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Copertina:
Progetto grafico di Luigi Ricerca – Agenzia Incisiva Enna
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Gaetano Amoruso
prefazione di Salvo Andò
in collaborazione con
Antonello La Piana, Stefania Raffiotta
ed Eveljn Emmanuello
Bonfirraro Editore
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© 2011 by Bonfirraro Editore
Viale Ritrovato, 5 94012 Barrafranca Enna
Tel. 0934.464646 0934.519716 telefax 0934.1936565
E-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6272-028-1
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Quando era necessario,
non avete compreso.
(Euripide, Baccanti 1973:79)
Nulla ci appartiene, siamo solo padroni
dei nostri sentimenti…
Antonello La Piana
(Lettere dal fronte)
Chi persevererà fino alla fine,
sarà salvato.
(Marco 13, 5-13; Luca 21, 8-19)
Per quanto brillante possa essere l’intelletto,
non crea nulla senza l’energia del cuore,
del sentimento, della passione, del desiderio.
Vedono la luce solo i progetti che hanno trovato
un cuore per germogliare e prendere forma,
spesso protetti in principio
da un’oscurità profonda.
(Olivier Clerc)
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Ringraziamenti
È sempre interessante leggere i ringraziamenti. Vi aiuta a
capire chi è l’autore, chi ammira, con chi collabora, a chi deve qualcosa. Vi dà persino un’idea di quanto è grande il suo
ego. Riuscite a vedere l’autore da un’angolazione diversa rispetto a quella del libro.
Ecco i miei ringraziamenti dunque… Giudicate voi.
Questo libro è stato pubblicato grazie all’editore Salvo Bonfirraro. Tutto inizia e si conclude in lui. Ti ringrazio per aver
puntato su “Unikuore” con tanta immediatezza e con tanto fervore.
Pur essendo l’autore, non avrei scritto Unikuore senza il significativo input e l’importante contributo di altre persone.
Anzitutto, il mio collega di studi Antonello La Piana. Tutti
quelli che lo incontrano gli vogliono bene. È intelligente, brillante, sensibile. Ha continuato a sostenermi ed è sempre andato al di là dei suoi doveri.
Insieme ad Antonello, Stefania Raffiotta che non è solo l’incarnazione dell’affidabilità, ma una raffinata correttrice di
bozze. Gliene sono estremamente grato. Grazie per aver mostrato un interesse così sincero per il mio lavoro.
Grazie ad Eveljn Emmanuello e alla sua prospettiva diversa dalla mia. Un confronto sano è sempre fonte di crescita e
di miglioramento. Grazie anche a Walter Scontrino, Pietro
Galvagno e Claudio Brancaleone, altri colleghi universitari
che hanno curato la comunicazione di Unikuore.
Grazie anche al dottor Maurizio Elia dell’IRCCS Oasi di
Troina (EN) che mi ha ispirato la figura del dottor Indelicato.
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Un ringraziamento particolare per il Magnifico Rettore della
Kore, professore Salvo Andò e per il professore Sergio
Severino. Grazie per aver accolto, sostenuto ed aiutato a tirar fuori dal mio cassetto dei sogni (sempre pieno) quest’altro libro.
Nei confronti di Luigi Ricerca ho un grandissimo debito di
gratitudine. Grazie per il tuo straordinario talento nella progettazione della copertina, per la tua amicizia e il tuo appoggio.
Ha creduto in questo libro anche lo scrittore Mimmo Riggio. È un uomo di grande serietà e mantiene regolarmente ciò
che promette. L’editoria può essere un terreno minato e Mimmo mi ha assicurato un percorso sicuro e veloce sul terreno
più solido.
Grazie ad Alda Merini, Paul Watzlawick, Lucas Estrella, Kahlil Gibran Kahlil, Litfiba, Lacuna Coil, Aerosmith. Unikuore
è anche il frutto appassionato dei testi scritti da questi autori.
Un sincero grazie a frate Salvatore per l’ospitalità. Questo
libro è nato nella quiete dell’oasi Francescana di Pergusa. Non
riesco a pensare ad un altro posto così bello e sereno per meditare sulla vita…
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Prefazione
La storia che Gaetano Amoruso racconta in questo libro è
la storia di uno studente universitario lavoratore che ha deciso ad ogni costo di realizzare il sogno di una vita: la conquista della laurea. Questa storia è la storia di Gaetano.
All’Università Kore di studenti lavoratori ce ne sono molti. I problemi che essi affrontano sono assai diversi da quelli
di uno studente “normale”. Si tratta di conciliare lo studio con
la famiglia; ma si tratta soprattutto di forzare una sorta di blocco psicologico al momento dei primi esami, quando ci si confronta non solo con una commissione che ti interroga, dopo
tanti anni di interruzione degli studi, ma con una comunità,
quella degli studenti “normali” che studiano e basta, e che
quindi pongono l’Università al centro della propria esistenza.
Gaetano – è questo l’aspetto più interessante del suo racconto – nei limiti del possibile vuole essere uno studente “normale”. Egli sottrae ore al sonno, alle incombenze familiari e
al lavoro per frequentare le lezioni, per vivere intensamente
l’esperienza della comunità universitaria, stabilendo un dialogo permanente con i suoi nuovi colleghi. Di essi Gaetano
diventa amico sincero, stabilisce dei rapporti che attraversano il suo mondo di prima e diventano stabili.
Gaetano sembra voler tornare indietro nel tempo, condividere le abitudini, le complicità tipiche della convivenza scolastica. Non gli pesa la differenza di età rispetto agli studenti “normali” che non hanno moglie, figli e lavoro. E poi cerca di stabilire un efficace dialogo con i professori, perché vuole sentirsi integrato nel nuovo mondo conquistato.
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Agli esami non si trincera dietro il “caso umano” di uno studente non più giovanissimo che fa quel che può, invocando
comprensione tenuto conto dell’età e del lavoro. La sua sognata laurea se la vuole conquistare con pieno merito; vuole
che la sua carriera universitaria sia una carriera eccellente. Vive l’Università come esperienza esaltante che lo porta fuori
dal tran tran del suo lavoro. Non ha potuto accedere all’Università all’età giusta, ma vuole quasi recuperare in questo senso il tempo perduto.
È del tutto comprensibile che guardi all’Università all’inizio come ad una fortezza lontana, quasi inespugnabile. Quando intraprende il suo corso di studi considera le lezioni da seguire, le materie da studiare, gli esami da superare come casematte da espugnare, vincendo le ostilità di cecchini e guerrieri organizzati che si pongono sul suo cammino, e che sono
schierati in campo proprio per impedirglielo. E scrive della
preparazione agli esami come di vere e proprie battaglie alle
quali si prepara sapendo di dovere reggere al fuoco nemico.
Ogni casamatta conquistata la segna in un ipotetico campo di
battaglia – che è il suo percorso di studi – che va attraversato per accedere al territorio dei laureati. Gaetano scrive bene,
rappresenta questa situazione in modo immaginifico.
Il libro parla della vita dell’Università Kore vissuta finalmente dall’interno. Esso contiene una galleria di bozzetti: docenti, funzionari amministrativi, colleghi, tutti presentati in
modo assai vivace e guardati con simpatia. Sono queste le
persone che Gaetano sognava di incontrare da anni.
È il primo libro, questo, sulla Kore raccontata come comunità. È scritto da uno studente “diverso”, ma seriamente impegnato a fare, seppure in ritardo, la vita di uno studente normale.
La storia di Gaetano deve fare riflettere gli altri studenti,
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quelli che considerano naturale il passaggio dalle scuole secondarie all’Università, perché si possono permettere gli studi universitari, perché non hanno bisogno di lavorare. Per molti, invece, nonostante il diritto allo studio sia garantito da decenni, il passaggio dalla scuola all’Università è tutt’altro che
naturale; per loro la laurea rimane ancora oggi il sogno di una
vita.
A Gaetano piace studiare, frequentare le lezioni, dimostrare a se stesso che riesce agevolmente ad apprendere frequentando le lezioni e passando il poco tempo che gli rimane in
biblioteca. Scopre con gioia che riesce a superare gli esami
senza grandi difficoltà. Il suo desiderio è quello di conoscere, e di vedere riconosciute le sue notevoli capacità di studente attraverso la laurea, che non è per lui il pezzo di carta. Con
la laurea infatti Gaetano non pensa di fare carriera dove lavora.
Egli scrive queste pagine, nonostante si colga in esse sempre il segno dell’ansia e della fatica, con sentimento di gratitudine verso l’Università che lo ha accolto. È grato ad essa
per molti ragioni, ma soprattutto per una. Se la Kore non fosse esistita nel territorio in cui vive e lavora, certamente Gaetano non avrebbe potuto studiare e lavorare insieme; soprattutto non avrebbe potuto via via diventare uno studente universitario “normale”, che frequenta le lezioni, dà gli esami e
arriva nei tempi previsti alla laurea.
Salvo Andò
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Prologo
Se una notte d’inverno un viaggiatore trovasse la tanto agognata strada della realizzazione del tanto altrui atteso, ma da
lui inatteso, compito richiestogli?
Se una notte d’inverno la richiesta inaspettata, un po’ bizzarra, insistentemente e garbatamente formulatami dall’autore, di predisporre un prologo allografo al testo, che non conosco (Unikuore), venisse realizzata?
Se così fosse, per come sta avvenendo, quasi come avvenuto nel romanzo del 1979 di Italo Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, nel quale Lettore e Ludmilla concordano sull’impossibilità di proseguire la lettura del nuovo libro, il rischio latente di tradire lo scopo precipuo di una prefazione potrebbe divenire manifesto: Lettore e Ludmilla, alla stregua di Irnerio (il non-lettore), deciderebbero di abbandonare il testo, ma questa volta per lo iato tra il suo prologo,
testo e postfazione.
Ma forse (lo spero) tutto questo potrebbe far parte del progetto editoriale, che ben coincide con la vivacità intellettiva
di Gaetano.
La sua richiesta di farmi realizzare un esordio al suo testo
mi inorgoglisce; ma esso potrebbe costituire, invece, la corretta postfazione autoriale di un capolavoro che non ho scritto ed il cui titolo potrebbe essere: Kaizen.
Il termine Kaizen, che trae la sua origine dalle espressioni
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nipponiche KAI (cambiamento) e ZEN (meglio), non potrebbe esprimere più esattamente il mio sentimento provato nello svolgimento dell’insegnamento di “Sociologia del lavoro”
nel Corso di Laurea in “Scienze della comunicazione multimediale”, anno accademico 2009/2010, all’interno del quale
ho incontrato un gruppetto di folli, più del loro stesso docente, ma autori di un capolavoro.
Il Kaizen, modello di management inizialmente introdotto
dalla Toyota nella produzione industriale, applicato sempre più
in tutto il mondo all’interno delle politiche gestionali della
T.Q.M., si basa sul principio che “l’energia viene dal basso”:
la performance aziendale è ottenuta nell’applicazione diretta
sul prodotto, piuttosto che nella gestione gerarchica.
Il gruppetto, allora, è il vero artefice del risultato ottenuto
del loro Corso, ampiamente notato ed annotato; questa stessa iniziativa editoriale ne costituisce, ammesso che servisse
dimostrarlo, una tra le tante eccellenti epifanie idealtipiche.
Bandita la retorica del caso, fatti salvi i risentimenti delle
altre annualità e degli altri corsi di studio, questo gruppetto di
non più tanto giovani “manigoldi” è stato artefice di un vero
capolavoro; sentimento che penso di poter condividere con
gli altri attori, a vario titolo, del loro corso di studi. Un gruppetto di sessanta studenti che si trovano (a loro dire) nella malinconica situazione di essere tra gli ultimi laureandi di Scienze della comunicazione multimediale dell’Università degli
Studi di Enna Kore, a seguito di una modifica nell’ordinamento e nel piano degli studi.
Il primo giorno di lezione, nel quale venne avviata l’importante fase di conoscenza e di socializzazione, manifestai loro il
mio più grande difetto: “il mio rendimento sarà determinato
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dal vostro coinvolgimento ed interesse”.
Giovani studenti assetati di conoscenza e plasmati d’apprendimento puro, non più giovani discenti bulimici del sapere e
forgiati d’esperienze e competenze, che costituivano le due
categorie principali del corso.
Miscelare tutto ciò con la spendibilità dell’insegnamento offerto e con la possibilità della costante veridicità, consentita
dalla loro contemporanea presenza professionale in strutture
di prestigio, permise la realizzazione di un composto adrenalinico che non mi sarei voluto perdere e che gelosamente ancora oggi conservo nei miei ricordi.
Se una notte d’inverno un viaggiatore…
Sergio Severino
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Fu nel parco della casa della cultura che incontrai un giovane con il volto pallido e colmo di stupore. E sedetti accanto a lui sulla panca e dissi “perché sei qui?” e lui mi rivolse
uno sguardo attonito e disse : “è una domanda poco opportuna, la tua, comunque risponderò. Mio padre voleva fare di me
una copia di se stesso e così mio zio. Mia madre vedeva in
me l’immagine del suo illustre genitore. Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta. Ognuno di loro voleva che io fossi il riflesso
del suo volto nello specchio”.
“Per questo sono venuto qui. Trovo l’ambiente più sano. Qui
almeno posso essere me stesso”. E di scatto si volse verso di
me e chiese: “anche tu sei qui a causa dell’educazione e dei
buoni consigli?” e io risposi: “no, sono qui in visita”.
E lui disse: “ah, ho capito. Vieni dal manicomio dall’altra
parte del muro”.
Io sono stato quello che gli altri non volevano essere.
Io sono andato dove gli altri non volevano andare.
Io ho portato a termine quello che gli altri non volevano fare.
Io non ho preteso mai niente da quelli che non hanno dato
nulla.
Con rabbia ho accettato di essere emarginato come se avessi commesso uno sbaglio, ho visto il volto del terrore, ho sentito il freddo morso della paura, ho gioito per il dolce gusto
di un momento d’amore. Ho pianto, ho sofferto e ho sperato… ma più di tutto ho vissuto quei momenti che gli altri dicono sia meglio dimenticare…
Io sono stato un soldato.
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Questo libro è un’opera ispirata da quanto mi è accaduto all’Università Kore di Enna ma avrebbe potuto svolgersi in
qualsiasi altra Università d’Italia. Sta al lettore, o alla lettrice, captare dalla mia storia il proprio messaggio.
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Un giorno, andando a fare acquisti con mia figlia, sette anni, il discorso cadde sull’amicizia. Si parlava dei suoi compagnetti e ovviamente anche dei miei. D’un colpo, Egle, guardando verso il cielo esclamò: “come fanno gli uccellini ad essere tutti amici? Beati loro che sono liberi… Noi invece abbiamo tutti questi vietato di sosta”.
A quelle parole dapprima sorrisi. Poi, guidando verso il centro commerciale, ne trovai la morale: “come fanno gli uccellini a volare così armoniosamente anche quando sono tantissimi? Loro sì che sono liberi. Noi, invece, ci creiamo infinite gabbie dalle quali difficilmente riusciamo ad uscire”.
Mi piace pensarla così…
… nella solitudine, nella malattia, nella confusione,
la semplice conoscenza dell’amicizia
rende possibile resistere,
anche se l’amico non ha il potere
di aiutarci. È sufficiente
che esista. L’amicizia non è
diminuita dalla distanza
o dal tempo, dalla prigionia
o dalla guerra,
dalla sofferenza o dal silenzio.
È in queste cose che essa mette più
profonde radici. È da queste cose
che essa fiorisce…
Pam Brown
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UNIKUORE
Il rumore dei passi di coloro che attraversano i corridoi delle università è costante e continuo durante i giorni di lezione
tanto che oramai, assopita nel silenzio dell’aula ed immersa
nella mia lettura, non sentivo più nulla, come se quei passi mi
avessero sortito l’effetto di una ninna nanna. La giornata era
frizzante, qui le mattine d’inverno sono particolarmente pungenti. L’umidità sveglia la città sotto un manto d’acqua per
cui il raggio di sole che penetra dalle finestre, lo accolgo come l’abbraccio della mia vecchia nonna. Amorevole, caldo e
protettivo.
Certo, non avrei mai immaginato che l’idilliaco quadro mattutino che stavo godendo si sarebbe da lì a poco guastato. Tutto è successo in pochi attimi. La porta dell’aula si spalanca e
tre individui, dall’apparente età non più scolastica, vi si catapultano all’interno. Il saluto di rito, ed il successivo avvicinarsi da parte loro alla cattedra, mi fa credere che sono degli
insegnanti che si stanno riunendo per chissà quale arcano motivo. Tre individui, tre storie di vita, tre culture diverse che
per comodità li chiameremo con il nome delle loro città di
origine ovvero Catania, Palermo, Enna.
I tre sembrano in confidenza, sorridono, chiacchierano, si
scambiano battute. Una volta seduti, fuoriescono dalle loro
borse libri e appunti come un pistolero estrae la sua colt dalla fondina. Io rimango lì, sopita con la testa china sui miei appunti facendo finta di essere sola all’interno delle quattro mura dell’aula.
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Poco dopo intuisco che stanno ripetendo… buffo! Mi ero
impaurita relegandomi nella mia sedia senza batter ciglio a timore di chissà quale interrogazione potevo mai subire dai tre
matusa ed invece i tre flinstoniani erano lì, tutti intenti a ripetere una materia. Intuisco che si sarebbero trovati a breve
davanti ad un docente di psicologia o simile che li avrebbe
valutati.
Sottovoce, cercano di percepire dove il loro individuale sapere fa acqua cercando di aiutarsi l’un l’altro nel mettere le
giuste pezze alle loro lacune prima di arrivare davanti all’esaminatore. Facevano tenerezza.
Brizzolati e di bell’aspetto, come dei cuccioli smarriti cercavano di darsi aiuto. L’uno ripeteva all’altro e viceversa. Così per circa mezz’ora. Ad un tratto, Palermo comincia ad avere un tremore al ventre, tipico di chi si sta per recare al patibolo... Ed inizia a parlare senza mai finire entrando anche
quando non era il suo turno e interrompendo l’esposizione dei
compagni.
Tutto ciò fino a quando Catania, apparentemente calmo e
tranquillo, ripeteva il suo pezzo con servile esposizione, facendo finta di non sentire Palermo che lo interrompeva alzando il tono della voce ed immettendo nel discorso materiale
che poco aveva a che fare con l’oggetto del loro ripetere.
Enna, più e più volte tentava di fermare Palermo per dare
spazio ad ognuno di esprimersi al meglio ma con risultati del
tutto scadenti, addirittura sortendo l’effetto contrario e inducendo Palermo ad un isterismo uterino.
Mio malgrado spettatrice di un copione tragicomico mai
scritto!!!
Sembravo proiettata all’interno di una scena di teatro epico
o in un passaggio delle Baccanti di Euripide. Catania, con la
serenità che lo aveva accompagnato e contraddistinto fino ad
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allora, si alzava facendo un balzo all’indietro, provocando un
notevole rumore causato dalla sedia che strisciava sulla pedana della cattedra. Rumore che echeggiava nella stanza come
una bomba esplosa in un ambiente chiuso, con la conseguente reazione di stupore da parte mia e di sobbalzo da parte dei
compagni di studio. Catania si portava le mani alle tempie cominciando a percuoterle come un pazzo nel momento estremo della sua lucida follia, gridando, ma facendo attenzione
ad usare un timbro idoneo alle dimensioni dell’aula ed evitando schiamazzi tali da poter attirare ospiti poco desiderati
in un momento immobile di trasposizione temporale.
Enna, dopo un momento di sbigottito smarrimento, rotolandosi su se stesso, iniziava a ridere a squarciagola. Palermo faceva un salto indietro, guardava Catania accigliato, rimanendo basito in un accorato silenzio intriso di paura.
Il mio sguardo si scontrava con gli occhi lucidi e dai delicati lineamenti orientali di Catania che, finito il suo agave prologo e ricondotto alla ragione dalle coinvolgenti risate di Enna, si univa ad egli con spasmodica passione contagiando anche me e Palermo che dopo un girovagare di sguardi si univa in un momento di libera, galattica, travolgente risata, di
quelle che nella vita saranno per sempre ricordate.
Uscendo dall’aula con ancora il sorriso sulle labbra, mi andai ad informare discretamente su queste persone, che corso
frequentavano e qual era la materia che dovevano dare a breve. Scoprii casualmente che erano di comunicazione e l’esame era previsto per le 11. Potevo assistere e vederne l’esito.
Quel giorno imparai cosa significa veramente amare la conoscenza e ascoltando in rispettoso silenzio gli esami, vedevo brillare una luce di passione in loro e nei loro compagni
di corso, in tutti. Palermo prese 30 e lode, Enna 30 e Catania
27. Gli altri colleghi giudizi simili. Si abbracciavano, si
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baciavano, per qualcuno era il primo trenta. Mi alzai soddisfatta e presi la via dell’uscita. Ritornando a casa pensavo ancora a quegli esiti, a quell’affiatamento e un po’ ne ero invidiosa. Poteva coesistere un forte sentimento come l’amicizia
al normale rapporto accademico? Che bella tesi di laurea sarebbe stata… Quello che non pensavo era che avrei sentito
ancora parlare di questi ragazzi. Anzi. Ne avrei letto la loro
storia…
25 agosto 2008.
“Mi scusi è il mio turno…”.
“Mi scusi???”.
Che significa mi scusi pensavo tra me e me…
Mi guardai attorno e vedevo solo ragazzi e ragazze appena
più piccoli... Ehi… sentite, riflettevo ad alta voce ma sempre
nella mia testa, io ho solo 39 anni e tu fanciulla mora dagli
occhi nocciola non puoi dirmi mi scusi con questa gentilezza
costruita ad arte…
“Mi scusi ma lei quanti anni ha?”.
“Parla con me? Esclamò sorpresa la ragazzina”.
“Si proprio con te!!! Risposi quasi infastidito”.
“Diciannove e lei?”.
“Io sono del ’69 risposi diventando paonazzo…”.
“Ahhh... ecco…”.
Iniziava tra prese per i fondelli e punti interrogativi la mia
avventura universitaria.
Quando l’impiegato, studente belloccio velocissimo, mi diede il libretto con la mia bella fotografia impressa dal computer,
bianco, lindo, vuoto, immacolato, dal candore virginale e con
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la matricola 08008506 mi sentii diverso, unico, speciale. Ringraziai velocemente e mi incamminai verso casa. Ero anch’io
uno studente universitario. Un sogno che mi portavo appresso da vent’anni e che, nonostante tutte le avversità, avevo deciso di realizzare. La goccia del famoso vaso, costringendomi paradossalmente a cambiare facoltà, era stato il grande
Bruno Vespa che, durante un canonico, melenso, artefatto
“Porta a porta”, aveva invitato gli studenti delle superiori a
non iscriversi al corso di “Scienze della comunicazione” considerato pleonastico e scegliere ingegneria o architettura. Magari per il semplice motivo di avere più professionisti e meno comunicatori…
Senza il dialogo non si va da nessuna parte caro Vespa, pensai presuntuosamente e altrettanto pretestuosamente cambiai
idea e mi iscrissi al corso di “Scienze della comunicazione
multimediale” dell’Università Kore di Enna.
Faceva caldo e i 50 km che mi separavano da casa, aria condizionata no problem, si fecero sentire in lungo e in largo. Entrai, frigo mon amour e coca cola, ghiaccio e limone a bizzeffe per festeggiare il tanto atteso evento. Vespa, mi dispiace,
ma dovrai sorbirti questo concorrente, questo comunicatore
lavoratore che si prepara ad un “porta a porta” con le materie
d’esame. A proposito… quando si comincia? Accesi il computer fisso e mi collegai al portale dell’università. Ancora nulla… Le lezioni dovrebbero cominciare ad ottobre o novembre. Ho qualche settimana di ferie mentali dopodiché subito
a scuola con i miei soldatini…
“Gabrieleeeeeeeeeeeeeeee … o Gabrieleeeeeeeeeeee”.
Gabriè!!! Gabrieleeeeeeeeeeee…
“Sono a casa… sali pezzo di venditore ambulanteeeeeee”.
“Ciao bestia… è tutto il giorno che ti cerco e per giunta non
rispondi neanche al cellulare”.
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“Lorè… ti avevo detto che sarei andato ad Enna ad iscrivermi all’Università”.
“Questo non significa che non hai l’obbligo di rispondere
al telefono… cazzo”.
“Senti… mbari… il tuo linguaggio è disarmante. Il termine
da te utilizzato è oramai troppo inflazionato. Cambia. Usa uccello oppure grande fratello o Gigi, Gigetto, il fecondatore solitario, Rocco, Mazza, Verga, Sventrapapere… come puoi sentire la terminologia è ricca e varia”.
“Ti sei iscritto a comunicazione … vero?”.
“Già… ingegneria è andata a farsi benedire…”.
“Ho capito tutto dalla tua disquisizione del “cazzo”, o vuoi
che usi il genitivo?”.
“Cosa ne dici Lorè… farò figura?”.
“Certo… quando i professori inizieranno a conoscerti farai
la tua figura… certo … certo”.
“Che significano tutte queste ripetizioni?”.
“… il certo…”.
“Il certo per l’incerto caro Gabriele. È sempre stato così. Ma
quando studierai dato che lavori dalle nove alle nove?”.
“Durante la pausa…”.
“Dalle 2 alle 3 e mezza? Col caldo, il freddo, fuori, all’aria
aperta?”.
“Tentare non nuoce…”.
“L’importante è che non nuoccia alla salute… Gabriè ti auguro veramente buona fortuna ma ti arrenderai dopo qualche
giorno…”.
Quelle parole mi risuonarono in testa per giorni. E pensare
che al lavoro mi tacciavano di essere troppo perseverante, quasi pedante, sicuramente invadente per non dire altro anche perché c’è parecchia rima… Comunque le gambe iniziarono a tremare. L’entusiasmo faceva adesso solo capolino e mi salutava
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da dietro il cespuglio del mio abete domestico. E la ditta? Non
penso che la prenderanno bene quando chiederò i permessi
studio… ma chi se ne frega… con o senza, la laurea è lì che
mi aspetta.
“Soldatini da oggi siete S.O.L.D.A.T.I… al mio comando.
Ci sono 24 postazioni da conquistare più la testa di serie, il
vertice, la genitrice di tutte le postazioni ovvero la laurea. Conquistata codesta abbiamo vinto”.
La notte passò tra un incubo e un altro. Stavo incitando, nel
sogno, i miei commilitoni ideali dentro il cervello, per convincerli a partire alla volta di una campagna di conquista che
si presentava ardua e piena di insidie.
“Lotteremo, soffriremo, qualcuno di noi non rivedrà casa
ma la nostra è un’opera ambiziosa che giustificherà tutto il
tempo che staremo lontano dagli affetti. Oggi è un grande
giorno SOLDATI. Si parte verso la fine di ottobre. Abbiamo
due mesi per prepararci dignitosamente e andare incontro al
nostro destino”.
Dall’ipotetico balcone mussoliniano, si vedevano un migliaio di fanti che a malapena avevano accennato qualche applauso ma l’oscurità sonora dava troppo all’orecchio. Il sudore
imperlò la fronte di Gabriele svegliatosi di soprassalto per
l’assordante silenzio della sua armata.
“Devo ancora iniziare e sono già esaurito… che sogno
strambo… non voglio che sia un messaggio subliminale che
cerchi di convincermi ad abbandonare. No… non può essere… lentamente muore chi abbandona un progetto prima di
iniziarlo diceva qualcuno”.... Lentamente muore.
“Quel corvo di Lorenzo mi ha messo la coda in mezzo alle
gambe e non ho ancora visto e sentito nulla, non conosco le
materie, se saranno difficili, facili, se avrò parecchi testi da
consultare o meglio da studiare… mmmh… ho bisogno di
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