi e i danni che
possono capitare. Quando però
avvengono simili tragedie i toni
delle polemiche tendono ad accendersi. Si mira subito alla sicurezza. In questo caso i
bersagli sono stati: il mancato
sventolio della bandiera rossa,
l’eccessivo numero di piloti presenti sul tracciato, l’erba sintetica. Soffermiamoci sul primo
elemento. Se anche la bandiera
fosse stata esposta, le sorti del
ragazzo non sarebbero mutate.
Certo. Ma poteva anche essere
esposta, la gara poteva anche
fermarsi, perché nei cuori di chi
osservava e di chi era presente si
sentiva la paura. Non è successo.
E perché la gara delle MotoGp
si è svolta? Semplice, il corpo
era lontano dagli occhi. Se non
si vede quell’oggetto, lo show,
come dicono i Queen, non si
ferma. Non si vogliono lanciare
accuse a destra e sinistra. Spesso
non portano a nulla. Anche la
Formula 1, dopo il fatale incidente capitato a Senna, non ha
bloccato la corsa. La morte, non
si può negare, ha fatto e fa ancora parte dello sport. Probabilmente ci sarà anche domani ed
oltre. Si desidera ricordare, piuttosto, che lo sport dei nostri
giorni, anche se spettacolo
costante, può prendersi dei momenti di pausa per sedersi e pensare. Non è un reato.
Verona è
Quinta Parete
cultura e società
Ottobre 2010
Cucina/Società
13
Serviti il pasto, cowboy
di Silvano Tommasoli [email protected]
Un dolce povero, dalle campagne venete
Zaletti, le paste dolci di polenta
Un dolce che fa riavvolgere il nastro della memoria: ero bambino,
quando, uscendo da scuola al pomeriggio, venivo accompagnato
per merenda nella storica pasticceria San Nicolò di Verona e, tra
tutte, sceglievo una pasta di polenta. Uno zaleto, del quale il
nome è stato, oggi, nobilitato con
un raddoppio della lettera “t”,
ma, ugualmente, si sono perse le
tracce in cucina.
Dopo una lunga ricerca, e mille
esperimenti che hanno avuto per
“vittime” i miei famigliari, ho
messo a punto una ricetta che, oso
dire, ricorda strettamente gli zaleti
dell’indimenticato signor Leone.
Ho preparato la polenta alla consueta maniera, cuocendola in
metà acqua e metà latte (farina :
liquido = 1 : 4). Con 200 g di farina di mais, si ottiene una polenta
di circa 700 g, ma la resa varia da
farina a farina. Provate, e tenete
come punto di partenza la quan-
tità di polenta cotta ottenuta.
Dopo averla lasciata raffreddare
per una notte, con il passaverdura
ho setacciato la polenta (più o
meno finemente) a seconda della
“granulosità” che volevo ottenere.
Al passato ho aggiunto, poco alla
volta, tutti gli altri ingredienti (100
g di farina, 250 g di zucchero, tre
uova intere, un etto di burro
sciolto nel microonde, 100 g di pinoli, 200 g di uvetta passita ammorbidita, la scorza di un limone
grattugiata e un bicchierino abbondante di grappa) ottenendo
una crema morbida e fine. Ho regolato la consistenza della crema
aggiungendo farina (attenzione
che l’acqua dell’uvetta, se non la
si strizza per bene, può fare disastri), e la dolcezza aggiungendo
zucchero.
Poi, sulla placca del forno, coperta
di carta-forno, ho adagiato la
crema a cucchiate, aiutandomi
con un altro cucchiaio e dandole
una forma non molto regolare di
7 ÷ 8 cm x 5 ÷ 6 cm. Ho cotto in
forno, preriscaldato, per circa 40’
÷ 50' a 180 °C (tenete d’occhio la
cottura, perdiana! In fondo, è il
vostro forno, no?). A cottura ultimata, gli zaletti devono risultare
ben dorati ma non bruciati.
Ho cosparso gli zaletti, ancora tiepidi, di zucchero a velo o semolato
(quest'ultimo per una versione più
rustica), e servito subito. Gli zaletti
sono più buoni se consumati tiepidi.
Gnam. Cotto e sbafato! (per lo più
dagli ospiti)…
per il programma musicale del momento, che ne ha scelto una dozzina da mandare in video. La cosa
più impressionante è che altre settantanovemila novecento ottantotto creature hanno visto
infrangersi i loro sogni di fama e
notorietà sul «Per me è un no» dei
quattro giudici. Ovviamente, tra le
lacrime e la disperazione di settantanovemila novecento ottantotto
mamme che già intravedevano il
business.
La vita è appesa a una nota, sperando che sia solo quella la fragile
discriminante che apre le porte di
questo tipo di successo: soltanto
pochissimi anni fa, da un’inchiesta
denominata “veline” o qualche
cosa di molto simile, abbiamo appreso che le prestazioni richieste
alle ragazze non erano propria-
mente canore. Mi si dirà che è
sempre stato così, dai tempi dei
primi avanspettacoli. Sì sì, non ne
dubito, ma allora il fenomeno era
numericamente molto circoscritto,
qualche decina di giovani donne
che, in un mondo molto piccolo, si
facevano strada a colpi di culottes.
Ma non ci piace lo stesso, come
non ci sarebbe piaciuto allora.
Unica consolazione, che, di solito,
dove si canta c’è tanta allegria. E
l’Italia, malgrado la crisi economica, la disoccupazione, una natura diventata maledettamente
ostile per le continue aggressioni
dell’uomo, l’Italia canta ed è allegra. Non canta spesso anche il Presidente del consiglio, che è un
uomo tanto allegro?
Stringiamo i denti, ragazzi. Sanremo è vicino…
La ricetta
200 g di farina di mais
100 g di farina
250 g di zucchero
3 uova intere
1 hg di burro
100 g di pinoli
200 g di uvetta passita
ammorbidita
scorza di un limone grattugiata
un bicchierino abbondante
di grappa
Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire
di Silvano Tommasoli [email protected]
Canto, ergo sum
Amici Factor 2010
Se vuoi esistere, gorgheggia. Pare
proprio che adesso funzioni così,
che per essere qualcuno ci si debba
presentare a uno di questi nuovi
reality show musicali e tentare la via
del palco.
Sufficiente tentare, perché in ogni
caso ti vedranno alcune milionate
di telespettatori e, dall’alba del
giorno dopo di quello nel quale
sarai fuori dalla “casa”, per strada
la gente ti chiamerà, ti chiederà
l’autografo, vorrà toccarti e farsi fotografare con te (siano maledetti i
telefonini con fotocamera!)
Il segnale della notorietà è proprio
questo. La richiesta di un autografo, di una foto insieme, che ha
contaminato anche il mondo dei
politici, anche di quelli che non
cantano. La settimana scorsa, in
un Tg, abbiamo visto tutti la mini-
stra Carfagna, intervenuta, a non
so più quale convegno, assediata
dai fan che volevano un pezzetto di
carta con la sua firma scarabocchiata sopra.
Una volta privilegio riservato solo
alle star internazionali, oggi basta
aver cantato o sculettato davanti
una telecamera per almeno trenta
secondi – giusto il tempo di uno
spot del formaggino Miotuo – e sei
subito un vip. Immediatamente
dopo, il pubblico vorrà sapere cosa
fai, dove mangi, con chi trascorri le
vacanze, se sei fidanzato/a o hai
l’amante. E questo ha contagiato i
politici, che sanno perfettamente
che nella notorietà televisiva si
trova, per loro, l’elisir di una lunga
vita pubblica.
Così, ottantamila ragazzi si sono
presentati a sostenere le selezioni
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