NOVEMBRE STENSENIANO 2005
LABORATORI DIDATTICI
Ipotesi di percorso
In collaborazione con il Corso di Laurea di Scienze Biologiche ed il Dipartimento di Filosofia
dell’Università di Firenze, la SSIS Toscana sede di Firenze, l’IRRE della Toscana
Con il contributo di Ente Cassa di Risparmio di Firenze e Provincia di Firenze
Con il patrocinio della Direzione Generale Scolastica della Toscana, della Regione Toscana,
della Provincia, del Comune e del Quartiere 2 di Firenze
ISTITUTO STENSEN
Direttore: Ennio Brovedani
Segreteria: Nadia Alpi
Consulenza Aziendale: Marco Seracini
Biblioteca: Nadia Alpi e Sabrina de Maddis
Manutentore: Cesare Ottaviano
Coordinamento Cultura: Stefano Campi, Pietro De Marco, Franco Gentile, Piero Meucci, Michele Crocchiola, Filippo Lazzerini
con la collaborazione di: Luciano Alberti, Luciano Martini
Coordinamento didattico Scuola e Università: Francesco Paolo Firrao
Responsabile Stensen|Cinema: Michele Crocchiola
Coordinamento Stensen|Cinema: Valeria Cicerone, Filippo Lazzerini, Marco Luceri, Marco Nocentini, Michele Ruini
Supervisione Cinema.Kids: Valeria Cicerone
Staff Stensen|Cinema: Ferruccio Benevieri, Sofia Ciuffoletti, Federico Ferrone, Kam Olcayto, Leonardo Paroli, Federico Vitella, Elisabeth Wheeler (USA)
con la collaborazione occasionale di: Valerio Angelini, Alessandro Cambi, Niccolò Genesio, Costanza
Hermanin, Giulia Masserelli, Elisabetta Niccolai, Caterina Pardi, Gherardo Vitali Rosati, Federico Zisca
Curatrice spazio espositivo: Sofia Ciuffoletti
Ufficio stampa: Antonio Pirozzi, Jacopo Storni, Francesco Somigli
Grafica generale: Michele Ruini con la collaborazione di Emanuele Poli
Grafica sezione arte: Rocco Pojago
Web: Luca Fortino, Iolanda Gioffrè, Ilaria Nannini, Francesco Somigli
Hanno collaborato con noi: Gaia Buonriposi, Eva De Clercq (Belgio), Philippe Dijon de Monteton (Germania), Carlo Nicotra
Gestione e hosting sito Internet: T.D.Rynx - www.tdrynx.com
Proiezionisti: Gabriele Rosso, Alessandro Bocciero, Mauro Rita, Federico Peduzzi
RECAPITI:
Indirizzo Uffici: Viale don Minzoni 25G
Indirizzo Auditorium: Viale don Minzoni 25C
tel. uffici +39 055/576551
tel. cinema +39 055/5535858
fax +39 055/582029
e-mail:
per le comunicazioni generali: [email protected]
per richieste: [email protected]
per contattare il gruppo Cinema: [email protected]
per contattare l’ufficio stampa: [email protected]
per contattare lo spazio espositivo: [email protected]
Immagine di copertina: Rousseau Henry (1844-1910) - il sogno, 1910. New York, Museum of Modern art
(MoMa) © 2005, Digital Image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze. Oil on canvas 6’8 ½”
x 9’9 ½” (204.5 x 298.5 cm). Gift of Nelson A. Rockefeller.
Dispensa ad uso interno - Vietata la vendita
Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
NOVEMBRE STENSENIANO 2005
EVOLUZIONISMO E
ANTI-EVOLUZIONISMO
un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
Ipotesi di percorso
INDICE GENERALE
PREFAZIONE (p. 5)
INTRODUZIONE (p. 6)
LABORATORIO A - Origine della vita e dell’uomo (p. 8)
LABORATORIO B - Evoluzione e evoluzionismi (p. 31)
LABORATORIO C - Evoluzione conoscenza e etica (p. 60)
ELENCO SCUOLE PERTECIPANTI (p. 93)
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
NOVEMBRE STENSENIANO 2005
EVOLUZIONISMO E ANTI-EVOLUZIONISMO
un contenzioso non ancora chiuso
OTTOBRE 2005
(parte didattica e informativa)
(Sabato mattina, ore 9 – 12, per le scuole – Sabato pomeriggio, ore 16 – 19, per il pubblico)
Giovedì 6 ottobre - ore 17:30
Prof. Edoardo Boncinelli - Lezione magistrale sul tema
Don Gianni Colzani - Chiesa Cattolica e Evoluzionismo
Sabato 8 ottobre Presiede: Aldo Becciolini
O RIGINE DELLA TEORIA DELL ’EVOLUZIONE BIOLOGICA
a) Giulio Barsanti - Da Linneo ai “precursori” dell’evoluzionismo
b) Antonello La Vergata - Charles Darwin: genesi della teoria
Sabato 15 ottobre Presiede: Francesco Firrao
I L DARWINISMO: STRUTTURA CONCETTUALE E FATTORI ESPLICATIVI
a) Marco Ferraguti - struttura concettuale (Variazioni e Selezione naturale)
b) Gereon Wolters - fattori esplicativi (Statuto epistemologico della teoria)
Sabato 22 ottobre Presiede: Roberto Pepino
L’ EVOLUZIONE E GLI EVOLUZIONISMI
a) Danilo Torre - Lo sviluppo delle teorie evoluzionistiche dopo Darwin
b) Ludovico Galleni - Evoluzionismo e anti-evoluzionismo
Sabato 29 ottobre Presiede: Sandra Gavazzi
O RIGINE E EVOLUZIONE DELLA VITA
a) Renato Fani - L’interpretazione scientifica dell’origine della vita
b) Evandro Agazzi - Il problema delle origini: aspetti filosofici e epistemologici
NOVEMBRE 2005
(parte riflessiva interdisciplinare)
(Sabato pomeriggio, ore 16 – 19, per il pubblico)
Sabato 5 novembre Presiede: Piero Meucci
O RIGINI DELL'UOMO
a) Giacomo Giacobini - Evoluzionismo e antropogenesi (Genesi scientifica)
b) Mons. Gianfranco Ravasi - La Bibbia e la creazione dell’uomo (Genesi Biblica)
Sabato 12 novembre Presiede:Gian Luigi Nicola
50° MORTE TEILHARD DE CHARDIN
a) Gian Luigi Nicola – Teilhard de Chardin
b) Fiorenzo Facchini - L'ominizzazione: il passo della riflessione
c) Annamaria Tassone Bernardi - La nososfera: luogo delle comunicazioni
Sabato 19 novembre Presiede: Pietro De Marco
E VOLUZIONISMO E RELIGIONE
a) Michele Marsonet - Evoluzionismo e metafisica
b) P. George Coyne sj - Dio e l’evoluzione dell’universo
Sabato 26 novembre Presiede: Luciano Handjaras
E VOLUZIONISMO – CONOSCENZA - ETICA
a) Paolo Parrini - Evoluzionismo e conoscenza
b) Giovanni Boniolo - Etica e natura umana
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
PREFAZIONE
l’Istituto Stensen, - con il contributi dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, della Provincia di
Firenze, e con il patrocinio della Direzione Generale Scolastica della Toscana, della Regione
Toscana, della Provincia, del Comune e del Quartiere 2 di Firenze, - ha organizzato per i mesi
di ottobre e novembre 2005 un percorso culturale e formativo sul tema dell’evoluzionismo:
Evoluzionismo e anti-evoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso.
L’iniziativa, che costituisce la IVa edizione del “Novembre Stenseniano”, inaugurato nel
2002, ha coinvolto diverse istituzioni scolastiche e universitarie fiorentine e della Regione Toscana: l’Università di Firenze (il Corso di laurea in Scienze Biologiche e il Dipartimento di Filosofia), la SSIS Toscana (Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario), sede di Firenze, l’IRRE (Istituto Regionale di Ricerca Educativa della Toscana) e 11 Scuole Secondarie
Superiori. Nelle precedenti edizioni abbiamo proposto un percorso sul tema della Trascendenza (L’Occidente e il senso della Trascendenza), sui 50 anni del DNA (Figli dell’uomo? – Verso
nuovi modelle di esistenza a 50 anni dalla scoperta del DNA) e sulla Rivoluzione Informatica
(Homo Cyber – Il fascino, le prospettive e le inquietudini dell’era informatica), con notevole
partecipazione di studenti, insegnanti e pubblico.
L’idea di affrontare il tema dell’evoluzionismo ha preso spunto dalle polemiche suscitate
nel 2004 dall’apparente esclusione dell’insegnamento della teoria dell’evoluzione biologica
nella nuova riforma della scuola.
L’evoluzionismo biologico, sia dal punto di vista storico, - come emergenza di un nuovo paradigma interpretativo dell’origine e dello sviluppo degli organismi viventi, rispetto al “fissismo” o “essenzialismo” che ha dominato per secoli , - sia per le sue molteplici implicazioni filosofiche, antropologiche, sociali e teologiche, permane
ancora un tema e ambito discusso e conflittuale: un contenzioso non ancora chiuso.
La permanente attualità del tema, benché con risvolti diversi in relazione al mutare delle circostanze storiche e delle sensibilità culturali, costituisce un’importante occasione di riflessione e approfondimento, soprattutto oggi, dopo un trentennio di sviluppo senza precedenti della ricerca biotecnologica e in un contesto sociale in
cui bisogna mantenere viva l’attenzione e il dialogo tra credenti e non credenti.
Ci siamo così proposti di offrire un servizio culturale di riflessione non solo a molte persone e ambiti specificamente qualificati e interessati (studenti, insegnanti di scienze, di filosofia e di religione), ma anche a tante altre persone che spesso si pongono diversi interrogativi sulle origini, la storia e l’evoluzione del vivente.
Con un approccio pluri e interdisciplinare, il tema è stato sviluppato nel corso di oltre due
mesi, valutando alcuni tra gli aspetti scientifici, filosofici, antropologici, teologici più rilevanti e
proponendo l’attivazione di Laboratori Didattici per la declinazione di alcuni temi da trattare in
ambito didattico scolastico, a cui hanno partecipato 34 Docenti e 40 Specializzandi della sede
fiorentina della SSIS Toscana, indirizzo di Scienze Naturali e Scienze Umane.
La pubblicazione della presente dispensa, - che raccoglie le “ipotesi di percorso didattico”
sviluppate dai Docenti e Specializzandi che hanno partecipato ai Laboratori Didattici, - costituisce un riuscito esempio di collaborazione e sinergia tra Istituzioni di natura e finalità diverse, da promuovere e incoraggiare.
P. Ennio BROVEDANI sj
Direttore Istituto Stensen
Firenze, 4 maggio 2006
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
INTRODUZIONE
I lavori pubblicati in questo Quaderno, il secondo dopo quello in cui furono raccolti i
testi riguardanti la prima edizione del Novembre Stenseniano sulla Trascendenza
(2002), sono il prodotto dell’impegno di docenti di scienze naturali e di filosofia e
scienze umane, specializzandi della sede fiorentina della Scuola di Specializzazione
all’Insegnamento Secondario (SSIS) della Toscana, e di alcuni docenti di materie
scientifiche e di filosofia dell’Università degli Studi di Firenze, che hanno partecipato
agli incontri programmati per il Novembre Stenseniano 2005 sul tema: Evoluzionismo
e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso.
Non è frequente che queste tre realtà, Scuola, SSIS ed Università, uscendo dalla
propria autoreferenzialità, si incontrino e si confrontino su un unico tema, al fine di
coglierne la valenza formativa per i giovani studenti. La novità di questa esperienza,
che non si risolve nella ricerca del valore formativo delle tematiche culturali trattate,
nasce dal confronto delle diverse competenze didattiche sul campo e non in una situazione virtuale ed astratta, come quella, per esempio, che viene a crearsi in seminari e
convegni con tenuta puramente accademica, come si può notare nelle numerose iniziative cittadine.
Confrontarsi e scambiare conoscenze ed esperienze su temi per la formulazione di
Tracce didatticamente fruibili in Progetti didattici scolastici, è la vera novità di questa
esperienza, che non vuole sostituirsi ai lavori di programmazione scolastica di competenza esclusiva dei docenti in servizio negli Istituti scolastici. E’ questa un’esperienza
che vuole mostrare come sia possibile aprire un dialogo tra le generazioni dei docenti
e tra le diverse discipline d’insegnamento; tra insegnamento e ricerca scientifica, in un
rapporto aperto e culturalmente stimolante, in cui l’obiettivo principale è ‘fare’ e ‘promuovere’ cultura che dia visibilità alle risorse professionali presenti nella scuola e nello
stesso tempo permetta un passaggio tra le generazioni d’insegnanti, tra coloro che insegnano e coloro che si preparano ad insegnare.
E’ questa un’esperienza unica principalmente per gli Specializzandi della Scuola di
Specializzazione dell’Insegnamento Secondario (SSIS), il cui piano di formazione prevede, oltre ad un insegnamento disciplinare universitario, lo svolgimento di un consistente numero di ore di Tirocinio nelle scuole, al fine di conoscere direttamente le dinamiche che sorreggono l’insegnamento, dalla preparazione alla programmazione delle lezioni, dal dialogo con gli studenti alla verifica e valutazione dei loro apprendimenti.
Agli specializzandi è stata data l’opportunità di sperimentare un modo di fare scuola
diverso da quello tradizionale, che si svolge nel chiuso delle aule scolastiche; di vivere
le dinamiche d’insegnamento da un punto di vista diverso da quello tradizionale, che
considera la scuola come unico luogo di formazione culturale ed umana; unico luogo
della progettazione didattica.
L’Istituto Stensen è stato, quindi, il luogo estrascolastico, dove gli studenti hanno
avuto l’opportunità di sentire voci diverse da quelle dei propri insegnanti, di verificare
le proprie capacità di ascolto e di dialogo, confrontandosi con esperti delle discipline
provenienti dalla ricerca, di percepire l’ampiezza degli orizzonti culturali e la diffusa
sensibilità verso i temi scientifici affrontati da punti di vista diversi da quelli specifici;
dove i docenti hanno avuto l’occasione di vivere il proprio ruolo d’insegnante, in una
modalità diversa da quella determinata dall’ambiente scolastico; non più una lezione
frontale con i propri studenti, ma accanto a loro, nella veste di ‘compagno’ di un viaggio verso il sapere, nella ricerca di una comunicazione più diretta e meno mediata dai
‘filtri’ istituzionali scolastici.
In questo contesto di finalità i Laboratori, a cui hanno partecipato solo Docenti e
Specializzandi, hanno rappresentato il momento più vitale in cui le competenze, in
termini di conoscenze e di abilità didattica, sono state giocate su uno stesso ed unico
tavolo, con l’obiettivo di individuare modalità di traduzione didattica dei temi trattati
nel corso del Novembre Stenseniano, da esperti appartenenti al mondo della ricerca e
dell’insegnamento accademico.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
L’obiettivo specifico dei laboratori è stato quello di tracciare linee essenziali di sviluppo interdisciplinare dell’evoluzionismo. Tracce e non progetti. Saranno le scuole con
i loro Organi, se lo riterranno opportuno, a tradurre in Progetti quanto proposto dai
Laboratori Didattici dello Stensen.
Il dialogo, l’organizzazione in sottogruppi, le ricerche delle fonti, la rilettura di quanto presentato dai vari Relatori nei due mesi stenseniani, ottobre e novembre, sorretti
da vero spirito di proporre materiale utile per la conoscenza e formazione dei giovani
studenti, hanno creato un ambiente di lavoro che ha attivato tra i partecipanti entusiasmo e legame collaborativo.
In questo clima le barriere disciplinari, a volte molto rigide nella pratica scolastica,
sono state superate nel condiviso intendo di raggiungere una visione complessa e unitaria dei temi trattati. Complessità è stata la categoria che ha attraversato tutti i campi dei temi trattati; con essa le matasse tematiche sono state dipanate e organizzate
in tracce che, nella loro diversità, come si evince dagli Indici dei singoli laboratori, portano tutte ad una lettura unitaria del tema evoluzionistico.
Può l’evoluzionismo come teoria scientifica rimanere nei limiti delle ipotesi scientifiche oppure essa oltrepassa i confini tecnicamente scientifici, per assumere senso in
ambiti antropologici e etici in particolare?
Non è nostro intento entrare nel merito dei contenuti, per la cui lettura rimandiamo
alle singole Unità.
Ringraziamo la Direzione Regionale Scolastica Toscana, l’IRRE Toscana (Istituto Regionale di Ricerca Educativa), il Corso di Laurea di Scienze Biologiche ed il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze per il loro sostegno alla realizzazione di questa
iniziativa. Un particolare e ringraziamento va alla Direzione della SSIS Toscana ed alla
Coordinatrice della Sede fiorentina per avere riconosciuto la validità formativa
dell’iniziativa per gli Specializzandi degli indirizzi di Scienze Naturali e di Scienze Umane.
Infine più che un ringraziamento, un riconoscimento ai docenti ed agli Specializzandi per le competenze didattiche espresse e per la grande disponibilità professionale
mostrata nel portare a termine questa iniziativa di grande valore culturale ed unica
nella sua forma.
Comitato scientifico-didattico
Aldo BECCIOLINI
Francesco Paolo FIRRAO
Sandra GAVAZZI
Luciano HANDJARAS
Franco MERCURI
Roberto PEPINO
Irene TELESIO
Referenti scientifici dei Laboratori
Giulio BARSANTI
Renato FANI
Luciano HANDJARAS
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO A
Origine della vita e dell’uomo
INDICE
Introduzione p. 11
Origine della vita: approccio storico e approccio scientifico: due possibili percorsi didattici
Origine dell’uomo e specificità della natura umana: terzo percorso didattico.
1) Percorso storico: p. 12
I miti dell’origine p. 12
La Bibbia e la creazione p. 14
L’origine della vita dai presocratici ad Aristotele p. 14
Un cammino lungo 200 anni: p. 15
a) da Aristotele al pensiero scientifico moderno p. 15
b) il metodo scientifico p. 15
c) i primi esperimenti p. 15
d) le tappe del XX secolo p. 16
e) figli delle stelle? p. 16
Il punto di vista delle Chiesa nei confronti della scienza p. 17
Allegato 1 :
Mito dei Fenici p. 17
Mito degli indiani Yakima p. 17
Mito degli Egizi p. 18
Mito dell’antica Cina p. 18
Mito dei Maya p. 18
Mito dei babilonesi p. 18
Mito dell’antica Grecia p. 19
Allegato multimediale (nel CD)
Ipertesto in Power Point del percorso.
Scansione didattica: a) i miti dell’origine, b) la filosofia greca; c) dalla generazione spontanea alle moderne ipotesi; c) scienza e religione
2) Percorso scientifico:
a) introduzione metodologica: percorso sintetico per un approccio multidisciplinare alle tematiche della vita e dell’uomo p. 20
b) Metodo scientifico e problema delle origini in prospettiva storica p. 21
Allegato multimediale (nel CD)
Ipertesto in Power Point del percorso 1: l’approccio scientifico
Scansione didattica del problema: a) cos’è la vita? b) come si è formata? c)
perché sulla Terra?
Mappe concettuali sulle caratteristiche della materia vivente e non vivente
1. Organizzazione della materia
2. Materia vivente e non vivente
3. Schema riassuntivo
4. Viventi: evoluzione e classificazione
5. Viventi: caratteristiche, nell’insieme, peculiari
6. Viventi: trasformazioni dell’energia
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
3) Percorso : origini dell’uomo e specificità della natura umana p. 24
Introduzione: un nuovo antropocentrismo p. 24
Finalità formative del percorso: p. 24
1. cognizione corretta della specificità della natura umana
2. responsabilità nella “biofratellanza”
3. riformulazione dell’antropocentrismo
Obiettivi: p. 25
1. cognizione degli aspetti evolutivi comuni degli esseri viventi e dell’uomo
2. consapevolezza del carattere culturale della condizione umana
3. correlazione di conoscenze dei diversi ambiti disciplinari
4. cognizione dell’origine dell’uomo e della specificità della sua natura
4) Metodologie e strumenti: p. 25
Scansione del percorso in tre fasi in relazione a tre questioni fondamentali:
1) da dove veniamo?
2) cosa siamo?
3) dove andiamo?
Proposte di svolgimento del percorso p. 26
Allegato A: Brani scelti da “The Descent of Man” di Darwin p. 27
Allegato B: Estratti da Necessità e Contingenza della Natura Umana di E.
Boncinelli p. 29
Allegato C: Riflessioni sintetiche su antropocentrismo e responsabilità morale
p. 30
Allegato multimediale (nel CD)
Presentazione in Power Point del percorso e proposte didattiche
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO A
Origine della vita e dell’uomo
Hanno partecipato ai lavori laboratoriali
DOCENTI
1. Bertoni Elisabetta
2. Brogi Lucia
3. Caldi Marco
4. De Bernardis Caterina
5. De Luca Letizia
6. Dejana Ugo
7. Fausto Carmen
8. Iotti Maria
9. Muritano Amelia
10. Pasquale Luigia
11. Paternostro Vito
12. Poli Nila
13. Polverini Claudia
14. Vaglica Mirella
SPECIALIZZANDI DELLA SEDE FIORENTINA DELLA SSIS TOSCANA
INDIRIZZI DI SCIENZE NATURALI E SCIENZE UMANE
1. Bellucci Beatrice
2. Brocchini Elena
3. Chianini Elena
4. Capella Laura
5. Del Giallo Maria Lisa
6. De Santis Francesca
7. Fabbri Laura
8. Fiore Libertini Emanuela
9. Gagliano Giuliana
10. Giometti Manola
11. Leoni Gianmario
12. Patti Paola
13. Pignolo Elena
14. Pistritto Michele
15. Spiriti Michela
16. Staderini Chiara
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
INTRODUZIONE
Origine della vita e dell’uomo
Nel corso del Laboratorio le due tematiche sono state divise considerando quella
dell’origine della vita come preliminare e, per molti versi, introduttiva alla seconda,
l’origine dell’uomo. Riguardo alla prima si sono proposte due prospettive didattiche
una fondata sull’approccio storico e l’altra su quello propriamente scientifico, mentre la
seconda la si è voluta inserire all’interno di una problematica culturale più vasta e ovvero la questione della determinazione della specificità della natura umana.
Origine della vita
Il tema, estremamente complesso, ci pare avere due risoluzioni didattiche: una centrata sull’approccio storico che va dai miti alla scienza contemporanea un altro invece
fondato più propriamente sul metodo scientifico. Nel primo l’allievo si esercita ad
un’analisi di tipo storico, ripercorre il percorso di risposte multiple date al problema
delle origini, le confronta e analizza. E’ una prima forma di orientamento all’interno del
tema centrato sull’asse diacronico ma essenziale per percepire la pluralità delle risposte, il loro evolversi e cambiare come anche il procedere, per passi successivi, della ricerca scientifica, sempre aperta a nuove acquisizioni.
Nel secondo si parte dal fatto che è l’uomo stesso come osservatore che si pone la
questione e cerca le soluzioni. Gli approcci alla domanda possono essere differenziati
(religioso, filosofico ecc.) ma di sicuro quello scientifico ha una posizione rilevante
scandito nella precisione delle sue formulazioni di partenza: cosa, come e perché. Il
percorso vuole essere dunque anche una formazione alla scientificità, al metodo della
ricerca nei suoi caratteri e nei suoi procedimenti.
Origine dell’uomo e specificità della natura umana
La tematica è stata rielaborata all’interno di un percorso didattico teso alla ridefinizione di un diverso antropocentrismo che veda l’uomo non come culmine di un processo
evolutivo di progresso ma come centro “responsabile” di un ecosistema complesso di
cui i viventi sono parte fondamentale.
N.B.
Ciascuno dei tre percorsi è integrato da presentazioni e materiali multimediali in Power
Point presenti nel CD allegato
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
ORIGINE DELLA VITA
Percorso storico
Introduzione
Il presente lavoro si pone come obiettivo primario quello di amalgamare le forme e i
modi dell’assimilazione da parte degli studenti delle conoscenze scientifiche, che consentono di interpretare la realtà naturale, e contemporaneamente di osservare e rilevare la storicità che accompagna la formulazione dei paradigmi scientifici, cercando di
evidenziare come lo sviluppo della scienza è stato sempre connesso (e come lo sia anche attualmente) al contesto della cultura di un’epoca e di una società.
Per affrontare questi interrogativi senza semplificare, oltre che prendere in considerazione i mezzi tradizionali (manuale e laboratorio), abbiamo ritenuto opportuno ricorrere a strumenti diversificati di “navigazione”, attraverso i quali compiere esplorazioni
in altre discipline, come la filosofia, la storia e la teologia e ripercorrendo alcune tappe
del cammino delle scienze utilizzando registri e linguaggi anche diversi da quelli propri del metodo e dei termini scientifici, ma che possono risvegliare il pensiero, attivare
l’interesse, sollecitare approfondimenti, suggerire prospettive di ricerca.
I miti delle origini.
Non appena il pensiero dell’uomo è stato in grado di estendersi ad argomentazioni
astratte è spontaneamente emersa la domanda sull’origine dell’uomo stesso e della
realtà che lo circonda. La comparsa dell’essere umano è stata per lungo tempo ritenuta contemporanea alla comparsa del mondo per cui la risposta alla prima parte della
domanda ha spesso coinciso con la seconda. Noi vogliamo seguire il percorso delle risposte più significative che sono state date nel corso della storia, perché esse riflettono la progressiva modificazione del rapporto dell’uomo con la conoscenza e costituiscono le tappe della ricerca delle leggi della natura e del loro significato.
Ci è sembrato utile a questo scopo tracciare un quadro sommario delle dottrine mitologiche e religiose più antiche e diffuse in quanto, nelle prime fasi della sua evoluzione culturale l’uomo ha cercato risposte non necessariamente dimostrabili con argomentazioni razionali. In molte tradizioni culturali sia primitive, sia evolute, è diffusa
l’immagine di una divinità suprema dotata di una potenza sovrumana che crea
l’universo dal nulla o dà ordine ad un caos iniziale. E’ il caso delle dottrine religione ebraica, cristiana ed islamica. Il Creatore esprime la propria potenza in modi differenti:
con la forza della parola che evoca e crea la realtà ordinata rispetto ad un caos iniziale; con l’atto del modellare gli esseri viventi plasmandoli da materia amorfa; con l’auto
sacrificio o la metamorfosi: tutte le realtà derivano dalle vari parti del corpo di un essere sovrumano. Non sempre l’essere primordiale è un dio, ma può essere un uomo,
un eroe o un gigante dal cui corpo smembrato si originano le componenti
dell’universo. In alcuni casi il dio che crea è esso stesso sostanza primordiale (nella
mitologia egizia il dio Shu “vuoto” solleva la dea Nut “cielo” dal dio Geb “terra” e li separa). Nella Teogonia di Esiodo alle origini vi è la coppia Cielo – maschio - Urano e la
Terra – femmina – Gea che si accoppiano e generano gli esseri viventi. Va infine citata
la creazione di tipo dualistico, intesa come lotta fra il bene ed il male: per esempio il
dualismo iranico della creazione “buona” di Ahura Mazdah e la creazione “cattiva” di
Angra Maingu. Alcuni miti invece non attribuiscono la creazione ad un essere supremo,
bensì ad un “demiurgo” che può essere in accordo o in antagonismo con l’essere supremo, ma è comunque l’artefice diretto delle cose dell’Universo. Nelle culture
dell’Africa centrale ed orientale il demiurgo chiama le creature viventi fuori dalle viscere della Terra dove già esistevano ed erano sepolte. Presso gli Indiani dell’America settentrionale il demiurgo impersonato da un corvo o da un coyote è un imbroglione che
chiama in vita gli esseri a dispetto dell’essere supremo. Alcune immagini specifiche
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
come quella dell’origine dell’universo da un uovo primordiale sono diffuse in un gran
numero di culture sparse in tutto il mondo, dalla Polinesia alla Grecia antica.
Altri oggetti che possono contenere e quindi liberare l’universo sono alberi, formicai, canne etc. etc.
Nei testi mitologici e filosofici dell’India la creazione è concepita in vari modi, dalla
generazione all’emanazione, alla mediazione demiurgica, per giungere all’opera magica, che si esprime attraverso la Maya, il potere divino che permette all’essere supremo
di far comparire e scomparire qualsiasi cosa, quindi associa alla forza creatrice anche
la capacità di produrre illusioni (vedi allegato 1).

CREAZIONE
MEDIAZIONE
DEL
DEMIURGO
OGEETTI
CHE POSSONO
CONTENERE
L’UNIVERSO
OPERA MAGICA
Divinità suprema
che crea dal nulla
o dà ordine al caos
preesistente

Con la parola

Plasmando gli esseri
da materia informe

Con autosacrificio
o metamorfosi

Eroe o uomo

Smembramento

Dio primordiale
o materia amorfa

Separa le varie parti
dell’universo

Dualismo
con forza buona
o forza cattiva

Contrapposizione

In accordo con la divinità suprema

A dispetto della divinità suprema

Uovo primordiale

Albero

Formicaio

Canna

Mondo Illusorio
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
La Bibbia e la creazione
La Bibbia costituisce uno degli esempi in cui la creazione del cosmo è contestuale alla
creazione dell’essere umano. Nella ricerca delle origini l’autore biblico parte
dall’orizzonte culturale ebraico e ricerca l’origine del cosmo e dell’uomo non in senso
stretto ma in senso metafisico. Dio è quindi Colui che plasma l’argilla in forma di uomo
e gli dona la vita, ma in realtà il messaggio non è la risposta scientifica a come è nato
l’uomo, ma che senso ha l’uomo, come è stato costruito nelle sue relazioni fondamentali e perché esistono delle disarmonie come il male, il dolore e la morte. Il racconto
ha le caratteristiche proprie della scienza del suo tempo, che ha ancora forti contatti
con religione e filosofia, quindi non può oggi essere usato per dare spiegazioni scientifiche nel senso moderno del termine. La forte simbologia dei numeri colloca la creazione dell’uomo al sesto giorno a dimostrazione del fatto che l’uomo è al vertice di tutte le creature terrestri, ma comunque al di sotto della perfezione divina che si celebra
nel settimo giorno.
L’origine della vita dai presocratici ad Aristotele
In una fase successiva a quella dei miti, questo tema può essere declinato in ambito
filosofico in relazione al mondo greco.
Il problema iniziale consiste nel chiarire che agli albori della filosofia greca il tema
dominante è l’origine del tutto. L’argomento è molto generale ed riguarda l’intera cosmogonia e la nascita dell’universo e del mondo, però può essere declinato anche in
relazione alla vita. Nei presocratici il pensiero si ferma ad indagare sul principio primo
delle cose, definito arché e ritenuto la materia da cui tutte le cose derivano e la forza o
legge che ne spiega la nascita e la morte. Questo è il punto di partenza della riflessione e costituisce la domanda alla quale i pensatori cercano di dare una risposta. Schematicamente si possono riassumere così i differenti punti di vista dei presocratici:
Scuola filosofica
Scuola ionica
Autore
Arché
Talete
Acqua
Anassimandro
Apeiron (Principio infinito e indeterminato)
Anassimene
Aria
Eraclito
Fuoco
Empedocle
I quattro elementi combinati dalle forze Amore e Odio
Anassagora
Semi (elementi che si separano e si riuniscono) ordinati dal Nous (intelligenza divina)
Democrito
Atomi (il mondo è generato dalla loro unione
e divisione)
Pluralisti
Atomisti
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I presocratici sono utili perché introducono vari aspetti nel dibattito: dall’idea di una
forza alla base dell’origine di tutto al ricorso ad un Dio ordinatore. Importante anche
l’introduzione della concezione meccanicistica (→ realtà spiegata mediante il movimento dei corpi nello spazio; universo concepito come una grande macchina) apportata da Democrito in opposizione alle dottrine finalistiche (→ l’universo agisce in vista di
fini e scopi predeterminati). Per questa parte si potrebbero anche inserire frammenti
di più autori, per poi giungere alla lettura del passo della Fisica di Aristotele dove viene criticato il meccanicismo, con riferimento principalmente ai pluralisti, rei di non aver fatto ricorso ad alcuna causa finale nella spiegazione dell’universo.
Un cammino lungo 2000 anni
Da Aristotele al pensiero scientifico moderno.
La cultura romana, molto più pragmatica di quella greca, non prende in considerazione
il tema dell’origine del mondo e della vita, ma si accontenta di fare propria la concezione aristotelica. Il Cristianesimo, dopo la caduta dell’Impero Romano, si presenta
come l’unico elemento culturalmente valido capace di realizzare una coesione sociale e
nel Medioevo si afferma nella cultura, nel diritto, nell’arte e nel comportamento morale
in modo determinante. Il papato si presenta inoltre come la potenza politica più importante al centro della cristianità. Tutte le chiese cristiane professano la sovranità di Dio
creatore e padre degli esseri viventi. La produzione teologica, filosofica e scientifica
medioevale va sotto il nome di Scolastica e trova i suoi maggiori rappresentanti in
Sant’Agostino e, dopo l’ingresso in occidente della filosofia aristotelica grazie alla traduzione latina delle sue opere, in Sant’Alberto Magno che riprende la tradizione scientifica dell’antichità e del modo arabo incorporandola nel pensiero aristotelico.e soprattutto in San Tommaso d’Aquino.
S. Tommaso d’Aquino (1221-1274) allievo di Sant’Alberto Magno, si ispira al suo
maestro per il commento al pensiero aristotelico che si sta diffondendo nell’Occidente
cristiano, ma progetta una nuova sintesi del pensiero cristiano, che non rinuncia ai
contenuti della tradizione teologica, ma nello stesso tempo non preclude l’acquisizione
del rigoroso metodo d’indagine proprio della sistemazione aristotelica del sapere. La
struttura gerarchizzata dell’universo fisico ha al suo vertice l’uomo, mentre l’universo
spirituale, altrettanto gerarchizzato ha al suo vertice Dio e l’anima dell’uomo ne costituisce il gradino più basso. Nel ‘400 la nascita del pensiero umanistico segna un declino dell’egemonia ecclesiastica sulla cultura. Non c’è un netto progresso filosofico, ma
si accumulano stimoli, dibattiti, acquisizioni ed esigenze che apriranno la strada a Galileo e Cartesio. La nascita di attività mercantili che hanno bisogno di strumenti concreti
(la cartografia, il calcolo, la misura del tempo) intensificano l’interesse per i fenomeni
naturali e l’attenzione per le innovazioni tecniche già numerose che essendo qualitativamente inferiori alla scienza, per lungo tempo non vengono utilizzate. Nel ‘600 inizia
la rivoluzione scientifica vera e propria annunciata dagli scritti di Copernico e messa in
pratica da Galileo e Cartesio.
I primi esperimenti scientifici
Da un punto di vista didattico riteniamo opportuno che ciò che accadde in seguito riguardo all’idea dell’origine della vita e sulla generazione spontanea sia un ottimo esempio del modo di procedere della scienza. In questo senso riteniamo opportuno ripercorrere alcune tappe che hanno portato alle attuali conoscenze di biologia, chimica
geologia e delle altre discipline connesse, per fornire un immagine epistemologicamente corretta della storia delle scienze naturali. Per questo motivo abbiamo scelto di trattare l’origine della vita attraverso gli studi e gli esperimenti, inizialmente non rigorosi,
poi sempre più sottoposti a metodologie di controllo, di alcuni medici, naturalisti e
scienziati del XVIII e XIX secolo. Senza dubbio il percorso vuole essere un punto di
partenza, una specie di “canovaccio” per coloro che lo utilizzano, di conseguenza po-
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trebbe essere ulteriormente arricchito ed ampliato, sia da esempi e studi effettuati da
altri illustri ricercatori, sia nella trattazione dei contenuti, che noi abbiamo semplicemente elencato, ma che riteniamo significativi per far capire il grande e lungo dibattito
che la questione sull’origine della vita ha da sempre innescato nel mondo scientifico,
filosofico e religioso.
Le tappe del XX secolo
Il percorso scientifico che si sviluppa durante il XX secolo è sempre più complesso, articolato in numerose discipline e perfezionato per mezzo di tecniche d’indagine, sempre più approfondite e sofisticate.

NOVECENTO



Anni venti

A. I. Oparin e J. B. Haldane:
“ipotesi del brodo rimordiale”

S. Miller e Urey:
“formazione di molecole biotiche”

L. Orgel
“ipotesi dell’RNA replicatore”

S. Fox:
“ipotesi delle microsfere”

G. Cairnst-Smith:
“ipotesi dei cristalli di silice”

W. Gilbert:
“ipotesi del mondo a RNA”
Anni cinquanta
Anni sessanta
Anni ottanta
Figli delle stelle
Le teorie sull’origine della vita ha necessariamente un carattere speculativo. Come tutte le ipotesi scientifiche, anche queste possono essere utilizzate per effettuare previsioni che mettono alla prova la loro effettiva coerenza. Una di queste ipotesi, molto affascinante, riguarda l’esistenza di forme di vita extraterrestri.
 Arrhenius: Panspermia,
germi o spore propapropagati tramite meteoriti
FIGLI DELLE STELLE?
Crick: Directed panspermia,
 una civiltà in pericolo di estinzione
ha sparso nell’universo germi di vita
 Hoyle: la vita
può essersi propagata tramite comete
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LABORATORI DIDATTICI
۩Il punto di vista della Chiesa nei confronti della scienza.
Spesso i versetti della Bibbia sono stati utilizzati fuori dalla trama armonica del testo
per sostenere una tesi. Il metodo scientifico adottato da Galileo portò a risultati contraddittori con la visione tolemaica del sapere biblico, quindi il Sant’Uffizio, interpretando alla lettera il testo di Giosuè capitolo 10 ver. 12-14 condannò lo scienziato. In
verità la posizione esegetica di Galileo, come risulta nella lettera inviata nel 1615 a
Cristina Granduchessa di Toscana afferma che la Bibbia non ci insegna: “come vadia il
cielo - ma come si vadia in cielo”. L'affermazione di Galileo era dunque giusta. Bisogna aspettare il XIX secolo ed in particolare Leone XIII con l’enciclica del 1893 “PROVVIDENTISSIMUS DEUS”, e più tardi nel 1920 Benedetto XV, con l'enciclica “SPIRITUS
PARACLITUS DEUS” ed in seguito Pio XII con l'enciclica del 1943 “DIVINO AFFLANTE
SPIRITUS” che incentiveranno in modo particolare gli studi per una giusta esegesi biblica, cioè sulla legittimità dei “GENERI LETTERARI”. L'intervento più autorevole, comunque, sarà quello di PIO XII del 1950, nella enciclica “HUMANI GENERIS” in quanto
ricorderà che “Il Magistero della Chiesa non proibisce che, in conformità all'attuale stato delle scienze e della teologia, la dottrina dell'evoluzionismo sia oggetto di ricerche e
di discussioni da parte di competenti in tutte e due i campi, in quanto essa fa ricerche
sull'origine del corpo umano che proverrebbe da materia organica preesistente”. Comunque sarà Giovanni Paolo II nella “PONTIFICIA ACCADEMIA” delle scienze da Lui istituita a riabilitare definitivamente Galileo Galilei e a riconoscere la validità della tesi
evoluzionista. Si può riconoscere che soltanto con Pio XII la Chiesa abbandona un atteggiamento di condanna ed assume un atteggiamento diverso nei confronti della
Scienza; infatti è nel discorso all'Accademia delle Scienza del 30 Novembre del 1941
che Pio XII lascia intravedere degli spiragli e lascia all'avvenire la risposta al quesito se
la Scienza illuminata e guidata dalla Rivelazione potrà dare sicuri e definitivi risultati.
Allegato 1.
 Mito dei Fenici
All’inizio c’era solo un caos oscuro e ventoso. Questi ciechi venti si accavallarono uno
sull’altro, formando una specie di nodo d’amore la cui natura era il desiderio.
Durante un’eternità di tempo, Desiderio precipitò in un fango acquoso chiamato
Mot.
Questo fango generò esseri viventi, semplici creature senza coscienza di se stesse.
Da loro nacquero, a loro volta, creature più complesse e così via. Queste creature contemplavano il cielo e videro che Mot era a forma di uovo e c’era il sole, la luna, le stelle ed i pianeti.
 Mito degli Indiani Yakima
Agli inizi del mondo c’era solo acqua. Whee-me-me-owan, il Grande Capo Lassù, viveva su nel cielo tutto solo. Quando decise di fare il mondo, venne giù in luoghi dove
l’acqua è poco profonda e cominciò a tirar su grandi manciate di fango, che divennero
la terraferma. Fece un mucchio di fango altissimo che, per il gelo, divenne duro e si
trasformò in montagne. Quando cadde la pioggia, questa si trasformò in ghiaccio e
neve sulla cima delle montagne. Un po’ di quel fango indurì e divenne roccia. Il Grande
Capo Lassù fece crescere gli alberi sulla terra, ed anche radici e bacche. Con una palla
di fango fece un uomo e gli disse di prendere i pesci nell’acqua, i daini e l’altra selvaggina nelle foreste. Quando l’uomo divenne malinconico, il Grande Capo Lassù fece una
donna affinché fosse la sua compagna e le insegnò a preparare le pelli, a lavorare cortecce e radici e a fare cesti con quelle. Le insegnò quali bacche usare per cibo e come
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raccoglierle e seccarle. Le insegnò come cucinare il salmone e la cacciagione che
l’uomo portava.
(Miti e leggende degli Indiani del Nordamerica Demetra)
 Mito degli Egizi
All’inizio c’erano solo le acque del caos, sovrastate dal buio e dal silenzio. Otto creature, con la testa di rana i maschi e di serpente le femmine, nuotavano nelle acque del
caos, prima della creazione. Le creature poi si fusero, formando il Grande Uovo. Dopo
un tempo lunghissimo, il guscio si ruppe ed apparve il Creatore, padre e madre di tutte le cose, fonte di ogni vita, il dio Sole. Le due metà del guscio separarono le acque
del caos ed il Creatore le face diventare il mondo. Mentre giaceva nell’abisso delle acque, il Creatore si sentiva molto solo e voleva abitare con altri esseri il nuovo mondo.
Così i pensieri del Creatore divennero gli dei e tutte le altre cose del mondo e le sue
parole diedero vita alla terra.
 Mito dell'antica Cina
All’inizio dei tempi, c’era solo l’oscurità. Il mondo era un gigantesco uovo che conteneva il caos. Dentro l’uovo dormiva e cresceva il gigante Panku, che un giorno improvvisamente si svegliò e ruppe il guscio. Il contenuto più leggero salì in alto e formò il cielo; quello più pesante scese in basso e diventò la Terra. Per migliaia di anni Panku,
temendo che i due elementi potessero riunirsi, li tenne separati spingendo in su il cielo
con la testa e schiacciando la Terra con i piedi. Quando, soddisfatto del suo lavoro,
Panku morì, il respiro si trasformò in vento, la voce in tuono, l’occhio sinistro divenne
il Sole e il destro formò la Luna, mentre le sue braccia diventarono montagne, le sue
vene sentieri e strade, i suoi capelli le stelle del cielo, la sua carne terreno per i campi
e il suo sudore si trasformò in pioggia e rugiada. Così il gigante Panku creò il mondo.
 Mito dei Maya
Mille e mille anni fa il mondo era vuoto. Non c’era alcun uomo, né un solo animale, né
pietre, né erbe, né alberi; solo il cielo ed il mare esistevano. Tepeu e Gucumatz, il dio
creatore e il dio formatore, decisero di creare la terra e il sole. In un attimo dalla nebbia scaturirono montagne e boschi. Tepeu e Gucumatz crearono poi gli animali e ad
ognuno di essi assegnarono una casa: chi viveva tra i cespugli, chi sugli alberi, chi nelle buche del terreno. I due dei si rivolsero agli animali dicendo: “Parlate, gridate e
cantate i nostri nomi!” Gli animali gridavano, ululavano, ma non riuscivano a pronunciare i loro nomi. “Così non va” dissero Tepeu e Gucumatz. E provarono a creare
l’uomo. Lo fecero di fango, ma subito videro che non andava bene. L’uomo non aveva
forza, cadeva giù molte è la testa non stava su. Allora i due dei dissero: “Proviamo a
scolpire l’uomo nel legno”. I fantocci di legno assomigliavano all’uomo, ma non avevano anima e neppure cervello. Tepeu e Gucumatz erano sconsolati: la creazione
dell’uomo era proprio difficile.
Ma ecco avvicinarsi quattro animali: il gatto, il coyote, il pappagallo e il corvo, che
portarono ai due creatori una pannocchia matura di mais. Tepeu e Gucumatz presero
la pannocchia e macinarono i chicchi con una pietra. Poi impastarono la farina con
l’acqua del mare e crearono i muscoli e la forza dell’uomo. Finalmente la loro opera
era perfetta. L’uomo aveva anima e cervello e cantava lodi a Tepeu e Gucumatz, creatori del cielo e della terra.
 Mito dei Babilonesi
Una volta non c’erano né cielo né terra. Dei capricciosi e draghi mostruosi abitavano
l’universo vuoto e nero. Il più forte e generoso fra tutti gli dei era Marduk, i guerriero.
Una lunga spada pendeva dal suo fianco e le sue mani stringevano fasci di fulmini che
squarciavano le tenebre con bagliori accecanti. Un giorno Marduk incontrò sulla sua
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strada un drago dall’aspetto terribile. Il mostro sconosciuto aveva grandi ali piumate e
scintillanti di metalli preziosi; dalle sue fauci spalancate e irte di denti usciva un ruggito sordo e minaccioso. “Chi sei e che cosa vuoi da me?” chiese Marduk al mostro che
gli sbarrava la strada. “Il mio nome è Tiamat” rispose l’orribile bestiaccia “e voglio te,
Marduk. Non riuscirai a vincere Tiamat, il drago degli abissi!” Mardùk non rispose. In
silenzio raccolse il suo coraggio per superare la terribile prova che lo attendeva.
All’improvviso, il mostro spiccò un gran balzo verso Marduk, il quale non si fece sorprendere. Rapido, gli lanciò contro una rete di luce che fermò il mostro a mezz’aria
impigliandolo fra mille sprazzi luminosi. Un ruggito assordante squarciò l’universo.
Tiamat schiumava di rabbia tentando di liberarsi dalla rete di luce. Marduk sguainò la
lunga spada e squarciò il mostro in due. Appese la schiena del mostro, che era maculata, in alto, perché diventasse il cielo con le stelle, e poggiò un piede sul ventre del
mostro, che divenne la terra con i fiumi e gli oceani.
( “Mondo magico”, Emme Edizioni, rid.)
 Mito dell'antica Grecia
All’inizio c’era il Caos, il grande abisso vuoto. Dal Caos emerse Eurìnome, la ballerina.
Aveva tantissima voglia di danzare, ma nessuna superficie sulla quale poggiare i piedi.
Per questa ragione decise di dividere il Cielo dal mare e cominciò a volteggiare sulle
onde, fino a creare un vortice intorno al proprio corpo. Da questo vortice nacque Borea, il freddo vento del nord. Il vento divenne sempre più impetuoso. Eurìnome allora lo
afferrò e lo strizzò come fosse uno straccio e lo trasformò in un serpente a cui dette il
nome di Ofione. Dall’unione di Eurìnome e di Ofione nacque l’Uovo Universale. Ofione
si arrotolò sette volte intorno al gigantesco Uovo, finché questo si schiuse. Dall’Uovo
Universale uscirono tutte le meraviglie del creato. Eurinome e Qfione si stabilirono in
una reggia sul Monte Olimpo. Ofione disse: “Spetta a me sedere sul trono, perché io
sono il creatore dell’universo!” Eurinome, furibonda, urlò: ”Come osi, rettile? Senza di
me non saresti stato nulla. Io devo sedermi sul trono e governare su tutto!” Vi fu una
violenta lotta tra i due: Eurinome, con un calcio, fece cadere tutti i denti di Ofione. A
contatto con la terra i denti del serpente si trasformarono in esseri umani, il primo dei
quali si chiamò Pelasgo.
(Luciano De Crescenzo, I grandi miti greci,Rid.)
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LABORATORI DIDATTICI
ORIGINE DELLA VITA
Percorso scientifico
Un approccio scientifico al problema dell’origine della vita e quindi, necessariamente,
alla “definizione di vita”, è un’opportunità per far riflettere gli studenti sul modo di
procedere della scienza, sui suoi limiti, ma anche sugli orizzonti sempre più ampi che
permette di esplorare, è un’occasione per affrontare il tema della complessità e della
varietà del mondo di cui facciamo parte e quindi della necessità di strumenti adeguati
di lettura, ma anche di confronto e integrazione con altre discipline.
Riteniamo essenziale partire dall’esperienza, dall’osservazione della realtà, una realtà che spesso è data per scontata, superata da un mondo virtuale, apparentemente
più seducente e affascinante. Occorre far riemergere lo stupore, la meraviglia di fronte
ai fenomeni naturali , perché solo così può nascere la curiosità, il porsi la domanda che
dà inizio ad una ricerca, ma anche la riflessione sulle conoscenze considerate ormai
acquisite, come la convinzione, ad esempio, di saper distinguere i viventi dalla materia
non vivente, che si ridimensiona di fronte al dover fornire i criteri di scelta e rende
consapevoli della difficoltà e insieme della necessità di inquadrare in categorie precostituite i fenomeni naturali per poterli interpretare, confrontare, classificare.
Si vuole superare l’idea di una scienza “narrata”, in cui anche l’approccio storico è
ridotto a “icone” di scienziati fissati alla “scoperta”del momento: lo studente deve acquisire consapevolezza che il metodo scientifico, se da una parte permette di affrontare in modo condivisibile e riproponibile una problematica, dall’altra non potrà fornire
se non risposte probabili e perfettibili e lascerà molte domande insolute. Dovrà però
risultare chiaro che questa apparente “imperfezione” è lo spazio per un continuo progresso, un’evoluzione della conoscenza che si trasmette, con successive modificazioni,
da una generazione di scienziati all’altra (“Siamo nani sulle spalle di giganti”). Il tentativo di inquadrare in modo rigoroso e univoco e quindi riduttivo il “fenomeno vita “,
seppure necessario, pone svariati interrogativi, che chiamano in gioco altri ambiti disciplinari. Può la scienza rispondere alla domanda cos’è la vita o deve limitarsi a individuare caratteristiche che contraddistinguano i viventi? Possono altre discipline contribuire a formulare una risposta? Da quale punto di vista? C’è contraddizione tra i diversi punti di vista? L’uomo, che dall’interno del sistema, si definisce l’unico a stabilire
i criteri, i diversi approcci, gli strumenti adeguati, consapevole dei limiti dei suoi mezzi
di indagine, non dovrebbe porsi in modo rispettoso e responsabile di fronte al mondo
naturale? Anche dal punto di vista più strettamente scientifico i problemi da affrontare
sono molti. Occorre stabilire quale livello scegliere per individuare le caratteristiche
peculiari della materia vivente, se macroscopico, cioè prendere in esame i processi che
una struttura svolge, ma anche le relazioni che instaura e che determinano la formazione di una complessa rete in cui il singolo è in interazione con altri, oppure microscopico e submicroscopico, cioè analizzare le unità fondamentali e le molecole che la
costituiscono, o l’uno e l’altro contemporaneamente. Questa operazione porta ad affrontare alcuni concetti essenziali come il concetto di sistema, di livello di organizzazione, di entropia, di informazione, di processi spontanei, di frattali, ( possibilità di correlazione con fisica e matematica) di equilibrio e di non equilibrio……. , ma sposta anche l’attenzione sul metodo: utilizzando prevalentemente processi di analisi si corre il
rischio di ridurre una realtà complessa ad un elenco di proprietà, alla somma delle sue
parti, trascurando la fondamentale importanza delle interazioni che rendono “uno” ciascun vivente, anzi che lo rendono elemento di sistemi via via più complessi. Pone anche il problema di come si sia formata la vita, dove e quando, ma pone un problema di
senso, (perché?), a cui la scienza non è in grado di rispondere. Affrontare il problema
dell’origine della vita significa sottolineare come lavora la scienza, in particolare quando si tratta di ipotizzare uno scenario che risale a circa 4 miliardi di anni fa, quali sono
i suoi limiti, quali i punti di forza. Significa anche comprendere come siano operazioni
non lecite, sia colmare le inevitabili lacune di un’ ipotesi scientifica con risposte filoso-
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fiche o religiose, sia voler dimostrare scientificamente la non veridicità delle stesse.
Partendo dalle prime ipotesi sull’origine della vita, si può arrivare alle ultime scoperte
in campo astronomico e alle missioni spaziali con ricerche sistematiche di acqua e molecole organiche in pianeti, satelliti, comete, fino ai progetti di ricerca di civiltà extraterrestri (seti@home), allargando progressivamente l’orizzonte, dalla terra al sistema
solare, a nebulose e galassie, all’universo. Si possono così introdurre i concetti di probabilità e di opportunità: il fatto che un evento altamente improbabile si verifichi significativamente, dipende solo dal numero delle opportunità presenti, ed è la stessa situazione del resto, che rendendo significativo il numero di urti efficaci tra protoni, determina lo splendere delle stelle.
Metodo scientifico e problema delle origini in prospettiva storica
Come sono nati la terra, gli astri, l’universo? Come ha preso forma l’uomo? Quando si
è originata la vita? Qual è il principio di tutte le cose? L’esigenza di dare una spiegazione ai fenomeni della natura e all’origine della vita si presenta come una costante
nell’esperienza conoscitiva dell’uomo. Questa ideale continuità si manifesta così intensa fino al punto di suggerire un ipotetico fil rouge tra le narrazioni mitiche degli antichi popoli del vicino Oriente (Egizi, Babilonesi, Ittiti e Fenici), la riflessione filosofica
iniziata nel VI secolo a.C. in Grecia, le mitologie delle popolazioni indigene dell’Africa,
dell’Oceania, dell’America del Nord e del Sud, da una parte, e quelle indiane, cinesi,
giapponesi dall’altra, fino alle più moderne teorie scientifiche sulla costruzione di intelligenze artificiali e alla corsa alla miniaturizzazione, verso l’infinitamente piccolo. Fin
dai tempi più remoti, l’uomo ha sempre ricavato, da ciò che esiste in natura, degli
strumenti adatti a soddisfare le proprie esigenze, utensili, cioè, che gli consentissero
di migliorare la qualità di vita: gli ominidi per espandere le possibilità consentite loro
dalle mani nude utilizzavano il legno, i Sumeri nel 3500 a.C. utilizzavano il rame, mentre la lavorazione del bronzo prima e del ferro poi, vengono fatte risalire al 1800/1400
a.C. I filosofi Greci che vissero prima di Socrate tentarono di spiegare l’origine delle
cose formulando ipotesi a partire dalle proprie conoscenze scientifiche: per Talete il
principio primo dell’universo, l’archè, doveva essere cercato nell’Acqua, in quanto elemento presente in tutte le sostanze, per Pitagora, invece, il principio è nel Numero, visto che sono proprio le leggi numeriche a determinare non solo l’anno, le stagioni, i
mesi, ma anche i cicli dello sviluppo biologico e i diversi fenomeni della vita. Eraclito
faceva corrispondere l’archè al Fuoco, inteso come fonte di perenne trasformazione
delle cose, energia, che nel suo mutamento, dà origine al caldo, dirigendosi verso
l’alto, e al freddo, dirigendosi verso il basso, mentre Democrito arrivò a spiegare
l’origine del cosmo attraverso la teoria dell’atomismo. L’essenza dell’universo è
l’atomo e la vita nasce dall’incontro casuale degli atomi che si aggregano secondo vortici che pongono al centro quelli più pesanti e in periferia quelli più leggeri. Con Socrate si assiste ad un cambiamento di prospettiva: mentre i naturalisti si interrogavano
sull’origine delle natura e delle cose, il filosofo ateniese concentra invece la sua riflessione sull’uomo, introducendo per la prima volta il concetto di anima e l’idea di un
daimon, uno spirito superiore cioè, capace di intervenire positivamente sulla realtà.
Più tardi, nel IV secolo a.C., per spiegare l’origine del mondo, Platone introdurrà il
concetto di Iperuranio, un luogo metafisico dove si collocano, eterne, tutte le idee e le
forme ideali delle cose: la realtà quindi non è altro che una copia imperfetta. Le intenzioni che animarono i filosofi della Grecia classica sono riconoscibili anche nei cosiddetti miti eziologici, in quelle narrazioni simboliche, cioè, che sono diventate il patrimonio
della cultura di tutte le civiltà, uno strumento quindi idoneo a cercare una spiegazione
sul perché delle cose e sul senso dell’esistenza umana.
Ripercorrendo il dibattito filosofico intorno al tema delle origini, la cosmologia, cioè
il complesso delle dottrine scientifiche e filosofiche che studiano l’ordine, i fenomeni e
leggi dell’universo, ha sempre avuto un ruolo centrale nella riflessione dei grandi pensatori della storia della filosofia occidentale. Se, in linea di principio la filosofia classica
si riproponeva la finalità di convertire la vita, indicando l’itinerario verso la felicità e
l’autonomia, nella prima età moderna, quando diventa centrale la ricerca della cono-
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scenza, la filosofia si trasforma in un sapere che ha come finalità un numero sempre
maggiore di conoscenze, e la “trinità metafisica” di Dio si spezza. Eliminato Dio,
l’uomo e il mondo si fronteggiano, senza ulteriori mediazioni e l’uomo si “mondanizza”,
inserendosi nelle vicende terrene e, più in generale, in quelle dell’universo fisico. A
partire da Hume e dall’Illuminismo la filosofia moderna ha riservato un ruolo secondario, o addirittura eliminato, la “metafisica” (essere, mondo, anima), rifugiandosi nella
conoscenza totale e a priori della realtà: ammessa o meno l’esistenza di Dio e la sua
presenza nella storia umana sottoforma di Provvidenza, la filosofia ha sempre affrontato quelle domande fondamentali, per la coscienza singola e collettiva, sul senso della
vita e sulla morte, sul significato della sofferenza e del dolore. Nella tradizione del
pensiero occidentale la conoscenza è stata a lungo concepita come rispecchiamento
neutrale della realtà oggettiva: a partire da Bacone e Galilei fino al Positivismo e al
Neoempirismo, il modello logico matematico della scienza ha costituito la base dello
sviluppo tecnologico, che caratterizza il mondo contemporaneo. Nel corso
dell’Ottocento, l’idea del filosofo o dell’intellettuale come giudice razionale e distaccato
continuava a trovare la sua realizzazione nell’università, considerata depositaria di un
sapere oggettivo: il trattato L’origine della specie, scritto da Darwin nel 1859 sull’onda
dell’ottimismo ottocentesco nei confronti dell’indiscussa possibilità delle scienze di risolvere tutti i problemi e gli interrogativi umani, ha rappresentato una svolta rivoluzionaria nella riflessione sulle origini e in senso lato in ogni campo del sapere. Con la sua
teoria della selezione naturale, Darwin infatti arrivò a spiegare la comparsa della specie umana come un progressivo stadio di evoluzione dalla scimmia ai primati, mettendo apertamente in discussione la teoria della creazione divina, così come era descritta
nella Genesi biblica. Lo sconvolgente trattato non tardò a imprimere un nuovo impulso
alla ricerca scientifica, che da questo momento in poi, interverrà in modo sempre più
autonomo su questioni che in passato erano state dominio assoluto del dibattito filosofico e teologico. Ormai termini come clonazione, biotecnologia e intelligenza artificiale
fanno parte dell’esperienza di tutti i giorni: eppure l’origine del cosmo e dell’uomo continua a rappresentare un enigma che aspetta di essere risolto, come dimostrano gli interventi sempre più numerosi, anche sulle pagine dei quotidiani, della comunità scientifica. Alla scienza non vengono richieste risposte agli interrogativi legati al destino ultimo dell’uomo: il compito è quello di esporre e correlare fatti e dati osservativi, entro
il quadro della fisica contemporanea. Una convinzione comune, che in passato ha dominato in filosofia della scienza, è che all’oggettività si possa pervenire attenendosi ai
fatti: attraverso l’esperienza le teorie si possono mettere alla prova e confrontare, ma
l’idea che presupponeva una “prova del nove” per verificare l’esattezza dei fatti, ammetteva una netta distinzione tra fatti e teorie. Grazie a Kuhn, uno tra i più autorevoli
sostenitori della natura teorica dei fatti, le teorie sono diventati “modi di vedere il
mondo”: ciò che si vede da una certa prospettiva teorica non è uguale a quello che si
vede da un’altra. Detto diversamente le teorie sono come “grammatiche osservative”,
sistemi di regole che indicano come leggere gli input che arrivano dalla realtà esterna:
quindi partendo da teorie diverse, si analizzano fatti diversi. Finché ad esempio era accettata la teoria tolemaica, si poteva osservare, ogni giorno, un fatto incontestabile: il
sole si spostava nell’arco della giornata, procedendo da est verso ovest, ma con la rivoluzione copernicana e il passaggio dalla teoria geocentrica a quella eliocentrica, un
altro fatto ha preso il posto dell’osservazione della marcia diurna del sole, ovvero il
moto apparente del sole, segno indiretto della rotazione della terra. Le varie teorie
scientifiche appaiono separate non tanto perché sia difficile collegarle e integrarle per
formare un quadro unitario, ma perché ognuna nasce in un clima intellettuale non
scientifico: i ricercatori elaborano una teoria e lavorano in quella direzione, spinti da
interessi pratici, da valori, da curiosità, in pratica da un complesso di fattori che non
hanno granché a che fare con la scienza. Le teorie esistenti non sono la collezione di
sistemi concettuali che la scienza può offrire, ma più semplicemente rappresentano i
sistemi che storicamente sono emersi nel cammino delle scienze all’interno di una civiltà: con una storia diversa, in un contesto culturale diverso, con modi di pensare e
riflettere diversi, sarebbero emerse altre teorie. La scienza è tipicamente occidentale
e, non avendo un esatto equivalente nelle culture tradizionali, il confronto con altri po-
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
poli non può essere usato come strumento di verifica: è comunque impensabile scindere la produzione scientifica dal contesto culturale, storico, filosofico, in cui nasce.
Indubbiamente il legame è stretto ed è proprio questa connessione esistente, che porta ad orientarsi, per lo meno nelle scelte a monte, verso certe elaborazioni teoriche,
piuttosto che verso altre.
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LABORATORI DIDATTICI
ORIGINE DELLA VITA
origini dell’uomo e specificità della natura umana
Prendere atto che l’evoluzione non è un’ineluttabile ascesa verso la perfezione, che la
contingenza gioca un ruolo cruciale nella storia evolutiva e che la nostra evoluzione rispecchia quella di tutte le altre specie vissute sul pianeta ha profonde implicazioni per
capire chi siamo, come siamo arrivati fin qui e dove stiamo andando (N. Eldredge)
Introduzione
Il tema dell’origine dell’uomo correlato alla determinazione della specificità della sua
natura ci sembra di particolare rilevanza in considerazione dell’estendersi di diverse
sensibilità culturali (movimenti animalisti, vegetariani, antivivisezionisti ecc.) che arricchiscono il dibattito scientifico ed etico-politico. Ci sembra, infatti, che in tale prospettiva si debba necessariamente passare ad una ridefinizione dell’antropocentrismo
che sposti il concetto del primato dell’uomo dal piano della “natura” intesa come insieme di qualità o capacità superiori, al piano della responsabilità etica come capacità
consapevole di scelte che investono ormai l’intero sistema ecologico. E’ per questo che
ci sembra essenziale puntare verso una corretta cognizione della specificità della natura umana per decostruire forme errate ma diffuse di antropocentrismo che crediamo
essere all’origine di scelte storico-culturali centrate sullo sfruttamento incontrollato
dell’ambiente e della biosfera.
Il tema è pensato in forma interdisciplinare in modo che investa sia le materie
scientifiche che quelle umanistiche includendo possibilmente anche Religione. Si tratta
di un progetto didattico che può partire già dalle scuole medie inferiori ma che sostanzialmente è pensato per i primi tre anni delle superiori. Ci sembra, infatti, un tema dal
valore formativo basilare da affrontare quindi fin dal principio del corso di studi, anche
perchè in tal modo viene ad integrarsi con i programmi ministeriali di Storia, con quelli
di Scienze degli Istituti Tecnici e dei Licei, oltre che con quelli di Scienze Sociali dei Licei Sociopsicopedagogici, di alcuni Indirizzi Tecnici e dei Professionali per i Servizi Sociali. Il progetto può quindi trovare applicazione sia a livello curricolare armonizzandosi
senza problemi con i programmi, sia a livello extracurricolare venendo a svolgere funzione di sostegno e integrazione all’attività didattica corrente.
Finalità
Pertanto le finalità essenziali del progetto ci paiono essere le seguenti:
1) Acquisizione di una piena consapevolezza del valore della vita e della specificità
della condizione umana.
2) Assunzione di responsabilità etica verso tutte le forme viventi nella cognizione
della comunanza di origine e di quella che si potrebbe definire una “biofratellanza”
3) Educazione al rifiuto di ogni forma di antropocentrismo che possa dare origine a
razzismi mascherati o a “specismi” intesi come sfruttamenti incontrollati o irresponsabili delle altre specie viventi. Questo ci sembra un punto fondamentale
in quanto l’errata definizione della natura umana può facilmente riferirsi ad aspetti culturali cadendo dunque in forme di antropocentrismo che sono, come si
sa, il preludio di razzismi più o meno dichiarati e consapevoli. In un’epoca globalizzata come la nostra in cui il dialogo tra culture risulta essere di importanza
primaria è fondamentale dunque insegnare ai ragazzi sia l’identità di “natura”
di tutti gli esseri umani, sia l’equivalenza delle diverse risposte culturali. Per
quanto riguarda il secondo punto, poi, la diffusione di movimenti animalisti, vegetariani, antivivisezionisti, lo stesso aumento degli animali domestici come
delle problematiche legate alla manipolazione genetica, pongono in primo piano
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
per i giovani una ridefinizione consapevole del rapporto con le altre forme di vita, prima di tutto animali ma anche vegetali.
Obiettivi
Nell’ottica di un percorso didattico che si propone per essere scandito in una fase fondamentale dello sviluppo adolescenziale (appunto i primi tre anni delle superiori) nella
costruzione dell’identità e dell’autonomia e che pertanto intende stimolare (in forme
più o meno dirette) capacità e competenze inerenti all’autoriconoscimento (come essere umano/ animale) e inerenti all’autonoma capacità di scelta (responsabilità) si individuano i seguenti obiettivi:
1) Le materie scientifiche devono puntare a far rilevare sia gli aspetti evolutivi
comuni tra umani e gli altri esseri viventi sia quelli differenti, prima attraverso
un’attenta ricostruzione dell’origine della specie umana poi per mezzo di una
sintesi delle più recenti acquisizioni scientifiche che concernono la “natura” umana (derivanti dalla biologia comparata e dalle neuroscienze).
2) Le scienze umane porranno in evidenza il carattere fortemente culturale della
condizione umana sia come variabilità delle risposte agli stimoli ambientali, sia
come sviluppo collettivamente determinato di una realtà (quella culturale appunto) distinta dalla natura ma ad essa fortemente legata.
3) Agli allievi verrà richiesto l’esercizio delle capacità di correlare le conoscenze
derivanti dai diversi ambiti disciplinari e di cominciare a distinguere anche il diverso procedere delle varie discipline.
4) L’acquisizione di una corretta cognizione dell’origine dell’uomo e della specificità umana nella sua dimensione individuale ma sopratutto collettiva sarà collegata alla sue implicazioni etico-politiche centrate sul principio di azione responsabile del singolo e del gruppo.
Metodologie e strumenti
Si propone di scandire il percorso in tre fasi che corrispondono, a nostro avviso, a tre
nuclei problematici forti sintetizzabili nelle seguenti domande:
1. Da dove veniamo?
2. Cosa siamo?
3. Dove andiamo?
1) Il primo punto ha come obiettivo di far conoscere la teoria evoluzionistica
dell’origine dell’uomo ma inquadrandola da subito in un contesto di risposte al plurale:
a) Il creazionismo religioso (racconto del Genesi)
b) I miti dell’origine (p. es. Mundaka Upanisad letture scelte tratte da Upanisad
Vediche.
c) L’apporto della Scienza: dal Gradualismo darwiniano all’evoluzione contingente
e ramificata delle più recenti teorie scientifiche.1 Si tratta di dare, a grandissime linee, un inquadramento storico facendo tuttavia attenzione a non offrire
l’impressione che si tratti anche di un percorso evolutivo (come se le risposte
scientifiche costituissero un superamento di quelle religiose e mitiche). Proponiamo di presentare le tematiche oltre che in forma sintetica anche con l’ausilio
di testi (quello del Genesi non sempre conosciuto dai ragazzi di oggi, brani di
Darwin) e di immagini (p. es. la creazione di Adamo rappresentata da qualche
artista per il punto a, la scena iniziale di 2001 Odissea nello spazio per il punto
c)
2) La domanda relativa a questo punto è volutamente formulata con un pronome non
personale (cosa e non chi) proprio perchè costituisce il nucleo centrale nella correzione
delle forme di antropocentrismo che caratterizzano in particolare la cultura occidenta1
Vedi Allegato A
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
le. Anche in senso provocatorio ci sembrerebbe utile per questa parte una visione del
film di J. J. Annaud, La guerra del fuoco in quanto descrive perfettamente la condizione dei primi uomini e lascia venire in luce come considerando la vicinanza genetica con
l’uomo contemporaneo ogni forma di “progresso” che si è avuta da allora è appunto da
attribuirsi in gran parte alla cultura di cui è simbolo il fuoco . Si tratta pertanto di definire sia la “natura” specifica dell’uomo rispetto agli altri animali dal punto di vista della
biologia e delle neuroscienze, sia la funzione che la “cultura” è venuta a svolgere nello
sviluppo storico del genere umano (antropologia e storia). Il punto di arrivo del discorso deve essere la comprensione del carattere collettivo della dimensione culturale.2
3) In sostanza il punto 2 apre alla definizione aristotelica dell’uomo, zoon politikon, animale politico e quindi a un parte del percorso che potrà essere affrontata da materie
quali la filosofia, scienze sociali, lettere e religione. Qui il punto di partenza potrebbe
essere la visione di brani di due film dei fratelli Wachowski, Matrix, il primo in cui si
delinea un mondo controllato dalle macchine che in sostanza combattono l’uomo paragonato a un virus che distrugge sfruttando al massimo tutto ciò che è a sua disposizione, il secondo (il terzo della trilogia) centrato sulla responsabilità della scelta che è
l’ultima prerogativa dell’uomo.
Si tratta in sostanza di centrare il discorso sui seguenti punti:
a) L’uomo nella sua dimensione collettiva è responsabile verso le generazioni future attraverso la responsabilità verso l’ambiente e i viventi che lo circondano.
(“Carta dei Diritti delle Generazioni Future”)
b) La responsabilità dell’uomo si esercita attraverso l’azione intesa come scelta
che antivede e provvede per sè e per l’intero ecosistema. (Gehlen)
c) Occorre una nuova morale che sappia prevedere le conseguenze future delle
azioni e rifiutando l’antropocentrismo si assuma la responsabilità dell’intero
pianeta. (Jonas)3
d) Alcuni spunti di riflessione da Theilard de Chardin. La Noosfera come luogo del
tipicamente umano e la specificità dell’uomo nell’auto-coscienza. La Noosfera
come luogo del collettivo e come compito di corresponsabilità.
2
3
Vedi Allegato B
Vedi Allegato C
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LABORATORI DIDATTICI
Allegato A
Brani scelti da “The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex”
Sommario generale e conclusioni
Da dove veniamo:
“…La conclusione principale a cui siamo giunti qui... è che l'uomo è disceso da qualche
forma meno altamente organizzata. Le fondamenta su cui poggia questa conclusione
non saranno mai rimosse, data la stretta somiglianza tra l'uomo e gli animali inferiori,
nello sviluppo embrionale ed in infiniti punti di struttura e di costituzione, sia di enorme
che di irrilevante importanza; i rudimenti che l'uomo conserva e le anormali reversioni a
cui è occasionalmente soggetto, sono tutti fatti che non si possono confutare. Essi sono
noti da lungo tempo, ma fino a poco fa non ci dicevano niente sull'origine dell'uomo. Ma
ora, visti alla luce delle nostre conoscenze di tutto il mondo dei viventi, il loro significato
non può sfuggire. Il grande principio dell'evoluzione domina chiaro e fermo, quando
questi gruppi di fatti sono considerati in rapporto con altri, quali le affinità reciproche dei
membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione geografica nel passato e nel presente,
e la loro successione geologica. Non si può assolutamente pensare che tutti questi fatti
dicano il falso. Chi non si accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono collegati, non può credere che l'uomo sia opera di un atto separato di
creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l'intima rassomiglianza dell'embrione
umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del cranio, delle membra, dell'intera forma somatica dell'uomo ripete lo stesso modello di quella degli altri mammiferi
(indipendentemente dall'uso a cui le singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture, per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono
presenti nell'uomo, ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti portano nella maniera più evidente alla conclusione che l'uomo discende da un
progenitore comune agli altri mammiferi…”
Anche per l’uomo le regole sono le stesse degli altri esseri viventi: variabilità,
lotta per l’esistenza e selezione naturale
“… Abbiamo visto che l'uomo presenta continuamente differenze individuali in tutte le
parti del corpo e nelle facoltà mentali. Queste differenze o variazioni dipendono dalle
stesse cause generali e obbediscono alle stesse leggi che negli animali inferiori. In entrambi i casi valgono le stesse leggi dell'eredità. L'uomo tende a moltiplicarsi molto al di
là dei suoi mezzi di sussistenza, e di conseguenza è soggetto occasionalmente ad una
grave lotta per l'esistenza e la selezione naturale agisce su tutto ciò che è nel suo campo
d'azione. Non è affatto necessaria una successione di variazioni molto spiccate di natura
simile, piccole, fluttuanti differenze individuali bastano per l'azione della selezione naturale; non vi è ragione di pensare che nella stessa specie tutte le parti dell'organizzazione
tendano a variare nello stesso grado. Possiamo esser certi che gli effetti ereditari del
continuo uso o disuso di parti agiscono intensamente nella stessa direzione della selezione naturale. Modificazioni dapprima importanti, anche quando non servono più in
qualche funzione particolare, rimangono per lungo tempo ereditarie. Quando una parte
si modifica, altre parti cambiano per principio di correlazione, di cui abbiamo esempi in
molti strani casi di mostruosità correlative. Si può attribuire qualche effetto all'azione diretta e definita delle condizioni ambientali, come l'abbondanza di cibo, il caldo o l'umidità; infine molti caratteri di leggera importanza fisiologica ed alcuni invece di notevole
valore sono stati acquisiti per selezione sessuale.
Il legame con gli altri esseri viventi è determinato dall’osservazione delle sue
condizioni anatomiche
“…Se consideriamo la struttura embriologica dell'uomo, le analogie con gli animali inferiori, i rudimenti che conserva, e la reversione cui è soggetto, possiamo in parte immaginare la condizione primitiva dei nostri progenitori e possiamo approssimativamente
collocarli in un posto appropriato nella sene zoologica. Impariamo cosí che l'uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda, probabilmente con l'abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il Vecchio Continente. Se un naturalista avesse esaminato
l'intera struttura di questo essere l'avrebbe classificato tra i Quadrumani, con la stessa
sicurezza con cui avrebbe classificato l'ancora piú antico progenitore delle scimmie del
Vecchio e del Nuovo Continente. I quadrumani e tutti i mammiferi piú elevati derivano
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probabilmente da qualche antico marsupiale e questo, attraverso una lunga discendenza
di forme che andavano divergendo, da qualche creatura simile agli Anfibi, e questi ancora da qualche animale simile ai pesci. Nella profonda oscurità del passato, possiamo intravedere che il primo progenitore di tutti i Vertebrati deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo e con la maggior parte degli organi più importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per
nulla sviluppati. Questi animali dovevano esser più simili alle attuali ascidie di mare che
a qualsiasi altra forma conosciuta…”
Chi siamo.
Anche le qualità morali per Darwin sono la conseguenza evolutiva di caratteri preesistenti e propri di altri animali.
“…Dopo essere giunti a questa conclusione sull'origine dell'uomo, la più grande difficoltà
che si presenta rimane l'alto livello delle nostre facoltà intellettuali e morali. Chiunque
ammetta l'evoluzione sa che le facoltà mentali degli animali superiori, le quali sono della
stessa specie di quelle dell'uomo, sebbene di grado così differente, sono suscettibili di
miglioramento. Così l divario tra le facoltà mentali di una delle scimmie più elevate e
quelle di un pesce, oppure quelle di una formica e di un coccus, è immenso; inoltre il loro sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà, infatti negli animali domestici le facoltà
mentali sono variabili e le variazioni sono ereditarie. Nessuno dubita che le facoltà mentali sono della massima importanza per gli animali allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le condizioni per il loro sviluppo mediante la selezione naturale. La stessa conclusione
si può estendere all'uomo: l'intelletto deve essere stato molto importante per lui anche
in un periodo molto remoto, perché gli ha permesso di inventare e usare il linguaggio, di
costruire armi, utensili, trappole, ecc., in modo che con l'aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto tempo fa riuscì a dominare tutti gli esseri viventi. Un grande
passo nello sviluppo dell'intelletto si ebbe non appena entrò in uso il linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario; e questo a sua volta ha agito sul miglioramento del linguaggio. La grandezza del cervello dell'uomo, relativamente al corpo, in confronto agli animali inferiori, può attribuirsi in massima parte ad un primitivo uso di una
semplice forma di linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni
sorta di oggetti e di qualità, e suscita una serie di pensieri che non sorgerebbero mai
dalla pura impressione dei sensi, o anche se si formassero non avrebbero alcun seguito.
Le facoltà intellettuali più elevate dell'uomo, come il ragionamento, l'astrazione, e la coscienza, probabilmente derivarono dal continuo miglioramento ed esercizio delle facoltà
mentali…”
Considerazioni finali di Darwin:
“…La conclusione principale , cui si è pervenuti in quest’opera, cioè che l’uomo è disceso da
qualche forma meno organizzata, mi dispiace pensarlo, riuscirà assai disgustosa per molti.
Ma difficilmente si può dubitare che noi siamo discesi dai barbari. Chi abbia visto un selvaggio nella sua terra natia non si vergognerà troppo se costretto a riconoscere che nelle sue
vene scorre il sangue delle più umili creature. Per parte mia vorrei piuttosto esser disceso da
quella piccola eroica scimmietta che sfidò il suo terribile nemico per salvare la vita del proprio guardiano, o da quel vecchio babuino che, discendendo dalle montagne, portò via trionfante un suo giovane compagno da una torma di cani stupiti, piuttosto che da un selvaggio
che trae diletto a torturare i nemici, consuma sacrifici di sangue, pratica l'infanticidio senza
rimorso, considera le mogli come schiave, non conosce il pudore ed è tormentato dalle più
grossolane superstizioni.
L’uomo va scusato se prova un qualche orgoglio per essere asceso, anche se non per meriti propri, alla sommità della scala dei viventi, e il fatto di essersi così elevato, invece di essere stato dalle origini collocato lì, può dargli speranza per un destino ancora più elevato in
un lontano futuro. Ma qui non ci siamo occupati di speranze o di timori , ma soltanto della
verità, per quanto la nostra ragione permette di scoprirla, e ho fornito prove al massimo delle mie capacità. Peraltro dobbiamo riconoscere, almeno mi sembra, che l’uomo, con tutte le
sue nobili qualità, con la “ simpatia” che prova per i più degradati, con la benevolenza estesa
non solo a tutti gli uomini ma alle più umili creature viventi, con il suo intelletto quasi divino
che è penetrato nei movimenti e nella struttura del sistema solare, con tutti questi enormi
poteri, egli ancora porta impressa nella sua struttura fisica l’impronta indelebile della sua infima origine.”
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LABORATORI DIDATTICI
Allegato B
Estratti da Necessità e Contingenza della Natura Umana
E. Boncinelli (relazione Novembre Stenseniano)
Importanza nella ridefinizione della natura umana degli aspetti individuo singolo- individuo collettivo
“La biologia (…) ci aiuta a capire ciò che siamo, ma anche ad individuare con precisione
ciò che non siamo. L’idea di animale, dal quale tanto teniamo a distinguerci, ad esempio,
è vecchia di secoli. (…)Nel cercare di definire e mettere a fuoco l’essenza della natura
umana è opportuno , secondo me, distinguere fin dall’inizio la natura dell’individuo singolo da quella del collettivo, vale a dire di ciò che si è come parte di una società che
possiede una cultura e una storia. In estrema sintesi: come singoli siamo animali – con
caratteristiche tutt’affatto peculiari, ma sempre animali-prodotto di una evoluzione biologica millenaria fondamentalmente cieca e opportunista; mentre il collettivo umano, e
con lui l’individuo che vi appartiene, mostra un carattere storico ed è figlio di una continuità culturale , longitudinale e trasversale, che non ha l’eguale in nessun’altro tipo di
realtà.
L’uomo biologico è legato alle regole dell’evoluzione
“…[Dalla biologia] abbiamo appreso di non essere che animali tra gli altri animali, animali che possiedono beninteso caratteristiche molto peculiari, ma non strutturalmente
diversi da altri mammiferi e in particolare dalle grandi scimmie. Come tutti gli altri esseri
viventi siamo il prodotto di un’evoluzione biologica…La vita è il regno della contingenza e
noi stessi siamo il prodotto di una serie di eventi accidentali che nessuno si rassegna ad
accettare come tali, dimenticando, tra l’altro, che la contingenza è una condizione fondamentale della libertà…”
Il ragionamento non è che una forma superiore di individuazione dei nessi
causali che anche gli altri animali hanno
“Per poter vivere alla sua maniera l’uomo deve comprendere il più alto numero possibile
di nessi causali e lo scopo delle azioni degli altri esseri viventi (…) Nell’ottemperare a
questa sua necessità biologica non fa che estendere e portare talvolta alle estreme conseguenze un certo numero di facoltà che possiedono anche altri animali superiori. (…) E’
ovvio che l’uomo possiede al massimo grado queste facoltà…”
L’uomo possiede una libertà d’azione in relazione all’evoluzione culturale
“…Noi siamo ragionevolmente liberi- e certamente più liberi di un cane che è, a sua volta, più libero di un lombrico- perché il nostro sistema nervoso è troppo complesso per
essere determinato in ogni suo dettaglio dai geni presenti nel nostro genoma. Molto di
quello che siamo è determinato dagli eventi della nostra vita, soprattutto quelli della
prima età, nonché dal caso…Oltre a questo , siamo tutti immersi in una società depositaria di un’evoluzione culturale che ci garantisce, e sollecita da parte nostra, una grande
varietà di comportamenti possibili e quindi una grande libertà…”
Specificità della natura umana
“…Questa è a grandi linee la visione che la scienza di oggi ci offre della natura dell’uomo
e del suo posto nel mondo…A noi la scelta fra una risentita disperazione e un’orgogliosa
assunzione di responsabilità. Secondo me è molto meglio essere grandi partendo da
premesse piccole che essere piccoli partendo da premesse grandi. Perché l’uomo è
grande. E’ unico. Certamente è grande nella sua dimensione collettiva…Grazie alla sua
dimensione collettiva e all’evoluzione culturale che nel tempo ne è scaturita, l’uomo non
è più soltanto un animale anche molto dotato, ma è divenuto parte di un universo metastabile e contingente che può collassare da un momento all’altro- e non è detto che ciò
non accada- ma che finchè tiene ci sorregge sospesi in una posizione unica sul “gran
mar dell’essere”…”
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LABORATORI DIDATTICI
Allegato C
1) L’uomo nella sua dimensione collettiva è responsabile verso le generazioni future attraverso la responsabilità verso l’ambiente e i viventi che lo circondano. (“Carta dei Diritti delle Generazioni Future”)
La “Carta dei Diritti delle Generazioni Future” di Jacques-Yves Cousteau traccia un progetto educativo di dimensione globale, coinvolgendo l’individuo e, dunque, la collettività
sul piano cognitivo ed etico, culminante nell’affermazione dei principi di RESPONSABILITA’ – DIRITTI – DOVERI: “ad una terra indenne ed incontaminata, ed a godere quale
luogo della storia dell’umanità, della cultura e dei legami sociali che assicurano
l’appartenenza alla grande famiglia umana di ogni generazione e di ogni individuo”,
mentre ogni generazione ha il DOVERE “nel condividere in parte l’eredità della terra, di
amministrarla per le generazioni future, di impedire danni IRREVERSIBILI alla vita sulla
terra nonché alla LIBERTA’ ed alla DIGNITA’ umana “il cui corollario diventa l’assunzione
di responsabilità individuali e collettive per mettere in opera detti principi”.4
2) La responsabilità dell’uomo si esercita attraverso l’azione intesa come
scelta che antivede e provvede per sè e per l’intero ecosistema. (Gehlen)
L’uomo del Terzo Millennio, caratterizzato dall’azione è stato paradossalmente sovrastato dal suo stesso agire, conseguendo traguardi spettacolosi. L’uomo essendo privo di difese organiche è costretto a dipendere interamente dalla sua capacità di agire, di adattarsi e di adattare l’ambiente circostante: “l’uomo – sottolinea Arnold Gehlen – è l’essere
che agisce”5, la sua indeterminatezza quasi lo obbliga in tal senso. Anche gli animali agiscono ma la loro azione è qualitativamente diversa. Essi oltre alla protezione organica
(la pelliccia, per il freddo, i denti aguzzi per difendersi, ecc…) possiedono degli schemi
innati d’azione, fin dai primissimi mesi di vita, che gli permettono di rispondere immediatamente alle sfide ambientali. Se, dunque, nell’uomo troviamo sin dalla nascita indeterminatezza, incertezza e precarietà, la vita degli altri animali è, invece, contrassegnata
da determinatezza e sicurezza. In questo senso l’agire umano non può coincidere con
l’agire di un qualsiasi altro animale, per il quale è più appropriato parlare di comportamento. L’agire, riprendendo Gehlen, è una peculiarità umana: “egli non è definito, è cioè
ancora compito a se medesimo; è come si può anche dire, l’essere che prende posizione. Gli atti del suo prender posizione verso l’esterno chiamiamo azioni e, proprio perché
egli è anche compito a se medesimo, prende posizione verso se stesso e fa di se stesso
qualcosa”. 6
Pertanto l’individuo è un essere che provvede ed antivede. Provvede nel senso che,
interrogato dalle contingenze del suo essere animale indifeso e dalle sfide costanti
dell’ambiente, elabora intenzionalmente risposte sempre più adeguate. Antivede, ossia
riesce a prefigurarsi un futuro staccandosi dall’immediato in cui è “gettato”, per cui
l’AZIONE diventa agire per il futuro, ossia porre in atto delle strategie in vista di conseguenze che intenzionalmente sono state prefigurate e che ipoteticamente accadranno.
3) Occorre una nuova morale che sappia prevedere le conseguenze future
delle azioni e rifiutando l’antropocentrismo si assuma la responsabilità
dell’intero pianeta. (Jonas)
L’uomo è ormai diventato un “Prometeo scatenato” grazie agli enormi mezzi tecnologici
è ormai in questione la stessa sopravvivenza della Terra poichè “viviamo in una situazione apocalittica nell’imminenza di una catastofe universale”. E’ pertanto necessario
formulare una nuova etica diversa da quelle tradizionali fondate su uno “spietato antropocentrismo”, soltanto preoccupate al “qui e ora” e invece occorre riflettere sulle conseguenze a lungo termine delle azioni e formulare una morale che tenga conto anche del
mondo extraumano e delle generazioni future.
4
Cfr. AA.VV, L’immagine dell’ambiente nella scuola, EDITORIALE VERDE AMBIENTE, Roma, 2002,
pp. 32-33.
5
A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano, 1990, p. 58.
6
Ibidem.
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LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO B
Evoluzione e evoluzionismi
INDICE
INTRODUZIONE p. 33
IL CARATTERE INTEGRATO DELLE SCIENZE p. 33
I naturalisti fra il ‘600 e Darwin: lettura e commento di brani scelti.
L’evoluzione secondo Darwin
Il concetto di Tempo. La misura del tempo. Il tempo geologico. Tempo relativo. Tempo
assoluto.
La scala dei tempi geologici
Rocce: Struttura e composizione chimica. Principi di sovrapposizione, di uniformità, di
attualismo. Correlazione degli strati e criterio paleontologico. Come si legge il passato
di una roccia. Concetti di stratigrafia e deformazione degli strati. Evoluzione di un territorio. Fossili: origine, formano e tipologie di fossili. La storia della vita sulla Terra.
Anatomia comparata: Criteri di correlazione e adattamento. Concetto di specie. La
biodiversità. Variabilità intraspecifica, importanza della variabilità intraspecifica degli
organismi come terreno di possibile evoluzione. Il ruolo della selezione naturale
Lettura di “Viaggio di un naturalista intorno al mondo” di Darwin.
IL CARATTERE PROVVISORIO DELLE TEORIE SCIENTIFICHE p. 36
Breve riflessione epistemologica: dal positivismo alla epistemologia di Kuhn.
Fissismo ed equilibrio dinamico della natura.
Catastrofismo e uniformismo in geologia.
Catastrofismo e trasformismo in biologia.
L’evoluzione dopo Darwin.
Scelta e proposta di letture correlate.
STRUTTURA CONCETTUALE DELLA TEORIA DARWINIANA p.45
Darwin non è il padre dell’evoluzionismo
Darwinismo come caso paradigmatico di progresso scientifico?
Darwinismo e molteplicità delle teorie dell’evoluzione: Le cinque teorie di Darwin secondo Ernst Mayr.
Interpretazioni della dinamica evoluzionistica che caratterizza l’Origine.
“Evoluzione” del Darwinismo.
Approfondimenti contenutistici.
GLI SVILUPPI DELLA “RIVOLUZIONE DARWINIANA” p.48
Il quadro storico di riferimento: l’età vittoriana.
Schema interpretativo darwiniano: struttura logica della teoria per selezione naturale.
Rapporto tra scienza e filosofia
Il punto di vista epistemologico: la teoria darwiniana è una teoria scientifica?
Le caratteristiche generali di una teoria scientifica
Esame della critica di Popper alla teoria dell’evoluzione come teoria scientifica.
Riflessione epistemologica sulla validità scientifica della teoria darwiniana
Ostacoli alla teoria della selezione naturale
Il darwinismo nel regno unito
Accoglienza del darwinismo nel mondo: le alterne fortune delle cinque “sottoteorie”
darwiniane
Rinnovamento nel mondo scientifico
Sviluppo della genetica – verso la teoria sintetica
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LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO B
Evoluzione e evoluzionismi
Hanno partecipato ai lavori laboratoriali:
DOCENTI
1. Brigandì Domenica
2. Chiappini Simonetta
3. Conti Claudia
4. Di Mauro Norma
5. Don Vito Michele
6. Lachina Lucia
7. Marchetti Maria Cristina
8. Massa Cinzia
9. Paulesu Monica
10. Perrotta Clelia
11. Piccolo Francesco
SPECIALIZZANDI DELLA SEDE FIORENTINA DELLA SSIS TOSCANA
INDIRIZZI DI SCIENZE NATURALI E SCIENZE UMANE
1. Abate Pietro
2. Bruschini Claudia
3. Calzone Samuele
4. Ciabini Lucia
5. Fagioli Sara
6. Giani Marco
7. Lugli Benedetta
8. Palamidessi Anna
9. Paolucci Costanza
10. Pizzo Anna Maria
11. Renai Barbara
12. Raimondi Rossella
13. Settesoldi Ilaria
14. Stammegna Tatiana
15. Truscioni Ketty
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INTRODUZIONE
Evoluzione ed evoluzionismi
Il laboratorio ha lavorato sulla storia e sul concetto di evoluzione, elaborando quattro
diversi percorsi didattici. I percorsi, pur diversificati per livello di difficoltà concettuali e
di contenuti, hanno tuttavia alcuni punti di convergenza. L’intento comune è in primo
luogo quello di avvicinare gli allievi a una corretta cultura scientifica e se possibile contribuire a sviluppare l’interesse e la passione per la ricerca scientifica intesa come crescita continua della conoscenza per ogni individuo.
Tutti e quattro i percorsi sono interdisciplinari e distinti a seconda degli studenti a
cui possono rivolgersi; tutti coinvolgono quindi discipline diverse: Scienze della Terra
e Biologia, Italiano, Storia, Filosofia, Lingua straniera, Religione.
Il primo percorso, pensato per un biennio di scuola secondaria di II grado, ha come
obiettivo primario quello di far percepire, attraverso le scienze naturali e la storia, il
carattere integrato delle scienze partendo dalla conoscenza della storia delle idee e
delle esperienze degli scienziati che hanno preceduto Darwin e mostrandone la complessità e la necessaria integrazione.
Gli altri tre percorsi sono invece pensati per allievi più grandi e quindi, oltre a permettere la comprensione delle teorie scientifiche relative all’evoluzione dalla prima
formulazione darwiniana alla moderna teoria sintetica, intendono avvicinare i ragazzi a
una comprensione meno semplicistica e più vicina alla realtà della costruzione e dello
sviluppo delle teorie scientifiche. La finalità prevalente del percorso elaborato è quella
dunque di permettere la comprensione di alcuni obiettivi concettuali fondamentali,
quali la non linearità del progresso della scienza, la non monoliticità dei paradigmi
scientifici e quindi la provvisorietà della verità scientifiche (percorso 2). Queste osservazioni generali sul carattere della scienza sono accompagnate anche da una riflessione più specifica sulla struttura delle teorie darwiniane (percorso 3) e sui problemi epistemologici delle teorie dell’evoluzione (percorso 4).
IL CARATTERE INTEGRATO DELLE SCIENZE
Il percorso progettato è adatto ad essere svolto in una seconda classe di biennio di
scuola secondaria di II grado (in molti di questi tipi di scuola l’insegnamento delle
scienze naturali è previsto solo per il primo biennio) e prende spunto dal tema “Carattere integrato delle scienze naturali”.
La tematica proposta ci ha suggerito che proprio il carattere composito ed integrato
delle scienze motiva, in qualche modo, la molteplicità e la vastità dei contenuti proposti in questa disciplina e la teoria (o le teorie) dell’evoluzione forniscono un’adeguata
prova al fatto che molti e diversi tipi di osservazioni e saperi sono necessari allo sviluppo di teorie nel campo delle scienze fisiche e naturali.
E’ importante che fin dai primi anni di scuola superiore i ragazzi si rendano conto
che il progresso scientifico è frastagliato e ramificato; non esiste una via maestra da
seguire.
Lo scopo è dunque documentare le caratteristiche delle scienze naturali ovvero il loro carattere integrato, la non linearità della scienza e la provvisorietà delle scoperte
scientifiche.
L’assunto di base è che la “conoscenza” è fondata e costruita su tante teorie frutto
dell’integrazione delle molteplici discipline scientifiche.
I programmi della disciplina “Scienze della Terra e Biologia” (così si chiama nella
maggior parte dei bienni superiori) includono una grande quantità di argomenti,
dall’origine della Terra alle caratteristiche chimico-fisiche delle rocce, all’idrosfera, alla
classificazione degli organismi, alla genetica, solo per citarne alcuni.
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Da questo punto di vista la teoria dell’evoluzione dà significato allo studio, infatti
rappresenta proprio “il principio unificante” che porta un senso logico nello studio; in
questa teoria tutti gli aspetti geologici e biologici trovano la loro “localizzazione” e lo
studio acquista un filo logico che permette di motivare e dunque “leggere” con maggior chiarezza il “libro della natura”.
I pezzetti del “puzzle” dei contenuti trovano nell’evoluzione la loro corretta collocazione e l’immagine della vita si rende visibile ai nostri occhi.
Il percorso si presta molto bene ad essere svolto in modo interdisciplinare insieme
con il docente di Italiano e storia.
All’inizio abbiamo detto che il percorso si ispira al tema del carattere integrato perché, rivolgendosi ad allievi di un biennio, non potremo addentrarci troppo nell’analisi
proposta che, a nostro avviso, richiederebbe conoscenze e competenze molto approfondite per poter essere sviluppato, conoscenze e competenze che gli allievi dai quattordici ai sedici anni ancora non sono in grado di organizzare.
Pur tuttavia ci pare che attraverso il percorso costruito, gli allievi abbiano modo di
rendersi conto che proprio con l’osservazione e lo studio dei vari aspetti del mondo
della natura portato avanti da tanti personaggi, è stato possibile, per Darwin, arrivare
a costruire una teoria come quella dell’evoluzione della specie. Proprio per ribadire
questo concetto il lavoro finale di questo progetto propone agli allievi la lettura del
“Viaggio di un naturalista intorno al mondo” di Charles Darwin, nel quale le osservazioni geologiche, zoologiche, botaniche, antropologiche si fondono naturalmente a costituire il nucleo di partenza del materiale sul quale Darwin fonda la sua teoria.
“Il viaggio della Beagle è stato di gran lunga l’avvenimento più importante della mia vita
ed ha determinato tutta la mia futura carriera […] fui costretto a dedicarmi perdutamente a vari rami delle scienze naturali, sicché la mia capacità di osservazione, già discretamente sviluppata, ne fu molto accresciuta. [….] Durante una parte del giorno scrivevo
il mio giornale e mettevo molto impegno nel descrivere accuratamente e vivacemente
tutto quello che avevo visto, e questo era un buon esercizio.7”
Percorso didattico
All’inizio dell’unità didattica è previsto un momento dedicato allo stimolo iniziale, che
avrà lo scopo di suscitare interesse per la tematica. Le lezioni saranno impostate in
modo dialogico-problematico, così che gli allievi si sentano sempre partecipi all’attività
di classe; ossia i ragazzi saranno stimolati a proporre ipotesi e ad esprimere le loro osservazioni sui possibili risultati.
Ad ogni ragazzo verranno forniti i 3 seguenti brani e a gruppetti di due dovranno
cercare di metterli in ordine cronologico, in modo da rendersi immediatamente conto
della difficoltà nell’ordinare nel tempo le differenti teorie e del carattere non lineare e
non cumulativo del progresso scientifico. (All.1)
Dopo questo input prende avvio il vero e proprio percorso didattico e inizia con la
presentazione storica dell’ambiente dei naturalisti fra il ‘600 e Darwin, si introduce sia
la cronologia che i personaggi di questa storia (chi e quando).
Questo perché quasi tutti i ragazzi di questa età non hanno ancora ben chiaro lo
svilupparsi cronologico dei fatti; l’avvicendarsi di periodi, persone, avvenimenti si intreccia in modo confuso nelle loro conoscenze.
Nella presentazione però si fanno leggere e commentare anche brani opportunamente scelti, che permettono di capire che le conoscenze in campo scientifico, oltre ad
essere di vario tipo, non sono “lampadine che si accendono improvvisamente”, senza
correlazioni con le osservazioni fatte, ma sono piuttosto il frutto dell’indagine, dello
studio, del ragionamento di molti individui che spesso portano a vicoli cechi, che altre
volte aprono nuove vie e che sempre portano a nuovi interrogativi ma che comunque
fanno crescere il sapere e la conoscenza. Questo percorso storico attraverso le letture
7
Charles Darwin,1967, Autobiografia, Feltrinelli, Milano p.39
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ci permette anche di gettare le prime basi per la comprensione di alcuni concetti fondamentali per la cultura scientifica: la convinzione del carattere laico della scienza e
soprattutto l’aspetto del carattere non monolitico del sapere scientifico e l’aspetto d inamico della conoscenza scientifica con lo svilupparsi di nuove teorie che ampliano,
modificano e talvolta soppiantano totalmente le precedenti convinzioni. (All.2)
Dal percorso storico parte la scelta di argomenti disciplinari di scienze naturali a sostegno del tema evoluzione. Gli argomenti si riferiscono sia a contenuti sviluppati nel
primo anno di corso, per i quali sarà opportuno prevedere una rivisitazione, sia a contenuti del secondo anno di corso. In tutti i casi si è ritenuto opportuno sviluppare una
metodologia laboratoriale sia in senso proprio (sono previste attività di vario tipo, non
trascurabili perché l’età degli allievi richiede che si faccia sempre ricorso al “fenomenologico”, al fare per costruire il sapere) sia nel senso di coinvolgere gli alunni in un processo di continua discussione e rielaborazione dell’appreso.
I tempi di lavoro non sono invece stati quantificati rigidamente perché prevediamo
di sviluppare questo percorso durante l’intero anno scolastico, un po’ come un filrouge che si dipana nell’arco dell’anno e che può ampliarsi con l’inserimento di altri
contenuti disciplinari.
Per la valutazione si prevede di constatare in itinere la capacità di acquisire conoscenze e competenze.
Allegato 1
Brani proposti come stimolo:
1
L’uccello attirato dal bisogno sull’acqua, ove trova la preda che lo fa vivere, allarga le dita dei
piedi allorché vuole battere l’acqua e muoversi su di essa: la pelle che unisce le dita alla loro
radice, a seguito delle continue sollecitazioni, prende l’abitudine di distendersi. È così che si sono formate, con l’andar del tempo, le ampie membrane che uniscono le dita delle anatre, delle
oche e di altri uccelli. Sforzi simili, compiuti per nuotare, cioè per spingere l’acqua al fine di
spostarsi entro questo liquido, hanno disteso in modo analogo le membrane che uniscono le dita delle rane, delle tartarughe marine, ecc.( Lamarck)
2
"Innumerevoli esseri viventi furono spazzati via dalle catastrofi. Quelli che vivono in terre aride
vennero sommersi dai diluvi. Altri che vivevano abitualmente in acqua perirono quando il fondale marino si sollevò subitaneamente, trasformandosi in terra arida; intere razze si estinsero lasciando semplici tracce della loro esistenza, oggi difficilmente riconoscibile anche da parte dei
naturalisti." (Cuvier)
3
“Di qui io cominciai a dubitare se per fortuna tutti i bachi delle carni dal seme elle sole mosche
derivassero e non dalle carni stesse imputridite, e tanto più confermava nel mio dubbio quanto
che, in tutte le generazioni da me fatte nascere, sempre avea io veduto sulle carni, avanti che
inverminassero, posarsi mosche della stessa spezie di quelle che poscia ne nacquero; ma vano
sarebbe stato il dubbio se l’esperienza confermato non l’avesse. Imperciocché a mezzo il mese
di luglio in quattro fiaschi di bocca larga misi una serpe, alcuni pesci di fiume, quattro anguillette d’Arno ed un taglio di vitella di latte; e poscia, serrate benissimo le bocche con carta e spago
e benissimo sigillate, in altrettanti fiaschi posi altrettante delle suddette cose e lasciai le bocche
aperte: né molto passò di tempo che i pesci e le carni di questi secondi vasi diventarono verminose; ed in essi vasi vedevansi entrare ed uscir le mosc he a lor voglia, ma ne’ fiaschi serrati
non ho mai veduto nascere un baco.”( Redi)
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Allegato 2
Ipertesto per lo sviluppo della parte storica del percorso.
Per ognuno dei personaggi scelti è inserita una breve biografia e una scelta di letture
da cui deve scaturire una riflessione e una discussione in classe. Le note biografiche e
i brani scelti sono consultabili sul CD allegato; qui di seguito riportiamo solo i riferimenti bibliografici.
Il CARATTERE PROVVISORIO DELLE TEORIE SCIENTIFICHE
Tenendo presente il recente dibattito intorno ai temi dell’evoluzione, sia in ambito scolastico sia, più in generale, in ambito scientifico, si avverte la necessità di affrontare
l’argomento in modo diverso rispetto a come viene trattato generalmente nei libri di
testo, dove spesso viene ricondotto ad un semplice confronto tra le idee evoluzionist iche di Lamarck e di Darwin .
Il presente percorso è un tentativo di fornire agli studenti una visione più ampia del
significato dell’evoluzionismo nella storia del pensiero scientifico; Darwin non rappresenta il punto di arrivo, ma il punto centrale dal quale le recenti teorie evoluzioniste
che si sono sviluppate nel corso del XX secolo hanno intrapreso strade peculiari e, alcune volte, alternative tra di loro.
Il tema dell’evoluzione viene trattato ricorrendo anche al contesto storico, filosofico
e sociale in cui si è sviluppato; con lo scopo di approfondire e riflettere sulla provvisorietà delle scoperte scientifiche.
A partire dalla seconda metà dell’800 assistiamo, infatti, alla nascita di un movimento di rinnovamento della scienza che condurrà di lì a poco alla seconda rivoluzione
scientifica. In un periodo storico fortemente caratterizzato dall’ottimismo laicoborghese, le spinte innovative che si registrano nella ricerca scientifica risultano in
piena armonia con l’idea di progresso che pervade ogni settore di indagine del tempo;
nella seconda metà del 1800, infatti, l’equazione tra progresso e benessere acquisisce
una valenza mai conosciuta prima di allora. Il vento a favore che spinge l’economia e
lo sviluppo industriale creano il presupposto perché si ritenga che la crescita materiale
vada di pari passo con quella intellettuale. Questa relazione, forte e stringente, legit-
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tima la cieca fiducia nella scienza e nel carattere assoluto e oggettivo delle sue scoperte. La fede nella scienza che anima la società di questo periodo è strumentale alla necessità di conoscere la realtà per controllarla e muoverla secondo le proprie finalità e i
propri bisogni giacché il benessere rappresenta il punto d’arrivo dell’ideologia borgh ese.
In questa prospettiva, nella direzione di una conoscenza oggettivamente misurabile
quale è quella scientifica, trova le sue radici la diffusione delle idee positiviste. Tra il
1830 e il ’42, viene pubblicato quello che è unanimemente considerato il manifesto del
Positivismo: il Corso di filosofia positiva di Auguste Comte. Il filosofo francese, attraverso l’osservazione e lo studio della storia e della “evoluzione dell’intelletto umano
nelle sue sfere di attività”, sostiene che il progresso umano si sia sviluppato attraverso
la successione di tre stadi: lo stadio teologico, che segna il passaggio dell’uomo dalla
natura alla cultura attraverso il tentativo dello stesso di dominare il suo habitat servendosi di pratiche magico-mistiche; lo stadio metafisico, nel quale i miti religiosi sono
sostituiti dalle astratte entità intellettive della riflessione filosofica; l’ultimo stadio,
quello positivo che si origina nella speculazione filosofica galileiana e cartesiana, sostituisce al ragionamento astratto la conoscenza che deriva e si fonda sulla solida base
dell’osservazione dei fatti (cfr. in Letture).
La ricerca positiva, nell’idea di Comte, deve indirizzare il fuoco dell’indagine non sul
perché del “fenomeno” bensì sul come; vale a dire ricercare le leggi e le cause che lo
hanno prodotto per come si presenta agli occhi dell’osservatore. Darwin stesso sembra
muoversi proprio in questa direzione nella definizione della sua teoria. Allo scienziato
inglese, infatti, interessa mettere in evidenza come si determini il processo evolutivo e
sulla base di quali leggi (selezione naturale e sessuale) piuttosto che, atteggiamento
più consono ai suoi detrattori, interrogarsi sul perché e sull’artefice dell’inizio del
cammino dell’uomo sulla terra.
Il favore e il consenso riscosso dall’ipotesi darwiniana è spiegato dal fatto che essa,
seppure involontariamente, giustifica e supporta il sospetto con il quale la nascente ideologia borghese, nonché la cultura positivista guardano la religione in quanto manifestazione della tradizione e fortezza del conservatorismo.
L’affermazione e la fortuna dell’organizzazione tecnico-industruale avrebbero caratterizzato l’800 fino all’inizio degli anni ’70. Gli storici utilizzano il ’73 come anno convenzionale che segna l’inizio di una grande depressione destinata ad aprire una nuova
fase periodizzante del tutto contrapposta a quella precedente. In questo periodo, si
registra il declino di quel sentimento di incondizionata fiducia nella certezza delle
scienze e del progresso.
In questi anni l’opera di Riemann Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria,
teorizzando la possibilità logico-matematica di una geometria alternativa a quella euclidea (geometrie non euclidee), segna un momento di grande rottura epistemologica
destinato ad inaugurare un nuovo scenario nella ricerca scientifica. Mettendo in crisi le
geometrie euclidee, ritenute finora unica possibilità descrittiva della realtà, le geometrie non-euclidee originano una forte riflessione sui principi e sul carattere assoluto
delle scoperte scientifiche
All’inizio del secolo scorso la riflessione sulla scienza e sui suoi principi ha aperto la
strada ad una vera e propria crisi. La teoria della relatività e la meccanica quantistica
hanno, infatti, messo in discussione l’univocità dell’approccio scientifico tradizionale.
Ciò che per i positivisti era verità certa e “rivelata”, fondata sul “dato positivo”, diventa suscettibile di verifica e di controllo: ecco dunque che la riflessione dei neopositivisti, che si origina a partire dagli anni ‘20, tenta di predisporre un sistema atto alla
verifica dei risultati della scienza (principio di verificazione). In questa direzione la ricerca dello scienziato e del filosofo, lungi dall’essere abbagliata dalla luce della verità,
come dato acquisito definitivamente, diviene indagine epistemologica finalizzata alla
messa a punto di metodologie e strumenti critici più adeguati alla lettura dei fenomeni.
Di particolare interesse sono le conclusioni sviluppare da Wittgenstein nel Tractatus: i
problemi, generalmente, sorgono per i fraintendimenti della logica e del linguaggio ed
è sempre più necessario esprimere in modo chiaro “ciò che si può dire”. L’intera scienza si deve costruire a partire da una riflessione filosofica, in quanto attività chiarifican-
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te che delinea il campo del dicibile, e deve seguire un metodo rigoroso di verificazione.
Fondamentale, a questo proposito, è la riflessione di Karl Popper che, in Congetture e
confutazioni, propone un criterio di indagine – chiamato principio di falsificazione
nell’opera Logica della Scoperta Scientifica – che, accantonando le ipotesi non falsificabili, permetta alla scienza di continuare il suo progressivo avvicinamento alla verità
(cfr. Letture): critico anche nei confronti delle scienze umane e determina cambiamenti significativi, mettendone in discussione i principi di indagine: l’antropologia culturale,
la psicologia e la sociologia vengono ad essere ricollocate in un orizzonte concettuale
che si richiama a quei problemi essenziali e a “quanto poco si sia fatto dall’essere questi problemi risolti”. Un celebre aforisma di Wittgestein riassume forse questo cambiamento:
[6.52] Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche
hanno avuto risposta, i nostri problemi non sono ancora neppur toccati. Certo allora non
resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta8.
La riflessione e i dubbi, prospettati all’interno della ricerca scientifica, che l’indagine
stessa si trova ad affrontare in questo periodo, favorisce ipotesi di un abbandono quasi
“totale” della ricerca, al fine di riportare l’attenzione dell’uomo su problemi che concernono la sua esistenza e la sua vita, ai quali la scienza sembra non dare delle risposte adeguate.
Di fronte a questa posizione che prospetta la rinuncia alle verità che la scienza pretende di fornirci, altri autori, successivamente, mettono in crisi il concetto stesso di
progresso scientifico. A partire dalla riflessione di Popper e del neopositivismo, Thomas
Kuhn propone una riflessione critica sulla scienza e sul come e perché avvengono mutamenti radicali nelle scienze; lo sguardo storico permette al filosofo di cogliere grandi
cambiamenti di prospettiva all’interno della storia della scienza. Kuhn infatti ritiene che
la scienza si muova all’interno di “paradigmi”; con questo termine, il filosofo indica
l’insieme di teorie, regole e procedure metodologiche utilizzate da una comunità scientifica. L’abbandono di questi strumenti comporta la consequenziale uscita da un paradigma e apre un momento di crisi rivoluzionaria che prelude all’adozione di un paradigma nuovo. Ciò che mette in evidenza Kuhn è il fatto che la scienza non si muove
all’interno di una catena progressiva di conoscenze, come vuole la tradizione, bensì sia
la risultante di una serie incommensurabile di paradigmi: egli infatti sottolinea proprio
il carattere provvisorio di ogni paradigma, che viene rivisto e superato dopo ogni rivoluzione concettuale. In questo modo viene accantonata così l’idea di un progresso
scientifico unilaterale, in quanto ogni paradigma, come orizzonte concettuale nuovo,
ridefinisce i propri significati: ad esempio, la nozione di ‘massa’ per Newton è diversa
da quella usata da Aristotele. La “scienza normale”, quella che si muove all’interno di
un paradigma, sarà dunque inevitabilmente messa in discussione dall’insorgere di
“rompicapi” che danno luogo ad una scienza rivoluzionaria (cfr. Letture).
Si registra tra il positivismo e il ’900 un cambio di rotta radicale rispetto alla scienza e
alla fiducia in essa riposta; dall’ottimismo che aveva caratterizzato l’atteggiamento di
fine ‘800 si arriva ad un ripensamento epistemologico che comporta la ridefinizione
della scienza e delle sue verità e ne sottolinea la provvisorietà nel panorama delle conoscenze umane.
Obiettivi
1. comprendere che il processo di costruzione delle teorie scientifiche avviene attraverso il contributo di diversi scienziati ed è suscettibile di revisioni e miglioramenti
8
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, trad. di G. A. Conte, Einaudi, Torino, 1968, p. 27-28.
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2. riconoscere il contributo che le diverse aree del sapere possono fornire alla composizione delle diverse teorie scientifiche e il ruolo che il particolare momento storico
può avere per l’affermarsi di queste teorie
3. sviluppare la passione per la ricerca, attraverso l’analisi di percorsi e ragionamenti
che hanno portato a conquiste e rivoluzioni nelle varie discipline
Prerequisiti
Storia: La rivoluzione francese
Filosofia: La rivoluzione Copernicana
Biologia: Caratteristiche dei viventi, classificazione dei viventi in 5 regni; ipotesi sulla
comparsa della vita sulla Terra; divisione cellulare e riproduzione degli organismi
Genetica: Genetica classica mendeliana, interazioni gene-ambiente, geni e cromosomi.
La natura chimica dell’ereditarietà: struttura della molecola del DNA, sintesi delle proteine, regolazione genica, mutazioni
Scienze della Terra: Classificazione delle rocce, ciclo litogenetico, terremoti, vulcani
Discipline coinvolte
Storia e Filosofia: Rapporti tra scienza e filosofia, contestualizzazione della teoria evoluzionistica.
Lingua inglese: l’epoca vittoriana, traduzione di testi scientifici o di brani di vari autori.
Religione: Enciclica Humani generis 1950 Pio XII; lettera all’Accademia delle scienze
1996 di Giovanni Paolo II.
Contenuti
A. Le scienze naturali tra ‘700 e ‘800
Fissismo ed equilibrio dinamico della natura
Linneo (1707 – 1778): le specie, create in forma eterna e immutabile secondo un
progetto divino, sono spontaneamente disposte in un sistema naturale che si prestava
alla classificazione; classificazione tassonomica dei regni animale, vegetale e minerale.
Buffon (1707 – 1788): teoria della degenerazione. Attualismo e dilatazione dei tempi
geologici (75000 anni per la Terra e a 6000 per l’uomo), trasformazione progressiva
degli esseri viventi.
Nella sua opera mostra chiaramente il carattere integrato delle Scienze Naturali,
ovvero la stretta relazione che intercorre tra le scienze della Terra e le scienze Biologiche, ma soprattutto rispecchia i dubbi e le contraddizioni di un pensiero vasto e complesso. La natura è considerata come un sistema in equilibrio dinamico. La storia della
Terra non è segnata da cataclismi improvvisi, violenti e rari, ma dall’azione di agenti
naturali che operano lentamente e costantemente (come maree, venti, ecc), dando inizio al grande filone dell’“uniformismo geologico” (in contrapposizione con il “catastrofismo”), che verrà poi ripreso da Hutton e da Lyell.
Sulla base della concezione “dinamica” della natura, B. si oppone alla sistematica
linneana, che tende ad “ingabbiare” la natura in schemi.
La “scoperta del tempo” da parte di B. rappresenta il presupposto fondamentale per
l’affermazione delle teorie evoluzioniste in accordo con l’approccio uniformista nella
geologia.
Lettura: La fine del compromesso fra Genesi e scienze naturali in Nicoletta Morello, La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp. 155-160
Catastrofismo e uniformismo in geologia
Hutton (1726 – 1797): fondatore della geologia storica, sosteneva che le modificazioni geologiche del passato, come quelle attuali, fossero avvenute per l’azione costante
di forze naturali che continuano ad agire tutt’ora nella crosta terrestre, escludendo
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l’intervento di eventi catastrofici. Ad Hutton si deve la prima accurata distinzione tra
rocce ignee e sedimentarie, l’intuizione del metamorfismo e della formazione di nuovi
continenti attraverso il sollevamento delle rocce marine ad opera di forze interne e la
definizione del principio della sovrapposizione stratigrafica. Infine respinse la misura
del tempo basata sulla Bibbia, ritenuta ancora valida dalla maggior parte dei suoi contemporanei, introducendo il concetto di tempo geologico.
Lettura: Un’infinita successione di “mondi” in Nicoletta Morello, La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp.191-196)
Werner (1749 – 1815): caposcuola della corrente dei nettunisti, che si opponeva ai
plutonisti di Hutton, influenzò tutta la geologia della fine del ‘700 e della prima parte
dell’800. La teoria nettunista si ricollega ad una visione della geologia di tipo tradizionale, catastrofista e fissista, che propone una storia della Terra concordabile con la
genesi.
Lyell (1797 – 1875): fu il primo ad esporre chiaramente la teoria dell’attualismo ("il
passato è la chiave del presente") secondo la quale la Terra è stata modellata interamente dall’azione di forze (erosione, sedimentazione, eruzioni vulcaniche, terremoti,
ecc.) che agiscono, nel passato come oggi, con movimenti lenti e per periodi di tempo
lunghissimi (in contrapposizione al catastrofismo). Il tempo diviene non solo un fattore
importante di modificazione ma anche un agente naturale che casualmente mantiene
o cancella le tracce delle epoche passate. Sia il mondo organico che quello inorganico
sono sottoposti ad un lento, graduale e continuo mutamento, i cui effetti macroscopici
si evidenziano solo dopo milioni di anni. La teoria di Lyell contribuì a preparare il terreno per Darwin; ciò è evidente nell’analogia tra le loro visioni sulla progressiva differenziazione delle specie attraverso l’accumularsi di piccole variazioni per periodi di
tempo estremamente lunghi (gradualismo).
Lettura: La lotta per l’esistenza impedisce la trasformazione delle specie in Antonello La
Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 278-281
Catastrofismo e trasformismo in biologia
Cuvier (1769 – 1832): nascita del metodo naturalistico moderno; studio della paleontologia; catastrofismo e storia della vita (polemica con Lamarck).
Nella teoria di Cuvier, che riprende la concezione tradizionale biblica dell’origine del
mondo e della vita, immani e improvvise catastrofi, causate da fattori straordinari,
hanno sconvolto nel passato la Terra e distrutto ogni forma di vita. Dopo ogni catastrofe le specie, create da Dio, ripopolano le terre abitabili, adattandosi di volta in volta ai nuovi ambienti; gli organismi quindi non si trasformano, ma o si perpetuano identici o sono spariti. Questa teoria spiega la mancanza nei fossili di forme di transizione tra le specie antiche e quelle attuali.
Lettura: Le rivoluzioni geologiche dimostrano l’estinzione delle specie, in Nicoletta Morello,
La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp.209-210)
Lettura: La teoria delle catastrofi, in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo
a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 252-257)
Lamarck (1744 – 1829): la sua visione del processo evolutivo, legata a fattori quali
l’influsso diretto dell’ambiente, gli effetti dell’uso e del disuso degli organi,
l’ereditarietà dei caratteri acquisiti e la “volontà” degli organismi come causa di modificazione, viene sempre vista contrapposta a quella di Darwin legata invece alla selezione naturale. In realtà per D. la selezione naturale è la causa più potente di trasformazione, ma non certo l’unica. Nelle varie edizioni dell’Origine delle Specie, infatti, si evidenziano sempre di più influssi “lamarckiani”. La principale differenza tra i due consi-
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ste soprattutto nel modo di intendere il rapporto tra l’organismo e l’ambiente e quindi
l’adattamento. La concezione lamarckiana della variabilità degli organismi è essenzialmente finalistica, poiché la variazione insorge per quella particolare destinazione.
Lamarck critica fortemente anche le classificazioni dei viventi (Linneo), considerandole
artificiali e utili solo come inventari, insistendo invece sulla necessità di classificare gli
organismi tenendo presente l’ordine seguito dalla natura nel produrre raggruppamenti
organici via via più complessi (metodo delle affinità genealogiche). Grande scontro con
Cuvier, sostenitore del fissismo, forte critica anche da parte di Lyell.
Lettura: Le “specie perdute” in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 204-207)
Lettura: La plasticità del vivente, in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a
Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 214-222
Lettura: Il continuo cammino verso Ovest delle terre e dei bacini oceanici, in Nicoletta Morello, La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp. 213-218)
Wallace (1823 – 1913): nel 1858 Wallace affrontò il problema dell’origine della specie
e giunse alla conclusione che le ipotesi lamarckiane andavano superate enunciando in
modo del tutto indipendente il fondamentale principio “darwiniano” della “divergenza
dei caratteri”. Ma alcune questioni riguardanti le teorie dei due studiosi inglesi erano
tutt’altro che coincidenti. Per esempio, Wallace sostiene che le forze che operano in
natura sono diverse da quelle che agiscono nei confronti degli animali domestici, pertanto le considerazioni tratte nello studio di queste ultime non possono essere estese
agli animali selvatici. Wallace ritiene inoltre che la teoria di Lamarck sia del tutto superflua, mentre Darwin affermerà che gli adattamenti lamarckiani accompagnano e
rinforzano il processo di selezione naturale.
Lettura: Sulla tendenza delle varietà ad allontanarsi indefinitamente dal tipo originario, p.
334.
Darwin (1809 – 1882): l’approccio di Darwin allo studio della natura è più di tiposcientifico (predilige le escursioni, l’osservazione in loco e la raccolta di campioni) che
non filosofico. Come altri importanti figure di scienziati inglesi dell’800 (Wallace, Huxley) compie un viaggio fondamentale per la sua formazione. Influenzato dagli scritti
di Lyell e Malthus (Essay on the principle of population), con il quale condivide l’idea
che in natura non c’è posto per tutti, D. è convinto che non basta essere adattati, ma
bisogna essere più adattati di altri organismi. Solo i più adatti sopravvivono, prendono
il sopravvento numerico e danno luogo a varietà che possono, con il tempo e se hanno
fortuna, consolidarsi in specie nuove. L’enorme variabilità degli organismi fornisce un
immenso numero di aspiranti al rango di specie.
Proposte di discussione:
- Complessità della teoria darwiniana (almeno 5 diverse teorie secondo Mayr).
- Evoluzione come tale: i viventi non sono costanti, non sono stati creati così, e cambiano nel tempo.
- Origine comune: ogni gruppo di organismi ha un antenato comune, e questi alla fine possono essere fatti risalire (forse) ad un unico progenitore.
- Moltiplicazione della specie: le specie si moltiplicano nel tempo.
- Gradualismo: il cambiamento evolutivo avviene per cambiamento graduale delle
popolazioni, non per produzione improvvisa (saltatoria) di nuovi “tipi”
- .Selezione naturale: “la conservazione delle variazioni favorevoli e la distruzione di
quelle nocive”.
Obiezioni e critiche alla teoria di Darwin: l’unico tipo di evoluzione possibile è quella
controllata da Dio, che prevede l’intervento divino ogni qual volta si presenta la necessità di modificare strutture e funzioni degli organismi viventi. (Gray: la selezione naturale è conciliabile con la teologia naturale e con il disegno divino)
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
Obiezioni tecniche: lacune nella documentazione paleontologica delle forme organiche intermedie che portava ad immaginare un’evoluzione non graduale ma a scatti.
L’opera di Darwin tratta la trasformazione delle specie esistenti ma non l’origine
prima di queste specie. Origine da materia inanimata o attraverso un atto di creazione
iniziale?
La selezione naturale non può agire su variazioni insensibili.
Obiezione di Kelvin: età della Terra non può superare i 400 milioni di anni, troppo
pochi per l’evoluzione di tutte le forme viventi.
Poco chiare le cause della variazione e le leggi dell’ereditarietà (eredità per mescolamento).
B. L’evoluzione dopo Darwin
La riscoperta, agli inizi del ‘900, del lavoro di Mendel, i successivi studi di genetica delle popolazioni, la nascita della biochimica e la conseguente individuazione della struttura del DNA, della replicazione e della trasmissione dell’informazione genetica, apportarono ulteriori conferme alla teoria evolutiva e spiegarono in modo soddisfacente i
meccanismi che consentono alle specie di modificarsi.
Alla nuova teoria evolutiva che ampliava la teoria darwiniana, conservandone però i
principi fondamentali, fu dato il nome di “teoria sintetica dell’evoluzione”, per porre
l’accento sulla straordinaria, sostanziale convergenza fra le varie discipline in temi
evolutivi e sul contributo che le stesse erano state in grado di offrire. La teoria era ormai divenuta la teoria unificante per tutta la biologia, e tale è rimasta sino ad oggi.
Metodologie
L’approccio che viene proposto si basa soprattutto sulla scoperta delle caratteristiche
peculiari del pensiero di alcuni tra i principali protagonisti del mondo delle Scienze della natura che, tra la fine del 1700 e del 1800 hanno osteggiato o hanno contribuito
all’affermarsi di una visione evoluzionista della natura, attraverso la lettura di brani
tratti dalle loro opere. Questi testi, forniti dal docente, verranno rielaborati dagli studenti, che lavoreranno in gruppo, e potranno essere integrati con altro materiale reperito autonomamente su internet.
I contenuti storico filosofici, verranno trattati, invece, attraverso lezioni dialogiche basate sui testi principali di riferimento.
Le considerazioni elaborate dagli studenti verranno presentate e discusse insieme al
resto della classe e all’insegnante, in modo da evidenziare eventuali carenze o imprecisioni, che verranno colmate o corrette con il contributo del docente, così da fornire
una chiara ed esauriente immagine del pensiero di ciascun scienziato. In questo modo
sarà possibile ricostruire, seppure a grandi linee, il tortuoso percorso della scienza.
Quello che dovrà emergere dal confronto dei lavori svolti dai vari gruppi e dal successivo dibattito sarà proprio la difficoltà di ricostruire in modo lineare la storia del pensiero scientifico.
Prodotto finale sarà un ipertesto nel quale verranno integrati i lavori dei singoli gruppi.
Si è pensato pertanto ad un metodo di studio attivo, in cui gli studenti siano coinvolti
in lavori di indagine bibliografica, rielaborazione di documenti e discussione sul lavoro
svolto, nel quale ciascuno si possa sentire artefice della costruzione del proprio sapere.
Fasi del percorso didattico
Prima Fase: formazione dei gruppi, distribuzione del materiale e impostazione del
metodo di lavoro
L’insegnante fornisce agli studenti materiale bibliografico e indicazioni per reperire informazioni, anche da siti internet, necessarie alla ricostruzione del percorso scientifico
relativo all’evoluzionismo. In particolare chiederà agli studenti di mettere in evidenza i
tratti peculiari del pensiero di ciascuno scienziato, inquadrandolo all’interno del contesto storico e sociale in cui è vissuto, e senza tralasciare particolari circa la sua personalità, in modo da apprezzare meglio la complessità di ciascuna figura.
I gruppi sono così organizzati:
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
Gruppo
Gruppo
Gruppo
Gruppo
Gruppo
1:
2:
3:
4:
5:
Fissismo e equilibrio dinamico nella natura - Linneo e Buffon
Catastrofismo e uniformismo in geologia - Werner , Hutton e Lyell
Catastrofismo e trasformismo in biologia – Cuvier e Lamarck
Darwin -Wallace
L’evoluzione dopo Darwin – Mayr, Huxley, Gould
Seconda Fase: elaborazione dei materiali nei lavori di gruppo
Gli studenti, riuniti in gruppo, lavorano sul materiale ricevuto e da loro reperito, avendo comunque sempre la possibilità di rivolgersi al docente per eventuali domande di
chiarimento sul procedimento del lavoro, su difficoltà sorte durante la consultazione
dei testi e nell’interpretazione di concetti. Al termine é previsto un momento di condivisione del lavoro svolto da ciascun gruppo, attraverso la presentazione delle rispettive
relazioni e delle mappe concettuali, durante il quale il docente può evidenziare eventuali carenze o inesattezze degli elaborati degli studenti e indicare eventuali variazioni
da apportare al lavoro.
Terza Fase: autocorrezione
I gruppi, alla luce di quanto emerso dal lavoro di revisione svolto insieme al docente,
dovranno correggere, completare e approfondire la propria relazione.
Quarta Fase: preparazione di un ipertesto
Ciascun gruppo sceglierà i materiali (testi, immagini, filmati), in relazione al tema trattato, da utilizzare per la preparazione di un ipertesto, che raccoglierà i contributi di
tutti i gruppi
Quinta Fase: verifica sommativa.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
Letture proposte
G. Buffon, Histoire et théorie de la Terre (1749), in G. Buffon, Oeuvres complètes, Paris, 1853-55, vol I, pp.
103-67 (La fine del compromesso fra Genesi e scienze naturali in Nicoletta Morello, La macchina della terra,
Loescher editore, 1979, pp. 155-160).
J. Hutton, Theory of the Earth (1975) rist. Anastatica Leutershausen, Srauss & Kramer, 1972, vol. I, pp. 3,
6, 13, 15, 19, 198-200; vol II, pp. 433, 561-64 (Un’infinita successione di “mondi” in Nicoletta Morello, La
macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp.191-196).
G. Cuvier: - Discours sur les révolutions de la surface du globe, in Recherches sur les ossemens fossiles des
quadrupedes (1812), Paris, 1822, pp. 104-09, 205-06, 208, 345-46 (Le rivoluzioni geologiche dimostrano
l’estinzione delle specie in Nicoletta Morello, La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp.209-210).
- Discours sur les révolutions du globe (1812), Paris, Didot, 1861, pp. 9-12, 17, 35-36, 77-78, 8284, 177-78 (La teoria delle catastrofi in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a
Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 252-257).
C. Lyell, The Princicples of Geology (1832), London, Murrey, 1830-1833, II, pp. 67, 174-175 (La lotta per
l’esistenza impedisce la trasformazione delle specie, in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 281-282).
J. B.-P.-A. Monet de Lamarck, Philosophie zoologique (1809), trad. It. G. Barsanti, Filosofia zoologica. Prima
Parte, Firenze, La Nuova Italia,1976, pp. 27-28, 47-50, 52-53, 56-58 (Le “specie perdute” in Antonello La
Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 204-207)
- Philosophie zoologique (1809), trad. It. G. Barsanti, Filosofia zoologica. Prima Parte , Firenze, La Nuova Italia,1976, pp. 147 -50, 154-55, 160-63, 165-67, 169-70, 172-74 (La plasticità del vivente, in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 214-222)
- Hydrogéologie (1802), in J. B. Lamarck, Hydrogeology, trasl, by A.V. Carozzi, urbana, University of Illinois Press, 1964, pp30, 39 -40, 74 -75, 122-24 (Il continuo cammino verso Ovest delle terre e dei bacini oceanici, in Nicoletta Morello, La macchina della terra, Loescher editore, 1979, pp. 213-218)
C. Darwin: - On the Origin of Species (1859), trad. It. di C. Calducci, L’Origine delle Specie, Roma, Newton
Compton, 1974, pp.110-12, 115, 118, 120-24 (La selezione naturale, in Antonello La Vergata, L’evoluzione
biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 347-354)
- On the Origin of Species (1859), trad. it. cit., pp. 536-41 (Alcune difficoltà della teoria, in Antonello La
Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 364-372)
- On the Origin of Species (1859), trad. it. cit., pp 545,547, 549-54 (Argomenti in favore della teoria,in
Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp.372 -381)
- On the Origin of Species (1859), trad. it. cit., pp 556 -62 (Una grande rivoluzione nella storia naturale
in Antonello La Vergata, L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin, Loescher editore, 1979, pp. 381387)
- On the Origin of Species (1859), trad. it. cit., pp. 181, 183-86, 190-91 (Le leggi della variazione, in
Teorie dell’evoluzione nell’ottocento, a cura di Giulio Barsanti, Le Monnier, 1980 p.160)
- Autobiografia, in Viaggio di un naturalista intorno al mondo – Autobiografia – Lettere (1831-1836), a
cura di P. Omodeo, trad. di P. Omodeo e M. Vegni Talluri, Milano, Feltrinelli, 1967 p. 65. (All’inizio del
1856 …….. l’attenzione del pubblico.)
Wallace Sulla tendenza delle varietà ad allontanarsi indefinitamente dal tipo originario p. 334
Barsanti G. Una lunga pazienza cieca-Storia dell’evoluzionismo. Einaudi, 2005 pp. 347-360.
Gould S.J.
- Il pollice del panda, Il Saggiatore 2001, pp. 174-175.
- Quando i cavalli avevano le dita Feltrinelli 1991, pp. 262-263.
Mayr E. Biologia ed evoluzione Ed. Boringhieri, trad. it. 1982 pp. 20-3
Montalenti G. L’evoluzione Einaudi pp. 3-10
F. Tonon, Auguste Comte e il problema storico-politico nel pensiero contemporaneo, G.D’Anna MessinaFirenze 1975 pagg. 129-131.
Karl R. Popper, Verità, razionalità e accrescersi della conoscenza scientifica, in Id., Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 371-75
T. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi, Torino, 1972, pp. 75, 88, 103-104, 111, 119.
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LABORATORI DIDATTICI
STRUTTURA CONCETTUALE DELLA TEORIA DARWINIANA
EVOLUZIONE DEL DARWINISMO E MOLTEPLICITÀ DELLA “TEORIA” DELL’EVOLUZIONE
1. Percorso non lineare e non cumulativo del progresso scientifico, non è possibile
pensare al progresso scientifico come somma di contributi nel tempo in cui
quelli più vicini a noi sono i migliori e i più vicini alla verità. Guardando allo sviluppo della scienza è chiaro che non è un processo lineare e progressivo, ma
spesso ripiegato su se stesso.
2. Carattere non monolitico dei paradigmi scientifici: è importante invitare gli studenti a riflettere sul fatto che la “teoria” Darwiniana, come del resto l'ipotesi di
Lamarck, è un mirabile sunto di idee che circolavano già da tempo. Quindi potrebbe essere didatticamente rilevante far notare agli studenti la funzione di
pregiudizi e aspettative per la genesi di una teoria (se Darwin non fosse stato
un Lamarckiano non si sarebbe stupito della flora e della fauna delle Galapagos).
3. Carattere provvisorio delle verità scientifiche: (revisioni teoriche nel corso delle
sei edizioni)
Percorso didattico
Darwin non è il padre dell’evoluzionismo.
L’evoluzionismo esisteva già, l’opera di Darwin deve essere considerata come uno
straordinario lavoro di sintesi piuttosto che un insieme di postulati realmente originali.
La rivoluzione darwiniana è una rivoluzione per inglobamento: superamento dei paradigmi precedenti in una nuova prospettiva che ne cambia il senso, ciò evidenzia bene il carattere non lineare del progresso scientifico. Il cammino della scienza verso una
forma sempre più raffinata di conoscenza della realtà (almeno biologica), non è lineare, ma è spesso tortuoso.
Darwinismo come caso paradigmatico di progresso scientifico?
La visione del Darwinismo come caso paradigmatico di progresso scientifico (raccolta dati, scoperta dell’imprevisto, individuazione del fenomeno che falsifica la vecchia
teoria e se ne imposta un’altra) è semplicistica e fuorviante.
Sotto un certo aspetto però dobbiamo sottolineare come D. stesso amò definire il
suo modus operandi come attinente al paradigma scientifico, questo perché comunque
la sua impostazione era positivistica, si poneva infatti nell’ottica allora vigente baconiana (tabula rasa), senza preconcetti e pregiudizi. Per compiacere qualche lettore si
definì seguace del “vero metodo baconiano” quello cioè puramente induttivo (riferimenti da testi Darwin)
Per cui D. aderì al modello di chi raccoglie dati (alla Galapagos), trova qualcosa di
non previsto (flora e fauna sono diverse benché le isole siano molto vicine e riproducano le stesse condizioni ambientali), si rende, infine, conto che la teoria vecchia non
funziona più (non può essere l’ambiente il motore dell’evoluzione) e ne crea un’altra
nuova a partire dai dati che ha raccolto. [E’ forte il richiamo al concetto di rivoluzione
scientifica espresso da Kuhn in La struttura delle rivoluzioni scientifiche].
Fu davvero così nel caso di Darwin?
In realtà Darwin non si poneva come dicevano i baconiani e la natura del suo pregiudizio era Lamarckiana; era in effetti instancabile nel formulare nuove ipotesi sui
problemi che di volta in volta erano oggetto della sua indagine, consapevole del fatto
che per effettuare osservazioni minimamente proficue occorre procedere non già a caso ma in base ad un’idea. L’assenza di preconcetti e pregiudizi non permetterebbe di
avere delle aspettative e quindi non si proverebbe “sorpresa” nello scoprire fenomeni
diversi dal previsto (la conoscenza nasce dalla sorpresa, Aristotele).
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
La matrice Lamarckiana quindi appare fondamentale per capire il modo di procedere di Darwin: egli l’aveva talmente introiettata da avere delle aspettative che poi furono smentite dalla flora e dalla fauna delle Galapagos. La rivoluzione darwiniana nasce
dalla sorpresa provata alle Galapagos originata dallo scarto tra le sue aspettative e la
realtà dell’arcipelago.
Ecco il ruolo delle teorie del passato: non solo e non tanto false credenze da superare (per fortuna) e da mettere da parte una volta per tutte, ma ipotesi di lavoro che
favoriscono l’avanzamento delle conoscenze, senza le quali non ci sarebbe progresso
scientifico.
E. Mayr scrive a proposito di D. “nel suo fare scienza era implicito il principio che
per il progresso della conoscenza l’osservazione e la formulazione di ipotesi sono importanti quanto la sperimentazione”
La ricerca scientifica è caratterizzata dalla progressione per ipotesi di lavoro
“Non posso avere dubbi – scrive Darwin - che il miglior osservatore è colui che fa supposizioni e ha sale in zucca”.
E. Mayr, Un lungo ragionamento, pag. 21 “il metodo scientifico di D.”
Darwinismo e molteplicità delle teorie dell’evoluzione
Il darwinismo non è una teoria monolitica: quindi non può essere giusta o sbagliata a
seconda della validità o meno di una singola idea.
In realtà questa tradizione monolitica iniziò con D. stesso, il quale parlò spesso della sua teoria “della discendenza con modificazioni attraverso la selezione naturale”
come se la teoria della discendenza comune fosse inseparabile da quella della selezione naturale. La dimostrazione di quanto ciò non fosse vero si ebbe quando poco dopo
il 1859 quasi tutti i biologi più smaliziati adottarono le teoria della discendenza comune ma respinsero il principio della selezione naturale.
E. Mayr Un lungo ragionamento pag. 104, “cos’è il Darwinismo”
Le cinque teorie di Darwin secondo Ernst Mayr (cfr: presentazione Ferraguti per approfondimenti)
1)
2)
3)
4)
5)
Evoluzione come tale
Origine comune
Moltiplicazione delle specie
Gradualismo
Selezione naturale
Interpretazioni della dinamica evoluzionistica che caratterizza l’Origine
Interpretazione dominante (cfr. Barsanti)
1. Le popolazioni vegetali e animali si moltiplicano ad un tasso molto maggiore di
quello con cui sono prodotte le risorse. Si scatena una “lotta per l’esistenza”
(Struggle for life) soprattutto tra individui della stessa specie;
2. Questi individui non sono identici tra loro e ai genitori, hanno “piccole differenze individuali” per cui alcuni possono essere più avvantaggiati;
3. Questo vantaggio, anche se lieve, permette loro di vivere più a lungo (survival
of the fittest), accoppiarsi e riprodursi in numero maggiore;
4. Questa variazione è ereditaria, per cui si diffonde fino a sostituire tutti gli individui non modificati della popolazione;
5. I discendenti continuano a variare generando casualmente individui ancora più
adatti alle condizioni di vita;
6. Queste variazioni che si accumulano nel tempo sono quelle estreme (principio
della divergenza dei caratteri), lontane dalla media e quindi anche una varietà
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
limitata in numero diviene una specie, che perde progressivamente ogni grado di
affinità con quella di origine.
Interpretazione di T.H. Huxley
Tutte le specie sono state prodotte dallo sviluppo di varietà da ceppi comuni e dalla
conversione di queste dapprima in razze permanenti e poi in nuove specie mediante il
processo della selezione naturale, che è essenzialmente identica a quella della selezione artificiale mediante cui l’uomo ha dato origine alle razze degli animali domestici;
solo che, nel caso della selezione naturale la lotta per l’esistenza prende il posto
dell’uomo ed esercita quell’efficace azione che egli svolge nella selezione artificiale
Interpretazione di J.
dell’evoluzione) (1942)
Huxley
(uno
dei
padri
fondatori
della
teoria
sintetica
Darwin basò la sua teoria dell’evoluzione su tre fatti e due deduzioni.
1° fatto: tendenza di tutti gli organismi ad aumentare in ragione geometrica,
2° fatto: nonostante questo, il numero degli individui di una determinata specie
rimane più o meno costante,
1a deduzione lotta per l’esistenza
3° fatto: tutti gli organismi variano in modo apprezzabile (variazione),
2° deduzione che derivo dalla prima e dal 3° fatto fu la selezione naturale,
Poiché vi è una lotta per l’esistenza fra individui e dato che gli individui non sono tutti
simili (variazione), alcune varianti che esistono fra essi saranno vantaggiose per la lotta per la sopravvivenza, altre sfavorevoli. Una conseguenza è che una proporzione più
elevata di individui con variazioni favorevoli sopravvivrà e si riprodurrà, mentre una
proporzione più alta di quelli con variazioni sfavorevoli morirà. Dato che molte variazioni sono trasmesse per ereditarietà si accumuleranno in gran misura di generazione
in generazione.
“Evoluzione” del Darwinismo
La prima versione dell’Origine differisce dalla sesta; Darwin diresse gran parte della
propria attività a curare le edizioni successive della sua opera, tenendo conto, per
quanto gli sembrava opportuno, delle critiche che gli furono rivolte. Avendo redatto diverse edizioni del suo testo, Darwin sottolinea gli aspetti non lineari della propria teoria e dà addirittura spazio alle obiezioni in un apposito capitolo a partire dalla IV edizione. Con una grande onestà intellettuale egli mostra apertamente quali sono le difficoltà che la teoria stessa presenta anche ai suoi occhi.
L’edizione che egli stesso considerò definitiva è la sesta (1872). In particolare egli
volle specificare il significato della parola “caso”, che aveva suscitato un vespaio di polemiche, in quanto applicata ai fenomeni biologici. Caso non significa assenza di causa
ma piuttosto che la causa di ciascun singolo evento non è identificabile, e un ordine ed
una causalità si possono rilevare solo considerando insieme moltissimi eventi, anziché
ciascuno di essi singolarmente. La “selezione” non è una forza quasi personificata è
soltanto un nome conveniente per indicare il risultato del gioco di leggi naturali, quali
quelle dell’accrescimento numerico e della lotta per l’esistenza. D. cercò inoltre di
chiarire sempre meglio il proprio pensiero circa l’origine e le cause della variabilità. E
dovette concludere che esse sono completamente oscure , ma che la teoria è valida
indipendentemente dalla natura di queste cause.
Cfr. Montalenti “Introduzione all’Origine delle specie”, Universale Scientifica Boringhieri
Approfondimenti contenutistici
Chiavi di volta dell’evoluzionismo darwiniano
– Le varietà sono specie incipienti
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
– La lotta per l’esistenza era già stata teorizzata da Linneo, Buffon, Lamarck, Condole, Lyell, Blyth, Spencer e altri ma lui la concepisce in un’ottica completamente diversa. Darwin promosse una grande rivoluzione non già “anticipando” soluzioni genetistiche allora impensabili bensì ponendo al centro dell’indagine naturalistica la Lotta per l’esistenza sia conferendole significati inediti (prima era solo
considerato un meccanismo di conservazione) sia assumendola (contrario di
Lamarck, Buffon e Spencer) come fattore più importante della “discendenza con
modificazioni”.
Elementi non nuovi
– lotta per l’esistenza: come evidenziato nel paragrafo precedente era già stata
ipotizzata anche se con un significato completamente diverso
– ereditarietà dei caratteri acquisiti: Darwin parla delle “variazioni” sottoposte al
vaglio della selezione naturale come se fossero del tutto casuali e quindi non necessariamente utili al portatore ma nelle elaborazioni successive soprattutto nella sesta edizione le considera come degli adattamenti funzionali conseguiti da un
individuo già adulto in seguito alle variazioni di uso di certi organi. Poiché Darwin non riuscì mai a spiegare le cause della variazione e a quel tempo richiamarsi al caso era un atteggiamento antiscientifico egli ammise che ad innescare
il processo evoluzionistico precedentemente schematizzato potessero essere gli
stessi meccanismi di trasformazione ipotizzati da Lamarck (molti esempi che si
ritrovano nell’origine della specie sono gli stessi di Lamarck D. ne aggiunge altri.
Nella sesta sedizione D. arriva ad affermare quello che Lamarck stesso aveva
negato ovvero che possano essere trasmesse alla discendenza anche le mutilazioni accidentali. Sebbene per questi problemi dovette ripiegare sui principi Lamarckiani la dinamica darwiniana è completamente diversa dal “trasformismo”
Lamarckiano, perché Lamarck dice che l’ambiente forza un’intera popolazione
alla trasformazione che ogni individuo è in grado di compiere e che tutti compiono nello stesso modo (non prevede la variabilità intraspecifica), mentre Darwin, fino in fondo, afferma che la natura seleziona difformità preesistenti,
l’ambiente funziona da filtro e l’evoluzione richiede la morte prematura di molti
individui.
GLI SVILUPPI DELLA RIVOLUZIONE DARWINIANA
I temi affrontati potranno essere utilizzati per progettare un modulo didattico multidisciplinare da proporre ad alunni del triennio liceale.
Discipline coinvolte: Scienze, Storia, Filosofia, Lingua e letteratura inglese.
L’analisi diacronica e sincronica delle teorie e dei concetti biologici è stata contestualizzata storicamente e affiancata da una riflessione filosofico-epistemologica.
Lo sviluppo di moduli didattici potrà fornire agli studenti la possibilità di riflettere
sulle questioni centrali relative all’evoluzione che da Darwin ai giorni nostri sono stati e
sono al centro di vivaci dibattiti e diversi orientamenti di pensiero.
Schema interpretativo darwiniano
La teoria darwiniana è stata suddivisa in cinque sottoteorie da Ernst Mayr nell’opera
Un lungo ragionamento. Genesi e sviluppo del pensiero darwiniano, Bollati Boringhieri
– 1994.
Si prenderanno in esame i cinque punti nodali della teoria darwiniana secondo lo
schema di Mayr e si confronteranno con teorie precedenti. Fatti e deduzioni della teoria della selezione naturale saranno analizzati sul piano storico e filosofico.
Rapporto tra scienza e filosofia
L’incontro tra filosofia e scienza può essere definito come lo sfondo di ogni conoscenza
scientifica.
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LABORATORI DIDATTICI
La filosofia può essere intesa anche come movente stimolo alla ricerca scientifica
(Popper), sulla scorta dell’idea regolativa kantiana, o invece può essere vista come interferenza (riduzionismo neo-positivista di Carnap e dell’empirismo logico).
Il punto di vista epistemologico: la teoria darwiniana è una teoria scientifica?
Le caratteristiche generali di una teoria scientifica
Quando si parla di scienza in generale, o di una qualche scienza in particolare, possiamo riferirci nello stesso tempo, a un gruppo di persone, a un’attività o a un insieme
di conoscenze. I filosofi della scienza si occupano di solito dell’ultimo di questi significati, ma naturalmente non c’è un nessun insieme di conoscenze che esista indipendentemente dalle persone che lo studiano. Partendo da questo presupposto possiamo
dunque caratterizzare la scienza come un’attività che abbia certe, determinate caratteristiche di ordine teorico e pratico insieme. Per avere qualcosa che possa chiamarsi
scienza è necessario che ci siano:
– una comunità di ricerca, composta da persone che hanno specifiche conoscenze
e che iniziano o continuano una tradizione di ricerca scientifica
– una società che sostiene, incoraggia, o almeno tollera l’attività dei componenti
della comunità di ricerca
– un universo di discorso: l’insieme di oggetti di cui si occupa il discorso scientifico
e dei loro cambiamenti passati, presenti e futuri
– un background filosofico:principi ontologici, assiologici, epistemologici che guidano lo studio dell’universo di discorso. Questi principi includono valori di tipo
logico (esattezza, sistematicità, consistenza logica), valori semantici (definizione
e chiarezza dei concetti), valori metodologici (controllabilità e possibilità di controllare e giustificare i metodi impiegati per il controllo) e possibilmente valori etici (apertura mentale, veridicità, onestà intellettuale)
– un background formale: insieme aggiornato di teorie logiche e matematiche che
possono essere usate per studiare l’universo di discorso
– un background specifico: insieme di elementi aggiornati e confermati (dati, ipotesi e teorie) ottenuti in discipline rilevanti per la ricerca in oggetto
– aspetti cognitivi: problemi cognitivi riguardanti la natura e le leggi degli elementi
dell’universo di discorso
– una serie di finalità perseguite da coloro che portano avanti il programma di ricerca
– un insieme di metodi passibili di controllo e spiegazione e utilizzati dai componenti della comunità di ricerca.
– collegamenti forti con altre discipline.
– un possibile cambiamento dei punti precedenti come risultato della ricerca nel
campo in oggetto o in altri campi che siano in relazione ad esso9 .
Darwin e Popper: esame della critica di Popper alla teoria dell’evoluzione come teoria scientifica.
Popper ritiene che la teoria dell’evoluzione sia un programma di ricerca metafisico più
che scientifico in quanto essa sarebbe priva di vere e proprie leggi scientifiche e dunque inconfutabile e incapace di predittività.
Secondo Popper infatti, ciò che chiamiamo ‘l’ipotesi evoluzionista’ è una spiegazione
di una quantità di osservazioni biologiche e paleontologiche che postula un’origine comune per forme similari; questa spiegazione si serve certamente di alcune leggi universali della natura, come quelle dell’eredità, della segregazione e della mutazione, ma
presa nella sua globalità, essa non può essere considerata una legge universale della
natura.
9
Cfr. M. Bunge, M. Mahner, Foundations of biophilosophy, Springer Verlag, 1997.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
La teoria dell’evoluzione ha piuttosto il carattere di un’affermazione storica singolare. Essa dunque “ […] ha il medesimo status dell’affermazione ‘Francis Galton e Charles Darwin avevano un nonno in comune’”. [Miseria dello storicismo, p.100]. Chiamare
quindi l’ipotesi dell’evoluzione ‘teoria’ è equivoco terminologico che si traduce in un
equivoco ben più sostanziale: il fatto che tutte le leggi della natura siano ipotesi (come
lo è l’idea darwiniana) non significa infatti che tutte le ipotesi siano leggi di natura.
Conclusione:
Secondo Popper dunque non esiste una legge dell’evoluzione. E questo, non perché la
teoria darwiniana sia in se stessa sbagliata e sia da sostituirsi con qualche altra teoria,
ma perché semplicemente l’ipotesi evolutiva è un’ipotesi storica e come tale riguarda
un evento individuale e irripetibile e non può avere il carattere di legge.
Dal punto di vista epistemologico, Popper è stato invece un vero e proprio evoluzionista, sostenendo una teoria evoluzionista della conoscenza. Secondo la teoria epistemologica di Popper infatti, noi non possiamo giustificare le nostre conoscenze, ma
possiamo criticarle razionalmente e adottare in via transitoria le teorie che resistono
meglio alle nostre critiche. Questo processo di sviluppo della nostra conoscenza per
Popper “è strettamente somigliante a quello chiamato da Darwin ‘selezione naturale’;
cioè la selezione naturale delle ipotesi”.[Conoscenza Oggettiva, p.347]
Riflessione epistemologica sulla validità scientifica della teoria darwiniana
Attraverso il riferimento a vari testi (Popper, Bunge-Mahner, Wolters) si prenderanno
in esame i seguenti punti :
1. La teoria dell’evoluzione non possiede la struttura della fisica, secondo il cui
modello una teoria scientifica deve essere costituita da un sistema ipoteticodeduttivo, fondato da una serie di postulati e dalle loro conseguenze logiche.
2. Essa non costituisce una teoria generale, ma piuttosto una ‘famiglia di teorie’
che, pur potendo fornire un quadro globale dell’evoluzione, non costituisce una
teoria unificata.
Se non c’è dunque una teoria unificata, le teorie che fanno parte della ‘teoria’
dell’evoluzione non sono sotto-teorie, cioè non sono implicate dalla teoria generale e
quindi non costituiscono un sistema ipotetico-deduttivo.
Dal punto di vista della conferma quindi dal momento che la teoria evoluzionista
non è una teoria, ma un insieme di teorie, essa non può essere messa alla prova in
modo diretto, ma solo in modo indiretto, cioè mettendo alla prova le teorie che la
compongono.
Il progetto scientifico della teoria evolutiva è differente da quello di alcune solide
teorie fisiche come la meccanica classica o la teoria dei quanti, ma non per questo
possiede minore affidabilità scientifica. Oltre all’adeguatezza empirica, la teoria
dell’evoluzione manifesta altri pregi epistemologici (G. Wolters, Epistemologia
dell’evoluzione, Conferenza Istituto Stensen), tra cui il potere unificante, che lo stesso
Dobzhansky mette in luce con l’affermazione “Nulla ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione” (Dobzhansky 1973), il potere esplicativo, l’estensione, la semplicità, ecc...
Metodo e conferme
Analizzando la teoria dal punto di vista metodologico si potrà evidenziare che esistono
diverse evidenze per le teorie che compongono la teoria dell’evoluzione e di conseguenza, per quella che siamo soliti chiamare la Teoria dell’evoluzione.
Possiamo dividere queste evidenze in tre gruppi: circostanziali, dirette e storiche.
Spiegazione e predizione
Un sistema di teorie non permette spiegazioni e predizioni dirette, ma solo spiegazioni
e predizioni di tipo generale. Inoltre, la natura stessa dell’evoluzione sembra rendere
impossibile qualsiasi previsione esatta. Infatti, dal momento che l’evoluzione implica
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
l’emergere di elementi qualitativamente nuovi e quindi eventi casuali come mutazioni
e irregolarità, non sembra che ci sia la possibilità di fare previsioni a lungo termine nel
campo dell’evoluzione biologica. Inoltre, in ogni caso, alle leggi dello sviluppo si accompagnano sempre le irregolarità che si possono manifestare in un processo storico.
A questo proposito si può istituire un parallelo con l’ambito delle scienze sociali: anche in questo campo infatti, molte potrebbero essere le leggi formulabili, ma nessuna
di esse sarebbe una legge ‘totale’ del processo storico.
Anche se né la storia, né la biologia evoluzionista producono delle vere e proprie
leggi al loro interno, certamente si servono delle leggi generate in altri campi di ricerca
e questo può essere sufficiente a determinare il loro status di discipline scientifiche. In
una considerazione di ciò che una teoria scientifica è, più ampia di quella popperiana,
anche se non esiste una teoria unificata dell’evoluzione, possiamo ancora affermare
che il termine ‘evoluzione’ si riferisce a un insieme di leggi che riguardano i processi
evolutivi e che nel loro insieme costituiscono la biologia evolutiva come disciplina
scientifica.
Ostacoli alla teoria della selezione naturale
Si presenteranno schematicamente gli ostacoli che incontrò la teoria della selezione
naturale (La maggior parte degli ostacoli emersero per una scarsa disponibilità ad allontanarsi delle idee tradizionali di natura filosofica, religiosa ecc. che mal si conciliavano con la selezione naturale – alle quali Darwin replicava nelle diverse edizioni della
sua opera). Si rileggeranno brani dell’Origine delle specie (cap. VI ecc.).
La teoria darwiniana si scontrò con:
- il finalismo:
“l’evoluzione deve implicare un processo immanente e deve avere uno scopo”.
“Nel 1861, l’autorevole voce di Sir John Herschel (1792-1865) dichiarò: “non
possiamo accettare il principio della variazione arbitraria e casuale e della selezione naturale come spiegazione sufficiente, di per sé, del mondo organico passato e presente [….]. Un’ intelligenza guidata da un fine deve essere continuamente in azione per influenzare la direzione delle fasi del mutamento: per regolarne l’entità, per limitarne la divergenza e per mantenerlo in un corso definito”
(“L’evoluzione biologica da Linneo a Darwin di Antonello La Vergata – collana
Storia della Scienza – ed. Loescher) Darwin sostiene che il cammino
dell’evoluzione e dell’armonia della natura “non ha un fine” .Viene ad essere
minato il concetto del “progetto divino” (W. Paley)l’antropocentrismo: l’homo
sapiens occupa un posto speciale nell’economia della natura. Darwin sostiene
una visione completamente naturalistica della vita: non colloca l’uomo in nessuna posizione speciale e fa risaltare la nostra unitarietà con tutto il mondo dei
viventi (1871 - The Descent of Man and Selection in Relaction to Sex).
- il determinismo:
la selezione naturale non è deterministica e quindi ci si domanda “come può
una legge di natura essere esclusivamente questione di casualità”;
- l’essenzialismo:
le specie sono caratteristiche definitive, fuori dal tempo e immutabili: “niente è
in una certa misura argento o quasi oro o un semi-mammifero” (D. Dennett,
L’idea pericolosa di Darwin, p. 42).
Il darwinismo nel regno unito
Per analizzare l’impatto delle teorie darwiniane nel contesto culturale e scientifico britannico si può partire da una citazione di E. R. Pease, della Fabian Society, che evidenzia la frattura generazionale creata dalle teorie darwiniane:
“Our parents, who read neither Spencer nor Huxley, lived in an intellectual world which
bore no relation to our own; and cut adrift as we were from the intellectual moorings of
our upbringings, recognizing, as we did, that the older men were useless as guides in
religion, in science, in philosophy, because they knew no evolution, we also felt instinc-
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LABORATORI DIDATTICI
tively that we could accept nothing on trust from those who still believed that the early
chapters of Genesis accurately described the origin of the universe, and that we had to
discover somewhere for ourselves what were the true principles of the then recently invented science of sociology.”10
Diversi sono gli autori di lingua inglese a cui si potrà fare riferimento, sia in ambito scientifico,
sia in ambito più strettamente letterario:
Thomas Henry Huxley (1825- 1895)
Francis Galton (1822 1911)
Julian Huxley (1887 – 1975)
Aldous Huxley (1894 – 1963)
Alfred Tennyson (1809 – 1892)
George Bernard Shaw (1856 – 1950)
Herbert George Wells (1866 – 1946)
Rudyard Kipling (1865 – 1936)
Accoglienza del darwinismo nel mondo: le alterne fortune delle cinque “sottoteorie” darwiniane11
Intorno all’idea di evoluzione cioè all’idea che gli organismi si modificassero nel tempo
ci furono dispute e discussioni, ma ben presto gli sviluppi della paleontologia (molte le
scoperte di resti fossili; nel 1861 si scoprirono i resti fossili dell’Archeopterix lithographica ), dell’anatomia comparata e dell’embriologia (importanti i lavori di Karl Gegenbaur volti a interpretare in senso filogenetico le strutture degli organismi viventi) diradarono molte nebbie.
Tante e profonde le discussioni che si svilupparono intorno alle cause
dell’evoluzione e il confronto fra vitalisti e meccanicisti, tra idealisti e materialisti si
rianimò.Potranno essere analizzate in parallelo le diverse teorie interpretative:
a) Neodarwinismo ( Weismann)
b) Mutazionismo ( De Vries)
Neodarvinismo
Termine coniato nel 1896 da G. J. Romanes,la teoria viene anche indicata come “
darwinismo senza l’eredità dei caratteri
acquisiti”
Maggior rappresentante : August Weismann
a) Accetta la selezione naturale
b) Confuta la teoria dell’eredità dei
caratteri acquisiti
c) Sostiene l’eredità a particelle discrete, propone la teoria della continuità del plasma germinale
d) Sostiene che la riproduzione é fonte di variazione degli organismi
(anfimissi)
e) Sostiene ‘l’evoluzione a mosaico’
Mutazionismo
L’unica vera forza motrice dell’evoluzione
è la comparsa casuale e improvvisa per
salti bruschi delle variazioni genetiche
W. Bateson (1884) riconosce che le variazioni negli organismi sono discontinue e
intermittenti
U. De Vries scopre (1886) variazioni che
chiamerà “mutazioni”.
1901-1903 teoria delle mutazioni preceduta dalla “teoria della pangenesi cellulare” (1889) (nelle cellule germinali esistono unità ereditarie dette “pangeni” che
mescolandosi nel processo riproduttivo
potevano variare indipendentemente e
produrre caratteri nuovi
10
David Thomson, England in the Nineteenth Century, in The Pelican History of England – vol. 8 – Penguin
Books – 1978
11
Per approfondimenti anche multidisciplinari potrà essere consultato il seguente articolo: Ulrich Kutschera ·
Karl J. Niklas The modern theory of biological evolution: an expanded synthesis - Evolution as a documented
fact.
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LABORATORI DIDATTICI
Cause evolutive non darwiniane (prevalente rifiuto della selezione naturale)
Teorie intepretative su base preformistica (ortogenesi: maggiori sostenitori Eimer,Naegeli; l’evoluzione è causata da una forza intrinseca trainante o forza “filetica”)
1) teorie interpretative preformistiche materialistiche agnostiche:
Ologenesi (D. Rosa)
2) teorie preformistiche finalistiche:
Monogenesi
Aristogenesi (principo omega T. De Chardin)
Telefinalismo (L. di Nouy)
Neolamarckismo
Rinnovamento nel mondo scientifico
Anatomia comparata ed embriologia
In tutto l’Ottocento la ricerca si caricò di un importante valore interpretativo, permetterà di scoprire il grado di affinità tra gli organismi e fornirà informazioni utili ai fini
della classificazione degli organismi. Alcuni caratteri fondamentali, utilizzati per la
classificazione,sono più evidenti negli embrioni o sono presenti solo negli embrioni,quindi la loro conoscenza risulterà essenziale.
Nel periodo successivo alla pubblicazione dell’Origine delle specie Ernst Haeckel si
occupò di embriologia e, nella sua opera del 1864 Generelle Morphologie affrontò lo
sviluppo degli organismi sia in senso embriologico(ontogenesi) sia in senso evolutivo(filogenesi) ed enunciò la legge biogenetica fondamentale (l’ontogenesi è una ricapitolazione abbreviata e incompleta della filogenesi)
Si iniziarono ricerche volte a individuare nello sviluppo ontogenetico le tracce dello
sviluppo filogenetico ,così complesso e difficile da ricostruire con solo i resti fossili.
Paleontologia
Alla luce della teoria evolutiva le ricerche si intensificarono e molti paleontologi applicarono il metodo filogenetico nell’analisi dei reperti fossili. Nel 1861 in Baviera fu scoperto l’Archeopterix litografica , anello di transizione fra i rettili e gli uccelli. Negli Stati
Uniti furono ritrovati uccelli provvisti di denti risalenti al periodo Cretaceo e il paleontologo O.Ch. Marsh studiò la filogenesi del cavallo.In Belgio vennero alla luce fossili di
rettili giganti che furono studiati da Luis Lollo .Nel 1893 Lollo formulò la nota legge
sull’irreversibiltà dell’evoluzione:gli organismi non possono ritornare a stadi precedenti.Nel 1892 E. Dubois scoprì un probabile antenato dell’uomo :il Pithecantropus erectus
di Giava.
Citologia
Nel 1860 la teoria cellulare con tutte le sue principali implicazioni nelle scienze biologiche, era una teoria ben strutturata.
Le tecniche microscopiche miglioravano in modo rapido e le cellule venivano sempre di più indagate nella loro organizzazione interna e ben presto ciò che inizialmente
era stato considerato unitario (unità di formazione biologica assimilabile all’atomo in
chimica) si rivelò essere un corpo complesso e con una struttura non omogeneamente
distribuita.
Nel 1866 E. Haeckel avanzò l’idea che il nucleo cellulare fosse portatore di informazioni,questa ipotesi troverà conferma in esperimenti successivi.
Si indagò sui fenomeni riproduttivi cellulari : E. Strasburger (1875) e W. Fleming
(1882) scoprirono che sia nelle cellule vegetali sia in quelle animali veniva ad attuarsi
un processo a cui fu dato il nome di mitosi. In seguito Van Beneden(1885) descriverà
il processo meiotico (dimezzamento dei cromosomi nella formazione dei gameti). Le
indagini cellulari si estesero poi al citoplasma e alle strutture citoplasmatiche. Sono
della fine dell’Ottocento alcune teorie sulla costituzione del plasma cellulare :
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LABORATORI DIDATTICI
– teoria dei vacuoli ( O.B. Butschli)
– teoria dei filamenti (W. Flemming)
– teoria dei granuli ( R.Altmann)
Nel 1884 l’illustre botanico K.W. Naegeli cercò di spiegare l’evoluzione biologica e individuò nell’ultrastruttura della materia vivente le possibili cause del cambiamento. Nel
Novecento migliorano le tecniche d’indagine e verranno analizzate le strutture submicroscopiche; si studieranno i vari costituenti cellulari per comprenderne il ruolo nel
processo metabolico.
Sviluppo della genetica: verso la teoria sintetica 12
Si richiameranno i concetti relativi alla genetica classica e alla genetica molecolare e si
affronterà il vivace dibattito che il mendelismo scatenò nel mondo delle scienze biologiche. Successivamente verrà trattato lo sviluppo di un particolare settore della genetica : la genetica di popolazione –sintesi della teoria darwiniana e dei principi della genetica mendeliana- e si chiarirà che il campo d’indagine della genetica di popolazione
nei decenni successivi ai suoi primi passi, si allargherà e si intreccerà con numerose
altre discipline: la biologia molecolare, l'ecologia, la biologia evolutiva, la sistematica,
la storia naturale, il miglioramento genetico, la conservazione delle specie e degli ambienti naturali, la genetica umana, la sociologia, la matematica e la statistica. Tale sviluppo risulterà essenziale per la ricerca causale dell'evoluzione.
Lo studio sugli ibridi e la spinta a ricercare le modalità con cui le variazioni ereditarie nascono e persistono condussero Gregor Mendel (boemo; 1822-1884), a individuare quelle che sono note come i principi fondamentali della genetica
Mendel presentò i suoi risultati alla Società di Storia naturale nel 1865,ma il suo lavoro pionieristico (egli affrontò lo studio dei fenomeni biologici con un approccio di tipo
fisico-matematico), non ricevette molte attenzioni; fu riscoperto nel 1900, indipendentemente dal tedesco Karl Erich Correns, dall’austriaco Erich von Tschermark,
dall’olandese Hugo de Vries e dall’inglese William Bateson.
Si sviluppò la ricerca sulla ereditarietà dei caratteri. Nel 1906, in occasione
dell’International Conference on Hybridization and Plant Breeding, l’inglese William Bateson chiamò la nuova disciplina “Genetica”. Agli inizi del Novecento la Citologia incontrò la Genetica :fu riconosciuta la relazione fra determinanti mendeliani e cromosomi
(ipotesi di W. G.Sutton; teoria cromosomica dell’ereditarietà di W.Sutton e Th. Boveri
). ll grande genetista Th. H. Morgan si occupò della trasmissione dei caratteri e della
relazione cromosomi e sessualità. Nel 1926 pubblicò The theory of the gene.
La ricerca si sviluppò rapidamente (per conoscere in sintesi le principali tappe della
storia della genetica consultare il sito www.anisn.it La genetica in date.htm) e oggi
possiamo dire che la teoria relativa ai meccanismi del cambiamento evolutivo non può
fare a meno delle conoscenze genetiche.
La riscoperta del mendelismo all’inizio del secolo non portò a posizioni favorevoli alla teoria della selezione naturale di Darwin. I primi mendelismi non accettarono la teoria della selezione naturale come meccanismo evolutivo, ma sostennero come causa
propulsiva del cambiamento la pressione mutazionale (mutazionismo: l’unica vera forza motrice dell’evoluzione è la comparsa casuale e improvvisa per salti bruschi delle
variazioni genetiche; non viene considerata importante la ricombinazione genetica). Si
aprì un vivace dibattito fra i mendelisti e i naturalisti, questi sapevano che la variabilità
continua presente negli organismi rappresenta la materia prima su cui agisce
l’evoluzione e sostenevano che tale variazione non fosse controllata da regole mendeliane. La polemica andò avanti per molti anni, i naturalisti e i genetisti continuarono i
12
Si consiglia di consultare la ristampa digitale del saggio di A. Buzzati -Traverso, C.Jucci, N.W. TimofeeffRessvsky:”Genetica di popolazione” http://www.swif.uniba.it/lei/storiasc/homesci.htm
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LABORATORI DIDATTICI
loro studi su strade parallele, ma ben presto i progressi nei diversi ambiti disciplinari li
portarono a comprendere che era necessario operare in sinergia.
Genetica di popolazione: la microevoluzione
Nei primi decenni del XX secolo si sviluppò un nuovo atteggiamento verso il mondo
fisico e la sua variazione . Si accumularono enormi quantità di dati scientifici. Si applicò l’analisi statistico- matematica alla genetica. Vennero studiate le popolazioni e il loro pool genico per comprendere e quantizzare i vari processi che potevano condurre
ad una modifica della variabilità . il modello teorico della stabilità di un pool genico in
una popolazione fu enunciato nel 1908 dall’inglese Godfrey Harold Hardy e dal tedesco
Wilheim Weinberg. Il principio di Hardy- Weinberg dimostrò che la riproduzione sessuata non determina la modifica delle frequenze degli alleli in una popolazione,inoltre
stabilì che le frequenze genotipiche rimangono in condizioni di equilibrio se in una popolazione:
gli accoppiamenti sono casuali;
la popolazione è molto grande;
non c’è l’azione della selezione naturale;
non si verificano mutazioni in un senso con frequenza maggiore di quelle in senso opposto;
– non ci sono scambi di geni tra gruppi diversi
–
–
–
–
Poiché queste condizioni non sono quasi mai soddisfatte, le frequenze alleliche e genotipiche variano (causa principale di cambiamento è la selezione naturale) e le popolazioni evolvono.
Si sviluppò la Genetica di popolazione, cioè lo studio delle modalità secondo cui le
leggi di Mendel e gli altri principi della genetica si applicano alle popolazioni. Nel 1930
Ronald Fisher pubblicò “The genetical theory of natural selection”, influenzando profondamente il pensiero biologico, si parlerà di darwinismo fisheriano;
Compiti della genetica di popolazioni:
– Misurare la “quantità di variazione genetica'' esistente nelle popolazioni naturali;
– Spiegare questa variazione: capirne l'origine,capire come viene mantenuta, capirne la rilevanza evoluzionistica ed ecologica.
Già sul primo di questi compiti c'è stata (e tuttora c'è) molta attività di ricerca e non
siamo tutt'oggi in grado di dare una risposta precisa. Sugli ultimi due punti poi c'è stato un dibattito molto acceso e mai sopito tra i biologi evoluzionistici.”
La Speciazione
Verrà affrontato il processo di speciazione partendo dal concetto di specie e definendo
cosa si intende per speciazione, quali tipi di speciazione possiamo distinguere, come si
verifica, con quali meccanismi. Ogni aspetto sarà naturalmente accompagnato da esempi esplicativi.
L’analisi dei modelli evolutivi porterà a comprendere gli alberi evolutivi delle specie
e può essere interessante confrontare i moderni alberi evolutivi con quelli del passato
(filogenesi degli uccelli di Huxley, evoluzione storica delle sei famiglie animali di Haeckel). L’analisi dei diagrammi permetterà di porre il problema della velocità del cambiamento evolutivo e di confrontare la teoria del gradualismo con la teoria degli equilibri punteggiati.
La teoria sintetica: punti nodali
Negli anni 1930-’40 si realizzò una svolta , si trovò una spiegazione unitaria dei singoli
fattori responsabili del processo evolutivo . J. Huxley nel 1942 la indicherà come la
sintesi evoluzionistica.
La teoria sintetica si struttura su: a) teoria cromosomica dell’eredità; b) genetica di
popolazione; c) concetto biologico di specie; d) vari concetti biologici e paleontologici.
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LABORATORI DIDATTICI
Caratteri essenziali della teoria sintetica: a)l’evoluzione procede con gradualità; b)
l’evoluzione procede per selezione naturale di caratteri che si ereditano e che possono
subire variazioni casuali ad ogni generazione; c) l’evoluzione è opportunistica ; d)la
selezione opera su determinanti genetici; e)le variazioni dei caratteri derivano da mutazioni o modifiche che insorgono casualmente ed hanno carattere aleatorio; f) viene
ridefinito il concetto di specie; g) viene posto l’accento sull’isolamento riproduttivo oltre che sull’isolamento geografico per l’insorgere di nuove specie (Speciazione allopatrica e speciazione simpatrica cioè una specie può separarsi da una popolazione parentale senza che vi sia isolamento spaziale,es. la poliploidia prevalente nelle piante).
E’ dall’ ampliamento delle conoscenze dei meccanismi evolutivi forniti dallo sviluppo
della biologia a livello molecolare e dall’enorme mole di reperti fossili che vengono rinvenuti in tutti il mondo e databili a milioni se non a miliardi di anni fa , che negli anni
1960-1980 si originarono le nuove sfide alla teoria sintetica date da:
Teoria neutralista: la teoria neutrale, proposta da Motoo Kimura (1968),affermava
che la maggior parte delle mutazioni individuabili al livello di codice genetico erano
mutazioni invisibili alla selezione darwiniana e potevano diffondersi per deriva genica o per pressione di mutazione
Inizialmente la teoria neutrale fu contrastata, ma oggi la teoria dell’evoluzione deve
confrontarsi con le ricerche molecolari che hanno dimostrato che le mutazioni neutrali
sono più frequenti di quanto si pensasse e possono essere fonte di un cambiamento
casuale.
Per i neutralisti il cambiamento evolutivo è prevalentemente non controllato dalla
selezione naturale, prova di ciò la scoperta di un ‘orologio evolutivo’ che scandirebbe il
tempo di evoluzione molecolare . L’analisi di molte proteine e il calcolo del tasso di
cambiamento con tale metodo è risultato significativo.
Teoria degli equilibri punteggiati: i nuovi resti fossili hanno indotto molti paleontologi a nuove interpretazioni circa la velocità dell’evoluzione, prevalentemente la teoria
è riferita all’evoluzione morfologica..
N. Eldredge e S. J. Gould nel 1972 hanno proposto questa nuova teoria con la quale sostenevano che gli eventi evolutivi più significativi erano individuabili in brevi archi
temporali, seguiti da lunghi periodi di stasi nei quali si determinano minini cambiamenti evolutivi. (per approfondimento Mayr “Un lungo ragionamento”; L’evoluzione del
darwinismo” di G.L.Stebbins e F. Ayala nel quaderno delle Scienze ‘l’evoluzione’..... .
Le sfide lanciate verso la teoria sintetica dell’evoluzione tuttavia non mettono in crisi i punti base della teoria:
a) cambiamento evolutivo
b) le specie attuali sono derivate da antenati comuni
c) la selezione naturale svolge un ruolo nel processo evolutivi
Essenza della teoria evolutiva oggi
Si sintetizzeranno i punti salienti della teoria oggi e si punterà l’attenzione sull’attuale
dibattito che,lungi dal mettere in dubbio i presupposti fondamentali, è vivo e fortemente sentito.
La contrapposizione tra ultradarvinisti sostenitori dell’adattamentismo( le caratteristiche significative degli organismi possono essere interpretati come adattamenti rivolti al successo riproduttivo fissatisi ad opera del meccanismo selettivo) e i pluralisti(
non è possibile rintracciare per tutti i caratteri una storia adattativa –S. Gould E. Vrba
hanno introdotto il termine exaptation) potrà essere affrontata con i ben noti racconti
di Kipling (storia dell’elefantino e della proboscide).
– Non esistono due strutture esattamente uguali : ogni individuo, ogni specie,ogni
ecosistema è unico
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LABORATORI DIDATTICI
– l’evoluzione organica forse è irripetibile e irreversibile. L’individualità dei sistemi
biologici nasce da una varietà di risposte che è possibile dare per ogni problema
ambientale
– Gli individui sono organizzati in popolazioni e in specie,c’è un unico pool genico
– La popolazione ,la specie sono soggetti a evoluzione
– Ogni individuo ha natura dualistica:
genotipo: corredo genico che può essere parzialmente espresso, fa parte
del pool genico
fenotipo: risultato della traduzione del programma genetico( sviluppo epigenetico)
Il genotipo risente dell’influenza mediatrice dell’ambiente.
Il fenotipo presenta un carattere plastico. L’interazione fra il gene e l’ambiente produce un ampio spettro di fenotipi, Mayr parla di plasticità fenotipica intendendo il modo in cui ogni organismo è in grado di rispondere ai diversi ambienti nei quali viene a
trovarsi, mantenendo entro limiti più o meno ampi i caratteri della specie. Per ogni
gene, quindi, non un carattere ,ma un ventaglio di effetti fenotipici capaci di manifestarsi in diversi ambienti in cui esso viene a funzionare. Si parla pertanto di Norma di
reazione;
– successo riproduttivo : la fitness o idoneità è il risultato di molteplici interazioni
che un fenotipo ha con altri fenotipi. La pressione selettiva varia al variare
dell’ambiente con il tempo o con la posizione geografica
– La selezione agisce prevalentemente su individui che possiedono un patrimonio
genetico che meglio risponde alle condizioni ecologiche prevalenti nell’ambiente.
Ciò determina la maggiore probabilità di lasciare discendenti.
– La selezione è la forza prevalente e creatrice che stabilisce la direzione con cui
procede l’evoluzione perchè:
 agisce sulla frequenza genica
 tende a far aumentare i geni adattativi in un determinato momento e luogo
 porta ad una maggiore idoneità riproduttiva
 promuove la specializzazione
 favorisce l’origine di nuove specie per radiazione adattativa
 favorisce un aumento di complessità e di organizzazione intesi
però nel senso di miglioramento in relazione al processo di adattamento
Sfide del futuro: espansione della sintesi
Si è dimostrato che le popolazioni con una elevata variabilità genetica hanno una velocità di evoluzione maggiore. Essa può derivare da diverse fonti : mutazioni geniche,cromosomiche, ricombinazione genetica ottenuta con la riproduzione sessuata.
– In una popolazione un gene può presentare più alleli : sui polimorfismi si è indagato e le ricerche continuano.
– La ricerca nell’ambito della biologia dello sviluppo sta indagando per osservare e
decifrare i meccanismi genetico-molecolari che sono alla base di transizioni morfologiche evolutive
– La variabilità genetica è molto complessa ,essa riguarda non solo geni ,ma anche frammenti genici. Dagli anni ’60 del Novecento (R.C.Lewontin e J.L.Hubby)
è stato possibile indagare la variabilità genetica di una popolazione applicando
nuove tecniche come l’elettroforesi su gel o la cromatografia ,tali tecniche potranno migliorare e permetteranno di indagare meglio l’elevata variabilità genetica delle popolazioni.
– la ricerca è impegnato nel cercare una relazione fra la quantità di DNA e la complessità dell’organismo:problemi aperti
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
a) come si sono potute accumulare sequenze significative che hanno dato
origine a nuovi geni?
b) quale significato nascondono le sequenze ripetute presenti nei geni che
sembrano oggi non avere senso?
c) la velocità di evoluzione dei geni cosiddetti strutturali e dei geni regolativi è confrontabile?
d) è possibile che un tipo di gene sia più importante dell’altro nella speciazione o nell’origine dei taxa superiori?
___________________________
Bibliografia
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LABORATORI DIDATTICI
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ROSSI Paolo, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Bari, 1997
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LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO C
Evoluzione conoscenza e etica
Classe terminale di liceo (classico o scientifico)
INDICE
INTRODUZIONE p. 63
L’IDEA DIDATTICA p. 63
UN LIBRETTO DI ISTRUZIONI PER L’USO, UNA CASSETTA DI ATTREZZI p. 63
SCHEMA DELL’INDAGINE O RICERCA p.64
PRIMA FASE: L’IDEA PERICOLOSA DI DARWIN p. 64
1.
2.
3.
4.
5.
Entrare nel concetto di “selezione naturale” p. 64
Il gioco life. Un paradigma per il concetto di “selezione naturale p. 66
Applicare il concetto di “selezione naturale” al gioco life p. 68
Note su aporie e problemi aperti dal concetto di “selezione naturale” p.69
Produrre un video sul proprio albero genealogico p. 71
SECONDA FASE: PERCHE DOVREI? p. 71
1. Una strategia didattica per leggere e analizzare Darwin, L’origine dell’uomo p. 71
2. Il film La guerra del fuoco, regia di Annaud. Un paradigma per discutere la teoria
etica di Darwin p. 76
3. Trovare altri film e inventare tribù con codici morali semplificati e discuterli p. 76
TERZA FASE: DISCORSI DOPPI O ANTILOGIE p. 76
1. Darwin versus Darwin p. 76
2. Autonomia Versus eteronomia p. 78
2.1. Autonomia p. 78
2.1.1. Kant. Il cielo stellato e la legge morale; la libertà del volere p. 78
2.1.2. Confucio. Natura e cultura o umanità p. 79
2.1.3. Kierkegaard. La scelta p. 82
2.1.4. Moore. La metaetica e la fallacia naturalistica p 83
2.1.5. Wittgenstein. Un capitolo della vita: la morale, e i suoi giochi linguistici p. 85
2.2. Eteronomia p. 86
2.2.1. La morale con fondamento biologico: Darwin, Dennett. Manuali di pronto soccorso morale p. 87
2.2.2. La morale con fondamento biologico VS La morale con fondamento storicoculturale. Nietzsche, Freud, Marx (i maestri del sospetto) p. 90
PER NON FINIRE: SUGGESTIONI p. 91
INDICE DELL’APPENDICE (Nel CD allegato)
1. INTERVISTA A B. WILLIAMS.
Qui Williams mette in evidenza l’insufficienza della filosofia morale stessa, discute e rifiuta la classica distinzione fatti/valori e prospetta un atteggiamento riflessivo fermo al
soggetto empirico, quale è indagato dalle scienze, aperto sia alla pluralità delle culture
e dei valori che alla generalizzazione dei principi. Per un approfondimento dei temi e
problemi inerenti alla relazione conoscenza/etica consigliamo L. Handjaras, Immaginare un linguaggio, Franco Angeli 2001. Questo libro è da tener presente anche per una
prosecuzione o approfondimento della discussione della terza fase.
Consigliamo di usare il testo di Williams sia come introduzione al modulo sia nella terza fase: dove la posizione filosofica di Williams può essere accostata a quella di Wittgenstein e Dennett.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
2. FERRAGUTI, LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE PER SELEZIONE NATURALE DI DARWIN
ESPOSTA IN 35 DIAPOSITIVE.
È da mettere a disposizione degli studenti nella prima fase come quadro sinottico da
tenere sempre a portata di mano durante tutta l’indagine.
3. BONIOLO, SULLA TEORIA ETICA DI DARWIN.
Boniolo dà una interpretazione originale della teoria di Darwin e la argomenta. È da utilizzare nella seconda fase del modulo come alternativa all’analisi che noi abbiamo
proposto della teoria etica di Darwin. Inoltre le distinzioni contenute nel testo sono
davvero utili strumenti didattici.
Ringraziamenti
Marino Rosso, professore di filosofia del linguaggio ordinario (dipartimento di filosofia
dell’Università di Firenze) ha tenuto all’istituto Stensen, in occasione dell’avvio dei laboratori didattici, la lezione introduttiva su Evoluzionismo, conoscenza e etica. Ai suggerimenti didattici contenuti nella sua lezione ci siamo attenuti – fedelmente crediamo
- nelle parti prima e seconda del modulo. L’antologia dei discorsi di Confucio (con appunti) è tratta da una conferenza che Marino Rosso ha tenuto a Firenze per gli incontri
di Quinto alto. Il gruppo di lavoro desidera ringraziarlo vivamente.
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LABORATORI DIDATTICI
LABORATORIO C
Evoluzione conoscenza e etica
Hanno partecipato ai lavori laboratoriali:
DOCENTI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Bazolli Cristina
Boschi Sonia
Ceccherini Stefano
Handjaras Luciano
Mercuri Franco
Pasturi Ornella
Pranno Anna
Telesio Irene
Troia Emilio
SPECIALIZZANDI DELLA SEDE FIORENTINA DELLA SSIS TOSCANA
INDIRIZZI DI SCIENZE NATURALI E SCIENZE UMANE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Ciampini Silvia
Del Prete Maria Rosaria
Gandolfi Desideria
Grassini Silvia
Nocita Annamaria
Orciatici Alessandra
Savino Annalisa
Spalla Francesca
Viola Cristina
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LABORATORI DIDATTICI
INTRODUZIONE
L’IDEA DIDATTICA
Studenti e professore s’incontrano in aula durante le ore di lezione per indagare[fare
ricerca] problemi filosofici, tentare di esprimerli nel linguaggio e chiarirli o arrivare vicino a qualche soluzione.
In aula non c’è la cattedra e i banchi ma solo tavoli lunghi o ovali intorno ai quali gli
indagatori siedono per lavorare. La parola “classe” del linguaggio scolastico la userò
solo per riferirmi a una comunità di questo tipo.
La classe sarà alle prese con queste pratiche/attività/giochi linguistici [ognuna delle
quali coinvolge altre pratiche e queste altre ancora]:
 Entrare nei problemi e formulare domande, aporie, dilemmi; e da questi ad altre domande ancora e così via.
 Discutere, argomentare e confutare.
 Leggere e analizzare o testi che hanno dentro il problema oppure testi tra loro
“antilogici” [l’uno è il contraddittorio o il rovesciamento dell’altro, in altre parole
“fanno a pugni”] che costringono la classe a riflettere e a ragionarci o a vederci
di più.
 Imparare a padroneggiare tecniche d’uso di termini e proposizioni primitive del
linguaggio della morale, della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, ecc..
 Diarizzare: ogni elemento della classe possiede un diario su cui ferma pensieri,
parole, frasi, ragionamenti, disegni, schemi, domande, ecc. che paiono dare
qualche frutto e che o ha prodotto lui oppure è emerso durante il lavoro comune di indagine o ricerca. L’attività di diarista è la pratica principale di apprendimento della classe.
 Costruire una antologia composta di testi problematici o antilogici, e di domande e di pagine di diario.
Come una via che si va tracciando di passo in passo spontaneamente, senza sforzo, lo svolgimento del modulo non è l’attuazione di una tabella già pianificata con i
tempi di marcia e i contenuti già fissati, è invece l’attuazione naturale di un processo di ricerca: la forma dell’insegnare e imparare è fare domande e tentare risposte. Nessuno della classe, né professore né studenti, sa come va a finire.
UN LIBRETTO DI ISTRUZIONI PER L’USO.
UNA CASSETTA DI ATTREZZI.
Queste pagine sono da prendere né più né meno come un libretto di istruzioni per
l’uso. Quindi, le frasi che compongono queste pagine non devono terminare in altre
frasi, ma in azioni. In molti diversi atti di insegnamento e in molti diversi atti di imparare, per esempio quelli che pensiamo di attuare per primi noi che scriviamo. Il libretto
di istruzioni deve servire a mettere in moto un’ indagine filosofica in classe (vedi sopra
l’accezione della parola “classe”) e fornisce istruzioni su come essa può rimanere in
moto. La classe tuttavia seguendo la spontaneità della propria ricerca potrebbe benissimo trovare altri modi per far muovere la ricerca. Nel libretto di istruzioni troverete
un elenco di idee chiavi e suggerimenti di tecniche d’uso; strategie di insegnamento[per esempio, di istituire un tribunale], testi problematici e aporetici o antilogici accompagnati dalla formulazione di domande e possibili risposte; oppure nudi testi e nude immagini che lasciamo sviluppare alla classe che deciderà di adottare il modulo;
film da vedere e discutere o da usare come paradigmi di ricerca; istruzioni per realizzare un video. Proprio come un libretto di istruzioni queste pagine non sono un saggio
o una relazione dotta, ma un insieme di frammenti, cenni, materiali. In breve è una
cassetta d’attrezzi da utilizzare in classe. Se manca qualcosa, cercala o fabbricala.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
LO SCHEMA DELL’INDAGINE O RICERCA.
Guardando ai contenuti, o meglio, agli oggetti di insegnamento e di apprendimento, la
ricerca si divide spontaneamente in un climax di tre fasi. Nella prima la classe indaga
[fa ricerca] l’idea di selezione naturale. Per Dennett l’idea pericolosa di Darwin non è
quella di evoluzione, ma di selezione naturale. Nella seconda fase indaga la teoria morale di Darwin esposta in L’origine dell’uomo 13. Nella terza e ultima fase indaga teorie
morali in amore o in odio per Darwin. E per non finire, la classe può accogliere alcune
suggestioni: temi di estetica e arte, Confucio e Lao tze, Leopardi, Kafka. In ogni fase
l’oggetto di indagine è esibito alla intelligenza della classe nella sua massima problematicità ed è ereditato con tutta la sua problematicità dall’oggetto di indagine della fase successiva. Così, per esempio, per comprendere fino in fondo la teoria morale di
Darwin occorre avere nel sangue l’idea pericolosa di Darwin. La tensione aporetica è
massima nella terza fase: oggetto di indagine è una antologia di teorie morali presentate alla comprensione per contrapposizione o in tensione antilogica o dialettica senza
conciliazione o soluzione.
PRIMA FASE: L’IDEA PERICOLOSA DI DARWIN.
1. È bene ridurre il tema a: Evoluzionismo ed etica, a patto che l’etica sia trattata con
un’attenzione al problema: in che rapporto la conoscenza sta con l’etica?
 Prendere come testo guida della ricerca: Dennett, L’idea pericolosa di Darwin14.
In particolare la prima parte e la seconda parte. E della seconda parte il capitolo 7.
 Leggere anche il racconto dell’origine della vita o dell’albero della vita contenuto nei primi capitoli di Dawkins, Il gene egoista. 15 Un altro racconto dell’albero
della vita è in Dennett, L’idea pericolosa di Darwin, capitolo 4, e soprattutto in
Dennett, La mente e le menti, verso una comprensione della coscienza, 16 capitolo 2: l’intenzionalità, l’approccio ai sistemi intenzionali.
 Infine per un inquadramento lucidissimo della teoria di Darwin dell’evoluzione
per selezione naturale vale la pena leggere E. Mayr, Un lungo ragionamento. 17
Vi consigliamo però di usare subito una sintesi altrettanto lucida del libro di
Mayr in 35 immagini contenuta nel file di Ferraguti [in appendice].
Iniziare il lavoro di ricerca studiando tre testi. Due immagini [estratte dal file di Ferraguti] che presentando schematicamente il “lungo ragionamento di Darwin” vi mettono
davanti le idee e le tesi fondamentali. E il riassunto dell’idea di selezione naturale che
Darwin scrive in due lunghi periodi alla fine del capitolo 4 dell’Origine delle specie, riportato anche e discusso in Dennett, 2.4:
13
cfr. C. Darwin, L’origine dell’uomo, Newton Compton, Roma, 2003.
14
cfr. D. Dennet, L’idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 1997
cfr. R. Dawkins , Il gene egoista, Mondadori, Milano 1992
16
D. Dennet, La mente e le menti, verso una comprensione della coscienza, Rizzoli, Milano 1996
17
E. Mayr, Un lungo ragionamento, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
15
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LABORATORI DIDATTICI
Le cinque teorie di Darwin secondo
Ernst Mayr:
1) Evoluzione come tale
2) Origine comune
3) Moltiplicazione delle specie
4) Gradualismo
5) Selezione naturale
E. Mayr Un lungo ragionamento Bollati Boringhieri, 1994
FATTI
DEDUZIONI
FATTI
Aumento tendenzialmente
esponenziale
del numero degli animali
Stato pressocché stazionario
delle popolazioni naturali
Limitatezza delle risorse
(soprattutto alimentari)
Differenze
individuali
Lotta per
l’esistenza
+
Ereditabilità della
variazione
… essi tenderanno a produrre discendenti
analogamente caratterizzati. Questo principio
di conservazione, o sopravvivenza del più
adatto, L’ho chiamato selezione naturale
(Ch. Darwin L’origine delle specie… Cap. IV)
… sono convinto che la selezione naturale sia stata il più importante,
ma non l’unico, mezzo di modificazione
(Ch. Darwin Introduzione all’Origine…)
SE in condizioni mutevoli di vita gli esseri viventi presentano differenze individuali in
quasi ogni parte della loro struttura, e ciò non è discutibile; SE a cagione del loro aumento numerico in progressione geometrica si determina una severa lotta per la vita in
qualche età, stagione o anno, e ciò certamente non può essere discusso; ALLORA, considerando la infinita complessità delle relazioni di tutti gli esseri viventi fra di loro e con
le loro condizioni di vita, la quale fa sì che un’infinita diversità di struttura, costituzione e
abitudini,sia per essi vantaggiosa, SAREBBE UN FATTO QUANTO MAI STRAORDINARIO
CHE NON AVESSERO MAI AVUTO LUOGO VARIAZIONI UTILI AL BENESSERE DI CIASCUN INDIVIDUO, allo stesso modo con cui hanno avuto luogo tante variazioni utili
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
all’uomo. Ma SE mai si verificano variazioni utili a un qualsiasi essere vivente, SICURAMENTE gli individui così caratterizzati avranno le migliori probabilità di conservarsi nella
lotta per la vita; e per il saldo principio dell’eredità, essi tenderanno a produrre discendenti analogamente caratterizzati. Questo principio della conversazione, o sopravvivenza
del più adatto, l’ho denominato selezione naturale.18
I docenti e gli studenti hanno un problema da risolvere: imparare e insegnare l’idea
pericolosa di “selezione naturale”. Al docente raccomandiamo di non dare per scontata
l’opinione diffusa e spontanea che è sufficiente trasferire nella comunicazione verbale
in classe un insieme di frasi appropriate dal suo apparato di credenze a quello degli
studenti per raggiungere lo scopo. È molto probabile che queste frasi entrino nella
memoria degli studenti ma che poi scivolino via subito e con esse tutta la pericolosità
o il veleno dell’idea di selezione naturale. Per indagare il problema evoluzionismo e etica è vitale che l’idea di selezione naturale sia assimilata fino al punto di “averla nel
sangue”. È importante capire che imparare l’idea di selezione naturale equivale alla situazione didattica in cui la classe prende confidenza [assuefare] con la sua tecnica
d’uso, la situazione in cui piano piano la classe ne acquista padronanza. Come può fare
un docente per insegnare la tecnica d’uso o il gioco linguistico ai suoi studenti? Un
modo è di giocare tutti in classe, e spesso a casa, il gioco Life, descritto in Dennett,
7.3. Si può scaricare facilmente un file da internet. Una volta imparato a giocarlo, Il
gioco Life potrà essere usato come efficace simulazione dello scenario della natura vivente e dell’origine dell’albero della vita. Alla Wittgenstein dei giochi linguistici, avete
trovato una forma di vita primitiva e semplificata che vi mette sotto gli occhi la selezione naturale e quindi la sua tecnica d’uso e quindi avete raggiunto la comprensione
dell’idea. Questo paradigma o modello intuitivo – come si può anche chiamare - fa
“vedere bene” non solo “il veleno” dell’idea di selezione naturale, ma anche i molti
problemi e aporie che l’idea trascina con se.
Per avvicinarsi alla comprensione dell’idea pericolosa di Darwin la classe farà bene
prima di tutto a familiarizzarsi con la tecnica d’uso del concetto di algoritmo. Vedere
l’esempio del torneo di tennis in Dennett, 2.5.
2. Il gioco Life è stato ideato da John H. Conway nel 1970. Life è un automa cellulare
bidimensionale dove ogni cella ha un intorno formato dalle 8 celle vicine (nella figura 1
le celle grigie costituiscono l'intorno della cella nera)
fig. 1
Se la cella è inattiva e nell'intorno vi sono esattamente 3 celle attive, la cella si attiva: regola di nascita [è la regola che stabilisce quali sono gli intorni di una cella inattiva che la rendono attiva al passo successivo]. Se la cella è attiva e nell'intorno vi sono
2 o 3 celle attive, la cella rimane attiva, altrimenti muore all'istante successivo: regola
di sopravvivenza [ è la regola che stabilisce quali sono gli intorni di una cella attiva che
lasciano attiva al passo successivo]. Presentiamo alcuni personaggi fondamentali del
gioco: indubbiamente il più importante è l'aliante (glider). E' stato il primo individuo
trovato in grado di spostarsi nel suo mondo; egli appare spontaneamente come effetto
delle reazioni di Life assai sovente ed interagisce con l'ambiente circostante, in particolare con gli altri alianti, in maniera sorprendentemente efficace. È un po’ l’eroe della
nostra storia. Nella figura 2 potete vedere come si muove un aliante. Nei vari colori
vengono indicate anche le celle che all'istante seguente moriranno e quelle che invece
18
C. Darwin, op. cit., p. 193
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
LABORATORI DIDATTICI
nasceranno. Se con un po' di pazienza disegnate su un foglio quadrettato il quarto e il
quinto passo qui mancanti potete osservare che l'aliante nel giro di 4 mosse (cioè al
quinto passo) ha riassunto la configurazione iniziale che risulta ora spostata di 1 casella in diagonale in basso verso destra. In realtà a seconda del suo orientamento iniziale
l'aliante si può muovere in una qualsiasi delle 4 direzioni diagonali, sempre di 1 casella
(Fig. p. 68)
La geometria dell'universo di Life merita qualche parola di spiegazione. Intanto esso
può essere considerato illimitato nelle 4 direzioni, almeno teoricamente, perché nella
pratica ne vedremo sempre una porzione finita, oppure chiuso. Con il termine chiuso
intendiamo che la parte inferiore della tavola nella quale avviene il gioco si salda con
quella superiore e la parte a sinistra si salda con quella a destra. Provate a immaginarlo e vedrete che questo mondo è una ciambella; perciò in qualsiasi direzione ci muoviamo senza cambiarla ritorneremo (ricordiamo che il numero delle caselle è finito) al
punto di partenza dopo un certo numero di passi. Una delle più grandi sorprese è stata
la scoperta di un marchingegno che emette un flusso di alianti, detto “il cannone di alianti”. Ma la cosa più strana è che alcuni alianti incontrandosi tra di loro possono creare uno di questi cannoni. In realtà Life è assai più di un semplice divertimento.
Possiamo pensare al flusso di alianti prodotto da un cannone come un flusso di bit.
Utilizzando in maniera opportuna diversi di questi fasci ed i mangiatori, Conway è riuscito a dimostrare che è possibile costruire all'interno di questo mondo delle porte logiche: And, Or e Not, ed anche una memoria dove depositare i dati. In sostanza è
provato possibile costruire nell'universo di Life un calcolatore (una macchina di Turing
universale). Una configurazione iniziale insieme a un determinato stato della memoria
può essere vista come un programma che viene eseguito da questo calcolatore. Da un
noto risultato di Turing sull'indecidibilità si ricava allora che non è possibile con alcun
algoritmo conoscere il destino finale di una configurazione di punti qualsiasi che immettiamo sulla tavola del gioco. Quindi il destino di queste configurazioni non può essere conosciuto a priori, sebbene i processi siano strettamente deterministici. Vi è chi
vede in questo una sorta di libero arbitrio delle creature che vivono in Life. John Conway si domanda addirittura se è probabile, dato uno spazio di Life sufficientemente
grande, inizialmente in uno stato casuale, che dopo un lungo periodo di tempo emergano animali intelligenti, autoreplicanti, e popolino certe parti dello spazio.
Life è semplicemente una regola deterministica che ad ogni possibile tavola di 9 celle riempita di 0 e di 1 associa il valore che avrà la cella centrale (0 o 1) all’istante seguente. Quante possibili regole di questo tipo esistono? Una regola così fatta si può
specificare nel modo seguente: Si elenchino di seguito, in un ordine qualsiasi, tutti i
possibili intorni [ definizione di Intorno: si tratta di un concetto fondamentale nella definizione di un automa cellulare, legato con il concetto di località. Una cella è sensibile
- cioè riceve input - soltanto da alcune celle che le sono "vicine". L'intorno precisa in
modo esatto questo vago concetto di vicinanza che varia a seconda della funzione dell'automa cellulare: per esempio per alcuni scopi può essere importante che la cella riceva informazioni solo dalle 3 celle che le sono immediatamente sopra, o da quelle che
le sono accanto in diagonale, ecc.]; ve ne sono 29=512. Ora per esprimere completamente la regola è sufficiente scrivere sotto ogni intorno del nostro elenco 0 od 1. Infatti per giocare con questa regola potremo agire così: dato un mondo con una configurazione, per ogni cella di questo mondo consideriamo il suo intorno completo di 9
celle. Esso apparirà in un unico punto del nostro elenco. Su un foglio a parte che denota lo stato all'istante successivo del nostro mondo metteremo il simbolo trovato lì sotto, e così via per tutte le celle. Quindi in totale ci sono 2 512 regole, cioè 1,3 x 10 154. Si
tratta di un numero di grandezza inimmaginabile, enormemente più grande del numero di tutti gli atomi dell'universo conosciuto. La regola corrispondente a Life è pertanto
come una goccia in un immenso oceano di regole. Il fatto che Conway l'abbia scoperta
ha del meraviglioso. E' plausibile che esistano altre regole egualmente o più interessanti, ma non sono state trovate.
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Novembre Stenseniano 2005 - Evoluzionismo e Antievoluzionismo: un contenzioso non ancora chiuso
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3. Verificare nel gioco Life la comprensione del racconto dell’albero della vita di Dawkins e di Dennett.
Verificare nel gioco life la comprensione dell’idea pericolosa di Darwin, collaudando
il senso dei testi di Dennett qui sotto riportati.
Datemi Ordine, e tempo, e spiegherò il Progetto. Datemi Caos (nel senso antiquato del
termine, di pura casualità priva di significato), e l’eternità, e spiegherò l’Ordine. Il Caos
più completo ha bisogno, a sua volta, di una spiegazione? Che cosa rimane da spiegare?
Alcuni ritengono che rimanga comunque un perché: Perché esiste qualche cosa e non il
nulla?.....19
Ecco, allora, l’idea pericolosa di Darwin: il livello algoritmico è il livello che spiega nel
modo migliore la velocità dell’antilope, l’ala dell’aquila, la forma dell’orchidea, la diversità delle specie, e tutte le altre occasioni di meraviglia offerte dal mondo della natura. È
difficile credere che qualche cosa privo di una mente e meccanico come un algoritmo
possa produrre oggetti tanto meravigliosi. Per quanto straordinari possano essere i prodotti di un algoritmo, i processi soggiacenti consistono sempre in nient’altro che un insieme di singoli passi privi di mente che si succedono l’un l’altro senza l’aiuto di una supervisione intelligente; sono “automatici” per definizione: si tratta del funzionamento di
un automa. Si alimentano l’uno con l’altro, oppure è il caso e nient’altro a farlo – come il
lancio di una moneta, se si vuole. La maggior parte degli algoritmi più noti generano
prodotti piuttosto modesti: eseguono divisioni complicate, mettono in ordine alfabetico
un elenco, oppure calcolano il reddito medio dei contribuenti. Algoritmi più estrosi producono l’affascinante grafica d’animazione che si vede ogni giorno alla televisione, che
trasforma i volti o crea branchi di fantastici orsi polari che pattinano sul ghiaccio, simulando interi mondi virtuali di entità mai viste e immaginate prima. Tuttavia la biosfera
reale è molto più fantastica, di parecchi ordini di grandezza. Davvero può essere il risul19
D. Dennett, op. cit., p. 228
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tato di null’altro che di una cascata di processi algoritmici alimentati dal caso? E, se è
vero, chi ha progettato la cascata? Nessuno: è essa stessa il prodotto di un processo
cieco, algoritmico. Come si esprime lo stesso Darwin in una lettera al geologo Charles
Lyell scritta poco dopo la pubblicazione dell’Origine: “ Non sarei assolutamente disposto
a dare alcunché per la teoria della selezione naturale, se richiedesse aggiunte miracolose
a uno studio qualsiasi della discendenza (…) Se fossi convinto di aver avuto bisogno di
tali aggiunte, la scarterei come una sciocchezza (…) (F. Darwin, 1911, vol. 2, pp. 6
sg.).20
4. Le note seguenti possono essere utili per formulare problemi e aporie e tentare di
chiarire dopo discussione e ulteriore indagini. In queste note inoltre ci sono alcune indicazioni per rispondere alla domanda: in che rapporto la conoscenza sta con l’etica?
Secondo Dennett, l’idea pericolosa non è l’evoluzione ma la selezione naturale. La selezione naturale all’epoca di Darwin come parola era un ossimoro. Due parole che fanno a pugni tra di loro. Perché la selezione è un’attività umana, è quella degli allevatori
mirante a far venire fuori varietà adatte a certi scopi speciali dell’uomo. Dunque, affinché ci sia selezione occorre una grande arte e competenza di alcuni uomini[non di tutti
gli uomini]. Ebbene, Darwin attribuisce questa arte, la selezione, alla natura, che alla
fine è il caso.
Come certe grotte sembrano prodotte da un grande artista, ma non abbiamo altro
che produzione della natura, che è caso senza intenzione, ma è come se l’avesse.
Per Dennett dire “prodotto dalla selezione naturale” equivale a dire “prodotto da
nessuno[il caso]”.
Massima problematizzazione intorno al concetto di selezione naturale: “prodotto
dalla selezione naturale = prodotto da nessuno”. “Selezione” e “naturale” sono due
entità che fanno a pugni.
Progetto[fine] o ordine[causa, meccanicismo, algoritmo] ?
Con mente o senza mente?
Intenzionalità o automatismo?
Il testo di Dennett, L’idea pericolosa di Darwin, può ancora guidarvi per quanto sopra.
L’unico soggettività che sa, comprende, prevede, progetta, conosce, è la selezione naturale. Ma la selezione naturale non sa, non comprende, non prevede, non progetta,
non conosce. In realtà non c’è.
C’è un qualcuno che comprende, conosce, ecc. Ma esso è un caso puro. Ma questo
qualcuno è un non esserci nessuno. Riduce la “qualcunità” alla “nessunità”.
“Selezione naturale” è una espressione paradossale come l’espressione “Scultura
naturale”. Scultura naturale: per così dire un’ opera d’arte fatta dal vento e dalla pioggia. La selezione, innanzitutto, è fatta dagli uomini sugli animali. Darwin arrivò a concepire che lo stesso fa la natura. La natura è un artista che ci ridicolizza. Invece oggi
la selezione artificiale sembra essere non naturale.
Per Darwin l’abilità conoscitiva e predittiva non appartiene a nessuno. Se diciamo
che appartiene alla natura, non vogliamo dire nulla. Selezione naturale è selezione fatta da nessuno. La selezione c’è ma non è fatta da qualcuno. Dunque è fatta dal caso,
cioè da niente. L’assenza di legalità.
L’immensa congerie di episodi tra esseri viventi e non viventi e tra esseri viventi e
esseri viventi che si stanno producendo da quando si sarebbe formato una prima
struttura molecolare nel mondo da cui si sarebbero prodotte tante copie. Ecco la selezione naturale. Non c’è un progettista. È il caso.
Poteva benissimo non formarsi la macromolecola e quindi la terra ancora oggi sarebbe oceani pieni di aminoacidi, un brodo sotto il sole.
La natura, cioè gli scontri a caso tra eventi, ha prodotto la macromolecola che si replica, che però poteva non prodursi.
Caso = mancanza di una legge.
20
D. Dennett, ivi, p. 73
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La visione di Dennett si sviluppa in modo postdarwiniano. Darwin conosce la varianza. Poi è venuto fuori il concetto di errore. Le strutture replicanti, venute fuori per caso, nel replicarsi possono commettere errori. Le strutture erronee a loro volta possono
rivelarsi più adatte a sopravvivere. Si replicano gli errori e di fatto si rivelano errori felici, adatti. Essi avrebbero provocato l’enorme varietà dei viventi.
Nonostante l’autocoscienza di viventi, i viventi si sono prodotti senza un progetto.
Sono i fatti che traggono conseguenze da altri fatti. Errori di copiatura sono adatti a
sopravvivere a causa di una miriade di episodi di cui alcuni hanno avuto successo. Ogni forma vivente è come se fosse sottoposta a un test di verifica. È come una domanda senza nessuno che domanda. È come una risposta senza nessuno che risponde. È conoscenza senza conoscitore [Idea importante].
La fattualità è il paradigma della conoscenza.
Un setaccio di fatti non lascia passare qualcosa. Quindi discrimina senza sapere di
discriminare. E in questo senso, riconosce le forme viventi. Le forme viventi sono le
forme passate dal setaccio. Il setaccio è il vivere stesso.
Sia S un essere, per esempio un essere umano, che davvero conosce, attraverso
attività cosciente, l’ambiente. Per Dennett la consapevolezza di S è fatta in ultima analisi di inconsapevolezza. Il cervello si è mosso per un input, reagisce in un modo X
perché è fatto così. Il cervello non sa niente di quello che sta fuori. Non conosce la
storia del suo input e il destino del suo output. Ma il sapere sta nell’intero vivente che
di fatto produce un input adatto per il cervello. Ecco dov’è il sapere.[Interessante]. Il
cervello nella sua chiusura non sa. Ma tutto l’ambiente sa. È sapere perché da input
adatti al cervello. In questo consiste il fatto che quel essere umano S sa, sta conoscendo, qualcosa. Nell’avere un input e nel dare un output. Se davvero entriamo dentro ma proprio dentro il cervello vediamo e capiamo sempre meno. Alla fine, il cervello
ha solo eccitazioni. C’è una completa non conoscenza, ma questa non conoscenza fa la
conoscenza, nel senso che quel corpo si muove in modo appropriato all’ambiente. S
sa, nel senso che quel corpo si muove adeguatamente all’ambiente. Adeguatamente
vuol dire che fa la mossa giusta, la mossa felice. Questo è il conoscere. Conoscere è
essere vivo nell’ambiente.
Il discorso di senso comune che il conoscere è coscienza di qualcosa, cioè consapevolezza, Dennett non te lo svaluta. Lo prende sul serio anche quando tu ci fai sopra
una fenomenologia. Dennett prende le parole del fenomenologo non come non sensi
ma come enunciati di linguaggio simili agli enunciati di un racconto. Come i racconti
fanno la propria semantica così i discorsi sulla coscienza e i suoi vissuti fanno la propria semantica. La narrazione mette in piedi i personaggi di cui parla, così per Dennett
l’ultimo stadio di questa progettazione (la selezione naturale) da parte di nessuno produce linguaggio che, in una delle sue funzioni, straparla ma fondatamente di se stesso: per esempio, un brano di fenomenologia. Cioè straparla del suo apparato di cervello in modo immaginifico e fittizio e narrativo. Serve a creare dei personaggi che siamo
noi. Noi in quanto soggetti con la S maiuscola (come il noi nell’umanesimo). Ognuno di
noi in quanto persona è una finzione ma in quanto cervello è reale. Siamo baricentri di
attività narrativa in quanto personaggi e non cervelli. L’errore della fenomenologia sta
nel prendere una finzione per realtà. Da questi discorsi posso trarre fuori una ontologia ma fittizia. È una finzione che governa il comportamento di una non finzione a funzionare meglio.[Leggere il passo in Dennett, in Coscienza,21 a proposito della sedia a
dondolo].
Dennett dice che spiegare non è eliminare. Anche se riconduce ad altro. Perché non
elimina la fenomenologia, ma la riduce a finzione semantica.
Selezione naturale è progettista. C’è conoscenza nella fattualità. Tutte le forme viventi sono venute a caso. C’è un ambiente di casualità dove opera la legalità fitochimica che produce fatti che contengono adeguazione di qualcosa a qualcosa. In questo
senso c’è conoscenza.
21
cfr. D. Dennet, Coscienza. Che cos’è, Rizzoli, Milano 1993
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5. Gli studenti producono un video del proprio albero genealogico fino all’essere unicellulare. In appendice un video di 2 minuti al riguardo.
SECONDA FASE: PERCHE DOVREI?
1. La classe legge e analizza Darwin, L’origine dell’uomo, parte prima, 4-5; parte terza, 21.
“La natura è uno scenario dipinto dalla parola dell’uomo “ è la formula della filosofia
dominante di oggi, una filosofia di stampo antropocentrico. Ma se teniamo conto della
teoria dell’evoluzione, questa formula va rifiutata e rovesciata: per Darwin l’uomo con
tutta la sua parola e la sua conoscenza viene dopo la natura.
Un capitolo della vita umana: la morale. Indubbiamente c’è questo capitolo, comunque venga interpretato. L’evoluzionismo qui ha da dire la sua ed è qualche cosa di
molto provocatorio. La tesi di fondo di Darwin è: “ la morale è essa stessa il prodotto
del processo evolutivo “.
Ecco come Darwin presenta il problema, che noi possiamo formulare con questa
domanda: “che ne è della morale, se è vero il ritratto della natura dipinto dalla teoria
dell’evoluzionismo per selezione naturale, vale a dire , se gli agenti morali sono parte
dello scenario ritratto dal quadro?”.
Sottoscrivo pienamente l’opinione di quegli scrittori che sostengono che di tutte le differenze tra l’uomo e gli animali inferiori, il senso morale o coscienza sia di gran lunga il
più importante. Questo senso, come osserva Mackintosh: “ha una legittima supremazia
su ogni altro principio dell’azione umana”; si riassume in quella breve ma potente parola
dovere così piena di alto significato. È il più nobile di tutti gli attributi dell’uomo e lo
spinge senza la minima esitazione a rischiare la propria vita per quella del suo simile, o
dopo la dovuto deliberazione, spinto semplicemente dal profondo senso del diritto e della giustizia, a sacrificarla a qualche grande causa. Immanuel Kant esclama: “Dovere!
Qual è la tua origine, o pensiero meraviglioso, che non fai agire né con una benevola insinuazione, né con la lusinga o la minaccia, ma solo con il sostegno della tua pura legge
nell’anima, e così ottieni per te sempre rispetto, se non obbedienza; tu davanti a cui tutti i desideri tacciono, anche se segretamente si ribellano?.
Questo grande problema è stato discusso da molti scrittori di consumata abilità; la
mia sola scusa per toccarlo è l’impossibilità di passarvi sopra, e perché, per quanto ne
so, nessuno lo ha accostato esclusivamente dalla parte della storia naturale. L’indagine
possiede anche qualche interesse indipendente, come un tentativo per vedere fino a che
punto lo studio degli animali inferiori getti luce su una delle più alte facoltà psichiche
dell’uomo.22
Per Darwin la risposta al problema deve contenere almeno le seguenti proposizioni
principali:
La seguente proposizione mi sembra estremamente probabile; cioè che qualsiasi animale, dotato di istinti sociali ben marcati, compresi quelli versi i genitori e figli, acquisterebbe inevitabilmente un senso morale o una coscienza, non appena i suoi poteri intellettuali fossero divenuti tanto sviluppati, o quasi altrettanto che nell’uomo.
Infatti, per prima cosa, gli istinti sociali portano un animale a compiacersi della compagnia dei suoi simili, a sentire un certo grado di simpatia per loro, e a compiere per essi vari servizi. I servizi possono essere di natura definita e chiaramente istintiva, o può
essere solo il desiderio e la sollecitudine, come avviene nella maggior parte degli animali
sociali superiori, di aiutare i propri simili in modo generico. Ma questi sentimenti e compiti non sono affatto estesi a tutti gli individui della stessa specie, ma solo a quelli dello
stesso gruppo.
In secondo luogo, non appena le facoltà mentali si saranno sviluppate abbastanza
notevolmente, immagini di tutte le azioni passate e i loro motivi ritorneranno incessantemente nel cervello di ogni individuo. Nascerà così quel senso di insoddisfazione e an22
C. Darwin, op. cit., p. 90
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che di tristezza che invariabilmente deriva, come vedremo appresso, da ogni istinto
soddisfatto, ogni volta che gli istinti sociali permanenti e sempre presenti sembreranno
essersi arresi a qualche altro istinto, momentaneamente più forte, che però per sua natura non è durevole, né lascia dietro di sé una impressione troppo profonda. È chiaro
che molti desideri istintivi, come quello della fame, son nella loro natura di breve durata,
e dopo essere stati soddisfatti non costituiscono oggetto di immediato e profondo ricordo.
In terzo luogo, dopo che si è acquisita la facoltà della parola e possono essere espressi i desideri della comunità, l’opinione generale che ciascun membro dovrebbe agire per il bene comune dovrebbe naturalmente guidare in maggior misura l’azione. Ma si
dovrebbe tener presente che per quanto peso si possa attribuire all’opinione pubblica, la
nostra considerazione per l’approvazione e la disapprovazione dei nostri simili si basa
sulla simpatia che, come vedremo, forma una parte essenziale dell’istinto sociale, ed è
perciò il suo fondamento.
Infine, l’abitudine dell’individuo giocherebbe in definitiva un ruolo molto importante
nel guidare la condotta di ogni membro; infatti l’istinto sociale insieme alla simpatia, è,
come ogni altro istinto, molto rafforzato dall’abitudine, e quindi significherebbe obbedienza ai desideri e al giudizio della comunità. 23
A questo insieme di proposizioni principali Darwin premette un importante chiarimento
e nel formularlo ricorre ad un esempio sconcertante. La classe farebbe bene a indagarlo a fondo e a servirsene come un paradigma nel corso della ricerca. Consigliamo di
tener presente a questo punto anche l’interpretazione della dottrina morale di Darwin
data da Boniolo in Che cosa può dire un darwiniano sulle radici biologiche della morale? Ma sentiamo ancora Darwin:
Sarà bene premettere per prima cosa che non intendo sostenere che ogni animale esclusivamente sociale, se le sue facoltà intellettuali diventassero attive e tanto altamente sviluppate come nell’uomo, acquisterebbe esattamente lo stesso nostro senso morale.
Allo stesso modo in cui vari animali hanno un qualche senso del bello, sebbene ammirino oggetti completamenti diversi, così potrebbero avere un senso di giustizia e ingiustizia, sebbene portati da esso a seguire linee di condotta completamente diverse.
Se, ad esempio, per prendere un caso estremo, gli uomini fossero allevati nelle stesse precise condizioni delle api, possiamo supporre che, come le api operaie, le nostre
femmine non sposate riterrebbero un sacro dovere uccidere i loro fratelli, le madri cercherebbero di uccidere le loro figlie fertili, e nessuno penserebbe di intervenire. Nondimeno l’ape, o qualsiasi altro animale sociale acquisterebbe, nel caso supposto, a mio
giudizio, un senso di giustizia e di ingiustizia o una coscienza. Infatti ciascun individuo
avrebbe una coscienza intima di possedere certi istinti più forti o più duraturi, e altri
meno forti o duraturi; così che vi sarebbe spesso un conflitto su quale impulso seguire;
si proverebbe soddisfazione, insoddisfazione e anche infelicità, quando le impressioni
passate fossero messe a confronto durante il loro incessante trascorrere nella mente. In
questo caso un ammonimento interiore direbbe all’animale che sarebbe stato meglio se
avesse seguito un impulso piuttosto che un altro. Una condotta si sarebbe dovuta seguire e un’altra no; l’una sarebbe stata giusta e l’altra sbagliata.24
In margine a questo brano troviamo una nota di Darwin interessantissima e problematicissima:
H. Sidgwick nota, in un’abile dissertazione su questo argomento, “possiamo essere sicuri
che un’ape di ordine superiore aspirerebbe a una soluzione più blanda del problema della popolazione”. Giudicando tuttavia dalle abitudini della maggioranza dei selvaggi,
l’uomo risolve il problema con l’infanticidio delle femmine, con la poliandria, e con le relazioni promiscue: perciò si può ben dubitare che esisterebbe un metodo più blando.
Cobbe, commentando la stessa spiegazione[…] sostiene che in tal modo verrebbero ad
annullarsi i principi del dovere sociale. Da ciò mi sembra di capire che pensi che il compimento del dovere sociale tenda al danno degli individui; ma tralascia il fatto, che dovrebbe ammettere senza dubbio, che gli istinti dell’ape si sono formati per il bene della
comunità. Arriva così lontano da sostenere che se la teoria della moralità esposta in
23
24
ivi, pp. 90 - 91
ivi, pp. 91 - 92
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questo capitolo venisse accettata generalmente “non potrebbe non credere che nel momento del loro trionfo suonerebbe l’ultima ora della virtù umana”. C’è da sperare che la
fiducia nella permanenza della virtù su questa terra non appoggi, per molte persone, su
un sostegno così debole.25
Possiamo ricostruire il contenuto della nota sotto forma di dialogo tra Cobbe e Darwin.
Cobbe: “voi, signore, con la teoria della moralità esposta nel vostro libro avete minato
la morale alle sue fondamenta”.
Darwin: “io, signore, non oserei mai presumere che il mio libro, o qualsiasi altro libro, possa mai minare le fondamenta della morale. La morale non appoggia su un sostegno così debole. Ci vuole ben altro per minarla”.
Questa risposta è davvero sottile e profonda. E la classe farebbe bene ad indagarla.
Darwin però sembra che abbia risposto solo ad una parte dell’obiezione, ne rimane
fuori un lato. Per metterlo in evidenza, suggeriamo ai docenti di proporre alla classe la
seguente analisi di linguaggio naturale.
La parola “perché” come la usiamo quotidianamente è equivoca e contiene più significati e questo, nel nostro caso, non è una ricchezza quanto piuttosto una fonte di
confusione. La parola ha tre significati distinti [pensate ad Aristotele]:
significato causale. Quando domandiamo “ perché x? “, ci chiediamo la causa o le
cause dell’accadere di x: come è andata [o sta andando se è in atto] questo processo x: in seguito a quali fattori causali.
Significato finale. Quando domandiamo “ perché x? “, ci chiediamo a quale scopo
accade il processo x. E ancora: il processo x accade in vista di me o in vista di te o
in vista di noi, eccettera.
Significato valoriale/assiologico. Quando domando “ perché x? “, sto chiedendo “
perché dovrei? “ come risposta ad un imperativo qualsiasi e quindi anche ad un imperativo morale [la classe degli imperativi morali è contenuta nella classe degli imperativi tout court]. Per esempio, davanti alla massima di Kant “ considera l’uomo
in te e fuori di te sempre anche come fine e non solo come mezzo “ io potrei rispondere “ perché dovrei? “. Wittgenstein nella sezione del Tractatus dedicata
all’etica, proposizione 6.422, afferma: “Il primo pensiero, nell’atto che è posta una
legge etica nella forma “tu devi….”, è: E se non lo faccio?”. 26
Il docente a questo punto si ingegna a escogitare forme di vita o situazioni elementari
in cui ricorrono le tre diverse tecniche d’uso della congiunzione “perché?” e a farle padroneggiare dagli studenti. [pensate all’analisi di Hume sulla causalità, saccheggiate
Aristotele]. Il gioco life può benissimo fare al caso per tutte e tre le tecniche d’uso. Io
personalmente ricorrerei al gioco life così potete non perdere di vista nell’analisi che
state conducendo il ruolo giocato dalla selezione naturale.
Tornando al dialogo, Cobbe si sta chiedendo: “se in Descent of men Darwin ha ragione, allora non c’è una risposta soddisfacente alla domanda “perché dovrei?” sollevata
di fronte ad un imperativo morale”.
Ora Darwin ha dato una risposta splendida ai due perché causale e finale: perché[in
senso causale] dovrei? A causa della selezione naturale; perché[in senso finale] dovrei? Per fitness, vale a dire allo scopo di adattarti all’ambiente, vale a dire: a questo
scopo, perché la morale ha valore adattativo molto forte consentendoci di prevalere.
“Ma perché [assiologicamente] io dovrei essere morale?”, per esempio, “perché[assiologicamente] io dovrei amare il prossimo?”. A questa domanda, Darwin non
ha dato alcuna risposta, anche se egli sembra implicitamente dire a Cobbe: “non illuderti di essere così libero da metterti contro l’imperativo morale [o all’intero mondo] e
dire ‘perché dovrei?’. Come se tu non fossi un individuo della specie che ha ereditato i
valori come si ereditano gli istinti e in più avessi ricevuto dalla società l’educazione che
25
26
ivi, p. 91, nota 241
cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi Torino 1998
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di fatto hai ricevuto. Non illuderti che questi due fattori ti abbiano lasciato un grande
margine di libertà “.
Kierkegaard e Sartre, in modi diversi, teorizzano che l’uomo ha la possibilità di scelte
radicalissime. Ebbene questo atteggiamento filosofico è un’alternativa esclusa da Darwin. Vedere per questi due filosofi la parte terza del modulo: la sezione antologica.
L’angoscia di Cobbe non è colta da Darwin. Vediamo tutto questo da vicino.
Un breve ritratto della teoria morale di Darwin è il seguente: per Darwin la base della
moralità sono gli istinti sociali: la cooperazione nel gruppo. Istinto sociale è, per esempio, assistere il compagno di gruppo se è in pericolo, proteggerlo o sacrificarsi, è
per esempio, lo scambio delle effusioni, come lo spulciamento reciproco. Quindi, un istinto sociale è ereditato ed è dovuto all’azione della selezione naturale. Su questa base si sviluppa la simpatia. Una definizione di simpatia è: ho provato immediato/spontaneo benessere allo spettacolo del benessere del compagno di gruppo e ho
provato immediato/spontaneo malessere allo spettacolo del malessere del compagno
di gruppo. Attenzione! È spontaneo, è un istinto non è un dovere, come l’istinto
dell’ape di fare le celle, è prodotto per selezione naturale. Inoltre l’approvazione e la
disapprovazione su di me dei miei compagni di gruppo è tale che diventa intollerabile
la disapprovazione e gratificante l’approvazione. Perché? Perché io mi metto nei panni
degli altri [simpatia] e in caso di disapprovazione provo un disgusto immediato per me
stesso, quello stesso disgusto che l’altro sta provando per me. Nel caso
dell’approvazione su di me degli altri: lo spettacolo della mia azione ha riscaldato il
cuore degli altri e questo io lo vivo come un riscaldare il mio cuore.
La polarità approvazione/disapprovazione è costante per tutta la vita. Da quando si
è piccoli fino a quando si è vecchi, il gruppo continua a mettere al vaglio i miei e i nostri comportamenti, tale che anche quando viene a mancare il gruppo, per esempio,
quando sono solo, questa voce approvante e disapprovante si fa sentire ugualmente.
La morale kantiana, per Darwin, è questo: ho fatto l’abitudine al gruppo giudicante e
quindi anche da solo sento la voce del gruppo giudicante. Darwin fa l’ipotesi che
l’abitudine morale possa essere ereditata, proprio come un carattere, per esempio, la
masticazione.
Vediamo adesso come Darwin formula il problema del Perché dovrei agire moralmente?, come d’ora in poi lo chiameremo:
Un essere morale è colui che è in grado di paragonare le sue azioni e i motivi passati e
futuri, e di approvarli o disapprovarli. Non abbiamo motivo di supporre che qualche animale inferiore abbia questa capacità; perciò quando un cane terranova salva un bambino dalle acque, o una scimmia affronta il pericolo per salvare una compagna o si prende
cura di una scimmia orfana, non chiamiamo morale la sua condotta. Ma nel caso
dell’uomo, che solo può essere classificato con certezza un essere morale, azioni di un
certo tipo sono chiamate morali, se compiute deliberatamente, dopo una lotta con motivi contrastanti o impulsivamente attraverso l’istinto o per effetto di un’abitudine acquisita lentamente.
Tuttavia non abbiamo ancora considerato il punto principale, su cui, secondo il nostro
attuale punto di vista, ruota l’intera questione del senso morale. Perché un uomo dovrebbe sentire che egli deve obbedire a un desiderio istintivo, piuttosto che a un altro?
Perché si rammarica amaramente, se è stato spinto da un violento senso di autoconservazione e non ha rischiato la vita per salvare quella di un suo simile? E perché si duole
di aver rubato cibo per fame? […] sebbene alcuni istinti siano più forti di altri e conducono così alle azioni corrispondenti, è tuttavia insostenibile che nell’uomo gli istinti sociali (
compreso l’amore per la lode e il timore del biasimo) abbiano o abbiano acquisito attraverso un lungo uso una forza maggiore di quella degli istinti di conservazione, di fame,
lussuria, vendetta, ecc. Perché allora l’uomo rimpiange, anche cercando di allontanare
questo rimpianto, di aver seguito un impulso naturale piuttosto che un altro, e perché
sente che potrebbe biasimare la sua condotta? L’uomo, per questo aspetto, differisce
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profondamente dagli animali inferiori. Nondimeno possiamo, penso, vedere con una certa chiarezza la ragione di questa differenza.27
Ed ecco la risposta data da Darwin. La classe farebbe bene nella lettura a tener presente l’analisi dei tre sensi di “perché?”:
L’uomo, per l’attività delle sue facoltà mentali, non può evitare la riflessione; le impressioni e le immagini passate scorrono incessantemente e chiaramente davanti alla sua
mente.
Ora in quegli animali che vivono permanentemente in gruppo, gli istinti sociali sono
sempre presenti e persistenti. Tali animali sono sempre pronti a lanciare segnali di pericolo, a difendere la comunità e a portare aiuto ai compagni, secondo le loro abitudini;
sentono sempre, senza lo stimolo di nessuna passione particolare o desiderio, qualche
grado di amore o simpatia per essi; sono infelici se ne sono separati a lungo e sempre
felici di essere di nuovo in loro compagnia.
Così anche per noi. Anche quando siamo del tutto soli, quanto spesso dobbiamo pensare con piacere o dispiacere a ciò che gli altri pensano di noi, alla loro supposta approvazione o disapprovazione! E tutto ciò viene dalla simpatia, elemento fondamentale degli istinti sociali. Un uomo che non possedesse traccia di tali istinti sarebbe un mostro
innaturale.
D’altra parte il desiderio di soddisfare la fame, o qualsiasi passione, come la vendetta, è, per sua natura, temporaneo e può essere soddisfatto per un certo tempo[…]
Un uomo non può evitare che le impressioni passate scorrano spesso attraverso la
sua mente; egli sarà così portato a fare un paragone tra le impressioni della fame passata, di una vendetta soddisfatta e di un pericolo evitato a spese di un altro uomo, con
l’istinto, quasi sempre presente, di simpatia, e con la sua precedente conoscenza di ciò
che gli altri considerano lodevole o biasimevole. Questa conoscenza non può essere
bandita dalla sua mente e per istintiva simpatia è stimata di grande valore. Egli sentirà
allora di essere stato ostacolato nel seguire un istinto o un’abitudine presente, e ciò in
tutti gli animali causerà insoddisfazione o anche infelicità.
Il caso precedente della rondine fornisce un esempio, sebbene di natura inversa, di
un istinto temporaneo, sebbene al momento molto persistente, che ne sottomette un altro di solito dominante su tutti gli altri. Alla stagione giusta questi uccelli sembrano per
tutto il giorno in preda al desiderio di emigrare; le loro abitudini cambiano; diventano irrequieti, chiassosi, e si uniscono in stormi. Mentre la madre sta nutrendo o covando i
neonati, l’istinto materno è probabilmente più forte di quello migratorio; ma l’istinto più
persistente vince, e alla fine, in un momento in cui i suoi piccoli non sono visibili, essa
prende il volo e li abbandona. Giunta alla fine del suo lungo viaggio, quando l’istinto migratorio ha cessato di far presa, quale angoscioso ricordo dovrebbe provare l’uccello, se,
dotato com’è di una grande attività mentale, non potesse evitare l’immagine, che costantemente passerebbe nella sua mente, dei piccoli morenti di fame e di freddo nello
squallido nord!
Al momento dell’azione, l’uomo non esiterà a seguire l’impulso più forte; e sebbene
ciò possa occasionalmente suggerirgli le più nobili imprese, più comunemente lo porterà
a soddisfare i suoi desideri a spese di altri uomini. Ma dopo la loro soddisfazione, quando
le impressioni passate e più deboli sono giudicate dagli istinti sociali perduranti e dalla
profonda considerazione per la buona opinione dei suoi compagni, sicuramente verrà il
ripensamento. Egli allora proverà rimorso, pentimento, dolore o vergogna, il quale ultimo sentimento tuttavia si riferisce quasi esclusivamente al giudizio degli altri. Allora deciderà di agire differentemente per il futuro più o meno fermamente: questa è la coscienza. Infatti la coscienza guarda dietro e serve da guida per il futuro. 28
In questo testo la domanda “perché, per esempio, dovrei amare il prossimo?” sembra
trovare una buona risposta, se la parola “perché?” è intesa sia in senso causale che in
senso finale. Infatti, è chiaro che in questi due casi la risposta di Darwin sembra ridursi all’affermazione che io sono dominato dal meccanismo algoritmico della selezione
naturale che dal Caos produce Ordine e dall’Ordine produce Progetto. E per quanto riguarda il senso assiologico della domanda? La conclusione sembra essere che non vi è
un terzo senso della parola “perché?” oppure se vi è esso è riducibile ai primi due. La
27
28
C. Darwin, op. cit., p. 100
ivi, pp. 100 - 102
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risposta di Darwin sembra dirci a viva forza che la domanda, in senso assiologico,
“perché dovrei amare il prossimo?” ovvero “e se non lo facessi?” è irrilevante. Ma la
domanda è davvero irrilevante? È proprio vero che il valore è da interpretare solo nei
termini della finalità e della causalità? Darwin di nuovo non sembra cogliere l’angoscia
contenuta nella domanda di Cobbe.
La classe può raccogliere la tensione problematica contenuta nella teoria morale di
Darwin in queste domande: Se accettiamo la teoria di Darwin, come possiamo accettare l’autonomia del valore o della morale? Che risposta diamo al terzo perché? Il perché ad esempio nella domanda “perché dovrei amare il prossimo?”. E qui dentro troviamo il concetto problematico di selezione naturale. Esiste un’autonomia del valore
rispetto al fine dei viventi? Se accettiamo l’evoluzione, possiamo lo stesso salvaguardare l’autonomia dei valori? Oppure questa teoria smaschera il lato debole della nostra
presunzione kantiana o come vedremo confuciana? Il lato debole nel senso che scambiamo per assolutezza una assolutizzazione del relativo.
2. La classe vede insieme il film: Annaud, La guerra del fuoco. E lo discute alla luce dei
problemi e aporie emerse dall’indagine intorno alla teoria morale di Darwin. Secondo
noi, il film si presta benissimo ad essere usato come paradigma di discussione insieme
al gioco life.
3. Trovare o inventare esempi di tribù che presentano in modo semplificato il capitolo
della vita: morale. Alla Wittgenstein. Confronto con vite di altri animali. [Fingere di seguire gli imperativi della tribù]
Trovare altri film.
TERZA FASE: DISCORSI DOPPI O ANTILOGIE.
La classe legge e analizza testi contrapposti e formula in linguaggio naturale problemi
filosofici, aporie, bozze di soluzioni, chiarimenti, discussioni. Perfeziona e costruisce
una antologia commentata.
1. Darwin versus Darwin
Nella formulazione della teoria morale di Darwin, a ben guardare, è possibile individuare e portare ad evidenza una tensione dialettica inconciliabile tra autonomia e d
eteronomia della vita morale.
Domando: “in Darwin, il cielo stellato sopra di me si prolunga nella legge morale in
me come in una sola via? Ma se è così, che ne è della assolutezza della morale, non
sarà forse una assolutizzazione di un che di relativo? Oppure in Darwin la legge morale
e il cielo stellato sono due vie divergenti e un’azione di un agente morale può avere
una grandezza morale ed essere assolutamente in contrasto con la natura di cui è parte? Ma chiaramente non è questa la prospettiva di Darwin”.
Nella morale kantiana troviamo il postulato dell’esistenza di dio e dell’anima immortale. In Confucio non troviamo né dio né immortalità dell’anima[ Vedi sotto § 264
«Non conosci ancora la vita, come conoscerai la morte?»], però condivide con Kant la
stessa esigenza morale. Ma per Confucio la morale è un’esigenza compiuta e autosufficiente. Se alla domanda “perché dovrei?” rispondessi “se non mi comporto così mi
danno l’anima”, questo per Confucio è immorale. Lo stesso in fondo non lo si potrebbe
dire per Kant per via di quei due postulati. Per Confucio l’assolutezza della morale
dev’essere purissima. Dice Confucio[§ 20] che a 50 anni poteva seguire il desiderio del
suo cuore. Vale a dire, poteva ormai agire e comportarsi moralmente in modo purissimo e assoluto senza più avere dentro di sé il controllo della voce dell’imperativo. Essere morale e vivere era ormai lo stesso: vivere spontaneamente è ormai spontaneamente agire bene. Curiosamente Darwin traccia un cammino simile a conclusione del
capitolo:
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Un uomo spinto dalla propria coscienza, acquisterà, attraverso una lunga abitudine, un
tale perfetto autocontrollo che i suoi desideri e le sue passioni alla fine cederanno immediatamente e senza lotta alla simpatia e agli istinti sociali, che comprendono la considerazione per il giudizio dei propri simili. Colui che è sempre affamato o colui che sempre persegue la vendetta, non penserà più a rubare il cibo o a compiere la propria vendetta. È possibile, o come appresso vedremo, anche probabile, che l’uso
dell’autocontrollo, come le altre abitudini, possa essere ereditario. Così alla fine un uomo
giunge a sentire, attraverso abitudini acquisite e forse ereditarie, che per lui è meglio
ubbidire ai suoi impulsi più persistenti. L’imperiosa parola dovere sembra implicare semplicemente la coscienza dell’esistenza di una regola di condotta, in qualunque modo possa essersi originata. Anticamente deve essersi spesso sostenuto energicamente che un
gentiluomo insultato dovesse battersi a duello. Diciamo anche che un cane da punta deve puntare e un cane cercatore deve cercare la selvaggina. Se vengono meno a ciò falliscono nel loro dovere e agiscono erroneamente. 29
Lo stadio più alto possibile della cultura morale è quando capiamo di poter controllare i
nostri pensieri, e “di non pensare di nuovo neppure nel più remoto intimo della mente ai
peccati che ci resero il passato piacevole”. Qualsiasi cosa renda familiare alla mente una
cattiva azione, rende anche il suo comportamento molto più facile; come disse molto
tempo fa Marco Aurelio: “Quali sono i pensieri abituali tale sarà anche il carattere della
mente; infatti l’anima è colorata dai pensieri. 30
Il senso morale forse costituisce la migliore e più elevata distinzione tra l’uomo e gli animali inferiori, ma non ho bisogno di dire nulla su questo punto, in quanto ultimamente
mi sono sforzato di dimostrare che gli istinti sociali – il primo principio della costituzione
morale dell’uomo – con l’aiuto dei poteri attivi intellettuali, e gli effetti delle abitudini,
naturalmente portano alla regola aurea: “Fa agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te”, e questo si trova a fondamento della moralità.31
Qui, in contrasto con i testi sopra riportati, si vede come Darwin condivide la morale
sociale non solo in senso causale e finale, ma anche in senso assiologico, proprio come
se vivesse sprofondato attivamente in questo capitolo della vita umana che è la morale, in tutta la sua autonomia e non riducibilità. Sembra intendere la morale proprio
come la intende Confucio e Kant. E si dimentica di essere insieme alla sua teoria un
prodotto contingente di selezione naturale. Per cercare di portare ad evidenza il problema o l’intima dialettica irrisolta, la classe potrebbe per prima cosa descrivere la
forma di vita che chiamiamo morale e i suoi giochi linguistici quali sarebbero se fosse
vera la teoria morale di Kant: l’autonomia della morale. Potrebbe usare allo scopo il
gioco life. Un gruppo di homo sapiens vive proprio come vivono gli alianti nel gioco
life: sono fatti allo stesso modo, dal Caos all’Ordine e dall’Ordine al Progetto. Algoritmicamente. Si immagini anche i personaggi della guerra del fuoco. Adesso dietro gli
occhi di ogni individuo del gruppo vi è uno spirito o io incorporeo o io metafisico o
soggetto trascendentale. Gli spiriti pensano e hanno volontà, pensano massime di
comportamento e se queste muovono necessariamente la volontà si tratta di imperativi categorici come “ama il prossimo”. La volontà di uno spirito è libera e ha la proprietà di modificare il comportamento del corpo corrispondente. L’istituzione morale della
vita del gruppo è intraspirituale. È in una forma di vita così fatta che ricorrono le tecniche d’uso di parole come, per esempio, “bene”, “male”, “devo”, “vergognati”, “sono
pentito”, o quando pensiamo all’autonomia della morale e al sacro dovere e alla nobi ltà dei nostri ideali e alla libertà nel dovere. La forma di vita può ospitare benissimo
uno spirito privo di corpo life eterno onnipotente e buono chiamato “dio”. Infine è
chiaro che la vita morale è una vita del tutto interiore e spirituale non concerne i corpi
se non indirettamente e come mezzo [ Oppure ciò è un problema da discutere?].
29 ivi,
p. 103
p. 108
31
ivi, pp. 110 - 111
30 ivi,
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Secondo me, nei testi di Darwin riportati e in tutto il capitolo 4 della prima parte, si
afferma che non solo la vita dei corpi life di homo sapiens sono il prodotto di selezione
naturale, ma che anche la forma di vita morale che compete agli spiriti annessi è un
prodotto di selezione naturale. Per esempio, un agente morale mentre ama il prossimo, è un evento naturale prodotto dalla selezione naturale. Ma questo come è possibile? Non contiene chiaramente un paradosso? Il sacro dovere di amare il prossimo è
assoluto e spirituale e ha validità universale e necessaria. Ma il sacro dovere è chiaramente nient’altro che gioco life, prodotto algoritmico. Allo stesso tempo, però, non può
essere solo gioco life, altrimenti perché un agente morale dovrebbe amare il prossimo?
Perché piuttosto non amarlo? E se quel perché significa solo causa e fine, allora è per
natura che amerei il prossimo. Ma se così fosse, il mio dovere di amare il prossimo sarebbe una contingenza, il che è in contrasto con il mio viverlo come assoluto e necessario. Darwin anche quando teorizza che il sacro dovere di amare il prossimo che lo infuoca è frutto di selezione naturale e ereditario continua a essere un agente morale
che agisce in una sfera autonoma che è il livello intraspirituale del gioco life che non è
riducibile alla selezione naturale. Questa aporia potrebbe sciogliersi postulando che il
livello spirituale nel gioco life sia una illusione prodotta dalla selezione naturale. Bisognerebbe introdurre un concetto simile a quello kantiano di “illusione trascendentale”.
Qualcosa come una “illusione di trascendenza morale” prodotto dalla selezione naturale per illudere se stessa. Simile all’illusione di sfondare il dipinto, quando noi guardiamo un dipinto che in realtà è un pezzo di natura bidimensionale piena di pigmenti
cromatici di vernice. È una illusione così potente che anche quando la si è rilevata e
tematizzata nella teoria – come fa Darwin - la si continua a vivere e a esserne vittima.
Il cielo stellato sopra di me esiste e tende ad esistere e per continuare a esistere escogita l’illusione/inganno di non essere solo cielo stellato sopra di me ma anche legge morale in me. Ecco allora quanto si diceva su perché dovrei? Proprio mentre Darwin teorizza che il senso assiologico di perché è riducibile agli altri due in realtà lo distingue e lo dà come autonomo e irriducibile agli altri due. Forse, una via d’uscita a
questa intima aporia è prospettata da Dennett con il suo concetto di “eterofenomenologia”, a cui rimandiamo nella sezione 2.2.1.
2. Autonomia versus eteronomia:
il nostro terzo “perché?”, nel senso assiologico, è fasullo e in fin dei conti riducibile agli
altri due , i due sensi naturalistici? Oppure è un senso autentico e irriducibile agli altri
due?
La classe può chiarire queste domande e formularne altre e tentare risposte per
contrapposizione esaminando contemporaneamente discorsi [i logoi] di filosofi che potremmo includere nell’insieme “io assumo che ci sia un senso assiologico di “perché”
non riducibile ai due sensi causale e finale” e antidiscorsi [antilogoi] di filosofi che potremmo includere nell’insieme “io assumo che c’è solo il senso causale e finale di “perché” e non c’è alcun presunto senso assiologico irriducibile”. Questo insieme di filosofi
– a cui appartengono Darwin e Dennett, ma anche Nietzsche, Marx e Freud – dovrebbe concludere che il valore è riducibile [ma non “avidamente riducibile”] ai fatti, contro
Hume e Il neopositivismo. [ Per la questione fatti e valori vedi in appendice l’intervista
di Maggie a Williams]. Chiamiamo “autonomia” la parte antologica del primo insieme e
“eteronomia” la parte antologica del secondo insieme. L’immagine di “essere finiti dentro un ginepraio” rende bene la situazione ermeneutica costituita dal tenere insieme
tutti questi testi contrapposti. Le nostre divisioni insiemistiche siano prese come un
possibile tentativo di orientamento nel ginepraio.
2.1 Autonomia: Kant, Confucio, Kierkegaard, Moore, Wittgenstein.
2.1.1 Kant.
Usare la forma di vita proposta sopra nel gioco life. Kant e Confucio accostano il cielo
alla moralità. Perché? C’è il problema o aporia della libertà del volere e delle leggi necessarie della natura. Per il tema della libertà del volere leggi anche Kierkegaard.
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LABORATORI DIDATTICI
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente,
quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di
me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente, fuori
del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile,
con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io
invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera in finitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con
tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire
nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) la materia della quale si formò,
dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente
dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale
determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende
all’infinito.32
Ma, se si domanda che cosa propriamente sia la moralità pura, con la quale, come con
pietra di paragone, si deve provare il valore morale di ogni azione, io devo confessare
che soltanto i filosofi possono rendere dubbiosa la soluzione di questa questione; poiché
nella comune ragione umana essa è, non certo mediante la deduzione di formule universali, ma mediante l’uso abituale, risolta da lungo tempo, come la differenza tra la mano
destra e sinistra. Noi vogliamo dunque anzitutto mostrare il carattere distintivo della virtù pura in un esempio; e, mentre immaginiamo che questo esempio sia proposto al giudizio di un ragazzo di dieci anni, vediamo se egli dovrebbe necessariamente giudicare
così anche da sé, senza le indicazioni del maestro. Si racconti la storia di un uomo onesto, che si vuole indurre ad associarsi ai calunniatori di una persona innocente, e
d’altronde affatto impotente (come per esempio Anna Bolena, accusata da Enrico VIII
d’Inghilterra). Gli si offrono guadagni, cioè grandi regali o un alto grado; egli li rifiuta.
Questo produrrà semplicemente consenso o approvazione nell’animo dell’ascoltatore,
perché si tratta di guadagno. Si comincia poi con la minaccia del danno. Vi sono tra i calunniatori i suoi migliori amici, che adesso gli rifiutano la loro amicizia; parenti prossimi,
che minacciano di diseredarlo (lui che è privo di sostanze); potenti,che lo possono perseguitare ed offendere in ogni luogo e condizione; un sovrano, che lo minaccia della
perdita della libertà, anzi della vita stessa. ma perchè il suo male sia al colmo, per fargli
anche sentire il dolore che solo un cuore moralmente buono può sentire intimamente, si
può immaginare la sua famiglia minacciata dall’estrema miseria e indigenza, scongiuralo
a cedere; si può immaginare lui stesso, benché onesto, pure con capacità di sentimento
non resistenti e insensibili così alla compassione come alla propria miseria, in un momento in cui desidera di non aver mai visto il giorno che lo espose a un dolore cos’ì indicibile, e tuttavia fedele al proposito di lealtà, senza incertezze e senza nemmeno dubitare. Allora il mio giovane ascoltatore verrà elevato gradatamente dalla semplice approvazione alla meraviglia, da questo allo stupore, finalmente alla più grande venerazione, e a
un vivo desiderio di poter anche lui essere un uomo simile (senza desiderare invero di
essere nella stessa condizione). Eppure qui la virtù ha tanto valore, perché costa tanto,
non perché è utile a qualche cosa. Tutta la meraviglia, e anche lo sforzo per rassomigliare a questo carattere, si fonda qui interamente sulla purezza del principio morale, il quale può essere rappresentato in modo spiccato solo togliendo dai moventi dell’azione tutto ciò che gli uomini possono ascrivere soltanto alla felicità. Dunque, la moralità deve
avere tanta più forza sul cuore umano, quanto più pura essa viene rappresentata. Donde segue che, se la legge dei costumi e l’immagine della santità e della virtù devono esercitare qualche influsso sulla nostra anima, lo possono esercitare solo in quanto, come
moventi del cuore, vengono poste pure, non mescolate con riguardi al proprio benessere, perché è nella sofferenza che la nostra anima si mostra più eccellente. Ma quello il
cui allontanamento rafforza l’effetto di una forza movente, dev’essere stato un ostacolo.
32
I. Kant, Critica della ragion pratica, Roma, Laterza, 1970, pp. 201-3
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Quindi ogni mescolanza di moventi che vengano tratti dalla propria felicità, è un ostacolo
a procurare alla legge morale un influsso sul cuore umano. Io sostengo, inoltre, che anche in quell’azione che si ammira, se il motivo determinante, per cui essa avvenne, fu la
stima del proprio dovere, allora è questo rispetto alla legge, e non la pretesa a
un’opinione interna di grandezza d’animo, e di modo nobile e meritorio di pensare, che
ha la maggiore efficacia sull’animo dello spettatore; quindi è il dovere, e non il merito,
che deve avere sull’animo, non solo l’influsso più determinato, ma, se viene rappresentato nella giusta luce della sua inviolabilità, anche l’influsso più penetrante.33
Se di un uomo che commette un furto dico che questa azione, secondo la legge naturale
della causalità per i motivi determinanti del tempo precedente, è un evento necessario,
ciò significa che era impossibile che essa potesse non avere luogo; come può allora il
giudizio secondo la legge morale introdurre qui un mutamento, e supporre che l’azione
potesse essere tralasciata, perché la legge dice che essa doveva essere tralasciata?
Cioè, come può quell’uomo chiamarsi interamente libero, nello stesso momento e rispetto alla stessa azione, in cui nondimeno è sottoposto ad una necessità naturale inevitabile? Cercare una scappatoia nel fatto che si adatta semplicemente la specie dei motivi
determinanti della propria causalità secondo la legge naturale ad un concetto comparativo della libertà (secondo il quale talvolta si chiama azione libera quella il cui motivo naturale determinante è interno all’essere agente, per es., quella di un corpo lanciato, se
esso è in movimento libero, nel qual caso si usa la parola libertà, perché il corpo, mentre è in moto, non è spinto da qualcosa di esterno;[…]) è un meschino ripiego da cui alcuni si lasciano ancora sempre lusingare; e credono d’avere risolto con un piccolo giuoco
di parole quel problema così difficile, alla cui soluzione migliaia di anni lavorarono invano, soluzione che perciò ben difficilmente potrebbe essere trovata così alla superficie.
Cioè, nella questione di quella libertà che deve essere posta a base di tutte le leggi morali, e dell’imputazione conforme ad esse, non si tratta punto di sapere se la causalità
determinata secondo una legge naturale sia necessaria mediante motivi determinanti
che si trovano nel soggetto o fuori di esso; e, nel primo caso, se [sia necessaria] mediante l’istinto o per mezzo di motivi determinanti pensati con la ragione. se queste rappresentazioni determinanti, a confessioni di questi stessi uomini, hanno tuttavia il principio della loro esistenza nel tempo, e invero nella condizione precedente, ma questa
condizione di nuovo in una precedente, e via dicendo, siano pure queste rappresentazioni sempre interne, abbiano la causalità psicologica e non meccanica, e cioè producono
azioni mediante rappresentazioni e non mediante il movimento corporale, sono sempre
motivi determinanti della causalità di un essere, in quanto la sua esistenza è determinabile nel tempo, e quindi sotto le condizioni necessitanti del tempo passato; le quali dunque, quando il soggetto deve agire, non sono più in suo potere, ed implicano bensì la libertà psicologica (se pure si vuole usare questa parola per una concatenazione semplicemente interna delle rappresentazioni dell’anima), ma implicano anche la necessità naturale, e quindi non lasciano una libertà trascendentale, la quale deve essere concepita
come indipendenza da ogni elemento empirico, e quindi dalla natura in genere, considerata come oggetto del senso interno semplicemente nel tempo, o anche dei sensi esterni, nello spazio e nel tempo contemporaneamente; e senza questa libertà (nell’ultimo e
proprio significato) che solo è pratica a priori, non è possibile una legge morale, né
un’imputazione secondo questa legge. Appunto perciò ogni necessità degli eventi nel
tempo secondo la legge naturale della causalità si può anche chiamare il meccanismo
della natura, benché con ciò non si intenda che le cose che gli sono soggette debbano
essere vere macchine materiali. Qui si guarda soltanto alla necessità della connessione
degli eventi in una serie temporale, come questa si svolge secondo la legge naturale: ed
il soggetto in cui avviene questo flusso si può chiamare automaton materiale, quando
l’essere meccanico è mosso mediante la materia o, con Leibniz, spirituale, quando è
mosso mediante rappresentazioni; e se la libertà della nostra volontà non fosse altro che
l’ultima (per es., la psicologica e comparativa, non la trascendentale, cioè assoluta), essa in sostanza non sarebbe niente di meglio che la libertà di un girarrosto, che,
anch’esso, una volta caricato, fa da sé i suoi movimenti.
Ora, per togliere nel caso proposto l’apparente contraddizione fra meccanismo naturale e libertà in una sola e medesima azione, bisogna ricordare ciò che nella Critica della
ragione pura fu detto, o ciò che ne risulta: che la necessità naturale, la quale non può
coesistere con la libertà del soggetto, è inerente semplicemente alle determinazioni di
quella cosa che è sotto la condizione del tempo, e quindi soltanto alle determinazioni del
33
ivi, pp. 120-123
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soggetto agente come fenomeno; che quindi sotto questo rispetto i motivi determinanti
di ogni sua azione si trovano in ciò che appartiene al tempo passato, e non più in suo
potere (fra i quali motivi determinanti si devono anche annoverare le sue azioni già fatte
ed il carattere di lui come fenomeno, che ai suoi propri occhi può essere determinato
mediante queste azioni). Ma lo stesso soggetto, che d’altronde è anche conscio di sé
come di cosa in sé, considera anche la sua esistenza, in quanto essa non sta sotto le
condizioni del tempo, e considera se stesso soltanto come determinabile secondo le leggi che si dà mediante la ragione stessa; e in questa sua esistenza niente è per lui anteriore alla determinazione della sua volontà, ma ogni azione, e in genere ogni determinazione della sua esistenza, la quale cambia secondo il senso interno, e anche l’intera successione della sua esistenza come essere sensibile, non è da riguardare nella coscienza
della sua esistenza intelligibile se non come conseguenza, e non mai come motivo determinante della sua causalità in quanto noumeno. Ora, sotto questo rispetto, l’essere
razionale può dire giustamente di ogni sua azione compiuta contro la legge (benché
questa azione, come fenomeno, sia determinata sufficientemente nel passato, e, come
tale, inevitabilmente necessaria) che avrebbe potuto non farla; perché quell’azione, con
tutto il passato che la determina, appartiene a un unico fenomeno del carattere, che
[l’essere razionale] procura a se stesso e secondo il quale attribuisce a sé, come ad una
causa indipendente da ogni sensibilità, la causalità di quegli stessi fenomeni.34
2.1.2 Confucio.
Confucio ha introdotto il concetto di moralità pura di stampo kantiano, il cui aspetto
centrale è il totale disinteresse dell’atteggiamento morale. La moralità ha valore del
tutto intrinseco. Uno agisce perché va fatto qualunque siano le conseguenze. Kant afferma la felicità dopo la morte per la moralità attuata in concreto. Confucio non parla
del premio o della felicità dopo la morte, ma parla del come se il mondo fosse retto dal
cielo stesso ed è qui che ottiene quello che Kant voleva nell’affermare la felicità dopo
la morte.
Confucio35 desidera essere senza parole come il cielo [§ 453]. Quello che conta è il
rapporto cielo- terra. Confucio investe il cielo di questa moralità. Kant ha accostato la
legge morale al cielo. Perché Confucio e Kant hanno materializzato nel cielo la legge
morale? La legge morale è non fare agli altri ciò che non vuoi per te [§ 402]. Coscienziosità e reciprocità. Kant: “Considera la persona in te e fuori di te come fine e non solo come mezzo.” Ideale purissimo come un imperativo: “Si ha da agire del tutto indipendentemente da sanzioni.” Per Confucio chi non agisce secondo rettitudine si salva
per caso [§ 136]. Non è come in Kant che c’è il castigo. La moralità del mondo c’è, ma
la sua rete è abbastanza ampia per lasciar passare diversi pesci. In conclusione, Confucio ha da dare l’insegnamento in poche frasi. L’uomo non può che viversi come socialità. L’uomo deve essere naturale. Partendo dalla naturalezza dell’uomo, l’uomo deve raffinarsi nella cultura. Cioè deve darsi la più alta civilizzazione possibile. Resa possibile da una sovranità che ha come modello la genitorialità (naturalità umana). Quando ci sono due uomini abbiamo il dovere della reciprocità e quindi tutta la moralità. La
virtù è “Vivi l’umanità”, “Non essere disumano”.
Riguardo alla trascendenza confronta § 264: cosa ne è di noi quando moriamo?
Confucio risponde mantenendosi a questo presente da cui non è possibile evadere,
mantenendosi al qui. Quando faremo un rito per quelli che sono al di là è sempre un
rito che viene fatto nel nostro tempo e che prende senso nel nostro tempo. Nel nostro
tempo che noi viviamo, che noi poniamo problemi. Non è trascendenza e non è immanenza.
Accosta problematicamente Darwin a Confucio. Accosta Wittgenstein a Confucio.
[In appendice alleghiamo una scelta più consistenti di discorsi di Confucio e alcuni
commenti esplicativi].
34
ivi, pp.192-194
cfr. Confucio, I dialoghi (noti anche come Analecta), trad. it. di F. Tomassini [con qualche modifica], in
Testi confuciani, Classici UTET, Torino, 1974
35
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LABORATORI DIDATTICI
§1 Il maestro disse: «Studiare e mettere costantemente in pratica lo studio non è una
soddisfazione? Che amici vengano da regioni lontane non è una gioia? Non essere conosciuti dagli uomini e non crucciarsene non è da uomini superiori?»
§3 Il maestro disse: «Parole artificiose e modi insinuanti raramente s’accompagnano a
umanità».
§17 Il maestro disse: «Chi governa con la virtù è paragonabile alla stella polare, che resta immobile al suo posto mentre tutte le altre le ruotano intorno.»
§18 Il maestro disse: «Le odi sono trecento, ma una sola frase basta a riassumerle:
“Nessun pensiero distorto” [Libro delle Odi, IV, 32, 4]».
§20 Il maestro disse: «A quindici anni la mia volontà era nello studio; a trenta avevo un
punto d’appoggio; a quaranta non avevo incertezze; a cinquanta conoscevo i decreti del
cielo; a sessanta il mio orecchio era docile; a settanta, nel seguire ciò che il mio cuore
desiderava, non uscivo di squadra».
§22 Qualcuno chiese della pietà filiale. Il maestro disse: «Padre e madre stanno in ansia solo per le malattie del figlio».
§26 Il maestro disse: «Osserva che cosa fa, scruta che cosa lo muove, trova che cosa lo
appaga. Un uomo come può nascondersi, un uomo come può nascondersi?».
§31 Il maestro disse: «O Yu, vuoi che t’insegni che cos’è il sapere? Ciò che sai stima di
saperlo, ciò che non sai stima di non saperlo. Questo è sapere».
§57 Tzu-kung avrebbe voluto abolire il sacrificio della pecora per la proclamazione della
nuova luna. Il maestro disse: «Tzu, tu ami la pecora, io amo il rito».
§74 Il maestro disse: «Se al mattino si ascolta il Tao, la sera si può anche morire».
§83 Il maestro disse: «Quando vedete la virtù proponetevi di emularla; quando vedete
la non-virtù, esaminatevi nel vostro intimo».
§104 Tzu-kung disse: «La cultura e la raffinatezza del maestro Fu è dato ascoltarle, ma
non è dato ascoltare il maestro Fu parlare della natura umana e del Tao del cielo».
§117 Yen Yüan e Chi-lu attendevano al maestro, che propose: «Perché ciascuno di voi
non parla dei suoi desideri?» Disse Chi-lu: «Avendo carrozze e cavalli e pellicce leggere
da indossare, vorrei condividerli con gli amici e non dispiacermi se li rovinassero». Disse
Yen Yüan: «Vorrei non vantarmi delle buone qualità e non far mostra delle azioni meritorie». Disse Chi-lu: «Gradirei sentire i desideri del maestro». Il maestro disse: «Appagare i vecchi, essere fedele agli amici, aver cari i giovani».
§124 «Hui era tale che il suo cuore non si allontanava dall’umanità anche per tre mesi.
Gli altri discepoli vi pervengono una volta al giorno o al mese, e basta».
§136 Il maestro disse: «L’uomo nasce alla rettitudine. Chi vive senza di essa si salva per
caso».
§166 Il maestro disse: «Io non sono nato sapiente: sono uno che ama gli antichi e si
sforza di ricercarli».
§221 Stando sulla riva di un fiume, il maestro disse: «Trascorre come questo, non
s’arresta né giorno né notte».
§264 Tzu-lu domandò del servire gli esseri spirituali. Il maestro rispose: «Non sai ancora
servire gli uomini, come potresti servire gli esseri spirituali?» «Oso interrogare sulla
morte». Rispose: «Non conosci ancora la vita, come conoscerai la morte?».
§297 Chi K’ang-tzu interrogò Confucio sul governare, dicendo: «Che ne direste di uccidere tutti i senza Tao, in modo che prevalgano coloro che hanno il Tao?» Rispose Confucio: «Se governate, a che serve uccidere? Desiderate il bene e il popolo sarà buono. La
virtù dell’uomo superiore è il vento, la virtù dell’uomo comune è l’erba: quando sull’erba
scorre il vento, l’erba certamente si piega».
§402 Tzu- kung domandò: «Esiste una parola su cui si possa basare la condotta di tutta
una vita? Il maestro rispose: «E’ essa “reciprocità”? Ciò che tu stesso non vuoi non fare
agli altri.»
§453 Il maestro disse: «Voglio essere senza parola». Tzu-kung rispose: «Se il maestro
non parla, i discepoli che cosa tramanderanno?» Il maestro rispose: «Parla forse il cielo?
Le quattro stagioni procedono e i cento esseri nascono. Parla forse il cielo?»36
2.1.3 Kierkegaard.
Il tema della libertà e il concetto di “esistenza”. Come addestrare la classe alla tecnica
d’uso del concetto di “esistenza” o a quello affine di “Dasein”/”esserci”? in che rapporto l’esistenza o l’esserci sta con la natura (come ritratta dalla teoria dell’evoluzione per
36
ivi, pp. 127-251.
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selezione naturale)? Per esempio, considera la forma di vita in cui c’è uno scambio di
informazione tra due esseri umani, per esempio, uno chiede un’informazione a un vigilie. Vedere questa interazione dal punto di vista “esterno” [come la vedrebbe uno
scienziato, un chimico o un ingegnere informatico]. Vedere la stessa interazione dal
punto di vista “interno” [ alla risposta del vigilie il tizio intende il luogo indicato, si apre
ad esso, la sua mente presentifica il luogo….. fare continui esercizi per assuefare la
classe a queste espressioni].
Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o questo
o quello, aut-aut! L’importanza dell’argomento giustifica l’uso delle parole. Vi sono circostanze in cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre u aut-aut; ma vi son anche
persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il significato di questo dilemma, alla
cui personalità manca l’energia per poter dire con pathos: o questo o quello. Queste parole hanno sempre fatto su me una profonda impressione, e ancora la fanno, specialmente quando le pronuncio così, semplici e nude; in esse esiste una possibilità di mettere in moto i contrasti più tremendi.” [p. 33]
Quando tutto è silenzioso intorno a noi, tutto è solenne come una notte piena di stelle, quando l’anima si trova sola in mezzo al mondo, di fronte ad essa appare non un
uomo ragguardevole, ma l’eterna potenza stessa, il cielo quasi si spalanca, e l’io sceglie
se stesso, o piuttosto riceve se stesso. In quell’istante l’anima ha visto l’altezza suprema, ciò che nessuno occhio mortale può vedere e che non sarà mai dimenticato, la personalità riceve lo stendardo di cavaliere, che la nobilita per l’eternità. L’uomo non diventa diverso da quello che era prima, diventa solo se stesso; la coscienza si raccoglie ed
egli è se stesso. Come un erede, anche se fosse erede di tutte le ricchezze di questo
mondo, non le possiede prima di diventare maggiorenne, così la più ricca personalità
non è niente prima di sceglier se stessa, e, d’altra parte, anche quella che potremo
chiamare la più misera personalità, è tutto quando ha scelto se stessa. la grandezza infatti non consiste nell’essere questo o quello ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno
lo può se lo vuole.37
2.1.4 Moore.
Metaetica: il tema dell’indagine non è di fornire un manuale anzi un supermanuale o IL
MANUALE STESSO di pronto soccorso morale, ma è il linguaggio della morale stesso.
L’analisi del significato delle parole e delle frasi che usiamo nell’istituzione morale della
vita. È un’indagine conoscitiva! Ma non credo che il fine di quest’indagine era di produrre nel lettore altre frasi e altre teorie, piuttosto io credo che per Moore al termine
di indagini di questo tipo si produce un’esistenza migliore o meglio di prima – come
per Socrate. Gli agenti morali dopo ricognizioni metaetiche sul proprio linguaggio morale forse sono più lucidi di prima nell’agire secondo valori. Indefinibilità del bene e del
buono – fonte di conoscenza etica è l’evidenza. Sono due temi problematicissimi. C’è il
problema della fallacia naturalistica. Nei paragrafi 29-35 dei Principia Ethica Moore analizza “l’etica evoluzionista” mostrando come essa commette la fallacia naturalistica.
A questo proposito il testo di Dennett [vedi 2.2.1] è un tentativo di dimostrare che una
“etica naturalista” può evitare la fallacia (riduzionismo non avido).
Leggere anche Wittgenstein, La conferenza sull’etica, in Wittgenstein, Lezioni e conversazioni, Milano, Adelphi 1971. Confrontare i testi di Moore con quelli di Wittgenstein
qui in 2.1.5.
Addestrare la classe alle tecniche d’uso di frasi prescrittive in contrapposizione alle
tecniche d’uso di frasi descrittive.
Intendo usare il termine “etica” […] per indicare una ricerca per la quale, comunque,
38
non c’è un’altra parola: la ricerca generale su che cosa sia bene.
37
S. Kierkegaard., Lettera dell’assessore Guglielmo in Aut-Aut. Estetica ed etica nella formazione della personalità, Milano, Mondadori 1956, p. 53
38
G. E. Moore, Principia Ethica, Bompiani 1972, pp. 44-45
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Se mi si chiede: “che cosa è bene?”, la mia risposta è che bene è bene e null’altro. O se
mi si domanda: “come si deve definire bene?”, la mia risposta è che esso non si può definire, e questo è tutto quanto ho da dire sull’argomento. Ma per quanto tali risposte appaiono deludenti, sono della più fondamentale importanza. Per i lettori che hanno dimestichezza con la terminologia filosofica, posso esprimere la loro importanza dicendo che
esse si possono ridurre a questo: le proposizioni concernenti il bene sono tutte sintetiche
e mai analitiche; e non è certo poco. La stessa cosa potrebbe essere espressa in maniera più semplice col dire che, se ho ragione, nessuno potrà pretendere di imporci un assioma come: “il piacere è l’unico bene” o “il bene è ciò che si desidera” con la pretesa
che questo sia “l’autentico significato della parola”.39
Consideriamo ora questa posizione. Ciò che sostengo è che “buono” è una nozione semplice, proprio come è una nozione semplice “giallo”; e che, come non c’è alcun mezzo di
spiegare a qualcuno che già non lo sappia che cosa sia il giallo, così non c’è modo di
spiegargli che cosa sia il bene. Definizioni delle specie che io cercavo, che cioè descrivano la reale natura dell’oggetto o della nozione denotata da una parola e che non dicano
semplicemente il significato che la parola ha comunemente, sono possibili soltanto
quando l’oggetto o la nozione in questione sia qualcosa di complesso.[…] Ma il giallo e il
bene come abbiamo detto, non sono nozioni complesse: sono nozioni di quel genere
semplice a partire dalle quali si compongono le definizioni e di fronte a cui si arresta la
possibilità di ulteriormente definire.40
“Buono”, dunque, se con tale termine intendiamo quella qualità che asseriamo appartenere a una cosa quando diciamo che essa è buona, non è suscettibile di nessuna definizione, nel senso più pieno della parola. Il senso più importante di “definizione” è quello
per cui una definizione enuncia quali sono le parti che invariabilmente compongono un
certo intero; e in questo senso, “buono”, non ha definizione, perché esso è semplice e
non ha parti. È uno di quegli innumerevoli oggetti di pensiero che sono in se stessi impossibili da definire, perché sono i termini ultimi in riferimento ai quali ogni cosa suscettibile di definizione deve venire definita. Che ci debba essere un numero indefinito di tali
termini è cosa ovvia, se vi si riflette; giacché non possiamo definire nulla se non mediante un’analisi che, quando sia portata fino in fondo, non può che rimandarci a qualche cosa che è semplicemente diversa da qualunque altra, e che mediante quella sua
definitiva differenza spiega le peculiarità dell’intero che vogliamo definire: infatti ogni intero contiene delle parti che sono comuni anche ad altri interi. Non v’è dunque alcuna
difficoltà intrinseca nell’affermazione che “buono” denota una qualità semplice e indefinibile. Ci sono molti altri esempi di qualità simili.
Si prenda per esempio il giallo. Possiamo tentarlo di definirlo descrivendo il suo equivalente fisico; possiamo dire quale tipo di vibrazioni luminose debbono stimolare l’occhio
normale affinché lo si possa percepire. Ma basta riflettere un momento per accorgersi
che quelle vibrazioni luminose non sono esse stesse ciò che noi intendiamo per giallo.
Non sono esse quelle che noi percepiamo. Non saremmo nemmeno mai stati in grado di
scoprirne l’esistenza, se non fossimo stati prima colpiti dalla patente differenza di qualità
fra i diversi colori. Tutto ciò che possiamo dire circa tali vibrazioni è che esse sono ciò
che corrisponde nello spazio al giallo che noi di fatto percepiamo.
Tuttavia, un errore di questa semplice specie si è sempre comunemente fatto circa il
concetto di “buono”. Può essere vero che tutte le cose che sono buone sono anche qualche cosa d’altro, così come è vero che tutte le cose che sono gialle producono un certo
tipo di vibrazione nell’aria. Ed è un fatto che l’Etica cerca di scoprire quali sono tutte
quelle altre qualità che appartengono a tute le cose buone. Ma troppi filosofi hanno creduto di definire realmente il buono con lo enumerare semplicemente quelle altre qualità;
pensando che tali qualità, di fatto, fossero semplicemente non “altre”, ma assolutamente e interamente identiche alla “bontà”. Propongo di chiamare tale punto di vista “equivoco naturalistico” e mi sforzerò ora di mostrarne l’insostenibilità.41
Le teorie che mi propongo di esaminare possono essere opportunamente divise in due
gruppi. La fallacia naturalistica implica sempre che quando noi pensiamo: “questo è buono”, pensiamo che la cosa in questione sta in una relazione definita con qualche altra
cosa. Ma quest’unica cosa, in riferimento alla quale si definisce il buono, può essere o
39
ivi, pp. 50-51
ivi, pp. 51-52
41
ivi, pp. 54-56
40
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quello che io chiamo un oggetto naturale – qualcosa la cui esistenza è per ammissione
comune un oggetto di esperienza - , oppure un oggetto di cui si inferisce l’esistenza in un
mondo reale soprasensibile.42
Non potremo infatti mai sapere quale sia la prova di una proposizione etica, se non conosciamo la natura della nozione che rende etica la proposizione. Non possiamo dire che
cosa si possa portare come prova in favore di un giudizio del tipo: “la tal cosa o la tal altra è buona”, oppure contro un giudizio come: “la tal cosa o la tal altra è cattiva” se non
conosciamo quale debba necessariamente essere la natura di queste proposizioni. Di
fatto, dal significato di buono e cattivo segue che tali proposizioni sono tutte, nella terminologia kantiana, “sintetiche”: tutte devono in ultimo fondarsi su una proposizione
che deve essere semplicemente accettata o respinta, e che non si può a sua volta logicamente dedurre da un’altra proposizione. Questo risultato che si ricava dalla prima parte della nostra ricerca, può esprimersi in altro modo dicendo che i principi fondamentali
dell’etica devono essere per sé evidenti. Non vorrei però che tale espressione fosse
fraintesa. L’espressione “evidente di per sé” significa propriamente che la proposizione
così definita è evidente o vera per se stessa, che non è inferita da una proposizione altra
da sé. […] Quando, perciò, parlo di edonismo intuizionistico, non si deve credere che io
intenda dire che la mia negazione della proposizione “il piacere è l’unico bene” è fondata
sulla mia intuizione della sua falsità. La mia intuizione della sua falsità è bensì la ragione
per cui io la ritengo e la dichiaro falsa; è anzi l’unica ragione valida che ho di far ciò. Ma
è così proprio perché non c’è alcuna ragione logica che giustifichi la proposizione stessa,
perché non c’è propriamente alcuna prova o ragione della sua falsità, eccetto che essa
stessa. E’ falsa perché è falsa, e non c’è alcuna ragione: ma io la dichiaro falsa perché la
sua falsità è evidente a me, e ritengo che questa sia una ragione sufficiente per giustificare la mia asserzione. Non bisogna dunque considerare l’intuizione come un’alternativa
al ragionamento. Non c’è nulla che possa pretendere di essere la ragione della verità di
una proposizione: l’intuizione può solo fornire una ragione per ritenere che una proposizione è vera; questo comunque deve farlo quando una proposizione è evidente di per
sé, cioè quando, di fatto, non ci sono ragioni che possano provare la verità di essa.43
2.1.5 Wittgenstein.
Tornare al gioco life e alla descrizione dell’istituzione morale della vita con le tecniche
d’uso delle parole morali. Per Wittgenstein delle Ricerche filosofiche l’istituzione morale
della vita è una forma di vita con i suoi giochi linguistici non riducibili a fondamenti
biologici o storico-culturali, ma sarebbe patologia filosofica introdurre nel gioco life dietro gli occhi dei corpi homo sapiens ambienti spirituali e volontà libere alla Kant. I giochi linguistici del capitolo della vita che è la morale sono senza fondamento; sono lì,
come è lì la vita. Ci sono situazioni vitali umanamente intense (la madre che deve salvare uno dei due figli nel film La scelta di Sophie) che danno vita a certi giochi linguistici, l’insieme dei quali è il tessuto della istituzione morale della vita. Istruttivo e interessante sarebbe confrontare Wittgenstein e Confucio (per esempio, il confronto tra
l’insieme dei riti in cui vive la morale per Confucio e l’insieme dei giochi linguistici in
cui vive la morale per Wittgenstein) e confrontare Wittgenstein e Dennett (la riduzione
del fenomenologico a eterofenomenologia o narrazione in Dennett e affine alla liquidazione del linguaggio privato in Wittgenstein). Per la loro evidente affinità e anche per
la altrettanta evidente divergenza. Forse meno nel confronto con Confucio.
Norman, allora, sollevò il problema dell’uso di “assoluto” e “universale”. Cosa direste di:
Ognuno dovrebbe essere onesto? Ci fu un po’ di confusione. Black suggerì qualcosa del
genere: che questa ingiunzione fosse il presupposto di ogni moralità. Furono usate le
parole “dogmatico” e “categorico”. A Black e Brown non piacevano del tutto. Quel che
volevano dire è che si dovrebbe aggiungere qualcosa, argomentare a favore di questa
affermazione. Ma anche questo era confuso. Senza dubbio, affermazioni di tal genere
non si possono provare. A questo punto Wittgenstein iniziò a parlare di due tribù, delle
quali una avesse lui come legislatore, l’altra Malcom. Ciascuna avrebbe una morale diversa e ciascuna potrebbe essere immorale agli occhi dell’altra. Si potrebbe dire che ci
sono principi morali differenti, ma si può vedere che argomenti e prove non hanno nulla
42
43
ivi, pag. 93
ivi, pp.232-234
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a che fare col modo in cui si giunge a difendere tali principi. Introdussi l’esempio
“L’orgoglio è un male”, che avevo adoperato nelle mie lezioni di etica, e che era servito
a chiarire l’idea e talvolta a persuadere qualche studente. Il punto è che si può essere in
grado di mostrare che cosa si ha in mente, e questo è tutto.
Il tema fu ripreso più tardi, in soggiorno – la conversazione precedente si era tenuta
in giardino. Come avevo mostrato “l’orgoglio”? leggendo brani da I fratelli Karamazov.
Wittgenstein sembrò approvare, ma sollevò alcune obiezioni che non compresi. Disse
che qualcun altro avrebbe potuto scrivere un libro diverso e mostrare chiaramente
l’orgoglio sotto un’altra luce. Il punto sembrava essere che ciò che è pertinente sono
modelli di vita intrecciati con tutta un’altra serie di cose, e ciò rende la faccenda ben più
complessa di quanto non appaia a prima vista. Forse è così. L’orgoglio non è che un aspetto della vita di ognuno. Nessuno è soltanto orgoglioso. L’orgoglio si specifica in un
contesto di altri interessi e di altri esseri umani. È in questa situazione globale che
l’orgoglio è contagiato dal male. L’orgoglio è come un’infezione, una febbre. Non è localizzato come un pollice infiammato. La febbre pervade il corpo intero. Così l’orgoglio. Ciò
è esatto. Fui contento che me lo si fosse rammentato.
Di qui proseguimmo su uno spunto di Norman: Supponete che Cesare Borgia abbia
detto: “Questo è il mio principio etico: Pestare i piedi agli altri ogni volta che posso.”
Norman era affascinato dal suo punzecchiare la gente (Cleopatra). Wittgenstein aggrottò
le ciglia. Principio etico! Non ogni cosa è un principio etico. Come si identifica un principio etico? Ciò ci condusse all’uso dell’espressione “etico”. Niente di preciso, naturalmente. Un principio è etico in virtù delle sue condizioni ambientali. Quali condizioni ambientali? Si potrebbero immaginare “condizioni ambientali” in cui si è giustificati e obbligati a
godere della sofferenza, per esempio quella dei malvagi. In ogni caso ci sono certo dei
limiti riguardo a quel che è un principio “etico”. Mi viene ora in mente la “scelta dei principi” di Herbert Feigl. 44
Ma nei giochi linguistici compaiono espressioni di valore (“autentico”, “falso”, “simulato”), mentre gli interrogativi, il genere di “evidenza” e di motivazione si potranno ritrovare identici o molto simili in quei giochi linguistici in cui si esprimono in particolare idee
e giudizi morali. In essi conta anche la conoscenza degli uomini. Wittgenstein parla di
persone dotate di un giudizio “migliore” sull’autenticità della manifestazione di un sentimento, ma sarebbe essenzialmente diverso parlare di persone dotate di un “miglior”
giudizio in questioni etiche e morali. Non avrebbe alcuna importanza, ad esempio, se dal
giudizio migliore “risultano in generale previsioni più giuste”. Mettiamo che pensi a qualcuno a cui vorrei rivolgermi quando ho delle difficoltà morali e non so prendere una decisione: è forse l’unico a cui vorrei chiedere consiglio, perchè mi fiderei del suo giudizio
più che del mio. Ma questo che cosa vuol dire? Come si mostra, che il suo giudizio è
“migliore”? Non certo con migliori previsioni – lo ammettiamo senz’altro -, bensì…che
cosa sia, potrei accennarlo soltanto mediante espressioni di valore oppure etiche, come
appare evidente quando parlo dell’autenticità di una certa persona, della sua modestia,
della sua nobiltà d’animo, persino quando parlo del suo “acume” (qualcosa di diverso
dall’acume teoretico). Ammettiamo pure tutto questo. E tuttavia io ritengo che tutto ciò
che Wittgenstein dice del giudizio sull’autenticità nell’espressione di sentimenti, sulla conoscenza degli uomini, su chi conosce “meglio” gli uomini, sull’imparare a conoscere gli
uomini, sull’evidenza “imponderabile”, sul tipo di regola che vale in questi casi – io penso che tutto ciò sia illuminante per chi vuole capire che cosa è o può essere in gioco
quando qualcuno vuole valutare il carattere di una persona, lodare o biasimare il suo
comportamento, e così via. 45
2.2 Eteronomia: Darwin, Dennett, Nietszche, Marx, Freud.
Tutti questi filosofi appartengono all’insieme “io assumo che c’è solo il senso causale e
finale di ‘perché’ e non c’è alcun presunto senso assiologico irriducibile”. Per orientarci
meglio nel ginepraio, proponiamo alla classe di dividere questo insieme ancora in due
44
L. Wittgenstein, Conversazioni annotate da Oets K. Bouwsma, Mimesis, 2005, pp. 22-23
45
R. Rhees, La conferenza di Wittgenstein sull’etica, in L. Wittgenstein., Lezioni e conversazioni, Milano,
Adelphi 1976, pp. 45-46
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sottoinsiemi distinti. Quei filosofi che accettano un riduzionismo morale con fondamento biologico o naturale come Darwin stesso e Dennett o Dawkins. Chiameremo questo
sottoinsieme “la morale con fondamento biologico”. Quei filosofi che accettano un riduzionismo morale con fondamento storico-culturale come Marx, Nietzsche e Freud.
Chiameremo questo sottoinsieme “la morale con fondamento storico-culturale”. Dunque, non abbiamo soltanto la grande contrapposizione tra autonomia e eteronomia,
ma all’interno dell’eteronomia si apre un'altra importante contrapposizione tra i riduzionisti morali con fondamento biologico e i riduzionisti morali con fondamento storicoculturali. A questa contrapposizione dedicheremo la sezione 2.2.2 (senza perdere di
vista che i testi ivi contenuti – così come i testi contenuti in 2.2.1 - si contrappongono
innanzitutto ai testi della sezione 2.1).
2.2.1 La morale con fondamento biologico: Darwin e Dennett.
Tornare ancora al gioco life e alla descrizione dell’istituzione morale della vita con le
tecniche d’uso delle parole morali. Per Kant le tecniche d’uso delle parole morali hanno
bisogno di postulare dietro gli occhi dei corpi life di homo sapiens ambienti spirituali e
contatti intraspirituali. Ma dobbiamo chiedere: le cose stano proprio così
nell’ontologia? Per Dennett è solo un gioco linguistico, eterofenomenologia, narrazione
da sciogliere in termini di teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Non è patologia
filosofica come per Wittgenstein, è semplicemente mitologia, da ridurre prima o poi
non avidamente a fondamenti scientifici di teoria biologica. La sfera spirituale del gioco
life è veramente una illusione – come si diceva a proposito dell’aporia rilevata nella teoria morale di Darwin -, anzi è narrazione eterofenomenologia di eventi corpi life per
selezione naturale. La soluzione di Dennett è che bisogna accettare coscientemente il
quadro della natura di Darwin e costruire una serie di imperativi morali pragmaticamente capaci di farci risolvere i casi morali della vita concreta. Si selezionano quelle
massime che hanno più fitness. Costruzione di manuali di pronto soccorso morale in
concorrenza tra di loro che danno prova di funzionare, come gli almanacchi per la navigazione. Dawkins e Dennett, neodarwiniani, hanno un atteggiamento nei confronti
della morale di tipo aristotelico. Aristotele ha dato un modello di morale. Nell’Etica nicomachea non vi è una sola riga problematizzante sulla morale in quanto tale. Aristotele non si pone mai la domanda “perché dovrei?“. Il modello di morale aristotelico è
l’essere umano altamente coltivato/fiorito. Questo è l’ideale umano e tutto ciò che va
contro è male e tutto ciò che è a favore è bene. Così anche Darwin. Come mai in ambito strettamente neodarwinista non c’è stato la problematizzazione del perché dovrei?
di cui abbiamo parlato? L’uomo di Darwin ha una teleologia è certo. Ed è la fioritura
dell’uomo/l’eudemonia. La possibilità di una maggiore felicità degli individui[e non del
genere]. Condivisone dei valori postaristotelici e la teoria di Darwin non c’è ponte.
Nemmeno in Dennett e Dawkins. La fioritura umana è essa stessa un prodotto evolutivo, ci troviamo dentro e collaboriamo fortunatamente. Ma perché non dovrei diventare
hitleriano?
Dennett, L’idea pericolosa di Darwin, capitolo 17, il manuale di pronto soccorso morale.
Se dall’”essere” non si può derivare il “dovere”, da che cosa lo si può derivare? L’etica è
un settore di indagine del tutto “autonomo”? E’ sospesa nel nulla, senza alcun legame
con i fatti di ogni altra disciplina o tradizione? Le nostre intuizioni morali emergono da
qualche inesplicabile modulo etico impiantato nel nostro cervello (o nel nostro “animo”
per seguire la tradizione)? Sarebbe ben incerto come gancio appeso al cielo a cui attaccare le nostre più profonde convinzioni su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.46
Da che cosa si può derivare il “dovere”? La risposta più convincente è questa: l’etica deve basarsi in qualche modo su una valutazione della natura umana – sul senso di ciò che
è, o che potrebbe essere, un essere umano e su ciò che un essere umano potrebbe voler
avere o essere. Se il naturalismo è questo, allora non è una fallacia. Nessuno potrebbe
46
D. Dennett, L’idea pericolosa di Darwin, cit., p. 596
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negare seriamente che l’etica è sensibile a questi fatti che riguardano la natura umana.
Si può dissentire su dove sia necessario cercare i fatti più significativi sulla natura umana – nei romanzi, nei testi religiosi, negli esperimenti psicologici, nelle indagini biologiche o antropologiche. La fallacia non sta nel naturalismo ma, piuttosto, in qualsiasi tentativo ingenuo di precipitarsi dai fatti ai valori. In altre parole, la fallacia è l’avido riduzionismo dai valori ai fatti più che il riduzionismo considerato in maniera più circospetta,
come il tentativo di unificare la nostra visione del mondo in modo che i principi etici non
contrastino in modo irrazionale con il modo in cui il mondo è. Per lo più, i dibattiti sulla
fallacia naturalistica si possono interpretare in maniera migliore come disaccordi analoghi a quelli che vertono sulla contrapposizione tra ganci appesi al cielo e gru nell’ambito
della teoria evoluzionistica.47
La cultura umana, in particolare la religione, è una fonte inesauribile di precetti etici, che
vanno dalla regola aurea e dai dieci comandamenti, dal “conosci te stesso” dei greci a
ogni sorta di comandi e proibizioni, di tabù e rituali specifici. A partire da Platone, i filosofi hanno sempre tentato di organizzare questi comandi in un unico sistema etico universale e ragionevolmente difendibile, senza raggiungere per ora nulla che si avvicini ad
un consenso generale. La matematica e la fisica sono le stesse per chiunque in qualunque luogo, ma l’etica non si è ancora assestata su un equilibrio altrettanto ponderato.
Perché no? Si tratta di una meta illusoria? La moralità è soltanto una questione di gusto
soggettivo (e potere politico)? Non esistono verità etiche che sia possibile scoprire e
convalidare, mosse obbligate, buoni stratagemmi? Grandiosi edifici di teoria etica sono
stati innalzati, criticati e difesi, modificati e ampliati con i migliori metodi dell’indagine
razionale, e tra questi artefatti del ragionamento umano vi sono alcune delle creazioni
più grandiose delle cultura, che però non hanno ancora meritato il consenso di tutti coloro che le hanno studiate con attenzione. Forse si possono ottenere alcuni indizi in merito
alle condizioni e alle prospettive della teoria etica riflettendo sulle limitazioni, già considerate, del grande processo progettuale che annovera tra i suoi prodotti gli studiosi di
etica. Che cosa segue, si potrebbe chiedere, dal fatto che il processo che porta a prendere decisioni etiche, come tutti i processi effettivi di esplorazione dello spazio dei progetti, in qualche misura deve essere miope e sottoposto alla pressione del tempo?48
Quanto dovrebbe essere pratico un sistema di pensiero etico? A che cosa serve una teoria etica? […]. Per la maggior parte i filosofi si sono accontentati di ignorare i problemi
pratici del processo per prendere decisioni in tempo reale – legati al dato di fatto nudo e
crudo che siamo tutti finiti e smemorati e dobbiamo giudicare in gran fretta – come fossero un elemento di attrito reale ma irrilevante nel meccanismo di cui stiamo descrivendo lo schema di funzionamento. E’ come se potessero esistere due discipline: l’etica vera
e propria, che si assume il compito di calcolare i princìpi che determinano che cosa dovrebbe fare un agente ideale in ciascuna circostanza, e la disciplina meno interessante,
“soltanto pratica” del “pronto soccorso morale”, ovvero “che cosa fare in attesa del dottore in filosofia”, che specifica, in termini generici e immediati, come prendere decisioni
“in linea” quando il tempo incalza.49
Nelle mie intenzioni, questa non è affatto un’accusa terribile, ma soltanto un richiamo a
qualcosa del tutto ovvio: nessun sistema etico in qualche misura convincente è mai stato reso computazionalmente trattabile, neanche in modo indiretto, per problemi morali
del mondo reale. Pertanto pur non essendo mancate le argomentazioni utilitaristiche (e
kantiane e contrattualistiche) a favore di particolari strategie, istituzioni, pratiche e azioni, esse sono state tutte protette da un recinto di clausole ceteris paribus e di ipotesi
a favore della credibilità dei loro assunti idealizzanti. Il recinto è stato ideato per sconfiggere l’esplosione combinatoria di calcoli che minaccia chi tenti veramente - come la
teoria prescrive – di considerare tutto. E come argomentazioni, non derivazioni, sono
sempre state controverse (il che non vuol dire che in ultima analisi nessuna possa essere fondata).50
47
ivi, p.597
48
ivi, pp. 630-631
ivi, pp. 633-634
50
ivi, pp.638-639
49
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Come possiamo sperare, allora, di regolare, o quanto meno migliorare, il processo che
ci porta a prendere le decisioni di carattere morale, se è irrimediabilmente euristico, incalzato dal tempo e miope? […]. Non ci si può aspettare che esista un’unica soluzione
stabile a tale problema progettuale, ma, piuttosto, una gran varietà di equilibri incerti e
temporanei, con gli interruttori di conversazione che tendono a rivestirsi di strati preziosi
di dogmi portanti, incapaci essi stessi di resistere a un attento esame, ma che di tanto in
tanto, per fortuna, servono effettivamente a deviare e concludere le considerazioni. Ecco
alcuni esempi promettenti:
“Ma vorrebbe dire fare il male più che il bene”.
“Ma sarebbe un assassino”.
“Ma vorrebbe dire mancare a una promessa”.
“Ma vorrebbe dire usare qualcuno come se non fosse altro che uno strumento”.
“Ma questo violerebbe i diritti di una persona” .51
Dovendo fronteggiare un mondo in cui tali dilemmi non sono sconosciuti, possiamo riconoscere l’attrattiva di un piccolo credo vecchio stile, di un dogmatismo assoluto che renderà gli agenti impenetrabili nei confronti delle subdole invasioni dell’iperrazionalità.
Creare qualcosa di molto simile a quello stato disposizionale è in effetti uno degli obiettivi del “manuale di pronto soccorso morale” che, se pur lo immaginiamo come un consiglio rivolto a un pubblico razionale e attento, si può anche considerare come qualcosa
che non raggiunge il proprio scopo se non ha l’effetto di cambiare il “sistema operativo”
- non soltanto i “dati” (ciò in cui si crede o che si approva) degli agenti a cui si rivolge.
Per poter aver successo in un compito speciale di questo genere, dovrà rivolgersi al
pubblico che costituisce il suo bersaglio con una precisione estrema. […]. Allora, potrebbero esistere parecchi manuali di pronto soccorso morale differenti, ognuno efficace per
un tipo diverso di pubblico. […]. Rivedere il progetto pratico di un agente morale, attraverso il processo di scrittura di varie versioni del “manuale di pronto soccorso morale”,
potrebbe nondimeno permetterci di decifrare alcuni dei fenomeni segnalati dalle teorie
etiche tradizionali. In primo luogo, potremmo cominciare a capire la nostra attuale posizione morale – e con ciò intendo la mia e la vostra, in questo preciso momento.52
Si consideri un tradizionale test di riferimento che la maggior parte dei sistemi etici possono superare con disinvoltura; il problema da risolvere è il seguente: Che cosa dovreste fare se, mentre state camminando e pensate ai fatti vostri, sentite il grido di aiuto di
un uomo che sta annegando? Questa è la parte facile del problema, una decisione locale, delimitata in modo opportuno e già ben impostata. La parte difficile è: come si fa ad
arrivare a quel punto partendo da questo? Come possiamo trovare in maniera giustificabile una strada che porti da quello che è il nostro attuale dilemma a quell’altro, relativamente non tragico e immediatamente decidibile? Il problema che per noi ha la precedenza, pare, è che ogni giorno, mentre cerchiamo disperatamente di badare ai fatti nostri, sentiamo un migliaio di richieste di aiuto, complete di volumi di informazioni su come dovremmo prestarlo. Come diavolo si potrebbero determinare le priorità in quella
cacofonia? Non grazie a un processo sistematico in cui si prende in considerazione tutto,
pensando ai vantaggi previsti e cercando di massimizzare. Né per mezzo di un processo
sistematico di generazione e verifica di massime kantiane – ve ne sono troppe da considerare. Eppure si arriva a quel punto partendo da questo. Pochi di noi rimangono paralizzati dall’indecisione per lunghi periodi di tempo. Tutto sommato, dobbiamo risolvere
questo problema decisionale consentendo a un insieme del tutto “indefinibile” di omissioni di schermare la nostra attenzione da tutto tranne i nostri attuali progetti. Lo scompiglio di queste omissioni si può realizzare soltanto grazie a un processo che coinciderà
necessariamente con un’euristica caotica, in cui la maggior parte del carico è retta da interruttori della conversazione arbitrari e non vagliati. Questo teatro di scontro incoraggia
l’escalation, come è ovvio. Date le rigide limitazioni della nostra capacità di stare attenti,
il problema affrontato da chi vuole che noi prendiamo in esame la loro considerazione
preferita è essenzialmente un problema di pubblicità – di attrarre l’attenzione dei benintenzionati. Questa gara tra memi costituisce il medesimo problema sia quando è inserito
nell’arena politica su vasta scala sia nell’arena in primo piano delle scelte personali. Il
ruolo che hanno le formule tradizionali della discussione etica nella gestione
51
52
ivi, pp. 646-647
ivi, pp. 649-650
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dell’attenzione, nella conformazione delle abitudini di immaginazione morale, il ruolo di
meta-memi par excellence, è quindi un tema che merita un esame più approfondito.53
2.2.2 La morale con fondamento biologico versus la morale con fondamento
storico-culturale: Darwin versus Nietzsche, Freud, Marx (i maestri del sospetto)
Il nostro gruppo di ricercatori in erba è chiamato a riprendere in mano la nostra selezione di pagine tratte da L’origine dell’uomo di Darwin [vedi anche appendice], allo
scopo di individuare: in primo luogo, le parole chiave del ragionamento darwiniano relativo ai fondamenti e allo sviluppo delle capacità morali (per es. istinto sociale; abitudine; lode; biasimo; ereditarietà; coscienza etc. etc.). In secondo luogo, ed in base alla ricerca precedente, la tesi di fondo relativa alla genesi della capacità morale sostenuta dal nostro autore: dall’istinto sociale all’abitudine, frutto di una combinazione di
elementi sociali e ereditari ad un tempo, che indirizza e mantiene le nostre tendenze
morali: “il nostro senso morale, o coscienza, diviene un elevato e complesso sentimento, che ha origine negli istinti sociali, largamente guidati dall’approvazione dei nostri simili, regolato dalla ragione, dall’interesse di sé e, in tempi più recenti, da profondi sentimenti religiosi, e confermato dall’educazione e dall’abitudine”.
Una volta che l’intera comunità dei ricercatori si sia accordata su una versione condivisa della teoria di Darwin sulle genesi della morale, una formulazione icastica di essa
sarà trascritta, insieme alle parole chiave individuate, su uno o più cartelloni da affiggere in un luogo ben visibile della classe.
A questo punto la comunità dei ricercatori allestisce un tribunale: il tribunale della
ragione che non emette mai sentenze definitive. La teoria di Darwin sarà posta al vaglio di tre giurie, composte da altrettanti gruppi di ricercatori che avranno il compito di
confutarla assumendo il punto di vista di tre immaginari “accusatori”. Entrano dunque
in scena i Maestri del Sospetto: Marx, Nietzsche e Freud – evocati e introdotti, se si
vuole, dalla suggestiva citazione da Ricoer per cui “ se risaliamo alla loro intenzione
comune, troviamo in essa la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo
insieme come coscienza “falsa”. Con ciò essi riprendono, ognuno in un diverso registro, il problema del dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza
cartesiana. Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che
non sono come appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia così come appare a
se stessa; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud, noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio
sulla coscienza”.54
Qui, s’impongono due precisazione: la prima che, come in ogni processo che si rispetti, per il nostro imputato, la teoria darwiniana, vale la presunzione di innocenza. La seconda che, come in ogni processo che si rispetti, nessuno sa quale verdetto sarà emesso.
Alle nostre tre giurie verranno fornite alcune pagine tratte, rispettivamente, da: per
Marx, L’ideologia tedesca [Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 18-22; 29-30; 35 – 38];
per Nietzsche, La genealogia della morale [in Opere Complete: Milano, Adelphi, 1976,
vol. VII, Tomo II, pp. 243 – 248]; per Freud, Il disagio della civiltà [in Opere Complete: Torino, Bollati Boringhieri, 1978, vol. 10, pp. 611 – 616].
Attenzione: l’antologia di tutti questi testi si trova in appendice con il titolo “Antologia di testi dei filosofi del sospetto”.
53
ivi, pp. 651-652
54
P. Ricouer, Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 1966, p. 47
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I ricercatori non dovranno tanto ricavare da queste pagine delle verità da contrapporre a quelle darwiniane, quanto piuttosto utilizzarle come una vera e propria cassetta degli attrezzi da cui attingere strumenti argomentativo – concettuali per
l’interpretazione e la confutazione degli argomenti e dei concetti darwinani. I testi costituiranno cioè una sorta di grimaldello con cui i ricercatori sono invitati a scardinare
la porta di accesso al darwinismo, per entrare dentro la teoria, scomporla, manipolarla. Ogni giuria ha il compito di mettere a punto una arringa di accusa nei confronti
dell’imputato.
Per far questo, dovrà, in primo luogo, estrarre dal testo che ha a disposizione gli
strumenti concettuali e gli argomenti che il gruppo riterrà più decisivi.
Per esempio, dalle pagine di Marx: “ la coscienza è dunque fin dall’inizio un prodotto sociale e tale resta fin tanto che in genere esistono uomini”55 e anche
se ora nel considerare il corso della storia si svincolano le idee della classe dominante
dalla classe dominante e si rendono autonome, se ci si limita a dire che in un’epoca
hanno dominato queste o quelle idee, senza preoccuparsi delle condizioni della produzione e dei produttori di queste idee, e se quindi si ignorano gli individui e le situazioni
del mondo che stanno alla base di queste idee, allora si potrà dire per esempio che al
tempo in cui dominava l’aristocrazia dominavano i concetti di onore, di fedeltà, etc., e
che durante il dominio della borghesia dominavano i concetti di libertà, di uguaglianza,
ecc.56
Per esempio, dalle pagine di Nietzsche:
Ora costoro mi danno a intendere che non soltanto sono migliori dei potenti, dei signori
della terra, di cui devono leccare gli sputi (non per paura, assolutamente non per paura!
ma perché Dio ha comandato di onorare ogni autorità) – che non soltanto sono migliori,
ma che “stanno meglio”, o che comunque un giorno “staranno meglio”. Ma basta! Finiamola! Non ne posso più. Aria cattiva! Aria cattiva! Quest’officina dove si fabbricano ideali
– mi sembra che esali unicamente fetore di menzogne. 57
Per esempio, dalle pagine di Freud: “Un grande mutamento sopravviene solo se
l’autorità è interiorizzata per l’erigersi di un Super-Io. I fenomeni della coscienza morale si pongono allora su un gradino più alto; in fondo solo ora si dovrebbe parlare di
coscienza morale e di sentimento di colpa”58 e anche:
il sentimento di colpa può dunque trarre origine da due fonti: dal timore che suscita
l’autorità e dal successivo timore che suscita il Super-io. La prima fonte obbliga a rinunciare al soddisfacimento pulsionale, la seconda, oltre a ciò e poiché è impossibile nascondere al Super-io che i desideri proibiti continuano a persistere, preme per la punizione.59
PER NON FINIRE: SUGGESTIONI
1. Estetica: Kant e il sublime (l’arte, la musica, la natura, il sublime, la finalità senza
scopo)
2. Indagare il nesso conoscenza e etica; Il problema della distinzione tra fatti e valori;
Il problema necessità e libertà; il problema mente-corpo; La classe vede il film Matrix.
3. genetica e bioetica
4. leggere e analizzare Leopardi, Zibaldone, le voci Natura, felicità, morale……
5. leggere e analizzare Darwin confrontato con Confucio e Lao tze.
55
K. Marx, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 21
ivi, p. 37
57
F. Nietzsche, La genealogia della morale in Opere Complete: Milano, Adelphi, 1976, vol. VII, Tomo II, p.
247
58
S. Freud, Il disagio della civiltà in Opere Complete: Torino, Bollati Boringhieri, 1978, vol. 10, p. 612
59
ivi, p. 614
56
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LABORATORI DIDATTICI
BIBLIOGRAFIA
Boniolo G., Il limite e il ribelle. Etica, Naturalismo, Darwinismo, Raffaello Cortina Editore Milano,
2003
Confucio, I dialoghi (noti anche come Analecta), trad. it. di F. Tomassini [con qualche
modifica], in Testi confuciani, Classici UTET, Torino, 1974
Darwin C., L’origine dell’uomo, Newton Compton, Roma 2003.
Dawkins, R., Il gene egoista Mondadori, Milano 1992.
Dennet, D., Coscienza. Che cos’è, Rizzoli, Milano 1993.
Dennet, D., La mente e le menti, Rizzoli, Milano 1996
Dennet, D., L’idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 1997.
Freud, S., Il disagio della civiltà in Opere Complete: Torino, Bollati Boringhieri, 1978, vol. 10, p.
612
Kant, I., Critica della ragion pratica, Roma, Laterza, 1970, pp. 201-3
Kierkegaard, S., Lettera dell’assessore Guglielmo in Aut-Aut. Estetica ed etica nella formazione
della personalità, Milano, Mondadori 1956, p. 53
Mayr, E., Un lungo ragionamento, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
Marx, K., L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 21
Moore, G. E., Principia Ethica, Bompiani 1972, pp. 44-45
Nietzsche, F., La genealogia della morale in Opere Complete: Milano, Adelphi, 1976,
vol. VII, Tomo II, p. 247
Ricouer, P., Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 1966, p. 47
Wittgenstein, L., Lezioni e conversazioni. Etica, estetica e religione, Adelphi, Milano1976
Wittgenstein, L., Conversazioni annotate da Oetis K. Bouwsma, Mimesis Firenze 2005
Wittgenstein, L., Tractatus logico-philosophicus, Einaudi Torino 1998.
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LABORATORI DIDATTICI
SCUOLE che hanno partecipato al NOVEMBRE STENSENIANO 2005
ITAS GINORI CONTI - Firenze
ITI - IPIA LEONARDO DA VINCI - Firenze
Liceo Classico GALILEO - Firenze
Liceo Ginnasio MACHIAVELLI-CAPPONI - Firenze
SCUOLE PIE FIORENTINE - Firenze
SERVE DI MARIA ADDOLORATA - Firenze
Istituto Istruzione Superiore PIERO DELLA FRANCESCA - Arezzo
Istituto Statale Superiore VIRGILIO - Empoli (FI)
Istituto Tecnico Commerciale FERMI - Empoli (FI)
Liceo BARSANTI - Viareggio
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LABORATORI DIDATTICI
NOVEMBRE STENSENIANO 2005
EVOLUZIONISMO E ANTI-EVOLUZIONISMO
un contenzioso non ancora chiuso
OTTOBRE 2005
(parte didattica e informativa)
(Sabato mattina, ore 9 – 12, per le scuole – Sabato pomeriggio, ore 16 – 19, per il pubblico)
Giovedì 6 ottobre - ore 17:30
Prof. Edoardo Boncinelli - Lezione magistrale sul tema
Don Gianni Colzani - Chiesa Cattolica e Evoluzionismo
Sabato 8 ottobre Presiede: Aldo Becciolini
ORIGINE DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE BIOLOGICA
a) Giulio Barsanti - Da Linneo ai “precursori” dell’evoluzionismo
b) Antonello La Vergata - Charles Darwin: genesi della teoria
Sabato 15 ottobre Presiede: Francesco Firrao
IL DARWINISMO: STRUTTURA CONCETTUALE E FATTORI ESPLICATIVI
a) Marco Ferraguti - struttura concettuale (Variazioni e Selezione naturale)
b) Gereon Wolters - fattori esplicativi (Statuto epistemologico della teoria)
Sabato 22 ottobre Presiede: Roberto Pepino
L’ EVOLUZIONE E GLI EVOLUZIONISMI
a) Danilo Torre - Lo sviluppo delle teorie evoluzionistiche dopo Darwin
b) Ludovico Galleni - Evoluzionismo e anti-evoluzionismo
Sabato 29 ottobre Presiede: Sandra Gavazzi
ORIGINE E EVOLUZIONE DELLA VITA
a) Renato Fani - L’interpretazione scientifica dell’origine della vita
b) Evandro Agazzi - Il problema delle origini: aspetti filosofici e epistemologici
NOVEMBRE 2005
(parte riflessiva interdisciplinare)
(Sabato pomeriggio, ore 16 – 19, per il pubblico)
Sabato 5 novembre Presiede: Piero Meucci
ORIGINI DELL ' UOMO
a) Giacomo Giacobini - Evoluzionismo e antropogenesi (Genesi scientifica)
b) Mons. Gianfranco Ravasi - La Bibbia e la creazione dell’uomo (Genesi Biblica)
Sabato 12 novembre Presiede:Gian Luigi Nicola
50° MORTE TEILHARD DE CHARDIN
a) Gian Luigi Nicola – Teilhard de Chardin
b) Fiorenzo Facchini - L'ominizzazione: il passo della riflessione
c) Annamaria Tassone Bernardi - La nososfera: luogo delle comunicazioni
Sabato 19 novembre Presiede: Pietro De Marco
EVOLUZIONISMO E RELIGIONE
a) Michele Marsonet - Evoluzionismo e metafisica
b) P. George Coyne sj - Dio e l’evoluzione dell’universo
Sabato 26 novembre Presiede: Luciano Handjaras
EVOLUZIONISMO – CONOSCENZA - ETICA
a) Paolo Parrini - Evoluzionismo e conoscenza
b) Giovanni Boniolo - Etica e natura umana
Dispensa ad uso interno
VIETATA LA VENDITA
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