UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA
“LA SAPIENZA”
FACOLTÀ DI INGENGERIA
DOTTORATO DI RICERCA IN INGEGNERIA
EDILE – XVIII CICLO
“LA DEMOLIZIONE DELLE OPERE IN
CALCESTRUZZO ARMATO:
TEORIA, PROGETTO E CONTROLLO DEL RISCHIO”
Dottorando:
Ing. Daniel Raccah
Docenti guida:
Prof. Ing. Gabriele Novembri
Prof. Ing. Ruggero Rondinella
a mia madre,
con amore e gratitudine.
INDICE RAGIONATO
Cap. 0
“INTRODUZIONE”
•
Oggetto della ricerca…………………………………………………………………..7
•
Individuazione del problema scientifico…………………...……………………8
•
Obiettivi della ricerca………………………………………………..…………………9
•
Ambito della ricerca e base di partenza scientifica………………………..10
•
Metodologia operativa e schema organizzazione ricerca…….... .........11
Cap. 1
“I PRESUPPOSTI TEORICI DELLA DEMOLIZIONE”
•
Historia Demolitionis...................................................................13
•
Il problema culturale della demolizione.........................................16
•
La progettazione di un intervento di demolizione...........................24
o
il “suolo di demolizione”..................... ...................................24
o
fattori subentranti nella scelta di una tecnologia.....................27
-
motivi ed obiettivi estrinseci............................................27
-
metodologie di Intervento............ ....................................29
-
Demoliz. totale Vs Demoliz. Controllata...................29
-
Demoliz. indifferenziata Vs Demoliz. Selettiva...........30
-
vincoli contestuali...........................................................32
-
componente economica..................................................35
-
fattore ambientale..........................................................37
-
principi di sicurezza........................................................40
•
Considerazioni Strutturali.................................. ............................50
Cap. 2
“LE TECNICHE DI DEMOLIZIONE” ..........................................69
•
Demolizione totale dell’apparato costruttivo...................................72
•
o
trazioni tramite cavi.............................................................73
o
scalzamento delle fondazioni................................................73
o
spinta diretta al ribaltamento................................................75
o
palla demolitrice..................................................................76
o
esplosivistica applicata alla demolizione.................................78
o
procedimento Cardox...........................................................85
Frantumazione parziale dell’apparato costruttivo............................89
•
o
martello demolitore idraulico................................................89
o
escavatore meccanico........................................................101
o
spacca-roccia meccanici......................................................109
o
spacca-roccia chimici..........................................................114
o
spacca-roccia a sparo.........................................................120
o
pinze e cesoie idrauliche......................................................122
o
il Nibler.............................................................................124
o
procedimenti elettro-chimici................................................124
o
i Piloni...............................................................................124
o
riscaldamento armature per effetto Joule.............................125
o
generazione di microonde...................................................125
o
elettro-fratturazione...........................................................129
Eliminazione singolo elemento costruttivo funzionale....................130
o
o
•
-
il disco diamantato.......................................................135
-
seghe da parete...........................................................137
-
troncatrici manuali........................................................138
-
seghe taglia -pavimento.................................................140
-
seghe a tuffo................................................................141
-
seghe a catena.............................................................143
-
filo diamantato.............................................................144
-
le corone diamantate....................................................147
Procedimenti termici...........................................................151
-
perforazione termica con lancia ad ossigeno...................152
-
cannello a polvere.........................................................155
-
cannello al plasma........................................................157
-
il laser..........................................................................160
Trattamento superficiale degli elementi costruttivi.......................163
o
•
Utensili diamantati.............................................................130
Il degrado del calcestruzzo.................................................163
-
le cause del degrado.............................. .......................165
-
le fenomenologie...........................................................168
-
la diagnostica...............................................................169
-
dal progetto all’intervento..............................................175
-
modalità d’intervento....................................................177
Idrodemolizione ad alta pressione...............................................180
-
idrodemolizione controllata............................................184
-
idrodemolizione selettiva...............................................184
Cap. 3
“VERBA VOLANT, EXEMPLA MANENT” - CASI STUDIO ..........191
•
La demolizione delle “Vele” di Scampa............................ .............195
•
La demolizione di un silos a Genova............................................216
•
La demolizione di un ponte ferroviario.........................................227
•
Lo smantellamento di una villa romana al Gianicolo......................233
•
L’abbattimento del “Kingdome” a Seattle.....................................241
Cap. 4
“IL CONTROLLO DEL RISCHIO NELLA DEMOLIZIONE..........247
•
Premessa.................................................................................247
•
Il Project Management...............................................................248
•
Cos’è un Progetto……………………………………………………………………249
•
Motivi del Project Management…………………….…………………….……..251
•
Aree del Project Management………………………………………….……….252
•
Knowledge Based Decision Analysis………………………………….……….254
•
Il Risk Management………………………………………………………….……..255
o
Risk Identification……………………………………………………………256
o
Risk Quantification……………………………………………………….….257
o
Risk Response Development. …………………………………….…….257
o
Risk Response Control……………………………….…………………....259
•
La Progettazione Fault Tolerant...................................................260
•
La Reliability Engeneering - Metodi di Gestione del Rischio............262
•
Le Reti di Influenze....................................................................265
•
Applicazione su caso pratico.......................................................266
•
o
Descrizione generale tecniche.............................................269
o
Descrizione delle fasi esecutive...........................................270
o
Individuazione possibili rischi..............................................274
o
Creazione rete di Influenze..................................................275
Le Reti Bayesiane.......................................................................285
o
Rete Bayesiana del caso studio...........................................289
•
Conclusioni................................................................................293
•
Bibliografia................................................................................297
Capitolo 0
Introduzione
CAPITOLO 0: Introduzione
Uno dei primi e migliori libri di Ingegneria che abbia letto1), iniziava molto
originalmente, con un misterioso Capitolo 0, al posto di una più ordinaria
premessa. La motivazione che si presentava al lettore per questa scelta, era il
fatto che è cosa nota che generalmente qualsiasi introduzione o premessa nei
libri, viene puntualmente saltata per il desiderio di iniziare il testo vero e proprio.
Purtroppo, nelle premesse spesso si celano strumenti importatati per la
comprensione dell’intero testo. Assegnando quindi all’introduzione il titolo di
Capitolo 0, si crea nel lettore l’illusione di essere già addentrato nel corpo
dell’opera.
L’aver sperimentato in prima persona la validità di tale motivazione, mi ha quindi
spinto ad inserire al posto della premessa, questo famoso Capitolo 0.
0.1
Oggetto della ricerca
Oggetto della presente ricerca è l’approfondita analisi e conseguente
ottimizzazione del processo progettuale che sta a monte di un’operazione di
demolizione di un organismo complesso in calcestruzzo armato.
Per organismo complesso, si intende un manufatto edilizio costituito da una
molteplicità di parti, organizzate in modo tale da rendere non immediata la
comprensione del proprio funzionamento e quindi una loro eventuale
modificazione. Lo smantellamento di tale oggetto, nella piena considerazione di
tutte le proprie caratteristiche, può presentare molte soluzioni progettuali, tanto
ché non è sempre intuitivo capire quale sia quella dal rendimento più alto.
Nella trattazione che segue, il momento operativo della demolizione viene
presentato a pieno titolo come una delle varie fasi del ciclo vitale dell’organismo
edilizio.
Quindi, alla stregua di tutte le altre fasi, anche la demolizione deve
necessariamente essere preceduta da un’attività progettuale che la razionalizzi e
pianifichi a monte. L’assoluta necessità di tale attività pianificatoria è dimostrata
nell’arco della ricerca.
Verranno quindi in primo luogo distinti i due momenti principali della
demolizione, ovvero: la progettazione dell’intervento, e la sua conseguente
esecuzione pratica.
Saranno quindi non solo analizzate nel dettaglio tutte le possibili metodologie e
tecniche di abbattimento, ma verrà prestata particolare attenzione al rapporto tra
la loro scelta e le condizioni contestuali, all’interno del processo progettuale.
7
Capitolo 0
0.2
Introduzione
Individuazione del problema scientifico
La ricerca stessa è inizialmente partita studiando ed approfondendo quegli
argomenti su cui si è trovata maggior abbondanza di informazioni: l’argomento
più trattato nelle fonti utilizzate, è sicuramente costituito dalle tecniche di
demolizione.
In tutti i testi studiati, queste tecniche venivano semplicemente elencate senza
alcun criterio apparente, per poi passare direttamente alla descrizione del loro
funzionamento operativo.
In nessun luogo era fatto riferimento ad un’attività di tipo intellettuale che regoli
questo genere di operazioni. Eppure, sia nel mondo accademico che in quello
professionale, la progettazione di un processo di costruzione è un argomento da
tempo largamente analizzato, col costante obiettivo di
ottimizzarne il
rendimento.
La motivazione di questa gap sta nel fatto che, nella cultura generale ed in
particolare nel mondo lavorativo, la demolizione è sempre stata vista come un
episodio isolato nell’universo dell’edilizia, sicuramente un momento conclusivo
di un organismo edilizio, ma mai veramente legato alle sue precedenti fasi vitali.
Questa totale mancanza di collegamento tra il momento dello smantellamento, e
la vita passata dell’organismo edilizio in questione, lascia assolutamente scoperta
qualsiasi gestione razionale di tale processo: in pratica un’attività di demolizione
edilizia viene spesso affrontata senza alcun criterio, e quindi le scelte da
effettuare restano così a totale discrezione degli operatori fisici dell’operazione,
cioè l’impresa esecutrice.
È evidente che, nella maggior parte dei casi, l’unico criterio che un’impresa possa
considerare valido è la propria convenienza economica. Le scelte progettuali,
fatte secondo questo criterio spesso trascurano molti fattori importanti che
influenzano un intervento di demolizione.
La mancanza di coscienza della necessità di un progetto che stia alla base di una
serie di operazioni di smantellamento, comporta in realtà una effettiva
diminuzione del livello di rendimento delle operazioni fisiche, per il semplice
fatto che molte variabili vengono lasciate nascoste, finché non si manifestano
(come errori) portando sempre a dannose conseguenze.
Uno dei principali fattori le cui conseguenze sono particolarmente dannose, è il
fattore rischio: come si vedrà nel corso dell’opera l’avveramento di un rischio
(che può essere di vario genere e tipologia) rappresenta e comporta il
malfunzionamento generale dell’intero sistema.
Quindi il problema scientifico che sta alla base e motiva l’intera ricerca, può
essere articolato nei seguenti sintomi:
-
totale mancanza del concetto di progetto di demolizione;
- conoscenza insufficiente degli elementi costitutivi di un processo progettuale
applicato ad una demolizione;
8
Capitolo 0
Introduzione
- carenza di una reale razionalizzazione ed ottimizzazione di tale processo
progettuale;
- scarsità del controllo del fattore rischio e delle sue conseguenze nei confronti
dell’esecuzione delle operazioni di demolizione.
Proprio a partire dai suddetti problemi di tipo scientifico, si sviluppano gli
obiettivi della presente ricerca.
0.3
Obiettivi della ricerca
Le finalità programmatiche che hanno spinto a svolgere e motivato la ricerca,
sono le seguenti:
- fornire un’approfondita analisi e classificazione tipologica dei possibili
interventi di demolizione e delle tecniche utilizzabili: saranno perciò indagate le
caratteristiche, le proprietà e le limitazioni di tutti i procedimenti di demolizione
esistenti, partendo da quelli sperimentali, sino a quelli oramai più consolidati;
- analisi delle correlazioni tra il contesto operativo, e le caratteristiche
intrinseche delle tecniche esistenti: creazione di una matrice di interrelazioni che
permetta lo studio delle diverse compatibilità, sotto i possibili aspetti, tra le scelte
progettuali (ovvero i procedimenti utilizzabili) ed i vincoli contestuali presentati
dall’ambiente e dall’oggetto su cui si interviene;
- fornire un quadro di proposte, che serva da via preferenziale per la scelta delle
possibili tecniche di demolizione, in funzione delle condizioni esterne nelle quali
ci si trova ad intervenire; il tutto, al fine di una generale razionalizzazione ed
ottimizzazione di questo specifico processo.
Queste finalità generali, motivate dalle problematiche individuate e sopra
illustrate, si sono poi concretizzate all’interno della ricerca in argomenti
dettagliati: il corpo stesso del testo si propone come uno strumento formativo, il
cui obiettivo è di introdurre il progettista nel mondo della demolizione attraverso
uno specifico percorso.
Nel concreto gli obiettivi si sono tradotti nei seguenti argomenti:
1. approfondita analisi delle tipologie di interventi di demolizione, delle possibili
problematiche all’interno di un tale intervento e studio dei fattori costitutivi della
progettazione di un’attività esecutiva;
2. enucleazione di tutte le tecniche della demolizione, in funzione delle loro
caratteristiche, ma in particolare in funzione delle loro limitazioni operative; la
finalità di questa sezione, come anche della precedente, resta quella di formare i
bagaglio culturale del progettista e fornire gli strumenti necessari per la effettuare
la scelta progettuale migliore, in funzione dei vincoli esterni;
9
Capitolo 0
Introduzione
3. ottimizzazione del momento decisionale all’interno di un iter progettuale:
gestione e controllo del fattore rischio, ovvero il fattore che si ritiene più
vincolanti tra tutti quelli subentranti all’interno di un processo progettuale.
Lo schema di organizzazione della ricerca, sarà costituito in funzione degli
obiettivi appena trattati.
0.4
Ambito della ricerca e base di partenza scientifica
La ricerca si pone all’interno dell’indagine del processo della produzione edilizia
e della sua razionalizzazione. All’interno di questo ambito si è scelto di studiare
una particolare fase del ciclo vitale edilizio, solitamente trascurata o trattata in
maniera parziale: la dismissione dell’organismo edilizio.
Come già accennato, la demolizione non è mai stato un argomento molto
studiato: in Italia, a causa del particolarissimo background storico, un vero e
proprio blocco culturale ne ha da sempre limitato il campo d’azione, rilegando la
demolizione ad un tipo di intervento da utilizzare solo in casi limite.
Questa chiusura mentale, rendendo difficile la vita della demolizione, ne ha
d’altra parte raffinato i mezzi: esiste infatti in Italia discreto mercato afferente
alla cosiddetta demolizione controllata: questa tipologia di approccio verrà
illustrata in seguito, presentandone il campo d’azione e le limitazioni.
Nei paesi anglosassoni invece, essendo la demolizione una pratica più corrente,
sono state ottimizzate quelle tipologie di tecniche più invasive, ed è stato quindi
possibile trovarne in letteratura, alcuni testi che ne illustrano le modalità
operative.
In ambito nazionale esiste una base di partenza scientifica a proposito
dell’argomento, ma questa era essenzialmente orientata a sottolineare aspetti ben
diversi dagli obiettivi che si prefigge la presente ricerca: la maggior parte degli
studi condotti analizzavano la demolizione ad una scala molto vasta, quella
urbanistica, indagando le conseguenze socio-urbane dei grandi “sventramenti”;
un’analisi condotta ad una scala minore rispetto a quella urbanistica è stata
trovata in una ricerca di dottorato di poco precedente: in essa venivano
essenzialmente trattate le conseguenze di un intervento di demolizione, inteso
come modificazione di uno spazio architettonico.
Quindi il presente testo, si presta ad essere anche inteso come un
approfondimento ed un’ulteriore scesa nel dettaglio rispetto alla base di ricerche
preesistenti: partendo da un’analisi a scala urbana degli effetti di una
demolizione, si continua studiandone le ripercussioni sulla singola architettura,
fino ad arrivare all’approfondito studio del progetto che ne regola le attività, ed al
controllo dei suoi fattori cardine ai fini della ottimizzazione del rendimento
finale.
10
Capitolo 0
0.5
Metodologia
ricerca
Introduzione
operativa
e
schema
organizzazione
Si è scelto di organizzare la ricerca come un percorso, il cui obiettivo è guidare il
progettista all’interno dell’iter progettuale che regola un intervento di
demolizione.
Il testo si sviluppa in quattro parti.
Nel primo capitolo, si introdurrà il lettore-progettista ai concetti fondamentali ed
ai presupposti teorici su cui si basa un progetto di demolizione; in questa fase si
eseguirà un’approfondita analisi e scomposizione del progetto nei suoi
componenti costitutivi, classificando tutti quei fattori che possono entrare in
gioco in un momento decisionale, all’interno di un iter progettuale: di ognuno di
essi sono state studiati i rapporti e le relative correlazioni; è stato così assegnato
ad ognuno un peso relativo, nei confronti dell’intero processo.
Attraverso questo studio, si introdurrà progressivamente il concetto di momento
decisionale dentro un processo progettuale: nel caso specifico della
pianificazione di un’operazione di abbattimento, il momento decisionale è
rappresentato dalla scelta, in primo luogo della metodologia di intervento
(demolizione totale o parziale, indifferenziata o selettiva), ed in secondo luogo
della specifica tecnica da utilizzare.
Alla conclusione del primo capitolo, il lettore avrà acquisito non solo un certo
bagaglio culturale sui possibili fattori costitutivi, ma avrà sviluppato mentalmente
una vera e propria rete virtuale che collega e relaziona tra loro tutte queste
variabili; la risoluzione di questa rete nella maniera ottimale, cioè prendendo in
giusto conto il peso relativo di ogni fattore, fornisce l’indicazione della tipologia
di intervento e di relativa tecnica da utilizzare: in sintesi è possibile dire che, così
facendo si è esplicitato ed approfondito il percorso mentale di un progettista in un
momento di scelta progettuale.
Nel secondo capitolo si continuerà ad arricchire il back-ground culturale del
progettista, entrando nel dettaglio delle singole tecniche, studiandone le
caratteristiche ed i limiti, in base ad una serie di criteri prefissati, ed in particolare
sottolineando il livello di compatibilità della singola tecnica col contesto
operativo. Tutte le tecniche, esistenti o in fase di sperimentazione, saranno
preventivamente inquadrate e classificate all’interno della relativa tipologia di
approccio, in modo tale da fornire una prima indicazione al progettista sulla
scelta da effettuare in funzione dei possibili vincoli di progetto, già studiati nel
primo capitolo.
Il terzo capitolo ha la funzione di costituire un momento di sintesi di tutto quanto
è stato detto nei capitoli precedenti: attraverso l’illustrazione e l’analisi critica di
alcuni casi studio strategici, si presenteranno alcuni esempi concreti di
progettazione di demolizioni complesse: si avrà così l’opportunità di mettere in
11
Capitolo 0
Introduzione
luce le possibili interazioni tra le suddette variabili della progettazione, e di
scoprire come le varie problematiche sono state di volta in volta risolte dai
progettisti.
Oltre a fornire una esemplificazione di funzionamento delle principali tecniche di
abbattimento e dal loro rapporto con i vincoli progettuali, i suddetti casi studio
sono stati selezionati poiché rappresentano casi mediamente rari di integrazione
di tecniche molto diverse tra loro, la quale integrazione ha garantito altissimi
risultati prestazionali.
Una volta acquisito il bagaglio culturale attraverso i primi capitoli, il lettore
giunge infine al quarto capitolo: a questo punto risulta chiaro, tra le altre cose,
che tra i vari aspetti da considerare in un momento di scelta progettuale, il fattore
rischio rappresenta mediamente l’input più caratterizzante.
Quindi interpretando il concetto di progetto in base alla semantica ed alle
definizioni della disciplina del Project Management, se ne approfondirà un
aspetto in particolare: il rischio progettuale e della sua gestione, altrimenti detto il
Project Risk Management.
Si evidenzia così l’importanza di una progettazione di tipo Fault Tolerant, ossia
un’attività pianificatoria flessibile, in cui, già nella sua genesi siano contemplate
le possibili cause di insuccesso, e quindi siano state prese le dovute misure,
preventive o mitigatrici del danno.
Si arriverà infine al momento della Decision Taking, che, nel caso della
demolizione è rappresentato dalla scelta della metodologia e della relativa tecnica
di intervento: questo momento decisionale sarà supportato, in funzione della
limitazione del rischio, dall’uso dei metodi della Reliability Engeneering
(gestione del rischio).
Fra le varie tecniche analizzate, si è scelto di utilizzarne una in particolare, e di
fornirne un esempio pratico di applicazione: trattasi della tecnica delle Reti
Bayesiana, uno degli strumenti più all’avanguardia di simulazione probabilistica
di modelli di processi produttivi.
1) “Edilizia 1” – Enrico Mandolesi - UTET
12
Capitolo 1
CAPITOLO 1:
I Presupposti Teorici della Demolizione
DEMOLITIONIS HISTORIA
I primi casi tecnicamente documentati, di interventi di demolizione veri e propri,
si possono trovare nella storia, sotto forma di estesi lavori di scavo su roccia,
finalizzati alla costruzione di grandi opere infrastrutturali (in particolare romane),
quali strade, canali e simili.
Sicuramente la descrizione più antica del primo intervento di demolizione è
descritta nella Bibbia (Giosuè 6:1-27) e riguarda la distruzione delle mura della
città di Gerico da parte dell’esercito Ebraico sotto la guida di Joshùa Bin-Nun
(Giosuè figlio di Nun). Obbedendo alle indicazione divine, il comandante Giosuè
fece marciare una volta al giorno, per sei giorni, tutto l’esercito d’Israele intorno
alle mura della città: l’esercito marciante doveva essere preceduto da sei
sacerdoti che dovevano suonare altrettanti corni di montone; anche l’Arca
dell’Alleanza doveva essere trasportata durante l’accerchiamento. Il settimo
giorno si dovevano compiere sette giri, sempre accompagnati dal suono dei corni,
ed al compimento del settimo giro tutto l’esercito doveva urlare con tutte le
proprie forze; al suono di questo urlo le mura della città collassarono e la città fu
conquistata.
Ricostruzione artistica dei fianco
settentrionale dell’antica Gerico, basata sugli
scavi tedeschi effettuati tra il 1907ed il 1909.
Sezione schematica del sistema di
fortificazione della città di Gerico
È proprio nelle demolizioni finalizzate ad uso militare, che le tecniche di
abbattimento trovarono la loro massima fioritura: infatti senza nessuna barriera
geografica o etnica, svariati sono i testi di strategia militare in cui molto spazio è
dedicato alla spiegazione di tecniche d’assalto di fortificazioni, di mura, di torri, e
più in generale di distruzione di qualsiasi manufatto edile adibito alla difesa.
13
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Tra i testi principali che furono profondo argomento di studio dei più grandi
condottieri della storia, da Alessandro Magno a Napoleone Bonaparte, da
Federico II di Prussia a William I di Orange-Nassau (conosciuto come William
the Silent), si riportano i più noti:
-
Parangelmata Poliorcetica, di
Heron di Bisanzio;
-
De obsidione toleranda, anonimo;
-
Strategicon di Kekaumenos;
-
Taktika di Nikephoros Ouranos.
La poliorcetica (Poliorceticon) è l’arte
dell'attacco
delle
fortificazioni.ed
tradizione nobilissima e vanto speciale
dell’ingegneria
italiana,
naturalmente
ereditata dalla ricca tradizione bellica
romana.
Prima
dell’introduzione
dell’uso
dell’esplosivo,
era
assai
frequente in Italia la demolizione di
torri, ottenuta per ribaltamento: si
incideva
profondamente
la
base,
avendola preventivamente puntellata
Torre di assalto illustrata nel testo, di
Heron di Bisanzio
durante il lavoro con delle aste di legno, da bruciare poi nella fase finale.Un tale
procedimento fu applicato come una novità in America, per le demolizioni
eseguite dopo il terremoto di S. Francisco di California, ma fu di uso corrente in
Italia per tutto il Medioevo e i tempi moderni, e deriva nientemeno che dai
sistemi romani di attacco delle fortificazioni. Secondo Vegezio (celebre autore di
“De re militari”) lo scavo si poteva effettuare talvolta nel muro, altre volte nel
terreno. I puntelli erano chiamati ligneae columnae o sublices e la loro
carbonizzazione avveniva dopo l’aspersione di pece e nafta.
Secondo altri autori, i puntelli, invece di essere bruciati, potevano essere strappati
via dal loro posto con un argano (il verrochium). Tutte le tecniche appena
descritte, come anche lo sfaldamento delle fondazioni dell’opera da demolire,
trovano applicazione ancora al giorno d’oggi, ed il loro funzionamento è spiegato
nel II capitolo del presente testo.
È anche documentato un procedimento secondo il quale un foro di demolizione,
iniziato a mano, si faceva allargare formandovi dentro e alimentandovi un fuoco
in un fornello (le cosiddette “mine di Erone”) oppure attraverso mezzi chimici
oggi non ben noti ma conosciuti dai Greci, e dai Romani chiamati acetum 1).
A volte il distacco di grossi frammenti di pietra o muratura mista poteva avvenire
attraverso l’introduzione una serie di cunei, infissi a colpi di mazza nella linea di
distacco prefissata, e battuti tutti progressivamente, come si fa tutt’oggi nella
cavatura delle pietre.
14
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Tutti questi procedimenti, altro non sono che i predecessori della moderna tecnica
che utilizza i cosiddetti spaccaroccia meccanici e chimici, descritti in seguito nel
capitolo relativo alle tecniche.
1) Vedere anche in Dione Cassio il racconto dell'assedio di Eleuteria da parte di Quinto Cecilio
Metello, 148 a. C.; oppure le notizie dell’impiego di tali materiali per il traforo del Furlo sulla via
Flaminia, nell'epigrafe appostavi; e confrontare con la “Poliorcetica” di Apollodoro, con la
descrizione di un fornello speciale per demolizioni.
15
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Il problema culturale della demolizione:
Il concetto di demolizione secondo la visione tradizionale ed alla
luce dei nuovi principi dello sviluppo sostenibile
Negli ultimi decenni si è andata pian piano maturando nella società e nella
mentalità comune, una nuova sensibilità ed attenzione nei confronti
dell’ambiente.
Tra i concetti principali che caratterizzano questo nuovo approccio nei confronti
dell’ambiente, troviamo: una limitazione del consumo delle fonti di energia non
rinnovabili, un concezione dello sviluppo non indiscriminato e fagocitante, ma
che si curi di riprodurre in parte, i beni che vengono consumati; infine
l’importantissimo concetto del riciclaggio applicato in tutti i campi.
Naturalmente questa nuova mentalità ed i suoi principi, si sono trasferiti anche
nell’architettura e nel mondo dell’edilizia portando alla nascita del concetto di
architettura sostenibile.
Quest’ultima prevede tra i
controllata, bassi consumi
fonti energetiche ordinarie,
base della bioarchitettura),
materiale.
suoi punti cardine: una urbanizzazione ordinata e
energetici realizzati attraverso l’integrazione delle
con fonti energetiche naturali rinnovabili (principio
il riciclaggio della maggiore quantità possibile di
Prima di analizzare le conseguenze dell’applicazione dello sviluppo sostenibile in
architettura, andiamo a conoscere l’evoluzione di questo concetto negli ultimi
anni, fissando due definizioni di architettura sostenibile: quella cosiddetta
tradizionale ed una più innovativa.
Secondo la concezione che è possibile definire “tradizionale” lo sviluppo
sostenibile si ritiene possa essere perseguito costruendo edifici che durino il più a
lungo possibile, con materiali ecocompatibili di elevata affidabilità, intervenendo
con periodiche manutenzioni per prolungare la sopravvivenza, la cui fine non può
essere sancita aprioristicamente.
All’opposto, la concezione che si può definire “innovativa” prevede la
demolizione dell’edificio ed il riciclaggio dei prodotti residui una volta che esso
non si dimostri più idoneo sotto il profilo funzionale e tecnologico, il che ai nostri
giorni avviene entro periodi temporali molto brevi poiché i processi di
obsolescenza fisica sono molto più rapidi rispetto al passato.
Come è stato possibile dedurre dalle due definizioni poc’anzi espresse, i fattore
tempo e la sua limitazione, sono ciò che definisce la differenza tra le due
concezioni: limitare a monte la durata dell’opera o tentare di prolungarla il più
possibile.
A questo punto, una volta focalizzato questo fattore cardine, cioè il tempo e la
sua limitazione, è impossibile evitare una profonda riflessione sul significato che
16
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
l’architettura ed il progetto architettonico assumono in rapporto ad una sua
durabilità predefinita.
Come qualunque oggetto nato da un impulso creativo artistico, anche un’opera di
architettura è leggibile sotto due istanze, quella fisica, che si manifesta
nell’aspetto costruttivo di un edificio, ed quella spirituale, relativa alla valenza
simbolica che un’opera di architettonica assume, quando viene progettata; viene
dunque naturale porsi alcune domande di tipo esistenziale: come è possibile
progettare un’opera architettonica, sapendo che la durata di quest’ultima è
limitata nel tempo? Quale ruolo di rappresentanza può assumere un’opera così
destinata a non durare? Sapendo che la durevolezza non è più un requisito
richiesto, non seguirà forse automaticamente, da parte del progettista, un
abbassamento qualitativo generale del progetto? Di conseguenza è proprio
necessario demolire, o meglio, progettare di demolire tutto? A questo ed altri
dubbi proverò a dare risposta in questa breve introduzione, in primo luogo
analizzando quali possono essere i motivi cardine che, in base ai principi dello
sviluppo sostenibile, portano a limitare a priori la durata della vita media di un
edificio.
Si può assumere che l’utilità di un edificio venga meno a causa di tre motivi
basilari:
- perdita dei requisiti puramente tecnici di efficienza funzionale
(deterioramento dello stabile, non rispondenza dello stesso a nuove norme di
sicurezza);
- incapacità dell’organismo di rispondere alla mutazione delle esigenze dei
fruitori;
- valenze semantiche e simboliche dell’opera architettonica non più corrisposte
dal contesto sociale.
Si noti che sussiste un parallelismo tra i suddetti tre motivi, e la triade vitruviana
di firmitas - utilitas – venustas: quando si parla di perdita di efficienza funzionale
altro non si tratta che di firmitas, in senso più vasto; l’utilitas è rappresentata
dalle esigenze dei fruitori, mentre invece la venustas si potrebbe associare alle
valenze simboliche di un’opera di architettura, cioè l’aspetto più astratto e meno
legato a fattori materiali. In pratica quando viene meno uno degli elementi della
triade, e gli eventuali costi per risarcirlo sono troppo elevati, si può profilare
l’ipotesi della dismissione e dunque della demolizione.
I primi due motivi si possono ricondurre a puri parametri di natura economica: è
facile comprendere che la perdita di efficienza funzionale potrebbe essere ovviata
con la semplice manutenzione dello stabile, ma spesso la convenienza economica
diventa un vincolo che si oppone a queste operazioni di mantenimento in
efficienza.
Questa situazione si riscontra nei casi della cosiddetta architettura hi-tech:
essendo l’alto contenuto tecnologico la caratteristica principale di questa
tendenza architettonica, è facile immaginare che, non solo la costruzione, ma
17
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
anche la manutenzione e gestione di questi edifici risulta economicamente molto
gravosa.
Un esempio lampante di questo caso è quello
dell’illustre Hong Kong & Shanghai Banking
Corporation progettato da Norman Foster: il
contratto di progettazione e costruzione
prevede infatti una vita di esercizio di soli 50
anni, questo perché nel programma di gestione
si è verificato che allo scadere di questo
periodo il costo per la manutenzione ordinaria
sarà talmente elevato da non rendere più
conveniente il suo utilizzo. Si prevede quindi
che allo scadere del suo ciclo vitale l’edificio
verrà smontato1).
Così come il primo, anche il secondo motivo è
riconducibile a parametri di scelta puramente
Hong Kong & Shanghai
Banking Corporation
economici: il cambio di destinazione d’uso per mutate esigenze dei fruitori, a
volte comporta dei costi che non sempre possono essere coperti dai guadagni che
la mutata funzione potrebbe portare.
Ne abbiamo un esempio italiano con le “Vele di Scampìa” nel quartiere di
Secondigliano a Napoli (il progetto delle Vele e la demolizione di alcune di esse
sarà ampiamente trattato nel resto del testo): questo ardito progetto appartiene e
documenta storicamente quel filone del pensiero architettonico conosciuto come
tendenza megastrutturista che, nel secondo dopoguerra e fino agli anni ’60, si
sviluppo in quasi tutti i paesi occidentali. Purtroppo subito dopo la costruzione
dell’opera (e in verità anche durante), questa divenne un luogo dove abbandono,
degrado, emarginazione sociale e microcriminalità regnavano indisturbate, anche
partendo dal fatto che non solo il lavoro fu realizzato difformemente rispetto al
progetto originale, ma fu anche lasciato incompleto, privo di ascensori e misure
sanitarie e di igiene pubblica.
Dopo anni di discussioni e polemiche, si è
deciso di intervenire in maniera ibrida, tentando
di soddisfare sia l’esigenza economica, sia
quella sociale: nonostante l’intervento più
economicamente conveniente sarebbe stato una
demolizione
totale,
rispetto
ad
una
ristrutturazione completa degli edifici, si è
deciso di demolire soltanto due vele e
ristrutturare il resto adibendolo a funzioni
diverse.
Le “Vele” di Scampìa
Tornando al nostro discorso, si comprende che solo il terzo motivo, (valenze
simboliche dell’opera non più corrisposte dal contesto sociale), può essere
ricondotto a parametri di scelta culturali e non economici: un teorico esempio
potrebbe essere costituito dal Complesso del Vittoriano (Monumento al Milite
18
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Ignoto) sito in piazza Venezia a Roma, da decenni oggetto di ardenti discussioni
sulla sua ubicazione e contestualizzazione all’interno del centro storico romano.
Comunque, qualunque sia il motivo, si sta oramai assistendo alla progressiva
sistematizzazione e istituzionalizzazione all’interno del processo edilizio
convenzionale dell’operazione di dismissione e demolizione: laddove il processo
edilizio tradizionalmente inteso si concludeva con le attività di gestione
dell’edificio lasciando indeterminato (o perlomeno subordinato agli interventi di
manutenzione) il ciclo di vita, si sono aggiunte le attività che delimitano
l’orizzonte temporale della costruzione.
Appare perciò evidente la necessità di uno studio ed di un approfondimento
dell’argomento “demolizione” nei suoi vari aspetti, quali possono essere: le
tecniche, l’aspetto economico, organizzazione e dei procedimenti costruttivi e
dell’iter progettuale, il quadro normativo vigente etc.; ovviamente ognuno di
questi aspetti si differenzia a seconda dell’oggetto e della tipologia su cui ci si
trova a dover intervenire.
Come è trasparso dalle definizioni iniziali, l’importanza che la fase della
demolizione può assume re all’interno della vita di un’opera architettonica, varia
in funzione di quanto ci si avvicini ad una visione moderna di sviluppo ed
architettura sostenibile, od allo stesso tempo ci si allontani dalla visione più
tradizionale: in pratica conta molto il fattore culturale per un approccio alla
demolizione.
Vediamo infatti che da sempre la concezione tradizionale del costruire bene, pone
come attributo, qualità imprescindibile del costruito, quella della sua durevolezza
nel tempo, cioè la capacità dell’organismo di resistere all’usura che deriva dalla
sua fruizione ed in generale dallo scorrere del tempo.
All’idea di durata, è senza dubbio affiancato il concetto di conservazione, di
manutenzione, in quanto operazioni finalizzate a prolungare la vita dell’edificio
per riaffermare il suo valore artistico e simbolico, e ripristinare i suoi requisiti
tecnici e funzionali; ovviamente, il suddetto modus agendi contrasta con forza la
filosofia “dell’usa e getta” basato su parametri esclusivamente di convenienza
economica.
Come abbiamo accennato in precedenza, sul significato di permanenza si fonda
da sempre il desiderio dell’uomo di rappresentare con l’opera architettonica
valori trasmissibili nel tempo, che non siano solo quelli di natura funzionale e
tecnica ma siano portatori anche di connotati simbolici, culturali, storici:
un’opera di elevato contenuto qualitativo da custodire e consegnare ai posteri,
non come ingombrante fardello ma come prezioso patrimonio.
Con l’avvento della rivoluzione industriale, nuove concezioni si presentarono
all’orizzonte: la produzione seriale che l’industria era capace di fornire, influenzò
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
anche la visione della casa e dell’architettura in genere: il Crystal Palace di
Joseph Paxton ci fornisce la rappresentazione perfetta di questo concetto.
Crystal Palace di Joseph Paxton
Il Crystal Palace 2), edificato per l’Esposizione Universale di Londra nel 1851, e
totalmente realizzato dall’assemblaggio in opera di una piccola gamma di
elementi costruttivi prefabbricati in officina (la colonna in ghisa, la trave
reticolare, la lastra in vetro, l’arcata in legno), determina una svolta percettiva e
progettuale decisiva dalla quale non si potrà più prescindere. Non potendo
dilungarmi troppo in questa sede, ed analizzare gli svariati aspetti di quest’opera,
mi limiterò a sottolineare solo ciò che può essere utile al nostro discorso: è
interessante notare come, poiché il Crystal Palace è stato concepito come un
prodotto industriale, ne possiede anche tutte le qualità e gli attributi, compresa la
possibilità
di
demolizione
concepita
come
smontabilità.
Innanzitutto
l’accelerazione dei procedimenti costruttivo: sarà infatti costruito in poco più di
quattro mesi; la trasportabilità :solo un anno dopo sarà smontato da Hyde Park,
spostato e rimontato a Sydeham con qualche piccola modifica; la semplificazione:
la modularità degli elementi non lascia spazio ad errori in fase esecutiva; la
grande dimensione: sarà ampio come tre volte San Petro ed ingloberà al suo
interno gli alti alberi del parco; il record produttivo: il materiale impiegato è
uguale ad un terzo della produzione del vetro in un anno di tutta l’Inghilterra.
Il Crystal Palace rappresenta anche il primo esempio di ciò che viene definita
“architettura temporanea”: ossia quello stile architettonico tipico di opera
concepite per funzioni non permanenti quali ad esempio manifestazioni e fiere;
non sempre però al giorno d’oggi questo stile corrisponde una reale smontabilità
od intenzione di permettere il trasferimento l’opera da una locazione ad un’altra.
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Nell’ambito della concezione di temporaneità dell’architettura, visione meno
tradizionale e più moderna, abbiamo sinora trattato opere la cui limitata durata
nel tempo era stata già decisa in fase progettuale; come è naturale pensare il caso
più semplice di impiego della demolizione è invece costituito da edifici la cui
necessaria dismissione è dovuta ad un avanzato stato di degrado: a differenza del
passato in cui il degrado poteva solo essere dovuto all’usura del tempo, oggi, con
l’introduzione di tecnologie e materiali non ancora sperimentati nella loro
affidabilità e durabilità, si è avuto una rapida obsolescenza di alcune opere di
architettura moderna; se queste, per la maggior parte hanno superato il periodo di
sopravvivenza ipotizzato dai loro autori lo si deve al fatto che ad esse i posteri
hanno riconosciuto un valore architettonico e simbolico prima che documentario,
rimediando ad una consistenza tecnica insufficiente nei confronti dell’azione del
tempo, attraverso complessi, numerosi e costosi interventi di restauro e
conservazione.
Basti per tutti il celebre esempio di Ville Savoye di Le Corbusier, che, in quasi
settant’anni di vita, è giunta oramai al terzo intervento di rifacimento,
prevalentemente a causa del forte degrado per carbonatazione del calcestruzzo.
Lo stesso discorso dell’ Hong Kong & Shanghai Bank vale per il centro
Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers a Parigi: le immani spese di
manutenzione altamente tecnologica e specializzata hanno difficoltà ad essere
coperte dai guadagni.
Se è possibile dare una definizione della tendenza odierna nei confronti della
demolizione in rapporto all’architettura, si potrebbe dire che il manufatto oggi è
visto più come un bene non permanente e non trasmissibile integralmente nel
tempo, ma piuttosto temporaneo, e ciò non per una pre-limitazione della durata a
monte, ma piuttosto per coscienza della naturale limitatezza temporale del
prodotto. Si sottende così il concetto di reversibilità del processo di costruzione,
che riporta al ripristino delle condizioni ambientali originali.
E’ una visione più attenta agli aspetti ambientalistici, in cui la natura e l’ambiente
sono visti come l’unica risorsa permanente, mentre tutto ciò che è prodotto
dall’attività umana è soggetto a deperire e disintegrarsi.
21
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
E’ immediato comprendere come quest’ultima visione e quest’atteggiamento
culturale nei confronti della demolizione, risultino i più equilibrati, i più
bilanciati, i più auspicabili.
A seguito delle analisi compiute in questa breve introduzione, sul problema
dell’approccio culturale nei confronti della demolizione, mi appare ora più chiaro
come rispondere ai quesiti che ci siamo posti all’inizio di questo paragrafo: a mio
parere, la giusta mentalità dovrebbe essere quella secondo la quale il limite
ultimo della vita di un’opera di architettura non dovrebbe essere deciso a priori,
bensì dovrebbe essere data la possibilità di dismettere e demolire l’edificio; cioè
fin dalla fase progettuale, ciò che dovrebbe essere premeditato, non è l’ultima ora
dell’organismo, bensì la potenzialità che quest’ultimo deve contenere in se stesso
di essere demolibile, o meglio smontabile, e permettere ovviamente una forte
riciclabilità di tutti i suoi componenti.
La riciclabilità (ampiamente trattata nel seguito dell’opera) e la possibilità di
smontare un organismo edilizio, sono fattori che possono e devono essere decisi
in fase progettuale, lasciando così ai posteri la scelta e non l’obbligo di demolire,
considerando anche il fatto che ciò che a noi oggi può sembrare di poca
importanza e la cui gestione e manutenzione poco conveniente, in futuro potrebbe
assumere altri significati e valenze che oggi non siamo in grado di vedere.
Naturalmente la possibilità di smontare un organismo edilizio, piuttosto che
demolirlo, è fortemente influenzata da aspetti tecnico-costruttivi: il procedimento
costruttivo, che caratterizza un’opera, ed in particolare il tipo di unione tra gli
elementi, sono i fattori che, dal punto di vista pratico, permettono uno
smantellamento facile e veloce dell’edificio, ed una conseguente riciclabilità dei
suoi componenti.
Per quanto riguarda lo scheletro, un’ossatura portante realizzata in acciaio con
unioni bullonate manifesta immediatamente la sua potenzialità di essere
smontata; la stessa operazione diventa già più complicata per una struttura in
muratura portante, ed anche per riciclare i mattoni si necessita di particolari
operazioni di pulitura.
Un’interessante soluzione progettuale ci è fornita da alcune opere di Renzo
Piano, che, per il complesso residenziale di Rue de Meaux (Parigi 1991) propone,
attraverso la tecnica dell’assemblaggio a secco, dei componenti di facciata in
laterizio montati su telai metallici.
Complesso
residenziale Rue
de Meaux (Parigi
1991) di Renzo
Piano
22
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Particolari di facciata
Situazione ben diversa è quella rappresentata dalle costruzioni con ossatura in
cemento armato: il calcestruzzo, per sua caratteristica intrinseca permette solo
unioni di tipo “bagnato”, senza soluzioni di continuità; è per questo che in genere
non si può parlare di smontabilità di un edificio in calcestruzzo armato, ma solo
di demolizione vera e propria, che richiede mezzi e tecniche ad hoc, e che
necessariamente impone la rottura dell’elemento costruttivo funzionale (e.c.f.);
un caso a parte è costituito da quelle costruzioni in c.a.o. oppure c.a.p., in cui può
capitare che gli e.c.f. stessi siano elementi prefabbricati da assemblare in opera.
Ma di questo avremo tutto il tempo di parlare, essendo la demolizione delle opere
in calcestruzzo il tema di questa ricerca.
1)
Per ulteriori approfondimenti vedere “Innovazione tecnologica ed architettura” – Laura
Angeletti – Gangemi Editore.
2)
Vedi anche “Architettura del ferro” - Roisecco
23
Capitolo 1
LA PROGETTAZIONE
DEMOLIZIONE
I Presupposti Teorici della Demolizione
DI
UN
INTERVENTO
DI
Il presente paragrafo si prefigge l’obiettivo di spiegare nel dettaglio quali siano le
fasi di un processo progettuale di un intervento di demolizione, analizzando tutti
quei fattori che interagiscono in tale iter e risultano essere poi determinanti al fine
della scelta della tecnologia da utilizzare.
La presente relazione, si riferisce essenzialmente ad un intervento di demolizione
cosiddetto complesso, cioè che interessa un organismo articolato, comprensivo di
un rapporto col contesto che non può essere ignorato. Di conseguenza la
trattazione dovrà necessariamente partire, in primo luogo dagli aspetti più
generali, per poi arrivare alle conseguenza tecniche più specifiche.
In generale si può dire che, un attività di progettazione applicata ad una
demolizione, sia essa totale o parziale, indifferenziata o selettiva, è un atto
pianificatorio che ha come scopo finale quello di arrivare alla scelta di un
tecnica (con annesso procedimento) di demolizione, che parta da un insieme di
vincoli progettuali di vario tipo, mirando alla minimizzazione dell’impatto
economico (in primo luogo), ed ambientale sul contesto circostante.
È stata già illustrata in precedenza, l’importanza del concetto di riciclo applicato
all’industria delle demolizioni, in particolare dal punto di vista dell’impatto
ambientale che tale intervento comporta specie se è di grande scala.
Il fatto interessante da notare è che, al contrario della mentalità comune, il
rispetto ambientale e la convenienza economica di un intervento (di qualsiasi
genere esso sia, non solamente finalizzato ad uno smantellamento), non sono
necessariamente in contrasto tra di loro: cioè un progetto di abbattimento ben
pensato, potrà facilmente risultare economicamente conveniente, se fin dall’inizio
sarà data sufficiente rilevanza al discorso del riciclo.
Quindi un intervento di demolizione ben progettato non solo non potrà
prescindere dalle conseguenze apportate dal riuso, ma anzi dovrà essere pensato
in modo tale da facilitare ed ottimizzare tali procedure.
Il “suolo di demolizione”
Come premesso, si è deciso di esaminare il caso di smantellamento di un
organismo complesso, in modo da avere l’occasione di trattare tutti i possibili
fattori che possono influenzare il relativo processo di progettazione. Di
conseguenza non è possibile limitare l’analisi al solo lotto occupato
dall’organismo dismesso, ma è necessario allargare lo sguardo ad un concetto più
vasto di “suolo di demolizione”; l’estensione di questo lotto virtuale non è
definibile a priori, ma può variare di volta in volta, a seconda della tipologia di
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
edificio considerato, in particolare della sua destinazione d’uso, ed anche in
funzione della tecnologia che si decide di adoperare.
La destinazione d’uso di un edificio, ricopre un ruolo fondamentale per la
definizione del suolo di demolizione, è infatti necessario conoscere il tipo di
attività che si svolgeva nell’edificio durante il suo periodo di servizio, con
particolare riguardo alla possibilità di riscontrare attività di tipo industriale, dalle
caratteristiche particolarmente inquinanti nei confronti del contesto: il rischio è
che eventuali sostanze tossiche presenti nel corpo dell’edificio stesso (all’interno
delle varie reti impiantistiche, ad esempio), oppure semplicemente contenute in
esso (vedi esempio serbatoi industriali anche se già svuotati), possano, in seguito
alla demolizione, essere liberati nell’ambiente e, permeando il terreno sottostante,
inquinarlo irrimediabilmente.
Si comprende come la tecnica di demolizione che si decida di utilizzare, sia
fortemente legata al questo discorso: è evidente che un organismo edilizio
costituito da elevato tasso di componenti dannosi per l’ambiente, richieda un tipo
di demolizione selettiva, che dia l’occasione di attuare preventivamente una
selezione tra i vari componenti edilizi, allontanando quelli pericolosi prima di
eseguire l’abbattimento vero e proprio dell’ossatura.
È quindi possibile definire una specie di raggio d’azione dell’eventuale
danneggiamento delle adiacenze, che allarga automaticamente le dimensioni del
sito interessato, comprendendo anche i lotti di pertinenza di edifici adiacenti che
potrebbero risentire di detto processo demolitivo; più in generale, questa
possibile interazione (enucleata in seguito) tra l’organismo interessato dallo
smantellamento, e le adiacenze potrà variare in funzione dei seguenti fattori:
a. possibili danni per inquinamento;
b. possibili danni
demolizione;
dovuti
ad
azioni
meccaniche
relative
alle
fasi
della
c. possibili fastidi arrecati agli abitanti delle adiacenze, causati dalla presenza
del cantiere stesso.
a) Al fine di evitare eventuali nocivi e difficilmente-recuperabili, danni per
inquinamento, è necessario prevedere a monte (ancor prima della fase
progettuale, bensì durante quella programmatica) una serie di analisi del sito
interessato, atte a definire le caratteristiche geologiche, per comprendere quanto
lontano si possa estendere un eventuale inquinamento del terreno.
Tra le principali analisi da eseguire, si segnalano le seguenti:
-
accurato rilievo topografico dell’area interessata;
- analisi geologiche e litologiche, finalizzate alla valutazione della permeabilità
del terreno nel caso di contaminazione del suolo;
- studi idrogeologici: fondamentali per conoscere la circolazione idrica
sotterranea, sempre in vista di un suo possibile inquinamento, (con ulteriore
estensione del danno)
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
- studi dell’idrologia superficiale: per valutare i corsi d’acqua potenzialmente
inquinabili durante i lavori di demolizione;
- studio dell’uso del suolo, al fine di valutare l’eventuale presenza di cave o
aree di escavazione sotterranee;
- situazione archeologica: per evitare ritrovamenti archeologici improvvisi che
allungherebbero asintoticamente (se non addirittura bloccherebbero) i lavori in
corso;
-
presenza di reti impiantistiche sotterranee, con eventuali serbatoi annessi;
b) La tipologia di danni dovuti ad azioni meccaniche, relative alle varie fasi della
demolizione, sono generalmente funzione del tipo di tecnica utilizzata. In primo
luogo bisogna distinguere tra i danni apportati al contesto e quei danni
indesiderati, apportati all’edificio stesso in questione: è evidente che quest’ultima
situazione si può verificare solo nel caso in cui si stia eseguendo una demolizione
parziale (che interessa perciò solo parte dell’organismo edilizio), con l’intenzione
di lasciare intatto il resto della struttura.
Fatta questa differenziazione, si puntualizza che i rischi di seguito trattati saranno
solo quelli nei confronti del contesto circostante.
In particolare, la relazione tra la tecnica di demolizione utilizzata e la possibilità
di danneggiamento, si manifesta col fatto che la magnitudine stessa del danno,
cresce in funzione del livello di distruzione apportabile dalla tecnica scelta: è
chiaro che l’uso dell’esplosivo, ad esempio, se non accuratamente progettato,
potrebbe comportare diversi “effetti” collaterali, quali ad esempio, la proiezione
di macerie, le sovrappressioni nell’aria causate dall’esplosione, l’impatto al suolo
di parti del corpo di fabbrica, non adeguatamente frazionate, etc.; quest’ultimo
dannoso effetto secondario, è comune anche all’uso del martello demolitore
idraulico, con l’aggiunta di forti vibrazioni indotte, per intervalli di tempo
prolungati.
Per contro, una demolizione eseguita attraverso una graduale rimozione degli
elementi costruttivi, tramite, ad esempio il taglio del calcestruzzo con utensili
diamantati, comporta un livello di rischio di danneggiamento sensibilmente
minore.
Nel capitolo relativo alle tecnologie sono illustrati, tra l’altro, gli eventuali
svantaggi di ciascuna tecnologia.
c) Anche l’ultimo punto, cioè quello relativo ai disagi causati dalla presenza del
cantiere stesso, nei confronti della popolazione abitante nelle adiacenze, concorre
ad allargare sensibilmente l’estensione di ciò che abbiamo definito “suolo di
demolizione”. Una buona organizzazione del cantiere sarà tale da minimizzare il
contributo apportato da questo fattore, all’estensione dell’area in soggetto,
diminuendo quindi il più possibile i possibili intralci che un cantiere comporta
alle vicinanze.
26
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Detto ciò, si può comprendere come la progettazione stessa dovrà svolgersi su
due diverse scale di grandezza: in un primo tempo sarà valutato su una scala più
vasta, per poi arrivare ad una scala locale, più circoscritta.
Fattori subentranti nella scelta di una tecnologia
La scelta della tecnologia da utilizzare in un interevento di demolizione,
rappresenta l’obiettivo finale di un processo progettuale, il quale, per fornire dei
risultati convenienti sotto vari punti di vista, dovrà prendere in considerazione
tutti quei fattori che possono influenzare tale iter progettuale.
Col presente paragrafo, si intende effettuare un’approfondita enucleazione delle
possibili variabili in gioco durante un atto pianificatorio di un’attività di
smantellamento, fornendo alla fine un quadro di interrelazioni tra i diversi
fattori ed i possibili risultati progettuali.
In generale, si può iniziare classificando tali fattori principali che subentrano
durante la fase decisionale, influendo fortemente sulla scelta finale della
tecnologia:
1. Motivi ed obiettivi estrinseci;
2. Vincoli contestuali;
3. Componente economica;
4. Fattore ambientale;
5. Principi di sicurezza.
In verità il quarto fattore, ossia quello ambientale, potrebbe rientrare all’interno
dei discorsi relativi alla sicurezza, ma vista la grande importanza che riveste, si è
deciso di trattarlo separatamente.
Motivi ed obiettivi estrinseci
Tra le cinque categorie, quella indicata come prima, risulta essere la più generica,
cioè quella che, senza entrare nella specificità, è capace di influenzare la
decisione della tecnica da adoperare.
In generale, si può iniziare dicendo che lo smantellamento di un organismo
edilizio, può avvenire essenzialmente in due casi: quando siano presenti dei
motivi impellenti che “spingano da monte” ad eliminare un immobile, oppure
quando ci siano degli obiettivi particolari che “attirino da valle” questa drastica
decisione; può anche accadere che motivi ed obiettivi coesistano nello stesso
momento decisionale, motivando maggiormente la suddetta decisione.
Nel caso in cui non ci siano vincoli particolari che caratterizzino la scelta
progettuale, spesso può accadere che il fattore principale che la influenzi, sia
27
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
proprio il motivo stesso che spinge alla demolizione; le principali cause in
questione, possono essere classificate come segue:
a) disagibilità dell’immobile, causata da
ß
a1 ) motivi di sicurezza;
b) perdita di utilità dell’immobile, causata da
ß
b1 ) inefficienza funzionale;
Entrambe le motivazioni possono valere sia globalmente su tutto l’immobile, che
in maniera locale solo su parte di esso; a seconda che la disagibilità / inutilità sia
globale o locale, il tipo di demolizione potrà essere totale, parziale, o addirittura
solamente superficiale (nel caso ad esempio di degrado superficiale di un
elemento costruttivo).
Similmente anche gli obiettivi che portano a decidere di smantellare un immobile,
possono interessare tutto l’organismo, parte degli spazi che esso comprende, od
anche solamente alcuni degli elementi costruttivi che lo costituiscono: quindi nel
caso si voglia liberare totalmente il suolo occupato, si opterà per una tecnica che
porti alla demolizione totale, oppure si utilizzerà una delle varie tecniche di
demolizione controllata, nel caso si voglia limitare l’intervento ad un numero
limitato di componenti del corpo di fabbrica.
Approfondendo le due categorie di cause che possono motivare una demolizione,
si può ulteriormente suddividere la classe a) (relativa alla sicurezza
dell’immobile) nelle seguenti sottocategorie:
- sicurezza statica dell’organismo: perturbata (in maniera irrecuperabile) da
eventi eccezionali naturali e non (sisma, esplosioni…), o da semplice degrado
avanzato delle strutture portanti;
- sicurezza delle reti impiantistiche: fondamentale nel caso di edifici di tipo
industriale, causata da una mancata manutenzione che ha portato nel tempo ad un
degrado irrecuperabile, oppure da una difformità rispetto alle direttive normative
vigenti.
La categoria b) - relativa alla perdita di utilità dell’immobile – è totalmente libera
da qualsiasi fattore di pericolo per gli utenti, e si presenta spesso nel caso di
edifici “ad alto tasso di specificità”: per quegli edifici, solitamente adibiti a
produzioni industriali altamente tecnologiche, le cui funzioni interne risultino
essere fortemente specifiche, può accadere che, con l'ammodernamento degli
impianti produttivi interni, gli spazi non risultino più funzionali alle attività che si
svolgevano al loro interno. Si può quindi sintetizzare la situazione illustrata con
una generica inadattabilità dell’immobile a soddisfare le mutate esigenze
funzionali interne.
Un celebre esempio di totale inefficienza funzionale, che però non ha portato alla
demolizione, ma ad un più semplice e conveniente cambio di destinazione d’uso,
è rappresentato dal “Lingotto” di Torino: ex stabilimento di produzione della
FIAT, progettato dall'ing. Mattè Trucco, il Lingotto viene ristrutturato su progetto
dell'Arch. Renzo Piano negli anni ottanta.
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Il
Centro
polifunzionale
del
Lingotto ora comprende: centro
congressi,
hotel,
centro
fiere,
business
center,
gallerie
commerciali e parcheggi. Sulla
sommità della torre sud si trova la
“Bolla”: sala Vip panoramica da 25
posti costruita in cristallo e acciaio.
Al suo fianco si può vedere
l'eliporto sospeso che permette un
rapido collegamento con l'Aeroporto
di Torino - Caselle.
Quest’approfondimento sulle tipologie di possibili motivazioni che stanno alle
spalle di un progetto di abbattimento, è necessario poiché sono proprio queste
generiche necessità che spesso orientano sulla scelta della tipologia di
demolizione da eseguire. Si faccia attenzione che non si sta ancora affrontando il
tipo di tecnica, ma semplicemente la tipologia di approccio all’intervento: in
pratica si sta decidendo quanto invasivo dovrà essere l’intervento, e di
conseguenza, che grado di distruzione apporterà all’organismo edilizio in
questione.
Di seguito vengono classificati ed analizzante i possibili approcci ad un intervento
di demolizione.
Metodologie di intervento
La prima distinzione che è possibile fare, è quella tra una demolizione totale, ed
una cosiddetta demolizione controllata.
Per demolizione totale si intende un operazione fortemente distruttiva, finalizzata
all’eliminazione totale dell’oggetto, nei tempi più brevi possibili e, generalmente,
con la minima considerazione al contesto circostante. All’interno di questa
tipologia di approccio, rientrano ovviamente le tecniche più distruttive, che sono
poi anche quelle più note: l’esplosivistica civile, la palla demolitrice, il martello
demolitore, l’abbattimento per spinta o trazione tramite benna, etc. L’alto
potenziale distruttivo di queste tecniche, ed in generale della tipologia
d’approccio in questione, necessita solitamente di spazi liberi e di ridotti vincoli
contestuali (di vario genere, non solo volumetrico – vedi par. seguente “Vincoli
Contesutali”).
29
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
È altresì necessario puntualizzare che
negli ultimi anni, l’uso dell’esplosivo
si raffinato molto: se all’inizio del
secolo, il suo uso comportava
abbattimento totali e mediamente
incontrollabili,
recentemente,
con
l’introduzione delle micro-cariche
ritardate e tramite competenze
strutturali specifiche, è possibile
controllare
perfettamente
la
traiettoria di caduta del manufatto da
demolire, ed anche tutti quei dannosi
effetti secondari (proiezione di
frammenti, nubi di polveri, sovra -
Demolizione totale del villaggio Coppola -Siag
pressioni in aria, shock dinamici su terreno, trasmissione di vibrazioni sul
terreno), di cui si tratterà in seguito, nel paragrafo relativo.
La demolizione controllata, pur essendo leggermente meno nota, è comunque
fondamentale nella vita di un edificio: in questa definizione rientrano tutte quelle
operazione di parziale smantellamento di un organismo edilizio; questa rimozione
controllata può essere pensata ed applicata a diversi oggetti: dall’eliminazione di
una trancia di edificio, a quella di una solo elemento funzionale (sia esso
costruttivo o strutturale), fino ad arrivare alla rimozione della singole
stratificazioni di un elemento funzionale. La forte versatilità di questo genere di
operazioni, le rende utili non solo nella fase finale del ciclo di vita di un edificio,
ma anche durante le fasi intermedie, qualora risultasse necessaria una modifica
all’impostazione iniziale.
Quindi in questa categoria rientra qualsiasi operazione tipica di un intervento di
ristrutturazione o consolidamento.
Si ricorda che in questa ricerca si è ritenuto opportuno
trattare la sola demolizione di opere in calcestruzzo
armato, quindi la trattazione di rimozione di elementi
costruttivi non strutturali, attraverso interventi di
demolizione controllata, non rientra nelle finalità di
questo testo. In questo genere di operazioni rientrano
un vasta gamma di tecniche: la maggior parte di esse
si basa sul principio del taglio vero e proprio
dell’elemento strutturale, tramite particolari strumenti
rotanti dagli spigoli diamantati, oppure tramite
tecniche basate sull’antico principio del scalpello
(inserimento cuneo e sua battitura sino all’ottenimento del distacco tra due parti).
Tutte le tecniche accennate saranno approfondite nel relativo capitolo sulle
Tecniche di Demolizione.
30
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
La seconda classificazione tra le tipologie di approccio alla demolizione è quella
tra una demolizione indifferenziata ed una demolizione selettiva.
Una demolizione indifferenziata è un genere di intervento che non permette
nessuna cernita delle componenti edilizie o dei materiali appartenenti
nell’organismo da abbattere. La suddetta cernita potrebbe essere fatta
immediatamente prima dell’intervento o subito dopo, ma la particolare tecnica
scelta ed il suo potenziale distruttivo, la renderebbero troppo laboriosa.
Si comprende quindi che questa selezione, da fare a monte o a valle
dell’intervento, è essenzialmente finalizzata ad un riutilizzo delle componenti o
dei materiali ottenuti dalla demolizione.
Per quanto riguarda la selezione eseguita prima della demolizione, è oramai
diventata una pratica corrente, e consiste in uno smontaggio di tutti quegli
elementi costruttivi costituiti da materiale riciclabile, altresì pericoloso, ovvero
inquinante ai fini dell’ambiente; è così che vengono preventivamente smontati
tutti i serramenti interni e esterni, i rivestimenti orizzontali pregiati, gli apparecchi
sanitari e le componenti impiantistiche riutilizzabili, come anche le stratificazioni
di impermeabilizzazione e di isolamento, controsoffitti, serbatoi e componenti
impiantistiche pericolose.
Una demolizione selettiva consiste quindi in un approccio ancora più delicato:
oltre allo smontaggio ed alla cernita iniziale, si prevede anche una selezione, più o
meno rigorosa, che segua la fase dell’abbattimento vero e proprio. In questa
seconda selezione, si classificano e si esegue lo stoccaggio separato dei cosiddetti
rifiuti C. & D. (Construction & Demolition). Se è stata effettuata la prima
separazione, il cumulo di macerie che resta dopo un abbattimento è per lo più
costituito da materiale lapideo (muratura di vario genere, appartenente alle
partizione verticali esterne ed interne, e calcestruzzo dello scheletro portante): ciò
che solitamente può risultare utile separare, anche in base alla relativa richiesta
del mercato, è il calcestruzzo ed i ferri d’armatura.
Il calcestruzzo può essere trattato
e
lavorato
(processi
di
frantumazione in loco, o in siti
specializzati) per poter poi essere
riutilizzato in altre opere di
importanza
strutturale
minore
(sottofondi stradali, elementi di
fondazione), mentre il ferro delle
armature
può
essere
fuso
completamente riutilizzato per
qualsiasi applicazione.
In sintesi, è possibile elencare le seguenti fasi relative ad una demolizione
selettiva:
-
smontaggio e separazione degli impianti;
-
rimozione di componenti inquinanti dal punto di vista ambientale o tecnico;
31
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
-
separazione degli elementi non strutturali;
-
demolizione elementi strutturali, partendo dall’alto fino alle fondamenta;
-
stoccaggio delle diverse frazioni in contenitori separati;
-
invio delle frazioni omogenee agli impianti di trattamento;
-
lavorazione dei rifiuti per ottenere prodotti commerciabili o energia;
-
smaltimento dei rifiuti non recuperabili in discarica.
Quindi l’intera distinzione tra demolizione indifferenziata e demolizione selettiva,
è funzione del concetto e della input progettuale del riutilizzo dei materiali: il
riciclo di per sé è diventato un campo abbastanza vasto, nel seguito dl testo gli
sarà dedicato un paragrafo sintetico, poiché la trattazione approfondita di questo
tema, non rientra tra gli obiettivi di questa opera.
Vincoli contestuali
Con ciò che è stato indicato come secondo punto, e cioè i cosiddetti “vincoli
contestuali”, si intendono tutte quelle condizioni, essenzialmente esterne
all’oggetto stesso della demolizione. In questa categoria rientrano in particolare
tutti quei vincoli che sono funzione dell’ubicazione dell’edificio. Il fattore
ubicazione diventa vincolante quando comporta una limitazione degli spazi
utilizzabili per il cantiere della demolizione e per tutte le manovre ad esso
annesse, in particolare le seguenti:
- spazio direttamente necessario per lo svolgimento dell’attività demolitiva:
quindi nel caso di uno smantellamento effettuato con mezzi meccanici, sarà
necessario disporre di uno spazio adeguato per un agevole passaggio dei
macchinari; questo fattore ha una forte influenza sui tempi e di conseguenza sui
costi dell’intera operazione;
32
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
- spazi per lo stoccaggio del materiale di risulta: ancora prima di eseguire la
demolizione, è fondamentale considerare l’eventuale necessità di disporre di
spazi per il provvisorio stoccaggio di tutti i cosiddetti rifiuti C. & D. (costruzione
e demolizione).
La scelta stessa della tecnologia da utilizzare può essere fatta in funzione proprio
di questo fattore: ossia a seconda dello spazio di cui si disponga nel cantiere in
questione, si può optare per una tecnica che al momento stesso della demolizione,
permetta anche una forte frammentazione delle macerie (e quindi uno spazio
d’ingombro minore), a dispetto invece di un’altra tecnica che porti invece alla
semplice disarticolazione della struttura per singoli elementi costruttivi.
Infatti la diversa pezzatura delle macerie, a seconda dei casi, più o meno
conveniente ai fini dell’ingombro e del successivo smaltimento, può essere decisa
a monte, in funzione della tecnologia utilizzata: l’uso dell’esplosivo può
indifferentemente comportare frammenti di piccola o grossa pezzatura, a seconda
che si utilizzino relativamente poche cariche concentrate sui nodi strategici,
oppure delle microcariche distribuite sullo sviluppo dell’elemento costruttivo;
questa seconda opzione calibrata nel tempo con micro-ritardi, comporta in primo
luogo il distacco dell’elemento dallo scheletro, e immediatamente dopo, ancora
prima che tocchi il suolo, la sua frammentazione.
La demolizione con mezzi meccanici ordinari, quali escavatori o martello
demolitore idraulico, produce solitamente macerie di grosse dimensioni, come
anche tutti quei procedimenti basati sul taglio del calcestruzzo con utensili
diamantati, (tecniche da utilizzare nel caso si desideri ottenere solamente un netto
distacco di un elemento dal resto del corpo). La demolizione di un elemento
costruttivo, quali i plinti di fondazione ad esempio, eseguita con degli spaccaroccia (chimici o meccanici) può identicamente creare a frammenti più o meno
grandi, a seconda di quando fittamente si dispongano gli elementi dirompenti.
Rientrano nella categoria di vincoli contestuali, anche se in maniera più virtuale,
le normative vigenti nel luogo dove si esegue l’intervento: ad esempio non è
possibile ignorare come il background culturale-normativo italiano si ponga in
una posizione assolutamente sfavorevole nei confronti dell’uso degli esplosivi in
ambito civile, normalmente utilizzati invece nei paesi anglosassoni. In questa sede
si è comunque scelto di non approfondire i discorsi relativi al quadro normativo in
materia, poiché costituendo un campo a se stante ed estremamente vario, potrebbe
fuorviare dagli obiettivi della presente ricerca.
33
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Una tipologia lievemente diversa di
vincoli, è quella costituita da
condizioni
intrinseche
all’organismo stesso. Un esempio
chiarificatore di vincolo intrinseco,
è rappresentato dalla tipologia
strutturale
dell’organismo
in
questione: a seconda della rigidezza
(globale o locale) dello scheletro
portante si può essere obbligati a
dover optare per una tecnologia più
devastante, rispetto ad un’altra.
Le “Vele” di Scampìa atterrate
Un caso simile si è presentato nella demolizione delle “Vele” di Scampìa intervento descritto dettagliatamente nella sezione “casi studio”- in cui ci si è
trovato davanti ad una struttura estremamente rigida e fortemente interconnessa in
tutte le sue componenti (parte della struttura era realizzata addirittura a “tunnel” in
c.a.): come è spiegato in seguito, prima di agire con forti dosi di esplosivo, che
avrebbero portato ad una cernierizzazione alla base, si è dovuto indebolire
fortemente la struttura, modificandone addirittura lo schema statico, e passando da
un comportamento di lastre e piastre in c.a., a dei più attaccabili portali.
Per completezza si contempla in questa sede anche la possibilità che la scelta
della tecnica sia fatta in funzione del prodotto che si vuole ottenere dalle macerie
a demolizione avvenuta. Questa eventualità è resa possibile in quei casi in cui il
processo di demolizione sia pensato con un’altissima considerazione del fattore
riciclo, nell’ambito di una progettazione sensibile all’impatto ambientale.
Il discorso del riclico dei rifuiti C. & D. e di tutte le possibili applicazioni,
costituisce un oggetto di studio di grande interesse: ciononostante non sono
ancora definite delle prescrizioni di normativa adeguate che regolino l’uso dei
suddetti materiali di risulta. A causa della complicatezza (normativa) del tema,
nella presente ricerca si eviterà di entrarne nel merito, potendo costiituire questa
stessa, un argomento di ricerca a se stante; si intende comunque sottolienarne i
possibili vantaggi economici.
A questo punto rusulta
chiaro come la promessa di
un futuro risparmio nei
costi di smaltimento, o
addirittura di un guadagno
nella rivendita di materiale
riutilizzabile,
potrebbe
rivestire
un
ruolo
decisionale notevole in un
intervento di demolizione
di una certa importanza.
Centrale di trattamento mobile
34
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Una metologia di intervento che preveda una demolizione selettiva è infatti
totalmente finalizzata al successivo riciclo e riutilizzo dei materiali di risulta.
Nonostante la legittimità e validità teorica di un intervento di demolizione pensato
in quest’ottica, tuttora i costi di lavorazione ai fini del riciclo restano ancora
considerevoli, normalmente non giustificati dall’attuale valore attribuito ad alcuni
dei materiali di risulta (gli aggregati, nel caso del calcestruzzo).
La soluzione ottimale è quindi saper valutare con accuratezza fino a che punto
spingere il grado di selezione in fase di demolizione per cercare di ottenere dei
prodotti, che sufficiente affidabili dal punto di vista tecnico, presentino dei costi
di produzione concorrenziali con il mercato dei prodotti naturali di riferimento.
In un secondo tempo si illustrerà come elaborare l’intero processo di abbattimento
in funzione di un successivo riuso.
Componente economica
Il terzo fattore elencato, tra quelli che maggiormente influiscono sulla decisione
del procedimento da adoperare , è sicuramente il “fattore economico”. A monte
di tutto, sta la qualificazione dell’impresa appaltatrice che dovrà fisicamente
eseguire i lavori: è evidente che, a seconda delle risorse, sia tecnologiche che
economiche a propria disposizione, l’impresa proporrà una soluzione invece che
un’altra.
Non è detto quindi che la tecnica di demolizione
scelta alla fine, rispecchi la soluzione ottimale dal
punto di vista tecnico, ma tale compromesso è
comprensibile. Il problema nasce quando una scelta
effettuata per motivi puramente economici, pur
ottenendo i risultati progettati (targets), comporta
un forte impatto ambientale, conseguenza spesso
trascurata.
È proprio per evitare ciò, che si è provveduto negli anni a creare un mercato che
riutilizzi in rifiuti C. & D. (Construction & Demolition), adeguatamente trattati e
selezionati. All’interno di un organismo edilizio di qualsivoglia tipologia, alcuni
elementi costruttivi permettono un loro immediato riutilizzo, senza la necessità di
un pre-trattamento, mentre molti altri elementi costituenti devono subire
preventivamente alcune rielaborazioni. Queste lavorazioni preparatorie possono
essere svolte in loco, ovvero in stabilimenti specializzati. Il calcestruzzo in
particolare, necessita di una serie di trattamenti (illustrati nel capitolo relativo alle
tecnologie) prima di poter essere riciclato: questo trattamento è costituito
essenzialmente da un’azione di cernita e ulteriore frammentazione, fino ad
arrivare alla pezzatura desiderata.
Tornando a trattare i fattori che subentrano nel processo progettuale per
individuare una tecnica di demolizione, è possibile effettuare una elencazione
delle possibili spese (in fase esecutiva) considerando la possibilità di uno parziale
riciclaggio dei materiali:
35
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
-
spese relative alla tecnologia stessa;
-
spese relative alle misure di sicurezza (nei confronti degli
contesto);
-
spese relative allo smaltimento rifiuti C.& D., fase costituita dalle seguenti
sottofasi:
-
o
eventuale pre-trattamento in sito;
o
imballaggio;
o
trasporto allo stabilimento di riciclaggio più vicino;
o
controllo qualità post-trattamento;
operatori e del
spese relative al trasporto ed al deposito dei rifiuti residui inutilizzabili, nelle
discariche più vicine.
Al fine di ridurre il più possibile le spese da sostenere, aumentando di
conseguenza l’utile dell’impresa, è conveniente quindi l’inserimento del concetto
del riciclo: l’unico modo per ammortizzare, in una certa misura, le spese succitate,
diventa la rivendita di detti prodotti riciclati.
Come viene spiegato in seguito (nel capitolo relativo alle tecnologie), quello del
riciclaggio è un mercato ancora giovane, in particolare in Italia: alcuni prodotti
dello smantellamento di un edificio, possono essere rivenduti senza dover subire
lavorazioni particolarmente impegnative ed onerose (prodotti in acciaio,
serramenti interni ed esterni), mentre altri, ed il calcestruzzo tra questi,
necessitano di laboriosi trattamenti, oltre a controlli qualitativi, prima di potere
essere rimesso sul mercato.
Quindi solo una valutazione di mercato ragionata ed approfondita può consentire
di ottenere considerevoli risparmi si in termini economici che in termini di
utilizzo di risorse: visto in quest’ottica, il riciclaggio diventa realmente una
componente cardine del progetto esecutivo.
Per valutare effettivamente il grado di convenienza di un possibile riutilizzo di un
materiale, è però necessario prescindere dalle considerazioni a carattere generale,
ed immergersi in una serie di valutazioni economiche molto più concrete; si
riportano in questa sede le linee guida su quali siano i fattori da indagare, per
poter redigere alla fine un documento, che abbia come risultato finale delle cifre
che rappresentino la convenienza o meno, il risparmio od addirittura il possibile
utile, di un riciclaggio all’interno di un intervento di demolizione.
In primo luogo bisogna valutare il mercato esistente relativo al sottoprodotto
ottenuto e stimarne l’effettivo valore mercato: la relazione che se ne redige, dovrà
contenere quindi un prezzo medio del suddetto sottoprodotto, preventivamente già
quantificato (in mc o kg). Questa valutazione economica risulterebbe più
completa, se corredata di un cronoprogramma che definisca i tempi necessari per
il piazzamento del prodotto nel relativo mercato e quindi del conseguente
ammortamento. Una volta calcolati gli eventuali utili si può passare a computare
le spese dovute alle varie fasi di quest’attività di riciclaggio.
36
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Si riportano le principali fasi relative ad un processo di riciclaggio, focalizzando
l’attenzione sui componenti in calcestruzzo, avvisando però che l’utile dovuto al
concetto di riuso inizia ad assumere una certa rilevanza, quando viene applicato
al maggior numero possibile di materiali derivanti in uno smantellamento di un
organismo edilizio; quindi, una volta abbattuto l’edificio si avrà:
-
primo stoccaggio provvisorio in cantiere;
-
pre-trattamenti in cantiere:
o
prima cernita del materiale di interesse, dalle componenti inutilizzabili
o dannose;
o
frammentazione finalizzata ad un trasporto più conveniente;
-
imballaggio del materiale ottenuto, per suo invio verso il relativo depositi di
trattamento;
-
recupero ambientale (ritorno alle condizioni iniziali) degli spazi di stoccaggio
provvisorio;
-
trasporto dal cantiere al deposito per eventuali ulteriori trattamenti;
-
trattamento definitivo in deposito per l’ottenimento del prodotto finale;
-
prove di controllo qualitativo per ottenimento dei permessi di immissione sul
mercato;
-
trasporto e collocazione del prodotto presso relativo rivenditore;
-
trasporto in discarica del restante materiale inutilizzabile.
Ciascuna delle fasi elencata dovrebbe essere ulteriormente suddivisa nelle sue
eventuali sottofasi, per poter valutare, di ognuna di esse, i relativi costi e tempi,
prevedendo anche l’incidenza economica di eventuali ritardi nella tabella di
marcia. Più a fondo verrà eseguita questa ricerca, tanto maggiore sarà il livello di
dettaglio della conoscenza del risparmio acquisita: ad esempio per ottimizzare la
sola voce relativa ai trasporti, sarebbe utile valutare anche in flusso medio di
automezzi necessari al trasferimento del materiale da una sede ad un’altra,
scegliendo quindi uno stabilimento per il trattamento che contemporaneamente,
minimizzi il percorso, facendo riferimento ad un bacino di utenza più vasto
possibile.
Fattore ambientale
Ciò che è stato definito come quarto fattore, ossia il “fattore ambientale”,
rientrerebbe in verità in ugual misura sia all’interno della categoria dei “vincoli
contestuali”, che in quella dei “principi di sicurezza”: in effetti i discorsi relativi a
questo fattore altro non sono che delle prescrizioni, atte a garantire vari tipi di
sicurezza nei confronti del contesto ambientale circostante. Data però la
fondamentale importanza di questo elemento, si è preferito analizzarlo in maniera
separata da tutti gli altri fattori.
37
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Le categorie generiche di possibile danneggiamento ambientale, causato da un
processo di demolizione, sono (in ordine crescente di gravità):
-
inquinamento acustico nei confronti degli abitanti adiacenti: forte nel caso di
uso di esplosivo, o qualsiasi altro mezzo meccanico classico; più limitato nel
caso di utilizzo di utensili diamantati per il taglio, spacca-roccia, od
idrodemolizione;
-
inquinamento dovuto a polveri generiche: conseguenza tipica di procedimenti
di abbattimento per impatti meccanici (di vario genere, esplosivi e mezzi
meccanici), ma limitabile attraverso l’affiancamento di getti d’acqua ad
ampio raggio;
-
inquinamento a carattere tossico: possibile a causa di alcuni materiali
fortemente inquinanti, che nel momento dell’abbattimento potrebbero essere
liberati nell’ambiente ( aria, acqua, terreno), mettendo a rischio direttamente
gli operatori ed il contesto (tipico il caso degli elementi in amianto in matrice
stabile o friabile); per questi la normativa vigente prevede tassativamente
severe procedure di rimozione e smaltimento.
Rientrano particolarmente in questa categoria i rischi conseguenti ad una
demolizione di un fabbricato adibito ad uso industriale (in particolare di
produzione chimica), il quale potrebbe, se non preventivamente bonificato
inquinare, al momento dell’abbattimento, l’ambiente circostante, ed ancor peggio
contaminare, con liquami tossici, presenti nei propri impianti, eventuali falde
acquifere nascoste nel sottosuolo.
In generale, come si può notare valutando le diverse tipologie di inquinamento
succitate, i rischi relativi al discorso ambientale, possono coinvolgere il contesto
su una scala molto più allargata rispetto al suolo su cui insiste l’edificio da
demolire, basti pensare al caso di contaminazione di una falda acquifera.
Il fattore di rischio ambientale, può coinvolgere altresì anche ciò che si desidera
siano i materiali di risulta di un intervento di demolizione, ai fini di un successivo
riciclo, rendendoli quindi inutilizzabili.
Senza disturbare il già citato caso di demolizione di stabilimento chimico, basti
pensare che in alcuni casi, anche macerie provenienti da costruzioni localizzate in
aree prossime al mare possono dare problemi di rilascio di solfati e cloruri alcalini
(tanto dannosi anche per il calcestruzzo in fase di esercizio, se non protetto da
adeguato copriferro, contro il noto processo della carbonatazione).
Le principali cause di un possibile danneggiamento di rifiuti C. & D. possono
essere le seguenti:
à l’ambiente stesso rende
-
tipologia ed ubicazione dell’edificio da demolire
inutilizzabili i futuri materiali da riciclare;
-
materiali impiegati durante l’esercizio dell’organismo edilizio à
la
destinazione d’uso dell’edificio danneggia, tramite i materiali in esso trattati, i
futuri materiali da riciclare;
38
Capitolo 1
-
I Presupposti Teorici della Demolizione
materiali costitutivi il corpo di fabbrica e tipologie di impianti tecnici presenti
à il corpo di fabbrica stesso, tramite alcuni suoi elementi costruttivi può
inquinare i futuri materiali da riciclare.
Si elencano in seguito alcuni materiali che possono alterare in maniera sensibile
l’impatto ambientale dei residui da demolizione ottenibili: rivestimenti e giunti
catramati, materiale ligneo impregnato, pannelli di isolamento termo-acustico di
vario genere costituiti di lana di vetro o di roccia.
È quindi doveroso smontare ed eliminare preventivamente, ed in maniera separata
tutta la componente impiantistica, partendo dai tradizionali componenti di
impianti tecnici (quali quadri e cavi elettrici, tubazioni e scarichi, centraline di
riscaldamento e di condizionamento, canne fumarie), fino, ovviamente, ai grandi
trasformatori, motori elettrici, gruppi elettrogeni etc.
Pinza frantumatrice montata su robot tele-comandato
39
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Principi di sicurezza
Per affrontare il discorso relativo al quinto punto, cioè i “principi di sicurezza”, è
necessario in primo luogo, classificare le diverse tipologie di rischio che un
intervento di abbattimento comporta, distinguendole anche in funzione
dell’oggetto sul quale grava il rischio.
Le possibili macro-categorie sono le seguenti:
-
I
sicurezza relativa alla statica;
-
II sicurezza relativa all’impiantistica;
-
III sicurezza relativa al procedimento stesso di abbattimento;
Prima di passare ad enucleare le caratteristiche ed i sottoinsiemi di ogni tipologia
di rischio, si preferisce riportare una tabella, illustrativa di tutte le categorie e
sotto-categorie dei possibili protagonisti che possono essere oggetto di un qualche
genere di rischio.
Nella tabella sono anche riportate le immaginabili correlazione e mutue influenze
tra i suddetti protagonisti, cioè le varie possibilità che il rischio agente su un
elemento influenzi indirettamente altri oggetti.
L’oggetto più importante esposto al rischio, è naturalmente l’essere umano, infatti
si può notare come tutti gli elementi, direttamente o meno, possano influenzare la
risultante di rischio a cui può essere soggetto: quindi lo studio dei possibili rischi
e tutto finalizzato alla protezione di questo protagonista.
Per fattore umano, si intendono due categorie, distinguibili per ubicazione: gli
operatori dell’intervento di demolizione, presenti direttamente sul sito, e gli
abitanti circostanti il sito interessato.
Entrambe le categorie possono essere soggette a rischi, in maniera diretta o
indiretta per tramite dell’organismo edilizio interessato (globalmente o localmente
per mezzo di una sua componente), ovvero per tramite dell’ambiente circostante.
Bisogna ricordare che l’attenzione nei confronti della sicurezza delle maestranze
operanti in un intervento di demolizione, è relativamente moderna, come del resto
quella nei confronti di qualsiasi categoria di operatore di cantiere. A questo
proposito si possono consultare molti filmati (in particolare della nota società
americana di macchina da cantiere “Caterpillar”) e documentazioni in genere,
relative a demolizioni avvenute all’inizio del secolo scorso, per vedere in quali
condizioni di scarsa sicurezza si lavorava fino a non molto tempo fa.
Ad ogni modo l’evoluzione del concetto generale di sicurezza in cantiere,
(culminato in Italia con la nota legge 494 del 1996) è un discorso estremamente
vasto, ed esula dagli obiettivi del presente testo.
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Tabella illustrativa interrelazioni tra i protagonisti del rischio
Per chiarire e fornire un esempio pratico di tutte le possibili interrelazioni studiate
nella tabella, si riporta qui di seguito, un caso esemplificativo, in cui, a partire da
poche esempi pericolosi, si illustrano tutte le possibili non-auspicabili
conseguenze.
•
S
e durante la fase di programmazione e progettazione di un intervento di
demolizione, non sono state prese adeguatamente in considerazione le
conseguenze strutturali sull’edificio, di una sua progressiva manomissione,
potrebbe verificarsi un suo danneggiamento strutturale imprevisto, quale un
crollo parziale precoce, che risulterebbe naturalmente molto rischioso, in
primo luogo direttamente per le maestranza in cantiere; potrebbe risultare
altrettanto dannoso anche per l’ambiente del sito della demolizione, se esso
comportasse un danneggiamento di eventuali impianti non adeguatamente
svuotati, e la dispersione dei materiali (accidentalmente tossici) al loro
interno; se il liquame versato permeasse nel terreno, il danno potrebbe
estendersi anche nell’ambiente circostante, attraverso la contaminazione di
una falda sottostante e mettendo quindi a rischio anche una popolazione
residente non immediatamente nelle vicinanze.
Senza dover ricorrere al liquame tossico assorbito dal terreno, basti
considerare che il crollo parziale precoce avverrebbe molto probabilmente
lungo una direzione non auspicata, danneggiando quindi gli edifici adiacenti, e
di conseguenza mettendo nuovamente e gravemente a rischio i loro residenti.
Un altro esempio di danneggiamento che l’edificio in fase di demolizione, può
comportare nei confronti del contesto, in particolare sugli altri edifici, è
rappresentato dal rischio della proiezione incontrollata di macerie durante la
disarticolazione dello scheletro portante, per effetto dell’esplosivo.
41
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Fortunatamente anche questo effetto è controllabile in vario modo: in primo
luogo, calibrando il quantitativo di esplosivo usato in base al calcolo della
massima gittata (con un moto parabolica) di un detrito proiettato; così facendo
si previene l’evento pericoloso a monte, altrimenti è possibile comunque
prevedere una fasciatura dell’elemento in cui sono state inserite le cariche, con
del materiale tessile particolare: la fasciatura, che pur venendo distrutta
durante l’esplosione, riuscirà comunque a ridurre l’accelerazione
dell’elemento proiettato.
Non è raro il caso in cui, demolendo parzialmente un corpo di fabbrica, si
vadano a rompere delle tubazioni interrate ancora in funzione, facendo
disperdere nel terreno dei forti quantitativi d’acqua; questa dispersione può
portare ad una locale liquefazione del terreno (annullando la resistenza del
terreno a sforzi taglianti, cioè rendendo nulle le componenti t ij del tensore
degli sforzi).
La conseguenze, come spesso accade, sono cedimenti differenziali delle
fondazione gravanti su quella fetta di terreno, che comportano danneggiamenti
della struttura in elevazione, quali la nascita di diffusi e profondi quadri
fessurativi. È d’altronde improbabile che tale danneggiamento, dovuto a
cedimenti differenziali in fondazione, comporti un crollo dell’edificio stesso,
mettendo a rischio la vita degli alloggianti.
Stiamo quindi trattando delle conseguenze di tipo geotecnico dovute ad un
intervento di abbattimento, e quello analizzato, non è l’unico caso
immaginabile.
Basti considerare la semplice espressione elaborata da Karl Terzaghi (padre
della geotecnica), con contributi di Prandtl e Caquot, per la valutazione del
carico limite a rottura di un terreno, su cui grava una fondazione nastriforme:
1
γ BN γ
, come si può notare facendo una
2
piccola applicazione numerica, la componente dovuta al sovraccarico laterale
è quantitativamente molto importante per garantire la portanza del terreno: nel
caso in cui si dovesse eliminare un corpo di fabbrica preesistente ad un altro
edificio adiacente ad esso, e qualora la fondazione di quest’ultimo risultasse
calcolata considerando il sovraccarico degli edifici circostanti, si andrebbe
incontro a non pochi problemi di cedimenti differenziali del corpo che si
voleva mantenere.
q lim = cN c + γ D f N q +
meccanismo di collasso
Questo avverrebbe perché, eliminando
questo sovraccarico laterale, si renderebbero
più liberi di risalire i cunei superficiali di
rottura del terreno, favorendo quindi il
meccanismo di collasso, e di conseguenza
un cedimento della fetta di terreno
sottostante la fondazione.
42
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Sempre il terreno, potrebbe diventare un ottimo mezzo di trasmissione di onde
di vibrazione, generate in vario modo, e dirette verso gli edifici adiacenti;
esistono tanti procedimenti di demolizione, che, in maniera indesiderata
comportano come effetto secondario, la creazione di onde di sovra-pressione:
basti pensare all’uso dell’esplosivo, o del martello demolitore ed di tutte le
altre tecniche il cui procedimento si abbattimento si basa sul principio degli
impatti ripetuti (tutto ciò sarà ampiamente trattato in seguito). Attenzione a
non dimenticare la possibilità di forti vibrazioni indotte da un impatto al suolo
non adeguatamente considerato, generato da una caduta di una maceria troppo
massiva. Questo genere di vibrazioni può portare alla rottura di eventuali
vetrate di edifici adiacenti, con conseguente ferimento dei dimoranti.
Infine per avere un esempio di interrelazione tra l’ambiente del sito della
demolizione, e gli abitanti delle zone circostanti, basti pensare a quel tipo di
inquinamenti generati nel cantiere, e capaci di diffondersi direttamente senza
l’ausilio di un mezzo fisico (quale il terreno o le falde acquifere): ne sono un
esempio l’inquinamento acustico generato durante il processo di demolizione,
il cui livello è variabile in funzione della tecnica adoperata, e l’inquinamento
generato dalle polveri, che vengono prodotte più o meno sempre, a
prescindere dal procedimento utilizzata.
Entrambe le tipologie di inquinamento, agiscono indifferentemente sia sulle
maestranze in cantiere (in misura maggiore), sia sui residenti delle zone
circostanti (in misura minore).
Esistono comunque diverse metodologie per ridurre gli effetti dei suddetti
fenomeni, quali l’abbattimento delle polveri con getti d’acqua, o l’uso di
semplici d.s.p. (dispositivi di sicurezza personale, nel nostro caso cuffie da
cantiere) da parte degli operatori.
Con questi semplici esempi si è mostrato come fenomeni apparentemente
sconnessi tra loro possono influenzarsi anche indirettamente ed a lungo
raggio, il tutto finalizzato ad una valutazione dei possibili rischi agenti sugli
esseri umani coinvolti (direttamente o meno).
Riassumendo, nell’esempio illustrato:
§
l’edificio
gli operatori
analizzato
danneggia
tramite
à imprevisti;
§
l’edificio
l’ambiente
analizzato
danneggia
à
inquinamento terreno;
§
l’ambiente
danneggia
residenti confinanti
i
à
tramite
inquinamento
acquifere;
falde
§
l’edificio analizzato
edifici contigui
danneggia
à
tramite
imprevisti;
crolli
§
gli
edifici
danneggiano i residenti
contigui
à
tramite conseguenze crolli
imprevisti / proiezione
incontrollata di detriti;
43
eventuali
eventuali
crolli
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
incontrollata di detriti;
§
l’ambiente
edifici contigui
danneggia
gli
à
tramite liquefaz.
perdite H2 0;
terreno
per
tramite diminuzione portanza
à terreno (vd. espressione di
Terzaghi);
à tramite trasmissione vibrazioni;
§
l’ambiente
operatori
§
l’ambiente
danneggia
residenti confinanti
danneggia
gli
à
tramite inquinamento polveri o
acustico;
i
à
tramite inquinamento polveri o
acustico;
Tornando alla prima classificazione, quella relativa alle tipologie di rischi che un
processo di demolizione può comportare, come si può notare, nella Ia categoria si
sono raccolti tutti quei possibili eventi comportanti una componente di rischio di
tipo strutturale. I protagonisti che possono essere oggetto di questa tipologia di
rischio, possono essere sia entità fisiche che persone: per definizione, il rischio di
tipo statico agisce, in primo luogo, direttamente sulla struttura, globalmente o
localmente, ed in seguito, per tramite di essa o di un suo componente, può mettere
in pericolo le persone.
I possibili rischi, già accennati nel caso esemplificativo, e le dovute precauzioni
da prendere (sia in fase progettuale, che esecutiva), per evitare dissesti strutturali
indesiderati, saranno ampiamente discussi in seguito, nel paragrafo relativo alle
considerazioni strutturali: ciononostante si premette che, per motivi chiarificati
successivamente , il rischio relativo agli aspetti strutturali è quello maggiormente
influente nel momento decisionale di un iter progettuale relativo ad un intervento
di abbattimento.
I rischi derivanti dalle componenti impiantistiche di un organismo edilizio da
demolire, possono agire essenzialmente su tre soggetti: sul personale addetto alla
demolizione, sull’organismo edilizio stesso e sulle sue componenti fisiche, od
infine sul contesto ambientale.
Le tipologie di reti impiantistiche possono essere le più svariate, basti considerare
per esempio, la grande varietà presente all’interno di un edificio a destinazione
ospedaliera, oppure in uno stabilimento per produzioni industriali: in questo caso
infatti, le tipologie di impianti di produzione, e le relative reti impiantistiche,
variano sostanzialmente, in funzione dello oggetto finale della produzione ed a
seconda del tipo di lavorazioni previste per il suo ottenimento; la medesima forte
variabilità vale anche per i materiali trattati all’interno di queste reti
impiantistiche.
Nella categoria dei rischi impiantistici si è deciso di trattare solamente quelli
gravanti direttamente sull’uomo (nel nostro caso sulle maestranze del cantiere) e
44
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
non quelli agenti per tramite di un inquinamento di un mezzo convettivo (aria,
acqua, terreno), i quali saranno contemplati nella terza categoria.
Quindi, nonostante la grande varietà delle possibili reti impiantistiche, le più
comuni sono quelle relative agli impianti elettrici, termici, del gas e di
condizionamento. Tornando all’obiettivo del discorso, cioè la valutazione di quali
fattori possano influire sulla scelta di una tecnica di demolizione all’interno di un
processo decisionale, non si può affermare che un progetto possa essere a tal
punto influenzato dai “principi di sicurezza” (in particolare da quelli legati alla
componente impiantistica) tanto da esserne vanificato, ma sicuramente esso dovrà
interagire con detti principi e tenerli in massima considerazione: questo attento
riguardo nei loro confronti, si manifesterà in pratica in alcune prescrizioni di
sicurezza, che affiancheranno le varie fasi del progetto ed eventualmente
modificheranno quest’ultime, sempre in funzione dell’incolumità degli operatori.
Anche il fattore di sicurezza relativo all’inquinamento, come del resto la quello
della sicurezza nei confronti degli operatori di cantiere, rientra in un discorso
relativamente nuovo e moderno, poiché l’intero concetto della sensibilità
ambientale è stato acquisito solo negli ultimi.
L’ultima tipologia di rischio che subentra nel momento decisionale è quello che
dipende dal procedimento di abbattimento utilizzato: ogni tecnica di demolizione,
comporta intrinsecamente delle componenti di rischio.
Solitamente, le persone maggiormente esposte a questa tipologia di rischi sono gli
addetti stessi alla demolizione, ma bisogna specificare che, a seconda del livelli di
devastazione al quale la tecnica può arrivare, le componenti di rischio che essa
contiene possono allargare il proprio raggio d’azione, fino a raggiungere oggetti e
persone ben al di fuori del cantiere della demolizione.
Suddividendo le tipologie di tecniche in tre grandi categorie, si avranno:
-
tecniche basate sull’uso di esplosivo;
-
tecniche basate sull’uso di mezzi meccanici (a grande e piccola scala);
-
tecniche basate sull’uso di procedimenti chimici o termici.
Come è noto, i procedimenti basati sull’uso dell’esplosivistica risultano essere
quelli più devastanti, e la loro potenza può accidentalmente investire, sia il
personale di cantiere che i civili, residenti o passanti nelle vicinanze; nel caso non
siano state prese le dovute precauzioni, il personale di cantiere potrebbe essere
colpito (in maniera sicuramente fatale) sia direttamente dalla deflagrazione, che
indirettamente dall’edificio in questione, tramite un suo inaspettato collasso
(anche parziale); le persone esterne al cantiere invece, possono eventualmente
essere danneggiate in maniera più indiretta: solitamente la momento
dell’esplosione il cantiere viene severamente interdetto ai non addetti ai lavori,
creando una zona cuscinetto sufficientemente estesa da evitare qualsiasi rischio
diretto dell’esplosione sui passanti. Possono però essere colpiti sia gli edifici che i
relativi residenti da eventuali conseguenze trasversali, quali: proiezione
incontrollata di detriti, sovrappressioni nell’aria (tali da portare alla rottura di
45
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
vetri), e tutte quelle possibili conseguenze di secondo ordine, di natura geotecnica
contemplate nel paragrafo precedente.
I procedimenti che vedono impegnati mezzi meccanici di demolizione, possono
essere a loro volta ulteriormente suddivisi in due sottocategorie: mezzi meccanici
pesanti ed attrezzature meccaniche portabili a mano. Nella prima classe rientrano
tutti quei macchinari pesanti azionati dall’uomo, che fanno essenzialmente capo
alla benna, e sulla quale è possibile montare attrezzature secondarie di vario
genere (martelli demolitori, wrecking ball, pinze, cesoie e frantumatori idraulici,
fresatrici e bocciardatrici, scarnificatici, etc.): le loro prescrizioni di sicurezza
sono essenzialmente quelle relative a qualsiasi altra macchina da cantiere.
Nella seconda sottocategoria rientrano invece tutte quelle attrezzature mobili,
manovrabili a mano, che permettono perciò un minor livello di distruzione,
essenzialmente finalizzate all’eliminazione di un solo elemento costruttivo: ne
fanno parte quindi, tutti gli utensili per il taglio del calcestruzzo, basati sulla
tecnologia del diamante, i vari spacca-roccia (chimici, meccanici, a sparo), frollini
e martelli pneumatici manuali, attrezzature per il taglio termico e per
l’idrodemolizione (finalizzata al taglio od alla sola scarnificazione superficiale);
per le prescrizioni di sicurezza delle suddette tecnologie, è sufficiente far
riferimento alle istruzioni per l’uso che le varie ditte fabbricanti forniscono col
prodotto.
Sinora sono stati illustrati ed approfonditamente analizzati, i principali fattori
che si ritiene subentrino all’interno di un processo decisionale relativo ad
un’attività di demolizione di un organismo edilizio, influenzando direttamente la
scelta finale della tecnologia da utilizzare.
Si è tentato di rendere la loro esposizione più immediata alla comprensione,
tramite alcuni casi pratici, finalizzati più che altro alla chiarificazione delle
interrelazioni esistenti tra i vari fattori in gioco ed i protagonisti, fisici ed umani,
del processo di demolizione.
La enucleazione fatta sinora può essere sintetizzata tramite lo schema che segue.
46
47
5. Principi di sicurezza.
4. Fattore ambientale;
3. Componente economica;
2. Vincoli contestuali;
1. Motivi ed obiettivi estrinseci;
inquinamento a carattere tossico;
danneggiamento prestazioni;
rischi di natura strutturale-geotecnica;
rischi di natura impiantistica;
rischi intrinseci alla tecnica utilizzata;
4.3
4.4
5.1
5.2
5.3
materiali da riciclare;
ambiente / persone;
ambiente / persone;
inquinamento per polveri;
da
alterata
perturbata
da
esigenze funzionali;
inadattabilità a mutate
impiantistiche
sicurezza reti
sicurezza statica
dell'organismo
ingombro del materiale di risulta;
ambiente / persone;
4.2
inefficienza funzionale
motivi di sicurezza;
ingombro della strumentazione;
VS
recupero con rivendita materiale riciclato
spese da sostenere
inquinamento acustico;
3.2
3.1
interazione fattore riciclo
vincoli normativi
vincoli volumetrici e di ingombro;
perdita di utilità dell'immobile,
causata da
disagibilità dell'immobile,
causata da
4.1
2.3
2.2
2.1
1.2
1.1
Fattori che influenzano la scelta di una tecnologia
CONTROLLO di un PROGETTO di DEMOLIZIONE
difformità con le norme vigenti;
degrado avanzato;
degrado strutture portanti;
eventi eccezionali
(naturali e non)
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Tutta l’analisi condotta finora in maniera specifica sul caso della progettazione e
del decision taking di un’attività demolitiva, ha in verità un disciplina
corrispondente normalizzata, di carattere totalmente generale, e conosciuta
all’interno dei grandi processi produttivi con il nome di Project Management.
L’approfondimento di questa disciplina ed alcuni esempi di sue applicazioni
pratiche saranno oggetto del capitolo finale di questo testo, e rappresenteranno
l’obiettivo della tesi stessa: applicare anche alla progettazione di un intervento di
demolizione dei criteri di razionalizzazione che permettano, di conseguenza, un
migliore controllo del rischio (uno dei fattori più vincolanti nel momento del
decision taking).
48
Capitolo 1
CONSIDERAZIONI
I Presupposti Teorici della Demolizione
STRUTTURALI
IN
UN
INTERVENTO DI DEMOLIZIONE
Per potersi introdurre allo studio degli aspetti strutturali che intervengono in un
processo di demolizione, è necessario, in primo luogo, modificare la comune
concezione della demolizione: come è stato già più volte ribadito, il momento
della demolizione non deve essere pensato come un'unica fase operativa, bensì
come un processo costituito da un sucessione di operazioni, ove, ad ognuna delle
quali corrisponde un particolare schema statico; ogni schema statico dovrà di
volta in volta tener conto delle variate condizioni al contorno.
Solamente da alcuni anni i processi di demolizione delle opere, sono stati oggetto
di fasi evolutive che ne hanno investito sia la scientificità delle procedure che le
tecnologie esecutive. Nel passato, infatti, la cultura tecnica corrente ha ritenuto la
demolizione un evento accessorio e marginale rispetto alla costruzione di
un’opera, relegando le tecniche specifiche operative in un quadro artigianale
senza alcuna specificità professionale. Demolizioni totali o parziali venivano
condotte spesso con mezzi inadeguati e, di frequente, in dispregio di ogni norma
e cautela della sicurezza; l’unico obiettivo di una painificazione di un qualsiasi
intervento di demolizione era la minimizzazine dell’impegno di mezzi e mano
d’opera. L’assenza di un piano preordinato di demolizione e l’affidamento delle
possibili problematiche al solo intuito dell’operatore o del capocantiere, nel
passato ha spesso dato luogo a situazioni impreviste, a crolli a catena che potevano essere evitati, con una approfondita analisi delle caratteristiche dell’opera o
delle sue parti.
Le evoluzioni del settore hanno oggi recepito la fondamentale importanza della
conoscenza delle caratteristiche strutturali delle opere interessate da processi di
demolizione. Nella moderna cultura tecnica la demolizione può anche essere
interpretata come un processo di smontaggio dell’opera, la quale va sottoposta,
eventualmente, a fasi inverse a quelle che ne hanno caratterizzato la costruzione.
Il processo di demolizione, quindi, va progettato e pilotato con una successione di
operazioni ad ognuna delle quali può corrispondere un preciso schema statico che
dovrà tenere conto delle zone critiche dell’opera su cui intervenire per facilitare il
processo stesso.
Lo sviluppo delle tecniche operative sia con macchine tecnologicamente avanzate
che con mezzi esplosivi garantisce oggi una rigorosa attuazione del progetto di
demolizione il quale deve individuare, in ogni fase, obiettivi ben precisi nella loro
progressione operativa sino alla conclusione del processo stesso. L’attuale
assenza di una normativa specifica per le demolizioni, in verità difficile da
impostare, rende i processi estremamente liberi ed affidati unicamente alla
preparazione e alla sensibilità degli operatori.
È però necessario puntualizzare che la maggior parte delle premesse sinora fatte,
assumono realmente il loro peso quando si stia trattando di una demolizione
49
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
parziale o comunque controllata, e non nel caso di un abbattimento totale od
indifferenziato.
È chiaro che nel primo caso, è necessario non solo un maggior impegno di mano
d’opera, ma anche un coinvolgimento diretto del personale all’interno della
struttura da demolire: ne conseguono quindi una serie di rischi per il personale
che non risulterebbero invece in un intervento di demolizione totale, effettuata
solitamente da uan certa di stanza di sicurezza.
Tutti i discorsi e le considerazioni che seguiranno, sono finalizzate a mettere in
luce l’imprevedibilità del comportamento strutturale di un organismo edilizio
nella sua fase di smantellamento: queste considerazioni non sono altro che
deduzioni relative al particolare processo della demolizione, tratte da una
generale comportamento strutturale di un sistema portante. Essenzialmente gli
stessi principi e schemi strutturali validi per la progettazione vengono utilizzati
“al contrario” nella fase di smantellamento.
In questa sede, non si ha nessuna intenzione di rispiegare i principi che regolano
la progettazione strutturale, che si suppongono noti grazie alle discipline della
“Scienza delle Costruzioni” e della “Tecnica delle Costruzioni”: si intende
comunque sottolineare alcuni aspetti secondari del comportamento strutturale,
che talvolta possono rimanere nascosti o latenti nella comune conoscenza
strutturale di un progettista edile, ma riaffiorare come veri e propri problemi, con
relativi gravi rischi, nella progettazione di un intervento complesso di
abbattimento.
A questo fine risultano molto utili i casi studio riportati ed analizzati nel dettaglio
nel terzo capitolo: questa parte del testo ha il pregio di illustrare e commentare
criticamente interventi di demolizione molto diversi tra loro, accomunati però da
una forte presenza della componente strutturale (con relativi rischi) tra i fattori
caratterizzanti la scelta progettuale della tecnica e del procedimento di
demolizione da seguire.
Cercheremo in primo luogo di esaminare, in forma generale e con riferimento ad
alcune tipologie di opere, gli aspetti statici di interesse che possono caratterizzare
le fasi evolutive, spesso in rapida successione, di una demolizione guidata.
TIPOLOGIE DELLE OPERE E CLASSIFICAZIONE
Anche se le opere che possono essere interessate da processi di demolizione sono
estremamente varie per materiale e tipologia, per iniziare con ordine si ritiene opportuno svilupparne una classificazione.
Per quanto concerne il materiale è possibile distinguere le seguenti tipologie:
-
strutture in legno (ordinario o lamellare);
-
strutture in muratura;
-
strutture in ferro;
-
strutture in calcestruzzo armato normale gettate in opera o prefabbricate;
50
Capitolo 1
-
I Presupposti Teorici della Demolizione
strutture in calcestruzzo armato precompresso gettate in opera o prefabbricate.
In effetti, ad ognuno di tali materiali sono legate tipologie strutturali correnti, in
genere, ben consolidate.L’elenco ed un breve esame di tali tipologie risulta
importante, anche con riferimento a particolari fasi costruttive, ove presenti, in
quanto il progettista di un processo di demolizione non può operare senza un
corredo di conoscenze, per quanto possibile completo, delle caratteristiche
dell’opera su cui interviene.
Per ogni tecnologia costruttiva si sono elencati alcuni punti fondamentali che ne
riassumono le caratteristiche costruttive ed il comportamento strutturale.
• strutture in legno:
o
solaio realizzato in tavole di legno con o senza getto di completamento;
o
ridotto peso proprio solaio e relativa rigidezza;
o
travatura principale e secondaria in legno, di modesta luce;
o
elevata deformabilità, fenomeni di instabilità molto ridotti;
o
travatura principale e secondaria schematizzabili come semplici travi
appoggiate;
o
travature reticolari a schema semplice in genere isostatico;
o
eventuale presenza di elementi strutturali a puntone e tiranti (all’interno
di schemi reticolari);
• strutture in muratura:
o
elementi verticali portanti a sostegno di impalcati di piano, anche in
legno, variamente e mutuamente ammorsati;
o
elementi verticali portanti sollecitabili essenzialemente a sforzo normale
e non a momento flettente;
o
carico trasmesso in fondazione uniformente distribuito; necessità di
utilizzo di fondazioni di tipo continuo (travi rovesce);
o
elevato peso proprio e rigidezza degli elementi verticali, rispetto agli
orizzontamenti.
o
possibili tipologie ad arco, a semplice curvatura, di varia luce, funzione
ed importanza. Si può spaziare dagli archi di qualche metro a presidio di
aperture sino ai ponti e viadotti ad arco;
o
tipologie a doppia curvatura (volte) per coperture di aree di notevoli
dimensioni;
• strutture in acciaio:
o
telai semplici o complessi con possibile comportamento a “ritti pendolari
od a telaio con nodi ad incastro”;
o
comportamento strutturale e modello di calcolo (vedi punto preced.)
definito in funzione della tipologia di unioni: a cerniera od ad incastro.
51
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
o
orizzontamenti considerabili come travi appoggiate (isostatico) in caso
di modello a “ritti pendolari”, ovvero come travi continue multicampata
(iperstatico) in caso di modello a telaio con nodi ad incastro;
o
presenza quasi assicurata di elementi di controventamento;
o
diversità di tecnologie esecutive delle unioni: chiodate, imbullonate o
saldati;
o
fortemente sensibile a fenomeni di instabilità: sia per gli elementi
orizzontali, che per quelli verticali;
o
mediamente deformabile sutto carichi verticali;
• strutture in calcestruzzo armato:
o
comportamento a telaio con perfetta trasmissione di
Caratteristiche di Sollecitrazione, tra tutti gli elementi strutturali;
o
pilastri soggetti a presso-flessione deviata;
o
travi reticolari,
Vierendel;
o
archi di notevole luce per ponti e viadotti realizzati con getto in opera
(ponti Maillard) o con particolari procedure;
in
genere
prefabbricate,
con
tutte
funzionamento
le
alla
• strutture in calcestruzzo armato precompresso:
o
travi semplici gettate in opera con cavi di precompressione post-tesi
interni o esterni per applicazioni civili o per ponti e viadotti;
o
travi semplici prefabbricate in officina con armature di precompressione
aderenti per applicazioni civili o per ponti e viadotti;
o
ponti e viadotti realizzati per conci in avanzamento, in opera o
prefabbricati, con schema statico evolutivo;
o
ponti e viadotti realizzati con travi appoggiate prefabbricate
successivamente rese continue con armatura convenzionale o cavi;
o
ponti e viadotti realizzati con getti in opera e varati a spinta con schema
statico evolutivo.
e
Viste tridimensionali di nodi
in acciaio:
nodo 1
nodo 2
52
-
nodo 1: giunto a cerniera
(permette rotazioni, non
trasmette momento);
-
nodo 2: giunto ad incastro
trasmette tutte le C.di S.);
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
CONSIDERAZIONE STATICHE
È necessario premettere che la complessità e la varietà delle tipologie delle opere,
sia per materiale costitutivo e schema strutturale che per sequenze esecutive, non
consente di individuare procedure operative ripetitive.
Di conseguenza vanno impostati criteri operativi a carattere generale e di
principio i quali, volta a volta, dovranno trattare prima i problemi di statica locale
e, successivamente, i problemi di statica globale, nel quadro della isostaticità o
iperstaticità dell’opera e degli schemi che verranno progressivamente a
configurarsi.
Per statica locale si intende il complesso di problemi che interessano parti
dell’opera la cui crisi non coincide necessariamente con la crisi della struttura
principale portante. Trattasi quindi di problemi che possono interessare le solette,
le rampe scale, gli sbalzi ed altro; per statica globale si intende, invece, il
complesso dei problemi che interessano parti dell’opera la cui crisi può
coincidere con la crisi della struttura. Anche un intervento teso ad alterare il
numero di iperstatiche della struttura va inquadrato nell’ottica della statica
globale.
Ciò premesso, un processo di demolizione deve preliminarmente individuare i
seguenti aspetti fondamentali:
-
analisi dello stato di fatto: coincide con la raccolta della documentazione
tecnica che descriva le caratteristiche dell'opera, analizzata da tutti i punti di
vista: destinazioni d’uso, analisi costruttiva, concezione strutturale; di tutti
questi aspetti dovrebbe essere studiata l’evoluzione nel tempo;
-
ipotesi di procedimento: momento progettuale vero e proprio in cui viene
pianificata la strategia di intervento;
-
valutazione stadi intermedi: osservazione ed analisi delle fasi fondamentali
delle operazioni di demolizione, con annesse verifiche statiche transitorie.
Su tali punti si ritiene opportuno sviluppare alcune considerazioni.
a) Analisi dello stato di fatto
L’opera da demolire deve essere ben inquadrata con riferimento alla sua età, allo
stato, ai materiali e alle loro caratteristiche, alle fasi costruttive e agli schemi
strutturali che possono caratterizzarla. Risulta fondamentale poter disporre della
documentazione tecnica. Non è altresì da sottovalutare l’analisi visiva
dell’organismo da demolire, poiché solo in questo modo è possibile constatare
fenomeni di degrado, che riducendo fortemente l’area della sezione resistente, ne
compromettono fortemente le capacità strutturali.
L’età dell'opera in genere può consentire di individuare, anche se non sempre in
modo sufficientemente completo, le modalità costruttive adottate, le
caratteristiche dei materiali delle varie parti, le tecniche di unione degli elementi
strutturali.
53
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Al fine di adottare, nel processo di demolizione agli stati limite, un coefficiente di
sicurezza necessariamente ridotto, può risultare opportuno effettuare valutazioni
dirette delle caratteristiche dei materiali, con prelievo di campioni o prove non
distruttive. Su tale base si può procedere ad una valutazione delle capacità
portanti delle singole sezioni strutturali (e dei collegamenti), siano esse in legno,
in muratura, in calcestruzzo normale, in acciaio o in calcestruzzo armato
precompresso.
Particolare attenzione va rivolta alla individuazione delle fasi di costruzione,
poiché in particolare le grandi opere conservano memoria statica delle fasi transitorie.
Alla conclusione di tali valutazioni il quadro conoscitivo dell’opera deve risultare
sufficientemente completo per affrontare il progetto di demolizione.
b) Ipotesi di procedimento
Le strategie di intervento, nel rispetto del contesto in cui ’l opera è ubicata e delle
possibilità operative, dovranno individuare, sotto l’aspetto statico e in modo
compiuto, le seguenti successioni:
-
rimozione
carichi
pavimentazioni);
permanenti
portati
(tramezzature,
rivestimenti,
-
demolizione progressiva degli elementi strutturali, partendo dagli elementi
più portati fino a quelli più portanti;
-
progressivo declassamento dei vincoli di iperstaticità dell’opera e smontaggio
dei singoli elementi costruttivi;
-
pilotaggio ed orientamento della caduta degli elementi strutturali e loro
frazionamento a terra per facilitare trasporto e smaltimento.
I punti di cui sopra dovranno essere singolarmente oggetto di analisi, anche
approssimata e variamente diversificata, al fine di individuare le soluzioni ottimali
nel quadro dell'approccio operativo, dell’assetto statico transitorio e della
sicurezza.
Si vuole sottolineare il fondamentale problema del declassamento
caratteristiche iperstatiche e della individuazione delle zone critiche dell’opera.
delle
Tale declassamento assume particolari aspetti nelle strutture reticolari, classiche
nei grandi ponti in acciaio ad arco o a travata, dando vita a schemi variati. La
eliminazione di qualche asta o dei suoi collegamenti può comportare la trasformazione di un tirante in puntone, con conseguente crisi per instabilità locale.
Analogamente risulta complesso il declassamento di un incastro a cerniera o
comunque di un vincolo di continuità strutturale nelle travi continue o nei telai.
Particolare attenzione va rivolta ai sistemi di controventamento in fase di demolizione.
A proposito di questa operazione, è necessario fare una distinzione sui possibili
rischi che si corrono: nel caso in cui si demolisca progressivamente tutto un
54
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
organismo edilizio, eliminando subito gli elementi di controventamento, si lascia
il resto dell’organismo attaccabile da parte di eventuali azioni orizzontali; se i
tempi previsti per la conclusione dell’intervento sono relativamente brevi, la
probabilità che si presenti un’azione orizzontale che porti al collasso, è abbastanza
ridotta (specie se si usano tecniche di demolizione totale).
La conseguenze più pericolose si presentano però nel caso in cui si stia operando
una demolizione parziale di un organismo edilizio e, all’interno di tale processo,
si preveda la rimozione od il trasferimento degli elementi di controventamento
(ipotesi più possibile nel caso di uno scheletro in acciaio); non solo si rischia di
lasciare l’edificio indifeso nei confronti delle azioni orizzontali, ma, nel caso di
spostamento della posizione dei controventi si va a modificare completamente la
concezione strutturale dell’opera!
I controventi infatti non rivestono soltanto il ruolo di assorbimento delle forze
orizzontali, ma, rappresentando anche elementi di elevata rigidezza locale,
influenzano fortemente la posizione del centro delle rigidezze dell’intero edificio.
Un loro spostamento comporta necessariamente una modificazione della distanza
tra il centro delle masse e quello delle rigidezze, con conseguente nascita di un
momento torsionale agente su un paino orizzontale.
L’aspetto più importante è sicuramente il fatto che nel caso di distribuzioni non
simmetriche dei pilastri e/o delle loro rigidezze, le sollecitazioni nei pilastri più
lontani dal centro delle rigidezze si incrementano rispetto alla ripartizione basata
sulla sola rigidezza dei pilastri a causa della rotazione che il solaio subisce nel suo
spostamento.
Disponendo, ad esempio, una parete a setto particolarmente rigida ad un’estremità
dell’edificio, si può arrivare a raddoppiare le sollecitazioni sui pilastri all’estremo
opposto. Da qui l’importanza, in sede progettuale, di favorire la scelta di schemi
strutturali simmetrici, per evitare concentrazioni di sollecitazioni su una parte sola
della struttura. La simmetria deve riguardare la disposizione dei pilastri, ma
soprattutto la distribuzione delle rispettive rigidezze, nel senso che non è
strettamente necessario che i pilastri siano distribuiti in modo perfettamente
simmetrico, purché le loro rigidezze siano ripartite planimetricamente in modo
che il baricentro di queste ultime non sia significativamente discosto dalla
risultante delle azioni.
Quindi nella progettazione, prevedendo di utilizzare degli elementi
particolarmente rigidi (pareti a setto, nuclei scale o ascensori a struttura scatolare)
è bene disporli ad entrambe le estremità della planimetria dell’edificio in modo da
contenere comunque tra loro la risultante delle azioni, fornendo il massimo
braccio possibile per ridurre l’effetto di rotazione dovuto all’eccentricità
dell’azione. Queste ultime considerazioni, utili nella progettazione di una
costruzione, diventano fondamentali nella progettazione di una demolizione.
L’elevata rigidezza di nuclei scale e/o ascensore ha spesso comportato notevoli
problemi addirittura in fase di caduta dell’organismo da abbattere: il nucleo
oppone spesso una notevole resistenza alla caduta, restando spesso in piedi,
oppure (cosa più rischiosa) modificando la direzione di caduta degli elementi
55
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
contigui. Per ovviare a questo problema, si può procedere con due approcci
diversi: è possibile isolare l’elemento, tagliando i collegamenti che lo legano al
resto della struttura, per poi farlo cadere separatamente; oppure, al contrario, lo si
vincola fortemente al resto della struttura, per assicurare che venga trascinato
nella caduta, nella direzione preponderante della maggior parte della massa
cadente.
Si ricorda che se per gli edifici in acciaio i controventi sono generalmente
costituiti da tralicci reticolari in acciaio, per gli edifici in calcestruzzo armato sono
rappresentati da setti scale e/o ascensori. Nel secondo caso, oltre alle conseguenze
strutturali, la loro rimozione anticipata rispetto al resto dell’edificio non è molto
funzionale a livello cantieristico, visto che le scale stesse continuano ad essere
utilizzate dal personale di cantiere per la comunicazione verticale.
Le zone critiche dell’opera o individuate come tali nel processo di demolizione,
devono presentare facilità di intervento per l’accesso sia degli operatori che dei
mezzi d’opera, e le loro caratteristiche statiche devono essere preliminarmente
ben valutate in rapporto al superamento degli stati limite richiesti.
I problemi connessi alle strutture in calcestruzzo armato precompresso risultano,
in conseguenza, più complessi anche con riferimento, come si dirà, alle fasi di
precompressione, le quali, nel processo di demolizione, non possono spesso
seguire a ritroso il processo adottato nella costruzione.
A conclusione di tale esame strategico dell’opera, il progettista della demolizione
è in grado di individuare nel quadro locale globale tutte le fasi progressive di
intervento da sottoporre al successivo esame statico.
c) Verifiche statiche transitorie alla demolizione
Le verifiche statiche transitorie dovranno fare preciso riferimento agli schemi che
il progettista della demolizione o dello smontaggio dell’opera ha individuato ed
intende attuare.
Trattasi, in genere, di verifiche in deroga alle normative, eseguite agli stati limite
con coefficiente di sicurezza minimo ma non inferiore ad 1,3÷1,4, specialmente se
non si conoscono in modo compiuto le caratteristiche dei materiali e le
disposizioni delle armature nelle strutture in cemento armato, le caratteristiche dei
collegamenti nelle strutture in acciaio, gli ammorsamenti nelle strutture in
muratura.
Tali verifiche non vanno sottovalutate, e vanno condotte con procedure mirate.
Per dimostrare l’importanza di tale verifiche, ossia le forti variazioni di
distribuzione pensionale a cui sono soggette le strutture nelle varie fasi della loro
demolizione, si riportano in seguito alcuni esempi illustrativi.
CASO 1
Come è stato infatti più volte ripetuto, durante un’attività demolitiva di un
organismo strutturalmente impegnativo, è necessario non solo verificare la
56
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
stabilità dello scheletro integro (per garantire la sicurezza durante eventuali
lavorazioni preliminari), ma anche degli schemi statici modificati.
È fondamentale quindi ricordarsi in primo luogo che, a meno che non si esegua
una demolizione totale con esplosivo, l’eliminazione di qualsiasi elemento
strutturale comporta necessariamente una modificazione dello schema statico, ed
una sensibile ridistribuzione delle caratteristiche di sollecitazione.
Questo concetto può essere facilmente illustrato con il seguente esempio, che, tra
l’altro ben si adatta al nostro caso studio, in particolare alla fase di progressivo
smantellamento dell’impalcato.
Si noti bene che tutte le considerazioni che seguono, essendo fatte su di uno
schema di solaio associato ad una trave continua, sono assolutamente valide anche
per una trave vera e propria; ne consegue un interesse ed un’applicabilità tanto
maggiore.
Si consideri quindi uno schema semplificativo di una fascia di solaio di larghezza
unitaria, soggetto ad una carico uniformemente distribuito P, somma del peso
proprio, permanenti ed accidentale costante, trascurando un
discorso di
combinazioni di carico. Risolvendo lo schema stitico (tramite qualsiasi
prontuario) si ottengono le caratteristiche di sollecitazione di taglio e momento
ovunque sulla fascia di solaio.
È interessante notare come cambiano (migliorando in alcune sezioni, e
peggiorando in altre) le caratteristiche di sollecitazione di taglio e momento,
quando viene eliminata la prima campata a sinistra, passando da uno schema di
trave continua di tre, a due campate.
M1 = M 4 = −
pl 2
24
M2 = M 3 = −
pl 2
10
M 12 = M 34 =
pl 2
12,5
M 23 =
pl 2
40
T1 = +0,4 pl
T4 = −0, 4 pl
T2− s = −0,6 pl
T2− d = +0,5 pl
T3− s = −0,5 pl
T3−d = +0,6 pl
Le sezioni più sollecitate sono, simmetricamente, i due appoggi intermedi, e le
due campate esterne; in particolare, come è noto, gli appoggi interni presentano
57
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
contemporaneamente i valori più alti sia di taglio, che di momento; la campata
centrale invece presenta un momento positivo che è più di tre volte minore
rispetto alle campate adiacenti.
La situazione cambia sensibilmente quando si elimina la prima campata: in primo
luogo, quella che prima era la campata centrale, diventa ora terminale, con una
triplicazione del momento positivo su di essa; è chiaro che se questa campata di
solaio (o trave vera e propria che sia) è stata progettata in base ad un momento di
circa pl2 /40, quando esso giunge a valere pl2 /12.5, è molto probabile che i
coefficienti di sicurezza siano stati “consumati” e non garantiscano più la
resistenza.
M1 = M 3 = −
M2 = −
pl 2
24
pl 2
8
M 12 = M 23 =
pl 2
14,3
T1 = −T3 = +0,375 pl
T2− s = −0,625 pl
T2− d = +0,625 pl
Anche la campata 3-4 del primo schema subisce qualche variazione, ma
comunque di ordine di grandezza tale da potere ancora essere assorbito (il
momento passa dal valore pl2 /12.5 ad pl2 /14.3).
Tralasciando ora le campate, si nota che il momento sul appoggio 2 (I schema)
tende ad annullarsi, diventando quest’ultimo, nel secondo schema, un appoggio
terminale
Un peggioramento delle condizioni, lo subisce invece l’appoggio 3 (I schema),
che mantenendo le campate adiacenti, passa da un momento di pl2 /10, ad un
valore di pl2 /8. Sempre in quest’appoggio anche il taglio complessivo aumenta
leggermente, passando da (0.6+0.5)pl , ad un (0.625+0.625)pl.
Riassumendo, in seguito all’eliminazione della campata più esterna, le sezioni
che hanno subito i peggioramenti più significativi sono, la campata 2-3, che ha
visto una triplicazione del proprio momento positivo (capace addirittura da
portare alla crisi), e l’unico appoggio centrale rimasto, nel quale è aumentato sia
il momento che il taglio.
58
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
In generale, come è noto, per elementi trave non eccessivamente corti, il taglio e
le corrispondenti t, influiscono relativamente poco sulla resistenza globale,
rispetto alla flessione ed alle corrispondenti s.
È necessario però sottolineare che queste considerazioni strutturali, non
garantiscono la perfetta aderenza al comportamento reale della struttura, poiché
in una previsione di comportamento (ad esempio capire se l’aumento del
momento, porterà o no alla crisi della campata 2-3) subentrano molti fattori, che
restano più o meno nascosti agli occhi del progettista che deve verificare
l’esistente; valga come esempio per tutti, la possibilità di imbattersi in un solaio
(o trave che sia) con un’armatura sovradimensionata rispetto alle reali esigenze
dettate dalle C.d.S.:questa presenterà una resistenza superiore a quanto sia
possibile immaginare, a meno che non si eseguano dettagliate prove
pacometriche (di rilevanza magnetica) per valutare la quantità e la posizione dei
ferri utilizzati.
Inoltre non bisogna dimenticare che, in generale prima di affrontare la
demolizione dello scheletro portante di una qualsiasi organismo, si è già
provveduto a smantellate tutti gli elementi non strutturali: ciò comporta
l’annullamento del contributo di carico fornito dalla cosiddetta sovra-struttura e
da tutti gli accidentali, lasciando in pratica intatto solo il contributo del peso
proprio della struttura. Di conseguenza sarà in generale più difficile che si
raggiunga una condizione di stato limite ultimo, a causa di una eventuale
modificazione dello schema strutturale, come ipotizzato e descritto in
precedenza.
Col semplice esempio della trave continua è stato possibile dimostrare come, con
un’errata tempistica di smantellamento (del solaio, nel nostro caso), è possibile
causare un comportamento inaspettato della struttura, e più in generale una
failure del sistema.
CASO 2: CURVA DI INTERAZIONE
Nell’ambito di un interventi di demolizione parziale di un edificio esistente,
assume un’importanza vitale la conservazione della capacità portante di quella
parte delle strutture che si prevede debbano rimanere in funzione.
Uno dei problemi principali, è che spesso l’intuizione strutturale risulta
fuorviante rispetto al reale comportamento di una struttura modificata: il
seguente esempio valga da spiegazione.
59
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
È
noto
che
all’interno di uno
schema di telaio
piano, multipiano e
multicampata,
i
pilastri
centrali
sono
soggetti
maggiormente
a
sforzo
normale,
rispetto al momento
trasmesso
dalle
travi.
Questo perché, ad un pilastro centrale sottende solitamente un’area di influenza
maggiore rispetto ad uno di bordo; inoltre, se il suddetto pilastro è compreso tra
due travi di rigidezza e luce simile, le due rotazioni trasmesse da quest’ultime, si
bilanciano tra loro, senza trasmetterne al pilastro, quindi anche il momento
trasmesso sarà limitato. Simmetricamente un pilastro d’angolo sarà limitatamente
sollecitato a compressione, a causa della solitamente piccola area di influenza
sottesa, mentre sarà fortemente inflesso, a causa della rotazione non bilanciata
trasmessagli dall’unica trave che gli si intesta.
È sufficiente osservare
una curva di interazione
M-N di una sezione
presso-inflessa,
per
capire che un pilastro
resiste molto meglio se
sollecitato maggiormente
a compressione che a
flessione.
Se
il
punto
P1
rappresenta la situazione
iniziale del pilastro,cioè
la coppia M-N a cui è
sollecitato, riducendo il
carico
assiale
sul
pilastro, e quindi la N a
cui è sollecitato, si passa
al punto P2 .
Mantenendo invariata il momento agente M e riducendo lo sforzo normale, non
si fa altro che aumentare l’eccentricità e = M/N.
Così facendo è possibile passare da un punto che si trova all’interno della curva
di interazione, cioè compreso all’interno del dominio di interazione, ad un punto
esterno alla curva, quindi rappresentativo di una situazione di collasso della
sezione.
60
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
In base a questo semplice esempio concettuale, risulta più facile comprendere
come la semplice diminuzione di carico assiale su un pilastro d’angolo, causata
da un’eventuale smantellamento di piano superiore, possa portare ad una
situazione più sfavorevole, a causa della crescita dell’influenza del momento sul
suddetto pilastro: il fenomeno appena descritto, solitamente và contro la
“naturale l’intuizione strutturale” di un eventuale progettista di un intervento di
demolizione, che non sia particolarmente esperto di comportamento strutturale:
infatti, di primo impatto, la riduzione di un carico assiale viene solitamente (e
spesso erroneamente) associata ad un fenomeno assolutamente positivo per la
struttura, nessuno quindi si potrebbe immaginare che possa nascondere invece un
rischio intrinseco.
Le stesse conseguenze ai fini dei pilastri, possono accadere qualora si dovesse
eliminare (in una demolizione parziale) la campata finale di una travata continua:
il penultimo pilastro, al quale inizialmente si innestavano simmetricamente due
travi, risulta improvvisamente trasformato in pilastro laterale, con tutto ciò che
questo comporta: contemporanea diminuzione di area di influenza sottesa (quindi
diminuzione della N), e sbilanciamento di rotazioni al nodo (quindi forte
trasmissione di momento dalla restante trave).
Questo tipo di “modifica” comporta anche uno forte cambiamento dello stato
sollecitativo della travata, ridotta di una sua campata: è infatti noto che (ad
esempio in una trave continua a due campate) la presenza di una campata
adiacente, pur causando un forte momento negativo all’appoggio centrale, riduce
il momento in campata; eliminando infatti la suddetta campata adiacente, il
momento all’appoggio diminuisce fortemente (trasferendosi però al pilastro,
prima solo compresso, ora presso-inflesso), mentre quello nell’unica campata
rimasta cresce sensibilmente.
CASO 3: DEMOLIZIONE ARCATE
È cosa nota che la stabilità globale di arcate multiple è solitamente affidata al
mutuo contrasto che esercitano tra loro i singoli archi, assorbendo tra loro le
azioni orizzontali.
Se inavvertitamente se ne eliminasse una, tutte le altre potrebbero di conseguenza
collassare lateralmente con un effetto domino. Per evitare ciò, è consigliabile non
demolire mai totalmente un arco, ma lasciarne sempre integra una fascia
resistente (vedi fig. sotto).
61
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Naturalmente in un’operazione di demolizione simile a quella appena descritta, è
sicuramente necessaria anche una verifica della fascia di impalcato sul quale
appoggerà il mezzo meccanico addetto alla demolizione; in questa verifica risulta
d’altra parte corretto non considerare nell’analisi dei carichi agenti tutti i
permanenti di sovrastruttura e gli accidentali (fuorché quelli relativi alle
operazioni di demolizione).
CASO 4: DEMOLIZIONE CAPRIATA RETICOLARE
Come nel principio dell’arco, anche una capriata reticolare (metallica o in legno)
deve la sua resistenza globale ad un elemento catena, che chiude il triangolo delle
forze, assorbendo le sollecitazioni orizzontali; la sua rimozione, voluta od
indesiderata, porta al collasso immediato della struttura.
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Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
CASO 5: DEMOLIZIONE DI ORIZZONTAMENTI IN CALCESTRUZZO
ARMATO
Qualsiasi elemento orizzontale in calcestruzzo armato presenta un
comportamento a telaio con nodi ad “incastro”, grazie alle continuità del getto (di
cls.) e delle barre di armatura; lo schema statico di una trave incastrata (ad una o
più campate) presenta sempre dei momenti agli appoggi non nulli.
Questo può essere sfruttato positivamente, per facilitare il suo abbattimento:
minando uno degli appoggi, la trave passa da uno schema di trave perfettamente
incastrato, allo schema di una mensola, con un fortissimo aumento del momento
(e relativa rotazione) sull’appoggio rimasto integro, facilitando il ribaltamento
della trave e del pilastro a cui è rimasta collegata.
Questa
piccola
applicazione
rappresenta
in
piccolo
ciò
avviene durante una demolizione
che utilizza esplosivo sui nodi
strutturali:
per
ottenere
l’implosione
è
sufficiente
modificare progressivamente, con
l’uso di micro-cariche lo schema
di
calcolo
dello
scheletro
portante.
CASO 6: DEMOLIZIONE ELEMENTI VERTICALI IN C.A.
Il modo più per demolire elementi verticali in c.a. od in murature è il loro
ribaltamento sul fianco; naturalmente è necessario poter disporre di una adeguato
corridoio di caduta (con L > 1,5h).
Il ribaltamento, ottenuto applicando con una forte flessione sull’elemento, deve
essere facilitato con il taglio preventivo delle armature nelle zone tese, come del
resto avviene anche negli orizzontamenti in calcestruzzo armato. La presenza di
ferri in trazione integri, non solo potrebbe impedire la caduta, ma (cosa ben più
pericolosa) deviarne la direzione di caduta.
Si vedrà che questa stessa fondamentale osservazione vale per qualsiasi elemento
strutturale verticale, quale setti, nuclei scale o ascensore, torri e ciminiere.
Il ribaltamento può essere ottenuto per spinta (con la benna di un escavatore) o
per trazione (con dei cavi legati alla benna di un escavatore).
Bisogna prestare massima attenzione alla direzione di caduta, posizionando
adeguatamente la forza orizzontale al di sopra del baricentro delle masse, per
evitare di creare una coppia in direzione opposta, facendo ribaltare l’elemento
sopra l’operatore.
63
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
CASO 7: TORRI PIEZOMETRICHE
Una tipologia strutturale molto impegnativa è rappresentata dalle torri
piezometriche: la loro conformazione, forte massa in sommità, sorretta da
elementi verticali sottili, variamente connessi, ne fa una struttura molto
difficilmente controllabile una volta che venga perturbata la sua stabilità e si
passi ad una configurazione variata, distante da quella di partenza.
La difficoltà maggiore sta quindi nel tentare di controllare la struttura durante la
caduta stessa, e mantenere invariata la direzione che è stata pianificata.
Essenzialmente le tipologie di torri piezometriche si riducono ad una possibilità
di variazione del numero degli appoggi: possono essere tre, quattro od anche sei.
Minando in profondità rispettivamente due o quattro sostegni, si ottiene il
ribaltamento sul fianco della struttura.
In generale è possibile distinguere i
caduta :
-
seguenti casi di mancato controllo della
un spezzettamento insufficiente degli
appoggi (vedi fig. caso 1 e sequenza 1),
può portare al pericoloso fenomeno che
li porta a comportarsi come puntoni
(mediamente rigidi) che si oppongono
alla caduta della massa del serbatoio,
spingendolo in direzioni incognite ed
imprevedibili;
64
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
-
un eccessivo spezzettamento di una
sola parte degli appoggi (vedi fig.
caso 2), può portare alla spinta
verso l’altra direzione dei restanti
pilastri, facendoli atterrare nella
zona opposta al corridoio di caduta,
solitamente considerata sicura;
-
lo stesso effetto di deviazione della traiettoria di caduta può essere causato
(come accennato in precedenza) dal mancato indebolimento preventivo della
struttura: per indebolimento della struttura si intende, il taglio dei ferri di
armatura in quella che sarà la zona tesa nel momento della caduta, e
parallelamente la frantumazione o l’eliminazione di elementi in calcestruzzo
che possano funzionare da puntone al momento della formazione del
cinematismo.
Sequenza di crollo di una torre piezometrica
Abbattimento di una torre
piezomentrica: dalla foto
si comprende chiaramente
che la cernierizzazione è
stata
creata
con
dell’esplosivo, posizionato
sul fianco sinistro, dove si
possono notare tra l’altro
alcuni
brandelli
di
materiale di rivestimento,
utilizzato per limitare la
proiezione di frammenti
lapidei.
65
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
CASO 8: PRECOMPRESSO
Le strutture in precompresso, con particolare riferimento alle strutture post-tese,
risultano estremamente delicate in quanto la trave isolata (ad esempio nelle
strutture da ponte) può raggiungere la crisi se è privata di elementi di impalcato.
Ciò si può verificare se la coazione con i cavi è stata applicata in progressione. In
tale caso, eliminando la soletta di impalcato l'intera precompressione emigra sulla
trave, la quale può raggiungere la crisi, non prevista, al momento flettente
negativo.
Nello schema che si allega si illustra un caso classico che si può presentare nei
ponti a travata. Si fa riferimento alla campata tipo di un viadotto realizzato con
travi prefabbricate in calcestruzzo precompresso a cavi post-tesi e soletta gettata
in opera. Il diagramma delle tensioni di precompressione sono illustrate negli
schemi, evidenziando che se si demolisce la soletta l’intera precompressione
sviluppata da tutti i cavi emigra sulla sola trave. In tal caso la trave può raggiungere lo stato limite per trazione.
Nel caso in cui i cavi di precompressione siano stati iniettati, non risulta possibile
decomprimerli prima di effettuare ulteriori rimozioni strutturali. In tali casi può
convenire l’applicazione di cavi provvisori ed eseguire lo smontaggio della sola
trave. In tal senso la precompressione con cavi esterni presenta notevoli vantaggi,
in quanto questi possono essere preventivamente detensionati.
Il medesimo problema, in forma più complessa, si presenta nella demolizione dei
ponti realizzati a conci in avanzamento, prefabbricati o non.
Altre verifiche fondamentali che interessano una estesa classe di strutture sono
quelle relative alla instabilità flesso-torsionale di travi alte, anche reticolari, in
parete sottile, in calcestruzzo o acciaio, all’atto in cui vengono meno le
controventature di progetto. I problemi di instabilità flesso-torsionale possono
presentarsi anche nei casi di sollevamento di elementi strutturali all’atto dello
66
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
smontaggio. I punti di sollevamento vanno opportunamente definiti con la finalità
di elevare il carico critico dell’elemento in fase di movimentazione.
CONCLUSIONI
Come è stato premesso, le considerazioni sinora svolte, sono finalizzate a creare
quel bagaglio culturale utile al progettista, per capire come il fattore strutturale
possa interagire ed influenzare la progettazione di una intervento di demolizione.
È stato sottolineato come il momento decisionale relativo alla scelta della
tecnologia e del procedimento da utilizzare, sia fortemente caratterizzato dalla
tipologia strutturale in questione. Nel quarto capitolo si trasferiranno le
considerazioni fatte sul rapporto tra tipologia strutturale e progetto di
demolizione, in confronti tra i rischi relativi alle suddette considerazioni
strutturali ed il momento decisionale (disciplina del decision taking).
Tutto ciò è altresì un’ulteriore conferma del fatto che, un abbattimento di una
struttura complessa necessita di uno specifico bagaglio di conoscenze strutturali,
oltre che di una vera e propria progettazione. Alcuni degli esempi illustrati nel
terzo capitolo, non solo descrivono l’iter progettuale volto all’esecuzione
dell’intervento, ma riportano nel dettaglio anche alcuni calcoli strutturali che si
sono resi necessari per verificare le varie fasi transitorie della demolizione: in
particolare, nello studio dell’atterramento di una delle “vele” di Secondignano (a
Napoli) vengono riportate e spiegate le verifiche di resistenza di alcuni setti
murari che sono stati “alleggeriti” in fase di indebolimento della struttura (fase
che anticipa e facilita l’abbattimento con l’esplosivo).
Le difficoltà che si presentano al progettista, qualora affronti gli aspetti strutturali
di una demolizione, sono quindi svariati ed oltretutto, spesso restano nascosti ad
occhi non specializzati,; tutto ciò senza contare che solitamente il progettista se la
deve cavare senza una adeguata documentazione tecnica, operando su una
struttura non nota, a volta non ispezionabile (se pericolante), e che nasconde al
suo interno i difetti occulti del progettista originale, e della dita esecutrice.
Proporzionalmente al numero delle incognite in gioco, crescono anche i relativi
rischi connessi.
Non essendo i processi di demolizione ancora inquadrati in una normativa specifica (in corso di studio), tanto più si ritiene necessaria una alta professionalità e
competenza per chi affronta il settore.
67
Capitolo 1
I Presupposti Teorici della Demolizione
Sequenza di abbattimento di una torre piezometrica a sei appoggi. La cernierizzazione
eseguita attraverso l’uso dell’esplosivo, non riesce a far ribaltare completamente la torre sul
proprio fianco: infatti, a causa di uno slittamento relativo delle sezioni distaccate (foto C) la
struttura crolla anche secondo la direzione verticale.
68
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
CAPITOLO 2: LE TECNICHE DELLA DEMOLIZIONE
Nel capitolo precedente sono state, tra l’altro, descritte ed indagate le varie
metodologie di demolizione (abbattimento, totale, parziale, indifferenziato,
selettivo): si intende ora approfondire la conoscenza di tutte le possibili tecniche
relative ad ogni tipologia di approccio.
Nel corso della lettura di questa sezione sarà possibile vedere come nel mondo
della demolizione, spesso la realtà riesca a superare la fantasia creativa: è per
questo che si è scelto di riportare, oltre a quelle più conosciute e convenzionali,
anche alcune tecniche sperimentali ed fortemente specifiche, concepite per lo
smantellamento di determinati elementi costruttivi o per l’esecuzione del lavoro
in condizioni particolari.
La classificazione, e la relativa esposizione, che vede le tecniche organizzazione
in base al decrescente livello di distruzione apportato, nasce in funzione del
discorso delle metodologie di demolizione.
Ogni tecnica esposta verrà analizzata nel dettaglio, secondo dei criteri di
valutazione più o meno standardizzati; questi criteri possono essere riassunti nella
lista che segue:
-
descrizione e principi di funzionamento della tecnologia;
-
storia ed evoluzione della tecnologia (all’estero ed in Italia);
-
principali vantaggi e limiti nell’applicabilità;
-
classificazione tipologica dei possibili interventi;
-
casi speciali di utilizzazione;
-
parametri di progetto: principali grandezze che determinano la scelta della
tipologia di intervento;
-
criteri pratici per la scelta del modello;
-
tendenze del mercato e possibili evoluzioni future;
-
scheda sintetica riassuntiva.
Chiaramente non sarà sempre possibile applicare l’intero sistema di valutazione
ad ogni tecnica esposta, ma sarà comunque garantita un’analisi che metta in luce
le caratteristiche ed i limiti operativi di ogni tecnica, in funzione del contesto
operativo e dell’oggetto su cui si deve intervenire.
Lo schema che segue esemplifica la classificazione in base al grado di invasività
delle operazioni:
69
Capitolo 2
α
Le Tecniche della Demolizione
β
DEMOLIZIONE TOTALE
dell’APPARATO COSTRUTTIVO:
-
esplosivistica applicata alla
demolizione;
palla demolitrice;
spinta diretta al ribaltamento;
trazioni tramite cavi;
scalzamento delle fondazioni;
-
procedimento Cardox.
FRANTUMAZIONE PARZIALE
dell’APPARATO COSTRUTTIVO:
-
martello demolitore idraulico;
spacca-roccia chimici;
spacca-roccia meccanici;
spacca-roccia a sparo;
pinze e cesoie idrauliche;
il Nibler (uncino);
procedimenti elettro-chimici;
i Piloni;
riscaldamento armature per effetto
Joule;
generazione di microonde;
elettro-fratturazione.
-
γ
ELIMINAZIONE del singolo ELEMENTO
COSTRUTTIVO FUNZIONALE:
-
-
∆
Utensili diamantati:
- fori consecutivi per carotaggio;
- seghe da parete;
- troncatrici manuali;
- seghe taglia-pavimento;
- seghe a tuffo;
- seghe a catena;
- seghe a filo diamantato;
Procedimenti termici:
- perforazione termica con lancia ad
ossigeno;
- cannello al plasma;
- laser.
TRATTAMENTO SUPERFICIALE
degli ELEMENTI COSTRUTTIVI:
-
-
70
Acqua ad alta pressione:
- idrodemolizione selettiva;
- idrodemolizione controllata;
scarnificatrici meccaniche;
fresatrici stradali;
concrete planer (bump cutter);
fresatrici polivalenti;
fresatrici brandeggiabili;
piallatrici – molatrici;
bocciardatrici – pallinatrici;
attrezzature manuali.
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Si è ritenuto superfluo entrare nel dettaglio delle altre mcchine adibite al
trattamento superficiale di elementi in calcestruzzo: essendo estremamente
flessibili, il loro funzionamento e le loro caratteristiche non possono influenzare
le scelte progettuali. Sono state quindi solamente elencate in quest’introduzione,
ma non troveranno riscontro nel resto del testo.
D’altra parte, per poter trattare compiutamente quella che nello schema è stata
indicata come quarta metodologia di intervento (classe ∆), si è ritenuto necessario
fornire al lettore, una breve approfondimento tematico; la tecnica
dell’idrodemolizione finalizzata alla rimozione di uno strato superficiale di
calcestruzzo (copriferro) non può prescindere dall’illustrazione delle motivazioni
che giustificano tale tipologia di intervento: come sarà detto infatti,
l’idrodemolizione selettiva si rende necessaria qualora appaiano determinati
fenomeni di degrado superficiale del calcestruzzo.
Il suddetto paragrafo quindi si prefigge lo scopo di fornire al progettista un
quadro sintetico della problematica, analizzata secondo i seguenti punti:
-
le cause del degrado;
-
le possibili fenomenologie;
-
le indagini e la diagnostica (distruttiva e non invasiva);
-
modalità di intervento ed i criteri di scelta;
-
glossario termini tecnici ed approfondimenti.
71
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
DEMOLIZIONE TOTALE DELL’APPARATO
COSTRUTTIVO
DEMOLIZIONE PER TRAZIONE TRAMITE CAVI
Si tratta di un procedimento di demolizione che avviene per trazione
dell’elemento costruttivo interessato: la parte dell’opera da demolire viene
imbracata con un sistema di cavi, si esercita quindi una trazione tramite gli stessi
cavi, che vengono azionati da un motore, fino ad arrivare al collasso generale.
Questa tecnica trova un suo predecessore, in un metodo utilizzato dai boscaioli
per abbattere gli alberi.
Nel loro caso, si pratica un taglio alla base del tronco per indebolire la resistenza
a trazione delle fibre tese, perciò parallelamente nella demolizione applicata
all’edilizia, si realizzerà un intaglio con strumenti diamantati nella parte bassa
dell’opera.
Questo metodo risulta abbastanza pericoloso, in particolare quando non siano
state ben sostenute e puntellate tutte le restanti parti, adiacenti all’elemento da
demolire. In effetti, in questo genere di lavori si sono spesso verificati crolli
improvvisi, in seguito ad un qualsiasi evento accidentale non previsto (ad
esempio improvvisa azione orizzontale di vento agente su una struttura già
fortemente destabilizzata).
Campi d’applicazione
La demolizione realizzata con l’aiuto di cavi è soprattutto adoperata per
l’abbattimento di opere in muratura, che, al contrario del calcestruzzo armato non
presentano ferri di armatura, i quali costituiscono la principale fonte di resistenza
a trazione dell’opera.
Tuttavia la tecnica è applicabile anche nel caso di opere in calcestruzzo armato,
previa realizzazione di profondi intagli negli elementi verticali portanti, che
permettano la sconnessione delle barre d’armatura longitudinali.
In generale, queste tecniche sono applicabili in quelle situazioni in cui si stiano
trattando opere relativamente sane, mentre sono fortemente sconsigliate per
murature antiche costituite da mattoni semplicemente legati tra loro da calce o da
un miscuglio di calce ed argilla. I cavi rischiano di non riuscire a rovesciare
l’opera ma di staccarne solamente alcune parti, la cui traiettoria di caduta diventa
quindi assolutamente imprevedibile.
Se l’opera non si è ribaltata, la sua stabilità diventa molto aleatoria, ed il cantiere
risulta, di conseguenza, molto pericoloso per il personale.
Modalità d’esecuzione
Per il tiraggio dei cavi è necessario utilizzare dei motori meccanici molto stabili,
che non risichino in alcun caso di ribaltarsi, come nel caso dei bulldozer, dei
72
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
trattori e delle pale meccaniche. Devono dunque essere ben ancorati ad un piano
d’appoggio. Sono da evitare tutte le trazioni lungo una direzione obliqua che
comportano un imprevedibilità del piano di caduta (come risulta dalla fig. XXX)
I cavi saranno scelti di una sezione sufficiente per non rischiare la loro rottura; in
effetti una rottura dei cavi potrebbe risultare molto pericolosa, per l’effetto frusta
che ne verrebbe causato. D’altra parte si consiglia di raddoppiare i cavi
(aggiungere dei cavi di riserva, da usare solo in caso di necessità), in modo tale
che gli operai non dovranno tornare a lavorare sull’opera, fortemente
instabilizzata, in caso di rottura dei cavi principali.
Rischi e precauzioni
Si raccomanda infine di proteggere il motore di trazione cavi (eventualmente con
degli assi di legno) per sminuire i possibili danni causati da una frustata di un
cavo spezzato in fase di esercizio.
In ogni modo, il direttore di cantiere deve essere assolutamente presente durante
questo tipo di demolizione: questa deve procedere per trance e bisogna rispettare
un certo ordine di operazioni, relativo alla gerarchia di portanza dei singoli
elementi costruttivi, le quali devono essere identiche a quelle che eseguite per
una demolizione manuale. Ad esempio nessun solaio deve essere demolito prima
che lo siano le mura perimetrali che scaricano su di esso.
È innegabile che la demolizione attuata in questo modo risulta molto
difficilmente controllabile, comportando gravi rischi sia per il personale, che per
le costruzioni adiacenti (in particolare non si possono trascurare le numerose
vibrazioni trasmesse attraverso il suolo). Sarà dunque preferibile demolire un
elemento costruttivo alla volta, e non intere trance di edificio, avendo particolare
cura di sostenere e puntellare i solai destinati a ricevere le macerie dai piani
superiori, onde evitare crolli precoci indesiderati.
Occorrerà, d’altra parte, raddoppiare la prudenza, allorché si ci si trovi in
condizioni in cui sia strettamente necessario inviare del personale su quelle parti
di opera ancora in piedi, ma oramai irrimediabilmente instabilizzate.
SCALZAMENTO DELLE FONDAZIONI
Esattamente come il procedimento che utilizza i cavi in trazione, anche questa
tipologia di procedimenti di demolizione si concretizzano, nel ribaltamento
dell’opera, al quale consegue poi la sua disgregazione al suolo. In seguito si
descriveranno due procedimenti particolari che appartengono alla suddetta
tipologia;
Sostituzione degli elementi portanti
Il primo procedimento consiste in una progressiva (in misura dell’avanzamento
dei lavori) sostituzione degli elementi portanti alla base, con elementi portanti
provvisori, cioè puntelli.
73
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Quando una quantità sufficiente degli elementi portanti è stata soppressa e
rimpiazzata con puntelli di vario genere, questi vengono tirati via con l’aiuto di
cavi oppure possono essere bruciati se sono costituiti da elementi lignei; il tutto
naturalmente dopo aver prestato molta attenzione a richiamare tutto il personale
da tutte le zone pericolose (traiettorie sia di caduta presunta che di caduta
possibile).
Questa tecnica è stata spesso utilizzata per opere di grande altezza quali le
ciminiere. Si preferisce utilizzare questa tecnica di caduta guidata, per le opere in
muratura, visto che l’impatto al suolo comporta un buon disgregamento della
struttura, cosa che facilita
il successivo smaltimento delle macerie; questa
tecnica funziona in misura minore per le opere in c.a., la cui disgregazione è in
parte impedita dalla presenza dei ferri di armatura.
Come per il procedimento di caduta guidata tramite cavi, malgrado tutte le
precauzioni possibili, anche questo procedimento risulta comunque molto
pericoloso.
Disgregazione del terreno
Un secondo caso appartenente alla suddetta tipologia di procedimenti, consiste
nell’operare direttamente sul primigenio elemento portante in un organismo
edilizio, ossia il terreno: si prova in fatti a far “sprofondare” l’opera nel suolo. In
pratica si va a corrodere il suolo a livello del piano di appoggio delle fondazioni,
iniettando forti quantitativi d’acqua sotto le fondazioni; in alcuni casi si
pompando via il fango o il miscuglio acqua-sabbia che si è venuto a creare. Ne
consegue comunque uno “scalzamento” delle fondazioni.
Appendice geotecnica
Dal punto di vista geotecnico, si fa passare il terreno da una situazione di
partenza in condizioni drenate con limitata presenza d’acqua, ad una successiva
situazione di terreno saturo in condizione non drenata: di conseguenza, come
noto dai concetti basilari della Meccanica delle Terre, lo scheletro solido del
terreno perde la sua capacita di mutua trasmissione delle tensioni tangenziali
(all’interno del tensore degli sforzi tutte le τij si annullano lasciando un tensore
costituito solo dai termini sulla diagonale principale) arrivando quindi ad una
situazione di plasticizzazione, cioè collasso, del terreno.
A questa plasticizzazione (intesa dal punto di vista geotecnica, cioè di rottura)
localizzata del terreno su cui scaricano le fondazioni, conseguono naturalmente
dei sensibili cedimenti differenziali delle fondazioni, che, in condizioni limite
portano al collasso totale della struttura sovrastante. Per evitare crolli
incontrollati prima di ammorbidire il terreno, si provvede a puntellare la struttura
sovrastante, ed ad eliminare i puntelli solo in un secondo tempo, quando si è
assicurata un condizione di sufficiente sicurezza per gli operatori. L’eliminazione
dei puntelli può avvenire sia per trazione tramite cavi, che per loro
carbonizzazione (se sono lignei).
Questo metodo è stato molto utilizzato in passato per eliminare delle blockhaus
dalla costa atlantica. Le fondazioni di alcune di queste blockhaus erano state
74
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
fondate su un terreno sabbioso, che permettendo, come è immaginabile, una
buona permeabilità, hanno reso particolarmente agevole l’iniezione del liquido.
SPINTA DIRETTA AL RIBALTAMENTO
Questo procedimento di demolizione, consiste semplicemente nell’applicare una
spinta all’organismo da demolire, attraverso una benna montata su una pala
meccanica, movimentata da un escavatore.
In pratica si applica una
forte azione orizzontale
concentrata, che va ad
aumentare la sollecitazione
di
presso-flessione
sui
pilastri, fino a portarli a
rottura:
la
loro
crisi
comporta di seguito il loro
ribaltamento
nella
direzione di spinta ed il
conseguente collasso di
tutta la struttura.
Dinamica della caduta
Il punto di applicazione della spinta deve essere scelto in modo tale che questo
cada al di sopra del centro di gravità (baricentro) dell’elemento da demolire, per
evitare naturalmente che un’azione orizzontale troppo bassa porti ad un
ribaltamento dell’elemento nel senso opposto a quello della spinta, cioè proprio
nella direzione della pala meccanica; questa necessità strutturale limita purtroppo
le altezze degli elementi che possono essere distrutti, poiché non sempre le pale
meccaniche ordinarie possono raggiungere le altezze richieste.
Nonostante tutte le attenzioni che si
possono prendere relativamente al
punto di applicazione della spinta, per
poter controllare la direzione di caduta,
è
sempre
comunque
necessario
garantire la sicurezza dell’autista del
mezzo: l’automezzo deve perciò poter
assicurate le cosiddette sicurezze
F.O.P.S. (Falling Objects Protective
Structure),
R.O.P.S.
(Roll
Over
Protective Structure) e F.G.P.S. (Front
Gard Protective Structure).
75
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Sicurezza
Con F.O.P.S. si intende che la cabina debba essere progettata e costruita con una
struttura atta a resistere alla caduta di materiali durante il lavoro (sassi, frammenti
di roccia, ecc); con R.O.P.S. si intende una cabina progettata e costruita con una
struttura atta a resistere a più ribaltamenti completi del mezzo; infine con
F.G.P.S. si intende una cabina progettata e costruita per resistere alla proiezione
frontale (sul parabrezza) di materiale, durante lo svolgimento del lavoro.
Campi d’applicazione
Questa tecnica non è facilmente utilizzabile su strutture in calcestruzzo armato,
visto la forte resistenza a trazione (conseguente alla sollecitazione di pressoflessione) delle barre di armatura, mentre si adatta meglio al caso di elementi in
calcestruzzo non armato. Ovviamente questa tecnologia trova facile applicazione
nella demolizione di opere in muratura, grazie alla resistenza praticamente nulla a
trazione della muratura stessa.
PALLA DEMOLITRICE
Funzionamento e caratteristiche
Questo procedimento di demolizione si basa su di una serie di impatti ripetuti,
esercitati sulla struttura utilizzando una grossa palla metallica (in inglese
“wrecking ball”); quest’ultima viene sospesa ad un cavo, il quale la fa agire sotto
un movimento pendolare, ovvero per caduta verticale, l’impatto è del tipo che
caratterizza anche l’azione dei piloni (vedi par. 2.3).
Il notevole impatto della palla sulla struttura da demolire, provoca
immediatamente un parziale crollo, e solitamente segue la distruzione completa
dell’opera.
Sulle pareti in muratura, o in calcestruzzo poco o non armato, l’effetto è
solitamente immediato, e non è necessario eseguite diversi impatti nello stesso
punto. Questa è la ragione per la quale, questo procedimento è stato utilizzato a
lungo, nonostante lo sviluppo delle nuove tecniche, vista appunto la grande
efficacia ed il suo basso costo di produzione.
Per il calcestruzzo armato, l’utilizzazione della palla, pone certamente un grande
numero di problemi, ma ciononostante non si supera tutt’oggi con nessun’altra
tecnologia di demolizione, la possibilità di demolire elementi di alcuni metri di
spessore, quali ad esempio basamenti sottomarini.
Le macerie del calcestruzzo fortemente armato, solidarizzano fortemente con i
ferri d’armatura, che dovranno poi essere tagliati con l’ausilio del cannello
ossidrico.
76
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Le palle sono generalmente
realizzate in acciaio e possono
pesare dai 500 ai 2000 kg.
Queste palle sono fissate ad un
cavo di una gru su di un
cingolato; talvolta si utilizza un
circuito pneumatico montato sul
cavo per ammortizzare gli effetti
dinamici sui cavi stessi. Il peso
della palla sarà, in ogni caso,
sempre inferiore alla metà del
carico di sicurezza.
Wrecking ball
Campi d’applicazione
Il metodo della cosiddetta caduta brutale, che consiste nel portare la palla ad un
altezza considerevole al di sopra della copertura dell’organismo che si vuole
demolire e lasciarla poi cadere verticalmente, è quello che viene impiegato più
spesso; in particolare, viene utilizzato per la distruzione di elementi orizzontali
quali impalcati, strade, piste aeroportuali, od anche per ridurre il volume delle
opere che sono fatte cadere al suolo (anche con l’aiuto di esplosivo) e facilitarne
dunque il successivo smantellamento delle macerie.
Sicurezza e precauzioni
Come è stato già detto la palla è vincolata ad un cavo sospeso ad una gru (sono
escluse le gru a torre) ed il cavo stesso è arrotolato su di un tamburo smontabile
al fine di permettere la caduta della palla. Si consiglia di fissare la sfera con un
doppio cavo, uno principale ed uno di richiamo, per permettere di recuperare la
palla in caso di rottura del cavo principale. Si raccomanda inoltre di avere in
cantiere un approvvigionamento di diverse palle, poiché se, per una ragione
qualsiasi, dovesse scomparire durante la demolizione di un opera (in seguito al
blocco e la rottura di un cavo per esempio), non sarebbe necessario inviare
personale per recuperarla in quelle zone in cui la stabilità degli elementi è stata
fortemente perturbata.
Inoltre le stesse valutazioni sulla posizione del centro di pressione, fatte nel caso
della demolizione per spinta, sono egualmente valide anche nel caso della
demolizione effettuata con la palla demolitrice: bisogna infatti prestare attenzione
a non attaccare con un’azione orizzontale la base di un elemento verticale, poiché
ciò causerebbe il ribaltamento della parte superiore dell’elemento, proprio nella
direzione dell’operatore.
77
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
LA DEMOLIZIONE CON L’ESPLOSIVO
Il Controllo degli effetti dell’esplosivistica civile
Nella carente letteratura tecnica esistente sulla demolizione, la maggior parte dei
testi, si occupa delle possibili applicazioni dell’uso dell’esplosivo.
All’interno di questi testi, strutturati concettualmente in maniera molto simile,
gran parte dello spazio è dedicato alla descrizione delle consolidate tecniche di
scavo in roccia (cava o galleria) attraverso l’uso di esplosivi. In effetti
l’ingegneria mineraria è stato il primo campo di applicazione civile della potenza
dirompente dell’esplosivo, al di fuori del campo bellico.
Sono quindi reperibili testi che spiegano dettagliatamente, non solo tutte le regole
di preparazione e posizionamento delle cariche, ma forniscono tutti i criteri di
dimensionamento delle stesse.
Quindi a causa della suddetta ripetitiva presenza di testi sull’argomento, ed onde
evitare di riportare meramente i contenuti degli anzidetti testi, si coglie
l’opportunità di finalizzare maggiormente il discorso, concentrandoci sul
controllo delle possibili conseguenze negative dell’uso degli esplosivi per
l’abbattimento di edifici. Per approfondimenti sui dettagli esecutivi delle fasi
operative, si rimanda ai testi riportati in bibliografia.
Obiettivi
Lo scopo che si pone questo paragrafo, è quindi di introdurre il lettore ai possibili
effetti secondari dell’esplosivistica civile, e fornire alcuni criteri per il controllo
degli stessi; parallelamente si tenterà di sfasare alcuni pregiudizi appartenenti alla
mentalità comune1).
Nel primo capitolo del presente testo, sono già state affrontate alcune
problematiche culturali che limitano un’applicazione più generalizzata della
demolizione. Se questi preconcetti valgono per la demolizione in genere, sono
tanto più validi quando questa viene fatta con l’uso dell’esplosivo. In particolare
a causa di guerre giustamente non dimenticate, e di ancora terribili usi terroristici
dell’esplosivo, questo non gode generalmente di una buona fama.
Questo approccio può essere comprensibile quando l’utente non sia costituito da
un professionista o comunque da una persona con competenze tecniche. Diventa
meno accettabile quando questi pregiudizi arrivano da tecnici operati nel settore
dell’edilizia o del civile in genere.
La principale conseguenza negativa di una corretta conoscenza delle
caratteristiche dell’uso dell’esplosivo, è che risulta difficile effettuare una scelta
veramente ottimizzata qualora ci si trovi in un momento decisionale, all’interno
di un processo progettuale.
Ciò che vuole evitare è che ci si trovi davanti ad una scelta obbligata di una
tecnica di demolizione per semplici blocchi mentali, quando invece l’utilizzo
dell’esplosivo potrebbe portare a risultati migliori.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
I principali concorrenti dell’esplosivo, sono le tecniche di abbattimento con
macchinari meccanici, che, manifestando un maggiore livello di sicurezza nelle
fasi operative, comportano però indiscutibilmente una tempistica fortemente
maggiore. Secondo alcune stime, di conseguenza anche i costi di un’operazione
meccanica supererebbero mediamente almeno di cinque volte i costi delle stesse
operazioni fatte con l’esplosivo.
Vibrazioni indotte
Una delle conseguenze dell’uso dell’esplosivo generalmente più temute, sono le
vibrazioni indotte. Un intervento di questo genere può comportare due tipologie
di vibrazioni: quelle relative al momento della deflagrazione, e quelle dovute alla
conseguente caduta a terra della massa disgregata dall’esplosione.
Per quanto le prime possano sembrare le più dannose nei confronti degli edifici
adiacenti, in verità la loro elevata frequenza e piccola ampiezza non permette loro
di assumere nessuna importanza.
La seconda tipologia invece è invece associata a frequenze più basse delle prime,
quindi potenzialmente più pericolose.
Mentre la prima tipologia di vibrazioni indotte dipende solamente dalla quantità
di esplosivo utilizzato, la seconda tipologia varia fortemente in funzione della
massa impattante al suolo e dall’altezza di caduta: in pratica queste vibrazioni
1
sono direttamente proporzionali all’energia cinetica E = mv 2 trasferita dalla
2
massa al terreno, al momento dell’impatto.
L’energia liberata dal brillamento, non viene mai interamente trasmessa al
terreno in quanto viene dissipata per frantumare il materiale stesso. Inoltre è
possibile limitarla semplicemente frazionando le cariche e microritardando le fasi
del brillamento.
Caso della demolizione del silos a Genova – intervento della Siag
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
È da notare che solitamente non avviene che tutta la massa impatti
contemporaneamente al suolo, ma la disgregazione si diluisce in un arco di tempo
che va dai 2 ai 5 secondi, abbattendo il picco dell’energia trasmessa; inoltre
molto spesso la distanza degli edifici limitrofi è sufficiente per limitare la quota
di vibrazioni assorbite. La misurazione di entrambe le tipologie di vibrazione
avviene attraverso l’uso di strumenti particolarmente sensibili, detti sismografi.
Nel caso in cui ci si trovi davanti a forti adiacenze, oppure si debba interagire con
un terreno altamente rigido e compatto (quindi più capace di trasmettere
oscillazioni), od anche edifici limitrofi di particolare destinazione d’uso o
importanza che richiedano un blocco totale delle vibrazioni indotte, vi sono
alcuni escamotage che possono facilmente essere attuati.
In primo luogo è possibile limitare, in base alla necessità, l’entità della massa
cadente, creando una disgregazione parziale e graduale; inoltre una della
soluzioni più utilizzate è quella di creare preventivamente un cuscino di macerie
al suolo che assorba l’energia d’urto, abbattendo di conseguenza la generazione
di vibrazioni. Entrambe le soluzioni ora accennate sono state adottate per
l’abbattimento di una struttura di contenimento particolarmente massiva
poggiante su un suolo delicato: la descrizione di questo caso studio è contenuta
nel terzo capitolo (“La demolizione di una silos a Genova”), ore viene tra l’altro
commentato tutto l’iter progettuale che a portato alla suddette scelte, nella piena
considerazione delle particolari condizioni contestuali. Questo esempio è
considerato uno dei casi che meglio rappresenta una perfetta integrazione di più
tipologie di intervento e relative tecniche fortemente diverse tra loro, ma le cui
caratteristiche migliori sono state fruttate per ottenere la soluzione ottimale.
Inquinamento acustico
Come nel caso delle vibrazioni indotte, anche il rumore generato in un intervento
di demolizione con esplosivo, può essere classificato in due categorie: quello
creato dall’ esplosione vera e propria, e quello generato dalla caduta delle masse
disgregate.
La caduta delle masse però, non avvenendo mai contemporaneamente, non
genera livelli di rumore apprezzabili; ciò che a prima vista può preoccupare di
più, è il suono della detonazione. Anche in questo caso però,negli interventi ben
progettati, si prevede che le cariche siano generalmente poste all’interno di fori
perfettamente sigillati e non in aria libera, riducendo notevolmente anche in
questo modo il rumore prodotto. Senza contare che molto prima della
detonazione gli abitanti adiacenti vengono abbondantemente avvisati, è sempre
possibile, come nel caso delle vibrazioni indotte, controllare il livello del rumore
generato con appositi strumenti di misura detti fonometri.
80
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Problematiche di ingombro
A proposito di questo problema, sembra che oramai la cultura generale non abbia
più molti pregiudizi: grazie infatti alla diffusione dei media di filmati demolizioni
eclatanti, il generico utente è cosciente che è possibile realizzare abbattimenti per
implosione, ossia che non consentano alle macerie di fuoriuscire dal perimetro
dell’edificio.
A seconda della tipologia di edificio possono essere più o meno adatte diverse
tecniche di abbattimento che adottano l’esplosivo: solitamente edifici alti e snelli,
vengono accompagnati alla caduta creando una cerniera alla base, mentre edifici
più bassi e tozzi sono più facili da abbattere facendoli collassare verticalmente su
loro stessi. La concezione strutturale che sta dietro al procedimento
dell’implosione è descritta nel paragrafo relativo alle “Considerazioni Strutturali
in un intervento di demolizione”.
Purtroppo il tragico caso del crollo
delle Twin Towers dimostra come
l’implosione sia un tipo di collasso
applicabile anche ad edifici molto alti.
Il ribaltamento laterale dell’edificio è
però il procedimento più semplice di
abbattimento: nel caso in cui non si
disponga di un corridoio di caduta
sufficientemente lungo, è sempre
possibile cernierizzare in quota la
struttura,
oppure
sezionarla
preventivamente
per
ottenere
abbattimenti separati.
Cernierizzazione in quota di una torre
piezomentrica.
Rischi generali
Una volta compreso che un abbattimento con esplosivo, se eseguito in maniera
professionale, ha a monte una precisa attività progettuale e di calcolo, tutti i
timori di danneggiamenti conseguenti al collasso della struttura nei confronti
delle adiacenze, vengono meno. Inoltre, poiché un intervento fatto con
l’esplosivo impiega un tempo di esecuzione molto più breve dello stesso
intervento fatto con mezzi meccanici, staticamente anche i rischi connessi alle
fasi operative sono minori.
Interazione col terreno
Un altro timore generalmente associato all’uso degli esplosivi, è quello di una
destabilizzazione del terreno: i rischi supposti conseguenti a questa operazione
sono cedimenti di fondazioni, o addirittura frane di profili rocciosi.
81
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
In verità l’esplosivistica civile trova le sue prime applicazioni proprio nello scavo
in roccia: quindi nuovamente, se è garantita una professionalità nel lavoro,
sicuramente il rischio di un’interazione dannosa col terreno non sussiste.
Basta sfogliare un qualsiasi testo di ingegneria mineraria per vedere come
l’esplosivo, a seconda del quantitativo e del posizionamento può eseguire diverse
operazioni: frantumare, tagliare, far franare, o scavare.
È vero che la roccia è un buon trasmettitore di vibrazioni a causa della sua
rigidezza, ma è altresì vero che le alte frequenze di un’esplosione (centinaia di
Hz) sono ben lontane dalle frequenze proprie di un piano di fondazione.
Produzione di polveri
È vero. Ad un abbattimento con esplosivi segue sempre un discreto polverone.
Chiunque sia addetto ai lavori però sa che anche demolire meccanicamente un
edificio provoca parecchia polvere.
In quantità giornalmente minore ma distribuita per tutta la durata del lavoro. Alla
fine la quantità totale risulta pressoché identica. Ma il disagio alle abitazioni
limitrofe può ridursi ai pochi minuti conseguenti l’abbattimento se oltretutto si è
provveduto ad informare gli abitanti di chiudere le finestre, spegnere
condizionatori e ritirare i panni. Operazioni che sono sopportabili per una sola
giornata e un po’ meno gestibili per venti o trenta giorni consecutivi. La polvere
in entrambi i casi deve essere inerte, ossia deve essere scevra da sostanze tossiche
o nocive, per Legge. Per ridurre il più possibile la polvere generalmente si bagna
con idranti la zona di caduta.
Questo stesso procedimento viene usato anche in caso di demolizione con mezzi
meccanici, come illustrato nelle foto in basso.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Proiezione di detriti
La balistica dei detriti derivati dalla frantumazione del materiale è una scienza
empirica, ma comunque studiata e prevedibile.
Oggi è possibile calcolare con buona
approssimazione la distanza massima
alla quale arriverà il materiale in base
alla quantità di esplosivo utilizzato, alla
tempistica delle detonazioni ed al
volume di materiale da demolire.
Tuttavia in pochi casi ormai ci si
permette di disperdere detriti nel
circondario, quando gli spazi a
disposizione
sono
insufficienti
i
professionisti degli esplosivi hanno
l’esperienza necessaria a predisporre le
necessarie protezioni, utilizzando a
seconda dei casi barriere di rete, lamiere
o materiali di recupero per ridurre la gittata dei frammenti.
Sono stati compiuti negli ultimi anni alcuni studi seguiti da sperimentazioni sul
campo che hanno permesso di individuare a seconda delle caratteristiche del
materiale interessato dalle cariche il sistema più opportuno di protezioni contro i
lanci balistici.
Oggi è possibile anche eliminare totalmente questo problema riducendo a zero il
lancio di detriti dal punto di scoppio delle cariche. Nella foto a lato si nota come
nella demolizione di una ciminiera in mattoni le reti di protezione abbiano
contenuto il 100% del materiale frantumato dalla esplosione.
Conclusioni
Il filo conduttore, che accomuna le osservazioni fatte sulle possibili questioni
riscontrabili in un intervento di demolizione, è la necessità che l’operazione sia
progettata ed eseguita da delle figure professionali: col tempo si è riuscito a
83
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
superare le suddette problematiche solamente grazie ad approfonditi studi ed in
base a casistiche di esperienze passate, solo in questo modo è stato possibile
mettere a punto una serie di provvedimenti atti a limitare totalmente o quasi, i
possibili effetti secondari indesiderati dell’uso dell’esplosivo. L’utilizzo di
esplosivo è in generale un mestiere pericolo, tanto più quando viene applicato
alla demolizione: questo richiede delle conoscenze approfondite non solo nel
campo dell’esplosivo, ma in particolare riguardo il comportamento strutturale di
scheletri le cui staticità venga modificata.
Del resto, sottolineare la necessità di una professionalità nella progettazione di un
intervento di demolizione è lo scopo dell’intera ricerca, che mira tra l’altro a
fornire un percorso formativo e degli strumenti pratici di supporto per il
progettista.
Cernierizzazione alla base
dell’edificio.
Notare il taglio sulle pareti
trasversali, eseguito per
eliminare possibili elementi
di contrasto alla caduta;
Notare i pilastri a sinistra
che vengono
pericolosamente spinti
verso l’esterno, in
direzione opposta al
ribaltamento; questo
comportamento si verifica
spesso nelle torri
piezomentriche, ove i
pilastri possono funzionare
da puntoni, modificando la
direzione della massa
cadente.
1) Il presente paragrafo è tratto da un articolo apparso sulla rivista Recycling del maggio 2005,
scritto dai tecnici della società Siag Srl. Daniele Coppe, Andrea Reggiani e basato sulla loro vasta
esperienza personale.
84
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
IL PROCEDIMENTO CARDOX
Il procedimento Cardox nasce come tecnica di abbattimento (nata in Francia) di
pareti di roccia; in seguito la sua applicazione si è estesa anche nel campo di
opere in muratura, ed in cemento non armato. La demolizione dei suddetti
elementi si ottiene per mezzo di una violenta esplosione all’interno di una cavità
nell’elemento, riempita di anidride
carbonica fortemente compressa. Nonostante la prima apparenza, questo
procedimento non è considerato un sistema di tipo esplosivo. A differenza delle
tecniche che si basano più propriamente sull’esplosivo, nel procedimento Cardox
si sfruttano le caratteristiche deflagranti del gas compresso, che, anche se
controllabili con difficoltà, non presentano il rischio di esplosione per shock
dinamici. Questo procedimento è evidentemente molto meno pericoloso per il
personale, tanto più che il rischio di incidenti di tiro ovvero di esplosione
prematura scompaiono totalmente.
Una delle differenze fondamentali tra le due tecniche consiste nella modalità di
impatto: un gas che deflagra agisce in maniera molto diversa da quella di una
esplosione classica: il candelotto inserito in una cavità, esercita la sua pressione
(al momento dell’esplosione) in maniera localizzata, solo sulla superficie
dell’elemento con cui si trova a contatto, mentre il gas ha la capacità di esercitare
la sua pressione (al momento della deflagrazione) su tutta la superficie del foro
nel quale è stato inserito.
Principi di funzionamento
Il procedimento consiste nell’introdurre un tubo particolare dentro al quale è
assicurata la presenza del gas, in un foro preventivamente eseguito con un
martello pneumatico nell’elemento da demolire. Si farà particolare attenzione a
fissare saldamente il tubo all’interno del foro, per evitare la sua violenta
espulsione (effetto siluro) al momento dell’accensione. Il tubo Cardox stesso
consiste essenzialmente in un cilindro metallico costituito da tre parti:
-
la testa di scarico;
-
il corpo del tubo;
-
la testa di tiro.
Le due teste sono raccordate per avvitamento all’estremità del corpo del tubo.
Prima di avvitare la testa di scarico, si antepone una membrana d’acciaio (il disco
di rottura) destinato ad otturare il corpo del tubo in una delle sue estremità: questa
membrana è molto meno resistente delle pareti laterali del tubo.
All’altra estremità del tubo, il lato della testa di tiro, è posto un composto
infiammabile. La combustione di questa soluzione infiammabile è provocata
dall’accensione di un detonatore elettrico, annegato in essa. Il detonatore viene
azionato da una corrente elettrica a bassa tensione, fornita da un esploditore,
raccordato alla testa di tiro. All’esterno di questa soluzione infiammabile, il corpo
del tubo è riempito con del gas carbonico diossido allo stato liquido.
85
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
L’accensione innesca la combustione della soluzione infiammabile, la quale a sua
volta, porta ad una rapida espansione del liquido carbonico, ed alla sua
trasformazione in gas:
la pressione da esso esercitata è sufficiente da provocare la rottura del disco.
Questa rottura permette al gas ad alta pressione (2700 kg/cm2 ) di uscire dallo
sfiatatoio della testa di scarico e di diffondersi in tutto il foro agendo sulla massa
da abbattere (tempo d’azione 2 ÷ 40/1000 sec). La variazione di volume è di circa
600 volte maggiore rispetto alla situazione iniziale, e con una pressione di uscita
di circa 3.000 bar si riescono ad abbattere più di 3 tonnellate di materiale lapideo.
Si può in seguito riciclare il tubo Cardox, ricaricando sia la soluzione
infiammabile, che il gas deflagrante e cambiando ovviamente il disco di rottura.
I densità della soluzione e del gas sono scelti in modo tale che il gas stesso sia ad
una temperatura tale che gli sia impossibile accendersi in ambienti con presenza
di grisù ( = gas naturale particolarmente infiammabile presente in cave di roccia
sotterranee).
Inoltre la soluzione di carbone diossido non è altro che un gas inerte che viene
solitamente usato per gli estintori, risultando quindi molto sicuro ai fini di
eventuali esplosioni secondarie per simpatia.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Messa in opera
Il primo passo da eseguire è l’esecuzione di un foro dal diametro appropriato,
per una profondità variabile tra 0,80 e 2,40 m. Il progetto di tiro deve essere
scelto in funzione della natura del materiale, delle sue caratteristiche
meccaniche e dei vincoli cantieristici.
La riempitura del foro deve essere eseguita tentando di riempiendo tutta la
profondità disponibile; nel caso in cui il tubo non possa essere conficcato fino
al fondo del foro, è importante che lo si blocchi con del cemento, per evitare il
suddetto effetto”siluro”.
Tutti i tubi sono raccordati all’estremità, in modo tale che i fili elettrici possano
essere “accesi” da un esploditore classico. Questo dispositivo permette di
liberare un spinta superiore a circa 12 tonnellate.
Il rendimento dell’operazione varia a seconda della durezza del calcestruzzo,
mentre il volume del materiale dislocato varia tra 0,5 e 3,0 m3 .
Questo procedimento non riesce però a fornire una buona produttività quando
usato su elementi in calcestruzzo fortemente armato.
Campi d’applicazione
- demolizione di banchi rocciosi in fondo di scavo, in prossimità di opere
esistenti che non devono subire eccessive vibrazioni;
- demolizione di blocchi in calcestruzzo non armato o in muratura;
- scavi di canali fognari, di gallerie, di collettori;
- demolizione in opera con sollevamento effettuato con mezzi meccanici.
Sicurezza
Questo procedimento non presenta particolari pericoli. Non è un procedimento
di tipo esplosivo. Le precauzioni possibili sono quelle tipiche di processi di
demolizione con esplosivo: perciò si deve mantenere una certa distanza di
sicurezza al momento del brillamento, per evitare rischi causati dall’eventuale
proiezione di macerie, ed in particolare si deve evitare di trovarsi sull’asse del
tubo di Cardox, che, se non ben fissato, potrebbe espellersi verso l’esterno.
Commenti
Vantaggi:
- semplice utilizzazione;
- economico
- possibile utilizzazione in luoghi urbani (non isolati);
- assai rapido;
- assenza di onde d’urto, poche vibrazioni;
87
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Inconvenienti:
- non efficace per il cemento fortemente armato;
- raggio d’azione ridotto a circa 0,80 m;
- abbastanza rumoroso;
- demolizione non controllata;
88
Capitolo 2
FRANTUMAZIONE
Le Tecniche della Demolizione
PARZIALE
dell’APPARATO
COSTRUTTIVO
IL MARTELLO DEMOLITORE IDRAULICO
Introduzione
Nella demolizione medio pesante è ormai generalizzato l’uso di martelli
demolitori idraulici montatati su macchine operatrici portanti, quasi
sempre escavatori.
Negli ultimi anni questo prodotto è stato caratterizzato da questi da una
rapida evoluzione tecnologica, che ha trasformato il martello demolitore da
semplice massa battente a gravità, ad una sofisticata attrezzatura dotata di
moderne tecnologie, che passeremo in rassegna nel corso di questa
relazione.
Sul mercato sono oggi giorno presenti una grande varietà di tipologie di
martelli demolitori idraulici, tutti apparentemente molto simili, quasi
eguali nell’aspetto esteriore, a volte anche nel colore, ma il cui
funzionamento è basati su tecnologie sostanzialmente diverse.
L’obiettivo di questa relazione è quello di fornire dei criteri per la scelta
dello strumento più idoneo da utilizzare, a seconda del caso di demolizione
che ci si trova a dover affrontare, tra la vasta gamma di prodotti presenti
nel mercato. A monte di quest’analisi, verrà illustrata l’evoluzione della
tecnologia del martello demolitore nel tempo, e verranno tra l’altro
spiegate, le principali caratteristiche dei modelli moderni.
Principi di funzionamento ed evoluzione tecnologica
Come è facilmente immaginabile, la demolizione manuale di un qualsiasi
elemento costituito di materiale lapideo, vede come protagonisti,
sostanzialmente tre figure: l’uomo, il martello e l’utensile. L’operatore,
attraverso un martello od una mazza, esercita un impulso su un elemento
conformato a cuneo che, penetrando nella roccia da demolire, la frantuma.
In questo caso il “lavoro” è dato dal prodotto del peso della mazza (intesa
come forza F applicata ad un corpo) per l’altezza di caduta (intesa come
spostamento s lungo la direzione della componente della forza).
Con l’avvento della meccanizzazione nella demolizione, uomo è stato
sostituito nel suo sforzo fisico da una macchina, che nel caso specifico era
l’escavatore meccanico.
La capacità di demolizione di un escavatore si può ricondurre
essenzialmente ad una spinta laterale, cioè un’azione orizzontale, applicata
all’organismo edilizio, tale da portarlo al collasso per cernierizzazione alla
base, quindi ribaltamento, grazie alla crisi per presso-flessione dei pilastri.
89
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Per ampliare poi il campo di applicazione dell’escavatore ai lavori di scavo
di materiali resistenti, e di demolizione e frantumazione del calcestruzzo,
essendo questi difficilmente aggredibili con la benna, si è munito
l’escavatore di una massa battente; l’intervento di demolizione consisteva
dunque nel lasciar cadere la massa battente dall’alto del braccio a traliccio
della macchina scavatrice.
Anche in questo caso l’escavatore a fune e la massa battente, usufruendo
delle leggi della meccanica, producevano un lavoro, dato dal prodotto della
forza peso della massa battente, per lo spostamento percorso durante la sua
caduta.
Come è facilmente comprensibile, per aumentare il lavoro compiuto dal
meccanismo sopra esposto, si potevano modificare solo due variabili:
aumentare il peso della massa cadente oppure l’altezza di caduta.
Avendo però il braccio dell’escavatore un’altezza massima limitata, per
aumentare il lavoro si doveva aumentare il peso della massa battente fino
al limite della forza di sollevamento dell’escavatore a funi; si diffuse così
il concetto che il “peso” fosse l’elemento qualificante del sistema di
lavoro.
Tale idea è ancora presente, tanto è vero che alcune ditte produttrici
classificano i loro martelli in relazione al peso: una catalogazione del
genere avrebbe senso solo se impiegassimo il martello demolitore come
una massa battente da lasciar cadere da una certa altezza.
Una prima evoluzione tecnologica, quindi concettuale, si è avuta con
l’introduzione dell’oleodinamica nella produzione di macchine da cantiere,
il ché ha consentito la costruzione di escavatori dotati di braccio articolato,
con cinematismi azionati da cilindri idraulici, alimentati da un circuito
idraulico molto semplice ed a potenza costante. Di conseguenza si è andato
pian piano abbandonando in principio di funzionamento e la tecnica di
demolizione, della “boccia” metallica che impatta sull’organismo da
demolire.
In estrema sintesi questa nuova attrezzatura è composta da: un cassone,
che costituisce il carter di chiusura degli impianti interni, un pistone (o
massa battente), ed un utensile (la parte a contatto diretto con l’elemento
da frantumare).
In questo caso il concetto di peso non è più applicato a l’intero martello,
ma alla sola massa battente.
In base a questa nuova tecnologia di funzionamento, il lavoro sarà
equivalente all’energia cinetica erogata dal sistema, e cioè:
Ecin = 1 2 mv 2
Ecin = energia cinetica
m = massa del pistone
v = velocità del pistone
90
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Componenti costitutivi
LEGENDA
(a titolo d’esempio di è considerato un martello
di produzione Krupp modello HM 2500
Marathon' )
1 Dispositivo
di
ottimizzazione
delle
caratteristiche del colpo, che facilita il recupero
di energia;
2 Raccordo montato di serie per la ventilazione
forzata, ad es. per l'impiego subacqueo.
3 Finestrella di ispezione consente un accesso
diretto per la manutenzione periodica; il
corpo dei martello può essere inoltre facilmente
smontato dalla cassa.
4 Dispositivo di accumulo di energia e
sicurezza di avvio, assicurati da un accumulatore
con pistone a gas integrato nel coperchio del
cilindro.
5 Sistema di lubrificazione automatica montato
direttamente sul carter dei martello; estremamente maneggevole e con un consumo di
lubrificante ridotto.
6 Sospensione elastica della massa battente su
elementi ammortizzatori precaricati, si evitano
dannose ripercussioni sull'attrezzatura della
macchina portante.
7 Piccole guide di isolamento acustico poste tra
la massa battente e la cassa dei martello.
Attenuazione dei contraccolpo per la sicurezza
dell'operatore e della macchina ottenuta grazie a
una corsa lunga della massa battente.
8 Trasmissione ottimale dell'energia battente
grazie al diametro della punta uguale al diametro
della massa battente.
10 Struttura esterna di elevata durata della
garantita dall'impiego di materie prime resistenti
all'usura nei punti sottoposti alle sollecitazioni
più intense.
1 1 Sistema di protezione delle boccole contro
l’ingresso di polvere.
12 Punta dell’utensile, di elevatissima qualità
d'acciaio.
91
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Altra grandezza fondamentale nella definizione delle caratteristiche di un
martello demolitore (o di qualunque macchina operatrice) è la “potenza”, che
definisce la produttività della macchina in termini temporali, permettendone
dunque anche una valutazione di tipo economico.
Il successivo passo avanti che la tecnica compie per contenere i consumi dei
motori endotermici ed aumentare i loro rendimenti specifici, è l’introduzione del
concetto di “recupero energetico”: in parallelo alla dotazione del
turbocompressore per i motori, il martello demolitore idraulico si arricchisce del
dispositivo di recupero di energia: questo componente permette il recupero
dell’energia secondaria, altrimenti persa, prodotta rispettivamente dai gas di
scarico e dalla sovrappressione causata dal rimbalzo dell’utensile.
Un ulteriore progresso tecnologico si riscontra con l’introduzione sul mercato
degli escavatori con circuito oleodinamico a potenza idraulica variabile: di
conseguenza anche il martello demolitore si adegua alla nuova tecnologia,
migliorando le prestazioni e proponendosi con il dispositivo che consente il
“colpo variabile”, cioè la possibilità di variare istantaneamente, con un processo
del tutto automatico, l’energia per ogni colpo ed il numero di colpi per unità di
tempo.
Approfondimento sul funzionamento delle nuove tecnologie
Quando il lavoro di demolizione interessa materiali duri, essendo l’urto tra due
elementi con una forte rigidezza assimilabile ad un urto di tipo elastico, non tutta
l’energia d’urto prodotta dal martello demolitore idraulico è trasferita sulla roccia
da demolire: una parte dell’energia, sotto forma di rimbalzo, tende a dare una
spinta in direzione opposta all’utensile, che tramite il pistone, trasmette il
rimbalzo all’olio presente nella camera superiore di spinta, facendone aumentare
la pressione.
Quando un martello demolitore idraulico è dotato di dispositivo di recupero
dell’energia, se l’aumento di pressione supera un valore predeterminato, l’apertura
di una valvola permette il recupero dell’aumento di pressione, che andrà a
sommarsi alla pressione dell’olio dell’escavatore nell’apposito dispositivo
contenente gas inerte. E’ da notare che l’aumento di pressione sarà direttamente
proporzionale all’intensità dell’urto e continuerà fino al cedimento del materiale
in corso di demolizione.
Lavorando su materiali particolarmente duri, a parità di potenza assorbita, il
martello demolitore idraulico con dispositivo di recupero dell’energia, offre una
maggiore produttività: infatti se il martello demolitore non è fornito di un
dispositivo di recupero, l’energia di rimbalzo si dissiperà all’interno del sistema
martello/escavatore sotto forma di vibrazioni e di calore, dannosi e per il circuito
idraulico, e per la macchina operatrice.
I sistemi per il recupero d'energia sono sostanzialmente due: accumulatore di tipo
“aperto” e accumulatore di tipo “chiuso”. Con la prima soluzione la spinta del
pistone è esercitata in gran parte da un gas inerte contenuto sotto pressione in una
92
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
camera sigillata da guarnizioni. Con la seconda soluzione vi è una capsula
suddivisa in due parti da una membrana elastica che separa il gas inerte dall'olio
idraulico; il pistone è spinto verso il basso sia dall'olio dell'impianto idraulico, sia
dal gas inerte. Con il sistema di accumulazione di tipo “aperto” bisognerà
confidare molto sulla tenuta delle guarnizioni che vengono sollecitate
continuamente ad attrito da parte del pistone: infatti, la spinta della massa battente
è assicurata unicamente dall'azoto in pressione ed è intuitivo che la minima
perdita delle guarnizioni riduce di molto l'energia dei colpi a seguire.
In genere, però, la demolizione di materiali compatti, duri ed omogenei, che
rappresenta situazione più favorevole non è la condizione normale di lavoro, tanto
meno quella più difficoltosa da affrontare.
E’ invece più frequente dovere affrontare la demolizione di materiali duri ma
geologicamente non omogenei. In questi casi occorre dosare l'energia di ogni
singolo colpo in funzione della resistenza dello strato di materiale che, di volta in
volta, si trova a contatto con la punta dell'utensile.
La situazione peggiore si presenta quando l'utensile incontra un vuoto od uno
strato di scarsa consistenza nella roccia: in quella occasione tutta l'energia che il
martello stava fornendo diventa improvvisamente eccessiva, e deve essere
istantaneamente ridotta per evitare i colpi a vuoto, i quali comporterebbero urti,
vibrazioni, e calore, fortemente dannosi, sia per il martello demolitore, sia per
l’escavatore.
In sintesi, se la rilevazione della consistenza della roccia, la variazione
dell'energia i base a quest’ultima, e la modifica della frequenza dei colpi nell'unità
di tempo si adattano in maniera automatica ed istantanea alle mutate condizioni di
demolizione, allora siamo in presenza di un martello demolitore idraulico
predisposto con un funzionamento a "colpo variabile". Un martello demolitore
idraulico così configurato, inizia il lavoro in condizioni di bassa energia e alta
frequenza, per non danneggiarsi a causa dei colpi a vuoto; proseguendo nella
demolizione, il martello rileva la consistenza della roccia e istantaneamente
adegua proporzionalmente energia e frequenza dei colpi. Quando il materiale
cede, il rimbalzo diminuisce, la corsa del pistone è immediatamente ridotta e
conseguentemente diminuisce l'energia del colpo successivo.
Criteri per la scelta della tipologia di martello
Una volta conosciute qual è il funzionamento delle principali tecnologie che
caratterizzano i vari modelli di martello in commercio, si può già affrontare la
scelta dell’utensile da utilizzare nei vari casi, con maggior criterio e
discernimento.
Prima di individuare i criteri per la scelta dell’uso dei diversi tipi di martello
demolitore, valutiamo i vantaggi che l’uso di quest’ultimo offre rispetto
all’utilizzo dell’esplosivo nella demolizione.
L'introduzione di nuove tecnologie ha permesso di aumentare le dimensioni, le
potenze e la capacità produttiva dei martelli demolitori idraulici. Queste
93
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
innovazioni vedono l'impiego sempre più diffuso di tale attrezzatura anche nelle
cave di grandi dimensioni dove in passato, per l'abbattimento primario, si faceva
largo uso di perforatrici e di materiale esplosivo. La scelta tra l'accoppiata
perforatrice/esplosivo e quella martello/escavatore, sarà essenzialmente
legata
alle seguenti condizioni:
-
in edilizia: eccessiva altezza dell’edificio da demolire, quindi limitatezza
fisica del braccio dell’escavatore (max. 40 ÷50 m., vedi paragrafo escavatori)
-
sia nell’edilizia che in cava: livelli qualitativi e quantitativi di produzione
previsti;
-
sia nell’edilizia che in cava: particolari necessità di produzione di materiale di
risulta caratterizzato da una determinata pezzatura;
-
sia nell’edilizia che in cava: eventuali condizioni che rendono particolarmente
inopportuno l'uso degli esplosivi (in cava la presenza di gas infiammabili
quale il grisù; nell’edilizia varie condizioni di incompatibilità del concetto di
demolizione totale, col contesto circostante).
-
in cava: natura geologica (dunque la durezza) del materiale;
Volendo dare un esempio di scelta basata su criteri di pura produttività, si può dire
che, nel campo dello scavo in cava, per produzioni di oltre mille metri cubi al
giorno, in roccia particolarmente dura e compatta, si ritiene ancora vantaggioso
l'uso di esplosivi; per produzioni inferiori è preferibile l'impiego del martello
demolitore.
In sintesi, i vantaggi
dell’esplosivo sono:
nell'uso
di
questa
attrezzatura
rispetto
all’utilizzo
-
riduzione del rischio connesso all'uso di esplosivo;
-
competitività economica della demolizione con il martello nei confronti
dell'esplosivo che, tra l'altro, è di non facile approvvigionamento, per la
ristrettezza della normativa che ne regola l’uso;
94
Capitolo 2
-
Le Tecniche della Demolizione
razionalizzazione della produzione del materiale di risulta, in quanto la
demolizione con il martello demolitore mette a disposizione del materiale con
pezzature decisamente più trasportabili e adatte a essere frantumate senza
altre lavorazioni (tra l’altro il prodotto della demolizione fatta con il martello
è anche meno dannoso per le ruote gommate delle pale caricatrici).
Tornando alla scelta tra i modelli di martelli demolitori, come prima cosa, bisogna
dire che un buon martello non deve demolire tre cose: se stesso, l'escavatore e
l'operatore.
Il miglior criterio di confronto di prestazioni tra diversi martelli demolitori è,
solitamente, quello della produttività, ovvero della quantità di materiale demolito
in un determinato intervallo di tempo (dimensionalmente espresso in metri
cubi/ora o tonnellate/ora). Certamente la produzione dipenderà da molti altri
fattori, quali l'abilità dell'operatore, il tipo di materiale da demolire, le condizioni
di lavoro ed altro ancora, ma sicuramente è strettamente connessa con la "potenza
d'urto" (detta anche “potenza resa”), che varia in funzione dell'energia per ogni
singolo colpo. Inoltre, a parità di potenza resa, un martello demolitore, con
maggior energia d'urto in bassa frequenza di colpi sarà più produttivo su materiali
duri, rispetto a quello con bassa energia in alta frequenza, che invece sarà adatto
per rocce tenere. Per esemplificare il discorso, se si devono affrontare materiali
duri, compatti e omogenei, la scelta può essere indirizzata anche verso martelli
senza il dispositivo del colpo variabile; nel caso di materiali eterogenei, che
presentano una variabilità della consistenza, è preferibile optare per un martello
con dispositivo di colpo variabile.
Il peso del martello non è sicuramente un termine di confronto, ma serve soltanto
per stabilire l'accoppiamento con l'escavatore: a parità di potenza, quindi, sarà
utile scegliere quello meno pesante. Infatti, un martello più leggero, a parità di
potenza, presenta i seguenti vantaggi: possibilità di accoppiamento con escavatori
di classe inferiore, quindi meno costosi, diminuendo cosi l'investimento iniziale
per la macchina operatrice; minori consumi e meno ingombri.
Ribadiamo ancora che il criterio più appropriato di confronto non è dunque il peso
del martello, concetto generalmente diffuso, ma la potenza d'urto o potenza resa.
In conclusione, analizziamo schematicamente i punti salienti che, a nostro parere,
sono indispensabili per una corretta valutazione del martello demolitore idraulico.
Innanzitutto, bisogna valutare i parametri tecnici principali, tra loro interconnessi,
che sono di supporto per la determinazione del rendimento oleodinamico del
martello: potenza assorbita, potenza resa, dimensioni e peso.
Successivamente bisogna considerare le innovazioni tecnologiche, sostanziali per
ottimizzare la potenza resa e trasferirla al meglio sul materiale da demolire, in
quanto tali innovazioni aumentano la produzione e diminuiscono i costi di
utilizzo: recupero di energia, colpo variabile e polivalenza di accoppiamento con
diversi escavatori.
Infine i particolari costruttivi, che sono basilari per l’affidamento ed il valore
intrinseco del martello: forma e dimensioni della massa battente, accumulatore di
azoto, sistema di sospensioni, ermeticità e rigidezza del cassone, centrale
95
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
automatica di ingrassaggio, sistemi di abbattimento delle polveri, contenimento
dell'inquinamento acustico.
Le tendenze di mercato
Le ragioni che hanno portato a un sempre più diffuso impiego di questi strumenti
di lavoro sono, in realtà, molteplici. Innanzitutto, non è affatto casuale che la
quota più importante di questo mercato - quota che sfiora il 70 % - sia detenuta
oggi dal segmento dei martelli medio leggeri che hanno un peso da 80 fino a 400
kg, e sono montabili su mini e midi, escavatori e su terne. Come per delle
macchine movimento terra di dimensioni contenute, anche per i piccoli escavatori,
oggi giorno si presenta un momento di grande rimonta, e questo è comprensibile
visto, grazie al progressivo intensificarsi degli interventi sia di ristrutturazione
edilizia, che di manutenzione stradale. Una vivacità di mercato che ha spinto le
aziende costruttrici di questi veicoli a proporre al cliente le macchine già
accessoriate di martello demolitore idraulico, strumento che, a seconda delle
dimensioni e potenza si presta a svariati utilizzi e che, in genere, viene richiesto
proprio per la sua versatilità.
Diverse tipologie di punte
Risulta indispensabile, infatti, in
qualsiasi intervento che prevede
piccole demolizioni, compresi i
rifacimenti del manto stradale
dove spesso vengono impiegati
martelli idraulici muniti di punta
a scalpello per tagliare l’asfalto.
Nonostante non vi siano dubbi sul fatto che la domanda si orienti da alcuni anni in
prevalenza sulle gamme medio leggere, non bisogna comunque sottovalutare
l'andamento degli utensili da demolizione che appartengono, invece, alla categoria
medio pesante: in altre parole, di quei martelli che oscillano dagli 8 quintali alle 7
tonnellate di peso e che sono montabili su escavatori dalle 12 alle 80 tonnellate.
Pur essendo esiguo il numero di unità vendute all'anno, rispetto ai risultati ben più
entusiasmanti registrati nella categoria degli utensili medio piccoli, va tenuto
conto comunque della ripresa che anche questo segmento ha registrato di recente.
Due sono, sostanzialmente, i fattori che hanno infuso nuova linfa a un mercato
che, prima di allora, versava in una condizione di assoluta stagnazione.
In primo luogo, l'ampia diffusione, già da alcuni anni, dei martelli idraulici nelle
cave, a seguito dell'entrata in vigore di specifiche normative che, pur non vietando
completamente l'impiego di materiali esplosivi nella demolizione primaria, di
fatto ne hanno limitato notevolmente l'utilizzo. Alla luce di questa nuova
situazione, quindi, il grande escavatore accessoriato di martello demolitore
rappresenta oggi la soluzione più semplice perché, anche nei casi in cui la legge
consente l'utilizzo dell'esplosivo, la procedura da seguire per ottenere il permesso
di demolire è piuttosto ostica e impone il rispetto di una serie di regole molto
complesse.
96
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
La seconda causa di sviluppo di questo comparto è stata, invece, da un anno a
questa parte la volontà di numerose amministrazioni locali di dare il via,
finalmente, a interventi di riqualificazione di ampie aree industriali dismesse, sia
in periferia che all'interno dei centri urbani. Molte sono state, infatti, le aziende
che hanno scelto di abbandonare i vecchi stabilimenti, oppure di ristrutturarli; un
fenomeno che ha comportato una forte domanda non solo di pinze da
demolizione, ma anche di martelli idraulici di notevole dimensione e che ha
favorito una vera e propria evoluzione della produzione di settore, spingendo
progettisti e costruttori a individuare modelli sempre più pesanti e potenti, in
grado di distruggere persino i blocchi di fondazione degli edifici industriali
realizzati con qualità di cemento ad elevata resistenza e fortemente armati, come
nel caso delle acciaierie.
Prospettive future
Come è comprensibile dal panorama finora illustrato l'utilizzo sempre più esteso
del martello demolitore idraulico in svariati comparti del mondo delle costruzioni,
ha spinto le industrie a puntare molto sulla innovazione tecnologia, nel tentativo
di mettere a punto modelli in grado di soddisfare al meglio le esigenze di una
clientela divenuta in pochi anni molto più ampia ed eterogenea. Risultato? In
primo luogo, certamente, una accesa competitività fra le più importanti aziende
costruttrici, tenuto conto che il mercato italiano è al terzo posto per volume
d'affari dopo quello del Giappone e degli Stati Uniti, ma anche un forte stimolo
alla ricerca di tecnologie capaci di aumentare progressivamente il grado di
produttività dei martelli. I!innovazione ha riguardato innanzitutto l'incremento di
energia prodotta dell’utensile. I martelli demolitori delle ultime generazioni sono
più potenti e sviluppano una maggiore energia per colpo; hanno quindi un
rendimento maggiore a parità di potenza espressa.
Fra le caratteristiche tecniche oggi più richieste, occupa un posto particolare la
suddetta “potenza variabile”, che, come ho spiegato sopra, altro non è che la
possibilità di adeguare la velocità del colpo alla resistenza offerta dal materiale da
demolire.
In questo mercato che si sta sempre più autodefinendo come settore a parte si sta
anche tentando di mettere ordine nella produzione: al fine di poter avere un
corretto paragone tra le caratteristiche di prodotti provenienti da costruttori
diversi, ultimamente, tramite delle associazioni internazionali, si stanno dando
delle regole per uniformare i dati delle prestazioni relative al martello demolitore
idraulico; in pratica esiste un programma di qualificazione della produzione che si
fonda su una serie di test, svolti da un organismo internazionale, che valutano la
reale potenza emessa dai martelli. Tutto questo per evitare che dalle industrie
vengano diffusi a scopo promozionale, come già accaduto, numeri ed
informazioni non veritieri sulle caratteristiche dei vari prodotti, e per fissare delle
grandezza di paragone normate che permettono il confronto chiaro e diretto tra le
caratteristiche dei diversi prodotto presenti sul mercato.
97
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Le nuove tendenze privilegiano tra l’altro anche innovativi sistemi di
insonorizzazione, permettendo di rispettare le recenti normative di legge che
limitano l’inquinamento acustico. Anche questa importante caratteristica, come la
necessità di produrre martelli ed escavatrici sempre più piccoli è stata incentivata
da, ed allo stesso tempo ha permesso e favorito, un cambiamento della
destinazione d’utilizzo del martello demolitore: da macchina da cava, il suo
utilizzo si spostato sempre più verso i centri urbani dove le condizioni di lavoro
sono più anguste e difficoltose.
Un aspetto che solitamente si oppone all’invenzione di sistemi tecnologici sempre
più sofisticati, è la perdita della semplicità di utilizzo e l’aumento di necessità di
manutenzione: la ricerca è, allo stesso tempo, impegnata nello studio di modelli in
cui gli interventi di manutenzione siano ridotti all’essenziale.
Modelli che possono diventare quindi molto appetibili, oltre che per il cliente
tradizionale che continua a preferire l’acquisto, anche per quello che decide di
sperimentare la formula del noleggio.
Questo spiega il crescente successo di martelli (specie della fascia medio-piccola)
che presentano alcune tecnologie atte a migliorare la durabilità nel tempo e
limitare gli interventi di manutenzione: esistono, ad esempio, modelli a
monoblocco dove sono stati eliminati tutti i tiranti, le componenti cioè più
soggette all’usura ed a guasti; oppure delle versioni che presentano una
guarnizione che protegge la massa battente in fase operativa dall’introduzione di
schegge di materiale e di polvere; un’ultima innovazione è data da un sistema di
lubrificazione automatica che unge la punta con del grasso, ogni volta che
l’operatore mette in moto il martello, per ovviare a dannose dimenticanze.
Alcuni consigli pratici per il corretto uso del martello demolitore
idraulico
A fini di una corretta utilizzazione in condizioni di sicurezza, si ritiene opportuno
richiamare alcune utili considerazioni, ed alcuni accorgimenti pratici raccolti
dalle case costruttrici, relative alle tecniche d'uso del martello demolitore
idraulico.
Posizionamento martello rispetto elemento da demolire:
-
un presupposto fondamentale per un'efficiente demolizione dei materiale è che
l'utensile lavori sempre con un angolazione di 90 gradi rispetto al paino del
materiale da demolire; man mano che la superficie si demolisce, occorre
correggere immediatamente l'angolazione dell'utensile;
-
occorre usare il braccio portante per mantenere una pressione costante dietro
al demolitore, quando questo è in funzione. In questo modo ci si assicura che
l'utensile venga applicato al materiale con una forza costante;
-
quando bisogna demolire un masso di grandi dimensioni è preferibile non
iniziare la demolizione dal centro di questo, ma per una migliore attaccabilità,
è meglio partire dai lati esterni;
98
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
se si usa l'utensile in modo errato, le boccole porta-utensile si usureranno in
modo non uniforme: questo causa un aumento delle sollecitazioni sull'utensile
e sulla superficie dì battuta dei pistone; ad esempio se si usa l'utensile contro
superfici oblique, si possono facilmente produrre nello stesso notevoli
sollecitazioni che possono portare alla rottura dello stesso;
-
per i lavori in tunnel, è importante che il demolitore sia angolato a più di 90
gradi rispetto al braccio portante; in questo modo, i pezzi di roccia che si
distaccano non danneggeranno il braccio portante o l'operatore;
Sollecitazioni indotte sul martello:
-
bisogna fare attenzione a non applicare una forza di avanzamento tale da far
sollevare il mezzo portante dal terreno;
-
non è necessario lavorare sullo stesso punto per più di 15 secondi; se l'oggetto
da demolire resiste, posizionare l'utensile da un’altra posizione;
-
quando il materiale s'infrange, evitare di continuare la percussione; la
percussione a vuoto è la causa più dannosa di una rapida usura dei trattenitore
e del codolo;
-
occorre tenere sempre presente che il demolitore è un utensile a percussione,
capace di resistere a sforzi assiali, e non deve quindi essere soggetto a
sollecitazioni di flessione;
-
l’uso di utensili piatti o a tagliente largo, su superfici dure può causare
notevoli forze di torsione che possono danneggiare non solo il tagliente
dell'utensile, ma anche il codolo e il trattenitore;
-
gli utensili sono temprati attraverso speciali procediementi e non possono
quindi essere rifucinati; è invece possibile rettificarli o lavorarli a macchina;
Vibrazioni indotte:
-
se la pressione di avanzamento è insufficiente, il meccanismo antivibrazione
dei demolitore non sarà pienamente efficiente e le vibrazioni meccaniche si
trasmetteranno al mezzo portante;
-
se le normali vibrazioni a cui è soggetto l’escavatore, cominciano ad
aumentare di frequenza ed intensità in modo anomalo, ciò indica che i gas
nell'accumulatore sono soggetti ad un’eccessiva sovrapressione;
Regime delle temperature:
-
quando la temperatura dell'olio supera gli 80°, è necessario fermare il
demolitore. Se la temperatura dell'olio è inferiore a –10°, è necessario
riscaldare il demolitore prima d'iniziare il lavoro;
-
l’uso del martello demolitore in ambienti freddi, al di sotto di –10°, può
causare la frattura dell'utensile. Per evitare questo inconveniente, riscaldare
l’utensile prima d'iniziare il lavoro;
99
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
l’utensile si usura molto rapidamente se surriscaldato. La superficie di
contatto assume una forma a fungo e diventa fragile; per questa ragione è bene
evitare tempi di percussione prolungati;
-
un tipico danno da frattura, causato non solo da temperature troppo fredde, ma
anche da eccessiva fatica, provoca il formarsi del caratteristico motivo ad
anelli su gran parte della superficie di frattura.
Glossario termini tecnici
- Contropressione: definizione della pressione presente nel condotto di ritorno
dell'olio al serbatoio.
- Energia d'urto: è indicata in joule (J) o in chilogrammetri (kgm) ed è l'energia di
ogni singolo colpo: il pistone o massa battente durante la sua discesa si carica di
energia cinetica che viene trasferita all'utensile nel momento dell'impatto.
- Potenza assorbita: energia per unità di tempo richiesta per compiere il lavoro; si
esprime attraverso l’espressione:
Pa = (pQ)/600, dove Pa è la potenza
espressa in chilowatt (kW); p è la pressione in bar; Q indica la portata in litri al
minuto (alcuni costruttori indicano erroneamente la potenza assorbita, al posto
della potenza d'urto).
- Potenza d'urto o potenza resa: capacità di lavoro eseguibile dalla macchina; si
esprime attraverso l’espressione:
Po = (FrEn )/60000, dove Po indica la potenza espressa in chilowatt (kW); Fr indica
la frequenza espressa in numero di colpi al minuto; En indica l'energia espressa in
joule (J).
- Rendimento medio: come qualsiasi rendimento di una macchina, è il rapporto tra
la potenza d'urto e la potenza assorbita ( η = ∆L L1 ). Ogni volta che si
trasformano delle energie si hanno delle perdite. Il rendimento medio è in
relazione diretta con il rendimento idraulico, a sua volta collegato al contenimento
delle dispersioni del flusso d'olio all'interno dei martello; Talvolta si possono
trovare indicati anche il rendimento meccanico ed il rendimento d’urto; il
rendimento meccanico dipendente dalla qualità dei materiali, dal grado di
lavorazione di finitura e trattamenti termici sul componenti dei martello: una
lavorazione grossolana produrrà maggiori attriti, surriscaldamento, minore durata
e minore rendimento; il rendimento d'urto che sarà in funzione dalla forma dei
pistone e dell'utensile; se i diametri dei due componenti sono molto vicini l'onda
d'urto si trasmetterà interamente al materiale da demolire.
A titolo d'esempio, indicativamente possiamo evidenziare dei valori di rendimento
per classi di peso del martello: per martelli con peso fino a 200 kg il rendimento è
0,55; per quelli con peso fino a 400 kg il rendimento sarà 0,60; se la tara arriva a
1.000 kg il coefficiente si attesta a 0,65; per le attrezzature oltre i 1.000 kg
l'efficienza si ferma al valore 0,70.
100
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
L’ESCAVATORE MECCANICO
A monte dell’utilizzo di qualsiasi strumento di demolizione, sta la macchina
adibita alla movimentazione dell’utensile stesso: tutti gli utensili che andremo ad
analizzare in seguito, quali il martello demolitore idraulico, pinze, cesoie,
frantumatori, hanno in comune la possibilità di essere montati sullo stesso
supporto, e cioè il braccio dell’escavatore meccanico.
Negli ultimi anni, con l’avanzare del settore della demolizione, si è presentata
sempre più la necessità di utilizzare macchine attrezzate con tipologie di braccio
adatte a sopportare impieghi anche molto gravosi.
Fin da quando è emersa questa necessità, le aziende produttrici hanno iniziato a
realizzare bracci da demolizione idonei ad essere utilizzati su ogni tipo o marca
d'escavatore, con varie combinazioni di, possibilità d’altezza raggiungibili e di
capacità di portata dell’utensile, ottimali per la macchina.
Lo scopo di questa relazione illustrativa sull’escavatore meccanico, è quello di
fornire un’analisi dell’evoluzione di quelle macchine che, utilizzate inizialmente
in modo empirico, con adattamenti improvvisati in cantiere, hanno finito per
diventare veri e propri strumenti dedicati specificamente al settore della
demolizione.
In questa sede non si entrerà in merito
alla maggiore o minore efficacia di un
sistema di demolizione rispetto ad un
altro, considerazioni che saranno
argomento della terza parte dell’opera,
in cui verranno messe a confronto le
adeguatezze
e
le
capacità
di
adattamento delle varie tecniche di
demolizione a seconda del contesto in
cui ci si trova a dover operare.
Come premesso, è stato proprio
l’affermarsi, dei nuovi utensili per la
demolizione, quali e pinze e cesoie
idrauliche, che ha portato la macchina
base (escavatore idraulico appunto) ad
escavatore cingolato
assumere una connotazione ben precisa in funzione della sua capacità di portare il
via via crescente carico dell’utensile demolitore in posizione di lavoro, e fornirgli
l'energia (sotto forma di pressione oleodinamica) necessaria per il
funzionamento.
Evoluzione utilizzo escavatore
Prima ancora di abbinare l’escavatore ai suddetti utensili di
demolizione,
iniziamo col dire che l'escavatore idraulico è da sempre stata la macchina più
utilizzata per la demolizione. Da mezzo per movimento terra è stato rapidamente
101
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
convertito in uno strumento particolarmente efficace nella demolizione di strutture realizzate in laterizio prima, e in cemento armato o acciaio in seguito.
Ricordiamo infatti che i primi interventi, consistevano semplicemente nello
spingere e tirare la struttura grazie ada uno sperone montato su prolunghe fisse
poste al posto della benna: così facendo era possibile demolire, costruzioni in
laterizio o comunque di consistenza modesta. In pratica non si faceva altro che
applicare delle forze orizzontali alla struttura, portandola al collasso per semplice
ribaltamento. Le strutture più impegnative invece, sia in cemento armato che in
ferro, venivano demolite manualmente con l’impiego di personale operante
direttamente sul manufatto: è evidente che simili interventi comportavaano
enormi rischi per la sicurezza delle maestranze, oltre ad un basso livello di
produttività.
Come è possibile comprendere da ciò che è stato finora esposto, l’utilizzo
dell’escavatore nella demolizione si limitava fino a poco tempo fa alla cosidetta
fase primaria, cioè il portare la struttura al collasso, lasciando però vacante la fase
della demolizione secondaria, ossia la frantumazione degli elementi, in
componenti di dimensioni tali da favorire un facile trasporto. In seguito, l’utilizzo
del martello idraulico per lo scavo in roccia, montato sull'escavatore fu
rapidamente sperimentato anche nella demolizione di costruzioni in cemento
armato, ottenendo eccellenti risultati per lo sgretolamento della struttura, (ossia la
demolizione primaria), lasciando però insoluto il problema dello sgombero dei
materiali di risulta, a causa della presenza del ferro che doveva essere tagliato a
mano.
102
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Come premesso, è stata proprio con la
successiva messa a punto di pinze, cesoie
e frantumatori, che affiancando il
martello
demolitore
idraulico,
ha
permesso di affrontare e risolvere brillantemente a terra anche la demolizione
secondaria, e cioè lo sgretolamento e
sminuzzamento, per un pronto recupero
dei materiale per le successive fasi di
riciclaggio.
L’applicazione di questi utensili sugli
escavatori tradizionali non è risultata
particolarmente difficile.
L'impianto
idraulico
di
base della macchina, tutto
sommato,
permetteva
l’alimentazione
dell’utensile in modo non
particolarmente
difficile,
anche
se
la
sua
utilizzazione ha richiesto
successivamente
alcuni
interventi.
Questi
efficientissimi
utensili hanno permesso,
tra l’altro, di affrontare la
problematica
della
demolizione
in
modo
ottimale, oltre che dal
punto
di
vista
della
produzione,
anche
dal
punto
di
vista
della
sicurezza,
riducendo
sempre
più
l’utilizzo
diretto dell’operatore sulla
struttura da demolire, che
ovviamente il più delle
volte si trova già in uno
stato
di
degrado
e
fortemente pericolante.
Pinza per taglio di struttura metallica attaccata ad
escavatore meccanico
103
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Limiti di utilizzo
La vera trasformazione si è verificata però. con l'esigenza di dover affrontare
altezze e distanze sempre maggiori, e comunque ben superiori ai normali valori
accessibili da un braccio standard da escavatore. Per altezze superiori a 15 - 16
m, il braccio normale non è più sufficente. Aggiungere prolunghe fisse non
permette di recuperare grandi altezza, pregiudicando spesso sia la stabilità della
macchina che la sua capacità idraulica. Si sono resi pertanto necessari due
radicali interventi sulla macchina base, che ne hanno in parte modificato
l’essenza: il primo rivolto ai bracci, che si sono evoluti secondo esigenze
particolari, il secondo conseguentemente rivolto ad incrementare la stabilità della
macchina per le mutate esigenze di impiego. Si sorvola appositamente su quelle
miriadi di applicazioni particolari, spesso ardite, che di volta in volta hanno
permesso di trasformare un escavatore già operante in una macchina da
demolizione. In seguito si è cercato di classificare le più utilizzate tipologie di
bracci, che, attraverso una opportuna geometria, permettono di operare
egregiamente fino a ragguardevoli altezze, e che per una certa standardizzazione
sono entrate a far parte di una ben definita offerta all’impresa di demolizione.
Grande capacità di adattamento
degli escavatori moderni agli spazi
più ristretti
La produzione standard di bracci da demolizione si può riassumere mettendo in
luce queste principali tipologie:
104
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
bracci tradizionali, i quali rappresentano la soluzione ideale per demolizioni a
media altezza;
-
bracci articolati, ideali per demolizioni a forte altezza, e quando è necessario
operare anche al suolo; questo tipo di attrezzatura permette un’agevole
sostituzione con bracci da scavo tradizionali;
-
bracci monolitici: rappresentano la soluzione meno costosa per questo genere
d’applicazione, in quanto viene utilizzato il braccio base della macchina. Per
operazioni di pura demolizione, però, non consentono elevate prestazioni in
altezza, mentre è molto rapido il montaggio sulla macchina d’attrezzature
tradizionali di scavo.
Entrando maggiormente nel dettaglio si possono individuare le seguenti tipologie
di funzionamento del braccio dell’escavatore:
-
braccio principale snodato con cilindri ausiliari ed avambraccio lungo. Per
altezze fino a 16 - 18 m. (in funzione della dimensione della macchina base),
permette una grande operatività ed una eccellente lavorazione a terra. Lo
snodo aggiuntivo permette di mantenere il carico relativamente vicino alla
macchina, per cui in generale, per queste versioni, si possono montare utensili
di notevole potenza. Il braccio, per la sua particolare conformazione, può
essere utilizzato anche con la benna, pertanto la macchina mantiene molte
delle prerogative dell'escavatore classico.
Per il raggiungimento di altezze superiori vengono montate prolunghe che
sono sicuramente in grado di innalzare l'utensile, ma appesantiscono il
braccio, con sensibile svantaggio rispetto al braccio specifico da demolizione
visto nel paragrafo precedente. Una variante di prolunga è il braccio
telescopico, che permette di raggiungere grandi altezze quando necessario e,
contemporaneamente di riavvicinare l'utensile quando ci si abbassa con la
demolizione. Questa operazione permette di limitare lo sbalzo e migliora
quindi la stabilità;
-
braccio in due parti con monolitico diritto (invece della forma classica a
boomerang) e avambraccio lungo. Trova impiego su macchine che non
necessitano di grandi altezze, oppure su macchine di grandi dimensioni per
utensili molto potenti che privilegiano la produzione a media altezza e la
frantumazione a terra;
105
Capitolo 2
-
Le Tecniche della Demolizione
braccio articolato con tre elementi. In questo caso il braccio è costruito con lo
scopo fondamentale di raggiungere le maggiori altezze. Naturalmente la
potenza dell’utensile dipende dalla dimensione della macchina. Le macchine
lavorano con la prima parte del braccio in posizione pressoché verticale,
ammettendo un piccolo scostamento da questa posizione, in quanto molto
rapidamente si arriva a pregiudicare la stabilità della macchina. Il tronchetto
intermedio fornisce l’avanzamento al braccio porta utensile, mentre il braccio
porta-utensile posiziona lo stesso per le operazioni di lavoro. Il braccio può
rannicchiarsi per limitare le dimensioni di ingombro durante il trasporto. Per
ridurre ulteriormente le problematiche di trasporto, il primo braccio, secondo
le ultime tendenze, viene diviso in due parti in modo che il primo troncone
resti sempre montato sulla macchina, mentre il resto del braccio può essere
staccato e posizionato su un supporto adeguato. Lo smontaggio del braccio da
demolizione in corrispondenza del primo tronco permette alla macchina di
montare un braccio da scavo standard in modo da rendere l'escavatore più
versatile.
La logica di impiego di queste prolunghe, sia fisse che telescopiche, è quella di
poter utilizzare utensili con capacità diversa in funzione dell’altezza di lavoro.
Per cui, in certi casi, si montano le prolunghe per raggiungere la massima altezza
limitando la capacità dell'utensile, perché è predominante la necessità di arrivare
nel punto desiderato, anche se con una piccola capacità produttiva.
Successivamente, con il diminuire dell’altezza della demolizione, viene smontata
la prolunga e montato un utensile con capacita superiore, per avere maggiore
produzione. Una caratteristica particolarmente apprezzata della prolunga
telescopica è la possibilità di avvicinare l’utensile con movimento rettilineo, e
quindi più facilmente controllabile, rispetto all’uso di combinazioni di due o più
movimenti delle varie parti del braccio.
Abbiamo visto come notevole sia stata la trasformazione subita dal braccio
dell’escavatore per diventare braccio da demolizione. Altre parti della macchina
subiscono però modifiche ed adattamenti considerevoli: il sottocarro, la
piattaforma girevole, l’impianto idraulico.
Ricordando che la macchina da demolizione, nasce dall’escavatore, macchina
movimento terra, si può facilmente comprendere come le sue caratteristiche
106
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
fondamentali siano mirate a fattori produttivi, quindi velocità nei movimenti, con
cicli di lavoro sempre più rapidi. Nella demolizione primaria i movimenti devono
essere invece perfettamente controllabili, non scattanti né, tranne l'utensile,
particolarmente veloci. Le caratteristiche dell’impianto idraulico sono pertanto
differenti. L’adozione sulle macchine moderne di sistemi Load Sensing e
dell’elettronica, ha reso agevole l’adattamento dei parametri dell’impianto alle
nuove esigenze.
Il dispositivo di rotazione, ralla con riduttore a motore idraulico, è ugualmente
previsto anche per l’escavatore utilizzato nella demolizione, non senza alcuni
interventi di adattamento.
Arrivando dunque a problemi di equilibrio globale del mezzo, è intuitivo
comprendere come all’aumentare del peso dell’attrezzo sollevato dal braccio o,
dell’altezza che si vuole raggiungere, cresce proporzionalmente il problema del
ribaltamento del mezzo.
Analizziamo i due casi: mantenendo costante il braccio tra la base d’appoggio e il
punto d’applicazione del carico di servizio da sollevare (nel nostro caso il peso
dell’attrezzo demolitore quale, il martello idraulico, il frantumantore etc.)
l’aumento del momento ribaltante è abbastanza intuitivo; con l’aumento
dell’altezza da raggiungere, cresce necessariamente la lunghezza e dunque il peso
proprio del braccio dell’escavatore: per ragiungere perciò forti aggetti ad alte
quote, è preferibile dunque non inclinare il braccio, ma utilizzarne uno spezzato
in tronconi, in modo da non aggiungere all’eccentricità del carico, anche quella
del peso proprio del braccio.
L’aumento del contrappeso, indispensabile su tutte le macchine per garantire la
suddetta stabilità, più le nuove condizioni di carico determinate dal braccio,
cambiano di conseguenza le sollecitazioni che arrivano alla ralla, per cui si sono
rese necessarie sia
modifiche strutturali della piattaforma girevole, oltre
all’adozione di ralle con capacita di carico maggiori.
Anche il carro normalmente richiede l’adozione di alcuni accorgimenti.
L’esigenza della massima stabilità possibile in direzione dell’asse pirncipale del
carro spinge all’adozione di carri lunghi. La stabilità longitudinale è dunque
facilmente raggiungibile, mentre per quella laterale resta una grossa difficoltà da
superare. I carri non possono essere eccessivamente larghi, in quanto la larghezza
costituisce una delle maggiori remore per il trasporto di questi mezzi. Alcuni
costruttori sono in grado di ovviare a questo inconveniente fornendo carri
cingolati a carreggiata variabile, in grado di rientrare in accettabili dimensioni di
ingombro per il trasporto e fornire, allo stesso tempo, la base di appoggio
allargata in cantiere quando sia necessaria una buona stabilità.
Un’ulteriore soluzione per ovviare al probrema del ribaltamento laterale del
mezzo, in seguito all’aumento dell’ecentricità del carico, è costituito dall’utilizzo
di appoggi estensibili uscenti dal carro, che, sollevando tutto il mezzo forniscono
una base d’appoggio più estesa; ciò comporta un aumento del braccio resistente (
e dunque del momento) del mezzo, nei confronti del momento ribaltante fornito
dal carico eccentrico.
107
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Escavatore meccanico Vs esplosivi
Viene ora spontaneo chiedersi quali altezze massime si possano raggiungere, al
giorno d’oggi, dal punto di vista prettamente tecnico. I valori massimi
attualmente considerati, per garantire una buona operatività, si aggirano essenzialmente sui 35-40 metri. Ma, a sentire le ditte produttrici, questi dati non
costituiscono un limite, né per la macchina (per la quale sono disponibili
soluzioni diverse, non ultima quella della costruzione di un mezzo totalmente
dedicato e ottimizzato per questa funzione), né per l’operatore: infatti è ormai
diffuso l'utilizzo di telecamere o di particolari sistemi di controllo visivo che
possono colmare la distanza tra operatore e la zona d’impiego dell’utensile; in
certi casi, sono previste ed allestite cabine reclinabili con tutto il posto guida, per
la migliore disposizione dell’operatore nei confronti dell’utensile.
L’odierna altezza massimale sembra oggi rappresentata dal progetto di
un'azienda, la quale sta preparando un braccio che raggiungerà un’altezza di 50
metri: composto da tre sezioni ripieghevoli e da una telescopica, è dotato infine di
una prolunga terminale.
Un limite concreto, invece, può essere la convenienza per l'impresa di affrontare
una demolizione da terra quando, per altezze superiori a quelle normalmente
considerate, ci si trova tra l’altro in presenza di costruzioni relativamente recenti,
le cui dimensioni implicano la presenza di strutture di notevole portata.
È qui che entra il gioco la demolizione tramite esposivo, campo che da sempre si
oppone alla demolizione tradizionale attuata con mezzi meccanici; nella parte del
testo relativa agli esplosivi si tenterà di tracciare il limite della convenienza tra le
due tecnologie, evidenziando i vantaggi dell’una e dell’altra.
Sempre in caso di forti altezze si può prevedere l’uso di sistemi di demolizione
che prevedano macchine di dimensione opportuna posizionate direttamente al
piano, ed utilizzate per lo smontaggio della struttura solaio per solaio.
Abbiamo visto come la macchina da demolizione abbia assunto alla fine una sua
nuova fisionomia ben precisa. Si stanno infatti abbandonando trasformazioni
empiriche o improvvisazioni, ed il demolitore, da attento professionista nel suo
lavoro altamente specializzato, si orienta sempre più verso l’utilizzo di un mezzo
concepito per questo scopo sin dalla sua progettazione. Tanto è vero che costruttori di fama mondiale sono arrivati a propagandare una serie di macchine,
che rientrano nella classificazione di “Demolition Line”, proprio per distinguerle
dall’escavatore tradizionale da cui sono nate, ma da cui in seguito, proprio per le
modifiche sostanziali subite, si sono differenziate.
La tabella 1. si propone di riassumere la disponibilità di macchine oggi offerta dal
mercato, nell'ambito di una ormai consolidata omogeneità.
108
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
I MARTINETTI PIATTI
Risultati interessanti possono essere ottenuti anche con l’utilizzazione di
martinetti piatti posizionati all’interno di incavi realizzati all’interno
dell’elemento da demolire. I risultati ottenuti sono essenzialmente analoghi a
quelli ottenibili con i martinetti idraulici. Si creano delle fessure che vengono
allargate fino a quando le armature interne possono essere tagliate con dei
candelotti.
Contrariamente ai martinetti idraulici, i martinetti piatti possono essere utilizzati
anche su elementi di piccolo spessore.
I DIVARICATORI
I dilatatori idraulici sono degli apparecchi che utilizzano il principio del cuneo,
ben conosciuto per i lavori eseguiti su pietra. Per tagliare un blocco di pietra in
due parti, si crea una piccola fessura (allineata con la linea di taglio) con l’aiuto
di un martello perforatore, si posiziona poi il cuneo, che verrà conficcato nella
massa.
Al giorno d’oggi, per demolire le murature, oppure delle opere in calcestruzzo
(molto o poco armato), si utilizza lo stesso principio, potenziato attraverso un
impianto oleodinamico che agisce su uno o più pistoni.
Principio di funzionamento
Tenuto conto del progetto di taglio stabilito dal progettista, ed in funzione dei
vincoli imposti dal cantiere (potenza delle macchine di sollevamento, possibilità
di posizionare dei dilatatori, limiti di tempo, etc.) si determinano le superfici di
taglio. Considerando la tensione di rottura del materiale ( ft ) da demolire ed in
funzione della potenza dei suddetti dilatatori, si determinano il numero di
apparecchi necessari.
A seconda delle marche, dei modelli, e della potenza degli apparecchi, esiste
un’offerta che varia su una gamma dalle 70 alle 350 tonnellate di pressione
esercitata.
Tutti basati sullo stesso principio di funzionamento, i diversi dilatatori presentano
alcune differenze che li rendono più o meno adatti a certi lavori; qui in seguito si
vengono presentate le principali tipologie di divaricatori.
109
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Il Rock Jak
Questo dilatatore è costituito da una serie piccoli pistoni che agiscono in
parallelo, grazie ad una piastra di ripartizione, sulla parete di un foro eseguito
preliminarmente nell’elemento da demolire.
Lo svolgimento delle operazioni è il seguente: si comincia col forare il materiale
da demolire. Affinché l’apparecchio possa agire nelle migliori condizioni, si deve
effettuare questa penetrazione con la massima minuzia possibile: sezione ben
circolare, asse rettilineo, assenza di asperità. Contemporaneamente
all’apparecchio, si introduce una piastra speciale per la ripartizione degli sforzi.
Uno spostamento di 3 mm. di questi pistoni è già sufficiente per provocare una
fessura nell’elemento, secondo un piano perpendicolare all’asse del pistone.
Gli sforzi esercitati sono in media di circa 140 tonnellate, ma variano a seconda
del modello considerato.
Il Darda
Questo dispositivo comprende un solo pistone che agisce su un componente a
forma di cuneo. Questo cuneo “allontana” due semi-gusci metallici che si
applicano contro la parete del foro per permettere allo sforzo di svilupparsi.
Lo svolgimento delle operazioni è molto simile a quello del procedimento
precedente. Si comincia sempre eseguendo uno o diversi fori ben circolari ed ad
asse rettilineo, al fine di evitare la rottura del cuneo.
In seguito si introduce nel foro l’apparecchio munito di una punta adatta al
materiale da demolire. Con l’accensione della pompa idraulica (elettrica,
pneumatica o ad motore diesel), il gambo del pistone inizia a discendere ed a
spingere il cuneo tra i due gusci, che iniziano quindi ad allontanarsi: di
conseguenza il calcestruzzo comincia a fessurarsi. È da notare che i due gusci
metallici presentano una superficie leggermente inflessa alle loro estremità al fine
di migliorare la loro resistenza per forma alle forti pressioni a cui sono sollecitate.
Questo procedimento permette un lavoro molto più efficace ed evita che si
fratturino solo i bordi superiori del foro, rendendo impossibile il resto
dell’abbattimento.
110
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Per evitare di danneggiare l’apparecchio è necessario tuttavia, effettuare un foro
di profondità sufficiente affinché il cuneo divaricatore non si inceppi.
Gli sforzi esercitati variano da 85 a 350 tonnellate a seconda dei modelli.
Il Gullick Dobson
Questo apparecchio è della stessa famiglia del Rock Pak. Allorché si aziona
l’apparecchio, il pistone risale verso l’interno e allontano due cunei (semi gusci).
Il funzionamento del pistone è assicurato da una pompa idraulica a comando
manuale, o da una pompa ad aria alimentata da una compressore, raccordato ad
un circuito ad aria compressa.
Si riporta in seguito una tabella riassuntiva delle principali caratteristiche degli
apparecchi finora illustrati:
Marca
Modello
Forza di
dilatazione
(tons.)
10
107
Rock Jak
Diametro del
foro necessario
(mm)
Lunghezza del
foro (mm)
88,9
600
22 + 24
(divaricatore +
pompa)
75
160
Darda
Rock Pac
Peso (kg)
C1
85
23 - 25
210
9
C2
200
32 – 35
270
17,5
C3
230
35 – 38
430
21,5
C 3W
190
35 – 38
440
21,5
C 3WL
190
35 – 38
590
24,7
C 3WLL
190
36 – 38
700
26,2
C4
230
40 – 42
640
28
C 4W
190
45 – 48
660
29
C5
320
42 – 48
640
31,5
C 5W
260
45 – 48
660
32,5
C6
350
45 – 48
790
36
C 11
315
45 – 48
630
36
C 11L
365
45 – 48
700
37,8
C 11W
265
45 – 48
560
36
Mini
60
36
200
52 + 16
160
160
55 – 70
300 – 570
20 + 16
350
350
60 – 80
300 – 570
30 + 16
(divaricatore +
pompa)
Gullick
Dobson
G.D.
100
50
356 (cuneo
46mm)
508 (cuneo
46mm)
111
39 (cuneo 46mm)
46 (cuneo 46mm)
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Messa in opera
La messa in opera di questi apparecchi non deve essere necessariamente eseguita
da una mano d’opera
specializzata, non richiede quindi una formazione
particolare.
I dilatatori sono solitamente impiegati dalle imprese di demolizione che utilizzano
anche le altre strumentazioni per la demolizione controllata, quali la lancia ad
ossigeno, gli utensili diamantati etc., e preferiscono utilizzare gli spacca-roccia
meccanici per spezzettare grandi blocchi di calcestruzzo precedentemente tagliati
con le tecniche suddette. Risulta essere un procedimento abbastanza rapido e
relativamente poco costoso.
Allorché ci si trova in presenza di calcestruzzo leggermente armato, è possibile (a
seconda della potenza erogabile dall’apparecchio) prima di arrivare alla rottura,
allargare la fessura di alcuni cm, per poter cosi tagliare i ferri con la fiamma
ossidrica.
Grazie alla relativa leggerezza delle apparecchiature, e grazie al loro
funzionamento autonomo, questi divaricatori risultano molto maneggevoli e
possono essere utilizzati praticamente in qualsiasi tipo di cantiere.
In generale, i divaricatori sono uno strumento totalmente silenzioso e non
generano né polveri, né esplosioni, né vibrazioni, tutte caratteristiche molto
apprezzabili sopratutto in situazioni di demolizione controllata.
Campi d’applicazione
Considerate le caratteristiche finora descritte, le applicazione più frequenti, sono
le seguenti:
-
demolizione di opere in muratura, i calcestruzzo non o debolmente armato,
oppure di massi di roccia.
- completamento della demolizione di grossi blocchi in calcestruzzo, tagliati
in precedenza tramite altre tecniche, al fine di una loro migliore
frammentazione in pezzi più piccoli per facilitare il loro successivo
smantellamento.
Anche dal punto di vista della sicurezza questa tecnologia risulta molto
vantaggiosa, non comportando alcun rischio per il personale addetto.
Si riassumono in seguito le principale caratteristiche (positive e negative) della
tecnologia sopra descritta.
112
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Consigliabile:
su strutture in cemento anche fortemente armato;
su blocchi di roccia omogenea;
quando la struttura si può espandere senza danni;
quando non si possono attendere i tempi
dell'espansione chimica;
quando si vuole ridurre in frammenti blocchi in
locali con uscite anguste;
su spessori non inferiori ai 200 mm.
Lavori tipici:
su vecchi caveau;
su basi di gru, macchinari, plinti e simili;
“scapitozzamento” di pali di fondazione;
spallamento di centine di gallerie in cemento armato.
Vantaggi:
frantumazione carriolabile di grosse strutture;
limitato impiego di mezzi, energia, personale;
direzionabilità dell'azione espansiva;
rapidità di esecuzione;
possibilità di eseguire lavori sottomarini;
economico;
assenza di vibrazioni e rumori;
assenza di polveri e fumi;
sicurezza nell’impiego;
autonomia di funzionamento.
Limitazioni:
utilizzazione difficoltosa per il cemento armato (causa presenza ferri);
raggio d’azione ridotto;
la struttura da demolire deve essere libera di espandersi anche per
evitare danni alle strutture adiacenti;
i ferri di armatura del cemento vanno tagliati successivamente;
nei modelli a cuneo, la lunghezza del foro deve essere maggiore di
quella del cuneo;
la profondità di spacco nei modelli a cuneo è limitata dalla lunghezza
del cuneo stesso;
Attrezzatura:
si va dagli spaccaroccia costituiti da cunei infissi a colpi di mazza, ai
modelli azionati idraulicamente;
113
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
quelli idraulici possono disporre di cunei divaricatori coassiali al foro
o di cilindri (da 1 a 5) ad azione trasversale al foro.
Potenza di spacco:
forza di spacco può superare le 250 tonnellate di spinta per singolo
divaricatore;
con una centralina si possono attivare contemporaneamente fino a 8
divaricatori raggiungendo le 2.000 tonnellate di spinta;
utilizzando più divaricatori in fori eseguiti lungo una linea di taglio, si
crea una spaccatura continua.
Motorizzazioni:
alcuni dispongono di pompa idraulica a mano; la maggior parte di
centralina idraulica azionata da motori elettrici od a scoppio;
Potenze:
da 3 a 5 Kw ca.
Pesi:
martinetti da 15 ad oltre 35 Kg ciascuno, centralina da
70 ad oltre 100 Kg ca.;
Personale necessario:
1 operaio (qualificato).
SPACCA-ROCCIA CHIMICI
La demolizione con il sistema in oggetto prevede di dover praticare sull’elemento
da demolire (indifferentemente costituito da roccia, calcestruzzo o muratura), una
serie di fori. con un’opportuna geometria, nei quali sarà colato poi un agente
demolitore non esplosivo dalle forti capacita espandenti.
Quindi la demolizione risulta essere di tipo meccanico; il prodotto dentro i fori, a
momento dell’indurimento, aumenta di volume con una spinta che, a circa 4
giorni, raggiunge, al foro, 8-900 kg/cm2 .
Quando la pressione arriva a 400 kg/cm2 , si riescono già a rompere la maggior
parte delle rocce. La migliore utilizzazione di questo prodotto risulta in lavori di
demolizione silenziosi ed esenti da vibrazioni e proiezioni di pietre.
La distanza da un foro all’altro ed il raggio d’azione del prodotto sono
strettamente dipendente dalla durezza della roccia e dal diametro dei foro
eseguiti.
Il peso specifico di questi particolari materiali espandenti è di circa 1, 7 kg/dm3 .
La fornitura di questo prodotto avviene sotto forma di polvere, che dovrà poi
essere miscelata con un’idonea quantità d’acqua: il risultato è un’ liquido denso
che verrà versato negli appositi fori eseguiti nel manufatto da demolire.
Nel caso di applicazioni orizzontale e impieghi sopra testa, esistono in
commercio prodotti particolari, i quali, una volta miscelati con l’acqua assumono
una consistenza malleabile e pastosa: questa massa verrà arrotolata a mano in
piccoli salsicciotti ed introdotta immediatamente nei fori. Per ottenere un’azione
114
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
efficace è consigliabile comprimere i succitati rotolini all’interno del foro, con
l’aiuto di un’asta (il cui diametro corrisponda all'incirca a quello dei foro).
Il rapporto ideale tra acqua di miscelazione e polvere espandente, è il 20% del
peso. Quindi per una confezione da kg 5 si impiegherà un litro di acqua.
L’aggiunta impropria dell’acqua oltre le indicazioni dei 20% fa decadere le
caratteristiche di spinta dei 30% ed oltre. Non si richiede la sigillatura dei foro
dopo il getto.
Applicazione su roccia:
Nelle rocce senza un libero accesso laterale, all'inizio
è necessario praticare un'apertura di accesso.
Dapprima si devono riempire i fori di accesso, e, solo
in seguito, rispettando un intervallo di tempo di circa
1 ora da fila a fila, riempire gli altri fori .
Esecuzione di cavità in pareti e soffitti
Affinché nel punto di collegamento tra parete soffitto non si creino forze di
reazione indesiderate, dapprima viene demolito un cono, secondo lo stesso
principio della demolizione della roccia.
Lavori in presenza d'acqua
Se durante i lavori con betonamit si presume possa piovere, i fori devono essere
coperti adeguatamente: l'eventuale acqua piovana che penetrasse nei fori vuoti
potrebbe miscelarsi con lo spaccaroccia e cambiarne il rapporto quantitativo, che
era stato accuratamente predosato.
Profondità e diametro dei fori
È chiaro che il quadro fessurativo che si propaga sull’elemento da demolire, è
strettamente correlato con la l’interasse, il diametro e la profondità dei fori
eseguiti (dove fare colare l’agente espandente).
La tabella qui di seguito riportata, indica il valore dell’interasse dei fori da
mantenere (una volta fissato il diametro), in funzione della qualità dell’elemento
da demolire.
115
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
In tutti i materiali da demolire che presentano due lati liberi, la distanza tra il foro
ed il rispettivo bordo esterno, deve essere di regola 1 o 2 volte il normale interasse
tra i fori.
La distanza tra i fori nel calcestruzzo non armato è di circa 10 volte il diametro
ideale dei foro.
Nel calcestruzzo debolmente armato, la distanza tra i fori dovrà essere 4 volte il
diametro dei foro.
Non esiste nessuna prescrizione per la profondità massima dei fori mentre la
minima sarà di 5 diametri il foro (diametro 40 mm = profondità minima 20 cm).
Il foro da 20 mm può avere una sua logica in roccia tufacea o magrone di
calcestruzzo non armato oppure, sempre in manufatti teneri, per une demolizione
disegnata.
Il diametro ideale dei foro è di circa 40 mm. I fori di diametro inferiore, riducono
la pressione d'espansione.
I fori di diametro maggiore, 45-50 mm,
consentono
un
aumento
della
pressione
d’espansione, facendo però anche aumentare il
pericolo di espulsione della carica, in caso di
preparazione inappropriata.
È importante che la distanza di 25 o 35 cm ci sia
anche tra il foro e la parte libera del manufatto,
questo per permettere lo spanciamento quindi la rottura dei manufatto stesso.
116
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
I fori devono essere puliti soffiando la polvere di perforazione. L’attrezzo ideale
per la perforazione è il fioretto.
Tempo di reazione
Il grafico seguente mostra il rapporto tra la pressione d’espansione e il tempo di
reazione con fori dei diametro di 20 mm, 30 mm e 40 mm, su un periodo di 4
giorni.
Tempo di reazione in funzione della temperatura
La tecnologia degli spaccaroccia chimici è però operativa solo in una determinata
fascia di temperatura: la tabella riportata in basso si basa sui valori seguenti:
o dimensione dei blocco di calcestruzzo da demolire: 50 x 50 x 50 cm, qualità
del calcestruzzo: Rck 400 N/mm2.
o diametro dei foro 40 mm
o temperatura ambiente da 22 a 32°C.
o temperatura all'interno dei foro, costante 22°C.
117
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Come si vede dal succitato esempio, il tempo di reazione aumenta o diminuisce in
rapporto di 10 minuti per ogni °C di differenza di temperatura, con temperatura
interna costante di 22 °C.
Un ulteriore aumento della temperatura interna accelera maggiormente il tempo di
reazione.
Temperatura dell'acqua
Come premesso, l’acqua d’impasto deve avere una particolare temperatura.
Con temperature esterne oltre i 25 °C, l’acqua d'impasto deve essere fredda: se
necessario, si deve raffreddarla con dei ghiaccio.
Inoltre è consigliabile installare dispositivi di protezione contro il sole prima di
iniziare i lavori o eseguire i lavori di riempimento durante il fresco delle ore
notturne, per i motivi già spiegati.
Se invece ci si trova ad operare in ambienti con temperature attorno allo 0 C°, il
tempo di attesa altrimenti lungo, può essere abbreviato notevolmente grazie
all’aggiunta di acqua a 50 C°.
Per temperature estremamente fredde,si dovrà coprire la zona di lavoro e scaldarla
con dell’aria calda.
Consumi
Il consumo dell’agente è proporzionale al diametro dei foro. La tabella qui
accanto mostra la quantità di betonamit necessaria per i tre diametri dei fori
usuali, con una profondità dei foro di 1 metro.
118
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Principali vantaggi:
- il materiale miscelato ha una consistenza simile allo stucco, quindi
facilmente lavorabile;
- non presenta nessun problema di magazzinaggio;
- uso semplice, che non .richiede mano d’opera specializzata;
- utilizzabile sia per lavori in orizzontale, che per lavori
sopra testa;
- (consistenza più pastosa).permette una frantumazione
carriolabile di grosse strutture;
- silenziosità in fase di espansione;
- assenza di proiezione di materiale frantumato;
- consente anche lavori sottomarini;
Prescrizioni di sicurezza
L’uso degli spacca-roccia chimici non prescrive severe misure di sicurezza, come
ad esempio quelle adottate durante l’uso di esplosivi.
È consigliato comunque osservare sempre i punti seguenti:
-
è vietato riempire bottiglie di vetro e di metallo o altri recipienti che si
allargano verso il basso (aumento dell’effetto dirompente);
- evitare di guardare nei fori riempiti durante le prime 6-8 ore dopo la carica;
- portare occhiali di protezione, guanti di gomma, scarpe di protezione e casco;
- coprire con un telo per eventuali sbruffi;
- rispettare la temperatura dell'acqua di miscelazione.
Dopo aver caricato i fori, si consiglia sempre di coprirli,
perché
l'aumento
di
temperatura
causato
dall’irraggiamento solare o da diametri dei fori eccessivi
potrebbe accelerare fortemente (in maniera indesiderata)
il processo dirompente.
Poiché solitamente questi prodotti contengono calce,
evitare il contatto diretto con la pelle.
Si riporta in seguito la consueta scheda riassuntiva delle principali caratteristiche
del prodotto sinora analizzato.
Consigliabile:
- su strutture massive in cemento anche armato;
- su blocchi di roccia omogenea;
- quando in cantiere si disponga di mezzi limitati;
- quando la struttura da demolire si può espandere senza danni;
- quando si vuole ridurre in frammenti dei blocchi, in locali con uscite anguste.
Lavori tipici:
- su trovanti di roccia durante scavi;
119
Capitolo 2
-
Le Tecniche della Demolizione
su basi di gru, macchinari, plinti e simili;
“scapitozzamento” di pali di fondazione.
Rumorosità:
- medio alta nell'esecuzione dei fori con perforatori o fioretti;
- assente in fase di reazione chimica.
Attrezzature:
un perforatore per eseguire fori di 30 - 50 mm di
diametro e miscelare prodotto ed acqua pulita. Un
contenitore di plastica
Potenza di spacco:
La pressione esercitata sulla superficie dei fori è
attualmente dalle 4.000 alle 9.000 tonnellate per
metro quadrato
Personale necessario:
1 operaio (generico)
Limitazioni:
- la struttura da demolire deve essere libera di espandersi, anche per evitare
danni alle strutture adiacenti;
- i ferri di armatura del cemento vanno tagliati a parte;
- i fori ciechi non devono contenere acqua per evitare di ridurre l'effetto
espansivo ed aumentare i tempi di reazione;
- rispetto assoluto delle temperature e delle quantità d’acqua;
SPACCAROCCIA A SPARO
Trattasi di un demolitore portatile, che utilizza cartucce simili a quelle di un
fucile da caccia, calibro 12, o calibro 8.
Si carica come una pistola, la sua canna viene infilata verticalmente entro un foro
di 40 millimetri di diametro, effettuato con un trapano a rotopercussione od una
perforatrice ad aria, entro il blocco o la struttura da demolire.
Il foro, cieco, viene riempito d'acqua fino quasi all'orlo e la canna del demolitore
viene immersa nel liquido.
Fatta esplodere la cartuccia a distanza, con un cordino lungo 6 metri, si crea
un’onda di pressione che, grazie all’incompressibilità dell’ acqua, si trasmette
alla struttura, lungo tutta la superficie del foro, la quale collassa o comunque si
fessura profondamente.
Crepe interne preesistenti facilitano l’effetto dirompente. Il “rinculo” indesiderato
dell’arma, viene evitato solitamente grazie ad una stuoia di gomma pesante posta
sul blocco.
120
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Consigliabile:
- ove non si possa usare l’esplosivo;
- ove sia necessaria la riduzione di grossi
blocchi;
- in presenza di bancate di roccia;
- ove non sia possibile l’utilizzo di martelli
demolitori;
Lavori tipici:
- frantumazione di “trovanti” singoli;
- ausilio allo spacco di strutture in cemento anche armato;
- demolizione di bancate;
- scavi di trincee;
- lavori di demolizione subacquea;
Vantaggi:
- necessita solo di un grosso trapano e di qualche litro d’acqua;
- è sufficiente una cartuccia per spaccare blocchi di roccia di 1 o 2 metri cubi di
volume;
- elevato rapporto costi/benefici;
- quasi inesistente proiezione di
materiale;
- non è richiesta la licenza di
“fochino”;
- inapprezzabile sviluppo di gas
nocivi;
- semplicità di utilizzazione.
Rumorosità:
- bassa in esterni, ed episodica in interni;
- scoppi singoli e attutiti dall’acqua.
Personale necessario:
- la stessa persona che realizza il foro può azionare l’attrezzo;
Attrezzatura necessaria:
un perforatore, con motore a scoppio, o
con compressore ad aria, se non si dispone
di energia elettrica;
una punta da trapano sufficientemente
lunga;
Potenza demolitiva:
pressione di lavoro da 100 a 200 Mpa; si può
incrementare l'effetto demolitivo dello sparo
disponendo preventivamente nel foro (dentro
121
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
disponendo preventivamente nel foro (dentro
l'acqua) un o più cartucce a varie altezze, che esploderanno per “simpatia” (vedi
cap. “esplosivi”).
PINZE E CESOIE IDRAULICHE
Il sistema si basa sulla demolizione controllata di elementi in c.a. con delle pinze
di grosso calibro azionate da potenti sistemi idraulici, in grado di ridurre in
frantumi le strutture da demolire. Mascelle con denti d'acciaio durissimo, azionate
idraulicamente, possono mordere e ridurre in frammenti il cemento armato delle
gradinate di uno stadio di calcio come anche di una rampa di scale all'interno di
un edificio abitato, con una limitata produzione di rumore.
Allo stesso modo grosse cesoie riescono a tagliare letteralmente il calcestruzzo,
con annesse armature, lasciando sul campo solamente dei monconi di elementi
facilmente smaltibili.
Appunto una dei principali qualità di questa tecnologia è la notevole
semplificazione del compito d’asporto dal cantiere delle strutture demolite;
inoltre, queste macchine hanno la capacità di adattare la loro larghezza di apertura
allo spessore dell’elemento da demolire, rendendole estremamente flessibili;
Si riporta nella seguente scheda tecnica, un esempio delle principali caratteristiche
tecniche di una pinza idraulica.
Risultati e vantaggi
- relativa assenza di percussioni, vibrazioni e rumore (specie sulle pinze
manuali);
- operatività su bracci di benne anche ai piani alti degli edifici e talora su
strutture anche pericolanti;
Materiali lavorabili
Consentono di demolire strutture di materiale diverso, anche in cemento
fortemente armato.
122
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Campi d’impiego
- demolizione di solai, pareti, pilastri, travi, scale e parti di edifici.
- demolizioni parziali o totali di fabbricati, stabilimenti, gradinate di stadi,
silos, caveaux.
Rumorosità:
- bassa sulle manuali / media sulle altre.
Consigliabile:
- ove convenga ridurre le strutture in frammenti;
- ove non convenga puntellare la struttura da demolire;
- ove il rumore non sia è bandito (es. ospedali, alberghi, banche, condomini,
uffici, stabilimenti in attività).
Lavori tipici:
demolizione di fabbricati, stabilimenti, gradinate di stadi, cinema e teatri,
silos, caveau, ciminiere, prefabbricati metallici, ma anche di travi, pilastri,
scale, pareti e solai in interni
Motorizzazioni:
- centralina idraulica separata per le manuali, quella della macchina
operatrice per le grandi potenze; da 3 a 100 Kw ca.
Personale necessario:
- per le manuali 1 operaio (qualificato) e
almeno 1 operaio (generico);
- in genere per le altre, solo l'operatore
del mezzo meccanico.
Necessità particolari:
- le più grandi pinze manuali necessitano
di un servosostegno;
- quelle di media apertura sono montate su bracci di escavatori;
- per grandi altezze e grosse strutture possono essere sospese a gru.
Potenzialità demolitiva:
- quelle manuali mordono attualmente da 200 a 440 mm ca. di spessore;
- quelle più grandi anche oltre i 1.600 mm e, se dotate di cesoie vicino al
fulcro della forbice, tagliano anche l'acciaio;
123
Capitolo 2
-
Le Tecniche della Demolizione
talune, dotate di particolari dentature, sono dedicate alla frantumazione
minuta, a terra, di strutture in cemento armato per il recupero ed il riuso.
IL NIBLER
Questa particolare tecnica di demolizione è stata messa a punto dal British
Research Establishment, e consiste nel sollevare elementi piani di calcestruzzo
con un grosso gancio a forma di J sospeso ad un cavo di una gru oppure ad una
pala meccanica; tentando di sollevare l’elemento piano solamente da un suo
spigolo, non si fa altro che si sollecitare il calcestruzzo a trazione sottoponendolo
ad un forte momento flettente localizzato; una utile chiarificazione può essere
fornita dall’immagine qui a fianco.
Questo procedimento viene quindi utilizzato spesso per la demolizione di piastre,
piste, elementi di fondazione interrati, etc. Il rendimento di questa tecnica si
aggirano sui 53 m2/h (per piastre di spessore variabile tra 12,5 e 25 cm). Il
rendimento non cambia allorché ci si trovi ad intervenire anche su calcestruzzo
leggermente armato (reti di tondini φ 6mm).
È in corso di realizzazione un apparecchiatura basata sullo stesso principio, per
potere essere utilizzata anche su piastre dai 30 ai 37,5 cm di spessore.
PROCEDIMENTI ELETTRO-CHIMICI
Questo procedimento, messo a punto negli anni ottanta da alcuni ricercatori,
consiste nella rapida corrosione dei ferri d’armatura dell’elemento in
calcestruzzo, tramite l’applicazione di un flusso di corrente elettrica continua,
dopo avere preventivamente spruzzato la superficie del pezzo da demolire con
una soluzione salina corrosiva. L’espansione volumetrica delle armature dovuta
alla formazione di ossido di ferro ( = ruggine), provoca in qualche ora la rapida
degradazione del calcestruzzo, la cui principale manifestazione è l’esplosione del
copriferro.
Si tratta dunque di un procedimento meccanico di demolizione. L’energia
elettrica consumata può variare dai 360 ai 530 Wh.
I PILONI
Il principio di funzionamento di questo procedimento prevedete la caduta
dall’alto (1 ÷ 3 m. d’altezza) sull’opera da demolire, di una massa d’acciaio di
alcune tonnellate.
L’applicazione più frequente di questa tecnologia si ritrova nei casi
smantellamento di grosse solette controterra o di piste aeroportuali. Naturalmente
per ottimizzare la produzione, il telaio che fa da guida alla massa battente è
montato su carro mobile. La capacità produttiva della macchina varia in funzione
della natura e dello spessore dell’opera da demolire.
124
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Ad esempio per il rifacimento della pista autostradale A1 a Saint Denis e Roissy
in Francia, si è riuscito ad ottenere una produttività di 6000 m2/giorno (9 ore
lavorative), operando su di una soletta di 22 cm di spessore.
RISCALDAMENTO DELLE ARMATURE PER EFFETTO JOULE
Alla fine della seconda guerra mondiale, si è tentato di far fessurare degli elementi
in calcestruzzo armato, facendo circolare un flusso di corrente elettrica (a bassa
tensione, ma di elevata intensità, 5000 ÷ 6000 A) nei ferri di armatura. Per effetto
Joule, le armature si riscaldavano e, per dilatazione differenziale rispetto al
calcestruzzo, si otteneva la sua fessurazione ed il distacco del calcestruzzo dalle
armature.
Una delle principali difficoltà di questo procedimento, consisteva nel fatto che
non sempre era possibile avere una buona connessione elettrica tra le armature.
Per permettere alla corrente di una tale intensità di passare occorreva saldare i
cavi alle armature. Naturalmente si è compreso molto rapidamente, che inoltre
una piccolissima parte di tipologie di elementi in calcestruzzo aveva le
caratteristiche geometriche per poter essere demolito attraverso questo
procedimento, tenuto conto, tra l’altro delle numerose possibilità di corto circuito.
Inoltre è difficile solamente pensare a come far arrivare, in maniera economica,
una tale potenza elettrica in un cantiere classico.
Last but not least, i rischi di elettrificazione per il personale addetto sono altissimi
per questo tipo di procedimento.
Bisogna segnalare che questa tecnica è inapplicabile in caso di ferri d’armatura
che superano i 10 mm, cosa che ne riduce maggiormente il campo d’applicabilità.
Il riscaldamento delle armature come procedimento di demolizione è stato dunque
velocemente abbandonato, tanto più che verso gli anni sessanta c’è stata la crisi
energetica che ha reso inaccettabile un tale consumo di corrente elettrica.
GENERATORE DI MICRO-ONDE
Le microonde sono delle onde elettro-magnetiche di frequenza compresa tra 1 e
10 gigahertz (109 Hz). Queste corrispondono ad una gamma di onde
decimetriche (30 cm di lunghezza d’onda per 1 GHz) e centimetriche (0,5 cm per
una frequenza di 60 GHz). Si agisce dunque con onde elettromagnetiche di
frequenza molto elevata, altrimenti anche dette di hyperfrequenza.
È oramai risaputo che queste onde vengano utilizzate non solo dai radar e nelle
telecomunicazioni, ma anche in campo medico, alimentare, culinario, per
l’essiccazione di prodotti , etc.
Attualmente si prevede la realizzazione di un apparecchio che permetta la
demolizione parziale (superficiale) di opere il calcestruzzo. È dunque pensabile
una loro commercializzazione nei prossimi anni.
125
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Principi di funzionamento
La radiazione di microonde, come del resto le radiazioni infrarosse ed il laser non
sono altro che un mezzo di trasmissione di calore, e, più in generale, di energia,.
Il principio che porta al riscaldamento è lo stesso di quello
perdite dielettriche, vale a dire il riscaldamento di materiali
onde elettromagnetiche penetrano in profondità nel corpo da
le molecole costitutive di quest’ultimo, ne provocano un
riscaldamento.
su cui i basano le
non conduttori. Le
demolire: eccitando
rapido ed elevato
È importante sottolineare che, poiché man mano che il flusso di radiazione avanza
nella massa, l’energia stessa si degrada: ciò comporta che la temperatura nella
parte centrale del corpo sia molto più elevata rispetto a quanto sarebbe, se si
utilizzassero delle tecniche di riscaldamento esterne convenzionali, quali le
radiazioni infrarosse o una fiamma. Questa temperatura dipende anche dalla
profondità di penetrazione: se questa è sufficientemente grande, cosa che avviene
nella maggior parte dei casi, la temperatura nella regione centrale del corpo in
calcestruzzo può raggiungere temperature ben maggiori rispetto a quelle sulla
superficie laterale.
In generale si può dire che, la quantità di calore prodotta nel materiale cresce con
la seconda potenza in funzione del campo elettrico (vale a dire in funzione della
potenza trasportata dall’onda); naturalmente dipende anche dalle caratteristiche
del mezzo, in particolare in funzione della frequenza propria.
L’energia elettromagnetica invece si va attenuando all’aumentare della profondità
raggiunta dal flusso: questa profondità di penetrazione è inversamente
proporzionale alla frequenza del raggio.
Si è notato altresì, che quanto più la massa in questione ha una forte capacità di
trattenere l’energia, tanto meno questa energia riesce a penetrare.
Si conclude quindi che, a seconda del materiale su cui ci si trova ad intervenire, si
dovrà scegliere la frequenza adatta, realizzando il compromesso ottimale tra la
potenza fornita e la profondità di penetrazione dell’energia. La frequenza
industriale solitamente adottata è di 2450 MHz. Nei materiali con deboli perdite
dielettriche, nei quali non è possibile eccitare gli elettroni liberi presenti nel
reticolo cristallino, si riesce invece a riscaldare l’acqua presente nel corpo, poiché
queste ha un’elevata capacità di assorbimento delle onde. Questa tenderà dunque
a migrare verso l’esterno e quindi ad evaporare.
A partire da una certa temperatura, diversa per ogni materiale, le perdite
dielettriche del minerale si intensificheranno fortemente. Questo improvviso
aumento di temperatura, porterà alla nascita di un elevato stato tensionale
all’interno della massa.
Nel calcestruzzo, un ruolo importante è giocato dall’acqua e dall’acciaio: l’acqua,
a causa della sua elevata capacità di assorbimento, mentre l’acciaio a causa del
suo elevato tasso di riflessione.
L’acqua, sia libera che cristallizzata, è il principale fattore che collabora con le
microonde: a causa del forte shock termico quest’acqua presente nei pori del
126
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
calcestruzzo, si vaporizza; questo vapore acqueo riesce ad infilarsi nella
profondità dei pori esercitando una forte pressione sulla superficie laterale
causando una microfessurazione diffusa. I primi strati irradiati si svuotano così
molto rapidamente, ed il calcestruzzo diventa ancora più permeabile all’energia,
permettendone una maggiore profondità di penetrazione nella massa. Il
calcestruzzo finito superficialmente (intonacato) necessita di un tempo
leggermente maggiore per permettere la penetrazione del flusso.
Messa in opera
Questo procedimento può essere utilizzato in due diverse modalità, ottenendo, di
conseguenza diversi risulatati:
-
irradiazione generale su tutta la massa.
In questo caso, si rende fragile tutto l’insieme dell’elemento, portando ad una
acellerazione del stato di degrado e permettendone una demolizione
semopilficata. Questo procedimento richiede delle potenze abbastanza ridotte,
applicate però per un periodo prolungato.
-
irradiazione localizzata.
In questo caso solo una piccola parte dell’opera viene interessata dall’azione
delle onde, si può definire quindi come un processo di demolizione parziale
controllata. Al contrarion dell’iradiazione generale, in questo caso, è necessaria
una forte potenza impulsiva per provocare l’esplosione istantanea degli strati più
superficiali della parte irradiata.
Fra i due, il secondo metodo sembra essere quello più adatto alle reali esigenze di
un generico processo di demolizione.
Prove eseguite su degli elementi in calcestruzzo, hanno permesso di osservare i
seguenti fenomeni:
- t = t0 :
riscaldamento localizzato della faccia irradiata per i primi
minuti
di esposizione;
- t > 3 min.:
il calcestruzzo si screpola superficialmente presentando delle
piccole fessure, dalle quali fuoriesce il vapore acqueo;
- t > 5 min.:
l’intero blocco in calcestruzzo risulta molto caldo, l’acqua
evapora più rapidamente ed il calcestruzzo sbianca;
- t > 10 min.:
tutti i suddetti fenomeni vengono accentuati, ed il blocco
intero
si frantuma facilmente sotto l’azione di un martello leggero; si
può notare come le superfici di separazione tra le macerie,
siano tutte umide, ad ulteriore prova che sia stato proprio il
vapore acqueo, (oramai condensato) ad aver portato al collasso
della struttura grazie alla sua forte pressione interna.
L’apparecchiatura necessaria si presenta semplicemente sotto forma di un
generatore di hyperfrequenze sulla guida di un’onda standard. Le potenze
127
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
necessarie per poter utilizzare questo procedimento, sono di circa 5 ÷ 10 kW. Per
ottenere il rendimento ottimale, è necessario concentrare correttamente il fascio
di hyperfrequenze ad una piccola distanza dalla fonte.
Nel caso di calcestruzzo armato, si riscontra una difficoltà dopo la fessurazione
del calcestruzzo, quando bisogna trovare una maniera semplice per allargare le
fessure e poter tagliare le armature.
La frequenza di lavoro adottata è di 2450 MHz.
Utilizzazione
Le potenza ottimale attuale sembra essere situata attorno ai 10 kW. Superato
questo valore, aumenta il rischio di causare numerose e pericolose esplosioni
sulla superficie di calcestruzzo (causate della liberazione del vapore acqueo
surriscaldato).
Con una potenza di 10 kW, si può fortemente indebolire una superficie di 1 m2,
per uno spessore che va dai 5 ai 20 cm.
Le possibili utilizzazioni di un apparecchio di questo genere sono numerose. I
primo luogo si potranno realizzare delle aperture in muri in calcestruzzo, con una
rapidità inattesa e nel completo silenzio. Sono naturalmente assenti anche
vibrazioni, polveri e fumi di qualsiasi genere.
Sicurezza
È d’altra parte necessaria la protezione del personale operatore: questa si può
ottenere con l’applicazione di schermature che assorbano le radiazione riflesse
lateralmente. Dietro queste schermature sia l’operatore che i macchinari
generatori, sono inoltre al sicuro anche da eventuali esplosioni violente della
superficie di calcestruzzo.
È in fase di studio, l’ottimizzazione di questo sistema di schermatura, in modo da
poterlo utilizzare anche in ambienti angusti e ristretti.
Commenti
Alla luce di quanto finora esposto, il procedimento di indebolimento del
calcestruzzo attraverso la generazione di microonde, presenta i seguenti vantaggi
e limiti:
Vantaggi:
- elevata rapidità di esecuzione;
- totale silenziosità;
- assenza di fumi;
- assenza di vibrazioni;
Limiti:
- difficile disponibilità delle apparecchiature sul mercato;
128
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
- tecnica, di per se, non sufficiente a completare il lavoro: necessita comunque
affiancata da un cannello per il taglio delle armature, ed di uno strumento
per lo sgretolamento definitivo del calcestruzzo;
- difficoltà nell’assicurare la totale sicurezza del personale;
- costi verosimilmente ancora troppo elevati;
- necessita personale altamente qualificato.
L’ELETTRO - FRATTURA
Con questo procedimento sperimentale, si sottopone il calcestruzzo ad una
corrente ad alta frequenza.
Quest’ultimo, che diventa allora conduttore, si riscalda a seguito di una perdita
dielettrica, e di conseguenza si rende fragile a causa di una forte dilatazione
laterale.
129
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
ELIMINAZIONE DEL SINGOLO ELEMENTO
COSTRUTTIVO FUNZIONALE
TAGLIO DEL CALCESTRUZZO CON UTENSILI DIAMANTATI
Il principio di funzionamento degli utensili diamantati, finalizzati al taglio od alla
foratura del calcestruzzo, si basa sulla proprietà caratteristica del diamante di
essere il materiale più duro che si conosca. L’utensile diamantato permette di
effettuare diverse lavorazioni (tagli e fori) rapidamente e in modo netto su
qualsiasi tipo di materiale edile o pietra naturale da costruzione, riducendone
drasticamente i costi e i tempi, diventando quindi un ottimo strumento anche per
piccoli impieghi.
Qualunque sia lo strumento diamantato considerato (dischi, corone o fili), il
principio di funzionamento è lo stesso: una forte azione abrasiva localizzata,
ottenuta tramite una velocissima rotazione di un sottile elemento metallico, la cui
finitura al bordo è realizzata con una particolare miscela ferro-adamantina.
Quest’azione abrasiva si concretizza, a seconda della tipologia di strumento
utilizzato (disco e filo, o corona), nel taglio o nella foratura dell’elemento in
calcestruzzo.
Natura dei componenti
I diamanti utilizzati sono industriali ma di origine naturale: non sono totalmente
puri, contengono infatti un certo numero di impurità (0,2% di azoto, del nickel,
del ferro, alluminio, boro, nelle proporzioni di qualche ppm a 300 ppm circa).
Esistono anche dei diamanti sintetici, ma quelli di origine naturale, restano senza
dubbio i più adatti per la realizzazione degli utensili destinati al taglio del
calcestruzzo.
I fattori principali che interessano i costruttori sono la durezza, la resistenza
all’abrasione e la resistenza agli impatti dinamici (che possono essere svariati e di
diversa entità nelle operazioni di taglio).
Principio di funzionamento
Come premesso qualsiasi strumento diamantato è solitamente costituito da due
componenti: una placchetta diamantata, detta anche “segmento” o “corona”, ed
un supporto d’acciaio, detto anche “anima” o “stelo”; il segmento stesso, è
costituito a sua volta, da una miscela di polveri di metallo e grani di diamante. I
diamanti possono essere di granulometria abbastanza grossa, andando da un
quinto di carato (1 carato = 0,2 g) sino alla polvere di diamanti. In tutti i casi, la
loro funzione resta la stessa: agire per abrasione. Da questa miscela (costituita da
particelle di diamante trattenute all’interno di una matrice metallica), allorché
viene pressata a freddo, si ottengono dei semilavorati di varie forme, che
verranno successivamente ripressati e riscaldati contemporaneamente: questo
130
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
processo di giunzione è detto “sintetizzazione”. Si ottengono così leghe con
diverse proprietà meccaniche.
È possibile infine distinguere due tipologie di strumenti, a seconda del
comportamento della loro parte attiva: gli strumenti con diamanti incastonati e
quelli con diamanti solidificati.
Gli attrezzi dai diamantati incastonati sono destinati alla lavorazione di materiali
omogenei e “teneri” relativamente facili da trattare. I diamanti risultano interi, ed
il loro numero può variare tra le 60 e le 100 pietre a carato. La matrice nella quale
sono incastonati i diamanti è invece a base di tungsteno.
Solitamente si impiega questo tipo di strumenti per la lavorazione di opere in
muratura classica.
Gli attrezzi con diamanti solidificati sono invece destinati alla lavorazione di
materiali più duri ed eterogenei (calcestruzzo armato e non, granito, etc.). In
questo caso i diamanti sono molto più piccoli; il loro numero varia tra i 100 ed
1000 pezzi a carato e sono annegati nella legante. La natura del legante, la
concentrazione dei diamanti e la loro granulometria, saranno pensate in funzione
dell’Rck del calcestruzzo da tagliare (calcestruzzo siliceo molto duro, oppure un
calcestruzzo calcareo molto più morbido). La solidificazione del diamante si
presenta sotto forma di piccoli segmenti posizionati lungo le zone marginali del
disco o della corona metallica.
In entrambi i casi, la matrice (a base di polvere metallica) che trattiene il
diamante, dovrà essere molto resistente all’usura per abrasione, e la lega metallica
utilizzata dovrà essere molto dura: questo implica alte temperature di
sintetizzazione.
Procedimenti di produzione degli strumenti
Vi sono svariate forme di segmento e di corone, lisce o scanalate. L’anima o stelo,
è realizzata in acciaio di alta qualità, con basso tenore di carbonio se utilizzata per
utensili con saldatura laser.
La giunzione tra segmento ed il supporto d’acciaio è invece un discorso
totalmente diverso: questa può essere effettuata attraverso tecniche diverse, che
verranno brevemente esaminate qui di seguito.
131
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
•
Giunzione mediante “brasatura”, si ottiene con la fusione di una speciale
lega a base d’argento, che fissa le due parti senza portarle alla fusione.
Questa tecnica può essere usata solo per utensili refrigerati con acqua.
L’uso a secco è vietato per utensili con giunzione inferiore a 4 mm. di
spessore.
•
Giunzione mediante “saldatura laser”, si ottiene per microfusione delle
due parti, ottenuta da un fascio concentrato di luce. Questa tecnica
permette un utilizzo sicuro degli utensili segmentati a secco.
•
Giunzione “sinterizzata”, si ottiene pressando a freddo la miscela di
polveri direttamente sul corpo d’acciaio. Dalla successiva sinterizzazione
in appositi stampi, si ottiene un disco segmentato o corona continua in
esecuzione liscia o scanalata.Anche questa tecnica permette un utilizzo
sicuro degli utensili a secco.
Dopo aver effettuato la giunzione, l'utensile viene rettificato nella sua parte
diamantata e nello stesso tempo gli viene dato anche il senso di rotazione.
Si esegue poi l’operazione di raddrizzatura e tensionatura, per portare l’utensile ad
una rotazione perfettamente rettilinea ed assente da vibrazioni ad una velocità
prestabilita durante la lavorazione.
Un momento fondamentale all’interno del processo di fabbricazione degli utensili,
è la giudiziosa scelta che il produttore dovrà effettuare a proposito della
dimensione, la forma dei diamanti, e della loro incastonatura all’interno di una
matrice di appropriata composizione, il tutto a seconda del tipo di utilizzazione
lavorativa prevista per quello strumento.
La situazione ideale è quella che prevede l’utilizzo di granuli di diamante molto
resistenti, di forma pressoché cubica. La scelta della matrice o del “legante” (=
lega metallica, che dovrà contenere i granuli nella sua composizione) è abbastanza
complessa.
Talvolta può accadere che , a seconda del lavoro da eseguire, alcuni granuli di
materiale logorato e qualche scheggia di diamante si miscelino per formare un
fango abrasivo, che a sua volta attacca chimicamente il legante. Se questo è
troppo tenero, è possibile che questo si consumerà molto più velocemente rispetto
132
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
alle componenti in diamante: fisicamente si vedranno le particelle, prima sfaldarsi
e poi staccarsi.
Se, al contrario, il legante è troppo duro e non si consuma abbastanza
rapidamente, si consumeranno ante tempore, i diamanti sulla superficie di
contatto, annullando l’azione di taglio, e rendendo inefficace lo strumento.
Quindi, affinché un utensile diamantato possa lavorare ad alto rendimento, cioè
col massimo risparmio economico, la durezza del legante, così come la qualità e
la dimensione delle particelle di diamante, dovranno essere correttamente
determinate.
Tenuto conto dell’alta qualità dei risultati generalmente ottenibili grazie a questi
strumenti, e dei costi ancora relativamente elevati, si conclude che questo tipo di
tecnologia risulta più adatta ad eseguire operazioni di taglio o foratura finalizzate
alla
trasformazione di spazi esistenti, oppure alla demolizione parziale di
elementi costruttivi funzionali, e non alla demolizioni totale di un organismo
edilizio.
Campi d’applicazione
Si deve segnalare innanzitutto che, per utilizzare questo genere di macchine è
necessario disporre di un personale specializzato. Infatti questi strumenti, corone
o dischi che siano, sono relativamente più costosi delle tecniche tradizionali: per
ottenere buoni risultati, devono dunque essere impiegati nelle migliori condizioni
di lavori. Fortunatamente le case produttrici assicurano una approfondita
assistenza tecnica, cosa dalla quale non si può prescindere se non si ha una
grande esperienza nel campo.
Oltre all’utilizzazione più intuitiva del taglio del calcestruzzo finalizzato allo
smantellamento di un organismo edilizio, questa tecnologia, si presta benissimo
ad applicazioni locali nell’ambito delle nuove costruzioni. Si può rinunciare, ad
esempio, a lasciare in fase di costruzione, gli appositi spazi per cavedii di
passaggio impianti, bensì forare il calcestruzzo, secondo le proprie necessità, ad
indurimento avvenuto. Questo porterebbe tra l’altro ad evitare tutti quegli errori
umani che possono incorrere al momento della predisposizione delle posizioni
dei cavedii. Quest’applicazione risulta particolarmente adatta quando la
tecnologia costruttiva degli elementi orizzontali ad esempio, preveda solette
piene: è risaputo infatti che nel caso di solai latero-cementizi, allorché si
prevedano fori di una certa dimensione (sicuramente maggiore di un cavedio per
passaggio tubi) i travetti che circondano questo foro devono essere
adeguatamente rinforzati.
Naturalmente non si può prescindere da conseguenze di tipo strutturale quando si
va a forare la sezione di una trave, in qualsiasi direzione lo si faccia: l’effetto più
intuitivamente comprensibile è la riduzione dell’area della sezione resistente. In
casi di piccole perforazioni finalizzate principalmente per il passaggio di
tubazioni idrauliche, il rischio che il foro eseguito porti al collasso locale
dell’elemento è abbastanza ridotto, si consiglia comunque di eseguire verifiche di
resistenza locali con la sezione ridotta nel caso in cui le perforazioni inizino ad
avere una larghezza consistente.
133
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Conseguenze meno immediate possono essere la messa a nudo dei ferri di
armatura: abbiamo detto che questi utensili diamantati tagliano indifferentemente
il calcestruzzo e l’acciaio, dunque si possono verificare spesso situazioni in cui
ferri che prima erano ben ancorati nel calcestruzzo, si trovano dopo un taglio
adiacente, a contatto diretto con l’ambiente esterno, e dunque facilmente
attaccabili da fenomeni corrosivi.
La qualità del lavoro eseguito non necessita alcuna operazione di rifinitura
dell’elemento tagliato.
Si raccomanda il taglio effettuato con la sega circolare per opere relativamente
poco spesse (< 30 cm.) per spessori superiori (o per semplici esecuzioni di fori) si
può utilizzare indifferentemente sia la tecnica dei fori secanti tramite l’utilizzo di
carotatrici, sia di seghe a tuffo.
È possibile un’ulteriore applicazione di questa tecnologia grazie alle macchine
scanalatici, utilizzate per migliorare l’aderenza dei pneumatici in caso di pioggia,
e facilitare lo smistamento delle acque piovane.
Messa in opera
Si è deciso di classificare e descrivere gli utensili diamantati in commercio in base
alla possibile azione che quest’ultimi riescono ad esercitare: la differenza
principale sta perciò tra il taglio e la perforazione. Di conseguenza possiamo
suddividere gli utensili in tre categorie principali: le seghe e le corone ed i fili.
In base al criterio appena esposto, le seghe esercitano essenzialmente una azione
di taglio, le corone invece esplicano principalmente un’azione di perforazione,
mentre infine la tecnologia del filo diamantato può essere utilizzata sia tagliare
che perforare.
Prima di approfondire le caratteristiche e le limitazioni delle tipologie di utensili
da taglio appena classificati, possono essere fatte alcune osservazioni pratiche
valide per tutte le tecnologie
Questi attrezzi tagliano molto bene le armature in acciaio. Questo materiale è
dunque utilizzabile per il calcestruzzo armato.
È indispensabile un apporto d’acqua per raffreddare la lama, smaltire le schegge e
pulire la superficie tagliante dell’attrezzo. Questo apporto d’acqua deve cresce
con l’aumentare della profondità del taglio. Esistono delle tecnologie che
134
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
permettono di raccogliere quest’acqua per evitare che si sparga nel luogo del
lavoro. Si fa notare tuttavia che un abuso d’acqua può essere al contrario,
dannoso, poiché la totalità dei residui viene smaltita rapidamente, e no si può più
contare sull’effetto dell’auto abrasione, si potrebbe dunque arrivare alla
“vetratura” del calcestruzzo.
IL DISCO DIAMANTATO
Per determinare il grado di efficacia nel taglio di un elemento di calcestruzzo,
qualunque utensile si utilizzi, è importante conoscere la natura granulometrica del
calcestruzzo, ed in particolare il tenore di quarzo contenuto: infatti le velocità di
avanzamento nelle operazioni di taglio possono variare da 0,3 a 1,2 m/min. per
una avanzamento di 25 mm. I rendimenti variano, per la maggior parte degli
strumenti in commercio tra i 200 ed 700 cm2 /min., a seconda della durezza del
materiale tagliato.
In pratica, la velocità ottimale di taglio deve tener conto della durezza del
materiale da tagliare. Generalmente si riescono a raggiungere velocità di taglio
più elevate nel caso di corone a diamanti solidificati, rispetto al caso di corone a
diamanti incastonati.
Le velocità generalmente consigliate dai produttori, per ottenere una limitata
usura dei dischi, sono le seguenti:
-
per calcestruzzo non armato………………..40 ≤ vm/s ≤ 55
-
per calcestruzzo armato…………………….35 ≤ vm/s ≤ 45
Riguardo alla possibile profondità del taglio si assume generalmente che questa
possa al massimo essere uguale a circa 2/5 del diametro del disco (esempio: disco
da 50 cm → massima profondità di taglio = 20cm).
La potenza delle macchine da taglio possono variare da 8 a 120 CV., mentre le
velocità di taglio del calcestruzzo armato sono generalmente comprese tra 15 e
100cm/min, a seconda della profondità della passata. L’usura del disco diminuisce
all’aumentare della profondità della passata, la quale, a sua volta porta ad un
aumento della velocità di avanzamento. Certi dischi hanno la capacità di tagliare,
prima di arrivare ad un’usura totale, più di 200 m2 di materiale.
Tipologie di macchinari a disco
Come premesso, esistono diverse macchine diamantate utilizzabili in cantiere, a
seconda della tipologia di lavoro che si intende eseguire.
Esistono macchine per il taglio dei solai (giunti di carreggiate o di pavimenti
industriali) muniti di un solo disco. Certi macchinari invece possono presentare
diversi dischi montati in linea sullo stesso telaio, ma regolati ad altezze differenti,
per realizzare dei tagli di maggiore profondità in una sola passata (taglio di
carreggiate per la realizzazione ad esempio di giunti di dilatazione). È anche
possibile montare su delle macchine speciali un numero di dischi in parallelo sullo
stesso albero per effettuare la scanalatura di impalcati.
135
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Tutte le macchine sono comunque montate su carrelli mobili. Per i lavori di taglio
o di demolizione parziale nel settore delle costruzioni, quali tagli murali, oppure
tagli di solaio, si utilizzano delle seghe montate su dei telai metallici che vengono
preventivamente fissate sull’opera da tagliare. Il disco avanza lungo il telaio al
mezzo d’una vite senza fine attivata manualmente o automaticamente. Il motore è
alimentato da una pompa idraulica a flusso variabile, permettendo così di regolare
facilmente la velocità dell’albero.
Esistono delle particolari seghe idrauliche dette “a tuffo” (di brevetto svizzero)
che possono tagliare elementi fino a 120 cm di spessore (peso di 150 kg, corsa
della lama 8 cm, fissaggio per ventose, rendimento da 1 a 3 m2 /lama, velocità v
= 1 ÷ 4 m/s a seconda della durezza del materiale).
Tabella indicativa massime velocità periferiche ammesse nei dischi diamantati.
La tecnologia del disco diamantato è, come premesso, applicabile su una
moltitudine di macchinari diversi: in questa trattazione verranno descritte i
principali macchinari esistenti che utilizzano questa tecnologia, attraverso una
serie di schede riassuntive delle principali caratteristiche, al fine di permettere
anche una lettura più immediata.
136
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
L
aSEGHE DA PARETE
vParticolari guide metalliche vengono fissate con stop
osu strutture piane o leggermente curve, parallelamente
ralla linea del taglio. Sopra vi scorre un telaio-sega che
iutilizza come utensile tagliante un disco diamantato in
rotazione, il tutto raffreddato ad acqua.
T
i
pConsigliabile:
su strutture in cemento armato;
idove sia richiesto un lavoro di precisione;
cquando la struttura deve rimanere a vista;
i
per tagliare a filo parete, pavimento, soffitto;
:
per separare una struttura da demolire in
-maniera
tradizionale, da una che rimane in sito;
- apertura di vani per: porte, finestre, scale e passaggi per impianti;
- taglio di rampe di scale e pianerottoli per la posa in opera di ascensori;
- giunti su fabbricati, vasche, canali, strutture, etc.;
- abbattimento di barriere architettoniche;
- tagli di precisione, intarsi;
-
Vantaggi:
assenza di vibrazioni dannose e di polvere;
limitata larghezza del taglio;
Limitata necessità di personale;
profondità di taglio raddoppiabile agendo da
entrambi i lati dell’elemento costruttivo;
basso peso del macchinario e buona
profondità di taglio;
possibilità di tagliare praticamente in ogni condizione operativa.
Rumorosità: Medio – alta.
Larghezza di Taglio: Circa 4 - 7 mm ed oltre
Profondità massima di Taglio: attualmente circa 350 / 550 / 700/ 1,115 mm,
secondo la potenza della sega
137
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Attrezzature:
Leggere seghe scorrevoli su guide piatte o “a tubo”, fissate con stop alle strutture;
azionate a mano, semiautomatiche od automatiche sia in avanzamento che in fase
di operatività del disco diamantato.
Motorizzazioni:
- Alcune hanno un motore elettrico che aziona direttamente il disco;
- Le più diffuse hanno centraline idrauliche con motore elettrico od a scoppio,
carrellate.
- In alcune i comandi sono su una consolle separata
Potenze: da 3 a 40 KW circa
Pesi:
- Sega da 20 a 150 Kg circa (in parti separabili);
- Centralina da 70 a 400 Kg ca.;
- Tubi idraulici (da 2 a 7) lunghi 8 -12 m ca.
Utensili: dischi diamantati raffreddati ad acqua, attualmente fino a ca. 2.500 mm
di diametro
Operatività:
La più ampia anche su superfici irregolari, in qualsiasi posizione, a filo parete,
soffitto, pavimento, in senso normale od angolato
Personale Necessario: 1 operatore (specializzato) + 1 operaio (generico)
Limitazioni:
- tagli solo rettilinei;
- contenimento dell'acqua di raffreddamento (ca. 5 -10 l/m);
TRONCATRICI MANUALI
Dai pochi centimetri del flex o "frullino", come viene comunemente definita in
cantiere la troncatrice manuale a disco, si arriva ora ad attrezzature che tagliano
cemento armato fino a 260 millimetri di profondità (con anelli diamantati da 350
mm).
138
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Consigliabile:
- pressoché su qualsiasi materiale utilizzando il disco o l’anello dedicati;
- per il taglio di strutture, quasi in tutte le posizioni;
Lavori Tipici:
- taglio di manufatti edili sia fuori che in opera;
- tracce per impianti;
Vantaggi:
- assenza di vibrazioni dannose;
- maneggevolezza;
- buona precisione;
- non necessitano di personale qualificato;
- trasformabilità di talune troncatrici in tagliagiunti montandole su carrellini con
due ruote gommate;
Rumorosità:
- elevata nei modelli con motore a scoppio;
- media nei modelli idraulici;
- medio - alta negli altri;
Larghezza di taglio: dovuta allo spessore del disco; 2 - 6 mm ca.;
Profondità massima di taglio: attualmente circa 260 mm.;
Attrezzature:
piccole macchine costituite prevalentemente da un motore, e da un utensile
rappresentato da un disco o da un anello a corona circolare. Il tutto viene
sostenuto manualmente dall'operatore. Alcuni modelli hanno una centralina
idraulica separata;
Motorizzazioni: in genere a scoppio; ma anche elettriche, ad aria compressa ed
idrauliche;
Potenze:
da 2 a 7,5 KW circa;
Pesi:
da 8 a 15 Kg ca.- (la eventuale centralina idraulica 100 Kg ca.);
Utensili:
dischi od anelli diamantati raffreddati a secco e ad acqua;
Operatività:
ampia su strutture verticali, orizzontali, inclinate;
Personale Necessario: 1 operaio (generico o qualificato) per i modelli idraulici;
139
Capitolo 2
Potenze:
Pesi:
Le Tecniche della Demolizione
da 2 a 7,5 KW circa
da 8 a 15 Kg ca.- (la eventuale centralina idraulica 100 Kg.ca)
Utensili:
- dischi diamantati a secco e ad acqua;
- anelli diamantati raffreddati ad acqua;
Operatività:
ampia su strutture verticali, orizzontali, inclinate;
Personale Necessario:
- 1 operaio (generico) o 1 operaio (qualificato) per i modelli idraulici
Limitazioni:
- non sempre è possibile tagliare a "filo" delle strutture;
- è disagevole tagliare dal basso verso l'alto;
- l’aerazione dei locali con i modelli a scoppio;
SEGHE TAGLIAPAVIMENTO
Si utilizzano seghe montate su ruote, dette comunemente “tagliagiunti” o
“tagliapavimenti” o “tagliasfalto”, con avanzamento manuale od automatico che,
impiegando dischi diamantati, tagliano asfalto e cemento armato a varie
profondità.
Consigliabile:
- su strade e piazzali;
- in ambienti di ampiezza adeguata;
- su solai anche di elevato spessore;
- su pavimentazioni industriali;
Lavori Tipici:
- taglio di manti stradali per posa di condotte;
- realizzazione di giunti segati;
Vantaggi:
- assenza di vibrazioni dannose;
- assenza di polvere (se il raffreddamento del disco è ad acqua);
- buona precisione;
140
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
- elevata produzione;
- limitata necessità di personale;
Rumorosità: alta.
Larghezza di Taglio: da 3 a 10 mm ca.
Profondità massima:
anche fino a 800 mm ca.
attualmente fino a 400 mm ca., con macchine speciali
Macchine:
montate in genere su 4 ruote con sistemi meccanici o idraulici di sollevamento ed
operatività del disco;
Motorizzazioni: diesel, elettriche, a benzina, idrauliche;
Potenze:
Pesi:
da 3 a 70 KW circa;
da 35 a 2.000 Kg ca.;
Utensili: dischi diamantati con raffreddamento sia ad acqua che a secco;
Operatività:
in piano o con inclinazione limitata;
Personale necessario: 1 operatore (qualificato);
Possibilità particolari:
-
montare più dischi sullo stesso asse o su assi separati per tagli multipli
contemporanei e fresature;
- comandare le macchine con il laser per percorsi rettilinei di notevole
lunghezza;
- comandare le macchine con guide elettroniche su percorsi anche leggermente
curvilinei;
Limitazioni:
- pesi elevati per grossi spessori di taglio;
- contenimento dell'acqua di raffreddamento in interni (ca. 4-10 l/m');
SEGHE A TUFFO
Si eseguono sulla struttura da tagliare dei fori passanti di circa 200 mm di
diametro, attraverso i quali può affondare un grande disco diamantato insieme al
motore che lo mette in rotazione. Il motore scorre liberamente attraverso il foro
mentre il disco taglia la struttura creandosi per fresatura la sua sede.
Entrambi sono montati su uno speciale telaio-sega che consente la loro precisa
penetrazione nella struttura interessata. E’ così possibile realizzare tagli rettilinei,
spezzate, aperture squadrate sul cemento anche armato.
141
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Consigliabile:
- Su solette, pareti e platee di forte spessore, in
cemento anche armato
- Se il manufatto è accessibile da una sola parte
Lavori tipici:
- Realizzazione di pozzetti - plinti – passi d’uomo
- Aperture di vani per aerazione - condizionamento
- Passaggio di impianti su dighe – centrali elettriche - opere d’arte, ecc.
Rumorosità:
Medio – alta;
Profondità massima: Attualmente fino ad alcuni metri;
Diametro massimo del disco diamantato:
acqua;
fino a 1.200 mm ca. raffreddato ad
Attrezzature:
- speciali telai - sega in profilati metallici;
- supportati da carotatrici, fissati con stop alla
struttura da tagliare;
Motorizzazioni:
- centraline idrauliche separate, motorizzate in
genere elettricamente, ma anche a scoppio, con
consolle di comando a distanza;
Attrezzature:
- speciali telai - sega in profilati metallici;
- supportati da carotatrici, fissati con stop alla struttura da tagliare;
Motorizzazioni:
Centraline idrauliche separate, motorizzate in genere elettricamente, ma anche a
scoppio, con consolle di comando a distanza;
Potenze: Attualmente fino a circa 20 - 30 Kw ca.;
Pesi: il telaio sega 50 Kg ca., mentre la centralina idraulica 170 Kg ca.
Operatività:
- ampia sia in orizzontale che in verticale ed in casi
particolari anche a soffitto;
- a filo parete, pavimento, soffitto;
Personale necessario:
- 1 operatore (specializzato) + 1 operaio (generico);
Limitazioni:
- esecuzione di grandi pre-fori mediante carotatrici e corone
diamantate;
- contenimento dell’acqua di raffreddamento (ca. 5-10 I/m’);
142
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
SEGHE A CATENA
La tradizionale motosega per il taglio della legna viene ora impiegata nel settore
edile come strumento di demolizione alternativa.
Utilizzando speciali catene con placchette al carburo di tungsteno al diamante
industriale, su attrezzature manuali o guidate è ora possibile tagliare strutture di
tufo, calcare, pietrame siliceo e cemento armato.
Consigliabile:
-
quelle manuali a secco, solo su tufo e laterizi;
-
quelle manuali diamantate,
debolmente armato;
-
le altre su mattoni e talune anche su calcare, selce e
cemento;
-
su muratura varia di spessore anche molto elevato;
anche
su
cemento
Lavori Tipici:
-
taglio di muri per l'impermeabilizzazione contro l'umidità di risalita per
capillarità;
-
apertura di vani su pareti;
-
incassi per pilastri, travi, cordoli nei consolidamenti;
-
taglio di falde di tetti e laterizi in opera o fuori;
Vantaggi:
- vibrazioni contenute su materiali teneri;
- nelle automatiche, bassa polverosità;
- discreta precisione;
- ridotto spessore del taglio;
Attrezzature:
- le manuali in genere elettriche; ma anche a scoppio, idrauliche o ad aria
compressa;
- quelle automatiche: elettriche o con centralina idraulica separata;
Potenze: da 2 a 20 Kw circa;
Pesi:
le manuali da 5 a 20 Kg;
Utensili:
catene con placchette al carburo per l'uso a secco, ma anche al diamante
raffreddato ad acqua;
Operatività:
in tutte le posizioni;
Personale Necessario:
1 operatore (qualificato);
143
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Necessità Particolari:
-
le catene al diamante devono essere raffreddate ad acqua;
-
nei modelli guidati è spesso necessario fissare le guide piane o a denti alle
pareti;
Limitazioni:
-
polverosità con le seghe manuali (se non diamantate);
-
qualche vibrazione sui materiali duri;
-
le diamantate tagliano con difficoltà i grossi ferri d'armatura in senso
longitudinale;
FILO DIAMANTATO
Il sistema di taglio che utilizza il filo diamantato, è costituito da un cavo d'acciaio
sul quale vengono fissate delle perline diamantate, distanziate tra di loro da una
plastica speciale iniettata ad alta pressione.
La perlina diamantata può avere diversi diametri a seconda del materiale
andrà a lavorare, tipicamente dagli 8 mm. agli 11 mm.; come nel caso degli
utensili diamantati, il diamante può essere inserito nelle perline,
sinterizzazione (per materiali più duri o per durate maggiori), ovvero
elettrodeposizione (per materiali più teneri e per maggiori velocità di taglio);
che
altri
per
per
Inizialmente le perline diamantate venivano fissate su di un cavo d'acciaio per
mezzo di molle pretensionate, distanziali e pressatori (per la sua versatilità e
semplicità di montaggio, questo sistema è usato ancora per il taglio del marmo in
cava). Oggi però, per le normative di sicurezza sul lavoro e per ragioni di
praticità ed efficienza, si preferisce un montaggio mediante iniezione plastica.
I fili diamantati sono disponibili in qualsiasi lunghezza; le tipologie possibili
sono:
-
ad anello chiuso senza giunzioni;
-
sinterizzato plastificato (speciale per tagli di grosse dimensioni);
144
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
elettrolitico plastificato (speciale per tagli di piccola dimensioni);
-
fili per applicazioni speciali.
Caratteristiche:
Il sistema risulta essere molto flessibile, adattabile a diverse tipologie di lavoro:
non ha i limiti di diametro imposti dai dischi, e può tagliare qualsiasi spessore. É
particolarmente indicato in presenza di calcestruzzi molto armati, per strutture di
grandi dimensioni, e difficilmente raggiungibili con altre metodologie.
Può essere affiancato dall’uso di sistemi ad acqua per abbattere le polveri.
Vantaggi:
-
efficiente e capace di alta produzione;
alta versatilità;
non genera rumore, polveri o vibrazioni;
esegue tagli di sezioni notevoli;
esecuzione di tagli anche circolari;
possibilità di operare da una sola parte della
struttura da tagliare e in ambienti di ampiezza
limitata.
Limitazioni:
-
contenimento dell'acqua di raffreddamento del filo (ca. 10 - 20 l/m1 ed oltre);
-
richiesta specializzazione del personale operativo;
-
sensibile assorbimento di corrente elettrica;
-
precisione non elevata (specie in tagli orizzontali di notevole dimensione);
Materiali lavorabili:
- calcestruzzo poco, mediamente o fortemente armato.
-
pietre naturali: inerte granitico o calcareo (granito o marmo)
-
laterizi, mattoni pieni, pomice.
conglomerati e composti.
materiali refrattari.
Campi d'impiego:
- demolizione controllata di strutture in cemento armato;
-
apertura di vani, porte, finestre, muri di contenimento;
-
taglio di elementi costruttivi funzionali quali, travi, pareti,
pilastri, solette, solai, murature;
-
demolizione di ponti, camminamenti stadi sportivi, centrali elettriche, cartiere,
silos, ciminiere, caveau, interni di cinema e teatri, diaframmi, travi, pilastri,
etc.;
145
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
taglio per la demolizione di canali, condotte, dighe, caveaux, crogiuoli,
ciminiere, basamenti e plinti;
-
taglio strutture immerse;
-
realizzazione di giunti su fabbricati;
-
apertura di vani per passaggi ed impiantistica;
Attrezzature necessarie:
- telai sega con puleggia motrice del filo diamantato, orientabile; scorrevoli su
guide poste a terra; con tensionatori del filo ad arganello elettrico od a pistone
idraulico;
-
telai speciali con il filo diamantato contenuto nell'inviluppo della macchina,
da fissare direttamente sulla struttura da tagliare;
-
telai speciali per la esecuzione di tagli circolari anche di grande diametro;
-
sistemi di taglio "a tuffo" quando si deve operare verticalmente su una
struttura senza poter passare il filo al di là di essa;
-
alcune seghe tagliapareti a disco diamantato diventano seghe a filo diamantato
sostituendo il disco con una puleggia cha trascina il filo. Il sistema di
avanzamento della sega a disco diviene in tal caso anche il tensionatore del
filo diamantato;
-
quadro di comando in consolle separata.
146
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Motorizzazioni:
- elettriche con puleggia in presa diretta o idrauliche con centralina azionata da
motori elettrici o diesel;
Potenze:
da 7 a 50 KW ca.
Pesi Delle Macchine:
da 35 a 150 Kg ma anche fino a 1.000 Kg ca.
Utensili:
- filo diamantato in anello chiuso, raffreddato con ampi getti d'acqua
opportunamente orientati per liberare la fessura di taglio dal materiale fresato;
-
per motivi di sicurezza le perline vengono distanziate e bloccate sul filo
d'acciaio trainante, per pressione e con la plastificazione;
-
gli anelli di filo vengono chiusi o con giunti attivati con piccole presse
manuali o con giunti a vite;
LE CORONE
Come per le seghe, i piccoli segmenti di diamanti solidificati sono inseriti sul
supporto metallico, all’estremità di un tubo d’acciaio; questi microscopici cristalli
di diamante industriale, affiorano man mano che si consuma la lega metallica.
Esistono anche dei bordi diamantati continui inseriti sulla corona, od incollati
direttamente sul tubo. Si prevedono dei piccoli alveoli per lo smaltimento
dell’acqua e dei sedimenti.
A seconda del produttore, i diametri possono andare 12 ad 800 mm, ma la
maggior parte sono compresi tra 20 e 400 mm., mediamente si arriva a forare ad
una profondità di 3 m., ma in casi particolari si possono raggiungere persino i 6
m.
La velocità di rotazione è solitamente scelta in modo che la velocità periferica
della corona sia compresa tra 1,5 e 4 m/s (1,5 per il calcestruzzo siliceo molto
duro e fortemente armato, 4,0 per calcestruzzo calcareo).
Le macchine devono essere perfettamente stabili, per evitare qualsiasi vibrazione.
Queste possono essere fissate alle strutture con appositi stops, tramite ventose a
vuoto, oppure attraverso diversi tipi di assemblaggio meccanico.
La pressione ottimale da esercitare è di circa 80 kg/cm2 .
147
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Il motore che genera la rotazione può essere di tipo idraulico, elettrico,
pneumatico od a benzina, mentre la potenza del motore è di circa qualche CV (0,5
÷ 5 CV).
Naturalmente l’usura delle corone, che può essere più o meno rapida, dipenda
dalla durezza del calcestruzzo perforato:
-
calcestruzzo molto siliceo ………………………5 ÷ 6 m
-
calcestruzzo calcareo ……………………….…20 ÷ 25m
La maggior parte delle carotatrici in commercio permettono di eseguire fori (con
profondità non eccessiva) in tutte le direzioni: quindi fori verticali, orizzontali,
obliqui.
Naturalmente l’usura delle corone,
che può essere più o meno rapida,
dipenda
dalla
durezza
del
calcestruzzo perforato:
calcestruzzo molto siliceo
……………………5 ÷ 6 m;
calcestruzzo
calcareo
…………………20 ÷ 25m;
La maggior parte delle carotatrici
in commercio permettono di eseguire fori(con profondità non eccessiva) in tutte le
direzioni: quindi fori verticali, orizzontali, obliqui.
FORI CONSECUTIVI
La realizzazione di fori passanti,
sovrapposti fra loro, lungo una linea,
un taglio che separerà nettamente
interessata (i bordi del taglio
dentellati).
leggermente
determinerà
la struttura
risulteranno
Consigliabile:
- su strutture in cemento anche molto armato;
- in ambienti di dimensioni ridotte;
- dove si debbano escludere percussioni ed
eccessivo rumore;
- quando si dispone di poca energia elettrica;
- dove il manufatto è accessibile solo da una parte;
- se indisponibili macchine di taglio più veloci.
148
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Lavori Tipici:
- apertura di vani per: porte, finestre,
scale, passaggi di tubazioni per
impianti, etc;
- deumidificazione con il metodo
Massari;
- taglio di elementi strutturali;
- demolizione di caveau;
- incassi per pulsantiere, solai sospesi,
inghisaggi
Vantaggi:
- assenza di vibrazioni dannose e di polvere
- operatività anche in posizioni difficili
- perforazioni anche di forte spessore
- buona precisione
Consigli pratici per l’utilizzo e la sicurezza
I procedimenti di taglio sinora illustrati non presentano dei rischi particolari, non
di meno si riportano in seguito alcuni consigli pratici, fondamentali
nell’utilizzazione di questi strumenti.
In primo luogo verificare sempre l’integrità del disco prima di procedere al suo
montaggio, se esiste un minimo sospetto che questo sia danneggiato o abbia
subito qualche urto non usarlo e contattare il costruttore.
Si raccomanda di non usare dischi da taglio per eseguire invece spianatura,
molature, sbavature o comunque operazioni diverse dal taglio.
Il disco deve essere montato con il senso di rotazione (freccia) concorde a quello
della macchina.
Verificare sempre che l’albero della macchina non sia danneggiato o usurato e gli
accoppiamenti siano esenti da giochi di alcun genere.
Tagliando per lunghi periodi materiali molto duri e poco abrasivi, può talvolta
accadere che il disco perda la sua taglienza; si consiglia pertanto di ravvivarla
eseguendo qualche taglio in un materiale tenero e molto abrasivo o con apposito
blocchetto fornito su richiesta dal produttore.
Assicurarsi che le flange di trascinamento tra cui viene bloccato il disco siano di
uguale diametro, perfettamente piane, pulite e successivamente serrate secondo le
indicazioni del fabbricante della macchina. Per ciò che riguarda il materiale
elettrico, le alimentazioni sono solitamente assicurate, e corrono su basse tensioni
(24 V, ossia 220 V mono) con protezioni di interruttori differenziali.
Si riporta in seguito una tabella riassuntiva relativa ai principali problemi e le
loro possibili cause.
149
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Commenti
Nella tabella che segue sono messe a confronto le caratteristiche (classificate
tipologicamente) del due sistema di demolizione basato sul taglio del
calcestruzzo con utensili diamantati, e quello generalmente più convenzionale (ad
esempio attraverso l’utilizzo del martello pneumatico).
150
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
PROCEDIMENTI TERMICI DI DEMOLIZIONE:
PERFORAZIONE TERMICA CON LA LANCIA AD OSSIGENO
La perforazione termica non è un procedimento nuovo. È stato infatti utilizzato
più di sessanta anni fa nelle acciaierie per stappare i fori di colata del metallo o
delle scorie di fusione. Ma è stato soprattutto alla fine della seconda guerra
mondiale che questa tecnica è stata utilizzata per tagliare roccia e calcestruzzo.
Principi di funzionamento
La combustione dell’acciaio causata dall’ossigeno, è un processo fortemente
endotermico, e produce degli ossidi di ferro liquidi.
Questo fatto gioca un ruolo importantissimo, portando alla utilissima
conseguenza di abbassare la temperatura di fusione del calcestruzzo. In seguito a
questa fusione si formano di conseguenza delle scorie liquide (servono 1650 cal.
per fondere 1 cm3 di calcestruzzo).
Per effettuare la perforazione si utilizza una lancia termica o anche detta “lancia
ad ossigeno”. Questa lancia è costituita da un tubo d’acciaio di 13, 17 o 21 mm.
di diametro esterno, che contiene una fascia interna di fili di lega a base di ferro,
stretti l’uno contro l’altro (φ = 1 a 2 mm.).
Dopo aver leggermente aperto l’ingresso dell’ossigeno, l’estremità della lancia
viene accesa con l’aiuto della fiamma ossidrica tradizionale (od anche
semplicemente con una sigaretta). Quando la lancia è pronta a funzionare, la si
applica sul materiale da forare e si aumenta il flusso dell’ossigeno.
Durante la propria combustione, la lancia termica esercita una tripla azione che
causa la foratura:
- azione termica: la reazione esotermica di combustione, dovuta alla formazione
di ossido di ferro, permette la fluidificazione delle scorie prodotte (la
temperatura si aggira su un ordine di circa 2000 ÷ 2500 °C).
- azione chimica: gli elementi costitutivi del materiale da tagliare si combinano
con l’ossido di ferro prodotto dalla lancia. L’ossido di ferro ha il ruolo
dell’elemento fondente, vale a dire che esso abbassa il punto di fusione del
calcestruzzo a 1500 ÷ 1700 °C, quando solitamente si aggira su una
temperatura di circa 3000 °C; questa temperatura è molto influenzata dal
tenore di calce nel calcestruzzo, dunque dal suo dosaggio in cemento.
- azione cinetica: il getto d’ossigeno sotto pressione facilita l’espulsione delle
scorie al di fuori del foro che si sta eseguendo.
Messa in opera
La perforazione termica necessita di pochi e poco ingombranti elementi, qui di
seguito elencati:
a)
Alimentazione d’ossigeno:
151
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Questa viene realizzata con delle bombole sotto pressione, ognuna delle quali può
contenere 7 m3 di gas compresso a 150/200 bar. Solitamente le bombole vengono
tenute insieme all’interno di telai, che ne possono contenere da 9 a 28
(rispettivamente 63 m3 – 800 kg e 196 – 2500 kg).
In casi di grandi operazioni di demolizioni, dove il consumo è superiore ai 5000
m3 , possono essere utilizzati degli evaporatori, fissi o mobili, che contengono
ossigeno liquido.
La regolazione della pressione di lavoro dell’ossigeno, può essere manovrata
attraverso un riduttore di pressione manuale, che a seconda dei casi, può portare la
pressione dei gas da 7 ad 11 bar. Questa regolazione permette di evitare che la
lancia si bruci prima dei fili (pressione troppo forte) od al contrario, che i fili si
brucino prima della lancia (pressione troppo debole).
b)
Il porta lancia e le lance:
Una delle estremità delle lance è unita al porta-lance (con o senza protezione
incorporata), di cui il rubinetto di regolazione è collegato al riduttore della
bombola d’ossigeno con una bombola flessibile. Le lance, che si consumano a
seconda dell’avanzamento della perforazione, sono costituite da un tubo in acciaio
nel quale sono introdotti dei fili in lega a base di ferro.
Quando queste si sono accorciate troppo, si arresta l’arrivo dell’ossigeno, si
smonta la parte restante (la cosiddetta “cicche”) e al si sostituisce con una nuova
lancia.
A seconda dei modelli è possibile riutilizzare “le cicche” montandole sulla testata
delle nuova lance (per filettatura od attraverso manicotti). Bisogna sottolineare
che la fusione del calcestruzzo è molto localizzata, ed la perforazione prosegue
fintantoché è garantito il consumo della lancia, ed il contatto tra la sua punta ed il
fondo del foro.
Le lance possono avere le seguenti caratteristiche:
φ esterno
(mm)
17
21
Peso
(kg/m)
1,4
2,4
Lunghezza
(m)
3/4
Utilizzazione
Questo procedimento si adatta particolarmente per lavori di demolizione parziale
controllata. L’operazione di demolizione può essere eseguita in vario modo, in
seguito si descriveranno quelli più utilizzati:
Serie di fori adiacenti
Il taglio di una parete di calcestruzzo può essere attuato eseguendo una serie di
fori adiacenti tra loro e tangenti sulla circonferenza; questo principio è valido
anche per il taglio del calcestruzzo eseguito attraverso carotatrici diamantate. Il
152
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
diametro dei suddetti fori è di circa 4 ÷ 5 cm. Se nel corso della perforazione, si
incontrano dei ferri di armatura, questi vengono bruciati, come del resto l’acciaio
della lancia, cosa che facilita ed accelera l’avanzamento del lavoro.
Per assicurare un buon smaltimento delle scorie, si deve spesso ruotare la lancia in
modo da eseguire una penetrazione obliqua. Qualora quest’ultimi risultassero
troppo viscosi, si lasciano raffreddare per un po’ allontanando la lancia. Quei
pochi punti che dovessero restare ancora integri dopo l’azione della lancia
possono essere completati agevolmente con un martello pneumatico.
Rapporto tempo- materiale consumati per la perforazione del calcestruzzo
Si può riassumere il tutto nella seguente tabella:
Profondità del foro
[cm]
25
60
Consumo/foro
Ossigeno [m3 ]
0,6 ÷0,8
1,5 ÷2,5
Tempi/foro
Lancia φ 17 mm [min]
[m]
1,3 ÷1,6
1’20 ÷1’40
3 ÷5
3’ ÷5’
Questo valori sono relativi a lavori di tipo ordinario. In caso di perforazione
verticale, i valori sono leggermente più elevati (+10 ÷ 30%) e vanno crescendo in
funzione dello spessore dell’elemento da forare.
Delle perforazioni verticali sono state realizzate in Gran Bretagna su dei blocchi
di calcestruzzo di 7 m. di spessore, ma a partire dalla profondità di perforazione di
2,5 m., è stato necessario espellere le scorie con un getto d’aria sotto pressione. Al
contrario, per delle pareti di minore spessore, il consumo può essere ridotto dal 20
al 40%. In generale, questo consumo dipende quindi da:
- le condizioni climatiche;
- l’esperienza e l’abilità dell’operatore;
- dal tipo di materiale da tagliare (per il calcestruzzo, dal suo tenore d’acqua,
dalla granulometria impiegata e dalla quantità di armatura);
- dalla profondità di perforazione;
Principali applicazioni
Le applicazioni più convenienti per questo tipo di taglio sono:
- lo smantellamento totale di un’opera;
- la demolizione di opera provvisorie;
- la demolizione totale o parziale di opere che risultino già danneggiate;
- la modificazione di spazi.
153
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Si possono realizzare dei fori quasi ovunque,
tanto all’aria aperta quanto
sott’acqua, a condizione di disporre di un o spazio di almeno 1 ÷ 1,5 m.
Questa tecnica si presta molto bene ad essere affiancata da altre tecniche quali ad
esempio quella dei divaricatori meccanici o idraulici. In certi casi è possibile
sostituire i fili in lega di ferro all’interno della lancia con della polvere
d’alluminio. L’emissione di calore in questo caso aumenta sensibilmente. In
effetti un grammo di polvere di ferro (FeO) produce 1720 cal., mentre 1 grammo
di alluminio ne produce 7200 cal. (4,2 volte di più).
Sicurezza
La formazione del personale può essere molto sbrigativa, grazie alla semplicità
della procedura. Ma se si vogliono ottenere degli alti rendimenti uniti con il
rispetto delle norme di sicurezza è preferibile utilizzare un personale che abbia un
certo tipo di esperienza in questo tipo di lavori.
Come per tutti i procedimenti di demolizione, è necessario tenere conto delle
precauzioni abituali per assicurare la sicurezza dei locali adiacenti e quella degli
operatori. In particolare non si finirà di ripetere che bisogna sempre verificare la
stabilità generale dell’opera durante la lavorazione. Quando si deve trasformare lo
spazi di locali esistenti attraverso l’uso della lancia termica, si può proteggere il
suolo dalle scorie, spargendo su di esso della sabbia, evitando non solo il contatto
tra solaio e scorie fuse, ma anche facilitando le operazioni di pulizia.
Le scorie che restano attaccata all’elemento che si perfora sono facilmente
staccabili anche una volta raffreddate.
Per ciò che riguarda il personale, si devono prendere precauzioni particolari dalla
proiezione di scintille (in particolare di scorie roventi) e dalla loro colata.
Questo è il motivo per cui si utilizza od uno schermo metallico verticale
appoggiato al suolo, oppure di uno scudo circolare sulla porta-lancia, per
proteggere le mani dell’operatore.
Quest’ultimo sarà, d’altra parte, fornito di particolari abiti di protezione.
Il problema dei fumi emessi diventa importante nel caso di lavori in ambienti
poco ventilati. I fumi sono prodotti dall’acqua contenuta nel calcestruzzo, la quale
viene liberata nel momento della fusione. Il vapore acqueo si mischia con le
polveri scure dell’ossido ferrico. Questi fumi dovrebbero essere evacuati da
appositi impianti di ventilazione.
Situazione particolarmente difficili si verificano in quei casi in cui si devono
eseguire lavori in spazi in cui l’attività non può subire interruzioni (ospedali, ad
esempio).
Commenti
Riassumendo, la perforazione termica presenta i seguenti vantaggi e limiti:
154
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Vantaggi:
- permette il taglio di blocchi calcestruzzo poco o molto armato (anche
precompresso);
- risulta abbastanza silenzioso;
- risulta assai rapido;
- totale assenza di vibrazioni dannose per gli il resto della struttura;
- utilizzabile in centri o locali abitati;
- mano d’opera istruibile rapidamente;
- non necessita di grandi attrezzature per poter essere messo in opera;
- possibilità d’impiego anche sottomarino;
Limiti:
- carente di precisione e nettezza del taglio;
- necessita di sgobbare il pezzo di calcestruzzo dalle scorie;
- produzione di grosse quantità di fumo;
- possibile proiezione di materiale rovente (rischio di incendio);
- necessita di particolari protezione dell’operatore;
- costo abbastanza elevato.
IL CANNELLO A POLVERE
Procedimento abbastanza recente, il cannello a polvere viene impiegato per
tagliare setti in calcestruzzo, ed allo stesso tempo le eventuali armature.
Principi di funzionamento
Il principio di funzionamento si pone a metà strada tra il taglio classico
dell’acciaio con la fiamma ossidrica e quello di taglio del calcestruzzo eseguito
attraverso la lancia termica (poc'anzi descritta). Si basa sulla combustione di un
composto di polvere di ferro e di alluminio, attraverso una fiamma ossiacetilica.
Il risultato di questo processo di combustione è la produzione di grandi quantità di
calore, di ossido ferrico e di alluminio liquido. Questi ultimi, a contatto con il
calcestruzzo, esplicano il ruolo di elemento fondente,
abbassandone la
temperatura di fusione a 1700 °C. Avviene dunque la formazione di scorie
liquide.
La fiamma viene invece alimentata dalla combustione di un miscela di ossigeno
ed acetilene, che fuoriescono da una corona di piccoli fori alla base del cannello.
Questa fiamma porta la polvere ad una temperatura tale che permette l’inizio di
questa reazione di combustione con l’ossigeno. Quest’ultimo è espulso da un foro
centrale del condotto, formando così il dardo del cannello.
155
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
La polvere (formata da granuli e non scaglie) è un combinazione composta
generalmente di 85% di polvere di ferro ed un 15% di polvere d’alluminio. Per
tagliare il calcestruzzo, è appunto necessaria una certa presenza di polvere
d’alluminio, poiché mantiene attiva, ed accelera la combustione della polvere di
ferro. La polvere nella giusta proporzione viene dosata da un distributore, che la
spinge con dell’aria compressa da un piccolo condotto parallelo a quello
principale. Al fine di evitare un intasamento è molto importante che la polvere e
l’aria compressa restino secche e libere di qualsiasi traccia d’olio, che
naturalmente porterebbe alla formazione di un composto fangoso.
Messa in opera
L’apparecchiatura viene alimentata da:
- polvere, da un distributore riservato;
- ossigeno, tenuto all’interno di bombole;
- gas combustibile (acetilene), tenuto all’interno di bombole;
- aria compressa, espulso da bombole o da un compressore.
Tutta l’apparecchiatura può essere montata su un telaio mobile. Il telaio principale
che sorregge il cannello può scorrere su delle rotaie, e può essere movimentato
attraverso un telecomando, allontanando in questo modo, l’operatore dal luogo
dell’operazione e migliorando le condizioni di sicurezza. La larghezza dei tagli
eseguibili con questa tecnologia si aggira sull’ordine di circa 30 ÷ 40 mm.
Eccetto per una zona di circa 20 mm. ai lati del taglio eseguito, il calcestruzzo non
subisce fenomeni di degrado. Questo fatto è dovuto alla velocità di taglio (1 ÷ 8
cm/min). A seconda degli spessori da tagliare, il rendimento può oscillare tra 0,2 e
0,6 m2/h (il rendimento si calcola moltiplicando la lunghezza per lo spessore di
taglio effettuato in un’ora).
Utilizzazioni
Il cannello a polvere permette di realizzare dei tagli nel calcestruzzo armato, ma
non permette di effettuare un foro: lo strumento non riesce a penetrare nel
calcestruzzo, al contrario della lancia ad ossigeno. Infatti, per iniziare ad eseguire
un taglio è necessario avere a disposizione un bordo libero oppure eseguire un
foro, che sarà il punto di partenza della linea di taglio, con un martello
pneumatico ad esempio. Inoltre è necessario disporre anche di uno spazio libero
posteriormente a dove agisce il cannello, in modo tale che la fiamma possa
fuoriuscire, ed i detriti colare via. Purtroppo, questo rappresenta un limite
nell’applicabilità di questa tecnologia per elementi quali fondazioni o elementi
comunque molto tozzi.
A seconda della lunghezza del dardo e della fiamma di cui si può disporre, si
possono tagliare spessori sino a 50 cm.
Segue una tabella relativa ai consumi per spessori di calcestruzzo dai 250 ai 400
mm.
156
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Sicurezza
Le condizioni di sicurezza sono le stesse da rispettare nel caso di uso della lancia
termica (descritte in precedenza). I fumi, generati a causa della evaporazione della
componente d’acqua presente all’interno del calcestruzzo, devono essere evacuati
da adeguati dispositivi di ventilazione forzata, nel caso si lavori in ambienti con
una scarsa ventilazione naturale.
Commenti
Vantaggi:
- poco rumoroso
- possibile utilizzazione in luoghi urbani (non isolati);
- permette di tagliare le armature contemporaneamente al taglio del calcestruzzo
- elevata velocità di taglio;
- il taglio è ottenuto direttamente, e non attraverso fori adiacenti tangenti;
- assenza di vibrazioni;
Inconvenienti:
- forte produzione di fumi;
- sicurezza del personale da studiare nel dettaglio;
- frequenti problemi nella distribuzione della polvere nell’impianto;
- costo abbastanza elevato;
- necessita protezione nei confronti delle scorie prodotte;
- necessita protezione nei confronti del materiale proiettato;
IL CANNELLO AL PLASMA
Si è iniziato a sperimentare ed a mettere a punto questa nuova tecnica di taglio del
calcestruzzo, agli inizi degli anni ottanta, in seguito alla sua applicazione nel
taglio delle strutture metalliche. Il cannello al plasma ad arco permetterebbe di
tagliare il calcestruzzo ad altissime temperature, cosa che porterebbe al sensibile
aumento della velocità di esecuzione.
157
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Principi di funzionamento
Un plasma è un mezzo gassoso conduttore elettrico, composto da particelle di ioni
e di elettroni incolonnati per formare un arco elettrico.
Nelle saldature si distinguono si usa distinguere due tipi di plasma ad arco: l’arco
trasferito e l’arco non trasferito.
Per arco trasferito si intende il caso in cui la corrente venga trasferita all’elemento
con cui sta a contatto: questo arco è stabilito tra l’elettrodo e l’elemento.
L’arco non trasferito, si stabilisce tra l’elettrodotto in tungsteno ed il condotto in
rame, e viene spinto verso l’elemento.
Indipendentemente dalle tipologie sopra descritte, l’arco porta alla ionizzazione di
un gas “plasmagenico” (conduttore di elettricità) spinto attraverso il condotto
attorno all’elettrodo. Questo gas può essere ad esempio costituito da argon, elio,
azoto ovvero un composto di uno dei suddetti gas con dell’idrogeno.
Le temperature rilevate al centro della colonna di plasma dell’arco, in normali
condizioni, si aggirano tra gli 8000 ed 25000 °C.
Definite le singole tecnologie possiamo ora scendere nei dettagli di ognuna.
a) Il cannello ad arco trasferito è utilizzato principalmente per tagliare degli
elementi metallici o comunque sia conduttori. Il principio di funzionamento è
il seguente: viene creata una forte differenza di potenziale all’interno
dell’elettrodo interno (catodo) ed il condotto che costituisce l’anodo. Un gas
viene convogliato all’interno del condotto. Di conseguenza, si forma un
plasma nell’arco tra il catodo ed il corpo del condotto. Se il gas è convogliato
sotto pressione, il plasma fuoriesce leggermente dall’orifizio del cannello.
Purtroppo la maggior parte della produzione del calore resta concentrata in
corrispondenza dell’orifizio del cannello: per evitare che questo si riscaldi
troppo, l’ugello è raffreddato da un flusso d’acqua che viene fatto scorrere
all’interno della superficie laterale dello stesso, in un canale posto in
corrispondenza dell’orifizio d’uscita del plasma.
D’altra parte, per trasportare il calore sul pezzo da tagliare, l’arco si sposta,
trasferendo la funzione di anodo dal condotto al pezzo stesso da tagliare.
b) Il cannello ad arco non trasferito viene invece utilizzato quando i pezzi da
tagliare non sono dei conduttori elettrici. Il principio di funzionamento
consiste nello spingere il plasma verso il calcestruzzo, con l’aiuto di un getto
di gas sotto forte pressione. I risultati ottenibili sono comunque accettabili, ma
il consumo di energia è enorme, benché il calcestruzzo sia meno conduttore di
calore rispetto al metallo. Inoltre l’argon utilizzato è un gas molto costoso; si è
pensato di sostituirlo dunque, con l’aria ad esempio, ma in questo caso di
avrebbero forti problemi di ossidazione del condotto.
Lavorando su questa tecnologia, i ricercatori hanno messo a punto una torcia al
plasma con gli elettrodi consumabili. La temperatura del plasma si aggira sui
10.000 °C.
158
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Tutta l’apparecchiatura consiste in un cannello munito di due elettrodi
concentrici:
- l’elettrodo interno (catodo) non è altro che una lancia ad ossigeno modificata;
- l’elettrodo esterno (anodo) è un tubo cavo in acciaio;
- lo spazio tra questi due elettrodi è percorso da un gas che crea il plasma.
I due elettrodi bruciano regolarmente e contemporaneamente, facilitando la
fusione del calcestruzzo, abbassandone il punto di fusione e facendo diminuire la
viscosità delle scorie prodotte.
Le prove effettuale con tale apparecchiatura sembrano assai promettenti. La
velocità di avanzamento di circa 10 cm al metro/min sono possibili a seconda
delle caratteristiche del materiale da tagliare. Nel caso del calcestruzzo armato, i
ferri di armatura servono da combustibile, come nel caso della lancia ad ossigeno
classica. Le scorie fuse vengo tutte velocemente espulse dal foro, grazie al flusso
gassoso. Con questo procedimento, il cannello può penetrare all’interno del
materiale da tagliare, cosa che è difficilmente ottenibile nel caso del cannello al
plasma tradizionale.
Messa in opera
In commercio è ancora difficilmente riscontrabile un cannello al plasma per il
taglio del calcestruzzo.
Tuttavia, in seguito alle diverse ricerche che sono state condotte recentemente,
sembra che si stia vertendo verso la creazione di un’apparecchiatura leggera,
trasportabile e di facile utilizzazione.
La semplicità di utilizzazione dovrà essere paragonabile a quella della lancia ad
ossigeno, con un efficacia e rendimento tuttavia nettamente superiore.
Campi d’applicazione
Le temperature ottenute grazie a questa tecnologia (circa 10000 °C) permettono di
fondere molto rapidamente tutti i materiali da costruzione finora conosciuti. Il
problema resta che la quantità di calore dissipata per il gas di spinta è notevole, e
solo una parte relativamente piccola di questa viene trasferita al pezzo da tagliare.
I rendimenti energetici sono tuttora molto deboli. Inoltre per poter utilizzare
questa tecnica in cantiere si dovrebbe utilizzare una potenza di circa 50 ÷ 100 kW,
abbastanza difficile da ottenere in cantiere.
Una applicazione abbastanza particolare consiste nella striatura (rigatura) di
strade o piste in calcestruzzo. Questo procedimento innovativo è stato progettato
nell’ambito di una ricerca promossa dall’ente francese A.N.V.A.R. (Agenzia
Nazionale per la Valorizzazione della Ricerca) ed è finalizzata ad ottenere, nei
prossimi anni, un procedimento di rigatura di una superficie in calcestruzzo per
migliorare l’aderenza dei pneumatici; obbiettivo principale è ottenere un costo
minore rispetto a quello relativo agli utensili diamantati, in modo da permettere
l’industrializzazione della produzione dell’apparecchiatura.
Un dispositivo permettere di creare, da una parte all’altra del flusso del plasma, e
parallelamente alla direzione del solco da tracciare, due barriere d’acqua, che
159
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
delimitano il campo d’azione del plasma. Si possono tracciare dei solchi distanti
circa 1 cm. senza pregiudicare la resistenza meccanica della zona di calcestruzzo
tra i due solchi consecutivi, interessata dall’operazione.
Le proiezione di scorie sono ridotte grazie alla presenza dei getti d’acqua.
Il generatore del plasma è del tipo ad arco soffiato, alimentato a corrente continua
da un gruppo generatore di 20 kW di potenza.
Il gas “plasmagenico” utilizzato è l’azoto, per motivi sia tecnici (intenso flusso di
calore) che economici (costi ridotti).
Sicurezza
Come per la lancia ad ossigeno, è comunque necessario che il personale si
protegga nei confronti della proiezione di scorie. Devono essere prese delle
ulteriori precauzioni nei confronti del rischio elettrico dovuto alla notevole
intensità della corrente utilizzata.
Commenti
Riassumendo, la perforazione termica ottenuta col cannello al plasma presenta i
seguenti vantaggi e limiti:
Vantaggi:
- risulta più efficace e rapida degli attuali procedimenti termici di demolizione;
- utilizzabile per perforazioni sia verticali che orizzontali;
- utilizzabile in caso di calcestruzzo armato;
Limiti:
- elevato livello di inquinamento acustico;
- produzione di grosse quantità di fumo;
- proiezione di materiale rovente (rischio di incendio);
- necessita di disporre di un potente approvvigionamento di energia elettrica.
IL LASER
Come è risaputo, il laser (Light Amplification by Stimulated Emission of
Radiation), non è altro che un fascio di luce concentrato, monocromatico e di fase
costante.
Nel caso di una fonte di radiazione tradizionale (sole, fiamma, lampadina), la
radiazione emessa è multidirezionale, mentre nel laser le radiazioni emesse si
presentano sotto forma di un fascio di una piccola apertura angolare (circa due
milliradianti).
L’agitazione termica degli atomi nel caso di una fonte classica, provoca una
emissione di onde elettromagnetiche di frequenze differenti e sfasate tra loro. Nel
caso di un fascio laser, c’è una coerenza temporale (cioè in un certo istante, le
vibrazioni hanno tutte la stessa fase), ed una coerenza spaziale (cioè il fascio
160
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
prodotto presenta una grande lunghezza d’onda). Ne risulta un’onda unica che
supporta una grande quantità di energia, cosiddetta fotonica. Così un piccolo
fascio laser di 1 milliwatt riesce a fornire un’illuminazione equivalente a quella di
una fonte pluridirezionale da 16kW.
Tenuto conto dell’elevata concentrazione angolare del fascio, è possibile
ottenere, adottando degli idonei dispositivi ottici, una concentrazione superficiale
di energia emessa su una piccolissima area: ad esempio un piccolo laser da 1
milliwatt focalizzato su una zona di 1 µm di diametro, fornirà una densità di
potenza di 100 kW/cm2 . A titolo comparativo, il sole fornisce una concentrazione
superficiale di 0,1 W/cm2 .
Questa proprietà del laser risulta molto interessante per lavori finalizzati al taglio
di materiali.
Si sottolineano inoltre altre proprietà interessanti, quali la concentrazione
spettrale (dovuta al monocromatismo del laser), la concentrazione temporale
(utilizzata dai laser impulsivi). In quest’ultimo caso, l’energia conservata dal
materiale attivo per il “pompaggio” (eccitazione), può essere liberata (fase di
emissione) in un tempo molto breve, qualche nanosecondo, fornendo così
un’elevata potenza. Si deduce quindi che ad energia costante, la potenza è
inversamente proporzionale alla durata dell’impulso.
Le applicazioni industriali in questo settore sono in piena fioritura, basti pensare
alla microelettronica ed alla nanotecnologia.
Ciononostante, la caratteristica che interessa maggiormente in questa sede, è la
capacità che ha il laser di trasformare l’energia luminosa in calore.
Le fasi di un processo di taglio eseguito col laser sono le seguenti: allorché un
fascio incontra la superficie dell’elemento da tagliare, parte dell’energia viene
assorbita, facendo aumentare velocemente la temperatura della zona d’impatto; si
possono dunque avere fusione o shock termico, ed in seguito, una separazione del
materiale in due parti. Essendo il calcestruzzo un cattivo conduttore di calore, le
perdite di energia sono dunque ridotte ed il taglio può essere effettuato più
facilmente rispetto al caso dei metalli ad esempio. Poiché, come è stato finora
spiegato, il taglio col laser è un processo termico, le prestazione ottenibili sono
indipendenti dalla durezza del materiale, ad esempio, e da tutte le altre
caratteristiche fisico-meccaniche non inerenti con proprietà di conducibilità
termica.
Negli Stati Uniti, utilizzando un laser di 1 kW di potenza e dei tempi di
esposizione di circa 30 secondi, si è riuscito a rompere dei piccoli pezzetti di
calcestruzzo; è comprensibile come in questi casi, lo shock termico giochi un
ruolo importante.
L’obiettivo dei prossimi anni è quello di ottenere una potenza del laser tale da
portare alla fusione della zona d’impatto in tempi sufficientemente brevi.
Nella seguente tabella sono descritte le caratteristiche principali delle varie
tipologie di laser (ogni laser è particolarmente adatto ad una diversa tipologia di
lavoro).
161
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Tra i laser ad emissione continua, i più utilizzati sono quelli basati sull’anidride
carbonica. In questo tipo di laser, la componente attiva è costituita da una
colonna gassosa (combinazione di CO2 He, N2) eccitata da una scarica elettrica.
La potenza finale è proporzionale alla lunghezza del tubo di scarica.
Queste apparecchiature possono essere affiancate da un impianto che espelle un
gas sulla zona colpita dal laser, al fine di proteggere la lente (da cui nasce il
fascio) da eventuali proiezioni di scorie (dovute ad esplosioni sulla superficie del
calcestruzzo).
I laser a base di CO2 sono quelli sui quali attualmente si stanno concentrando la
maggior parte delle ricerche, al fine di ottenere una futura utilizzazione in
cantiere: per ottenere ciò è necessario in primo luogo aumentare la potenza di
questo tipo di laser, e renderlo di facile utilizzazione, affidabile e sicuro.
Bisogna inoltre sottolineare alcun aspetti molto positivi di questa tecnologia al
laser, ossia la totale silenziosità, assenza di vibrazioni, fumi, polveri o gas tossici.
162
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
TRATTAMENTO SUPERFICIALE DEGLI ELEMENTI
COSTRUTTIVI
I procedimenti e le tecniche che prevedono il trattamento superficiale degli
elementi costruttivi in calcestruzzo armato sono solitamente utilizzati in caso di
riscontro di fenomeni di forte degrado del calcestruzzo.
Si è ritunuto quindi necessario ed utile anteporre alla descrizione delle tecniche,
una sintesi delle principali problematiche di durabilità del calcestruzzo, fornendo
un quadro delle possisbili fenomenologie, delle relaitve cause e delle modalità di
intervento.
IL DEGRADO DEL CALCESTRUZZO
Introduzione generale
Considerato ai suoi albori il materiale del futuro, il calcestruzzo in questo secolo
ho avuto una forte diffusione nelle costruzioni, imponendosi come prodotto
destinato o durare nel tempo. Purtroppo, oggi constatiamo come le premesse
fossero errate e come il fenomeno del degrado delle strutture in cemento armato
affligga le costruzioni in misura sempre maggiore. Sono nati così molti filoni di
studio che interessano il concetto di “durabilità” del calcestruzzo, e
parallelamente si è sviluppato tutta una serie di tecniche di intervento per il
ripristino e la protezione delle strutture. Maggiore specializzazione tecnica, e
qualità dei prodotti, sono le condizioni che oggi guidano i progettisti verso
recuperi che presentino un elevato grado di affidabilità e durata.
Lo scopo di questa breve relazione è quello di fornire un quadro delle tematiche
sul degrado delle strutture in calcestruzzo, analizzandone sia le possibili cause
scatenanti, che le tipologie, e descrivendo in seguito le principali procedure per la
sua individuazione e la diagnosi. Come si può dedurre da una breve revisione
della corposa letteratura specifica, l’argomento in questione è estremamente vasto
e multisfaccettato: necessariamente perciò, questa sua trattazione non potrà essere
esaustiva, bensì puramente illustrativa.
La necessità stessa di questo paragrafo nasce dall’esigenza di fornire un
background culturale per potere affrontare in maniera più cosciente i vari aspetti
delle tecniche di demolizione superficiale, argomento infatti
dei prossimi
paragrafi.
L'impiego del calcestruzzo armato nell’ambito dell’edilizia civile, industriale e
delle infrastrutture ha permesso la realizzazione di grandi opere, talvolta molto
ardite, risultato sia dell’ingegno di grandi progettisti (architettonici e strutturali),
che dell’impiego di tecniche di esecuzione sempre più accurate e tecnologiche.
Questo materiale è però soggetto a fenomeni di degrado che ne comportano il
decadimento sia estetico, che strutturale. Per risolvere tale problematica, che
comporta delle operazioni di manutenzione molto dispendiose; si è pertanto
diffusa negli ultimi decenni la “cultura" della durabilità del calcestruzzo, intesa
163
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
come mantenimento nel tempo dell’integrità e delle caratteristiche strutturali e
architettoniche per le quali il materiale viene impiegato.
Dalla prima esigenza di ridurre il rischio che accadano eventi catastrofici, si è
passati all’allungamento della vita delle strutture ed ad un abbassamento dei costi
di mantenimento. Quando una struttura subisce un danneggiamento che rimane
non individuato, questo può progressivamente aumentare pregiudicando la
sicurezza e le prestazioni della struttura stessa.
È pertanto vitale individuare al più presto ogni eventuale danno, effettuare
l’analisi delle cause che lo hanno provocato e intervenire poi con la conseguente
riparazione.
Cemento armato ordinario calcestruzzo
Tabella limiti per le compressioni in esercizio nel
Nell’ambito di queste problematiche, rientra anche il nuovo ed eccezionale
interesse che tutti gli operatori mostrano per la durabilità, ovvero il mantenimento
nel tempo delle prestazioni di una data opera. La durabilità, per la prima volta
nominata nella normativa tecnica italiana nel 1980, è oggi un parametro di
progetto fondamentale, così come lo sono la resistenza e le altre caratteristiche
dei materiali.
Un esempio specifico della rinnovata importanza data alla durabilità ed alle
prestazioni in esercizio, è ritrovabile nel concetto stesso di verifica col metodo
agli Stati Limite, in cui oltre alla, più nota, verifica di resistenza, Stato Limite
Ultimo, (S.L.U.), si affianca la verifica agli Stati Limite di Esercizio (S.L.E),
differenziata a seconda delle condizioni atmosferiche esterne: se si legge il
paragrafo A.4.2 Sezione II della Circ. Min. LL.PP. 15 ottobre 1996 (Istruzioni
per l’applicazione del D.M. 9 gennaio 1996) si nota come la capacità resistente
del calcestruzzo considerato non dipenda solo dal Rck, ma anche del livello di
aggressività dell’ambiente circostante, per mezzo di specifici coefficienti
moltiplicatori.
Si riporta in seguito la dicitura esatta, di verifiche agli S.L.E. tratta dalla suddetta
normativa:
“Per assicurare la funzionalità e la durata delle strutture è necessario:
-
prefissare uno stato limite di fessurazione adeguato alle condizioni
ambientali e di sollecitazione nonché alla sensibilità delle armature alla
corrosione;
164
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
realizzare un sufficiente ricoprimento delle armature con calcestruzzo di
buone qualità e compattezza;
-
tener conto delle esigenze estetiche.”
È indispensabile che il problema della durabilità si affronti durante l’intero ciclo
della produzione edilizia: progetto, esecuzione e gestione.
La progettazione deve considerare le caratteristiche (dell’ambiente nel quale il
manufatto sarà inserito, determinando i parametri da utilizzare per la
composizione della “ricetta” dei calcestruzzo.
La fase esecutiva necessita di un accurato controllo quotidiano finalizzato alla
realizzazione dell’opera in termini qualitativi, sia in relazione alle caratteristiche
del materiale, sia definendo e le modalità operative di esecuzione (verifica delle
condizioni ambientali prima dei getti, corretto posizionamento dei casseri,
vibratura dell’impasto, maturazione, eccetera).
Durante la vita utile del manufatto il controllo costante e la manutenzione
periodica consentono il futuro risparmio economico oltre a garantire condizioni
ottimali di utilizzo per gli utenti.
Analizziamo le tre fasi con maggior dettaglio.
Le cause del degrado
Il degrado del calcestruzzo può avere origine già in fase progettuale; infatti, un
calcolo strutturale inadeguato, l’impiego di materiali di scarsa qualità, un
insufficiente controllo della messa in opera, sono alcuni dei fattori che possono
compromettere la struttura ancora prima della sua effettiva messa in servizio.
All'atto della definizione di un progetto di ripristino, sono da considerare i
seguenti fattori:
§
condizioni ambientali interne ed esterne alla struttura;
§
esposizione e relative misure protettive;
§
condizioni d'uso;
§
qualità di esecuzione;
§
forma degli elementi;
§
programma di manutenzione.
I seguenti esempi rappresentano alcune tra le negligenze più frequenti, cause di
successivi problemi di durabilità.
La causa più diffusa di degrado superficiale di opere in calcestruzzo, è senza
dubbio l’errata valutazione del copriferro, causa della corrosione delle armature e
della conseguente espulsione del copriferro stesso (i dettagli del processo
chimico-meccanico sarà trattato nel seguito).
165
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Un’altra grave disattenzione che porta all’espulsione del copriferro da parte dei
ferri d’armatura, può verificarsi in strutture essenzialmente compresse (pilastri): la
mancanza di staffatura idonea, ovvero la mancata chiusura delle staffe nei pilastri,
comporta il sensibile aumento della lunghezza libera d’inflessione
del ferro
longitudinale compresso, che, soggetto ad instabilità a carico assiale, spinge ed
espelle fuori lo strato di calcestruzzo adiacente.
Spesso accade che la verifica a deformabilità di una struttura viene trascurata,
specie nelle strutture di carattere ordinarie (civile abitazione): nei casi in cui i
carichi in gioco, non molto elevati, portino ad un dimensionamento ridotto (basato
solo sulla resistenza) della sezione dell’elemento, è probabile che questo soffra di
un’eccessiva deformabilità, che, se non prevista in tempo debito sarà causa di
fessurazioni non dovute, e dunque degrado prematuro dell’elemento costruttivo
(avendo favorito infiltrazioni & ossidazioni).
In seguito della messa in servizio invece, le cause di degrado si suddividono in tre
categorie:
-
chimiche;
-
fisico- meccaniche;
-
elettrochimiche.
Analizziamole con maggior dettaglio.
Cause Chimiche
Acqua piovana: comporta generalmente l’indebolimento dei reticoli cristallini al
quale consegue la disgregazione del materiale. Essendo questa una causa
inevitabile, i problemi che ne conseguono possono comunque essere ovviati
semplicemente facendo uso di calcestruzzi di qualità non scadente.
Acqua marina: l’azione dei sali provoca la formazione gesso ed ettringite con
progressivo aumento di volume. Ne conseguono la fessurazione del calcestruzzo e
la corrosione dei ferri d’armatura.
Acque solfatiche: agiscono sulla pasta del cemento: filtrando all’interno ne
aumentando di volume, e porta il distacco delle parti esterne del manufatto. Gli
elementi costruttivi più esposti all’azione delle acque marine o di quelle
solfatiche, sono le fondazioni, le quali sono a contatto diretto col terreno; si
provvede infatti alla loro protezione sia con appositi magroni che con copriferro
maggiori rispetto a quelli in elevazione (min 4 cm.).
Carbonatazione: fenomeno chimico che ha origine nella presenza di anidride
carbonica in atmosfera; ne risulta la formazione di carbonato di calcio, con
conseguente contrazione del volume della pasta di cemento, diminuzione dei
valore del pH della pasta di cemento e cambiamento del peso del calcestruzzo. La
carbonatazione comporta la comparsa di fessurazioni e la non passivazione delle
armature.
166
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Cloruri: penetrano nel calcestruzzo solamente in fase acquosa, causando la
corrosione delle armature: sono pertanto assolutamente da evitare, le acque che
presentano cloruri per creare l’impasto del calcestruzzo.
Composti azotati e solfo-derivati: attaccano il calcestruzzo dissolvendo parte del
conglomerato indurito. Il fenomeno si verifica con frequenza nelle aree urbane,
dove la loro presenza è maggiore a causa dell’inquinamento.
Cause Fisico-Meccaniche
Gelo / disgelo: la ripetizione dei cicli di gelo/disgelo provoca dapprima lo
sfaldamento superficiale del manufatto, in seguito la sua disintegrazione; questo
tipo di azione che si manifesta nell’apertura di fessure, è di tipo progressivo come
la maggior parte delle seguenti azioni: favorisce una migliore, e più dannosa,
penetrazione di agenti nocivi nella parte di calcestruzzo ammalorato.
Shock termico: è provocato da forti e rapidi sbalzi di temperatura
Vento: effettua una doppia azione distruttiva sul manufatto: in primo luogo
esercita un’abrasione sulla superficie in calcestruzzo, asportandone le particelle
solide più superficiali; in seguito deposita sulla superficie stessa, particelle
dannose dovute all’inquinamento atmosferico. I manufatti che si trovano nelle
vicinanze del mare sono inoltre aggrediti dai sali trasportati dal vento sotto forma
di aerosoli.
Creep (scorrimento viscoso): è provocato dall'applicazione di un carico costante,
che deforma il calcestruzzo nel tempo. Infine, si ricordi che valori sensibili di
“ritiro” provocano fessurazioni nel calcestruzzo, facilitando l’accesso agli agenti
aggressivi.
Cause Elettrochimiche
Per “corrosione” si intende il complesso di reazioni spontanee tra un materiale e
l’ambiente, tale da provocare il graduale decadimento tecnologico del materiale.
La corrodibilità dei metalli non è una caratteristica intrinseca di ogni metallo, ma
è funzione dell’ambiente esterno. I processi corrosivi si realizzano sempre con un
meccanismo di tipo elettrochimico, legato alla presenza di aree anodiche e
catodiche, dovute a micro e macroscopiche eterogeneità esistenti sulla superficie
dell’acciaio e nel liquido che riempie i pori del cemento. Mentre talvolta, lo strato
di ossido che si forma sulla superficie di certi metalli li protegge dal procedere del
processo corrosivo, questo non accade con l’acciaio dei ferri d’armatura: essendo
il primo strato di ossido poco compatto e porosa, il processo di corrosione non
trova alcun ostacolo e procede fino al completo danneggiamento del ferro. Dopo
l’innesco del processo corrosivo, la velocità con cui esso procede è molto
variabile, e dipende dalla velocità con cui l’ossigeno perviene alla
superficie(confronta concetto di area esposta nelle sezioni miste acciaiocalcestruzzo) delle armature e dalla conducibilità del calcestruzzo.
167
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Le fenomenologie
La disgregazione di un manufatto in calcestruzzo può avvenire in tre modi:
1.
distacco dell'interfaccia tra aggregati e pasta cementizia;
2.
distacco dei ferri di armatura dal conglomerato;
3.
rottura della pasta base del cemento.
L’alterazione superficiale più comune è quella che comporta il cambiamento del
colore di una superficie di calcestruzzo esposta all’ambiente.
Le principali cause si ritrovano nell’:
-
assorbimento di sostanze estranee all’atmosfera, polvere ed inquinanti in
genere;
-
deposito di sali in superficie tramite efflorescenza;
-
flusso in superficie di sostanze estranee.
Le fessurazioni accompagnano sempre i fenomeni di degrado e possono essere di
diversa natura:
-
fessure di assestamento e di ritiro in fase plastica;
-
fessure da carbonatazione;
-
fessure da movimento termico;
-
fessure da ritiro igrometrico.
La superficie di un manufatto in calcestruzzo si può scheggiare, sfaldare oppure
scrostare; può presentare pertanto alcuni difetti superficiali quali:
-
lo sfogliamento, che consiste nel precoce congelamento dello strato
superficiale prima che si sia raggiunta una sufficiente resistenza. Le cause si
ritrovano nell’alternanza dei cicli di gelo/disgelo e nell’uso di sali congelanti;
-
la screpolatura, costituita di una sottile trama di fessure che può comparire su
un’intera superficie di calcestruzzo. La fessurazione può essere accentuata dal
fenomeno chiamato “bleeding”;
-
la scheggiatura, consistente nella disgregazione in scaglie, della superficie di
getto;
-
la polverizzazione, causata da un’errata maturazione, dalla presenza di
anidride carbonica, dalla formazione di condensa sulla superficie e da
un’insufficiente umidità;
-
i nidi di ghiaia, cavità irregolari causate dalla segregazione, tra gli inerti
pezzatura maggiore ed il cemento;
-
le cavità superficiali, causate dall’aria imprigionata sotto la boiacca
superficiale che, durante la presa, espande per effetto del calore di idratazione,
facendo apparire i vuoti in superficie.
168
di
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
La diagnostica
L’affidabilità e la durata di un intervento di ripristino dipendono in gran parte dal
corretto approccio diagnostico nei confronti dei manufatto. Una diagnostica
appropriata comprende tutta una serie di operazioni, sequenziali e standardizzate
tra loro, atte a definire, nell’ambito della programmazione dell’intervento, le
modalità e le procedure dì controllo e verifica che verranno applicate
nell’esecuzione di un intervento completo ed efficace.
Le fasi dell’approccio all’intervento si articolano in:
1. valutazione visiva della struttura in esame, con localizzazione dei difetti e loro
relativa classificazione secondo una procedura standardizzata di controllo e
verifica non distruttiva;
2. valutazione del progetto nel suo complesso, con molta attenzione nei confronti
di eventuali interventi successivi, che consentono di evidenziare le possibili
irregolarità e le carenze statiche;
3. valutazione delle condizioni di esercizio
meccaniche che di condizioni ambientali.
a livello sia di sollecitazioni
L’analisi del degrado di un manufatto in cemento armato, si può articolare in tre
momenti principali: analisi sul manufatto, analisi in laboratorio e valutazione.
La prima attività consiste nella redazione di un rapporto riguardante lo stato di
fatto dell’opera in esame.
Successivamente si procede all’analisi delle condizioni ambientali proprie del
luogo nel quale il manufatto è inserito.
L’intervento necessita di un rilevamento fotografico a colori, da trasformare
successivamente in un disegno strutturale nel quale siano posti in evidenza lo
stato fessurativo e quello di degrado. Buoni risultati si ottengono con l’impiego di
liquidi penetranti, i quali permettono l’evidenziazione delle fessure, della
differenza di porosità e di bolle e nidi di ghiaia nascosti sotto la superficie. Per la
rilevazione dello stato di fatto delle armature di superficie si impiegano i cercaferri, magnetici o elettrici; per conoscere invece il loro stato di conservazione si
misurano i potenziali elettrici oppure, con piccoli assaggi, si verifica lo stato di
ossidazione delle armature di superficie. Per ottenere una valutazione più
approfondita della situazione variata, si possono completare le analisi sinora
illustrate, ricalcolando la struttura, considerando le variazioni apportate dal
degrado, al modello di calcolo.
La diagnostica non distruttiva
Il calcestruzzo, avendo subito un forte boom nella prima metà del secolo scorso,
oggi ci ritroviamo con un immane eredità di opere costruite in calcestruzzo
armato, che, non essendo state adeguatamente curate, si ritrovano in forte stato di
degrado.
169
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Per le nuove costruzioni è necessario predisporre, già a livello progettuale, un
piano di diagnosi nel tempo dello stato di salute della struttura, con il quale è poi
possibile tracciare, ed aggiornare continuamente, un piano di manutenzione
programmata (annullando, se possibile del tutto, i costosissimi interventi di
manutenzione straordinaria). Per le vecchie costruzioni bisogna prima di tutto
leggere lo stato di salute reale mediante un’indagine accurata, effettuare immediatamente gli interventi urgenti e di seguito, considerare questo stato di cose quale
nuovo “punto zero” e procedendo poi come indicato per le nuove costruzioni.
Da ciò che è stato finora illustrato, si può allora comprendere come nella tematica
del recupero delle strutture in calcestruzzo armato, siano coinvolti molti aspetti.
In questa parte dell’inchiesta sul degrado delle strutture in calcestruzzo armato, si
desidera evidenziare come sia possibile diagnosticarne lo stato di salute e
leggerne l’invecchiamento nel tempo. Esistono tecniche ormai consolidate e in
gran parte normate (a livello italiano, europeo o ad entrambi i livelli), per lo più
importate dal mondo anglosassone, da decenni attento alla diagnosi e alla
durabilità delle costruzioni.
Da tempo queste tecniche sono disponibili anche in Italia e necessitano solo di
essere conosciute a fondo tra gli operatori del settore per trovare una più vasta
applicazione.
La diagnosi della salute di una struttura in calcestruzzo armato può essere
effettuata in due modi diversi (non necessariamente alternativi).
La prima, misurando il degrado in momenti successivi, nel corso della sua vita
utile di progetto (e se si vuole anche al di là di questo termine), mediante tecniche
di indagine non distruttive o parzialmente distruttive.
La seconda, effettuando in maniera continuativa, mediante appositi sistemi
automatici, un monitoraggio dell’evoluzione nel tempo delle grandezze ritenute
più significative.
In Italia, la consuetudine è quella di intervenire sulle strutture con queste tecniche
di diagnosi nel momento in cui il danneggiamento diventa evidente e l’intervento
di recupero inevitabile. Pur tralasciando sterili esterofilie, dobbiamo però
ammettere che a livello internazionale abbiamo a disposizione alcuni esempi che
potrebbero utilmente essere imitati (anche da noi però, non mancano significative
eccezioni).
In Gran Bretagna, ad esempio, esistono circa 200 mila ponti e opere
infrastrutturali importanti in calcestruzzo armato (negli Stati Uniti i ponti sono
circa 578 mila per una lunghezza complessiva di 13.700 miglia) e tutti quanti
devono essere “visitati” e messi alla prova con opportune tecniche non distruttive
ogni quattro anni (secondo la prima modalità di diagnosi sopra esposta). Basta un
rapido conto per intuire che ciò significa una mole di lavoro enorme: ogni anno
vengono sottoposte a check-up circa 50 mila strutture. In questo modo è possibile
avere il polso della situazione in ogni momento e programmare gli interventi di
manutenzione necessari (diluendoli opportunamente nel tempo, programmando
spese, disagi e il necessario approvvigionamento di risorse).
170
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
In Canada e in Svizzera il tipo di intervento scelto è un po’ differente ma
altrettanto efficace: quando una struttura importante viene edificata, viene nel
contempo messo in opera un sistema di monitoraggio con scopi di prevenzione, e
un intervento tempestivo in caso di problemi (secondo la seconda modalità di
diagnosi sopra descritta). Si tratta di apparati che comprendono gruppi di sensori
(anche parecchie centinaia) e centrali per il controllo delle acquisizioni (cicli di
letture) e l’elaborazione, dei dati.
Inoltre, mediante il telecontrollo è possibile gestire l’intero sistema lontano
dall’opera sottoposta a controllo. Si può prevedere anche l’inserimento di
dispositivi di segnalazione di eventi anomali o del superamento da parte dei
parametri misurati dei livelli di guardia. L’obiettivo è la realizzazione di strutture
intelligenti che forniscano in modo automatico e in continuo un rapporto
dettagliato sul loro stato di salute. Mentre le tecniche di monitoraggio strutturale
sono ben note anche da noi (numerose sono le applicazioni di raffinati sistemi agli
edifici di importanza storica come monumenti, beni architettonici etc.), c’è per
ora, meno competenza circa le tecniche non distruttive per la diagnosi delle
strutture in calcestruzzo armato.
Indagini e diagnosi
Le principali domande alla quali è necessario rispondere quando si indaga sul
degrado di una struttura in calcestruzzo armato sono le seguenti:
1. cause e fenomenologie del degrado;
2. estensione del fenomeno di degrado;
Come è stato illustrato precedentemente, le principali cause di degrado di un
calcestruzzo sono l’attacco da parte dei solfati, la reazione alcali-aggregato ed i
cicli di gelo e disgelo. La corrosione delle armature, pur essendo una delle cause
più frequenti di degrado, va considerata a parte in quanto è un processo
elettrochimico che richiede la presenza di un umidità e di ossigeno e può avvenire
solo se l’effetto passivante del fluido alcalino contenuto nella matrice che
circonda l’acciaio viene meno a causa della carbonatazione o dei cloruri; è
pertanto una conseguenza dei fattori, di degrado prima elencati.
Nella diagnosi strutturale dunque, l’analisi deve essere focalizzata sui fenomeni
che coinvolgono e consentono di misurare lo stato di corrosione: misurando la
corrosione si misurano le cause di degrado che lo hanno determinato ed i possibili
effetti di deterioramento futuri.
In sintesi, nell’ambito di una diagnosi è bene confrontare le seguenti analisi:
-
esame visivo, rilievo delle caratteristiche dimensionali;
-
raccolta dei dati storici, per scoprire l’evoluzione della manutanzione (e
quindi dei problemi) del manufatto in questione;
-
determinazione delle caratteristiche meccaniche in situ;
171
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
-
determinazione delle caratteristiche meccaniche in laboratorio (su campioni
opportunamente prelevati);
-
misura della profondità di carbonatazione (carbonatazione, pH del
calcestruzzo e probabilità di innesto di attività corrosiva sono strettamente
correlati);
-
individuazione delle barre di armatura e stima dei diametri dei ferri
mediante rilevazioni elettromagnetiche (indagine con pachometro);
-
misure elettrochimiche per la stima della presenza di corrosione e della
possibile velocità con cui eventualmente procede (mediante prova della
semi-cella e della resistività diettrica);
-
analisi petrografica per l’esame del calcestruzzo indurito.
Vediamo più in dettaglio le caratteristiche di ciascuna di queste indagini.
Il primo passo di ogni analisi deve sempre essere l’esame visivo, con il quale
rilevare difetti evidenti, quadro fessurativo, macchie di ruggine ed effetti di
attività corrosiva in atto (distacchi del copriferro). Importante è anche la raccolta
dei dati storici: il progetto esecutivo e la relazione tecnica, le modalità ed i tempi
di esecuzione, la storia del degrado ed i relativi interventi di ripristino eseguiti.
I metodi di indagine meccanici, sono i controlli non distruttivi più comunemente
impiegati per stimare, nelle strutture, le caratteristiche di resistenza dei materiali.
Sono per lo più di semplice applicazione, consolidati e già normati, tuttavia i
risultati vanno esaminati con cura in quanto dipendono dalle condizioni superficiali della zona indagata. In genere la grandezza meccanica indagata è la
resistenza superficiale del calcestruzzo. Le tecniche sono piuttosto note e non vale
pertanto la pena soffermarsi sui dettagli.
Si tratta delle prove sclerometriche, penetrometriche (metodo della pistola di
Windsor), oppure estrattive (metodi “pull-out”).
La normativa ( la recente Uni 10766 del maggio 1999) oggi consente di prelevare
dei campioni cilindrici di diametro molto limitato
(28
millimetri)
che
vengono definiti “microcarote”, arrecando un danno davvero minimo alla
struttura.
La misura della profondità di carbonatazione viene eseguita per determinare il
valore del pH del calcestruzzo. La prova consiste nello spruzzare sulla superficie
interessata una soluzione di fenolftaleina in etanolo. A seconda della diversa
colorazione che assume, questa soluzione a contatto con il calcestruzzo, si può
determinare lo stato di carbonatazione: un calcestruzzo sano appena gettato, in
assenza di degrado e senza carbonatazione) presenta un pH basico (circa 13); in
presenza di carbonatazione l’equilibrio si sposta e la matrice cementizia diventa
acida (pH attorno a 4).
Fa parte delle tecniche di diagnosi non distruttive anche la tecnica
elettromagnetica di indagine delle strutture in calcestruzzo armato, mediante
pachometro, che fu sviluppata per la prima volta nel 1955. Da allora il principio di
prova si è ampiamente diffuso, rimanendo sostanzialmente immutato per circa 30
172
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
anni, ed è utilizzato ancora ai giorni nostri: in un nucleo in acciaio a forma di “U”
viene forzato il passaggio di corrente elettrica mediante un filamento a bobina (un
solenoide) in cui passa corrente alternata a bassa frequenza. Esiste un segnale
“accoppiato” a questo flusso di corrente nel nucleo, che viene letto con uni
seconda bobina.
Per il principio dell’induzione magnetica, se nelle vicinanze esiste una barra di
armatura, il percorso magnetico ne risulta influenzato: il segnale accoppiato viene
massimizzato quando la sonda è parallela alla barra, aumenta in maniera
proporzionale al diametro della barra e diminuisce rapidamente con la distanza
dalla barra (distanza di copriferro).
Il limite di questa tecnica consiste nel fatto che, poiché si misurano grandezze
molto piccole, hanno grande influenza le variazioni dovute, ad esempio, alle
oscillazioni termiche, alle interferenze elettromagnetiche esterne e alla presenza di
corpi con proprietà ferromagnetiche nel calcestruzzo (ad esempio fibre
metalliche).
In epoca recente è stata sviluppata una tecnica differente: viene generato un
campo magnetico di forma simile a quello sopra esposto, ma di frequenza più
elevata e impiegando l’aria come nucleo. Se esiste in prossimità del campo una
barra di armatura, una corrente parassita viene indotta sulla circonferenza della
barra e un eco di ritorno giunge alla sonda. Se viene impiegata una tecnica di
induzione “a impulsi”, il segnale emesso e quello ricevuto vengono separati e non
esiste lettura (segnale) in assenza di barra di armatura. Questa è la tecnica
migliore perché più stabile. Come sopra, il segnale aumenta con la dimensione del
tondino e cala con l’aumento del copriferro. Esistono anche altre tecniche che
sfruttano principi intermedi tra i due descritti.
La relazione copriferro/diametro/intensità del segnale non è semplice: si tratta di
una legge inversa di quarto o sesto grado (a seconda della precisione desiderata).
Per effettuare la stima del copriferro è necessario entrare in questa relazione con
un valore di segnale e uno di diametro.
Se invece la grandezza desiderata è il diametro della barra e il copriferro non è
noto, si ha solo un segnale che caratterizza il problema con il quale ricavare due
parametri: l’intensità del segnale corrisponde a una serie di possibili coppie di
valori copriferro-diametro, ma la coppia giusta non è nota. Per colmare questa incertezza, è necessario effettuare più misurazioni sulla stessa barra, ma con lievi e
note differenze nelle condizioni di misura. Integrando i risultati di più misure sarà
possibile scegliere la coppia di valori diametro-copriferro corretta (la soluzione
sarà in questo caso figlia di un sistema di equazioni che andrà opportunamente
risolto).
Ad esempio, è possibile fare diverse misure inserendo tra la sonda e la barra dei
distanziatori di spessore noto, oppure ruotando la sonda stessa.
I pachometri più moderni disponibili sul mercato sono calibrati internamente per
visualizzare in maniera diretta il valore del copriferro e sono dotati di
microprocessore per elaborare in automatico il valore del diametro delle barre di
armatura in millimetri.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
I materiali non ferromagnetici (ad esempio l’acciaio inossidabile) sono
completamente invisibili ai pachometri che sfruttano la tecnica della riluttanza
magnetica, mentre danno qualche segnale a quelli che sfruttano la conduttività
elettrica.
Poiché l’acciaio inossidabile è un conduttore molto scarso, il segnale subisce forti
variazioni con diversi diametri della barra: le barre più sottili (8 e 10 millimetri)
sono invisibili mentre quelle più grandi (diametro maggiore di 20 millimetri)
possono essere individuate (viene però sempre sottostimato il copriferro). Per gli
acciai inossidabili si usano in genere dei localizzatori di metalli anziché i
pachometri.
Il grado di corrosione non può essere stimato usando solo il pachometro: una
barra deve perdere almeno metà del suo materiale perché un pachometro possa
rilevare delle differenze. Esistono per questo scopo altre tecniche di tipo
elettrochimico (misura del potenziale di corrosione e della resistività del
calcestruzzo) che possono però essere applicate solo dopo avere localizzato con
precisione le barre. Vediamo come si può effettuare la misura del potenziale di
corrosione. La corrosione dell’acciaio è un processo elettrochimico che coinvolge
zone anodiche (in corrosione) e zone catodiche (passivate) del metallo. In assenza
di acqua la massa cementizia ha carattere basico (il pH è addirittura superiore a
13) e non può verificarsi il fenomeno della corrosione dei ferri.
In presenza di acqua (di risalita, da infiltrazione o residua) l’anidride carbonica
presente nell’atmosfera (0,3%) provoca la carbonatazione del calcestruzzo,
rendendo leggermente acido l’ambiente attorno alle armature. In questo ambiente
è favorita la corrosione. La chimica della corrosione fa sì che laddove esiste un
processo di corrosione in atto, la regione di calcestruzzo prossima alla barra
assuma un potenziale negativo significativo che, mediante un elettrodo standard e
un voltmetro ad alta impedenza, può essere rilevato e misurato esattamente.
Misurando il potenziale elettrico superficiale del calcestruzzo al di sopra di una
barra di armatura, in relazione ad un elettrodo standard di riferimento, si accerta e
si localizza la presenza di corrosione e quindi il probabile comportamento della
barra al riguardo. Tale diagnosi identifica quella zona dove è presente la corrosione e quindi dove è probabile un futuro danneggiamento della struttura.
Altra indagine riguarda la misura della resistività dei calcestruzzo. Il momento in
cui la corrosione delle barre può iniziare e la velocità con cui procede dipendono
dalle caratteristiche della pasta cementizia e dalla permeabilità del calcestruzzo (la
presenza di acqua innesca il processo di carbonatazione).
La conduttività del calcestruzzo è una proprietà elettrolitica che garantita dalla
mobilità ionica della soluzione acquosa presente nei pori della matrice di pasta
cementizia; dunque un calcestruzzo molto permeabile sarà caratterizzato da
un’elevata conduttività e da una bassa resistività elettrica.
In tal modo, la conoscenza della resistenza elettrica del calcestruzzo può fornire
un criterio di misura della presenza di acqua al suo interno e, quindi, della
possibile velocità di corrosione delle barre di armatura presenti.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
L’analisi petrografica è applicata su campioni di ogni tipo di matrice idraulica
indurita, compresi calcestruzzo, malta, intonaco, stucco, e similari.
Per l’analisi si usano dei campioni opportunamente prelevati, in genere delle
carote, dalle quali vengono ricavate delle sezioni sottili (spessore di qualche
decina di micrometri) mediante piatto rotante abrasivo. Sulle sezioni vengono poi
svolte analisi mediante microscopi e rifrattometri per la misura dell’indice di
rifrazione.
Gli scopi di questo particolare esame di laboratorio sono:
-
determinazione (nel dettaglio) delle cause di degrado del calcestruzzo nella
struttura;
-
determinazione delle prestazioni future della matrice cementizia;
-
determinazione della rispondenza dei calcestruzzo a quanto richiesto nelle
specifiche;
-
descrizione della matrice (qualità del legante, grado di idratazione, grado di
eventuale carbonatazione, presenza di vuoti, natura degli aggregati,
adeguatezza della maturazione, rapporto acqua /cemento, lettura delle
reazioni alcali-aggregati, attacco da parte di solfati o altri attacchi chimici o
cicli di gelo e disgelo, misura degli effetti del fuoco, etc).
Per concludere, possiamo dire che anche per le strutture come per la medicina,
prevenire è meglio che curare. Le possibilità tecniche non mancano (fondate sulla
letteratura specifica, oramai sovrabbondante e completata da numerose recenti
normative), i costi non proibitivi (qualche anno fa, quando l’indagine non
distruttiva sulle strutture era a livello pionieristico i costi erano molto più elevati)
e comunque costa molto meno progettare in qualità e verificare la durabilità,
piuttosto che intervenire a degrado avvenuto.
Dal progetto all’intervento
Dopo avere individuato, nei precedenti articoli, le principali cause del degrado dei
manufatti in calcestruzzo (armato e non), viste quali sono le patologie, quali le
tecniche e gli strumenti di diagnosi e di progettazione e avendo così, ben chiaro
dove intervenire, e con quali obiettivi, il passo successivo è quello relativo a come
e con quali tecnologie intervenire, per ripristinare le strutture ammalorate.
Il mercato odierno offre un’infinità di tecniche di intervento sul calcestruzzo
ammalorato: il ruolo del progettista, una volta comprese le principali cause del
problema, sarà quello di scegliere tra le soluzioni offerte dal mercato, quella che
più si confà alla sua situazione.
L’obiettivo che questo paragrafo si propone di raggiungere, è quello di fornire un
sintetico quadro tipologico delle possibili soluzioni adottabili.
Essendo tutto l’intervento molto delicato, è centrale avere approntato un buon
“progetto” di recupero, in grado di definire e descrivere tutte le fasi e le specifiche
tecniche a monte dell'applicazione.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Dopo avere stabilito in fase progettuale quale tipo di intervento eseguire, la prima
fase applicativa, necessaria e fondamentale, è la preparazione delle superfici,
operazione di assoluta importanza da cui dipende il buon risultato
dell’applicazione.
Le operazioni di preparazione e pulitura consentono di ottenere una superficie
compatta, “sana” e priva di porosità, impurità e anomalie varie.
La prima operazione da eseguire è l’asportazione della parte cementizia
ammalorata, un composto cementizio incoerente e non funzionale strutturalmente.
Questa asportazione si può ottenere con diverse tecniche quali la martellinatura,
l’idrodemolizione selettiva (abbondantemente trattata e spiegata in seguito), la
scalpellatura pneumatica e l’uso di scarificatori. In generale, lo spessore di
sacrificio è compreso tra 1,5 e 2,5 centimetri (in certi interventi pesanti di
idrodemolizione controllata, si possono raggiungere profondità maggiori), e
comunque deve essere costante su tutta la superficie interessata al ripristino.
Se l’intervento riguarda l’esposizione dell’armatura, si procede all’asportazione
anche del materiale sottostante per circa 2,0 centimetri alla quota dei ferri. In
questo caso, dopo avere eliminato la ruggine mediante sabbiatura e spazzolatura,
si applica sui ferri un prodotto protettivo bicomponente, a base cementizia o di
resine, in due strati successivi. Questa applicazione consente di garantire
un’ottima resa anche in attesa di un intervento di ripristino non esattamente
imminente. Le impurità residue (polvere efflorescenze, eccetera) vengono poi
asportate con un lavaggio di acqua in pressione o una sabbiatura a secco.
Criteri di scelta
Una volta approntate le superfici, si procede con le operazioni di ripristino
strutturale. Ovviamente la scelta dei materiali o le relative specifiche tecniche e di
intervento sono la condizione fondamentale per il buon esito del recupero, e qui le
capacità e le conoscenze del progettista o del tecnico di cantiere sono decisive.
Oggi il mercato offre numerosi prodotti e soluzioni per il ripristino e la protezione
preventiva dei manufatti in cemento armato.
A vantaggio di progettisti e operatori, bisogna dire che oggi quasi tutte le aziende
(le più importanti sicuramente) si sono strutturate con uffici tecnici in grado ai
offrire, non solo tutte le, specifiche tecniche e le informazioni caratteristiche sui
loro prodotti, ma anche una valida assistenza in fase esecutiva e una costante
opera di divulgazione e formazione scientifica.
Compito del progettista, quindi, è individuare all’interno dell’offerta
commerciale, il prodotto (o i prodotti) più confacente alle particolarità
dell’intervento che si intende eseguire. La scelta del prodotto, da parte del
progettista, deve essere condotta sulla base delle informazioni contenute nelle
schede tecniche, le quali ne riportano le caratteristiche chimiche, fisiche,
meccaniche, di applicazione, di stoccaggio, etc.
176
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Generalizzando, si possono suddividere questi prodotti in due grandi categorie: i
materiali a base cementizia e quelli a base polimerica.
I materiali a base cementizia vengono in genere utilizzati per interventi di
ripristino strutturale, ma sono validi anche per le applicazioni di finitura e le
impermeabilizzazioni. Le caratteristiche dei materiali devono essere la facilità di
applicazione, un basso rapporto acqua/cemento, alta fluidità, lunga durata,
omogeneità e perfetta adesione, oltre alla ovvia compatibilità delle caratteristiche
meccaniche con quelle della struttura oggetto dell’intervento. Vengono anche
chiamate malte tissotropiche, per la loro fluidità in movimento e la viscosità da
fermo che consentono una buona aderenza anche operando in verticale.
Le tecniche di applicazione delle malte cementizie variano secondo la specificità
dell’intervento e devono essere parte dello studio condotto dal tecnica nell’esame
della scheda tecnica. In genere, queste sono: applicazione con cazzuola, a
spruzzo, con pompaggio e iniezione.
I materiali a base polimerica contemplano le resine epossidiche, siliconiche e
acriliche. Quelle epossidiche garantiscono un’ottima adesione al supporto,
notevoli valori delle caratteristiche meccaniche e un modesto ritiro. Sono generalmente impiegate per l’incollaggio (vecchio con nuovo calcestruzzo), la sigillatura,
la verniciatura e il riempimento di cavità e fessure. Le resine siliconiche creano
una pellicola permeabile al vapore, il che le indica come prodotti idrorepellenti
idonei per il rivestimento impermeabile di malta, calcestruzzo o murature. Infine,
le resine acriliche vengo impiegate come prodotti adesivi e vernicianti in
emulsione. Quest’ultima soluzione rappresenta un ottimo protettivo per le
superfici esterne degli edifici, in quanto le resine acriliche creano un’interruzione
tra il manufatto e l’ambiente.
Modalità di intervento
Dopo avere individuato il materiale più idoneo alle caratteristiche dell’intervento
di ripristino, si procede con l’applicazione dei prodotti. Come evidenziato, non
esiste una regola generale universalmente valida, ma vi sono numerose soluzioni
date dalla combinazione tra tipologie di intervento e caratteristiche del prodotto.
Si cerca comunque di proporre una casistica degli interventi più frequenti e delle
più consolidate tecniche di recupero, che vanno ovviamente contestualizzate caso
per caso. Le tecniche di intervento applicate a manufatti in calcestruzzo in genere
sono impiegate per quattro tipologie principali di constatato degrado:
-
la sigillatura di fessure e cavità;
-
la ricostruzione del copriferro;
-
il ripristino strutturale estensivo;
-
le applicazioni protettive.
Queste tipologie possono presentarsi sia singolarmente, che contemporaneamente
e interessare ampie porzioni delle moderne strutture in cemento armato.
177
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Il ripristino di elementi in cemento armato che presentino fessurazioni o cavità
anomale si esegue procedendo inizialmente con la preparazione e la pulizia delle
superfici con idrolavaggio o spazzolatura, avendo cura di asportare, oltre alle
impurità, eventuali residui di interventi precedenti. Si procede poi con
l’applicazione del materiale (in questo caso si impiegano le resine) utilizzando le
apposite pistole e lisciando poi con una spatola per ottenere una buona finitura
della superficie.
Se le fessurazioni sono superficiali, dopo la pulitura ma prima dell’applicazione
del prodotto bisogna bagnare la superficie fino a saturazione.
In questo caso si impiegano le malte in due strati successivi, con spazzola o
pennello, alla distanza temporale, prescritta dalla scheda tecnica.
La ricostruzione dello strato superficiale delle strutture in cemento armato, noto
come copriferro, è una delle casistiche più frequenti di intervento. Ciò nonostante
questa patologia sia una delle più facilmente evitabili già in fase progettuale o
esecutiva, in quanto la causa del degrado è l’inadeguato spessore della porzione di
manufatto compresa tra i ferri più esterni e la superficie di contatto.
Per intervenire in questo caso si inizia asportando il materiale danneggiato con
uno scalpello o altre tecniche fino al raggiungimento della parte sana della
struttura. Si elimina quindi la ruggine dai ferri e si pulisce la superficie di applicazione con le tecniche già descritte. Il materiale idoneo per questo tipo di
intervento è una malta a base cementizia. Dopo la bagnatura, si applica a
pennello la prima mano; quando questa è ancora fresca si interviene con una
nuova mano data con cazzuola, costipando tutta la parte interessata. Per
raggiungere spessori elevati si esegue l’operazione a strati successivi intervallati.
Se invece lo spessore da ottenere è sottile, si devono preventivamente proteggere i
ferri di armatura con uno specifico prodotto anticorrosivo.
Il ripristino può interessare superficie e volumi anche molto estesi; in questi casi è
fondamentale asportare, anche con una certa celerità dei tempi di esecuzione, il
calcestruzzo ammalorato. Per questo motivo, in genere, per la fase di preparazione
delle superfici viene impiegata la tecnica dell’idrodemolizione selettiva (descritta
in seguito nel paragrafo specifico).
Una volta portate al vivo le armature, si procede a un controllo e una verifica del
loro stato di salute con le tecniche di analisi e diagnosi, approfondite negli altri
paragrafi. Infatti, i casi di degrado più complessi possono comportare anche la
rimozione dei ferri e la loro sostituzione con nuovi elementi.
Data l’estensione della superficie di applicazione, prima della posa del materiale
di ripristino si ancora alla struttura una rete elettrosaldata. Eseguita la bagnatura
della superficie, si passa all’applicazione a spruzzo della malta da ripristino a base
cementizia (nel caso di spessori significativi, si opera per strati successivi).
L'ultima casistica comprende gli interventi di protezione delle strutture, che
possono eseguire con l’applicazione di prodotti a base cementizia. Dopo
consueto trattamento di pulitura delle superfici e avere constatato l’assenza
lesioni o fessurazioni, si interviene con la prima mano preparatoria
successivamente con una seconda mano a pennello o a rullo. Atteso il tempo
178
si
il
di
e
di
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
riposo specificato nella scheda tecnica del prodotto, si stende una seconda mano.
Questa procedura viene impiegata in maniera più o meno analoga con prodotti di
diversa natura. È fondamentale, comunque, rispettare sempre le fasi e i tempi di
applicazione indicati dalle case produttrici.
GLOSSARIO ED APPROFONDIMENTI:
- Bleeding o essudamento: in una pasta di cemento o in un calcestruzzo, le particelle solide
sospese in acqua sono spinte verso il basso dalla forza di gravità e tendono a sedimentare;
l’affioramento dell’acqua alla superficie è detto bleeding (essudamento, essudazione).
Quando la presa arresta il fenomeno prima che esso sia fisicamente completo, il sedimento finale
può avere concentrazione d’acqua e porosità variabili.
Si definiscono una velocità di bleeding (è il volume d’acqua che affiora in un recipiente cilindrico
per unità di tempo ed unità di superficie, cm/s) ed una capacità di bleeding (è il volume d’acqua
essudata rispetto al volume iniziale della pasta).
Il bleeding del calcestruzzo, che ne costituisce una sorta di segregazione, può talvolta portare ad
un affioramento di una quantità d’acqua di spessore maggiore di 1 cm. Esso dipende
essenzialmente dal coefficiente di permeabilità della pasta di cemento, e dal rapporto a/c
(acqua/cemento).
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
IDRODEMOLIZIONE AD ALTA PRESSIONE
Principio di funzionamento
Come è stato finora illustrato, il degrado del calcestruzzo, dovuto ad una diversa
casistica di cause scatenanti, è un fenomeno che si manifesta essenzialmente sulla
superficie delle opere in calcestruzzo; la soluzione più comune al problema del
degrado superficiale del calcestruzzo, è solitamente quella della rimozione degli
strati superficiali delle opere danneggiate.
Al fianco di questa tipologia di operazioni, si trova quella classe di interventi più
profondi,
che prevedono una vera e propria demolizione delle opere in
calcestruzzo, attuata attraverso il taglio delle stesse.
La differenza fra questi due tipi di interventi attuati attraverso la tecnologia dei
getti d’acqua ad alta pressione verrà spiegata nel dettaglio in seguito, nel
paragrafo relativo alla differenza tra l’idrodemolizione controllata e quella
selettiva.
Il principio di funzionamento dell’idrodemolizione consiste nell’accoppiare una
forte pressione creata da un compressore, alla capacità erosiva di un mezzo
naturale quale l’acqua.
Al variare della pressione applicata al fluido, cambia la sua capacità di erosione,
permettendo all’operatore di scegliere, a seconda delle esigenze, tra un intervento
di pulizia superficiale, di decontaminazione, ad uno di irruvidimento e
scarnificazione, fino ad arrivare persino ad una demolizione per taglio degli
elementi costruttivi.
Evoluzione della tecnologia
Facendo un excursus storico, si scopre però che la prima applicazione della
tecnologia dei getti ad alta pressione, non è stata all’interno del campo
dell’edilizia bensì in alcune grandi industrie manifatturiere americane: nel 1971
alla Alton Box Board Industry si sperimentò, con risultati favorevoli, di taglio di
tavolati in cartone con un sistema waterjet, portando il liquido ad una pressione
di 280 Mpa con un flusso di 6 l/min. L’acqua veniva espulsa attraverso un ugello
che riusciva a tagliare un tubo di cartone spesso 1,25 cm. che veniva mosso sotto
al getto. Il taglio riusciva con una tale precisione e velocità, che il cartone non
faceva in tempo a bagnarsi, ed inoltre, si poteva evitare il fenomeno della
piegatura dei bordi, tipico di un processo di taglio con lame meccaniche. Poiché,
per sua natura, il getto viene costantemente rinnovato, non si presentava neanche
il fenomeno dell’usura dello strumento di taglio, come avveniva per le lame.
Concettualmente non si è fatto altro che estendere in altri campi, l’esperienza già
consolidata dell’utilizzo di getti d’acqua ad alta pressione per la pulizia di scafi
navali.
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Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Pochi anni dopo si sperimentò l’utilizzo, di questa innovativa tecnologia nel
campo dell’edilizia, ottenendo risultati positivi in particolare per il taglio di opere
in muratura Nel 1980 fu effettuato il primo cambiamento alla tecnologia del jet
cutting system: facendo passare il getto in pressione attraverso un piccolo
alloggiamento ed ancora per un secondo ugello di collimazione, nel primo
alloggiamento veniva generata una depressione, che permetteva l’aspirazione di
una piccola quantità materiale sabbioso. Si crea dunque un flusso di una miscela
di questa “sabbia” (vagliata secondo particolari procedimenti per ottenere una
granulometria adatta a passare attraverso anguste valvole e restringimenti) e
acqua, dalle forti capacità abrasive.
Questa combinazione, conosciuta sotto il nome di Abrasive Water Jet (AWJ), è
oggi sufficientemente potente da potere tagliare una grande varietà di materiali.
Operando a pressioni fino a 40 Mpa, e con un 8% di materiale abrasivo nel flusso,
questo strumento sta trovando un crescente range di possibili applicazioni.
Nello stesso tempo si andò sviluppando un’ulteriore applicazione del Water Jet
System, e cioè la scarnificazione di superfici: anche qui ci fu una evoluzione;
partendo dall’uso di sistemi che poco si differenziavano da unità mobili per il
lavaggio di macchine migliorando, pian piano, la capacità di spinta delle pompe,
e diminuendo relativamente i costi delle stesse, il mercato di questa applicazione
cominciò ad allargarsi: oggigiorno si possono trovare sul mercato americano
pompe che lavorano a 10 Mpa (pressione sufficiente per la pulizia di superfici) al
modico prezzo di $ 200.
Nel 1982 un giovane neolaureato inglese fu commissionato di trovare un sistema
alternativo per l’inserimento del materiale abrasivo all’interno del flusso d’acqua.
Il giovane ricercatore riuscì nell’impresa incapsulando il materiale abrasivo
all’interno di un piccolo contenitore in pressione, posizionato tra il sistema di
pompaggio e l’ugello. Facendo passare un piccolo quantitativo d’acqua in
pressione attraverso questo alloggiamento, l’abrasivo viene forzato ad uscire, e,
cosa fondamentale ed innovativa, mantenendo invariata sia la pressione
dell’acqua, che la sua velocità!
Questo sistema rappresentava un’alternativa al convenzionale Abrasive Water Jet,
perciò per differenziarlo, è stato denominato Abrasive Slurry Jet (A.S.J.).
L’incredibile vantaggio di questo nuovo sistema costruttivo, è che, mischiando
l’acqua all’abrasivo in questa maniera si riesce a tagliare uno spessore di
materiale da costruzione, in meno di un quarto del tempo necessario per il taglio
dello stesso spessore con la tecnologia A.W.J.
Il tutto senza contare che la potenza richiesta dal sistema si abbatte del 75%, come
anche la pressione esercitata dalla pompa; ciò comporta che si possono utilizzare
semplicissime pompe per l’industria della pulizia di pavimenti (vedi paragrafo
precedente) abbattendo in maniera concorrenziale i costi sia per l’acquisto, che
per la manutenzione.
181
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
La possibilità di poter utilizzare pompe a bassa potenza, quali quelle per la pulizia
di pavimenti, comporta un altro ulteriore vantaggio: i macchinari per la pulizia di
pavimentazioni hanno come qualità intrinseche quelle di avere un forte mobilità e
di essere facilmente adoperabili anche da personale non specializzato; queste
convenienti qualità sono state trasferite anche per le altre applicazioni della
tecnologia Water Jet.
Oggigiorno si aggiungono al getto d’acqua anche degl’additivi a base polimerica
per migliorarne la coesione in uscita.
È in fase di
microonde a
microonde si
permetteranno
d’acqua.
sperimentazione una tecnica combinata, che unisce l’azione delle
quelle de tradizionale getto d’acqua: grazie ad una sorgente di
generano preventivamente delle microfessure nel calcestruzzo, che
un’infiltrazione ed abrasione più rapida del successivo getto
Il primo approccio documentato in Italia di utilizzo della tecniche dell’acqua ad
alta pressione, risale invece al 1986: si trattava di un sistema manuale, costituito
da una pompa in alta pressione e da una lancia manovrata da un operatore; questa
tecnologia è stata impiegata in un intervento di risanamento di una diga, e che
comportava una richiesta di potenza nell'ordine dei 200 HP, con una pressione di
1050 bar (vedremo in seguito quali sono le grandezze fondamentali che
caratterizzano un intervento di idrodemolizione).
Constatata l’efficacia di questo sistema, alcune aziende interessate, iniziarono a
dedicarsi progressivamente ad una specifica attività di ricerca in questo settore di
mercato, all’epoca alquanto ristretto, studiando in proprio, la fattibilità di una
meccanizzazione dell’utilizzo; si passava dunque da una lancia manovrata
manualmente da un operatore, ad una telaio mobile che, oltre ad un compressore,
conteneva anche l’apparato dal quale fuoriusciva il getto d’acqua.
Il vantaggio principale che questa meccanizzazione del processo ha portato, è
stato quello di un sensibile aumento della produzione, poiché la capacità di un
operatore di sostenere un getto ad alte pressioni è limitata, non solo ad una certo
intervallo di tempo, ma anche ad una certa spinta del getto uscente. Infatti, nel
corso dello stesso anno, per l'intervento di risanamento superficiale di un canale
Enel, veniva impiegato il primo utensile su carro semovente, primo passo di un
processo di evoluzione tuttora in corso. Solo in seguito si arriverà a pensare ad
una automazione completa del processo, grazie alla programmazione dei
movimenti del carro semovente.
Il 1988 fu l’anno che vide la nascita, in Italia, dei primi sistemi ad avanzamento
computerizzato; oggi, dodici anni più tardi, grazie anche alla collaborazione di
tecnici e fornitori, si è arrivato ad applicare le tecniche di idrodemolizione nelle
più svariate opere di grande ingegneria, quali: gallerie, dighe, ponti, canali,
aeroporti, porti, etc. Il tutto, utilizzando sistemi con potenze che possono arrivare
ad 1000 HP, e pressioni di 1200/2000 bar, con procedimenti sempre più
automatizzati.
182
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Caratteristiche principali
I principali vantaggi di questa tecnologia sono i seguenti:
-
poiché il taglio è generato da una moltitudine di particelle molto piccole
(dell’ordine di 150 nm.) questo risulta molto preciso, e non crea alcun danno
alla superficie adiacente il bordo;
-
poiché non vengono generate significative quantità di calore in questo
processo (tra l’altro parte viene dissipata dall’acqua stessa), questo sistema è
considerato come un sistema di taglio a freddo (cold cutting tool).
-
essendo solitamente il getto molto concentrato, anche il consumo d’acqua
risulta ridotto.
-
abbattimento delle polveri compreso nel momento dell’esecuzione;
-
silenziosità del processo;
-
totale assenza di vibrazioni significative;
-
inoltre la forza di reazione generata dal getto è di piccola entità; prove di
laboratorio la valutano attraverso quest’espressione:
Spinta [Newton] = 0,745Q P
Dove Q rappresenta il flusso in l/min., e P è la pressione misurata in MPa.
Questa caratteristica comporta un doppio vantaggio: in primis il getto non esercita
un pressione smisurata sull’oggetto che viene tagliato, evitando così rischi di
disturbo di situazioni in equilibrio instabile;
in secundis non si richiede molta forza per reggere l’ugello (se manualmente) o
mantenerlo in posizione in un telaio fisso.
In particolare, quest’ultima qualità della tecnologia AWJ, ha permesso di
integrarla con sistemi robotizzati in modo da sistematizzare la produzione più
modulare e seriale.
Lo stato dello sviluppo odierno di questa particolare tecnologia di demolizione
permette di tagliare una lastra d’acciaio di spessore 8 mm. Alla velocità di 60
cm/min con una pressione di 70 Mpa.
Nella forma originale di questo sistema, cioè prima che fossero apportate le
suddette sostanziali modifiche meccaniche, il Water Jet Cutting Technology
presentava anche alcuni svantaggi:
-
il costo del sistema di pompaggio e dei vari componenti che dovevano essere
costituiti da materiali di alta qualità per resistere a pressioni di circa 400 Mpa.
-
il sistema risulta relativamente più lento rispetto al taglio effettuato con
strumenti diamantati;
-
maggiore difficoltà di taglio di calcestruzzo armato a base silicea (dunque più
duro).
183
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Le tipologie di intervento
Come suddetto, la tecnologia dell’idrodemolizione si differenzia in due possibili
tipologie di intervento, così individuabili:
1) idrodemolizione controllata;
2) idrodemolizione selettiva.
Idrodemolizione Controllata
E’ un sistema d’impiego dell’utensile d’acqua per la demolizione, di porzioni ben
delimitate e individuate per superfici e spessori. Questo tipo di demolizione
avviene attraverso il taglio dell’elemento in calcestruzzo, grazie ad un getto
d’acqua espulso ad altissime pressioni da fori di ugelli molto piccoli. Alcuni
esempi di possibili applicazioni sono: l’asportazione radicale di cordoli e giunti
nelle opere d'arte, la risagomatura dei raggi delle gallerie, scassi per centini, etc.;
la demolizione, quindi, di quanto espressamente richiesto sia su opere di nuova
costruzione, che su quelle da riadattare, a prescindere dalle portate e potenze in
bar (che servono a determinare la produzione e il tempo di realizzazione, e
saranno grandezze fondamentali della demolizione cosiddetta selettiva).
Il taglio di elementi strutturali attraverso getti d’acqua ad altissima pressione si è
talmente evoluto, tanto da rappresentare una soluzione speciale per risolvere
particolari situazioni di emergenza (vedi par. “In case of disaster”).
Idrodemolizione Selettiva
E’ un sistema d’impiego che, grazie alla forza di proiezione di un getto d’acqua a
pressioni lievemente minori rispetto a quelle necessarie per il taglio del
calcestruzzo, ma uscente da ugelli con aperture longitudinali, consente
l’asportazione di quelle parti di conglomerato cementizio ammalorato oltre agli
spessori espressamente richiesti, fino ad ottenere uno strato a resistenza omogeneo
della parte rimanente del manufatto.
In caso si debba asportare uno strato di calcestruzzo che presenta un’elevata
resistenza, si può prevedere di mischiare l’acqua del getto, con della sabbia,
aumentando così sensibilmente il potere erosivo del sistema.
184
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Uno dei grandi vantaggi di questa tecnologia è quello di non danneggiare in
nessun modo i ferri di armatura contenuti nell’elemento in calcestruzzo, ma anzi
di ripulirli da eventuali ossidazioni, lasciandoli integri, pronti per una successiva
protezione con vernici anti-ruggine.
Ci sono inoltre alcuni aspetti che
caratterizzano
entrambi
i
procedimenti e che, senza dubbio,
vanno a diretto vantaggio di
questa tipologia di intervento,
rispetto
alle
tecniche
di
demolizione più tradizionali, quali
l’uso del martello pneumatico: il
sistema idrocinetico penetra molto
facilmente tra i ferri d’armatura
senza danneggiarli, anzi questi
vengono puliti automaticamente
dall’ossido di ferro (ruggine)
portandoli ad un grado di pulizia
s.a. 2,5 - ST3 (ferro bianco), senza
ovviamente ridurne il diametro;
inoltre fondamentale è la totale
assenza di vibrazioni, che causano
microlesioni o danni non solo ai
ferri d’armatura ma anche alla
restante porzione di calcestruzzo.
Ovviamente l’applicazione dell’idrodemolizione (sia essa selettiva o controllata)
ha come risultato finale quello di produrre una superficie irregolare che migliora
l’adesione del nuovo conglomerato cementizio; il tutto senza creare polveri
dannose alla salute;
Applicazioni speciali: “In case of disaster”
Come premesso, questa innovativa tecnologia si presta anche, molto facilmente,
ad utilizzi diversi dalla demolizione interpretata come abbiamo finora illustrato.
Molti studi a riguardo sono stati compiuti dall’Università del Missouri (U.S.A.), la
quale è riuscita a potenziare e diversificare i possibili utilizzi dei getti d’acqua ad
alte pressioni, indirizzando essenzialmente il loro uso, verso l’attività di
salvataggio e recupero di persone rimaste intrappolate in seguito a crolli e collassi
di edifici.
Lo scopo di questa relazione è quello di illustrare l’alta potenzialità di questo
sistema la sua forte adattabilità a nuove situazioni, ed, in particolare i vantaggi del
suo uso “in case of disaster”.
Ma vediamo quali sono state le esigenze che hanno portato all’applicazione di
questa tecnologia in un campo talmente particolare.
185
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
Come è risaputo, i disastri sono per loro natura, fenomeni inaspettati,
imprevedibili, sia nell’ubicazione, che nella magnitudine del danno che ne può
conseguire.
Per evitare gli ingenti danni che possono conseguire dal crollo di edifici, ci si
pone ovviamente in sicurezza, già in fase di progettazione; quando ciò non
dovesse bastare (cioè per i cosiddetti eventi eccezionali), ci si deve fornire di
strumenti tali da permettere un intervento veloce e privo di ostacoli: la
movimentazione di un equipaggiamento massivo ed ingombrante costa tempo e
danaro.
Crolli
È risaputo che, a seguito di crolli di edifici, solitamente le macerie, si trovano in
una situazione di equilibrio instabile, e l’unico modo per capirne il livello di
precarietà è un’analisi di tipo visivo, che eviti perciò di disturbare lo stato di
apparente equilibrio della struttura collassata. Queste considerazioni assumono
un’enorme importanza quando si tratta della fase di salvataggio dalle macerie
degli eventuali superstiti. Lo smantellamento dalle macerie (di dimensione
notevole) può essere attuata attraverso due procedimenti:
•
smantellamento diretto degli elementi crollati, attraverso appositi
macchinari, quali gru dotate del cosiddetto “polipo” per rottami montato al
posto della benna;
•
taglio e ridimensionamento dell’elemento da rimuovere, in vista del
successivo smantellamento per componenti.
L’uso dei getti d’acqua ad alta pressione si pone all’interno della seconda
categoria di procedimento: implementando la capacità di questi getti di tagliare
elementi costruttivi costituiti da qualsiasi materiale applicabile nell’edilizia, il
sistema si è facilmente dimostrato adatto all’uso nelle suddette situazioni di
emergenza.
Bisogna infatti considerare che, in seguito ad un collasso “spontaneo” di una
struttura (cioè non guidato da un processo di demolizione), solitamente ci si trova
davanti ad una serie elementi sovrapposti costituiti da diversi materiali, e quindi
non tutte le tecnologie si adattano uniformemente alla demolizione di questa
stratificazione di vari materiali: ad esempio un martello pneumatico, che
perforerebbe tranquillamente qualsiasi elemento in c.a., mal si adatta quando deve
affrontare l’acciaio, sia esso da c.a., che da carpenteria metallica; d’altra parte una
lancia termica, ideale per il taglio dell’acciaio, è inapplicabile per il calcestruzzo
armato. Ovviamente l’uso del martello idraulico e di tutte le macchine movimento
terra, sono improponibili per la forte perturbazione che portano ad un sistema
altamente instabile, quali le macerie post-collasso; d’altra parte, la lancia termica
comporta il grave rischio di innescare deflagrazioni ed esplosioni di eventuali
fluidi (gas o liquidi) infiammabili fuoriusciti durante il crollo.
Non comporta invece perturbazioni al sistema, l’uso di seghe dal profilo
diamantato, capaci di tagliare qualsiasi materiale senza creare vibrazioni
significanti. Il problema di questa tecnologia, è l’ingombro e la scarsa
186
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
manovrabilità di queste macchine quando devono si richiede loro di tagliare
spessori notevoli.
In seguito a queste problematiche è nata l’esigenza, in quei paesi che più
investono per la prevenzione e a “cura” di situazioni d’emergenza, di studiare una
strumentazione flessibile, adattabile a svariate situazioni, leggera, delicata nel suo
intervento, di facile trasporto ed utilizzo.
Dunque oltre all’uso più generico del getto d’acqua ad alta pressione per il taglio
dei materiali da edilizia, , si sta tentando di indirizzare questa tecnologia verso una
specifica applicazione: la capacità del getto di perforare un pila di materiali
diversi, permette la creazione di un condotto attraverso il quale strumentazioni,
quali minuscole video camere o sensori acustici, possono essere facilmente
inserite e movimentate consentendo una migliore capacità di ricerca di eventuali
dispersi intrappolati nelle macerie.
Come già premesso, la forza di reazione che il getto esercita sulla superficie di
applicazione, è di piccola entità e nella maggior parte dei casi non dovrebbe
compromettere la stabilità del sistema; inoltre è preferibile prevedere dei controlli
sequenziali man mano che il getto avanza nei vari strati, per evitare rischi per
eventuali vittime intrappolate.
Per un sistema attrezzato a tale scopo è sufficiente essere forniti di una pompa
capace di erogare una pressione di 35 MPa e di generare un flusso di circa 35
l/min.
La pompa stessa, la riserva d’acqua, il serbatoi carburante ed i tutte le tubature
annesse sono fissate ed una base di supporto le cui dimensioni entrano
tranquillamente nel retro di un furgoncino.
Si prevedono in aggiunta, due serbatoi di riserva per il mantenimento della
pressione ai livelli richiesti, ed un piccolo serbatoio dove alloggia il materiale
abrasivo che viene inserito nel getto prima che questo raggiunga l’ugello.
Un sistema così attrezzato riesce a perforare senza problemi una sequenza di
lastre d’acciaio e di blocchi in calcestruzzo; in particolare la perforazione di una
parete in calcestruzzo armato spessa 30 cm richiede 2 minuti effettivi. Come si
vede in figura nessuna vibrazione indotta dalla perforazione, disturba la quiete di
un bicchiere colmo d’acqua posto sopra il blocco che viene perforato. La velocità
di avanzamento della trivellazione è inversamente proporzionale al diametro del
foro che si vuole realizzare, cioè più si procede velocemente, più piccolo sarà il
foro realizzato.
È abbastanza intuitivo pensare che l’abbinamento tra l’acqua stessa e la sua
capacità perforante, ben si adatta a risolvere anche le problematiche tipiche di un
incendio: lo spegnimento del fuoco e l’impossibilità di accesso diretto ai locali in
fiamme.
Incendi
Un esempio di applicazione della tecnologia dei getti d’acqua ad alta pressione in
casi d’incendio, la si può trovare in Svezia: nei piccoli villaggi la maggior parte
187
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
delle abitazioni sono costituite in legno, è dunque facile che si sviluppino incendi
(solitamente non di grossa importanza). Una società (la CCS Cobra) ha perciò
sviluppato un sistema di Cold Cutting che permette di trivellare mura o tetti degli
edifici in fiamme, e raggiungere, sempre con la stessa strumentazione, il cuore
dell’incendio, senza dover entrare direttamente nell’edificio, mettendo a rischio la
vita dell’operatore. Dunque il getto viene utilizzato per una doppia funzione:
trivellazione degli ostacoli e spegnimento delle fiamme.
Questo sistema si adatta bene per incendi di piccola portata, mentre non risulta
idoneo quando ci si trova di fronte a grossi carichi di incendio: questo non solo
perché il flusso d’acqua è comunque limitato, ma anche per un difetto intrinseco
di questa tecnologia: per perforare gli ostacoli si richiede una pressione di 35
MPa, la quale innalza il getto a velocità di circa 200 m/s; movendosi a questa
velocità l’acqua si trascina dietro, per effetto viscoso, dei considerevoli
movimenti d’aria, che, come effetto secondario vanno ad alimentare le fiamme.
Finché si tratta di piccoli incendi questo effetto collaterale non influisce molto, ma
non ci permette ancora di affrontare grossi carichi d’incendio.
Grandezze principali nella progettazione di un intervento
Per la scelta dell'utilizzo di un sistema di idrodemolizione è necessario prendere in
considerazione fondamentalmente due parametri: i tempi ed i costi, a loro volta
determinati dalla potenza in HP, portata e pressione.
Considerato che, statisticamente, per la demolizione con acqua si assume che
siano necessari circa 15.000/20.000 litri per 1.000 dm3 su calcestruzzi da minima
resistenza di Rck 30 kN/m2, possiamo dedurre il costo considerando che:
-
per un sistema manuale, è possibile impiegare unità da 17/25 litri/minuto a
150/200 HP (vista la reazione di spinta sostenibile dall’uomo addetto al
funzionamento);
-
in automatico, è possibile impiegare unità da 200/300 litri/minuto a 900/1200
HP. Va ricordato che è sulla base dello spessore del materiale da demolire che
si riscontra la validità delle diverse formule: quando, ad esempio, ci troviamo
di fronte a richieste di demolizione di spessori di alcuni cm, si possono
utilizzare sia sistemi manuali che automatici. Quando, invece, la richiesta
diventa di parecchie decine di cm, è opportuno considerare esclusivamente
l’impiego di sistemi automatici. Non è pensabile immaginare, infatti, che un
operatore utilizzi, per lunghi periodi di tempo e con una produttività costante,
la lancia manuale, condizione in cui si troverebbe ad operare nel caso in cui lo
spessore del materiale da demolire fosse particolarmente cospicuo.
I sistemi automatici, al contrario, consentono senz’altro la demolizione di grossi
spessori, pur dovendo peraltro tenere nella dovuta considerazione, le condizioni
logistiche per poter raggiungere le aree di intervento.
188
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
In questo senso, grande rilevanza assume la qualità, che può essere garantita solo
da quelle aziende che hanno sviluppato esperienze, investito nella ricerca di
soluzioni più efficaci, in modo tale da produrre dei macchinari “flessibili”,
adattabili, in grado di operare nelle condizioni più diverse.
Quando, ad esempio, la richiesta del committente è la demolizione superficiale di
alcuni cm. di spessore su ponti o gallerie, le soluzioni proponibili sono diverse,
manuali o automatiche; sarà il prezzo a determinare le regole della competizione.
Quando invece vengono richiesti spessori di parecchie decine di cm, come nel
caso di interventi di demolizione controllata, e la logistica del luogo in cui operare
permette l'utilizzo di un sistema automatico, come premesso, questa rappresenta
l'unica soluzione che si possa seriamente accettare.
Sintetizzando ciò che traspare dalle descrizioni fornite sinora, per la valutazione
dell’applicazione della tecnica dell’idrodemolizione più adatta, bisogna prendere
in considerazione:
-
la posizione logistica, cioè la difficoltà di raggiungere e muoversi all’interno
dell’area di intervento;
-
lo stato di consistenza del manufatto: ossia il livello di degrado raggiunto dal
materiale, e di conseguenza lo spessore di materiale da rimuovere.
Tempi, costi e tipologia di macchinari, sono tutte variabili dipendenti dalle
grandezze suddette.
Il reale problema, dunque, ciò che determina la bontà di una soluzione rispetto ad
un'altra, è lo spessore da raggiungere; un parametro determinante, nonostante se
spesso nei capitolati d’appalto venga sottovalutato: vengono utilizzate altre unità
di misura, come cm2 od i dm3.
L'esperienza acquisita dalle varie ditte nel corso degli anni permette di affermare
che l’idrodemolizione è una tecnica nell’ambito della quale, per ottenere una
produttività concorrenziale con le altre tecnologie sul mercato, è necessaria una
attenta valutazione della logistica delle opere su cui intervenire, l’elaborazione di
richieste chiare da parte dei committenti, e, soprattutto, una chiara distinzione tra
idrodemolizione controllata e idrodemolizione selettiva, che possono dare, a
seconda dei casi, risultati completamente diversi.
Si riporta in seguito una tabella riassuntiva, per una consultazione e lettura più
veloce delle principali caratteristiche della tecnologia di demolizione con acqua
ad alta pressione.
Demolizione con H2O: scheda riassuntiva
Descrizione:
-
Impiegando speciali pompe ad altissima pressione ed utilizzando anche la sola
acqua, è possibile dirigere i getti con particolari lance azionate manualmente o
189
Capitolo 2
Le Tecniche della Demolizione
sostenute da bracci meccanici
semplicemente irruvidire il cemento.
per
demolire,
tagliare,
scarificare,
o
Applicazioni:
-
Asportazione (scarifica) del
danneggiare i ferri di armatura;
cls.,
anche
per
notevoli
spessori
senza
-
Per bocciardature e irruvidimenti veloci di ampie superfici anche verticali;
-
Per la decontaminazione profonda di vasche e silos;
-
In lavori di idrosabbiatura ed idroerosione;
-
Scarifica profonda di impalcati di ponti, viadotti e strutture portanti in
cemento armato ammalorato per risarcimento con malte e resine;
-
Rettifica della sezione di gallerie, diaframmi,etc.;
-
Distacco di intonaci tenaci, residui da incendi, gomma da piste aeroportuali,
etc.
Vantaggi:
-
Mette a nudo il ferro di armatura senza intaccarlo;
-
Rapidità di esecuzione;
-
Assenza totale di vibrazioni sulla restante struttura.
-
Azione di intensità graduabile per distaccare la sola superficie ammalorata;
Rumorosità :
medio-alta.
Attrezzature:
-
Gruppi di potenza costituiti da pompe ad alta tecnologia che consentono di
raggiungere pressioni fino ad oltre 2.500 bar.
-
Lance azionate manualmente o con servosostegni
brandeggiati verticalmente o fatti scorrere su superfici piane.
-
L ’uso della sabbia aumenta il potere erosivo.
Motorizzazioni:
protetti
da
carter
in genere diesel con potenze di circa 700 Kw.
Personale necessario:
1 operatore specializzato + almeno 1 operaio qualificato.
Limitazioni:
-
Approvvigionamento e smaltimento dell’acqua.
-
Ampi spazi operativi sia per gli utilizzatori che per i gruppi di potenza e le
zone di rispetto.
-
L’uso delle lance manuali è limitato dalla possibilità di controllo delle forze di
reazione.
-
Grosse produzioni sono possibili solo con attrezzature adeguate e talvolta
appositamente realizzate per risolvere il problema specifico.
190
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
« VERBA VOLANT, EXEMPLA MANENT » - CASI
STUDIO
Il titolo stesso del presente paragrafo esprime compiutamente la necessità e la
motivazione che sta alla base del capitolo che seguirà.
L’obiettivo principale di questo capitolo, è di fornire degli esempi reali di
interazione tra scelta progettuale e condizioni al contorno, concretizzando tutti i
discorsi teorici trattati nei capitoli precedenti:
•
nel primo capitolo è stato fornito al progettista quel bagaglio culturale
necessario per la conoscenza delle problematiche che possono presentarsi
all’interno di una progettazione di un intervento di demolizione: una volta
dimostrata la necessità di un progetto che regoli una tale attività esecutiva,
questo è stato scomposto in tutti i suoi possibili fattori costitutivi, per
permettere la comprensione, e sviluppare una capacità di previsione, dei
possibili rischi di progetto; sono state inoltre definite e classificate le possibili
tipologie di interventi di demolizione, come premessa all’analisi delle singole
tecnologie, fatta nel secondo capitolo;
•
nel secondo capitolo sono stati quindi forniti al progettista, gli strumenti
pratici per effettuare una scelta progettuale, compatibilmente con tutti i
vincoli di progetto illustrati, ovvero è stata approfondita la conoscenza di tutte
le possibili tecniche di abbattimento, analizzando le loro caratteristiche e
limitazioni, sempre in funzione delle possibili condizioni contestuali.
Questo terzo capitolo rappresenta quindi un momento di sintesi dei capitoli
precedenti: attraverso i casi studio illustrati viene dato un esempio concreto di
interazione tra i possibili vincoli contestuali e le tecniche di abbattimento
utilizzabili (cioè scelte progettuali); gli esempi che seguiranno sono stati
selezionati in funzione di due obiettivi principali:
•
fornire un esempio per ogni metodologia di approccio alla demolizione
(abbattimento, totale, parziale, indifferenziato, selettivo etc. vedi par.
“Metodologie di Intervento”);
•
fornire degli esempi di progettazione di interventi complessi: la complessità
sta nella capacità del progettista di adattare il progetto a situazioni e
condizioni contestuali non ordinarie, e di modificare la proprie scelte il
funzione delle problematiche presentatesi nel corso dell’esecuzione (vedi
esempio dello smantellamento di una villa romana al Gianicolo); alcuni
esempi descrivono come le scelte progettuali più ottimali, sono state rese
possibili grazie a soluzioni che prevedevano l’uso integrato di tecniche
concettualmente diverse, operanti in parallelo (vedi esempio di demolizione
di un silos a Genova);
191
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
In questa sede si vuole cogliere l’occasione di sottolineare inoltre un altro
concetto importante: ossia capire quanto lo studio di esempi storici abbia
un’importanza, che spesso viene sottovalutata.
Come premesso più volte, il nostro obiettivo è l’ottimizzazione del progetto e la
conseguente razionalizzazione delle operazioni. È quindi necessario limitare il
più possibile quegli imprevisti di progetto che possono risultare dannosi ai fini
dell’ottenimento dei target (obiettivi) preposti; quindi tra tutti i fattori costitutivi
di un progetto, il fattore del rischio risulta essere quello da tenere maggiormente
sotto controllo; infatti, l’ultimo capitolo del presente testo tratterà essenzialmente
le metodologie di gestione del rischio.
Purtroppo la grande tragedia delle opere di ingegneria sta nel fatto che il rischio,
e molti dei conseguenti errori (o faults) che e derivano, potrebbero in verità
essere evitati, ed uno dei migliori mezzi per limitarli, viene spesso trascurato:
questo strumento per il miglioramento dell’affidabilità dell’ingegneria è lo studio
e l’analisi critica dei casi storici.
In verità, da sempre le migliori lezioni si imparano dall’analisi dei grandi errori,
ma un forte contributo di supporto al progettista può arrivare anche dall’analisi
degli iter progettuali di interventi reali, e dallo studio delle metodologie e
soluzioni adottate per la risoluzione di diverse situazioni problematiche.
Tra tutti le tipologie di rischi di progetto, il concetto di errore e la conoscenza
della sua esistenza, sono fattori fondamentali in qualsiasi iter pianificatorio,
infatti i migliori progetti sono quello concepiti nei termini di prevenzione del
fallimento (progettazione fault tolerant).
L’approccio che un progettista dovrebbe mantenere costantemente, è descritto
adeguatamente nelle seguenti parole di Lev Zetlin1), raffinato ingegnere
strutturale:
“gli ingegneri dovrebbero essere leggermente paranoici durante la fase di
progettazione. Dovrebbero considerare ed immaginarsi che l’impossibile
potrebbe verificarsi. Non dovrebbero avere un atteggiamento troppo
compiaciuto e sicuro, confidando che sia sufficiente attenersi ai requisiti
previsti dai manuali di progettazione per garantire la sicurezza e la solidità di
una struttura.”
Del resto la descrizione dello stesso atteggiamento è perfettamente descritto ed
auspicato anche dal Prof. Gavarini2), con le parole:
“Può sembrare retorico ma un buon Ingegnere deve conoscere la materia
profondamente ed affrontare i problemi sempre e comunque con attenzione ed
umiltà”.
Tra tutti i possibili rischi di progetto elencati, il fattore umano continua ad essere
quello che maggiormente impedisce all’affidabilità dei progetti di ingegneria, di
raggiungere i livelli in teoria alti che sarebbero resi possibili dai moderni
materiali e metodi di analisi. Nonostante possa sembrare che spesso l’errore sia
nascosto proprio all’interno della complessità delle nuove tecnologie, il noto
192
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
ingegnere geotecnico R.B. Peck3), collega del padre della geotecnica Karl
Terzaghi, afferma:
“nove casi su dieci di fallimenti verificatesi di recente non erano dovuti a
difetti della tecnologia, bensì a sviste che avrebbero potuto e dovuto essere
evitate; … i problemi sono essenzialmente non quantitativi, e le soluzioni
sono essenzialmente non numeriche”.
Quindi si può sicuramente affermare che capire la casistica storica, come e
perché siano stati commessi errori (faults) è un fattore fondamentale per aiutare il
progettista ad eliminare i difetti nei progetti futuri; maggiore è il numero dei casi
storici che un progettista conosce, più sarà facile riconoscere i modelli di
ragionamento errati e riflettere sui passi da evitare.
A questo punto, uno dei metodi più sicuri per scongiurare errori tecnici di
progettazione, potrebbe sembrare quello di adattare soluzioni storiche
comprovate e consolidate, ai nuovi problemi progettuali che si presentano di
volta in volta. Questo metodo di risoluzione di problemi progettuali, nasconde
però grandi pericoli che spesso vengono sottovalutati:
-
il primo rischio è che, se l’osservazione del mero risultato pratico possa far
sembrare la soluzione oramai consolidata, essa nasconda in verità degli errori
latenti che sarebbero venuti fuori alla prima condizione eccezionale; l’errore
sta nel mettere alla prova una soluzione, solamente tramite l’osservazione del
fenomeno fisico che la rappresenta, senza nessuna analisi dei concetti teorici
che stanno alla sua base. Citando una frase di Leonardo Da Vinci:
“quelli che s’innamoran di pratica senza scienza, sono come ‘l nocchiero,
ch’entra in naviglio senza timone o bussola che mai ha certezza di dove si
vada”;
-
il secondo rischio sta, in tutta la probabilità, proprio nella volontà di
adattamento di una soluzione ad una situazione progettuale per la quale
questa non è stata originariamente concepita. Pur supponendo la validità
totale di una soluzione (cioè mancanza di errori latenti) in una situazione,
qualora questa venga adattata ad un’altra situazione molto simile, nasce una
forte probabilità di errore: questi errori si concentrano maggiormente in quel
∆ di differenze tra la prima e la seconda situazione progettuale.
È chiaro che cambiando le condizioni di progetto, una soluzione precedentemente
valida può non risultare più tale: il rischio vero nasce qualora le due situazioni
sembrino molto simili. È allora che è necessario e fondamentale che il progettista
approfondisca e raffini la sua analisi delle condizioni di progetto, ricercando con
attenzione certosina (al limite del paranoico!) quelle piccole differenze
concettuali: all’interno di quelle differenze nascosto il nostro famigerato errore!
193
Capitolo 3
1)
“Verba Volant, Exempla Manent”
Lev Zetlin, Compilation of Lectures Presented at Various National Convenions,
Conferences, Seminars, Zetlin-Argo Structural Investigations, West Palm beach 1988 – tratto
dal testo “Gli errori degli Ingegneri” di Henry Petrovki.
2) Carlo Gavarini “Lezioni di Scienza delle Costruzioni” – Masson Editoriale Esa.
3) R.B. Peck “Where has all the Judgement gone?” – Norges Geotekniske Istitutt, Publjkasjon
134, 1981– tratto dal testo “Gli errori degli Ingegneri” di Henry Petrovki.
194
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
LE VELE DI SCAMPÌA A NAPOLI OVVERO IL
FALLIMENTO DELL'UTOPIA
Backgroud culturale
Le Vele di Scampía appartengono a pieno merito, almeno dal punto di vista
concettuale, alla tipologia di edifici che fanno riferimento a quell’idea di Unità di
Abitazione, nucleo autosufficente, comprensivo di tutti i servizi necessari; dal
punto di vista realizzativo invece, si vedrà, che per svariati motivi, non si è mai
riuscito a realizzare alcunchè al di fuori dell’edificio stesso, che è quindi rimasto
isolato da tutto ed incapace di fornire quel livello di confort che era stato previsto
in fase iniziale.
Più in generale, l'esperienza del Movimento Moderno e del Razionalismo scaduto
oramai a banale funzionalismo) si chiuse ufficialmente e secondo la storiografia,
con il CIAM di Otterlo del 1959.
Fu un episodio in particolare a decretarne la fine: la demolizione delle Unità di
Abitazione Pruitt lgoe-Housing del 1972 (confronta “The language of the
Post-Modern Architecture” di Charles Jencks).
Fu infatti un moto di insoddisfazione popolare a far saltare in aria a Saint Louis, i
super blocchi puristi realizzati tra il 1952 ed il 1955 dal progettista Minoru
Yamasaki, scatole abitative con allucinanti “strade interne”, lunghe, buie,
pericolose: un moto di ribellione dell'utenza, razionalmente non giustificabile, ma
umanamente comprensibile. Il tema è vasto e per la sua complessità coinvolge
l’urbanistica, l’architettura, la sociologia, ma anche la politica, l’igiene e l’ordine
pubblico.
A proposito della sua demolizione lo storico dell'architettura C. Jenks scrive:
“l’architettura moderna è morta il 15 luglio 1972 alle 15,32 a Saint Louis,
Missouri, nel momento in cui l’obbrobrioso complesso di Pruitt-Igoe ha ricevuto
il colpo di grazia con la dinamite”.
Il complesso in questione fu costruito nel 1956 con i fondi del programma postbellico americano: era costituito da 33 blocchi di 12 piani per un totale di quasi
tremila alloggi in cui abitavano circa 12.000 persone (vedi fig. 1).
L’idea progettuale riprendeva in svariati aspetti, i punti cardinali della visione
urbanistica di Le Corbusier: ritroviamo infatti una forte diminuzione dell’area
sfruttata (a favore dello spazio circostante) ottenuta grazie allo sviluppo ni altezza,
coem anche il discorso della mobilità pedonale separata del traffico quello
automobilistico; anche dal punto di vista distributivo funzionale, si ritroviamo un
uso massiccio di gallerie di comunicazione e di ascensori per la viabilità verticale.
Tutte le caratteristiche a suo tempo considerate innovative, quali i passaggi
coperti, gli ascensori, i giardini, le vie di comunicazione, ecc. si dimostrarono
purtroppo vere e proprie fonti di degenerazione sociale, pericolose per la maggior
parte degli abitanti stessi. Gli spazi comuni, per esempio, venivano accaparrati,
distrutti, oppure diventavano depositi di immondizia. Le famiglie che occupavano
piani ormai semi-abbandonati erano riuscite a separare il loro territorio e quindi a
195
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
renderlo privato e controllato, mentre gli spazi completamente abitati erano
diventati focolai di violenza e di vandalismi. Una contraddizione era
particolarmente più stridente: il super blocco di Pruitt-Igoe era nato di fronte a un
quartiere pre-esistente di case tradizionali a condominio, Carr Square Village:
costituito da strutture morfologicamente più basse, ma con lo stesso spazio procapite a disposizione, era abitato da abitanti radicati nel luogo ma con la stessa
tipologia sociale del vicino violentissimo quartiere: lì non era successo nulla di
straordinario durante tutto il tempo della costruzione, del declino e della
demolizione del mostro accanto.
Il complesso divenne anche economicamente insostenibile dato che il circolo
vizioso degrado-violenza non permise mai di giungere a un tasso di occupazione
superiore al 60% degli alloggi. Dopo aver speso milioni di dollari in interventi
ricostruttivi, in parcelle di assistenti sociali e urbanisti specializzati in convivenza
urbana, il comune lanciò un referendum tra gli abitanti che ebbe il seguente
risultato: “demolite il quartiere e dateci una casa normale”. Così fu fatto. Gli
artificieri piazzarono la dinamite, l’evento fu pubblicizzato al massimo e da esso
nacque una enorme produzione di letteratura specializzata (vedi fig. 2).
fig. 1 Hellmuth-Yamasaki, il quartiere di
Pruitt-Igoe, Saint Louis, Missouri.
fig. 2 La demolizione di Pruitt-Igoe.
Una storia estremamente simile è quella delle cosidette “Vele” di Scampìa per le
quali il film “Le occasioni di Rosa” di Piscicelli, risulta emblematico forse più di
ogni altra forma di descrizione dello stato delle cose nella desolante periferia di
Secondigliano. Disagio, alienazione urbana, conflittualità sociale, emarginazione,
precariato, disoccupazione, che comportano criminalità violenza, droga, sono i
fattori e le caratteristiche del luogo, da molto tempo narrati periodicamente nei
telegiornali.
Le Vele di Scampìa appartengono e documentano storicamente anche quel filone
del pensiero architettonico
196
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
conosciuto come tendenza
mega-strutturista che, nel
secondo dopoguerra e fino
agli anni ‘60, si sviluppò in
quasi
tutti
i
paesi
occidentali:
una
delle
caratteristiche principali di
questa corrente era senza
dubbio, una eccessiva fede
ed
idealizzazione
delle
nuove
possibilità
della
tecnologia, ai danni di un
qualsiasi altro contenuto
formale
dell’architettura:
la forma proposta dalla
struttura e dettata dalla
pura necessità, è stata
assurta a demiurgo e
sublimata
a
linguaggio
architettonico.
Un intervento analogo alle
Vele, sia dal punto di vista
concettuale che dal punto
di vista realizzativo, è
Planimentria generale del quartiere Scampìa
rappresentato in Italia dal Corviale (Sud-Est di Roma 1973-81) progettato e
diretto da un gruppo di architetti coordinati da Mario Fiorentino; trattasi di una
macrostruttura lunga circa un chilometro profonda 200 metri, per 8.500 abitanti su
nove piani, conprensivo di nuclei di servizi collettivi sistemati all’interno del
complesso stesso, nell’interstizio generato dalla composizione delle fasce
residenziali.
La nascita del progetto
Già il Piano Regolatore Generale del ‘39 di Piccinato prevedeva una grande zona
di espansione edilizia a nord del Parco di Capodimonte. Il Piano di Zona per
Napoli-Secondigliano fu redatto dal Comune di Napoli al sensi della legge 167/62
ed approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici il 25/08/65 al n° 2.440, anche se
con un ridimensionamento di superfici e di vani.
In un’area di circa 400 ettari, per 78.000 abitanti, poco distante dall'aeroporto di
Capodichino, fu previsto un grande insediamento di edilizia economica e
popolare. Furono così gettate le basi per la creazione di un rione ghetto, futura
fonte e sede di malessere sociale;
197
Capitolo 3
Con i suoi 110.000
abitanti, l’intero quartiere
di Scampía è la quarta
città della Campania,
dopo Napoli, Salerno,
Torre del Greco, e prima
di
Caserta,
Avellino,
Benevento. In pratica
però, essendo priva delle
più
elementari
infrastrutture
e
dei
servizi che la possano
rendere civile ed umana,
“Verba Volant, Exempla Manent”
fig.3 Plastico del progetto originario
risulta essere nulla più che una città dormitorio. Il progetto venne elaborato negli
anni ’72 -‘74 su incarico della Cassa per il Mezzogiorno da un gruppo di stimati
professionisti e docenti universitari (tra i quali Vincenzo Forino, Camillo
Gubitosi, Alberto Izzo, Nicola Pagliara, Aldo Loris Rossi, Raimondo Taranto)
coordinato dall’arch. Franz Di Salvo.
Descrizione morfologica
Le Vele (sette edifici contrassegnati con le lettere A-B-C-D-F-G-H) impegnano i
lotti “M” ed “L” per la costruzione di 6.453 vani (vedi planimentrie), pari a circa
1.192 alloggi, per circa 6.500 abitanti ed un indice di affollamento di un abitante
per vano. Nel progetto originario erano previste altresì attrezzature e servizi,
nuclei elementari di verde a forma triangolare, ciascuno di 700 metri quadri, collegati a percorsi e sistemi pedonali, giochi per i bimbi, attrezzature domestiche
all'interno dei vari “campi” destinati a servizi ed, ancora, una serie di “centri” di
vario tipo: scolastico, religioso, commerciale, culturale, sanitario. Il modello
spaziale, costituito da due blocchi paralleli “a gradoni” con collegamenti verticali
(blocchi scale-ascensori) ed orizzontali (strade ballatoio), è stato pubblicato su
rinomate riviste quali Casabella e l'Architecture D'Aujord'hui.
La morfologia pensata dai progettista Franz Di Salvo è quella di un edificio a
tenda, dal profilo a curva parabolica, e con struttura “a cavalletto”. Gli alloggi
affacciano verso l'interno con l'ingresso, i servizi, le cucine. Lo schema
distributivo generale è costituito da alloggi in linea, serviti da strade pensili e
contenuti entro unità di abitazione con assi longitudinali orientati secondo l'asse
Nord-Sud, per favorire le migliori condizioni di soleggiamento. Le strade pensili,
costituenti tutti i collegamenti orizzontali all’interno delle unità, confluiscono
verso ampi pianerottoli sui quali smontano lateralmente gli ascensori. Dalla strada
pensile si smistano scalette ad una sola rampa con un dislivello di 1,50 m.,
aggregando così - a grappolo - gli alloggi che si fronteggiano ad una di. stanza di
8,20 m (che nel progetto originario era di 10,80 m). L’altezza massima è di 45 m,
pari a 14 piani. Progettato pensando alla industrializzazione edilizia ed al
coordinamento dimensionale, ha alla base il modulo di 1,20 m, unità di misura
198
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
base, con una estrema flessibilità e duttilità, con i multipli ed i sottomultipli di
1,20 m. Il modulo scandisce sia la maglia strutturale (tre moduli da 1,20 = 3,60;
sei moduli da 1,20 = 7,20, ottimale per la prefabbricazione) che quella funzionale,
le distribuzioni interne, le dimensioni dei vani (3,60 x 3,60), dei corridoi interni,
delle scale, ecc.
La situazione attuale
Oggi, a trent’anni dalla loro costruzione, il caso delle Vele di Scampìa esplode in
tutta la sua drammaticità. Il luogo dell’utopia, del sogno e del riscatto sociale, è
divenuto luogo di abbandono, degrado sociale ed economico, micro-delinquenza
ed organizzazioni a delinquere, droga, prostituzione, emarginazione sociale. Su
questo tema, da molto tempo è acceso un dibattito vivissimo, all’interno della
città, tra utenti, cittadini, politici, amministratori, tecnici, progettisti, intellettuali
ed uomini di cultura: da questo dibattito emergono essenzialme te due opposte
posizioni che rappresentano relativamente dei diversi approcci alla risoluzione di
un problema: da una parte c’è la posizine favorevole ad una demolizione totale,
per far posto a nuove e più “umane” abitazioni, portata avanti dai comitati di
quartiere, intellettuali ma anche associazioni sindacati, partiti politici e settori
dell’arco costituzionale del Consiglio Comunale di Napoli; dall’altra parte si
oppone un approccio che tende salvare ciò che viene ritenuto una originale
testimonianza di una esperienza progettuale e culturale, partita dall’Assise di
Palazzo Marigliano.
fig. 4 Planimetria del lotto edificato
Una posizione intermedia è invece quella che propone di demolire solo alcune
delle suddette Vele, e di lasciarne altre in sito, prevedendo per esse un radicale
cambio di destinazione d’uso
199
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Dall’ idea iniziale alla realizzazione
Come sottolinea il Prof. E. Sicignano in un suo articolo, non è possibile
condannare senza distinzioni l’idea e la mentalità, che a suo tempo ha portato alla
concezione delle Vele: è necessario in primo luogo analizzare con maggior
dettaglio le cause che hanno comportato ciò che è stato un eclatante fallimento.
L’analisi deve avvenire attraverso diverse angolazioni, che dovranno svolgersi
sviscerando i seguenti aspetti del problema:
-
Concezione strutturale ed effettiva realizzazione;
-
Linguaggio architettonico-compositivo;
-
Backgrund sociale;
-
Aspetti economici ed analisi costi-benefici;
Dal punto di vista strutturale, vi è una differenza sostanziale tra l’opera che
risulta realizzarta, e la concezione primigenea del progetto di Franz Di Salvo.
L’originaria struttura a cavalletto, immaginata prefabbricata, era stata calcolata da
uno dei più grandi ed insigni strutturisti italiani e di questo secolo, Riccardo
Morandi; dopo la costruzione della prima Vela realizzata a perfetta regola d’arte,
l’impresa che aveva appaltato i lavori nel 1976, fallì e si decise di demolire la
struttura campione, che, nonostante fosse fedele al progetto Di Salvo-Morandi, fu
ritenuta eccessivamente costosa.
L’impresa fu dunque sostituita, cosìcome la concezione strutturale: si optò per una
tradizionale struttura trilitica di luce 3,60 m al 1° ordine, successivamente di luce
7,20 m per quelli successivi, con un sistema di prefabbricazione a tunnel, che
comportava l’inglobamento nel getto di calcestruzzo delle reti e degli impianti
tecnologici.
È necessario tra l’altro elencare cosa è accaduto in concreto dal punto di vista
dell’amministrazione: nel maggio dell’80 il Comune di Napoli, pressato da una
fortissima spinta sociale, assegnò una gran parte di alloggi, benché privi degli
indispensabili allacciamenti ai servizi pubblici (acquedotto e fognatura comunale,
gas, luce) con danni e disagi allora accettati e mitigati dalla priorità
dell’assegnazione dell’alloggio, con allacciamenti precari rimasti tali fino ad oggi.
Dopo il terremoto dello stesso anno ‘80, senza attendere nessuna graduatoria, si
verificò un’ondata di occupazioni abusive ed ancora un’altra nell’82, la quale,
oltre a saturare ogni e qualsiasi disponibilità di alloggi, trasformò fisicamente gli
spazi architettonici: i piani porticati divennero abitazioni di fortuna, creando
superfetazioni e nuove baracche all’interno di un’opera di architettura moderna.
Si riportano di seguito le principali conseguenze negative causate da alcune
sostanziali modifiche apportate all’idea iniziale.
Nessuna delle infrastrutture ed opere di pubblico interesse, servizi, ecc., è stata
mai realizzata, tranne la caserma dei carabinieri (quest’ultima al posto dell’ultimo
corpo del lotto “M”, isolando interamente il quartiere);
Dal punto di vista distributivo, la modifica apportata al sistema costruttivo ed alla
struttura originale di Riccardo Morandi con la interposizione di setti, ha negato
200
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
quella libertà di pianta, distributiva, funzionale e compositiva pensata da Di
Salvo; anche l’illuminazione degli spazi interni, ha subito sensibili
danneggiamenti a causa di alcune modifiche apportate dalle imprese, quali
l’avvicinamento dei corpi di fabbrica da 10,80 ad 8,42 metri, e la loro connesione
attraverso l’uso di strade pensili, non più leggere e trasparenti; non meno dannosa
è stata la variazione apportata al profilo delle vele, trasformato da parabola in uno
ziggurat, così come la chiusura delle facciate, che hanno inciso negativamente
sulla forma e nuovamente sulla illuminazione degli spazi interni;
Parallelamente, un’enorme sovraffollamento degli alloggi ha snaturato gli
originari corretti rapporti abitante-vano, sottolineato da alcuen scelte
“volumetriche che hanno portato alla trasformazione delle “torri” in “vele”, e
dalla mancata costruzione dell’ultima “vela” (al cui posto è stata realizzata la già
menzionata caserma dei carabinieri); la mancata realizzazione delle aree comuni,
ogni sei piani, in corrispondenza delle scale, di uso comune per servizi ed
attrezzature varie, nonché la eliminazione delle piastre degli atri, la rete dei
percorsi pedonali, le aree per il gioco dei bambini, le aree di sosta e di attesa dei
mezzi pubblici, ha profondamente e negativamente inciso sulla qualità della vita
di relazione;
Il tutto è stato coronato dalla mancanza assoluta di ogni e qualsiasi forma di
manutenzione di opere fortemente usurate, cosa che ha contribuito non poco a
radicalizzare una situazione già fortemente critica;
Le provenienze di questa popolazione sono per al gran parte dal centro antico e
storico della città, dai quartieri Sanità, San Carlo all’Arena, ma anche dalle
201
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
baraccopoli di San Giovanni a Teduccio. Una popolazione, dunque, monoclasse in
larga misura disoccupata, proletariato, sottoproletariato anche se con
modestissime fasce di livello impiegatizio e terziario che non conosce
l’integrazione sociale. Totalmente assente è il tessuto artigianale e produttivo oltre
che uffici e servizi comunali. Carenti le misure sanitarie e di igiene pubblica, la
pulizia sistematica e quotidiana di tutte le parti condominiali e pubbliche, il non
funzionamento degli ascensori (dei quali furono rubati, fin dall'inizio, da ignoti,
funi, motori, smantellate le cabine ed i cavedi riempiti di ogni sorta di rifiuti). Da
qui le enormi difficoltà di accedere al piani alti, fino al quattordicesimo piano,
vere e proprie barriere architettoniche per persone anziane e portatori di handicap.
È divenuta allora una necessità la dotazione e l’installazione al di fuori dei balconi
di carrucole da muratori, montacarichi a motore (per qualcuno meno povero) per
trasferire al piani alti gli approvvigionamenti quotidiani. Scene di un mondo che
doveva essere primo, sulla carta, nella carica utopistica della originaria idea
progettuale di Di Salvo, ma che è oltre e fuori il terzo mondo per come così oggi
miseramente appare. Così le “colline artificiali”, la rivisitazione dell’idea della
città antica integrata e condensata, la memoria del vicolo di Napoli con le sue luci
e le sue ombre, lo spazio stretto di relazione, si sono trasformati in una grande
trappola. Il portico, l’atrio, la scala, sono divenuti luoghi di pericolo, nuove
carceri piranesiane, dove, nella penombra di ogni angolo, la microcriminalità può
agire indisturbata.
Così molta gente prova rimpianto per i tempi passati nei quartieri del centro antico
ove la vita, pure svolta in un basso o in un buio monolocale, certamente però
avveniva in un tessuto sociale più omogeneo e compatto, ove le relazioni
interpersonali si svolgevano in uno spazio prossemico noto e controllato. Questa
diffusa condizione di malessere e di ripulsa per il proprio ambiente di vita,
generata da uno spazio che ha la capacità di modificare e determinare i
comportamenti degli individui che ospita, genera a sua volta delinquenza.
Il fallimento dell'Unità di Abitazione di Marsiglia di Le Corbusier, rimasta
prototipo, così come il fallimento delle Vele di Scampía rappresentano la
disgregazione dell'ideologia e della politica dello zooning, della città considerata
come insieme di funzioni separate anche se poste in luoghi vicini. La città antica,
invece, garantiva l’integrazione sociale ed economica, aggregando negli stessi
luoghi realtà di estrazioni diverse, anche culturali, oltre che sociali ed
economiche.
202
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Dopo un accesissimo dibattito, che dura
oramai da anni, che ha visto scendere in
campo perfino alte autorità civili e religiose,
l’iniziale progetto di demolizione di tutte le
sette Vele è stato rivisto. Recentemente il
Consiglio Comunale di Napoli ha deliberato,
nella Variante Nord al Piano Regolatore
Generale, la demolizione di solo due delle
Vele, prevedendo un nuovo quartiere residenziale per i “velisti” e destinando le Vele
attuali a funzioni di tipo terziario, quali un
polo universitario per lo studio dette
bio-tecnologie e della criminalità organizzata,
sede
della
Protezione
Civile,
teatri,
discoteche, bar, ristoranti.
D’altra parte, trattandosi di interventi sulla
“res pubblica” non si può prescindere da
alcune considerazioni di tipo economico e
Particolare della testata di una Vela
delle analisi costi-benefici: nonostante tutto
quanto si è detto in termini di degrado, malessere e vandalismo, occorre pure
ribadire che il valore di mercato delle Vele è dell’ordine delle decine di miliardi;
in ogni caso un bene della collettività.
Parlare quindi di demolizione tout court significa mettere in conto oltre il valore
di mercato, anche i notevoli costi delle demolizioni e dei trasporti a rifiuto dei
materiali di risulta, i costi per la costruzione dei nuovi alloggi, i costi sociali - non
economici - dei lunghi tempi del cantiere. D’altra parte se fosse passata per intero
la tesi della demolizione totale, per analogia, si sarebbe dovuto fare altrettanto, per
eliminare un malessere sociale, per lo Zen a Palermo, il Corviale a Roma e l’Unità
di Abitazione a Marsiglia.
Qui invece la sociologia urbana è intervenuta proponendo una terapia mirata,
rivolta innanzitutto al recupero sociale e poi quindi al recupero architettonico ed
ambientale dell’intero quartiere. Fermate la dinamite, il tritolo e le ruspe si può
pensare a riqualificare l'esistente, riducendo il sovraffollamento abitativo, creando
nuove residenze ma anche gli attesi servizi sociali, le infrastrutture, la Protezione
Civile, l’Università nonché una struttura tecnico-amministrativa di gestione e
manutenzione continua per il riscatto di questa sfortunata periferia. La
demolizione è parte integrante, anche concettuale, del processo stesso di
costruzione: demolire per costruire, demolire per ricostruire, demolire per
rigenerare le città, così come la storia ci insegna ed anche le moderne e
contemporanee (soprattutto straniere) esperienze ci testimoniano. Demolire sì,
quando serve; ma la demolizione non può rappresentare solo la “estrema ratio” e
la vittima da sacrificare sull'altare della pacificazione sociale, del “mettere a posto
le nostre coscienze”, né surrogare l'esorcismo di un male tanto noto quanto ignoto,
da debellare in altri tempi ed in altre sedi.
203
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
204
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
ESPERIENZA DI DEMOLIZIONE COMBINATA DI UN
FABBRICATO IN C.A. IN AMBITO URBANO - la vela H
di Scampia a Napoli
Premessa
La seguente relazione illustra un’esperienza di demolizione di un fabbricato di
grandi dimensioni in un contesto urbano, che la nuova amministrazione comunale
della città di Napoli sta conducendo in questi mesi.
Sulla scorta delle demolizioni dei complessi denominati Vele F e G, eseguite in
località Scampia alle porte di Napoli, l’ufficio Programma di Riqualificazione
Urbana di Scampia del Comune di Napoli, ha inteso proseguire nell’opera di
dismissione dei complessi di residenziali – non più in grado di assolvere alla loro
funzione abitativa - e di sostituzione delle stesse, con nuove strutture più
adeguate alla risocializzazione ed al recupero dell’intero quartiere (nel paragrafo
precedente è stata illustrata nel dettaglio la storia di questi fabbricati, analizzati
anche dal punto di vista costruttivo e strutturale).
Questo utilissimo esempio ha la qualità di esporre un intervento di demolizione,
da eseguire in un’area alquanto urbanizzata: questa caratteristica in particolare,
ha fortemente influenzato la scelta della tecnologia di demolizione, che quindi
non è stata presa in base a motivi di ordine economico, tempistico od in base alla
capacità delle imprese appaltatrici (che spesso vengono scelte a prescindere dalle
loro effettive capacità).
Ubicazione del fabbricato
Dal punto di vista urbanistico la struttura ricade in un lotto abbastanza
urbanizzato, tra via Labriola ed il Viale della Resistenza. Disposto con l’asse
maggiore lungo la direttrice Nord-Sud, il fabbricato presenta un’ampia area libera
sul fronte Ovest (quello liberato dalla demolizione degli altri edifici, denominati
“vele”), mentre sui fronti Nord e Sud, due ampie strade costeggiano il lotto di
intervento.
Diversa la situazione sul fronte Est; qui l’area di impronta del fabbricato
costeggia un lotto edificato dove sorgono due complessi scolastici: la scuola
elementare statale E. Montale con accesso dal Viale della Resistenza e la scuola
media statale don Guanella, con accesso dall via Labriola.
Su questo fronte il fabbricato, nel suo punto più esterno, dista dalla scuola don
Guanella di soli 15,00 m circa.
La struttura da demolire occupa nel suo complesso, circa 65.000 mc. v.p.p.
205
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
La concezione strutturale
Il complesso, realizzato tutto in calcestruzzo armato gettato in opera, a meno
delle rampe del corpo scala che sono in elementi prefabbricati, presenta una
forma in pianta ad H, con le quattro ali parallele, leggermente sfalsate
longitudinalmente fra loro, collegate nella parte centrale dal robusto corpo scala.
Lateralmente al corpo scala, le ali sono separate da una intercapedine di circa
9,50 m; passerelle in struttura mista acciaio-calcestruzzo collegano tra loro i corpi
opposti; le strutture di connessione sono presenti a quote sfalsate rispetto a quelle
degli alloggi ed hanno interpiano doppio. Strutturalmente esse sono
semplicemente appoggiate alle strutture verticali.
Le due intercapedini presentano piani di calpestio ribassati rispetto alla quota
della strada circostante; tali piani di calpestio sono tra loro sfalsati in altezza.
I prospetti dell'edificio presentano altezza variabile da un minimo di 15,15 m
nelle parti più basse (altezza riferita alla quota del fossato) ad un massimo nella
parte centrale di 48,15 m (anche tale altezza è valutata a partire dalla quota del
fossato).
Le ali erano destinate funzionalmente ad alloggi per tutti i piani, tranne i primi
due che avevano funzione di cantinole e locali deposito; la struttura di tali volumi
è costituita da una fitta trama di setti portanti verticali in cls., dello spessore di
0,14 m, posti ad interasse dì 3,60 m (larghezza del modulo unitario tipo del
fabbricato) gli impalcati sono realizzati con solette piene in c.a. dello spessore di
0,12 m; l’interpiano ha altezza di circa 3,00 m.
La larghezza di ciascuna ala è di 8,50 m interni, cui si aggiungono 1,20 m di
balconi esterni; verso l’interno non sempre sono presenti sbalzi, quando questi
sono presenti, hanno larghezza pari ad 1,00 m. I primi due livelli non presentano
la stessa tipologia strutturale a “tunnel”, ma un sistema ripetitivo di portali
206
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
semplici di luce pari a 7,70 m. e posti ad interasse di 3,60 m., i pilastri di questi
due livelli pilotis hanno dimensione 0,40 x 1,40 m.
Il corpo scale centrale, invece, è costituito da una torre autoportante di notevoli
dimensioni ed impostata su solide pilastrate. Il corpo scala, a meno dei primi due
livelli, è verticalmente giuntato dai quattro corpi alloggio; orizzontalmente
invece, sono presenti degli elementi in c.a. di collegamento tra i corpi.
Tale struttura centrale, pur essendo costituita da un doppio filare di telai, presenta
sezioni trasversali fortemente connesse a causa della distribuzione di travi su
piani sfalsati, di una doppia serie di rampe prefabbricate e di solai di sbarco
impostati su un doppio interpiano.
La scelta della tecnica
La scelta della tecnica di demolizione e del relativo procedimento da utilizzare,
ha dovuto tener conto dei seguenti punti, e solo in seguito, è stato approvato:
-
la presenza di altri edifici così prossimi ai volumi da demolire;
-
la particolare concezione strutturale (elevata rigidezza) del fabbricato da
demolire;
-
la necessità di ridurre comunque al minimo i tempi di esecuzione ed i disagi
alla zona ed agli utenti delle due scuole adiacenti.
Si è dunque deciso di portare avanti, quasi parallelamente, due differenti tecniche
di demolizione: una prima che fa ricorso all’utilizzo di macchine speciali dotate
di bracci telescopici snodabili, armati di idonei utensili per la frantumazione degli
elementi lapidei e per il taglio delle strutture in acciaio, ed una seconda basata
sull’abbattimento dei volumi di altezza maggiore per mezzo di microcariche
esplosive opportunamente posizionate.
In particolare il progetto di demolizione riprende quello felicemente concluso nel
febbraio 2000 e relativo all’edificio denominato Vela H: infatti la pressoché
identica concezione strutturale dei due fabbricati, una distribuzione dei volumi
alquanto simile, una posizione sul territorio identica essendo i due lotti affiancati,
e, soprattutto, l’esperienza precedente di doppia tecnica di demolizione, hanno
consigliato di ripetere le scelte e le tecniche di abbattimento che hanno assicurato
quel successo.
Quindi l’utilizzo di un procedimento di demolizione controllata applicato ai corpi
bassi, prossimi agli edifici da mantenere, ha garantito alla committenza la
maggior sicurezza di non intaccare le adiacenze, mentre l’ampio spazio a
disposizione sul fronte Ovest ha invece consentito, con la massima sicurezza,
l’abbattimento dei volumi più alti, a mezzo delle cariche esplosive.
Durante la fase propedeutica al brillamento sono stati effettuati sopralluoghi sullo
stato di fatto delle strutture dei fabbricati più vicini, mentre un monitoraggio
strumentale di tali strutture sarà condotto durante la fase di brillamento al fine di
valutare gli effetti dovuti alle detonazioni ed all’impatto al suolo dei volumi da
abbattere.
207
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
La presente relazione riferisce su tutte le prescrizioni, le tecniche e gli
apprestamenti progettati al fine di consentire una definizione compiuta dell'opera
di demolizione, incluse le indicazioni di sicurezza, rese necessarie dai forti
indebolimenti che si sono dovuti arrecare alla struttura al fine di favorire il
meccanismo di crollo ipotizzato, agli accertament preventivi ed ai monitoraggi
richiesti per le strutture strettamente limitrofe al fine di consentire una verifica
delle strutture dopo il crollo.
Il progetto di demolizione
La demolizione con le macchine.
I volumi più bassi costituiscono circa il 15% dell’intera cubatura dei fabbricato
(10,250 mc v.p.p ). Per essi la scelta di ricorrere alle macchine demolitrici deriva
da più di una ragione.
Una prima motivazione che ne ha sconsigliato la demolizione congiunta agli altri
volumi a mezzo di esplosivo, è dovuta alla ridotta altezza di questi corpi. Infatti,
come meglio si dirà nel prossimo paragrafo, lo schema di crollo cui si fa
affidamento per i corpi alti non è quello di disgregazione della struttura per
effetto di una implosione, ma, data la forte rigidezza strutturale di questi volumi,
il crollo viene innescato a mezzo di ribaltamento dei volumi alti (trattati appunto
come corpi rigidi).
Per poter innescare questo “ribaltamento” e per poter rendere fortemente
evolutivo il primo squilibrio che si ha per effetto della esplosione, è necessario
avere un carico molto forte ed un baricentro dei pesi totali molto alto. La limitata
altezza delle parti di estremità dei corpi non garantisce pienamente circa il
verificarsi di queste due condizioni.
Come già accennato, l’altra motivazione che ha fatto propendere per la scelta
meccanica è stata quella delle notevole vicinanza di tali corpi, per lo meno nella
zona di Sud Est dei fabbricato, ad un edificio esistente; si è preferito allora
ricorrere a dei mezzi che, seppur più lenti, potessero operare con maggiore
controllo durante la demolizione.
Da non trascurare è anche il fatto che riducendo i volumi da abbattere con
l’esplosivo si riducono anche le masse coinvolte nel crollo istantaneo con
riduzione della forza di impatto al suolo e delle vibrazioni indotte; ciò in
considerazione di edifici così vicini, non può essere che un vantaggio!
I mezzi meccanici con i quali si prevede di intervenire sono le moderne macchine
demolitrici dotate di pinze e cesoie, capaci di modulare le potenza di
frantumazione e di assicurare, tanto il taglio degli elementi in acciaio, quanto la
macinazione delle parti in calcestruzzo.
Tali macchine, che forniscono anche sul piano della sicurezza di intervento la
massima garanzia, grazie ala possibilità di operare anche attraverso dei
208
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
radiocomandi, hanno un notevole rendimento ed una velocità di esecuzione quasi
sorprendente: si è arrivati anche a produttività di 40/50 mc/h (cubatura v.p.p.).
Per quanto riguarda i tempi ed i modi di tale demolizione, la tipologia e la
disposizione del cantiere hanno favorito il ricorso all’utilizzo contemporaneo di
almeno due macchine, senza cha queste abbiano mai avuto sovrapposizioni od
interferenze pericolose per le normali attività del cantiere.
Inoltre per motivi di sicurezza si è fatto in modo che le macchine operassero
sempre dalle strade carrabili che fiancheggiano longitudinalmente il fabbricato.
L’altezza dei corpi da demolire con i mezzi meccanici, e la distanza del punto di
stallo della macchina, hanno spinto verso l’utilizzazione di mezzi dotati di
braccio snodabile di lunghezza tra i 20 ed i 25 m.; i circa 25 giorni di lavoro per
tale demolizione hanno confermato i rendimenti orari previsti e di cui si è detto.
La demolizione con esplosivo.
Per la parte centrale dei fabbricato, costituita dal corpo scala e dai quattro volumi
alloggio residui alla demolizione controllata con macchine, (per un totale di circa
52,250 mc v.p.p.) è prevista in prima fase, una demolizione ottenuta con l’uso di
microcariche esplosive, ed in seconda fase, una demolizione meccanica, per i
volumi abbattuti ed oramai “attaccabili” con gl’usuali mezzi meccanici.
Una volta decisa la tecnologia da utilizzare per la demolizione del suddetto
corpo, ci si trova davanti alla scelta di quale tipologia di collasso generare
attraverso l’esplosivo; solitamente, per edifici che superano una certa altezza,
risulta più semplice e conveniente nei confronti del contesto, generare un
cinematismo di rottura che porti all’implosione della struttura su se stessa (per i
dettagli del procedimento, vedere par. “Classificazione dei cinematismi di
rottura”): con il livello di affinamento odierno di questa tecnica, è possibile far
collassare un edificio in pieno centro urbano, senza minimamente danneggiare le
strutture adiacenti; persino il problema dello shock dinamico creato dall’impatto
al suolo delle strutture demolite, è oggi alleviato grazie alla possibilità di
frantumare gli elementi costruttivi in piccoli frammenti ancor prima che tocchino
il suolo: ciò si ottiene maggiorando il numero di cariche applicate e
minimizzando contemporanamente la loro potenza esplosiva.
Nel caso analizzato però, pur essendo la struttura sufficientemente alta, la stessa
si presentava nel suo complesso estremamente rigida: i corpi alloggio, erano
realizzati mediante una struttura a tunnel con setti orizzontali e verticali
fortemente armati e strettamente vincolati tra loro, mentre il corpo scala era
invece costituito da una struttura intelaiata spaziale i cui livelli erano collegati da
grosse travi fuori piano; infine i volumi centrali si presentavano tutti fortemente
connessi tra loro e tali da creare una struttura spaziale assolutamente monolitica e
molto poco vulnerabile.
Tale specificità strutturale ha imposto un meccanismo di crollo differente da
quello cui si ricorrerebbe usualmente per strutture intelaiate, anche di notevoli
dimensioni ed altezze.
209
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
L'unico meccanismo che si poteva quindi ipotizzare era quello dell'innesco di un
“ribaltamento” della struttura intorno all’asse longitudinale di appoggio di uno
dei due prospetti.
DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVO
Fase 1: brillamento
Fase 2: demolizione con macchine del corpo ribaltato
I corpi costituenti il volume da demolire (i quattro corpi alloggio ed il corpo
scala) vengono considerati indipendenti per quanto riguarda il meccanismo di
crollo; le masse pressoché uguali dei quattro volumi laterali e quella dei corpo
scala verranno poste in movimento a mezzo di cariche dimensionate come se i
corpi fossero completamente indipendenti.
Durante la fase propedeutica alla esplosione la maggior parte dei possibili legami
trasversali tra i blocchi sono stati preliminarmente eliminati;,alcuni elementi, che
sono stati mantenuti nonostante tutto, sono stati valutati non rilevanti al punto
tale da costutuire un ostacolo alla caduta dei corpi, avendo scelto per tutti i corpi
un unico indirizzo di caduta.
Come è stato spiegato in precedenza, all’interno di un organismo edilizio,
risultanno particolarmente fastidiosi alla caduta, quei componenti particolarmente
“tozzi”, che rapresentano una concentrazione di rigidezza; infatti, un elemento
fondamentale nella riuscita della demolizione, è il ribaltamento del corpo scala: si
è quindi scelto di anticipare, seppur nell’ordine di microtempi, l’innesco della
detonazione delle microcariche dei pilastri di detto blocco, rispetto a quella degli
altri elementi minati; l’obiettivo era quello di sfruttare la forte inerzia di tale
massa,in modo tale da favorire il movimento del resto dello scheletro facendolo
trascinare dal movimento anticipato del corpo scala.
Il meccanismo di rotazione di tale corpo centrale prevede la formazione di
cerniere al piede dei due pilastri posteriori, adeguatamente indeboliti nelle loro
armature, a mezzo di tagli localizzati nelle zone che, in fase di caduta
risulteranno tese. Per assicurare la fuoriuscita della risultante dei carichi dal
baricentro, si realizzerà una area di carica di notevoli dimensioni che prevede, per
i pilastri esterni nel senso di caduta, il brillamento di quattro livelli.
La presenza della struttura portante dell’ascensore comporta che per quattro piani
anch’esso venga minato dopo averne indebolito le parti strutturali con i suddetti
210
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
tagli a “bocca di lupo”, per assicurare che tale struttura, posta nella zona centrale
del corpo scala, non costituisca un puntone al ribaltamento dei volumi retrostante,
opponendosi ad esso.
Oltre alla questione dei corpi scala, si è scoperta nei corpi alloggio, in luogo di
normali pilastri, la presenza dei setti verticali di larghezza pari ai corpi da
abbattere,: questo ha reso, se possibile,ancora più difficile la disposizione delle
cariche.
Si è pensato, quindi, di modificare sensibilmente anche qui lo schema statico, per
favorire il meccanismo di crollo, passando quindi, da una struttura a setti portanti,
ad una struttura a pilastri e travi.
È stata, quindi, condotta un’ampia opera di indebolimento di tali pareti con tagli
verticali ed orizzontali. In questo modo si sono trasformate le pareti in dei veri e
propri portali su tre ritti, i primi due dei quali, quelli disposti nel verso di caduta,
saranno opportunamente minati.
I tagli dei
portanti
individuano
portali
facilitano
realizzazione
meccanismo
ribaltamento.
setti
dei
che
la
dei
di
Il secondo taglio, opposto alla direzione di ribaltamento, è stato conformato a
triangolo per ridurre la superficie di intervento.Questa “trasformazione” delle
strutture portanti verticali dei volumi alloggio da setti a pilastrate, ha comportato
particolari precauzioni in fase esecutiva, in particolare per evitare di indurre nella
struttura bruschi impatti e vibrazioni nella fase della loro eliminazione;
naturalmente, tantopiù si è prestato attenzione in fase progettuale, avendo
fortemente modificato lo schema statico: è stata quindi richiesta una vera e
propria verifica della nuova struttura, creata in seguito ai vari tagli.
Le dimensioni minime dei puntoni che verranno a costituirsi dopo i tagli, sono
frutto di una valutazione delle sollecitazioni che graveranno sulle parti residue in
c.a.
I livelli interessati dagli indebolimenti e per i quali è previsto il posizionamento
delle microcariche sono i primi due ed il quarto delle struttura modulare. Per i
primi due livelli dei corpi alloggio - quelli con struttura portante in pilastri e travi
- è previsto il caricamento dei pilastri presenti prossimi al verso di caduta, oltre
all’indebolimento delle sezioni di quelli opposti.
Altri indebolimenti sono stati previsti per tutti i piani da minare e consistono
nella demolizione di tutti i pannelli non portanti di tamponatura, sempre al fine di
211
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
evitare qualsiasi fenomeno che possa ostacolare la caduta dei volumi dopo il
brillamento.
Per tutti i piani è
prevista la
demolizione degli
elementi di finitura non
portanti.
Le verifiche ed i monitoraggi strutturali durante la fase di
indebolimento.
Come detto, per poter favorire il meccanismo di crollo per “ribaltamento” dei
corpi laterali, è stato necessario eseguire, sulle strutture portanti verticali, degli
indebolimenti da realizzarsi attraverso dei tagli, essenzialmente di due tipologie:
1) di piccola profondità, finalizzate al solo taglio delle armature che, in fase di
crollo risulterebbero tese;
2) tagli passanti, finalizzati a realizzare, in luogo del setto, un sistema a portale.
È chiaro che tali indebolimenti inducono, nelle residue strutture portanti una
alterazione del preesistente stato di sollecitazione che deve essere contenuto entro
limiti accettabili per le sezioni residue, al fine fondamentale di garantire la
sicurezza alle lavorazioni precedenti alla fase di esplosione.
Carichi considerati:
I carichi considerati durante la fase di calcolo, sono quelli dovuti al peso proprio
delle strutture e della sovrastruttura, tuttora presente sullo scheletro, mentre non
sono evidentemente portati in conto i sovraccarichi accidentali. Il calcolo è stato
eseguito per le sole azioni verticali non tenendo conto eventuali azioni da sisma o
vento, in considerazione della ridotta fase temporale in cui tali strutture ridotte
dovranno essere in esercizio.
212
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Numero di piani totali:
15
Carico totale alla base del pannello
N tot = N piano × 15 = 29,75 × 15 = 446,25 t
Tensione di compressione alla base del pannello:
σ c = N tot / A = 446,25 /(8,60 × 0,14) = 370,63 t m = 37,06 kg/cm2
2
Stato tensionale successivo agli indebolimenti:
Gli indebolimenti comporteranno, in ciascun setto, due aperture della larghezza
di 1,80 m. Ciò impone che, a seguito di tali operazioni, la larghezza della sezione
complessiva, resistente a compressione di ciascuna parete, sarà pari a 5,00 m ( =
8,60 - 1,60 x 2).
Avendo scelto di realizzare i due ritti esterni pari a 1,50 ed uno centrale di 2,00 m
si può ritenere che ciascuno dei setti laterali, nell’ipotesi di schema cautelativo di
trave continua su tre appoggi, dovrà assorbire un carico pari a:
Pest = 0,25 × N tot = 116,60 t
mentre per il setto centrale si avrà un maggiore sforzo, pari a:
Pcent = 0,5 × N tot = 233,12 t
le relative tensioni normali saranno:
σ est = Pest / Aest = 116,60 /( 0,14 ×1,50) = 555,24 t m = 55,52 Kg/cm2
2
σ cest = Pcent / Acent = 233,12 /( 0,14 × 2,00) = 832,57 t m = 83,25 Kg/cm2
In considerazione dell’eccezionalità della situazione, e della brevità del tempo
per cui tali strutture saranno soggette a tale stato massimo di sollecitazione - tale
operazione di indebolimento è l’ultima prevista prima della fase di caricamento e
brillamento -, si è scelto di accettare tali valori.
2
Verifica di instabilità dei setti.
Oltre alla verifica dei tassi di sfruttamento a compressione dei “maschi murari”
rimanenti, ne è stata eseguita anche una finalizzata a valutare l’instabilità dei ritti
sotto il carico centrato.
Ai fini della valutazione della lunghezza libera di inflessione, per la quale è
necissario conoscere la tipologia di vincoli alle estremità dell’asta considerata, si
è ipotizzato un comportamento ad trave perfettamente incastrata (nei setti).
-
Ritti esterni:
Pest = 116,60 t
Aest = 0,14 ×1,50 = 0,21m 2
Jmin = BH 3 / 12 = 0,143 × 1,50 / 12 = 3, 40e −4 m 4
Lunghezza libera di inflessione: Le = β × l 0 = 0,5 × 3,00 = 1,50m
213
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Raggio giratore d’inerzia:
?min =
J min Aest = 3,40e − 4 0,21 = 0,040m
? = Le ρ min = 1,50 / 0,0404 = 37,1 < 50
Snellezza:
per ? < 50
à
? =1
il coefficiente relativo all’instabilità non è significativo, quindi non è necessaria
la verifica all’instabilità.
-
Ritto centrale:
Pce n t = 233,12 t
Acent = 0,14 × 2,00 = 0, 28m 2
Jmin = BH 3 / 12 = 0,143 × 2,00 / 12 = 4,60e −4 m 4
Lunghezza libera di inflessione: Le = 0,5 × l = 0,5 × 3,00 = 1,50m
Raggio giratore d’inerzia:
Snellezza:
?min =
J min Aest = 4,60e −4 0,280 = 0,04005m
? = Le ρ min = 1,50 / 0,0405 = 37,00 < 50
per ? < 50
à
? =1
il coefficiente relativo all’instabilità non è significativo, quindi non è necessaria
la verifica all’instabilità.
In ogni caso al fine di rendere assolutamente sicure tutte le fasi di indebolimento
si è proceduto al controllo delle microdeformazioni indotte nei pilastri generati
dai tagli che andavano succedendosi.
Il controllo è stato eseguito mediante estensimetri a corda vibrante; le letture
giornaliere rilevate durante il monitoraggio hanno rassicurato circa la capacità
della struttura pluriconnessa e fortemente iperstatica di ridistribuire i carichi in
maniera omogenea tra tutti gli elementi resistenti ed i valori di incremento delle
sollecitazioni interne sono stati contenuti nell'ambito dei valori teorici calcolati.
Posizionamento delle cariche
Per il meccanismo di crollo che è stato scelto, il brillamento delle cariche deve
assicurare, non solo il taglio dell’elemento portante in alcune sezioni (quelle
minate), ma anche l’intera distruzione di alcuni blocchi per una certa altezza; solo
in questo modo il peso proprio della struttura può innescare il ribaltamento della
struttura.
Per ottenere la totale disgregazione degli elementi minati si è scelto, quindi, di
minare ciascun elemento verticale con tre allineamenti di cariche, in testa, al
piede ed in mezzeria.
Il dimensionamento delle cariche deve essere eseguito in maniera tale da
assicurare non solo la capacità dell’esplosivo di frantumare il calcestruzzo. ma,
considerata anche la fitta maglia di armatura presente nei pilastri, anche di
214
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
assicurare che i detriti siano di dimensioni tali da poter essere espulsi dalla gabbia
per effetto della detonazione.
Le tipologie di elementi minati sono le
seguenti:
-
pilastri dei corpi alloggio (per i primi
due livelli);
-
ritti generati
delle pareti;
-
pilastri del corpo scala.
dagli
indebolimenti
Disposizione delle cariche negli elementi
minati.
Conclusioni
All’atto della redazione del presente articolo non si era ancora arrivati alla fase
del brillamento. Gli indebolimenti e le perforazioni sono state tutti eseguiti e si
attendeva l’assenso della amministrazione per procedere alle opere di esplosione.
La precedente esperienza della Vela G ha fornito importanti indicazioni circa la
doppia tecnica di demolizione e di tali indicazioni si è tenuto da conto nel nuovo
progetto cercando di affinare alcuni interventi, di ridurre i tempi delle lavorazioni
propedeutiche, di ottimizzare la disposizione delle cariche anche al fine di
limitare il numero dei fori.
In ogni caso anche quest’intervento
ha dimostrato come il recupero di
contesti
degradati
e
la
riqualificazione
urbana
possano
passare anche attraverso la rinuncia
al costruito non più adattabile alle
nuove esigenze e che le tecniche di
demolizione di edifici in ambienti
fortemente
urbanizzati
sono
affidabili,
sicure
ed
economicamente competitive.
Il risultato finale
215
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
LA DEMOLIZIONE DI UN SILOS A GENOVA
Un esempio di sinergia
Il seguente caso studio descrive il progetto e l’esecuzione di un intervento di
abbattimento controllato di un silos per il contenimento di frumento, sito nel
porto di Genova.
L’importanza di quest’esempio, sta nel fatto che, trovandosi l’edificio in una
zona dai vincoli contestuali abbastanza rigidi, è stato necessario ricorrere alla
collaborazione, ed al lavoro parallelo di più tecniche diverse tra loro, che
solitamente vengono utilizzate separatamente. In questo caso ogni tecnologia
viene sfruttata al massimo nel suo campo d’azione, ottenendo un rendimento
molto maggiore rispetto al caso di una demolizione tradizione, effettuata con
un’unica tecnica.
Il secondo fattore che sottolinea la significatività di questo caso studio, è la serie
di precauzioni e studi preliminari che si sono dovuti effettuare per evitare alcuni
dannosi effetti secondari che l’abbattimento dell’organismo in questione, poteva
comportare al contesto.
È particolarmente interessante notare come i suddetti “possibili” effetti secondari
abbiano pesato in fase progettuale, portando alla caratterizzazione di tutto il
procedimento di demolizione.
Descrizione dello stato di fatto
L’obiettivo che spinse ad optare per l’abbattimento totale di questo silos era il
desiderio, ormai in fase di realizzazione, di un generale rinnovamento del golfo di
Genova, in particolare della sua parte più antica: in questa ottica questo immenso
magazzino di oltre 160.000 mc. (realizzato negli anni sessanta) rappresentava un
forte ostacolo.
La riqualificazione del porto, prevedeva
tra le altre iniziative la costruzione di un
nuovo museo per il mare e la navigazione,
di un polo universitario, ed una nuova
grande piazza urbana.
Come già detto precedentemente, per
comprendere a fondo le motivazioni che
hanno portato alla scelta di un
procedimento di demolizione composto da
una successione di più tecniche, è prima
necessario analizzare quali erano i vincoli
contestuali nei quali il progettista si è
imbattuto.
Il vincolo principale è sicuramente relativo a problemi di ingombro, in particolare
riferito al limitato spazio a disposizione intorno al fabbricato; non è possibile
216
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
altresì trascurare la passività delle dimensioni del fabbricato stesso, che in altezza
raggiungeva i 76 m.
Oltre al limitato spazio di manovra, l’abbattimento avrebbe dovuto prendere in
conto la stretta adiacenza con altri due edifici, tra l’altro in corso di
ristrutturazione, da mantenere assolutamente intatti.
Naturalmente consistevano anche tutti quei problemi tipici di un cantiere edile, in
particolare la necessità di consentire il normale svolgimento delle attività del
porto dove sorgeva il silos.
I vincoli ora elencati sono tutti essenzialmente di tipo logistico; oltre a questi,
hanno fortemente influenzato la scelta del procedimento di abbattimento, alcune
questioni dal sapore più propriamente strutturale: la banchina del porto su cui
sorgeva il silos, è stata costruita tra il 1883 ed il 1886, e, non risultava immediata
la comprensione della sua portanza; già si presentiva quindi la difficoltà di fare
impattare al suolo l’edificio, che avrebbe creato onde d’urto per un carico
dinamico, difficilmente sopportabili dall’impalcato.
Ultimo problema, ma non per questo meno importante, è un discorso che è stato
più volte definito in precedenza, come uno dei rischi dalle conseguenze più
disastrose: la presenza di serbatoi di materiale infiammabile interrati, o
comunque nascosti. Fortuitamente è stata rilevata della polvere di esplosivo
proprio all’interno dello stesso silos.
Il progetto
La soluzione progettuale pensata per ottenere i risultati desiderati, in
considerazione delle condizioni al contorno, è risultata essere alquanto
ingegnosa.
Non potendo la banchina sopportare lo shock dinamico dovuto al crollo
dell’intero fabbricato, si è pensato di tagliarlo letteralmente a fette con del filo
diamantato, e, solo in seguito cernierizzare alla base ogni trancia - dieci in totale con dell’esplosivo. In questo modo oltre a risolvere il problema dell’impatto si è
garantito un maggior controllo dei detriti, evitando la loro caduta in mare.
Nonostante l’ingegnosa intuizione di diminuire l’impatto al suolo tagliando
l’edificio, questa soluzione non garantiva la totale assenza di danno, sia nei
confronti del pontile, sia nei confronti degli edifici adiacenti soggetti alle forti
vibrazioni trasmesse loro tramite il suolo stesso.
È stato quindi necessario non solo effettuare una approfondita analisi geologica
delle stratificazioni su cui fondava la banchina, risultate tra l’altro di bassissima
portanza, ma addirittura creare un modello matematico che simulasse il
comportamento del suolo al momento della caduta di una delle trance
dell’edificio.
217
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Analisi dinamica dell’ impatto della struttura sul molo
Il taglio dell’edificio è stata calcolato in modo tale che ogni porzione
dell’edificio, resti appoggiata a due file di quattro pilastri cadauna. Minando la
prima fila di pilastri si sarebbe sicuramente ottenuto il ribaltamento al suolo della
trancia in questione.
A questo punto, essendo certi che la banchina avrebbe mal sopportato l’impatto,
il problema è stato raggirato posizionando nella zona di caduta una specie di
cuscino, la cui funzione sarebbe dovuta essere non solo quella di proteggere il
molo, ma anche quella di assorbire tutta l’energia cinetica sviluppata.
Il problema era capire la posizione più convenente dove posizionare il cuscino, e
la sua dimensione effettiva.
L’unico modo era creare un modello agli Elementi Finiti (metodo F.E.M.)
dell’intera banchina, sottoporlo allo shock dinamico della massa in caduta, e
studiarne quindi le deformazioni e la reazioni alla base, trasmesse agli strati
sottostanti. Ovviamente non bastava creare solo un modello geometrico del molo,
ma bisognava anche simularne le caratteristiche fisico-meccaniche: è stata quindi
fatto un approfondito studio del materiale costituente il molo allo stato odierno
alla demolizione (considerando quindi eventuali processi di degrado o
modificazione chimica), ed anche di ciò che sarebbe stato il cuscino di ghiaia a
terra.
È stata anche modellata la singola trancia in caduta, distinguendo tre differenti
fasi, ed utilizzando differenti sistemi di equazioni per descriverne il moto.
Prima Fase: si considera il movimento
della massa, compresa dall’istante del
brillamento della carica, fino al
momento del primo contatto al suolo
della parte inferiore del silos. Il centro
di rotazione della massa è posizionato
alla base della seconda (ed unica
rimasta) fila di pilastri. L’angolo di
rotazione è compreso tra: 0 ≤ θ (t ) ≤ β ,
mentre l’equazione che descrive il moto
d2
è:
I 1 2 θ (t ) = P ⋅ d ⋅ sen[α + θ (t )]
dt
218
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Seconda Fase: si considera il
movimento della massa, compresa
dal momento del primo contatto al
suolo fino al contatto con il lembo
superiore. Il centro di rotazione si
trova nel primo punto di contatto.
L’angolo di rotazione è compreso
tra: 0 ≤ θ ( t ) ≤ π 2 − β − γ , mentre
l’equazione che descrive il moto è:
I2
d2
θ (t ) = P ⋅ d 2 ⋅ sen[π 2 − β + φ − θ (t )]
dt 2
Terza Fase: inizia con l’adagiamento di tutta la
facciata sul cuscino a terra, e si conclude con la
fine definitiva del movimento della massa.
Si considera il centro di rotazione ancora fisso
nel primo punto di contatto, mentre l’angolo di
rotazione.
è compreso tra: 0 ≤ θ (t ) ≤ γ , mentre l’equazione che descrive il moto è:
d2
θ (t ) = P ⋅ d 2 ⋅ sen[π 2 − β + φ − θ (t )] − f ⋅ d t
dt 2
Dopo aver fatto girare queste equazioni con un adeguato programma automatico,
è stato calcolato che, dato un impulso dinamico di 0,5 sec., lo spessore minimo
necessario del cuscino per ottenere l’attenuazione desiderata (cioè una pressione
di contatto al suolo di 3 kg/cm2 ), era di 4 m. Il modello agli elementi finiti del
pontile, era costituito da una mesh di elementi di dimensione 50 x 50 cm., e
simulava il comportamento di
una parte di pontile di dimensioni in
pianta 100 x 20 m., e profonda 10 m.
I risultati di queste analisi, portarono
alla
conoscenza
dello
stato
tensionale a terra generato dalla
caduta di ognuna delle trance in cui
era stato diviso l’edificio; la
massima velocità di caduta rilevata
era di circa 70 mm/s.
Le informazioni dedotte portarono alla progettazione del cuscino secondo la
forma indicata nella figura in seguito.
I2
Il controllo delle polveri
Qualsiasi processo di demolizione previdente ed eseguito secondo criteri di
sicurezza, prevede una accurata indagine sulle reti impiantistiche presenti e sui
relativi serbatoi di contenimento. Nel caso in questione era necessario controllare
in particolare l’interno dei silos stessi, ed assicurarsi che non vi sia alcuna
219
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
presenza di materiale potenzialmente infiammabile (quindi esplosivo o
deflagrante), prima di utilizzare qualsiasi utensile capace di generare scintille
ovvero eccessivo calore.
Tenendo presente la destinazione d’uso dei silos, cioè il materiale immagazzinato
in esso in condizione di servizio, i tecnici adibiti alla demolizione già
conoscevano i rischi correlati: era infatti risaputo che questo poteva comportare
due problemi specifici: uno legato alla fermentazione del grano, causato
dall’eventuale presenza di umidità, l’altro correlato alla polvere di farina , in
sospensione nell’aria.
In generale la presenza di micro-polvere in sospensione in aria, combinata con un
ambiente particolarmente secco, se solo stimolata da una scintilla può divampare,
dando luogo ad un’immane esplosione.
Il rischio dell’esplosione è in generale inversamente proporzionale alla
granulometrica della polvere: minore è la granulometria, maggiore è la
probabilità di una sospensione diffusa ed uniforme nell’aria e quindi di un facile
incendio.
Studi effettuati a questo proposito, hanno indicato che il rischio sussiste per
granuli di polvere di dimensione minore di 74 micron, mentre le concentrazione
pericolose vanno di 10 ai 600 g/m3 .
Questa generica condizione può essere particolarmente aggravata nel caso in cui
oltre alla polvere di farina , il grano, soggetto all’umidità, abbia generato gas
solforici o metano (entrambi altamente infiammabili).
Essendo stati abbandonati per lungo tempo (10 anni), le camere interne potevano
presentare entrambe i rischi: ambiente secco che favorisce la sospensione di
polveri, ovvero ambiente umido che favorisce la fermentazione e la conseguente
generazione di gas.
Per evitare questi pesanti rischi, è stata condotta un massivo monitoraggio di tutte
le 100 camere interne dei silos. Il grado di infiammabilità degli ambienti interni è
stato misurato con dispositivo capace di analizzare contemporaneamente i livelli
di più gas, quali: CO2 , CH4 , O2 , CO ed H2 S. Poiché l’altezza media di ogni
ambiente era di circa 50 m., sono state condotte diverse misurazione per ciascuno
di essi, che sono risultate sempre fortunatamente negative.
Assicurati della carenza di gas infiammabili nel ambiente, si è passato a misurare
la concentrazione delle polveri sottili sospese nell’aria, attraverso un dispositivo
laser a diffrazione: il volume d’aria che si vuole analizzare viene illuminato con
una raggio laser visibile, di conseguenza i granuli in sospensione riflettono la
luce secondo alcuni angoli caratteristici; in base ad essi è possibile risalire alla
dimensione del granulo, ma non solo: la riflessione del fascio di luce avviene
creando una particolare diffrazione anulare dal quale una rilevatore collegato con
un terminale informatico, riesce a risalire alla concentrazione rapportata alla
dimensione del granulo.
Il rapporto dimensione – concentrazione dei granuli nelle camere dei silos
risultarono in un range pericoloso, quindi prima di procedere con qualsiasi
220
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
operazione di demolizione, tutte le camere furono areate e le pareti lavate con
getti d’acqua.
La prima fase della demolizione
Per effettuare lo straordinario lavoro di taglio, è stato necessario utilizzare dei
cavi diamantati di 180 m. di lunghezza: basti ricordare che questi fili dovevano
tagliare contemporaneamente cinque setti di calcestruzzo armato di un’altezza
media di circa 60 m. Per movimentare una tale circuito è stato necessario creare
un dispositivo apposito capace di resistere al fortissimo picco di corrente elettrica
necessaria per far partire la rotazione del filo.
Per problemi di ingombro, non è stato possibile posizionare le pulegge di trazione
nella posizione a loro più idonea, ma si è dovuto orientarli addirittura
perpendicolarmente al piano di taglio (disposizione che comporta una fortissima
usura di tutti i meccanismi di trazione).
Come se ciò non bastasse, l’ambiente più alto dei silos era un piano tecnico
dedicato al passaggio di tutti i pesanti macchinari (e relativi impianti) adibiti alla
movimentazione del grano: si è quindi provveduto anche al loro taglio con una
fiamma ossidrica.
Una volta eseguito il taglio e prima di preparare le cariche per la
cernierizzazione, una schiera di escavatori Caterpillar dal peso operativo di 60
tonnellate cadauno, è stata impegnata a pieno regime per diversi giorni, per creare
il cuscino di ghiaia (uno diverso per ogni caduta!).
221
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
La seconda fase della demolizione
Dopo il taglio della struttura, ci si trovava davanti a nove trance della struttura
iniziale, ognuno dei quali sostenuti da otto pilastri da 1,5 m. di diametro, disposti
su due file.
Per ottenere la cernierizzazione alla base, e quindi il ribaltamento della struttura,
è bastato minare la fila frontale di pilastri, come mostra la foto.
Sullo sviluppo verticale di ogni pilastro sono stati eseguiti con un martello
pneumatico, 6 fori da 32 mm. di profondità, e sono stati inseriti al loro interno dei
candelotti di dinamite da 25 mm. di diametro e 200 mm. di lunghezza. Anche i
pilastri posteriori sono stati indeboliti, minandoli frontalmente con un foro e
tagliando con una sega i ferri longitudinali posteriori, che, in fase di caduta
avrebbero opposto una resistenza, andando in trazione.
Ogni foro era collegato singolarmente ad una proprio detonatore elettrico e sono
stati programmati 12 fasi di micro-ritardi da 25 millisecondi cadauno.
I primi due pilastri a essere fatti brillare sono stati i due centrali della fila frontale,
partendo dalla base per arrivare (con microritardi) alla loro sommità; hanno
seguito i pilastri laterale della prima fila (sempre dalla base fino in sommità), per
poi passare alla seconda fila, con un micro-ritardo di 0,5 sec., secondo lo stesso
ordine utilizzato per la prima.
Con l’occasione di quest’abbattimento, il committente ha richiesto anche la
demolizione di due enormi gru metalliche, che servivano per caricare il silos col
grano arrivato con le navi cargo. Anche il loro abbattimento è stato ottenuto con
il ribaltamento al suolo dopo aver però attentamente tagliato ed indebolito tutti
quegli elementi che potevano funzionare da controventamento: sia quelli
metallici (a “croce di Sant’Andrea” od a “K”) sia le tamponature esterne (le quali
con la loro rigidezza possono sensibilmente modificare la direzione di caduta
programmata).
Per distruggere gli appoggi ed ottenere quindi il ribaltamento, sono state
utilizzate delle particolari cariche esplosive concentrate, che “abbracciando” la
sezione del profilato metallico, riescono letteralmente a tagliarlo.
Dopo abbattimento delle gru, sulla banchina non restava altro che la torre di
controllo, cioè una semplice edificio in calcestruzzo armato, alto circa 80 m., che
è stato facilmente ribaltato a terra, minandone i piani inferiori.
Il monitoraggio e l’analisi delle vibrazioni
Sia le esplosioni delle cariche interne ai pilastri in calcestruzzo, che quelle a cielo
aperto applicate ai profilati metallici, sono state progettate ed ottimizzate per
essere strettamente necessarie, evitando anche di oltrepassare il limite delle
vibrazioni indotte.
In generale le vibrazioni più intense non sono quelle generate nel momento del
brillamento, bensì quelle causate dalla caduta a terra della massa demolita.
222
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
L’entità di questo secondo genere di vibrazioni è stato però approfonditamente
analizzato in fase progettuale grazie proprio al modello dinamico agli elementi
finiti.
Per verificare la corrispondenza tra gli output della simulazione, ed i risultati
fisici, è stata installata, in punti strategici del cantiere, una rete di nove differenti
sismografi.
I dati raccolti durante i dieci giorni della demolizione, sono serviti non solo per
testare la veridicità del modello di calcolo elaborato, ma sono stati altresì
utilizzati per uno studi, già avviato, relativo alla possibilità di prevedere i picchi
di velocità raggiungibili da elementi proiettati durante l’impatto a terra di una
massa demolita.
L’obiettivo principale di questi studi ed analisi era trovare una sistema di
equazioni che permettesse di valutare in maniera semplice i picchi di vibrazione
indotti nell’ambiente (suolo ed edifici adiacenti) a seguito dell’impatto di masse a
terra, il tutto finalizzato a poter valutare il livello di fattibilità di un processo di
abbattimento totale in un contesto delicato quale quello urbano; per capire
l’importanza dello studio basti pensare ai vincoli contestuali riscontrabili durante
un processo di demolizione, da eseguire nel centro storico di una qualsiasi
capitale europea.
L’unico sistema simile di equazioni esistente è quello elaborato da Langerfors e
Kihlstrom (1967), che fornisce però solo la possibilità di prevedere i picchi di
vibrazioni indotti dalla detonazione di esplosivi.
I risultati del monitoraggio condotto, hanno confermato ciò che ci si aspettava
secondo la modellazione, mantenendo quindi i valori di vibrazioni indotte, al di
sotto dei limiti fissati dalla normativa (UNI 9916 – din 4150), pur registrandosi
lievi variazioni dei valori massimi: il motivo di tali variazioni è stato associato
alla diversa consistenza e dimensioni dei cuscini anti-impatto, realizzati di volta
in volta in posizioni diverse per le cadute delle diverse trance. Proprio queste
223
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
lievi variazioni del picco hanno confermato l’importanza e la necessità di questi
cuscini di assorbimento, che hanno svolto completamente il loro ruolo.
La relazione empirica adoperata per la valutazione delle oscillazioni generate, è
la seguente:
 E

v = K 

D


0 .7078
E = m ⋅ g ⋅ h g = energia potenziale della massa in caduta;
m = massa della trancia in caduta;
hg = altezza del baricentro della trancia;
D = distanza dal punto di impatto;
K = 14,9 ÷ 25 = coefficiente che esprime la rigidezza
del terreno, (funzione delle sue caratteristiche fisicomeccaniche).
È necessario sottolineare che l’espressione utilizzata, nasce empiricamente da
osservazioni condotte sul ribaltamento a terra di organismi molto alti (torri,
ciminiere, etc.) senza prevedere l’uso di alcun tipo di cuscino d’assorbimento.
Quindi sicuramente non è possibile utilizzarla in casi di abbattimenti per
implosione, ma inoltre, anche nel nostro caso forniscono una valutazione del
picco fortemente maggiorato.
Dal
grafico
riportato,
è
possibile osservare
che le misurazioni
fatte
con
la
maggior parte dei
sismografi (a parte
il sismografo A) si
ritrovano
nei
dintorni
(in
particolare al di
sotto) della curva
relativa a K = 19,5.
A fornisce risultati diversi a causa probabilmente della particolare posizione di
caduta della prima trancia, molto prossima al bordo della banchina.
Ciononostante nei calcoli è stato utilizzato il valore di K = 25, aumentando
fortemente il fattore di sicurezza, senza tra l’altro considerare la presenza del
cuscino!
Conclusioni
L’obiettivo dell’illustrazione di questo caso studio era mostrare la non banalità
del processo di demolizione di una costruzione particolare quale questo notevole
silos.
224
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Mai quanto in quest’esempio è possibile dire che, in generale, come per un
processo di costruzione, l’approccio può essere molto diverso: è possibile
procedere improvvisando,
affidandosi all’intuito ed all’esperienza pratica,
oppure è possibile avanzare in maniera sicura, avendo programmano e progettato
(per quanto necessario) l’iter che si deve percorrere. È chiaro che per costruzioni
o demolizioni complesse, quali l’esempio illustrato, i rischi in gioco sono
immensi (inconvenienti, ritardi incontrollabili, valutazioni economiche errate,
ferimento del personale), e non è più possibile afrontarli con una mentalità
rpovinciale e tradizionanlista che rifugge qualsiasi supporto scientifico,
affidandosi alla sola intuizione dell’operatore.
È semplice immaginare quali sarebbero potute essere le disastrose conseguenze
se l’appalto della demolizione fosse capitato nella mani di una ditta che, pur
avendo a disposizione i mezzi necessari per l’esecuzione, non avesse affrontato la
progettazione con la necessaria preparazione scientifica, necessaria ed
indispenssabile per intuire, capire e prevedere correttamente, l’importanza ad
esempio di tutto il discorso delle vibrazioni indotte.
Il secondo importante punto messo in luce con l’analisi di questo caso studio, è la
possibilità di un integrazione armoniosa di tenologie molto diverse tra di loro: la
tecnica del taglio col filo diamantato è infatti solitamente adoperata in un
precedimento di demolizione di tipo controllato, associato solitamente a
modificazioni poco invasive dell’esistente; l’esplosivo al contrario è tipico di una
tipologia di abbattimento totale ed indifferenziato. Nel nostro caso si nota come
abbiano lavorato con totale simbiosi, ognuno ottimizzando le proprie
caratteristiche e preparando il campo per la tecnica utilizzanta in seguito.
In conclusione si può osservare come oltre alla programmazione del
procedimento, anche la scelta delle tecnologie stesse sia motivata da
un’aspirazione di reale ottimizzazione, dalla considerazione profonda dei
possibili rischi in gioco, e non, come spesso avviene in base a puri criteri di
convenienza economica dell’impresa.
La descrizione del seguente caso studio è liberamente tratto ed adattato da un articolo presentato
dagli autori D. Coppe, A. Reggiani, A. Bacci, A. M. Verno, per la 31° Conferenza Annuale della
ISEE (International Society of Esplosive Engeneering) su Esplosivi e Tecniche di Abbattimento,
tenutasi ad Orlando (Florida) nel Febbraio 2005.
Gli autori sono tra l’altro, i progettisti e gli esecutori stessi della demolizione.
Danilo Coppe: esperto nazionale di esplosivi, fondatore della S.I.A.G.;
Andrea Reggiani: ingegnere strutturista, project manager della S.I.A.G.;
Adolfo Bacci: Professore di Gas Dinamica all’Università di Pisa;
Amanda Vernò: ingegnere specializzato nel controllo e nel monitoraggio delle vibrazioni.
225
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Tavola illustrativa della sequenza delle fasi di abbattimento, e della caduta delle
trance tagliate. Nell’ultima immagine a destra è possibile notare la nettezza della
superficie tagliata col filo diamantato.
226
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
DEMOLIZIONE DEL PONTE DI COURNALÈ
Premessa
La demolizione del ponte di Cournalè, costruito in comune di Pessinetto nel
1916, rientrava in un piano di intervento sulla tratta montana della linea
ferroviaria Torino-Cères programmati con il duplice obiettivo di:
•
rimediare al dissesto idrogeologico ed ai danni strutturali causati dalle recenti
alluvioni;
•
riclassificare l’intera tratta al transito dei moderni elettrotreni.
Per il ponte del Cournalè erano state ipotizzate due possibili soluzioni: rinforzare
la struttura oppure ricostruirla integralmente.
A seguito di un’attenta valutazione tecnico-economica, la seconda soluzione
risultava nettamente più vantaggiosa.
Il motivo per il quale si è scelto di illustrare questo progetto di demolizione è che
esso rappresenta un tipico esempio di procedimento di demolizione con tecnica
mista: uso di esplosivo affiancato da demolizione con classici mezzi meccanici.
Inoltre questo esempio fornisce una testimonianza del fatto che la maggior parte
delle tecniche utilizzabili per l’abbattimento di elementi in calcestruzzo, possono
essere egualmente utilizzate per gli elementi in muratura: infatti in questo caso le
travate del ponte erano realizzate in calcestruzzo (debolmente armato), mentre i
piloni erano esclusivamente realizzati in blocchi di muratura.
Caratteristiche del ponte
Il ponte in questione è costituito da una serie di quattro archi di luce netta 17,33
m., ai quali si affiancano, sul lato Torino, due archi minori, i quali scaricano
direttamente sul terreno. La lunghezza complessiva del ponte si aggira sui 100 m.
Gli archi sono realizzati in conglomerato cementizio non armato, lo spessore in
sezione di chiave è di 0,80 m, mentre cresce sino ad 1,10 m nella sezione
d’imposta.
227
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
I piloni di appoggio sono stati
realizzati in muratura, mentre
il
rivestitimento
è
stato
eseguito in pietra a vista; le
dimensioni del fusto sono di
2,52 m x 6,90 m, mentre
l’ingombro
del
relativo
blocco di fondazione è di 3,20
m x 7,70 m.
I piloni si mantengono ad un
interasse costante di circa
20m.
foto. 1 - Il ponte prima della demolizione
L’intervento di demolizione
Per evitare che la diga formata dal materiale abbattuto ostruisse completamente
l’alveo del torrente (con conseguente grave pericolo di tracimazioni non
controllabili) è stato deciso di effettuare la demolizione suddividendola in più fasi
separate, così organizzate (fig. 1):
•
I fase (prima del 24.07.96): demolizione con mezzi meccanici della spalla
lato Torino e dei due archi secondari adiacenti;
•
II fase (il 24.07.96): demolizione con esplosivo di due pile e dei due archi
principali;
•
III fase (dal 24 al 31.07.96): sgombero del materiale abbattuto dal greto del
torrente;
•
IV fase (il 31.07.96): demolizione con esplosivo delle due pile e dei due archi
principali restanti (prossimi al lato Ceres);
•
V fase (dopo il 31.07.96): sgombero del materiale abbattuto e demolizione
con mezzi meccanici della spalla lato Ceres.
Il materiale crollato sul greto del torrente sottostante (Stura di Lanzo), è stato
trasportato quindi ad un impianto di riciclaggio mobile installato in prossimità
della spalla lato Torino.
228
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Il cinematismo di rottura progettato per la demolizione del vecchio ponte,
prevedeva che il collasso della struttura avvenisse mediante l’esecuzione di
interventi distruttivi sugli archi (in chiave e sull’imposta) e sulle pile.
L’innesco dell’esplosivo è stato progettato con dei microritardi, come sempre
avviene, per dare luogo alla formazione del cinematismo di rottura (e quindi di
caduta) più naturale con la tipologia strutturale dell’organismo: infatti,
immaginando in prima approssimazione lo schema del ponte come una trave
continua su più appoggi, le prime cariche sono state fatte brillare sulle campate,
distruggendone la continuità, ma più che altro, creando degli schemi a sbalzo che
partono dalle pile centrali. Questa modificazione dello schema statico ha portato
ad un sensibile aumento del momento agli appoggi centrali, rispetto al precedente
schema di trave continua, favorendo infatti la seconda serie di esplosioni,
avvenuta con un studiato microritardi, proprio alla sommità dei piloni centrali.
Questa seconda ondata di esplosioni ha creato ad una cernierizzazione di questi
sbalzi, (comportando la labilizzazione finale), demolendo definitivamente
l’impalcato.
La terza ed ultima serie di esplosioni era finalizzata all’abbattimenti del fusto
delle pile d’appoggio.
Come mezzo di attacco è stato adottato un esplosivo a base di nitrogliceroglicole
(gelatina 1 di produzione Italesplosivi confezionata in cartucce con diametro di
25 mm) caricato in fori e fatto brillare in sequenze micro-ritardate, come spiegato
in precedenza.
Piano di Tiro
I punti delle pile e degli archi su cui si è intervenuti in maniera distruttiva con
l’esplosivo, sono indicati in fig. 1. I fori (& = 30 mm) sono stati eseguiti dall’alto
verso il basso, con profondità variabili da 0,6 a 1,5 metri.
L’intervento sugli archi mirava essenzialmente a tagliare trasversalmente la
struttura che, di conseguenza, è stata interessata per tutta la sua larghezza (3,55
m) da una doppia fila di 6 fori interdistanti di 0,5 m circa (6 x 2 = 12 fori).
L’intervento sulle pile mirava invece ad eliminare un altezza di circa 1 m,
mediante frantumazione spinta del materiale costituente la muratura: di
conseguenza è stata impostata una perforazione verticale a maglia quadrata (0,5 ÷
0,6 m di lato) che ha interessato l’intera sezione (2,52 m x 6,90 m) con 46 fori di
pila.
In sostanza si sono effettuati i seguenti tipi di intervento (vedi fig. 2):
A) Taglio dell’arco in chiave;
B) Taglio dell’arco all’imposta;
C) Frantumazione della pila.
229
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Nella tabella a fianco si riportano i
consumi relativi (in particolare dei
kg di esplosivo) per ogni tipologia
di intervento.
Sia nella volata del 24,
che
in
quella
del
31.07.96,
si
sono
effettuati due interventi
di tipo A, quattro
interventi di tipo B, ed
infine nuovamente due
interventi di tipo C.
Per ambedue le volate il consumo di esplosivo e di detonatori è stato quindi
pressoché identico, e precisamente quello indicato in tabella.
La carica di ogni foro è stata innescata direttamente con un detonatore elettrico
microritardato. Tutti i 166 detonatori sono stati collegati tra loro in serie, e le due
estremità del circuito sono state collegate alla linea del tiro.
Controlli di sicurezza
In questo paragrafo si rileggono tutte quelle misure preventive di sicurezza prese
nei confronti delle tipiche, possibili conseguenze dannose nei confronti del
contesto, dovute all’uso dell’esplosivo.
Il caricamento dell’esplosivo ed il collegamento del circuito elettrico, hanno
richiesto in totale circa 4 ore di lavoro, durante le quali l’accesso al cantiere è
stato riservato solamente al tecnico delle mine (detto in gergo fuochino). Al
momento del brillamento è stato interrotto per pochi minuti il traffico sulla
adiacente strada provinciale.
In relazione ai problemi di sicurezza tipici delle demolizioni con esplosivo sono
state adottate le seguenti procedure:
230
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
-
detonatori e reofori inseriti nei fori, sono stati protetti con guaine di robusto
materiale isolante per prevenire dispersioni di corrente ed il conseguente
rischio di creare mine inesplose;
-
sono state continuamente tenute sotto controllo le condizioni atmosferiche
della zona per escludere la possibilità di esplosioni premature causate da
correnti elettrostatiche estranee (che potrebbero portare ad un’attivazione
prematura ed involuta dei detonatori);
-
il peso delle singole cariche è stato dimensionato, con appositi calcoli, in
modo da rendere assolutamente trascurabile il livello di sismicità indotto
dall’esplosione nell’ambiente circostante;
-
è stato evitato l’impiego di cariche esterne alla struttura, ed è stato previsto il
borraggio di ogni foro, in modo tale da evitare successive sollecitazioni
trasmesse attraverso l’atmosfera (sovrappressioni e/o rumori molesti). Infine,
in relazione al pericolo di proiezioni incontrollate di materiale lapideo,
essendo stata calcolata una gittata massima teorica di circa 100 metri, e non
risultando entro tale raggio ubicata alcuna struttura, si è volutamente
rinunciato a predisporre opere di contenimento, la cui posa in opera avrebbe
comportato un eccessivo allungamento dei tempi.
Ci si è limitati quindi a sovrapporre robusti tavolati in legname alle pareti
antistanti le cariche esplosive, unicamente per proteggere il circuito elettrico di
detonatori da eventuali danneggiamenti provocati da agenti esterni.
Riciclaggio del prodotto demolito
Per la mancanza di discariche in prossimità del cantiere e per non appesantire
eccessivamente il traffico locale in un periodo di alta stagione, l’impresa
contraente generale (in inglese general contractor) aveva disposto che il
materiale proveniente dalla demolizione subisse i primi trattamenti sul posto, al
fine di un suo successivo riciclaggio. Si è quindi scelto, tra i modelli disponibili
sul mercato (ed a disposizione della ditta appaltante il lavoro di riciclaggio e
smantellamento) un impianto di frantumazione mobile di dimensioni tali da poter
essere posizionato nel ristretto spazio disponibile ai piedi del fiume (dimensioni
di base 10,80 x 2,45 m, altezza di 3,10).
231
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Quindi, dopo una preventiva cernita dei blocchi lavorati a vista (provenienti dalle
pile), il tout venant costituito da pietrame e da conglomerato cementizio è stato
trattato in cantiere dal suddetto impianto di frantumazione. Con una potenza del
motore di 37 kW (50 CV) a 1500 giri/min., si è garantita una produzione di 8 ÷
10 t/ora, producendo un frantumato di circa 5 ÷ 10 cm, a partire da blocchi di
dimensione oscillante tra i 50 ed 70 cm.
L’alimentazione del frantumatore avveniva anteriormente tramite un escavatore a
braccio principale snodato, mentre lo scarico del frantumato avveniva
posteriormente, non prima di aver separato magneticamente i ferri (provenienti
dall’armatura degli sbalzi laterali del ponte), ed averli scaricati lateralmente alla
macchina, sul fianco opposto a quello in cui lavorava l’escavatore.
Con questa operazione di riciclaggio si è ottenuta una notevole valorizzazione del
materiale recuperato (2000 m3 ) che verrà integralmente utilizzato sul posto, sia
per le esigenze del cantiere, sia per lavori di interesse del comune di Pessinetto.
Successivamente all’abbattimento del vecchio ponte, si è iniziata la costruzione
di quello nuovo, realizzato con travi prefabbricati in conglomerato cementizio
precompresso armato, e le cui campate hanno una lunghezza di 22,00 m. Le pile
in calcestruzzo armato hanno un interasse di 23,40 m., le dimensioni del fusto
sono 2,20 x 6,70 m., mentre le fondazioni hanno un ingombro di 6,80 x 10,80 m.
I tempi previsti per la costruzione sono 9 mesi, con un costo complessivo
dell’opera di circa 800.000. €.
232
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
PARCHEGGIO SOTTERANEO AL GIANICOLO
Il seguente caso progettuale è molto rappresentativo, essenzialmente per due
motivi: in primis non si tratta di una classica operazione di demolizione, pensata e
progettata, bensì di una soluzione di demolizione controllata, nata per ovviare ad
un problema riscontrato in corso di costruzione di un opera ben diversa; in
secundis, avendo riscontrato la presenza di alcuni elementi di estremo valore, la
tecnologia stessa di rimozione, ha dovuto subire delle modifiche nella tecnologia
di funzionamento per essere adattata alla delicata situazione.
Il fatto che la seguente descrizione, sia relativa ad un progetto di demolizione
controllata di un manufatto in muratura, è indifferente ai nostri fini, poiché la
maggior parte delle tecniche di demolizione utilizzabili per le opere in
calcestruzzo, possono essere applicate senza sostanziali modifiche, anche per la
muratura.
Ogni imprenditore o direttore di cantiere, conosce i problemi e le difficoltà che si
incontrano quando, scavando per realizzare una qualsiasi opera (impianti,
fondazioni, strade, in un lavoro pubblico o privato) si scoprono degli antichi
reperti, residui di costruzioni o manufatti dell'antichità: questo significa fermare i
lavori per tempi indefiniti, aspettare il giudizio delle autorità competenti, dover
eseguire fastidiose ed onerose varianti in corso d’opera.
fig. 1: Panoramica del Gianicolo. Vista della rampa destra scoperta e della
rampa sinistra interrata.
233
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Descrizione del caso
Questi inaspettati ritrovamenti esercitano un’influenza anche ben al di sopra del
livello di scavo: infatti i cittadini sono i primi ad accorgersene a causa dei
prolungati disagi al traffico che un cantiere aperto solitamente comporta.
A Roma, nell’ambito di uno dei più importanti interventi per il Giubileo, era
prevista la realizzazione del parcheggio sotterraneo del Gianicolo, opera
essenziale per regolarizzare l’afflusso dei pullman e delle autovetture dei
pellegrini in visita alla Città dei Vaticano. Praticamente a struttura completata,
mentre si realizzavano i lavori di costruzione di una delle due rampe di accesso al
parcheggio, su una di esse (quella sotterranea) sono stati trovati dei ruderi di una
villa romana.
Uno dei procedimenti più diffusi per la realizzazione di tunnel e gallerie, ad una
quota non molto profonda rispetto al piano di campagna, prevede le seguenti fasi
lavorative:
-
scavo a sezione obbligata, per la realizzazione delle paratie laterali;
-
realizzazione dei suddetti muri di contenimento;
-
posizionamento su di essi del solaio di copertura;
-
svuotamento dall’interno del volume di terra delimitato dalle partizioni
realizzate.
In pratica, lo scavo vero e proprio viene iniziato solo una volta che il volume di
terra da eliminare, e stato delimitato con le paratie laterali ed un sovrastante solaio
di copertura (che permette tra l’altro, di non interrompere a lungo il passaggio in
quella zona).
Il suddetto procedimento è stato esattamente seguito nel caso in esame, col
risultato che l’impresa esecutrice dei lavori, dopo aver realizzato le due
palificazioni laterali e la copertura, dopo aver tolto il terreno rimasto all’interno, a
galleria ormai praticamente realizzata, ha scoperto delle antiche mura. E' stata
avvertita la Soprintendenza e quando i tecnici sono arrivati si sono resi conto che i
reperti avevano un notevole valore storico e hanno logicamente sospeso i lavori.
Si è continuato poi a rimuovere manualmente la terra nella galleria, lavoro che ha
avuto quindi tempi di esecuzione lunghi, visto che gli operai erano direttamente
controllati dal personale della Soprintendenza.
Descrizione dello stato di fatto
Alla fine dello smaltimento del terreno, sono così venute alla luce alcune stanze:
tre vani e mezzo, poiché il quarto era stato praticamente tranciato dalla
palificazione in c.a., che costituiva una parete della galleria. La terra aveva
riempito tutti gli spazi poiché, in epoca remotissima, i soffitti di tutto il complesso
erano crollati.
Delle stanze si sono conservati solo i muri perimetrali, costruiti dal classico muro
“a sacco” romano, alcuni rifiniti in opus reticolatum, altri con affreschi in buone
condizioni di conservazione.
234
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
A questo punto, tutti gli interessati e responsabili delle varie istituzioni coinvolte
si sono, loro malgrado, incontrati (o piuttosto scontrati) sul da farsi.
Dall’intersezione di esigenze fortemente diverse, ognuna relativa alla diversa
figura professionale, nacque il vero problema: come proseguire?
Ignorare la scoperta era oramai impossibile, deviare sensibilmente la direzione del
percorso era economicamente improponibile, ed anche crearvi un sito
archeologico era logisticamente inattuabile.
In particolare: l’impresa era stata costretta a sospendere i lavori, rinviando il
riconoscimento di quanto eseguito, ritardando la consegna e quindi il collaudo
dell’opera finita; la Soprintendenza voleva salvare e lasciare possibilmente in
loco, tutte le murature ed in ogni caso temporeggiare, continuando a fare le
ricerche necessarie; il Ministero dei Lavori Pubblici - Provveditorato alle Opere
Pubbliche per il Lazio, che stava seguendo e dirigendo i lavori dell’intervento avrebbe voluto che i lavori si svolgessero e terminassero nei tempi previsti; infine
il Comune di Roma avrebbe voluto che i lavori fossero portati a termine per
rendere fruibile completamente quell’importante opera che è il parcheggio dei
Gianicolo.
Dopo un lungo esame ed innumerevoli riunioni, si è finalmente concordato e
stabilito di completare la galleria rendendola al più presto fruibile per l’accesso al
parcheggio: dunque l’esigenza funzionale ha prevalso sulle altre.
Di conseguenza ciò avrebbe comportato il distacco degli affreschi, la rimozione
dei reperti murari e il recupero, attraverso una ricerca accurata, di tutto quello che
si poteva ritrovare.
Le strutture murarie in elevazione, con parte della fondazione, avrebbero dovuto
essere spostate momentaneamente in altro luogo, in attesa di poterle rimontare in
luogo da stabilirsi successivamente, assieme agli altri reperti eventualmente
rinvenuti attraverso gli scavi da effettuare in loco e nelle immediate vicinanze.
Il progetto della demolizione
Il Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Lazio ha quindi elaborato, con la
collaborazione dei maggiori esperti dei settore, un progetto di intervento per la
protezione, rimozione, traslazione al deposito dei reperti archeologici murari
rinvenuti nella galleria Torlonia.
235
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
fig. 9 Primo rilievo delle murature con indicazione
della numerazione dei campioni.
L’intervento consisteva nella
suddivisione
delle
pareti
murarie in blocchi “campioni”,
mediante l’esecuzione di tagli,
eseguiti attraverso l’impiego di
speciali attrezzature; in loco si
sarebbe
provveduto
alla
costruzione degli involucri di
protezione ed imballaggio degli
stessi campioni, grazie ai quali
si
sarebbe
eseguita
la
rimozione, movimentazione e
trasporto verso un deposito
provvisorio.
Fattore fondamentale era dunque la salvaguardia delle murature durante il taglio,
l’imballaggio e gli spostamenti. Queste dovevano essere tolte dalla loro posizione
senza correre il minimo rischio di frantumarle, o anche di danneggiarle
minimamente. Solo così si sarebbe potuto, successivamente, rimontare e
riassemblare il reperto in altro loco.
Come è stato finora più volte spiegato nel testo, ogni tecnologia presenta dei
particolari vantaggini ambiti diversi: compito del progettista è quello di saper
distinguere quali sono i vincoli della situazione che si trova a dover affrontare, e
saper, sia scegliere la tecnologia, che progettare l’intervento, in base ad essi.
Le esigenze dell’operazione in questione erano il distacco degli elementi di
interesse dalla loro sede, mantenendo integro il manufatto, ed evitando qualsiasi
danneggiamento dovuto a vibrazioni.
Il tutto però doveva essere
eseguito in tempi molto brevi,
per poter permettere la
prosecuzione dei lavori di
costruzione della rampa.
fig. 2
Posizionamento della macchina da taglio.
Una volta separato l’elemento
campione,
restava
da
effettuare il suo imballaggio
speciale
e
la
sua
movimentazione in sede più
sicura.
Riassumendo le esigenze le di conseguenza i criteri per la scelta della tecnica
erano:
-
divisione di un elemento in più parti;
-
esecuzione dell’operazione in tempi ridotti;
-
esecuzione dell’operazione con totale assenza di vibrazioni;
236
Capitolo 3
-
“Verba Volant, Exempla Manent”
divisione netta e precisa che non danneggi i bordi adiacenti la superficie di
contatto.
Sulla base dei suddetti requisiti la scelta tra le attuali tecnologia a disposizione sul
mercato è versa per il taglio, effettuato con utensili dai bordi diamantati.
Le fasi lavorative previste nel progetto erano organizzate come segue:
-
taglio delle murature con attrezzature al diamante, in blocchi definiti
“campioni”, con pezzatura di circa 1,30 m di base, per 1,50 m di altezza.
-
inserimento di una lastra di metallo di adeguato spessore nel taglio di base,
con risvolto verticale ad “L” in modo da contenere base e risvolto inferiore del
maschio murario.
-
costruzione in loco di un imballaggio in legno foderato con pannelli in
materiale poliuretanico, con la funzione di assorbire e uniformare le sporgenze
e le irregolarità della muratura, proteggerla e sostenerla.
-
serraggio delle pareti lignee mediante installazione di tiranti filettati posti nelle
parti alte e basse dei contenitore, attraversanti anche i risvolti metallici.
-
rimozione dei “campioni” facendoli scorrere dalla loro posizione su un fork
lift, utilizzando la lastra metallica, posta alla base, come un vassoio di
sostegno.
Prima dell’intervento sulle murature la Soprintendenza ha provveduto al distacco
di tutti gli affreschi, al loro trasporto presso il laboratorio per il consolidamento,
pulizia e restauro su una struttura a nido d’ape, per poterli poi rimontare sulle
murature, una volta riassemblate.
L’esecuzione dei lavori
Il Provveditorato, in accordo con l’impresa che stava eseguendo il lavoro di
costruzione delle rampe, ha quindi interpellato alcune imprese di sua fiducia; uno
dei criteri più vincolanti di scelta dell’impresa esecutrice, era proprio la
ristrettezza dei tempi per l’esecuzione del lavoro, richiesti dall’urgenza di aprire
l’accesso al parcheggio.
237
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Infine, tra le imprese presentatesi, è stata scelta la Saide Costruzioni di Roma, che,
oltre a disporre delle necessarie attrezzature specialistiche, del personale
competente, si è detta pronta a seguire le vincolanti modalità indicate e stabilite
dal progetto.
L’impresa scelta, aveva già svolto lavori di particolare delicatezza, quale
l’intervento per il sostegno delle notevoli travi di appoggio delle vele nella
Basilica Superiore di S. Francesco ad Assisi, coperte dai notissimi affreschi di
Giotto.
Come previsto dal progetto, sono state utilizzate delle attrezzature al diamante,
necessarie per ottenere un taglio perfetto delle murature, al fine di poter imballare
i settori di muro tagliati nelle “casserature” preparate a piè d’opera. È stato
dunque organizzato il cantiere con due turni di personale altamente specializzato,
in modo da poter rientrare nei tempi prefissati; sono stati inoltre realizzati,
direttamente in galleria, un piccolo ma completo laboratorio di falegnameria ed
un’officina meccanica; le funzioni di questa officina erano: la costruzione dei
contenitori in legno foderati, il taglio a misura delle lastre di lamiera costituenti i
basamenti di appoggio, ed il contenimento dei campioni.
Per effettuare i tagli delle murature, così come richiesto, sono state approntate le
varie attrezzature disponibili, seghe elettriche a nastro diamantato, seghe a disco
diamantato, seghe con catena diamantata e carotatrici al diamante per i perfori
occorrenti al passaggio dei nastro diamantato (per i dettagli delle suddette
tecnologie, vedere relativo paragrafo nel capitolo “Le Tecnologie della
Demolizione”); inoltre, per alcuni tagli di rifinitura e di distacco tra la
palificazione in cemento e l'antico manufatto in muratura romana, delle seghe a
catena con riporti di placche al Widia.
Naturalmente, come sempre avviene negli interventi sul costruito, in corso
d’opera nascono problemi difficilmente prevedibili in fase progettuale: la maggior
parte delle attrezzature per il taglio (per c.a. o per muratura) necessita di un
sistema di liquid cooling ( = raffreddamento liquido) per stemperare le elevate
temperature che si generano per attrito tra lama e superfici di contatto al momento
del taglio: lo smaltimento delle acque, specie in un terreno già umido mal si
concilia, col rischio di dilavamento delle preziose murature.
238
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
L’impresa in questione, ha eseguito quindi una serie di prove, con le suddette
attrezzature, al fine di vedere se era possibile utilizzare gli utensili diamantati
senza raffreddarli, e quali sarebbero stati gli effetti sull’elemento da tagliare, e
sull’attrezzatura stessa.
L’antica muratura, era costituita in parte da blocchi e pezzatura di tufo, ed in parte
da una tipica struttura “a sacco”, cioè due pareti in mattoni a delimitare
un’intercapedine riempite di silice, sassi, scaglie di marmo, pezzi di basalto, etc.
Il disco diamantato, la cui velocità di taglio avrebbe consentito un intervento
rapido e molto preciso, non si è purtroppo potuto utilizzare, in quanto la sua
struttura in acciaio, anche dopo aver ridotto il numero di giri, si è surriscaldata
rapidamente, deformandosi.
Anche le catene diamantate, senza raffreddamento non si sono potute utilizzare
per lo stesso motivo. La deformazione della lama, rappresentava non solo un
danno irreversibile per lo strumento, ma comportava il rischio – ben più grave – di
eseguire un taglio incontrollabile nella muratura.
La soluzione che infine ha consentito di eseguire il lavoro senza acqua di
raffreddamento, è stata il nastro diamantato iniettato in plastica, opportunamente
adattato per l’occasione.
Le macchine sono state posizionate con le pulegge di trazione opportunamente
distanziate dal muro, il nastro in uso era dunque più lungo di quanto normalmente
utilizzato ed è stato fatto girare più lentamente: questo ha consentito che il calore
provocato dall’attrito delle sole perle sulla muratura, non si trasmettesse e si
accumulasse.
Le molle, distanziatrici delle perle, e la struttura in acciaio, non hanno
praticamente comportato attrito. Inoltre, la minore velocità di rotazione adottata,
consentiva a ciascuna perla di effettuare un taglio perfetto, e di raffreddarsi prima
di ritoccare il muro.
239
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Questa soluzione ha consentito di realizzare l’intervento in modo sicuro e preciso,
rispondente alle richiesta della committenza, ovviando al problema del deflusso
delle acque di raffreddamento. Per le suddette operazioni è stato utilizzato un
nastro diamantato con 36 perle/metro, rivestito e iniettato in plastica, di
granulometria 40 – 50, elettro-deposto, a concentrazione KD 1.1.
fig. 10: prelievo dei campioni con montacarichi
Durante le fasi di lavorazione, sono stati inoltre ritrovati due o tre frammenti di
affresco (sfortunatamente di piccole proporzioni) che sono stati imballati, previa
adeguata protezione, assieme alla porzione di muro sul quale trovavano.
Nel corso dei lavori la sovrintendenza che, con la costante presenza degli
archeologi e di alcuni specialisti del restauro ha seguito l’intero corso dei lavori,
ha chiesto il recupero ed il “campionamento” di altre sedici porzioni di muro,
portando così il totale dei campioni, a settansei.
Sono stati anche recuperati tre blocchi di travertino, che costituivano delle soglie
ed una decina di “bolli laterizi”.
Nonostante tutti queste interruzioni ed imprevisti, sono stati rispettati i tempi
previsti per il lavoro, permettendo la continuazione della rampa per l’accesso al
parcheggio: il tutto senza il minimo danno ai reperti ritrovati.
Tutti i campioni sono stati momentaneamente depositati in un locale vicino alla
zona di ritrovamento, ed aspettano solo di essere rimontati, insieme alla
reinstallazione degli affreschi e l’eventuale abbinamento con altri reperti che si
spera di trovare durante successivi scavi.
Questo potrebbe consentire una ricostruzione, interessante seppur parziale, di
quella che potrebbe essere stata la “Domus Agrippinae”, cioè la villa che è stata
prima di Agrippina, poi di Caligola ed infine di Nerone.
240
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
DEMOLIZIONE DELLO STADIO
SEATTLE, WASHINGTON
Lo stadio Kingdome di
multifunzionale estremamente
delle due principali squadre
grandi fiere e manifestazioni
genere finalizzate alle famiglie.
“KINGDOME”
A
Seattle, costruito nel 1976, era uno spazio
versatile: infatti costituiva la sede di allenamento
sportive, e veniva spesso utilizzato per accogliere
commerciali, concerti musicali ed attività di vario
A seconda dell’evento poteva accogliere addirittura fino a 70.000 persone. Dalla
data della sua apertura, in 24 anni vi si sono tenuti 3.000 grandi eventi e sono
state accolte 66 milioni di visitatori, compensando abbondantemente i costi di
costruzione di 67 milioni di dollari.
Nel giugno del 1997, i cittadini dello stato di Washington hanno deciso con un
referendum, la costruzione di un nuovo stadio da calcio e centro di grandi
manifestazioni per la comunità.
Il nuovo stadio sarebbe sostituito grandemente tutte le funzioni esercitate da
quello precedente, con l’aggiunta netta di un parcheggio da 2.000 posti macchina.
Lo stadio da demolire era comunque una meraviglia dell’ingegneria:
rappresentava infatti la più grande copertura al mondo realizzata come volta
sottile in calcestruzzo armato; il diametro della cupola era di 219,46 m (720 foot),
e la volta sottile stessa aveva uno spessore di 12,7 cm (5 inches); era rinforzata da
40 costoloni radiali, che partivano da un anello di compressione, spesso 228,6 cm
(7,5 foot) e di diametro 8,78 m (28.8 foot), ed arrivavano da un anello di trazione,
spesso 60,96 cm (2,0 foot) e di diametro 7,31 m (24.0 foot). Quest’ultimo anello
perimetrale poggiava su 40 pilastri in calcestruzzo alti 41,15 m (135 foot).
Una squadra di 20 tecnici ha preparato l’implosione di questa grande struttura per
cinque settimane, preparando circa 5.905 fori in cui inserire le cariche esplosive.
Alla fine sono stati usati circa 2.145 kg di esplosivo e 34,8 m di corda.
Il progetto della demolizione
Uno dei principali vincoli di progetto nel caso in analisi erano sicuramente le
imponenti dimensioni dell’organismo: era impensabile un suo smantellamento
progressivo, non solo per l’allungamento che avrebbero subito i tempi, ma in
particolare a causa della conformazione strutturale dell’opera stessa: non è
possibile tagliare a fette o settori una struttura a cupola, e pretendere che continui
a restare in piedi per la durata dello smantellamento, la stabilità dell’intero
sistema è affidata più che mai alla collaborazione di ogni singolo componente
strutturale, che non può essere rimosso senza creare disastrose ed incontrollabili
conseguenze.
241
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Inoltre l’ordine di grandezza delle dimensioni era tale da rendere impossibile un
disfacimento che portasse una dispersione di macerie in un’area troppo vasta,
oppure la creazione di un cumulo troppo alto: in entrambi i casi, i tempi relativi
alle successive operazioni di trasporto e smaltimento avrebbero subito dei forti
allungamenti, ed in particolare nel secondo caso si sarebbe reso necessario l’uso
di particolari gru (dall’altezza media, ma dall’eccessiva lunghezza del braccio);
queste dovevano quindi essere localizzate in un unico sito, ben accessibile da
ogni lato, tale da semplificare e favorire le fasi successive.
L’unica soluzione era quella di far collassare su se stessa la struttura: questa
soluzione si presentava come la meno rischiosa, ed avrebbe, se riuscita, permesso
l’accumulo di tutte le macerie in una zona relativamente circoscritta.
A causa della conformazione a simmetria radiale non è però fisicamente possibile
far implodere una cupola su se stessa, poiché ogni trancia opporrebbe resistenza
nei confronti di quella opposta, nel suo movimento di caduta verso l’interno.
Si è quindi pensato di dividere il momento dell’implosione in due fasi: in ognuna
delle fasi si sarebbero indeboliti ed atterrati degli spicchi diversi, ovviamente non
in adiacenza uno con l’altro.
Nella seguente sequenza fotografica vengono illustrati i principali momenti
dell’abbattimento: si può notare come vengano progressivamente formate le
cerniere per ogni settore circolare, e come si generi di conseguenza il
cinematismo di caduta.
Le prima fase in assoluto consiste nell’indebolimento della struttura: deve essere
ridotta la sua rigidezza globale, abbassandola, da una struttura iperstatica, ad una
al limite dell’isostaticità.
Quindi in primo luogo sono stati rimossi tutti quegli elementi che avrebbero
potuto opporsi in fase di caduta, o modificarne la traiettoria pianificata:
l’eliminazione di tutte le tamponature, ha lasciato in vista il nudo scheletro.
La struttura era realizzata con due tecnologie a seconda del tipo di elemento
strutturale: i pilastri e tutti gli altri elementi soggetti essenzialmente a
sollecitazioni di compressione (od al limite presso- flessione) erano realizzati in
calcestruzzo ordinario, gettato in opera, mentre i costoloni, soggetti in
242
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
calcestruzzo armato precompresso: quest’ultimi potevano essere sia a cavi pretesi che post-tesi (vedere fig.1.b).
Prima ancora di lavorare con gli esplosivi, si conclude la fase dell’indebolimento,
eliminando tutte le rampe scale e quegli elementi di elevata rigidezza, non solo
per evidenti motivi strutturali, ma anche semplicemente per ridurre il quantitativo
di macerie da raccogliere in seguito.
Solo a questo punto è possibile iniziare a posizionare le cariche esplosive: queste
vengono collocate in modo tale da creare tante cerniere ed abbassare di
conseguenza il grado di iperstaticità delle struttura.
Come si può notare osservando la foto 3.a, è stata effettuata la suddivisione per
settori premessa per facilitare il collasso: i settori circolari più scuri sono quelli
destinati a cadere con il brillamento della prima serie di cariche, mentre quelli più
chiari seguiranno i primi ad un intervallo temporale di 2,6 secondi. Nella figura
3.b invece si possono notare le speciali “bendature” con le quali sono stati fasciati
i punti di maggior concentrazione di esplosivo, al fine di limitare il più possibile
la proiezione di detriti di piccola taglia.
243
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Dalla foto si vede come i primi tre settori iniziano ad instabilizzarsi ed a
collassare verso l’interno grazie alla cerniera creata a circa 1/3 dello sviluppo dei
costoloni; è stata effettuata una cernierizzazione anche negl’elementi verticali,
portandoli al ribaltamento; come si può vedere dalla sezione assonometrica, le
rampe orizzontali che collegano i pilastri sono state lasciate integre, ed il loro
forte carico ha aiutato fortemente il ribaltamento delle due file di colonne, che, di
per sé potevano altrimenti opporre un buon momento d’inerzia resistente
complessivo.
Si comprende quindi come il progetto del brillamento sia stato pensato per
sfruttare al massimo la forza di gravità, non facendo altro che mettere la struttura
di in condizione di non poterle opporre resistenza.
Non appena i prime tre spicchi si avviano a toccare rovinosamente il suolo, viene
fatta brillare la seconda serie di cariche: gli ultimi tre settori circolari vengono
“cinematizzati” allo stesso modo dei primi tre, con la differenza che oramai non
incontrano nessun contrasto laterale lungo la caduta.
Una volta cernierizzate queste strutture parziali, durante la loro caduta viene fatta
esplodere una terza ed ultima ondata di microcariche, la cui funzione è l’ulteriore
244
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
frantumazione degli elementi strutturali; questa frammentazione non solo
semplifica le operazioni di smaltimento, ma abbatte fortemente l’impatto della
massa al suolo, e la conseguente creazione di onde di vibrazione.
In circa 20 secondi,
l’intera
struttura
era
atterrata, generando un
immenso
cumulo
di
macerie che però non
fuoriuscì dal perimetro
dello stadio stesso.
Anche la proiezione di
macerie di piccola taglia,
fu estremamente limitata e
non
comportò
nessun
danno
al
contesto
cittadino.
foto 6.a
Il Kingdome è stato così atterrato esattamente in soli 16,8 secondi,
comportandosi molto meglio delle aspettative: le macerie delle demolizione si
sono concentrate in un mucchio pressappoco circolare di circa 7 m d’altezza,
contro i 21 metri previsti.
L’implosione e l’impatto a terra hanno creato una vibrazione paragonabile a
quella di un terremoto di 2,3 gradi della scala Richter, ma non ha causato nessun
danno sulle strutture adiacenti.
Si riportano alcune immagine del momento della caduta e delle fasi preparative.
Sequenze in successione dell’abbattimento dei primi e dei secondi settori
circolari: si può apprezzare il ritardo voluto nel brillamento notando come mentre
stia esplodendo la seconda serie di cariche, le prime fascie di copertura stia
molto al di sotto del suo profilo originale.
245
Capitolo 3
“Verba Volant, Exempla Manent”
Nella foto a sinistra si può osservare il risultato finale dell’operazione.
La foto a destra invece, illustra la fase dell’armamento delle mine sull’estradosso
della copertura.
246
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
IL
CONTROLLO
DEMOLIZIONE
DEL
RISCHIO
NELLA
Premessa
Nel primo capitolo sono stati enucleati e analizzati tutti quei fattori che possono
rientrare all’interno di un processo progettuale.
Nel mondo delle costruzioni, a prescindere da quale sia l’oggetto della
progettazione, i fattori che più caratterizzano i relativi processi progettuali non
variano molto: che si sia trattando un progetto di costruzione, di manutenzione, di
risanamento o di consolidamento antisismico, gli elementi che dirigono la
progettazione sono pressoché gli stessi.
Come è stato spiegato nei paragrafi iniziali, anche la demolizione fa parte
integrante del ciclo di vita di un edificio. Alla pari di tutte le altre fasi, ideazione,
costruzione, gestione e manutenzione, anch’essa necessita di un processo
progettuale che diriga a monte, le sue attività operative.
Ciò che si desume facilmente leggendo i primi capitoli del testo è la volontà di
presentare una nuova visione, più razionale, del momento della demolizione e
della relativa attività pianificatoria: se finora quest’ultima è sempre stata vista, in
particolare nel mondo lavorativo, come un momento a sé stante ed isolato, le cui
scelte progettuali erano regolate solamente da criteri di convenienza economica, è
importante focalizzarla come una fase appartenente all’intero ciclo di vita
dell’edificio, e come tale fortemente influenza da esso.
Solo in questo modo è possibile associare alla demolizione, il concetto e la
necessità di un progetto, come viene naturalmente fatto per tutte le fasi della
costruzione e della gestione.
Si ribadisce che i suddetti discorsi, e le considerazioni che seguiranno, assumono
il loro pieno valore alla condizione che siano relativi ad interventi complessi di
demolizione: con ciò si intendono operazioni di smantellamento di organismi
edilizi che, per motivi vari, non possano essere eseguite attraverso la cosiddetta
soluzione “banale”.
È chiaro che per smantellamenti di piccoli organismi edilizi, la necessità di
un’attività pianificatoria non sussiste, ma non appena ci si imbatta in una
organismo più impegnativo, che, per motivi di sicurezza o semplicemente
economici, richieda un’ottimizzazione del processo, finalizzata all’ottenimento di
un predeterminato rendimento, diventa necessario scindere la demolizione in tutti
i suoi fattori costitutivi, e trovare la soluzione progettuale più compatibile con la
maggior parte dei vincoli presentati dal contesto.
Proprio in ciò risiede, lo spirito e la profonda motivazione, che è alla base, e
giustifica tutta la ricerca: un’attività demolitiva (di un organismo complesso) non
può più essere affrontata con la superficialità che ha caratterizzata sinora questo
247
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
campo, deve essere invece trattata con gli stessi mezzi e criteri di ottimizzazione
utilizzati per le altre stadi del ciclo vitale di un organismo edilizio.
Se, come si è concluso finora, risulta quindi necessario per vari motivi, anteporre
ad un atto di demolizione un progetto coerente al fine di razionalizzare
quest’ultimo, è necessario ancor prima conoscere a fondo quali siano i fattori
costitutivi di un progetto di demolizione: questa indagine è stata condotta nel
primo capitolo di questo testo.
Una volta definiti e classificati i componenti principali di un progetto di
demolizione, l’obiettivo che si pone questa ricerca è quello di concentrarsi in
particolare su uno dei fattori di progetto più vincolanti e caratterizzanti: il
cosiddetto Risk Factor (fattore di rischio). Si tenterà quindi un esperimento di
controllo del rischio in un processo di abbattimento, tramite uno degli strumenti
di analitici oggi più usati per la modellazione probabilistica dei sistemi: le Reti
Bayesiane. Attraverso le reti mostreremo come sia possibile attribuire dei valori
di probabilità alle varie situazioni di rischio evidenziate.
Il Project Management
L’approfondita analisi fattori in gioco nel momento progettuale o egualmente
decisionale, finalizzata all’ottimizzazione di qualsiasi processo produttivo, è da
alcuni anni oggetto di studio di vari enti: più in generale rientra nella definizione
del cosiddetto Project Management.
Esiste infatti da diversi anni una disciplina, ed un relativo campo di studi, il cui
scopo principale è l’ottimizzazione, e dell’iter progettuale e del relativo processo
realizzativo, di qualsiasi genere di prodotto, producibile industrialmente e non;
ciò può valere per il prodotto nella sua globalità, o solamente per i suoi singoli
componenti costitutivi.
Il Project Management è, più in generale definibile come, l’applicazione di
conoscenze, capacità, strumenti e tecniche, ad un’attività progettuale, finalizzata
al raggiungimento ed al soddisfacimento di esigenze espresse da un committente.
La definizione appena data è appositamente generica, poiché in questo modo
risulta chiaro il fatto che, l’organizzazione di un attività pianificatoria attraverso
la disciplina Project Management, è applicabile a qualsiasi tipo di oggetto da
produzione, con l’unico fine di ottimizzare il rendimento dell’attività progettuale
stessa e/o del seguente iter produttivo.
Il Project Management è una disciplina che nasce per ottenere un controllo di tipo
logistico su un qualsiasi processo produttivo, in particolare in quelli di tipo
industriale: in poco tempo la possibilità di avere questo tipo di controllo, si è
anche estesa anche alla fase progettuale.
L’organizzazione concettuale dell’intero Body of Knowledge (corpo di
conoscenze) afferente al Project Management è oramai abbastanza normalizzata e
standardizzata: esiste infatti un centro di studi americano, internazionalmente
248
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
riconosciuto, il PMI (Project Management Institute), dove vengono approfondite
ed insegnate tutte le discipline afferenti a questo campo di studio.
Qualsiasi professionista, a prescindere del campo in cui opera riconosce la
necessità dell’esistenza di un progetto a monte di qualsiasi attività pratica
complessa: questa esigenza, rappresentata da una pianificazione ordinata e
razionale delle fasi operative di una qualsiasi attività pratica, è comune ed
universalmente valida per qualsiasi attività professionale di alto livello: un
chirurgo deve pianificare dettagliatamente le operazioni da eseguire, come un
avvocato necessita di un pian di attacco per difendere una causa in tribunale,
senza parlare della fervida attività progettuale che precede oramai qualsiasi
nuovo lancio pubblicitari di un prodotto commerciale.
L’ambito delle costruzioni è quello che da sempre si è più appoggiato sulla
presenza di un progetto, che espliciti e spieghi ai diversi operatori, i svariati
aspetti che costituiscono un organismo edilizio, permettendone la realizzazione
fisica.
Senza entrare troppo nel dettaglio, si potrebbe ricordare come, se ne passato un
progetto di una grande opera era essenzialmente gestito da un’unica persona (o
poco più), ai tempi odierni, con la complessità raggiunta dai progetti di larga
scala, sarebbe impossibile pensare ad un unico personaggio che controlli nel
dettaglio tutto l’iter: naturalmente ciò si verifica anche a causa della profonda
specificità che caratterizza oramai ogni disciplina scientifica. Si è quindi passati
alla cosiddetta progettazione d’equipe, in cui le menti e la professionalità di
diverse persone collaborano al fine di generare un prodotto unico.
Cos’è un Progetto
Prima di iniziare ad analizzare le principali knowledge areas (aree di conoscenza)
di un progetto, visti secondo la disciplina del Project Management, sarebbe utile
fissare qualche definizione del concetto stesso di progetto. Solitamente, ad
un’attività intellettuale pianificatoria, ordinata e razionale, seguono un’insieme di
operazione pratiche che si pongono lo scopo di dar vita ad un prodotto. Quindi
progetti ed operazioni condividono alcune caratteristiche; in particolare:
-
sono entrambi eseguiti da persone;
-
sono entrambi limitati da vincoli di vario genere;
-
vengono pianificati, eseguiti e controllati.
Le principali differenze tra i due suddetti enti consistono nel fatto che le
operazioni hanno uno svolgimento continuo e spesso ripetitivo, mentre i progetti
sono temporanei ed unici.
Quindi un progetto è definibile come un’attività temporanea intrapresa per creare
un prodotto od un servizio comunque unico. Per “temporanea” si intende che
ogni progetto ha un inizio ed una fine ben definita, seppur non necessariamente
debba essere fissata la durata esatta.
249
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
La conclusione temporale del progetto avviene quando siano stati raggiunti gli
obiettivi preposti, oppure quando risulta chiaro che gli stessi obiettivi non
possano essere raggiunti. Il termine temporaneo non fornisce inoltre alcuna
indicazione sulla durata del tempo di servizio del prodotto o servizio realizzato.
Per “unico” si intende che il prodotto o servizio fornito differisce nelle sue
caratteristiche principali da qualsiasi altro prodotto o servizio simile. Si fa notare
che un servizio/prodotto può mantenere la sua unicità nonostante esso appartenga
ad una categoria esistente molto vasta: basti pensare che una qualsiasi villa, pur
appartenendo alla categoria di edificio con destinazione d’uso di civileabitazione, non potrà mai essere eguale ad un’altra villa.
Egualmente lo stesso discorso vale a proposito degli elementi costruttivi: pur
potendo essere standardizzati e ripetitivi, ciò non influisce sull’unicità del
prodotto che concorrono a creare nella loro globalità.
Un progetto può essere intrapreso a qualsiasi livello di organizzazione, può
coinvolgere un sola persona o centinaia di persone, basti ricordare la costruzione
delle cattedrali gotiche storiche. Allo stesso modo sia le ore dedicate, che le unità
lavorative possono essere numericamente molto varie.
Per ulteriore chiarezza si forniscono in seguito alcuni esempi di progetti relativi
ai campi più diversi:
-
sviluppo di un nuovo prodotto o servizio;
-
modifica della struttura di un’organizzazione;
-
progetto di un nuovo mezzo di trasporto;
-
sviluppo di un nuovo sistema di scambio dati;
-
costruzione di un organismo edilizio;
-
presentazione una campagna politica o pubblicitaria;
-
potenziamento di un particolare business.
Resta infine necessario sottolineare una lieve problematica linguistica del termine
“progetto”: in italiano, questo termine viene utilizzato indistintamente per
indicare concetti che in inglese vengono espressi in maniera distinta:
Design
Progettazione e progetto tecnico/artistico di un qualche
prodotto/servizio/componente;
Engeneering
Progettazione in senso tecnico, con attenzione alle fasi
realizzative, oltre che funzionali del prodotto;
Drawing
Disegni tecnici che comprendono una rappresentazione
formale del progetto tecnico;
Project
Una serie di attività mirate al raggiungimento di un
obiettivo; queste possono comprendere anche una parte
relativa
allo
sviluppo
progettuale
tecnico
di
componenti/prodotti.
250
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Volendo esprimere i suddetti termini su un caso pratico, si consideri il seguente
esempio:
Design
Sviluppo delle caratteristiche tecniche del nuovo veicolo:
forma, motorizzazione , analisi strutturale, analisi
funzionale, dimensionamenti etc.
Engeneering
Revisione del progetto della nuova auto per renderla
costruibile sulle linee esistenti in modo efficiente;
Drawing
Disegni tecnici del nuovo veicolo;
Project
Proteo mirato allo sviluppo della nuova autovettura: analisi
di
mercato,
gestione
del
team
dell’ingegneria,
pianificazione dei tempi di sviluppo, sviluppo del processo
produttivo sviluppo di nuove tecnologie di realizzazione,
analisi di costo, studi di fattibilità impostazione del nuovo
veicolo,
del
suo
sistema
produttivo
e
di
commercializzazione.
Motivi del Project Management
Vista l’universalità del concetto di progetto, la possibilità di affiancare un’attività
pianificatoria in qualsiasi campo di tipo professionale, e d’altra parte, la necessità
di organizzare e gestire le diverse competenze all’interno di equipe di
progettazione, si comprende come sia nata l’esigenza di controllare i fattori
appena descritti, da un riferimento superiore: ossia pianificare ed ottimizzare
l’attività progettuale stessa. Questo è il target (lo scopo) principale che si pone il
Project Management.
Un altro vantaggio che l’introduzione del Project Management comporta, è la
possibilità di creare un nuovo linguaggio comune, che utilizza terminologie
compatibili con qualsiasi campo all’interno del quale si stia operando un’attività
progettuale.
Una conseguenza diretta del suddetto vantaggio, è però la necessità di mantenere
i concetti trattati ad una scala abbastanza ampia da poter essere sempre adattata ai
vari campi professionali, spesso estremamente diversi tra loro: si noterà quindi
una certa impossibilità di scendere nel dettaglio, ma tra d’altra parte non bisogna
dimenticare che l’obiettivo principale del Project Management è quello di
controllare e gestire i fattori, quindi i protagonisti e le competenze, di un processo
progettuale.
Si riportano in seguito alcune definizioni di Project Management, al fine di
chiarificarne ulteriormente le caratteristiche:
•
Per P.M. si intende l’applicazione dell’approccio sistemico alla gestione di
attività tecnologicamente complesse o di progetti i cui obiettivi sono
esplicitamente fissati in termini di parametri di costo e performance.
(Cleland & King 1988)
251
Capitolo 4
•
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Pianificare, organizzare, dirigere e controllare le risorse dell’azienda per un
obiettivo relativamente di breve termine, che è stato fissato per portare a
termine traguardi ed obiettivi specifici. Inoltre il P.M. utilizza l’approccio
sistemico alla gestione mediante l’assegnazione di personale di funzione
(gerarchia verticale) ad uno specifico progetto (gerarchia orizzontale).
(Kerzner 1989)
Ed ancora:
•
Il processo mediante il quale le persone cercano di guidare un progetto per
raggiungere traguardi prestabiliti, nel rispetto di vincoli temporali. Questo
processo coinvolge elementi di pianificazione, monitorino, analisi, problem
solving e comunicazione.
•
I sistemi automatizzati di PM aiutano i manager a mantenere gli elementi di
controllo in particolare per progetti di grandi dimensioni, complessi, che
implicano la gestione di un’elevata quantità di dati. Con l’aiuto di questi
sistemi ed il supporto di servizi di PM, i manager sono meglio in grado di
fissare il loro piano, di valutare regolarmente lo stato del progetto rispetto al
piano e di sostenere possibili linee di azione alternative…
(Decision Technologies Division della Electronic Data System Corporation –
General Motors)
Resta da fare un’ultima distinzione: spesso, in particolare nel linguaggio comune,
il termine Project Management, viene più o meno impropriamente utilizzato per
descrivere un organizzazione finalizzata al controllo e la gestione di operazioni di
tipo continuo; in sintesi, si intende la semplice organizzazione del cantiere: è
facile comprendere come questa visione del Project Management sia limitante
rispetto a quella finora descritta.
Aree del Project Management
Nell’ambito di questo Project Management Institute, sono state indicate e
categorizzate dodici aree di conoscenza, ognuna relativa ad un diverso fattore
costitutivo del processo progettuale; di seguito vengono elencate queste aree, e se
ne riportano le principali caratteristiche:
1.
Project Integration Management: ovvero quel processo che assicura il
corretto coordinamento dei vari elementi di progetto; consiste nel sviluppo
del piano generale, nell’esecuzione del piano di progetto e nel controllo dei
cambiamenti del piano.
2.
Project Scope Management: descrive i processi necessari per assicurare che
il progetto includa in sé
tutti gli obiettivi preposti, al fine del
soddisfacimento della committenza, secondo un contratto predefinito; esso
consiste in nell’analisi preparativa, nella pianificazione degli obiettivi, nella
loro definizione e verifica, oltre che nel controllo dei cambiamenti sugli
stessi obiettivi.
252
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
3.
Project Time Management: descrive i processi necessari per assicurare il
completamento del progetto secondo la tempistica accordata; esso consiste
nella definizione dell’attività, nel suo sequenziamento, nella stima della
durata delle singole attività, nello sviluppo dello scheduling e nel loro
controllo.
4.
Project Cost Management: descrive i processi necessari per assicurare il
rispetto dei costi di progetto; esso consiste nella pianificazione delle risorse,
nella stima dei costi, nel budgeting degli stessi e nel loro controllo.
5.
Project Quality Management: descrive i processi necessari per assicurare il
rispetto della qualità accordata del progetto; esso consiste nella
pianificazione della qualità, nell’attuazione delle politiche di qualità, e nel
controllo della stessa.
6.
Project Human Resources Management: descrive i processi necessari per
ottimizzare al massimo l’uso delle persone (e delle loro qualità) coinvolte
nel progetto; consiste nella pianificazione dell’organizzazione di progetto,
nell’assunzione dello staff, e nello sviluppo del team di lavoro.
7.
Project Communication Management: descrive i processi necessari per
assicurare il più appropriato e corretto modo di generazione, raccolta,
distribuzione ed archiviazione dei dati di progetto; consiste nella
pianificazione delle comunicazioni, nella distribuzione delle informazioni,
nel continuo reportage delle prestazioni misurate, ed infine nella chiusura
amministrativa della documentazione.
8.
Project Risk Management: descrive i processi necessari per identificare
correttamente e completamente, analizzare e fornire un’adeguata risposta ai
rischi di progetto; consiste nell’identificazione e quantificazione dei rischi,
nello sviluppo delle risposte e delle soluzioni al rischio, e nel controllo delle
contromisure attuate.
9.
Project Procurement Management: descrive i processi necessari per la
corretta valutazione e gestione dei fornitori; consiste nella pianificazione
dei contratti dei fornitori, nella pianificazione dell’acquisizione di proposte,
nell’acquisizione delle offerte, nella selezione dei fornitori, nella gestione
dei contratti e nella loro chiusura.
253
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Tabella tratta dal testo:
“A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee.
Knowledge Based Decision Analysis
L’obiettivo dell’illustrazione approfondita di quali siano tutti gli aspetti da
considerare all’interno di un’attività progettuale, era quello di mostrare la
complessità di universo progettuale e delle possibili interrelazioni tra i suoi
diversi elementi costitutivi. Si comprende quindi come sia fondamentale
effettuare le scelte giuste, considerando tutte le variabili in gioco, al fine della
massimizzazione del rendimento finale.
La razionalizzazione e l’ottimizzazione del momento decisionale, è oramai
anch’essa diventata una disciplina comunemente riconosciuta: è la cosiddetta
Decision Analysis.
254
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Decision Analysis è definibile come l’arte e la pratica della Decision Theory, una
teoria assiomatica che prescrive in che modo le decisioni progettuali debbano
essere prese.
La premessa fondamentale che sta alla base della Decision Analysis è che, il
progettista è ragionevolmente capace di strutturare un problema decisionale, di
elencare le possibili opzioni decisionali, di determinare i principali variabili
indipendenti e dipendenti, di quantificare le incertezze e le preferenze, ma ha
delle difficoltà a combinare queste informazioni sintetizzandole in una decisione
razionale.
La Decision Analysis si presenta come una insieme di strumenti empiricamente
testati per strutturare un problema decisionale, quantificare incertezze e
preferenze, individuare i quei fattori critici nel modello decisionale, e computare
quel valore di informazioni che riduce le incertezze.
La Teoria della Probabilità e la Teoria Decisionale forniscono invece quegli
strumenti per combinare le osservazioni e quindi ottimizzare le decisioni.
Mentre la Decision Analysis è basata su due teorie quantitative – la Teoria della
Probabilità e la Teoria Decisionale – i suoi fondamenti sono qualitativi e sono
basati su assiomi di scelte razionali.
Lo scopo della Decision Analysis è di ottenere una comprensione profonda di una
decisione, e non una semplice raccomandazione operativa.
Durante tutta la trattazione fatta nei tre capitoli precedenti, si è più spesso
sottolineato come la componente del rischio abbia influenzato le scelte
progettuali (vedi III capitolo - casi studio)), pure sia fortemente vincolante nella
scelta di una tecnologia rispetto ad un’altra (vedi II capitolo – tecnologie di
demolizione); in effetti, a oltre al fattore di convenienza economica , la variabile
del rischio è comunemente considerato come un fattore fondamentale nel
momento della Decision Taking.
Questo è il motivo per cui si è scelto di approfondire il campo del Risk
Management, all’interno del quadro più generale del Project Management.
Si passerà quindi a descrivere quali siano i processi della gestione del rischio, a
spiegare il funzionamento della principali tecniche di Reliability Engeneering
(controllo e gestione del rischio); infine si chiarificheranno i discorsi fatti con
un’applicazione pratica di controllo del rischio, su di un’ ipotesi progettuale di
demolizione, attraverso lo strumento delle già citate Reti Bayesiane.
Il Risk Management
Un progetto può sempre essere considerata come un’attività stocastica, per cui vi
sono correlati dei rischi diretti od indiretti che è necessario gestire: più in
generale si dirà l’obiettivo di tale gestione è la massimizzazione le conseguenze
255
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
positive di eventi positivi, ed
conseguenze di un evento avverso.
la
All’interno del Risk Management,
sottoinsiemi, ossia processi minori:
contemporanea
possono
essere
minimizzazione
individuate
-
Risk Identification – (identificazione del rischio);
-
Risk Quantification – (quantificazione del rischio);
-
Risk Response Development – (pianificazione gestione rischi);
-
Risk Response Control – (controllo delle contromisure ai rischi).
delle
quattro
L’elencazione fatta segue il percorso logico più intuitivo, ma non è escluso che le
singole fasi possano interagire tra di loro anche secondo ordini diversi, dando
luogo a diversi iter di progetto all’interno dell’insieme del Risk Management.
Risk Identification
Come suggerisce il nome stesso, questo processo consiste nella determinazione di
quali siano i possibili rischi che possano interessare un progetto, e nella
documentazione le caratteristiche di ognuno di essi. L’identificazione dei rischi è
un processo che può presentarsi più volte durante lo sviluppo temporale di un
progetto.
È possibile fornire una vasta scelta di classificazioni di rischi: una delle categorie
più generali, è quella che suddivide i rischi in interni ed esterni. Per rischi interni
si intendo, quelle incognite dannose che lo staff progettuale è in grado di
controllare o di influenzare, come ad esempio la stima dei costi, la gestione del
personale, etc.
Per rischi esterni invece si intendono quelle incertezze pericolose incontrollabili,
totalmente al di fuori del controllo dello staff, come tendenze del mercato, etc.
Naturalmente l’identificazione dei rischi deve necessariamente prendere in conto
entrambe le classi.
Il succitato P.M.I., analizza nel suo testo guida ognuno dei sub-processi (Risk
Identification, Risk Quantification, Risk Response Development, Risk Response
Control) attraverso dei criteri prefissati: viene cioè proposto un iter mentale ed
operativo da seguire, in base al quale ogni singolo processo necessita per
funzionare di alcuni precisi input, utilizza degli strumenti determinati, e fornisce
quindi certi risultati (output).
256
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Tabella tratta dal testo:
“A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee.
Risk Quantification
Questo processo ha l’obiettivo di attribuire ad ogni componente di rischio
individuata nella fase precedente, il suo relativo peso, ed individuare le possibili
correlazioni con le altre variabili di rischio.
È altresì importante considerare anche quei rischi che possono interagire in modo
inaspettato, e che talvolta
possono innescare cosiddetti effetti “domino”,
scatenati da una solo possibilità di rischio trascurata. In questa fase conviene
anche distinguere i cosiddetti rischi “positivi”, ossia opportunità, da quelli
“negativi”, ossia minacce vere e proprie.
Come per il processo di Risk Identification, si riporta l’iter di svolgimento del
processo di quantificazione del rischio:
Tabella tratta dal testo:
“A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee.
Risk Response Development
Una volta individuati e quantificati i possibili rischi, ci si trova davanti ad una
rete di fattori di danno correlati tra loro in vario modo: si è quindi conclusa quella
che potremmo definire, la fase della domanda.
257
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Da ora inizia il momento della risposta alle problematiche; si può quindi reagire
ai rischi riscontrati secondo vari approcci:
-
evitare il rischio: questo si può ottenere operando direttamente sui rischi, e
tentando la loro completa eliminazione; resta comunque un approccio
definibile ideale, in quanto è difficile da pensare di eliminare totalmente i
rischi;
-
mitigare i danni: questo è l’approccio concettualmente più conveniente, in
quanto prelude ad una progettazione del tipo Fault Tolerant, ossia una
concezione del progetto che prenda in conto, in maniera integrata, anche i
possibili rischi.
-
accettazione del rischio: quest’approccio rappresenta semplicemente una
estremizzazione di quello precedente.
Per tutti gli approcci sinora illustrati è valida la supposizione che il rischio è visto
come una variabile, funzione di due grandezze, la probabilità e la magnitudo:
R = funz(M,P)
R = magnitudo del rischio;
M = magnitudo delle conseguenze
P = probabilità o frequenza del verificarsi delle conseguenze
La probabilità P è espressa ad esempio in numero di volte in cui il danno può
verificarsi in un dato intervallo di tempo; mentre la magnitudo delle conseguenze
M può essere espressa ad esempio come una funzione del numero di soggetti
coinvolti in quel tipo di rischio e del livello di danno ad essi provocato (valutato
ad esempio in giornate di assenza lavorativa).
Continuando a trattare l’esempio di applicazione del rischio sulle persone, la
determinazione della funzione di rischio f presuppone di definire un modello
dell'esposizione dei lavoratori a quel dato pericolo, che consenta di porre in
relazione l'entità del danno atteso con la probabilità del suo verificarsi, e questo
per ogni condizione operativa all'interno di certe ipotesi al contorno.
La decisione sull'intervento, che sia dell'uno o dell'altro tipo, necessita di stabilire
prima quale sia il livello di rischio accettabile Radm , in base al quale verranno
giudicate bisognose di intervento in via prioritaria tutte quelle situazioni che
presentano un livello di rischio R tale che:
R > Radm .
L’iter di svolgimento del processo di risposta al rischio è il seguente:
258
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Tabella tratta dal testo:
“A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee.
Risk Response Control
Il processo di controllo del rischio consiste nell’esecuzione del piano di gestione
del rischio, precedentemente redatto, in modo tale da poter rispondere
adeguatamente a eventi rischiosi che si dovessero presentare durante lo
svolgimento del progetto. Nel caso si presentassero eventi pericolosi, che non
siano stati previsti nel precedente processo di identificazione, è necessario
eseguire una nuova iterazione di tutti i processi, individuando, quantificando e
rispondendo nuovamente. È importante acquisire la mentalità che è impossibile
prevedere a monte tutti i possibili rischi: è quindi necessario aver previsto la
possibilità di accadimento di eventi accidentali, controllare continuamente il
procedere del progetto, ed essere pronti (in caso di rischio imprevisto) a re-iterare
e fornire nuove risposte. Proprio questo vuol dire progettazione fault tolerant.
L’iter di svolgimento del processo di risposta al rischio è il seguente:
Tabella tratta dal testo:
“A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee.
259
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Progettazione Fault Tolerant
Progettare in maniera fault tolerant comporta lo sviluppo parallelo di “corsie
alternative” di sviluppo del progetto, in caso che questo incontri durante il suo
percorso principale i rischi accertati, o, più in generale mantenere invariato il
livello qualitativo delle prestazioni fornite dal sistema nel caso che avvenga un
fault imprevisto.
Quest’approccio
alla
progettazione è applicabile a
qualsiasi scala: basti pensare
alla
progettazione
antincendio delle vie di fuga,
che
nella
loro
stessa
esistenza,
sottendono
l’accadimento
dell’incendio
col tentativo di mitigarne le
conseguenze;
lo
stesso
discorso vale a proposito di
alcune regole pratiche di
progettazione esecutiva di
strutture continue in c.a., che,
in previsione del fenomeno di
ritiro
ad
esempio,
che
consigliano il posizionamento
di
adeguati
giunti:
è
inevitabile che il calcestruzzo
si rituri, quindi tanto vale
“aiutarlo” a creare le fessure
che creerebbe comunque.
Mentre la riduzione del
rischio
può
avvenire
mediante misure atte a ridurre
la probabilità del verificarsi
Il fallimentare episodio della demolizione di uan
di un determinato danno
delle Vele di Scampìa: esempio di grave danno
atteso (adozione di misure di
economico generato da una faiure di un
prevenzione), la mitigazione
processo di demolizione.
delle eventuali conseguenze può essere ottenuta tramite l’adozione di misure di
protezione, atte a diminuire l'entità del danno.
Questi due procedimenti rappresentano relativamente le due tipologie di
approccio del Risk Management: un’attitudine preventiva finalizzata
all’individuazione ed all’eliminazione delle fonti di rischio ed un’attitudine di
tipo compensativo, finalizzata a ridurre e mitigare le conseguenze di eventi
dannosi
che
dovessero
irrimediabilmente
presentarsi
nel
corso
dell’avanzamento del progetto.
L’attitudine di tipo compensativo può utilizzare le seguenti strategie:
260
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
-
ridondanza: prevedendo un sistema alternativo a quello principale, che
lavori in parallelo ad esso, ci si assicura la continuazione della fornitura
della prestazioni iniziali, nel caso di accadimento di un evento dannoso (i
gruppi di continuità elettrica rappresentano l’esempio più immediato);
-
mascheramento: applicazione di misure compensative per limitare gli effetti
del danno una volta accaduto (basti pensare ad una rete idrica antincendio);
-
localizzazione: isolamento del settore infettato dal problema (oramai
accaduto) per evitarne la propagazione nell’aree adiacenti (basti pensare ad
una parete taglia-fuoco);
261
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Reliability Engeneering - Metodi di gestione del rischio
È stato illustrato come il Risk Management si ponga come obbiettivi principali,
di anticipare il più possibile l’accadimento di eventi dannosi ai fini
dell’avanzamento del progetto stesso, ed inoltre di mettere in pratica le misure
necessarie per limitare il più possibile l’impatto e le conseguenze di eventi
imprevisti che si siano già verificati.
La nascita di sistemi di analisi di affidabilità di situazioni a rischio, nasce durante
la seconda guerra mondiale, con gli studi condotti per la valutazione
dell’affidabilità dei sistemi di guida missilistici. Negli anni questa disciplina, si è
man mano affermata in tutti quei campi in cui sia presente un’elevata probabilità
di rischio, che possa mettere in dubbio ottenimento dei target programmatici: vi
sono state (e tuttora ci sono), applicazioni nell’industria aeronautica ed
aerospaziale, come anche nella progettazione di impianti nucleari e raffinerie.
Esistono svariati metodi per la valutazione e la gestione del rischio; vengono
elencati e descritti i più conosciuti:
-
Failure Mode and Effect Analysis (FMEA);
-
Failure Mode, Effect and Criticality Analysis (FMECA);
-
Fault Tree Analysis (l’albero dei guasti);
-
Metodo Monte Carlo;
-
Reti Bayesiane.
La tecnica FMEA, si basa su di una logica che, partendo dall’analisi di tutte le
possibili avarie a livello del singolo componente, ne studia gli effetti sulla
componente di ordine superiore, fino a ottenere le conseguenze finali sul sistema
nella sua globalità; questa tecnica è quindi definibile come un processori tipo
forward, poiché, partendo da tutte le possibili cause, arriva a studiare gli effetti e
l’eventuale intaccamento delle prestazioni sul sistema.
L'esecuzione della FMEA prevede che ogni parte del prodotto venga
accuratamente analizzata considerando i suoi modi di guasto più probabili, la
frequenza con cui si verificheranno ed i relativi effetti funzionali e sull'ambiente
circostante.
Essendo una tecnica fortemente analitica, questa sua caratteristica non le
permette di adattarsi bene a situazioni empiriche che non presentano parametri
numericamente quantificabili. Ciononostante resta una delle tecniche più
conosciute ed usate per i suddetti scopi, poiché permette di:
-
osservare le conseguenze di qualsiasi tipo di fault del singolo componente
sulla performance del sistema a qualsiasi scala di definizione, e non solo sui
quella globale;
-
valutare il peso e la criticità del singolo fault relativamente alla failure
generale del sistema;
262
Capitolo 4
-
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
ottenere una classificazione di tutti i possibile modi di guasto (a partire dai
singoli faults).
La FMECA è una tecnica affidabilistica di tipo induttivo; essa inizia a livello di
componente per determinare cosa potrebbe non seguire il percorso di progetto
corretto, analizza le cause e valuta quali siano gli effetti sul sistema. L'Analisi di
Criticità permette di quantificare la gravità degli effetti di ciascun modo di guasto
(e quindi di classificare tutti i modo di guasto previsti in base all’indice di
criticità). Per poterla impiegare occorre un’ampia conoscenza del sistema e delle
sue funzioni. Il metodo può essere suddiviso in più fasi:
-
si inizia con l'analisi degli effetti di guasto (FEA);
-
si passa alle considerazioni dei modo di guasto (FMEA);
-
svolgere infine l’analisi di criticità.
Una modalità di esecuzione della tecnica FMECA può essere:
•
analisi del sistema ed identificazione di tutti i suoi componenti;
•
elencazione dei possibili guasti per ogni componente, i modi con cui
avvengono, gli effetti che essi producono sul sistema e le cause che li hanno
prodotti;
•
per ogni causa si forniscono i seguenti indici:
o
gravità S: ordine di grandezza dell’impatto tra il danno e la
prestazione del sistema;
o
frequenza F: probabilità di accadimento dell’evento dannoso;
o
rilevabilità R: indice della possibilità di rilevamento del difetto
all’interno del processo;
Si ottiene così un “coefficiente di criticità C” dal prodotto dei tre indici suddetti.
In genere quando si utilizza la tecnica FMECA è possibile riempire una tabella
del tipo riportato di seguito, seguendo nell’ordine indicato i vari passi.
L'aggiunta di una Analisi di Criticità permette di quantificare la gravità degli
effetti di ciascun modo di guasto e quindi di classificare tutti i modo di guasto
previsti in base ad un Indice di criticità. Per questo motivo l’analisi viene
denominata FMECA (Failure Mode, Effects and Criticality Analysis).
263
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
È chiaro che la possibilità di elencare i modi di guasto per classi di criticità ed
ordinati per indice di criticità fornisce al progettista un utile strumento per
identificare i provvedimenti da prendere per migliorare, quando necessario, la
qualità e le prestazioni degli apparati (modifica al progetto, introduzione di
particolari controlli nel piano di collaudo e/o nel piano di manutenzione,
istruzioni particolari al personale operativo e di manutenzione, ecc.).
La Fault Tree Analysis (detto anche Albero dei Guasti) è, al contrario della
tecnica FMEA un metodi di tipo backward, poiché partendo dall’osservazione
degli effetti, arriva all’individuazione delle possibili cause: esso permette di
conoscere la probabilità di occorrenza di una indesiderata failure generale, a
partire dalle faults dei singoli elementi costitutivi del sistema; quindi
operativamente, si parte dall’osservazione della failure generale del sistema, e si
ricostruiscono a ritroso le possibili cause di fault nei singoli componenti; si
traccia in questo modo uno schema a forma di albero, in cui ad ogni fattore di
rischio del singolo elemento, viene attribuito un valore probabilistico di
occorrenza dello stesso, in base a delle banche dati statistiche.
Il Fault Tree Analysis method, alla stregua degli altri metodi di gestione del
rischio, permette di creare ciò che in gergo viene detta “Rete di Influenze ”, cioè
una rappresentazione grafica dei legami e delle correlazioni tra i fattori costituivi
di un iter progettuale di un determinato oggetto.
Il metodo Monte Carlo, pur non essendo effettivamente una vera e propria
tecnica appartenente alla reliability engeneering, ha comunque la capacità di
simulare il comportamento di un qualsiasi sistema soggetto a diverse variabili
aleatorie; una delle difficoltà nell’applicazione di questo metodo, sta nella
necessità di alimentarlo accuratamente con una serie di campioni raccolti:
maggiore sarà il numero dei campioni su cui si baserà l’analisi, e più accurati
saranno gli output generati. Proprio per questa necessaria accuratezza
nell’introduzione degli input, il metodo Monte Carlo viene solitamente usato ad
un basso livello di definizione della progettazione, cioè in fase di pianificazione,
quando sia necessario quantificare l’incidenza di parametri esterni sulla durata o
sui costi complessivi del progetto.
Poiché si è scelto di portare avanti un esempio pratico di controllo del rischio su
di un intervento di demolizione, attraverso il metodo delle Reti Bayesiane, alla
spiegazione del loro funzionamento, verrà dedicato un paragrafo a parte, nel
seguito della trattazione.
264
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Le Reti di Influenze
In questa sezione verrà illustrato un esempio di analisi delle interrelazioni tra le
diverse variabili in gioco, nel caso dell’ipotesi di demolizione controllata, che
verrà descritta in seguito; l’obiettivo di questo caso applicativo è di mostrare
come, anche in uno scenario operativo non particolarmente complicato, lo scarso
controllo di elementi costruttivi basilari o di fasi operative relativamente comuni,
possano influenzare dannosamente tutto il processo, comportando una failure
generale del sistema.
Il primo passo operativo sarà la costruzione di una rappresentazione dei legami
tra i vari elementi costitutivi del processo; costruendo quindi per il
malfunzionamento generale del sistema da scongiurare, un albero causa-effetto
probabilistico, saremo in grado di stabilire la probabilità con cui possa avvenire
un failure generale, a partire dal probabilità di occorrenza del malfunzionamento
dei singoli componenti elementari, costituenti il sistema (od il processo) in
questione. Nel caso specifico del controllo del rischio in un intervento di
abbattimento, si è creata, sulla base del background culturale acquisito nel corso
della ricerca, una rete di influenze tra i vari fattori di rischio che possono
presentarsi in una simile operazione.
Una Rete di Influenze non è altro che un modello interpretativo di un rischio
globale gravante su di una struttura da demolire: basandosi su di un processo di
scomposizione del rischio stesso, attraverso un’analisi delle influenze, questa
evidenzia la struttura causale dei processi.
Graficamente un Diagramma (o rete) di Influenza si rappresenta come un insieme
di nodi (solitamente ovali) collegati tra loro con delle frecce: gli ovali
rappresentano gli elementi nei quali si scompone il sistema (o comunque il suo
modello interpretativo), mentre le frecce indicano i legami di influenze tra i
suddetti nodi. Poiché l’utilità della rete stessa è la rappresentazione schematica
dei legami di causalità tra gli elementi del sistema, si potranno sempre
distinguere ai vari livelli del diagramma, dei nodi “genitori” e dei nodi “figli”. Il
rapporto di causalità tra un nodo “genitore” ed uno “figlio”, è indicato dalla
direzione della freccia che li collega.
Il passo successivo alla creazione del fault tree, sarà la trasformazione di questa
rete di influenze in una vera e propria Rete Bayesiana, struttura formale che
permetterà di individuare la probabilità del verificarsi di un possibile rischio.
Essendo la creazione di una Rete Bayesiana, l’ultima fase del nostro caso
applicativo, il significato del concetto che sta alla base di essa e tutte le sue
caratteristiche verranno illuminate in seguito, appena prima della sua
applicazione all’esempio in questione.
Per la redazione dell’intero processo in questione si è seguito un iter progettuale
ben preciso, che corrisponde essenzialmente al percorso descritto nel succitato
testo “Project Management Body of Knowledge” (scritto dal Project
Management Institute), nel capitolo relativo al Risk Management.
Il percorso progettuale a cui si è fatto riferimento è in sintesi il seguente:
265
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
-
Acquisizione del caso studio da analizzare: eliminazione di un telaio spaziale
mono-piano, pluri-campate, in calcestruzzo armato, con solaio laterocementizio (dati geometrici reperibili in figura).
-
Decisione della metodologia di abbattimento da utilizzare: demolizione di
tipo controllato, motivata dalla presenza di altri organismi edilizi da lasciare
assolutamente intatti ed imperturbati durante la demolizione.
-
Decisione della tecnica di demolizione da utilizzare: taglio degli elementi in
calcestruzzo con utensili diamantati, e frantumazione al suolo degli stessi con
spacca-roccia.
-
Valutazione delle fasi esecutive: elencazione di tutte le fasi esecutive richieste
dal procedimento scelto, al fine di poter successivamente dedurre i possibili
rischi comportati da essi.
-
Risk Identification: deduzione ed elencazione dei possibili rischi derivanti da
ogni fase del processo esecutivo, nei confronti di tutti i possibili soggetti a
rischio (umani od enti fisici).
-
Risk Quantification: valutazione dell’entità e della pericolosità del singolo
rischio in relazione alla riuscita globale del progetto (ottenimento dei target
proposti); valutazione delle conseguenze di un possibile rischio e della
deviazione dal programma iniziale. Ciò corrisponde alla creazione di una
Rete di Influenze, che descriva le possibili interrelazioni tra i vari fattori che
costituiscono il processo demolitivo.
-
Simulazione: creazione di un modello che simuli il comportamento della rete
di influenze individuata, permettendo di conoscere la probabilità di
occorrenza di un malfunzionamento generale in funzione della conoscenza
delle probabilità di rischio dei singoli componenti. Ciò verrà ottenuto con
l’utilizzazione uno strumento di simulazione detto Rete Bayesiana.
-
Risk Response Development: progettazione delle metodologie di contrattacco
ai rischi rilevati nei passo precedente. I possibili metodi utilizzabili sono
(ordinate in funzione della qualità del risultato ottenibile): elusione del
rischio,
prevenzione,
protezione,
attenuazione
delle
conseguenze,
accettazione delle stesse.
-
Risk Response Control: proposta delle operazioni di controllo da mettere in
atto durante la fase esecutiva, al fine di assicurare il funzionamento delle
misure prese durante la fase del Risk Response Development.
-
Deduzioni: confronto tra i risultati ottenibili utilizzando diverse tipologie di
misure di risposta ad un rischio di progetto ipotizzato.
Applicazione su caso pratico
Per poter giungere a studiare un applicazione di Rete Bayesiana, si è ipotizzato lo
studio della demolizione di un semplice telaio in calcestruzzo armato.
266
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Il percorso di studio che verrà seguito viene qui di seguito sintetizzato; dopo aver
deciso la tecnica operativa da utilizzare, verranno studiate nel dettaglio le fasi
operative dell’intero processo di smantellamento. Questa analisi sarà finalizzata
in particolare, per poter comprendere quali rischi si nascondono all’interno di
ogni fase esecutiva: ci troviamo all’interno del cosiddetto Risk Identification.
Una volta elencati tutti i possibili rischi, il passo successivo sarà valutare la
magnitudo di ciascuno, ed in particolare le relazioni che legano il manifestarsi di
un rischio nei confronti degli altri: la comprensione delle relazione di causalità e
consequenzialità tra i fattori di rischio rappresenta effettivamente il processo di
Risk Quantification.
Tutte le interrelazioni trovate verranno rappresentate con una Rete di Influenze,
cioè con un grafo costituito da nodi e aste, che permetterà una immediata visione
di insieme.
Quindi ogni componente di rischio sarà indagata ed approfondita per capire tutte
le sue possibili cause genitrici.
Una volta ottenuto questo quadro generale, subentrerà la vera e propria
applicazione di Rete Bayesiana, particolare formalismo matematico di
“estrazione probabilistica” che permetterà di “risolvere” la rete di influenze
precedentemente tracciata.
Come verrà approfonditamente spiegato in seguito, il sistema Bayesiano
permette, una volta fissate delle probabilità di accadimento di ogni fattore di
rischio, di valutare quale probabilità ci sia che un singolo fattore porti ad una
failure generalizzata del sistema, o viceversa capire a ritroso, una volta avvenuta
una failure, quale sia stato il fattore predominante che l’abbia causata.
Quindi risolvere la rete di influenze vuol dire potere viaggiare al suo interno in
avanti ed a ritroso, fissando a seconda dei casi, l’incognita da cercare:
-
nel caso in cui ci si imbatta in una componente di rischio specifica di un
componente dell’organismo, procedendo in avanti sulle rete bayesiana, si
comprende quale probabilità abbia questo specifico componente di
comportare una danno generalizzato all’intero sistema;
-
nel caso in cui il fenomeno pericoloso generale sia già avvenuto (crollo
inaspettato dell’organismo), andando a ritroso nella rete, si comprende quale
fattore specifico abbia la maggior probabilità di aver causato il danno.
Essendo appunto i singoli fattori collegati tra loro, la comprensione di quale sia la
componente più “fastidiosa” non è immediata, ma comporta la risoluzione della
rete attraverso i principi del metodo Bayesiano.
Tornando al caso studio in questione, si ipotizza che il telaio si ad un solo piano,
costituito da due campate, ed il solaio sia di tipo latero-cementizio.
267
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Carpenteria quotata del telaio.
Sezione longitudinale quotata del telaio
Le travi hanno direzione parallela all’asse principale dell’organismo, coprono una
luce di circa 7,00 m., ed hanno una sezione di 30 x 60 cm. La luce media coperta
dal solaio è di 4,50 m., e presenta una sezione resistente di 22 cm. (pignatta = 16
cm., soletta = 6 cm).
Come è stato descritto in precedenza, in particolare nel caso di demolizioni
complesse, è sempre consigliato, quando non interagisce con questioni di
sicurezza personale, effettuare alcune operazione diagnostiche,
studiando in
primo luogo, lo stato di conservazione dell’organismo che si va ad intaccare: lo
stato di degrado è sostanzialmente analizzabile visivamente, mentre per
conoscere la qualità dei materiali utilizzati, bisognerebbe effettuare delle prove
meccaniche su carotaggi estratti dallo scheletro stesso.
Per sottolineare l’aleatorietà del nostro caso studio, si ipotizza che lo scheletro in
c.a. in questione sia fortemente deteriorato, e presenti dunque i relativi tipici
fenomeni:
-
frecce verticali accentuate;
-
profondi quadri fessurativi;
268
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
-
espulsione del copriferro;
-
corrosione delle barre in vista;
-
manifestazioni di attacco cloridrico-fosfatico sul calcestruzzo.
La maggior parte delle sopraindicate fenomenologie patologiche del calcestruzzo,
potrebbero presentarsi a seguito di un incendio, avvenuto quando la struttura era
ancora in esercizio: si immagina quindi che il motivo che ha portato alla
demolizione della struttura descritta, sia proprio un incendio che abbia reso
inagibile ed irrecuperabile il fabbricato.
Questa condizione di partenza influenzerà molto la scelta della tecnica da
utilizzare per l’abbattimento, la quale dovrà essere caratterizzata in particolare, da
un esecuzione che coinvolga il meno possibile gli operai, e comunque da una
adeguata distanza di sicurezza, proprio a causa della stabilità perturbata dello
scheletro portante.
Per coerenza con la maggior parte delle situazioni reali, si pone inoltre che non
sia possibile reperire il progetto originale, ne tanto meno eseguire delle prove su
carotaggi estratti dallo scheletro.
Per ciò che concerne il contesto circostante l’organismo, lo si immagina di tipo
urbano, quindi che comporti delle forti adiacenze tra gli edifici. Questa
condizione risulterà particolarmente vincolante per la scelta della tecnica di
demolizione da utilizzare: ovviamente saranno bandite quelle tecniche distruttive
che comportino vibrazioni di vario genere (di lunga durata come quelle del
martello demolitore, o con forti ma brevi picchi come quelle relative
all’esplosivo, od alla conseguente caduta dall’alto di macerie) trasmissibili agli
edifici adiacenti. Un’altra difficoltà che l’utilizzo di queste tecniche
comporterebbe, sarebbe lo scarso controllo delle polveri prodotte da una
demolizione di tipo invasivo.
In base a queste condizioni di partenza, si è deciso di attuare una demolizione di
tipo controllata utilizzando strumenti diamantati.
Descrizione Generale Tecniche
Il processo di smantellamento si dividerà essenzialmente in due fasi: smontaggio
in quota e frantumazione a terra: il telaio in questione verrà smontato elemento
per elemento, con delle seghe diamantate dal grosso diametro; in seguito si
provvederà all’ulteriore frantumazione degli elementi costruttivi, direttamente a
terra con dei dispositivi spacca-roccia meccanici.
L’utilizzo di strumenti diamantati permette un’esecuzione veloce, totalmente
assente da vibrazioni, anche se mediamente rumorosa, garantendo infine una
totale incolumità del tratto resto della struttura rispetto alla parte tagliata.
L’esigenza di limitare qualsiasi tipo di vibrazione indotta, comporta ovviamente
la necessità di “accompagnare” a terra i pezzi di travi o solai tagliati, evitando di
farli cadere rovinosamente dall’altezza della loro giacitura. Quindi prima di
269
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
effettuare il taglio di qualsiasi elemento, si prevede il montaggio di robusti
ponteggi sottostanti, che dovranno sostenerne il peso, finche l’elemento non verrà
trasportato via con l’aiuto di una gru.
Il sollevamento dell’elemento costruttivo, dopo il suo distaccamento
dall’organismo, avverrà grazie ad una sua preventiva imbracatura con dei solidi
cavi azionati da una gru.
Poiché il trasporto di elementi lunghi mediamente 5 m. risulterebbe scomodo ed
oneroso, si prevede un loro spezzettamento in monconi più piccoli. Anche questa
fase esecutiva, dovrà avvenire limitando al massimo “l’impatto ambientale”
(propagazione di polveri, rumore, vibrazioni): quindi se solitamente questa
operazione verrebbe effettuata con classici mezzi meccanici in dotazione a
qualsiasi media impresa, quali pinze, ganasce o martello demolitore, nel nostro
caso si ipotizza di utilizzare, come premesso, degli spacca-roccia, di tipo
meccanico. La scelta degli spacca-roccia meccanici, rispetto a quelli chimici, è
dovuta dalla maggior rapidità di esecuzione, che con quelli chimici sarebbe
vincolata dalle 4-5 ore di attesa per la maturazione della miscela ed il successivo
sviluppo delle pressioni interne.
Invece di adoperare gli spacca-roccia, si sarebbe potuto frazionare gli elementi a
terra con le stesse seghe diamantate utilizzate per il loro distacco dal telaio, ma
questo avrebbe comportato un allungamento dei tempi, rispetto ad al caso delle
due tecnologie operanti in parallelo: cioè appena viene tagliata via una trave o
trancia di solaio, la si frantuma a terra, mentre le seghe continuano a tagliare i
restanti elementi.
Dal punto di vista economico, bisogna sottolineare che i procedimenti ipotizzati
potrebbero risultare meno conveniente rispetto, ad esempio, ad una più
tradizionale demolizione con macchinari meccanici (martello demolitore, pinze o
cesoie montate sul braccio di una pala meccanica), anche se non si può negare
che si ottiene un contemporaneo guadagno in tempo. Nonostante tutto l’utilizzo
degli utensili diamantati diventa necessario quando si debba, come nel nostro
caso, rispettare delle adiacenze molto strette.
Descrizione Delle Fasi Esecutive
La demolizione del telaio illustrato è costituita da tre fasi, ognuna relativa ad un
diverso elemento costruttivo.
Smontaggio dell’impalcato:
1.
montaggio dei ponteggi circostanti il telaio, per l’accesso degli operai
sull’estradosso del solaio da tagliare.
2.
montaggio dei puntelli all’intradosso del solaio; i puntelli dovranno essere
calcolati e dimensionati per sostenere il peso del solaio, che, dopo il taglio
dovrebbe appoggiarsi totalmente ad essi; è inoltre necessario controventarli
270
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
adeguatamente per evitare
svincolamento dell’impalcato.
il
loro
ribaltamento
al
momento
dello
3.
messa in carico dei suddetti puntelli, per evitare sobbalzi dell’impalcato,
una volta eseguito il taglio;
4.
fissaggio di parapetti metallici al piano dell’impalcato per evitare rischi di
caduta degli operai;
5.
definizione dell’estensione del campo di solaio su cui operare, attraverso
tracciamento dei confini di taglio, sull’estradosso del solaio;
6.
montaggio dei ponteggi circostanti il telaio, per l’accesso degli operai
sull’estradosso del solaio da tagliare.
7.
montaggio dei puntelli all’intradosso del solaio; i puntelli dovranno essere
calcolati e dimensionati per sostenere il peso del solaio, che, dopo il taglio
dovrebbe appoggiarsi totalmente ad essi; è inoltre necessario controventarli
adeguatamente per evitare il loro ribaltamento al momento dello
svincolamento dell’impalcato.
8.
messa in carico dei suddetti puntelli, per evitare sobbalzi dell’impalcato,
una volta eseguito il taglio;
9.
fissaggio di parapetti metallici al piano dell’impalcato per evitare rischi di
caduta degli operai;
10.
definizione dell’estensione del campo di solaio su cui operare, attraverso
tracciamento dei confini di taglio, sull’estradosso del solaio;
11.
perforazione del solaio, attraverso micro-carotaggi
(almeno quattro, uno per ogni angolo di ogni
trancia), per consentire il passaggio dei cavi che
solleveranno e porteranno via l’impalcato, una
volta separato dal resto dello scheletro; in generale
è consigliato forare le parti in soletta piena
dell’impalcato, poiché il passaggio del cavo
attraverso una pignatta potrebbe inavvertitamente
allargarsi a causa della frantumazione del laterizio
stesso;
12.
avvicinamento dell’autogrù con braccio telescopico e suo fissaggio al suolo
per evitare ribaltamenti;
13.
sollevamento in quota (estradosso solaio) del telaio/carrello della sega
diamantata, tramite l’autogrù già posizionata;
14.
passaggio dei cavi di supporto, nei fori
loro fissaggio all’intradosso solaio;
contropiastra che aggancia il solaio
appoggio sufficientemente ampia, per
caso di ampliamento del foro.
15.
preparazione delle guide per il passaggio del carrello della sega (fig. 1);
271
attraversanti lo spessore del solaio e
è opportuno controllare che la
dall’intradosso, abbia una base di
evitare la perdita dell’appoggio in
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
16.
taglio del solaio, comprensivo dei cordoli di collegamento tra i telai
portanti, utilizzando il minore numero di operai necessari ed avendo
evacuato i restanti (vedi fig. 2);
17.
riporto del carrello di taglio al piano di campagna attraverso sollevamento
con autogrù;
18.
discesa degli operai dal piano e loro evacuazione dalle vicinanze;
19.
sollevamento dell’impalcato e posa al suolo (vedi fig. 3, notare i ponteggi di
supporto sottostanti l’impalcato);
20.
frazionamento del solaio al suolo con seghe diamantate, per facilitazione
trasporto e smaltimento;
In caso di eccessivo peso dell’impalcato (carico maggiore di quello sopportabile
dall’autogrù) è possibile eseguire le stesse operazioni, non per tutto l’impalcato,
ma progressivamente, per fasce di larghezza da fissare in funzione del carico di
servizio della gru.
Taglio delle travi:
1. montaggio dei puntelli all’intradosso della trave; come per il solaio, la
struttura di sostegno temporanea della trave (puntelli o carrello sollevatore)
dovrà essere dimensionata per sorreggere interamente il peso della trave.
2. fissaggio laterale della trave, per evitare eventuale ribaltamento dopo
l’esecuzione del taglio;
3. imbracaggio della trave con i cavi appesi all’autogrù, tramite i quali avverrà
in seguito sollevamento ed trasporto;
4. preparazione delle guide e del telaio nel quale scorrerà il filo diamantato;
come si può notare il telaio del filo viene posizionato solo dopo aver
assicurato la stabilità della trave, che risulta essere, come premesso,
estremamente degradata;
272
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
5. esecuzione del taglio in maniera telecomandata da un operatore a terra,
adeguatamente distante dal telaio in demolizione; il comando a distanza
assicura una maggiore sicurezza degli operatori;
6. sollevamento della trave e sua posa al suolo.
7. frazionamento al suolo con spacca-roccia meccanici come per il solaio, per
facilitarne il successivo trasporto e smaltimento;
Le suddette operazioni vanno eseguite iterativamente entrambe le travi del telaio,
lasciando così isolati i quattro pilastri.
Nelle immagini qui sopra viene illustrato un taglio di una trave in c.a. eseguito
con un disco diamantato. Mentre nelle immagini seguenti viene illustrata la stessa
operazione eseguita però con un filo diamantato, montato su un braccio mobile.
Questo secondo procedimento garantisce una maggiore sicurezza agli operatori,
visto che possono eseguire il taglio a distanza, comandando un braccio
meccanico mobile.
273
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Taglio dei pilastri:
1. fissaggio di perni metallici all’interno del pilastro da tagliare, per il suo
successivo sollevamento;
i perni metallici dovranno essere posizionati
esclusivamente nell’estremità superiore dello stesso, - sopra la quota del
baricentro (vedi fig.11) - onde evitare ribaltamenti, ma ad adeguata distanza
dal bordo, per evitare il distacco del calcestruzzo in fase di sollevamento e la
disastrosa caduta dall’alto dell’elemento.
2. preparazione del suolo circostante il pilastro: lisciature ed eliminazione di
qualsiasi protuberanza per evitare fatali deragliamenti della sega, la quale
lavorerà orizzontalmente, a filo del piano di appoggio;
3. preparazione delle guide per il passaggio della sega diamantata;
4. taglio alla base del pilastro (vedi fig. 11);
5. sollevamento del pilastro tramite autogrù, suo trasporto e posa al suolo;
6. eventuale frazionamento al suolo con seghe diamantate o spacca-roccia
meccanici, per facilitare successivo smaltimento finale.
Le suddette operazioni devono essere eseguite iterativamente per tutti i restanti
pilastri.
Individuazione possibili rischi
Nel paragrafo relativo alla classificazione dei possibili rischi che intervengono in
un processo di demolizione, sono già state identificate tre grandi categorie,
all’interno delle quali inserire tutti i possibili rischi:
-
I pericoli relativi alla statica;
-
II pericoli relativi all’impiantistica;
-
III pericoli intrinseci al procedimento stesso di abbattimento.
274
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Per poter esemplificare nella maniera più chiara il concetto ed il funzionamento
di rete Bayesiana, nel caso studio che si sta portando avanti, verranno tralasciati i
rischi relativi alla seconda e terza categoria, e verrà approfondita solamente la
prima categoria.
Si supporrà quindi che si sia già provveduto allo smontaggio ed allo smaltimento
di tutte le reti impiantistiche e di tutte quelle componenti dell’organismo edilizio
che possano comportare un qualche inquinamento all’ambiente circostante. Si
ipotizzerà altresì che il personale adibito alla demolizione sia stato
adeguatamente avvisato riguardo i rischi in gioco, ed istruito in particolare
nell’uso gli strumenti diamantati.
Nel paragrafo precedente sono stati indicati i possibili “soggetti del rischio”:
naturalmente il soggetto più importante è l’essere umano, sia esso l’operatore
impegnato nella demolizione, o l’abitante delle zone adiacenti.
E’ stato inoltre illustrato come l’operatore umano possa essere soggetto a vari
tipo di rischio, in particolare in maniera indiretta: il fenomeno pericoloso gli può
essere trasmesso tramite l’ambiente naturale circostante (quand’esso sia stato ad
esempio gravemente inquinato), o tramite alcuni danni apportati agli edifici non
coinvolti nella demolizione. Quindi ad ora, tutte le possibili correlazioni tra
fattori di rischio ed entità soggette, sono state indagate, illustrate tramite tabelle e
matrici di interrelazioni, ed esemplificate tramite esempi pratici e casi studio.
Nell’esempio che si porterà avanti si concentrerà l’attenzione solamente sulle
maestranze in cantiere adibite alla demolizione, tralasciando i pericoli a cui sono
soggetti l’ambiente (naturale o costruito), e gli abitanti circostanti il “suolo della
demolizione”.
Creazione Rete di Influenze
Focalizzando l’attenzione, è sicuramente possibile dire che all’interno della
categoria di rischi di tipo strutturale, quella di maggior magnitudo è sicuramente
rappresentata da un improvviso ed inatteso crollo o rovinosa caduta,
dell’organismo o di uno dei suoi componenti, durante il suo smantellamento.
Il verificarsi di questo fenomeno, sicuramente non auspicabile, comporterebbe
quasi certamente un ferimento delle maestranze : questo rappresenta la failure
generale del sistema, ossia il fenomeno dalla magnitudine del danno maggiore, e
quindi da evitare accuratamente; in uno schema di Rete di Influenze, il cui
funzionamento è stato illustrato nelle pagine precedenti, questa eventualità
rappresenta il gradino più basso del sistema (il level 0), dal quale risalire lungo
vari possibili percorsi, per capire, attraverso il metodo Bayesiano, quale fattore
abbia la maggior probabilità di causare il danno generale (backward inference –
capacità dignostica). Come trasparirà dall’esempio, la comprensione di quale sia
il causa scatenante della failure, pur potendo sembrare immediata ed intuitiva, in
realtà non risulta tale; non è detto infatti che, pur conoscendo la distribuzione
probabilistica di ogni singolo fattore di rischio, si possa individuare quale sia
quello realmente scatenante: i fattori infatti non lavorano separatamente, ma sono
correlati da relazioni più o meno complesse, che creano percorsi critici non
intuitivi, e che possono, ad esempio, portare a compimento un fattore dalla
275
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
distribuzione probabilistica di accadimento minore, rispetto ad un altro, dalla
distribuzione probabilistica maggiore, ma con alcuni fattori filtro lungo il proprio
percorso.
Infatti l’ipotesi di partenza principale della disciplina del Risk Management, è
che, nonostante la capacità del progettista di creare, grazie al suo bagaglio
culturale e di esperienze, una rete di influenze, questi riesce a difficoltà a
risolvere la rete creata, individuare il percorso critico, ed effettuare una scelta
ottimizzata (decisioni taking moment).
La realizzazione pratica della Rete di Influenze, e la sua conseguente
trasformazione in Rete Bayesiana vera e propria, sarà effettuata utilizzando un
particolare programma di calcolo adibito alla risoluzione di reti decisionali, il cui
titolo è “GeNIe” (Graphical Network Interface), sviluppato dal Decision System
Laboratory dell’Università di Pittsburgh, e reperibile online in versione freeware.
Tornando al nostro esempio, tra tutte le fasi operative elencate, si decide
fissare l’attenzione sulla fase dello smontaggio degli elementi strutturali:
ipotizza quindi che si stiano tagliando, uno per uno (prima l’impalcato, poi
travi ed infine i pilastri), secondo una prefissata sequenza, e ci si prepari
seguito ad “imbracare” ogni elemento ed allontanarli, dal resto della struttura.
di
si
le
in
Quindi, una volta definito il ferimento delle maestranze come il fenomeno
rischioso dalle conseguenze più gravi, è possibile suddividere quest’ultimo in tre
sottogruppi a seconda dell’elemento strutturale in caduta considerato: si
definiscono quindi la possibile rovinosa caduta della trancia di solaio tagliato,
ovvero della trave, od infine del pilastro. Così facendo si è passati dal
cosiddetto level 0, a quello superiore level 1, relativo ai singoli elementi
costruttivi strutturali.
Da questo punto in poi, si procederà approfondendo il sistema delle possibili
cause che si trova dietro la caduta rovinosa di ogni elemento: partendo col solaio
si arriveranno alle sue possibili cause genitrici; lo stesso procedimento si adotterà
per gli altri elementi.
Analisi Solaio
Una volta analizzate le fasi esecutive che costituiscono l’iter di smontaggio del
solaio, è possibile ipotizzare quali siano le cause principali che possono portare
al crollo:
-
il cedimento dei puntelli sottostanti al solaio,
-
il cedimento del solaio sottostante, su cui poggiano i puntelli;
-
una errata tempistica di esecuzione.
La funzione dei puntelli è quella di sostenere la soletta una volta “tagliata via”
dal resto del telaio.
Si ricorda infatti che prima di passare a tagliare le trance di solaio, è necessario
puntellarlo adeguatamente, in modo tale che dopo il taglio, questo possa
276
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
adagiarsi sui puntelli, messi precedentemente sotto carico. In seguito la soletta
verrà sollevata con dei ganci preventivamente fissati saldamente al suo interno.
I puntelli a loro volta poggiano e scaricano il peso dell’impalcato sorretto, sul
solaio sottostante: quindi per consentire tale situazione, è prima necessario
verificarne la capacità portante.
Il carico a cui sarà soggetto il solaio di base una volta tagliato il solaio superiore,
sarà, oltre al peso proprio, quello del solaio superiore, inteso come peso proprio
struttura (mediamente per civile abitazione si aggira intorno ai 3,50 kN/m2 ) e
carico di sovrastruttura (massetto in cls, alleggerito, guaine di
impermeabilizzazione non rimosse, pavimentazioni, per un totale di altri circa
2,00 kN/m2 ; è verosimile considerare nulli gli accidentali ed il carico medio dei
tramezzi sul solaio, durante la sua rimozione.
Infine, anche una errata tempistica di esecuzione delle fasi si taglio, può portare
alla formazione precoce ed indesiderata di cinematismi: è sempre necessario
infatti, studiare non solo lo schema statico di partenza, ma anche tutti quegli
schemi statici modificati, che si formano man mano che si procede con la
demolizione. È fondamentale quindi ricordarsi in primo luogo che, a meno che
non si esegua una demolizione totale con esplosivo, l’eliminazione di qualsiasi
elemento strutturale comporta necessariamente una modificazione dello schema
statico, ed una sensibile ridistribuzione delle caratteristiche di sollecitazione.
Questo discorso è già stato approfonditamente trattato nella sezione relativa alle
“considerazioni strutturali in un processo di demolizione”, in particolare per ciò
che riguarda il comportamento globale di un telaio.
Il genere di rischi contemplato nel suddetto paragrafo, può interessare anche il
nostro caso, in particolare la tempistica con la quale smantellare l’impalcato.
Tornando alla rete di influenze illustrata nella schema che segue, i fattori ora
descritti, ovvero il cedimento dei puntelli, il crollo del solaio sottostante, ed una
errata tempistica, rientrano tutti in un livello di indagine relativo alle cosiddette
cause di primo ordine (level 2), cioè la prima classe di fattori che possono aver
causato il danneggiamento del singolo elemento costruttivo.
Il cedimento dei puntelli, se adeguatamente calcolati, può accadere per una serie
di errori operativi, fra cui, il più comune è sicuramente un insufficiente serraggio
del nodo. Per evitare ciò, prima di mettere in carica i puntelli o di farvi
appoggiare il solaio tagliato, è necessario eseguire un giro di controllo del
serraggio.
Per ciò che riguarda il solaio sottostante, su cui poggiano i puntelli, a meno che
non poggi direttamente controterra, e quindi sia stata verificata la presenza di un
vespaio, si corre il rischio di un suo collasso al momento del taglio
dell’impalcato di quota superiore. Per evitare ciò, e qualora non sia possibile
rinforzarlo da sotto (per semplice inacessibilità), la preoccupazione maggiore,
sarà quella di caricarlo il meno possibile: si dovranno quindi eliminare tutte le
stratificazioni ed i rivestimenti removibili, sia al piano primo che al piano terra, e
limitare al massimo il numero di persone e mezzi. Per semplicità, questo discorso
sarà sintetizzato nello schema dalla voce “rinforzo solaio sottostante”.
277
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
La causa genitrice di una “tempistica di esecuzione errata” è il mancato rispetto
delle fasi operative programmate; si suppone che il progetto della sequenza delle
fasi sia stato redatto correttamente, quindi ciò che può accadere è che questa
tabella di marcia non sia stata rispettata in cantiere. Sono già stati presentati
alcuni esempi di quali siano le conseguenze di cambiamenti dello schema
strutturale; per strutture complesse un’errata valutazione dell’evoluzione dei
modelli di calcolo nelle varie fasi della demolizione, può dar luogo ad effetti
disastrosi.
A titolo d’esempio basti riprendere la descrizione del progetto d’abbattimento del
silos da grano a Genova: è evidente il forte aumento probabilità di collasso per
instabilità, della fetta di edificio, una volta tagliata via dal resto della struttura.
Infatti i progettisti dell’intervento avevano previsto, l’immediato ribaltamento a
terra della trancia, una volta tagliata col filo diamantato, proprio a causa
dell’impossibilità di mantenere stabile la suddetta struttura.
Nel caso in cui un operazione di questo genere venga fatta senza prendere
adeguatamente in conto tutte le fasi della demolizione, ed i relativi componenti
probabilistici di rischio di ogni singola fase, le probabilità di un collasso generale
aumentano vertiginosamente.
Come si può notare osservando queste prime tre cause genitrice individuate, esse
rappresentano dei possibili fault che possono verificarsi operativamente, e non
sono motivazioni intrinseche all’oggetto analizzato: lo scopo stesso della rete
Bayesiana, qualora si decida di farla lavorare secondo una backword inference è
quello di diagnosticare quale siano le possibili cause esecutive genitrici della
failure, ossia quelle possibili dimenticante o disattenzioni operative che possano
essere accadute; in questo modo, dopo aver “fatto girare” (intendasi, risolto) il
modello simulato con la rete, ed aver trovato quale sia il fault che abbia la
maggior probabilità di causare la failure generale, è possibile andare ad agire
operativamente proprio su questa, abbattendo il rischio che ne deriva. Alla fine,
l’ultimo level di cause dovrà costituire una check-list di controllo, in cui siano
messi in luce solamente fenomeni fisici, che possano essere poi moderati nella
realtà esecutiva.
Si raccomanda dunque nuovamente che l’ultimo girone deve essere costituito
solo da fenomeni visivamente osservabili, per poi poter essere tenuti sotto
controllo una volta appurato il loro livello di dannosità.
Nella figura di seguito, è rappresentata la parte di rete progettata finora.
278
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Analisi Trave
Per ciò che riguarda la trave, la sua rovinosa caduta in fase di trasporto, può
essere causata da tre categorie di motivi:
-
una rottura generale del sistema di sostegno temporaneo (cavi ed
imbracatura);
-
il ribaltamento dell’intera autogrù, utilizzata per sollevare la trave;
-
nuovamente una errata tempistica di esecuzione dei tagli.
Il sistema di sostegno della trave sollevata è costituito solitamente da due cavi:
uno principale ed uno cosiddetto di sicurezza, che viene utilizzato in caso di
rottura di quello principale; è infatti una buona norma di sicurezza, prevedere
l’utilizzo di almeno un cavo di sicurezza per il sollevante di qualsiasi massa,
come del resto è anche prescritto per l’utilizzo palla demolitrice.
Sia il cavo principale, che quello secondario posso spezzarsi in fase di esercizio a
causa di una lunga serie di motivi; di seguito si riportano le principali cause,
tratte dalla Direttiva 98/37/CE (conosciuta meglio come Direttiva Macchine,
testo legislativo basilare che definisce i possibili rischi in cantiere):
-
presenza ammaccature, strozzature, rigonfiamenti;
-
presenza di fenomeni di corrosione interna o esterna;
-
per degradazione, cattiva manutenzione e conservazione;
-
presenza di nodi di torsione o di asole nel cavo stesso;
-
presenza di piegature (plasticizzazioni locali) permanenti.
La maggior parte delle cause elencate, sono dovute all’usura, e ciò deve essere
periodicamente controllato secondo dei procedimenti normati e standardizzati:
tutte le verifiche fatte devono essere registrate sul libretto ISPESL
dell’apparecchio di sollevamento. Gli unici fattori di rischio che esulano da un
discorso di usura sono la presenza di nodi di torsione o di asole nel cavo stesso:
279
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
queste possono verificarsi improvvisamente per un uso scorretto dell’apparecchio
di sollevamento, e poi scomparire. La loro presenza, in particolare, quella dei
nodi di torsione, (dovuti alla rotazione della massa sollevata intorno all’asse del
cavo) è infatti estremamente pericolosa e facilmente si può evolvere in una
rottura del cavo. Sono state quindi isolate dalle cause dovute all’usura, le quali,
nello schema che segue sono indicate con la voce “Controllo Ispels effettuato”.
Queste tre cause principali sono egualmente valide sia per il cavo principale che
per quello secondario.
Passando al ribaltamento dell’autogrù, è stato visto che, se sono rispettati i
limiti di portanza dell’autogrù, il suo ribaltamento può essere essenzialmente
causato da due fattori esterni:
-
l’improvviso cedimento del terreno sottostante;
-
il mancato posizionamento dei bracci stabilizzatori.
Il cedimento improvviso del terreno sottostante, può essere facilmente evitato se
si utilizzano idonei dispositivi di diffusione del carico trasmesso dalle gomme o
dagli stessi bracci stabilizzatori: il metodo più semplice è di interporre della
tavole di legno tra le gomme (o l’appoggio dei bracci) ed il terreno.
I bracci stabilizzatori d’altra parte, aumentano il braccio (quindi il momento)
resistente del autogrù, permettendo di aumentare il carico portato (ed il relativo
momento sollecitante).
A seguito dell’introduzione del concetto di momento ribaltante, sembrerebbe
necessario prendere in conto nella rete anche tutti gli altri fattori di tipo
strutturale che possono far variare il momento; ciò non è necessario per due
motivi:
-
in primo luogo le motivazioni di tipo strutturali non sono fenomeni
osservabili, ma causa interne al sistema: introducendole, verrebbe meno
l’utilità della rete stessa, la quale aspirerebbe a modellare un comportamento
strutturale, e non fornirebbe nessuna indicazione utile ai fini della
prevenzione del rischio nel processo;
-
in secondo luogo, su molti apparecchi di sollevamento è ormai in dotazione
un sistema computerizzato che tiene sotto controllo i seguenti parametri: la
variazione dell’estensione del braccio, della sua inclinazione, il carico di
servizio, il rapporto tra il relativo momento ribaltante e quello resistente, ed
infine anche la compressione agente sul braccio stesso (comprensiva di
fenomeni di instabilità connessi).
Infine anche per la trave valgono gli stessi discorsi fatti per il solaio a proposito
di una corretta tempistica di esecuzione dei tagli, coerente con la sequenza della
fasi pianificate.
Nella figura di seguito, si riporta nuovamente la parte di rete progettata finora.
280
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Analisi Pilastro
Per ciò che riguarda il pilastro, la sua rovinosa caduta in fase di trasporto, può
essere essenzialmente causata da tre categorie di motivi:
-
una imperfezione nella sezione d’appoggio del pilastro, scoperta in fase di
taglio;
-
una rottura generale del sistema di sostegno temporaneo (cavi ed
imbracatura);
-
il ribaltamento dell’intera autogrù, utilizzata per sollevare la trave.
L’imperfezione nella sezione d’appoggio del pilastro, rientra in quella serie di
errori esecutivi in fase di costruzione, che spesso restano latenti nella struttura, e
nascosti finché non si verifica un fenomeno o azione di tipo eccezionale, che le
metta in luce. Le sezioni d’estremità di un pilastro sono solitamente soggette ad
una sollecitazione di taglio, generata da azioni orizzontali, maggiore rispetto al
resto dello sviluppo del pilastro: è quindi necessaria una presenza più fitta di
staffe, adibite ad assorbire tale stato tensionale.
Può accadere che spesso, a causa della forte presenza di ferri di armatura
(longitudinali pilastro superiore, longitudinali pilastro inferiore,
staffe) il
calcestruzzo non riesca a penetrare completamente nel nodo, e lasci degli spazi
vuoti. In casi estremi, questi vuoti possono coinvolgere l’intera sezione di base,
lasciando che tutto il carico assiale venga sopportato dai ferri longitudinali.
281
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Situazioni simili possono rimanere nascoste grazie all’intonaco, ma diventano
estremamente pericolose in fase di demolizione: non appena venisse azionata la
sega circolare, questa taglierebbe senza alcun problema i ferri sullo spigolo del
pilastro in questione, portando ad una eccentricità che ribalterebbe
immediatamente il pilastro.
La rottura generale del sistema di sostegno il caso del pilastro differisce dal
caso della trave per l’introduzione di un nuovo elemento fisico, che introduce con
sé i proprio contributo di rischio: il perno.
Come spiegato in precedenza, una volta tagliato il pilastro alla base, questo viene
sollevato con dei cavi, attaccati a dei perni d’acciaio che sono stati in precedenza
saldamente infissi alla sommità del pilastro. L’annullamento della validità del
collegamento a causa dello sfilamento del perno può avvenire secondo due
modalità:
-
schiacciamento del calcestruzzo adiacente al perno: l’estrema rigidezza e
resistenza del perno, solitamente assicurata dal produttore, non garantisce
però la resistenza dell’unione: infatti qualora il perno subisse una minima
flessione, pur restando il fase elastica, trasferirebbe delle forti tensioni al
calcestruzzo adiacente portandolo a rottura; lo schiacciamento del
calcestruzzo e la dilatazione del foro in cui è inserito il perno, porterebbe allo
sfilamento di quest’ultimo ed all’annullamento immediato di tutto il sistema
di sostegno temporaneo. La causa osservabile di questo fenomeno può essere
la comparsa improvvisa di un profondo quadro fessurativo nell’intorno
dell’innesto del perno: questo sintomo presagisce, con una certa probabilità,
lo schiacciamento del calcestruzzo;
-
rottura del perno stesso: nel caso in cui il perno risultasse profondamente
innestato in un elemento costituito da un buon calcestruzzo, si abbassano le
probabilità di rottura secondo la modalità precedente, è si alzano le possibilità
della rottura del perno stesso: sottoposto ad una sollecitazione di tensoflessione, essendo un elemento tozzo, la sua modalità di rottura più probabile
è per tranciamento (dovuta al taglio).
Le cause genitrici di questo fenomeno possono essere fattori di usura, per cattivo
mantenimento (innesco di corrosione), oppure per uno scorretto utilizzo: il
superamento saltuario dei limiti di portanza del perno potrebbe causare
plasticizzazioni e danneggiamenti localizzate, che a lungo termine (vedi
fenomeni di fatica) potrebbero comportare la rottura fragile (e quindi improvvisa)
del perno.
Tornando alla rottura generale del sistema di sostegno, ricordiamo che, come nel
caso della trave, può anche essere causata dalla rottura dei cavi, principale e di
sicurezza; valgono quindi le stesse osservazioni fatte in precedenza.
Le tre modalità di rottura del sistema di sostegno (cavo princ., second. e perno),
appena descritto per il pilastro, potrebbero in verità valere anche per la fase di
movimentazione del solaio, come anche il discorso del ribaltamento dell’autogrù:
si è scelto appositamente di tralasciare l’approfondimento relativo al
sollevamento del solaio e studiarne solo la fase del taglio, per semplificare la rete
282
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
e renderla più comprensibile al lettore. Si ricorda infatti che la funzione di questo
caso applicativo è puramente illustrativa ed esemplificativa: il vero obiettivo
dell’intero quarto capitolo è dimostrare l’applicabilità nel campo della
demolizione, da sempre approcciato in maniera empirica, di metodi razionali e
scientifici di ottimizzazione, comunemente usati in altri settori di progettazione
ad alto rischio.
Tornando per l’ultima volta al nostro schema, si osserva che la caduta rovinosa
del pilastro in fase di sollevamento, può infine avvenire (come anche per la trave)
per l’improvviso ribaltamento dell’autogrù; valgono quindi le stesse osservazioni
fatte in precedenza.
Nella figura di seguito, si riporta la parte di rete progettata finora.
283
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Si riporta infine il diagramma completo di tutti le componenti costruite finora.
Il passo successivo che permette il passaggio dalla rete di Influenze appena
creata, ad una rete Bayesiana vera e propria, è l’assegnazione ad ogni nodo, della
relativa distribuzione probabilistica di accadimento.
Prima di fare ciò, si ritiene necessario approfondire maggiormente il significato
di Rete Bayesiana, ed i principi analitici su cui si basa.
284
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Le Reti Bayesiane
Quando ad un diagramma di influenze, viene associato il concetto di probabilità,
e quindi ad ogni singolo fattore di rischio appartenente alla rete, viene affiancato
una componente probabilistica che rappresenti numericamente la probabilità che
quel determinato fattore dannoso si manifesti, allora lo schema complesso creato
diventa una “Rete Bayesiana”.
Le Reti Bayesiane rappresentano oggi uno degli strumenti analitici più
all’avanguardia per la modellazione probabilistica di sistemi.
Grazie alle Reti Bayesiane (Bayesian Networks) si possono costruire modelli
formali efficaci sul piano operativo, strutturalmente flessibili, che permettono la
valutazione delle probabilità che si verifichino failures (effetti negativi) a livello
del sistema complessivo, sulla base della probabilità di occorrenza di faults degli
eventi elementari (malfunzionamento di componenti); egualmente a questa
capacità predittiva (forword inference - dalle cause agli effetti), le B.N.
possiedono anche una capacita diagnostica (backward inference - dagli effetti alle
cause). Ciò vuol dire che tramite una rete bayesiana è possibile, osservando un
fenomeno dannoso oramai accaduto, capire quale sia il fattore di rischio che
abbia al maggior probabilità di essere la causa scatenante, ovvero, modificando la
probabilità di accadimento di un singolo malfunzionamento, osservarne le
conseguenze al livello della performance (prestazione) generale del sistema (o
processo) in questione.
Prima di procedere oltre, si ritiene opportuno aprire una parentesi sul concetto di
inferenza.
La seguente spiegazione è una libera traduzione di una lettera 1) del grande
maestro chassidico della Torah, il “Lubavitcher Rebbe”, Menachem Mendel
Schneerson, a proposito della compatibilità tra scienza e Torah (Pentateuco).
- “Il pensiero scientifico utilizza due metodi generali di inferenza:
a) il metodo dell’interpolazione, ove, sulla base della conoscenza del
comportamento di un sistema in due situazioni estreme, si deduce quale sia il
suo comportamento in una posizione compresa tra le due di cui prima;
b) il metodo dell’extrapolazione, ove l’inferenza viene fatta all’esterno di un
range di situazioni il cui comportamento segue una legge nota;
Tra i due metodi, il secondo (l’extrapolazione) è chiaramente quello meno certo.
Inoltre, il grado d’incertezza cresce all’aumentare della distanza tra la situazione
in analisi ed il range di valori conosciuti: se il range in questione è contenuto tra i
valori di 1 e 100, un’inferenza fatta a livello 101 ha un grado di affidabilità
migliore di un’inferenza fatta a livello 1001.
All’interno del metodo dell’extrapolazione è necessario fare un’ ulteriormente
distinzione a secondo della direzione in cui viene eseguita l’operazione: un
processo di generalizzazione fatto da una conseguenza conosciuta verso un
fenomeno sconosciuto antecedente è più speculativa (quindi meno scientifica e
285
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
certa) di un’inferenza che và da un dato fenomeno antecedente, ad uno
conseguente sconosciuto.
Ciò può essere facilmente dimostrato col seguente esempio numerico: quattro
diviso due, rende due; qui il fenomeno antecedente è rappresentato dal dividendo
e dal divisore, mentre il fenomeno conseguente è rappresentato dal quoziente.
Conoscendo l’antecedente in questo caso, ci permette di conoscere il possibile
risultato – il quoziente (numericamente 2).
Tuttavia, se conoscessimo solamente il risultato finale, il quoziente 2, e ci
chiedessimo come è possibile arrivare a questo risultato, vedremmo che esistono
varie possibilità, raggiungibili attraverso diversi metodi (operazioni):
• 1+1=2
• 4-2=2
• 1x2=2
• 4–2=2
È da notare che se si introducono numeri diversi su cui operare, i numero di
possibilità che ci forniscono lo stesso risultato, tende velocemente all’infinito
(infatti 5 – 3 = 2; 6 / 3 = 2 etc. ad infinitum)”-.
Si potrebbe obiettare a questo esempio numerico che, mentre nel caso
dell’inferenza deduttiva, si ha un problema con tre dati ed un incognita (da una
parte il dividendo, il divisore ed il tipo di operazione, dall’altra il quoziente), nel
caso dell’inferenza induttiva si è davanti ad un probelma con due dati e due
incognite (quoziente e tipo di operaizone, contro dividendo e divisore). È chiaro
che il secondo tipo di inferenza presenta più incertezze.
Questa asimmetricità del problema è però estremamente importante, e simula
perfettamente le situazioni reali: volendo effettuare nella realtà un’operazione di
tipo diagnostico, ci si inbatte proprio in una condizione di carenza di dati e
possibilità di varie cause generatrici; quensta carenza di input è dovuta
semplicemente al fatto che questi stessi dati appartengono al passato e sono
quindi inaccessibili ad un operatore che indaga nel presente.
Tornando alla definizione di Rete Bayesiana, è possibile quindi definirla come un
formalismo matematico che, compresa la topologia interrelazionale di una
struttura, considera il peso probabilistico di ogni fattore costituivo all’interno
della stessa struttura, ottenendo infine una capacità predittiva e/o diagnostica
sull’intero sistema. Come gli altri metodi per la gestione del rischio, anche il
metodo delle Reti Bayesiane per l’ottimizzazione del Decision Taking, è
largamente usato nelle discipline economiche ad alto livello di rischio,
nell’industria aerospaziale, ed ultimamente si sta diffondendo anche nella
chirurgia. È evidente come, in tutte le discipline succitate, il problema del
decision taking all’interno di un processo progettuale, sia fortemente influenzato
e vincolato dalla presenza del rischio.
Poiché l’organizzazione gerarchica di una Rete di Influenza viene pensata in
maniera soggettiva (in base ad un bagaglio di esperienze e conoscenze non
286
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
strettamente scientifiche), a prima vista, diagnosticare delle cause, ovvero predire
un effetto, potrebbe sembrare semplice ed intuitivo: purtroppo, in questi casi
l’intuizione è estremamente fuorviante; infatti solo grazie alle regole che guidano
il funzionamento di una Rete di Bayesiana, è possibile gestire correttamente tutte
le interrelazioni tra i fattori, ottenendo infine un Risk Critical Path (percorso
critico del rischio).
Per dimostrare come l’intuizione possa essere fuorviante in momenti di scelta,
influenzati da più variabili, si riporta in seguito un esempio tratto dal romanzo
“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon; per maggiore
semplicità si riporta direttamente la citazione:
“Un uomo partecipa ad un quiz televisivo. Può vincere un’auto. Il
presentatore gli mostra tre porte. Dice che dietro ad una delle porte c’è l’auto
in palio, mentre dietro alle altre due ci sono delle capre. Gli chiede di
sceglierne una. Quella che viene indicata non viene aperta. Il presentatore
invece apre una delle porte che il concorrente non ha scelto e gli mostra una
capra (poiché lui sa cosa c’è dietro di ognuna delle porte). A questo punto gli
dà un’ultima possibilità, prima che si spalanchino tutte le porte e vinca
un’auto o una capra. Infine domanda se vuole cambiare idea e scegliere una
delle porte ancora chiuse. Cosa gli suggerisce di fare?”
Utilizzando l’intuito, si è automaticamente spinti a pensare che le probabilità di
vincita, una volta mostrata la prima capra, siano distribuite al 50% tra le due
porte. In verità non è così: il fatto di aver aperto una delle porte, ha oramai
irrimediabilmente intaccato la distribuzione statica tra le altre due, resta da fare
una cosiddetta scelta “vincolata”. Per ottenere l’auto in palio, è necessario
cogliere l’occasione offerta dal presentatore e cambiare la propria scelta iniziale:
così si avranno due possibilità su tre di vincere.
Ciò che è stato detto, può essere dimostrato con i mezzi dell’analisi probabilistica
(cosa che tralasceremo in questa sede) oppure col seguente semplice schema:
Se ti viene chiesto di
scegliere una porta
Scegli una porta che
nasconde una capra
Scegli una porta che
nasconde una capra
Scegli una porta che
nasconde un'auto
Non
cambi
Cambi
Non
cambi
Cambi
Non
cambi
Cambi
Vinci una
capra
Vinci
un'auto
Vinci una
capra
Vinci
un'auto
Vinci
un'auto
Vinci una
capra
Provando a percorrere i tre percorsi è possibile vedere come in effetti,
cambiando, due volte su tre si ottiene l’automobile, ossia le probabilità di vincita
aumentano dal 33% iniziale, ad un 67%, e non al 50% supposto intuitivamente. Il
287
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
principio che sta alla base di questo esempio è il teorema di Bayes, che
esporremo in seguito.
Le Reti Bayesiane (dette anche belief networks, Bayesian Belief Network,
Causal Belief Network – Pearl 1988) sono definite come grafi orientati aciclici
dove i nodi rappresentano le variabili indipendenti, e gli archi rappresentano le
dipendenze dirette probabilistiche tra i nodi stessi. La struttura di una rete
Bayesiana è una rappresentazione grafica e qualitativa delle interazioni tra una
serie di variabili, il cui scopo è simularne la gerarchia causale, permettendo una
capacità predittiva sugli effetti, quando vengano manipolate le cause.
Essendo basate su di una rete di influenza, le reti Bayesiane sono anch’esse
graficamente rappresentate da una serie di nodi, ovali o circolari, collegati da
frecce unidirezionali: i nodi rappresentano le variabili, e contengono informazioni
sulla propria distribuzione probabilistica, mentre le frecce rappresentano i
possibili legami di causalità tra le suddette variabili.
Il principio che sta alla base del funzionamento delle reti bayesiane, è il teorema
di Bayes, che, una volta fissate due variabili X ed Y , rappresentanti due eventi
tra loro correlati, pone in relazione le relative distribuzioni di probabilità P(X) e
P(Y):
P(Y X ) =
P( X Y )P(Y )
P( X )
Per comprenderne meglio il funzionamento, utilizziamo un esempio pratico:
supponiamo che la variabile Y rappresenti una patologia, mentre la variabile X
un sintomo; il teorema di Bayes permette di calcolare la probabilità P(YX) che
si manifesti la patologia Y, dopo l’osservazione del sintomo X, sulla base della
probabilità P(XY) del verificarsi del sintomo in relazione alla patologia, ed in
base alle probabilità a priori di entrambe.
Compreso il principio di funzionamento, sembrerebbe possibile simulare
completamente il comportamento di qualsiasi sistema reale, una volta scisso nei
suoi fattori costitutivi e conosciute le distribuzione statistiche di ognuno. Quindi
qualora un evento Y dipendesse da una serie di variabili Xi, il teorema di Bayes si
presenterebbe nel seguente modo:
P(Y X 1 , X 2 ,..., X n ) =
P(X 1 , X 2 ,..., X n Y )P(Y )
P( X )
Sfortunatamente
all’aumentare
delle
variabili
in
gioco,
aumentano
esponenzialmente anche le possibilità combinatorie, rendendo velocemente il
problema irrisolvibile. Questa difficoltà può essere ovviata grazie
all’introduzione
di
un’ipotesi
semplificativa,
detta
di
“indipendenza
condizionale”: così facendo si rendono indipendenti tra loro i vari possibili
eventi-causa Xi, abbattendo fortemente il numero di combinazioni da eseguire in
fase di calcolo.
L’ipotesi semplificativa introdotta può essere rappresentata analiticamente con la
seguente espressione:
288
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
P( X 1 , X 2 ,..., X n Y ) = ∏ P( X i Y ) .
n
i =1
Il teorema di Bayes comprensivo di quest’ipotesi diventa:
X1
n
P(Y X 1 , X 2 ,..., X n ) =
∏ P( X
i
X2
Y )P(Y )
i =1
P( X )
graficamente
Y
A questo punto è possibile dare una spiegazione più precisa del
significato dei nodi e delle frecce (definizione di A. Giretti, P. Minacci):
-
in nodi rappresentano le variabili aleatorie discrete o continue che sono
definite attraverso la loro distribuzione di probabilità P(Xi);
-
gli archi rappresentano le relazione di dipendenze condizionale tra le variabili
e per questo sono direzionati. Un arco dal nodo Xi al nodo Yi significa una
distribuzione di probabilità condizionata P(YXi).
La struttura della rete stessa rappresenta e simula il comportamento del sistema o
del processo in questione, dopo che questo è stato scisso nelle sue variabili
costitutive principali.
Operativamente, per costruire una rete bayesiana, è necessario in primo luogo
rappresentare graficamente il diagramma di influenza del problema in questione,
avendo ben chiare le relazioni tra le diverse variabili; essendo una rete bayesiana
per definizione un grafo aciclico orientato, non sono ammessa relazioni cicliche,
ossia il flusso delle dipendenze deve essere monodirezionale, altrimenti non è
possibile risolvere e calcolare la rete stessa.
Una volta creata questa rete di influenze, avendo rispettato i legami tra i vari
nodi, ciò che resta da fare è assegnare ad ogni nodo (evento) la relativa
distribuzione di probabilità condizionata, la quale indica la probabilità di
accadimento di quello specifico evento. A questo punto il modello probabilistico
del problema è completato, la sua risoluzione spetta ad un qualsiasi programma
di calcolo che sappia sfruttare il teorema di Bayes.
Resta da dire che, per alimentare i nodi, è necessario disporre di una banca dati
che fornisca le distribuzioni probabilistiche degli stessi; una volta fatto ciò,
cambiando un valore di probabilità di qualsiasi delle variabili, è possibile
studiarne gli effetti della propagazione nel resto del sistema (in funzione dei
legami internodali), e comprendere di conseguenza, il peso di ogni variabile in
relazione alla performance generale finale del sistema.
Rete Bayesiana del caso studio
Avendo già costruito la rete di influenze del caso di demolizione in questione,
cioè avendo già chiarito le interrelazioni tra le varie variabili di rischio
intrinseche al processo analizzato, come premesso, ciò che resta da fare è solo
assegnare le distribuzioni probabilistiche condizionate ad ogni nodo.
289
Xn
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
È necessario ora modellare nella rete di Influenze, le relazioni di tipo complesso
che intercorrono tra i vari fattori.
Si prenda come esempio la relazione tra il cavo principale e quello secondario,
appartenenti al più generico sistema di sostegno trave e/o pilastro: il cavo
secondario entra in funzione solo a seguito della rottura del principale; inoltre una
eventuale rottura del secondario, nel caso non si fosse spezzato il principale, non
comporterebbe ovviamente nessuna conseguenza dannosa. Tutte queste
condizioni ed altre ancora, vengono inserite nel modello attraverso la definizione
del nodo che precede le due concause “rottura cavo princ.” e “rottura cavo
second.”, ossia il nodo definito “Rottura del sistema di sostegno trave”.
La sintassi che sta dietro ad ogni nodo, viene rappresentata col programma
utilizzato per la risoluzione della rete, attraverso una tabella, come illustrata in
figura: naturalmente più aumentano le concause di un evento, maggiore sarà il
numero delle combinazioni e delle possibilità da studiare.
I coefficienti numerici inseriti nelle caselle indicano le percentuali di probabilità
di avvenimento di un fenomeno, in funzione dell’accadimento delle sue cause
genitrici.
Osservando la tabella in figura, partendo dall’estrema destra: nel caso in cui non
avvenga la rottura del cavo principale, né quella del cavo secondario, si ha
solamente il 10% (indicato come 0,1) di probabilità che avvenga la rottura del
sistema di sostegno della trave; si è preferito ammorbidire le possibilità
utilizzando il 10% invece di un netto 0%, per prendere anche minimamente in
conto altri fattori secondari.
In figura si riporta un altro esempio della sintassi più complessa, di un nodo, a cui
convergono molteplici cause genitrici:
290
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Eseguendo lo stesso procedimento per tutti i nodi, è possibile così completare la
preparazione della rete.
La figura in basso illustra la struttura della rete Bayesiana completa di tutte le
distribuzioni probabilistiche per ogni nodo.
…
Si può osservare che, assegnando a tutti i nodi genitori una probabilità di
accadimento del 50%, la rete calcola una probabilità finale di “danno sugli
operai” del 75%.
Se invece si assegna una probabilità praticamente nulla di avveramento delle
condizioni pericolose più esterne (singoli faults), la conseguente probabilità di
ferimento operai (failure di sistema) si riduce fino ad un valore del 36%.
Nonostante in questo caso ci si aspetterebbe un abbattimento completo della
percentuale, questo valore residuo è dovuto alla diversità assegnata ai coefficienti
che esprimono la mutua influenza tra i vari nodi.
291
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Nel nostro caso, le possibilità di accadimento del singolo fault erano assegnate
con delle semplici variabili del tipo true e false, ma le Reti Bayesiane si prestano
ad elaborazioni ben più complesse e dettagliate, in cui l’avveramento di ogni
nodo può essere espresso anche tramite delle equazioni: è così che si possono
modellare comportamenti probabilistici di tipo strutturale.
A questo punto la rete è pronta per essere adoperata a nostro piacimento:
abbiamo già trattato la possibilità di effettuare sia una forward che una backward
inference; in pratica si traduce nella capacità della rete di calcolare l’influenza
che ha un singolo fattore sulla possibilità di causare una failure generale
(prevedendo quindi il futuro), ovvero di diagnosticare, una volta osservato uno
stato di fatto (evento negativo già accaduto), quale sia il fattore di rischio unitario
che abbia, con maggior probabilità, causato l’evento dannoso generale.
Quest’ultima caratteristica della rete, creando un vero e proprio Risk Critical
Path (percorso critico del rischio) permette applicazioni di tipo diagnostico in
vere e proprie indagini su casi di collassi e cedimenti.
Chiaramente, come spiegato in precedenza, per permetterle di elaborare i
risultati, la rete deve essere alimentata da una base dati statistica. Sono comunque
in fase di studio e di sperimentazione in vari campi, cosiddetti metodi di
apprendimenti bayesiano, i quali consistono nello sviluppare una forma di
capacità autonoma di apprendimento della rete stessa.
292
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
Conclusioni
Come ci proponeva di fare, durante lo svolgimento di questa ricerca è stato
portata avanti con livelli di approfondimento sempre crescenti, l’analisi dell’iter
progettuale che sta alle spalle di un intervento di demolizione di un organismo
complesso.
Si è partito da un primo capitolo, in cui si introduceva il lettore ai concetti
fondamentali ed ai presupposti teorici su cui si basa un progetto di demolizione;
si è quindi portata avanti un’approfondita analisi e scomposizione del progetto
nei suoi componenti costitutivi, classificando così tutti quei fattori che possono
entrare in gioco nel momento decisionale, all’interno di un iter progettuale: di
ognuno di essi sono state studiate le possibili interrelazioni, ed è stato assegnato
ad ognuno un peso relativo nei confronti dell’intero processo.
Attraverso questo studio, si è introdotto il concetto di
all’interno di un processo progettuale: nel caso specifico
un’operazione di abbattimento, il momento decisionale
scelta, in primo luogo della metodologia di intervento
parziale, indifferenziata o selettiva), ed in secondo luogo
da utilizzare.
momento decisionale
della pianificazione di
è rappresentato dalla
(demolizione totale o
della specifica tecnica
Alla conclusione del primo capitolo, si è quindi creata nella mente del lettore,
non solo un certo bagaglio culturale sui possibili fattori costitutivi, ma anche una
vera e propria rete virtuale che collega e relaziona tra loro tutte queste variabili;
la risoluzione di questa rete nella maniera ottimale, cioè prendendo in giusto
conto il peso relativo di ogni fattore, fornisce l’indicazione della tipologia di
intervento e di relativa tecnica da utilizzare: in sintesi è possibile dire che, così
facendo si è esplicitato ed approfondito il percorso mentale di un progettista in un
momento di scelta progettuale.
Ne secondo capitolo si è continuato ad arricchire il back-ground culturale del
progettista, entrando nel dettaglio delle singole tecniche, studiando le
caratteristiche, positive e negative di ognuna di esse in base ad una serie di criteri
prefissati, ed in particolare sottolineando il grado di compatibilità della singola
tecnica col contesto operativo. Tutte le tecniche, esistenti o in fase di
sperimentazione, sono state preventivamente inquadrate e classificate all’interno
della relativa tipologia di approccio, in modo tale da fornire una prima
indicazione al progettista sulla scelta da effettuare in funzione dei possibili
vincoli di progetto, già analizzati precedentemente.
Il terzo capitolo costituisce il momento di sintesi di tutto quanto è stato detto nei
capitoli precedenti: attraverso l’illustrazione e l’analisi critica di alcuni casi
studio strategici, si presentano degli esempi concreti di progettazione di
demolizioni complesse: tramite questi esempi s’è avuta l’opportunità di mettere
in luce le possibili interazioni tra le suddette variabili della progettazione, e di
scoprire come le varie problematiche sono state di volta in volta risolte dai
progettisti.
293
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
I casi studio affrontati forniscono una gamma molto varia di esempi progettuali:
si è tentato non solo di selezionarli in modo tale da fornire una esemplificazione
di funzionamento delle principali tecniche di abbattimento e dal loro rapporto con
i vincoli progettuali, ma alcuni di loro sono stati scelti poiché rappresentano casi
mediamente rari di integrazione di tecniche molto diverse tra loro, la quale
integrazione ha garantito infatti altissimi risultati prestazionali.
Una volta acquisito il bagaglio culturale attraverso la lettura dei primi capitoli, il
lettore giunge infine al quarto capitolo: in particolare, a questo punto risulta
chiaro che, tra i vari aspetti da considerare in un momento di scelta progettuale, il
fattore rischio rappresenta mediamente l’input più caratterizzante.
Quindi ripartendo da una rilettura del concetto di progetto attraverso la semantica
e le definizioni della disciplina del Project Management, si è deciso di
approfondirne un aspetto in particolare, ovvero quello del rischio progettuale e
della sua gestione: si tratta del cosiddetto Project Risk Management.
Così facendo si è evidenziata la necessità di una progettazione di tipo Fault
Tolerant, ossia un’attività pianificatoria flessibile, in cui, già nella sua genesi
siano contemplate le possibili cause di insuccesso, e quindi siano state prese le
dovute misure, preventive o mitigatrici del danno.
All’interno di un iter progettuale, arriva infine il momento della Decision Taking,
che, nel caso della demolizione è rappresentato dalla scelta della metodologia e
della relativa tecnica di intervento. Si è scelto di supportare il progettista nel
momento della scelta, in particolare in funzione dei possibili rischi di progetto.
Quindi, operativamente, si è illustrato il funzionamento delle principali tecniche
di gestione del rischio, afferenti alla disciplina della Reliability Engeneering.
Fra le varie tecniche analizzate, si è scelto di utilizzarne una in particolare e di
fornirne un esempio pratico di applicazione: si tratta della tecnica delle Reti
Bayesiana, un efficace strumento di rappresentazione di modelli di sistemi
tecnologici e di processi costruttivi, che permette di definire gli aspetti rilevanti e
la struttura di dipendenze del problema in esame.
Alla fine di tale trattazione si considerano quindi raggiunti gli obiettivi preposti:
ovvero fornire uno strumento di supporto al progettista nel momento decisionale
all’interno di un iter progettuale. L’intero approccio del Knowledge Based
Decision Taking è motivato da una necessità di fornire al progettista una corsia
preferenziale nei momenti in cui deve affrontare delle scelte progettuali. L’ipotesi
di partenza di questa disciplina, è che il progettista abbia tutte le capacità di
scindere il problema nelle sue componenti costitutive, comprendendo anche la
rete di relazioni che correlano i vari fattori; questa capacità di analisi è garantita
dall’esperienza personale e dal bagaglio culturale del progettista stesso, e, nel
nostro testo si è tentato di fornire questa knowledge base (base di conoscenze)
attraverso i primi tre capitoli; allo stesso tempo però si suppone che il progettista
abbia delle difficoltà a risolvere la suddetta rete di fattori, e necessiti quindi di un
aiuto per poter prendere la soluzione ottimale, cioè quella che, considerando il
debito peso di tutti i vincoli di progetto, garantisca il rendimento prestazionale
294
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
più alto (secondo gli aspetti che di volta in volta interessano al committente: bassi
costi, tempi ristretti…), minimizzando contemporaneamente i rischi tecnici.
Questo supporto al progettista è fornito dai metodi di controllo e gestione del
rischio, tra cui le Reti Bayesiane rappresentano lo strumento più innovativo per la
valutazione dei scenari operativi attraverso una simulazione qualitativa.
Si è già detto che le prime applicazione delle Reti Bayesiane per il controllo del
rischio di progetto, è stato effettuato in campi ben diversi dalla demolizione
edilizia: basti pensare all’industria aerospaziale, agli studi sulla propagazione di
malattie infettive, oppure alla progettazione di centrali nucleari o chimiche ad
alto rischio.
Quest’applicazione delle Reti Bayesiane nel campo della produzione edilizia (in
particolare nella fase della demolizione), è un tipico esempio di trasferimento
delle conoscenze da una campo disciplinare ad una altro: la motivazione stessa
della ricerca sta nel tentativo di elevare il campo della demolizione, da una serie
di operazioni eseguite senza la necessita di un’attività pianificatoria e spesso
senza nessuna conoscenza specifica sull’argomento, ad un’attività razionalizzata
ed ottimizzata alla stregua di tutte le altre fasi del ciclo vitale di un edificio. Si è
quindi ridotta l’importanza del fattore della convenienza economica, come
elemento più vincolante nel momento progettuale di un abbattimento, mettendo
in luce tutte le variabili in gioco all’interno di tale processo: in particolare si è
concentrata l’attenzione sul fattore del rischio tecnico, il quale è in verità la
variabile più vincolante in un’attività demolitiva di un organismo complesso.
Il controllo dell’influenza delle conseguenze di questo fattore su processo
progettuale è ottenuta tramite appunto lo strumento delle Reti Bayesiane.
Essendo tale strumento relativamente recente, ed ancora in fase di
implementazione e potenziamento, si ritengono molto varie ed interessanti le sue
ulteriori future applicazioni nel campo della produzione edilizia, il quale campo,
pur avendo sempre rappresentato un caso particolare rispetto agli altri settori
della produzione industriale, poiché estremamente complesso e multisfaccettato,
risulta ad oggi ancora troppo caratterizzato da un’aleatorietà di fondo.
“LA DEMOLIZIONE DELLE OPERE IN CALCESTRUZZO ARMATO:
TEORIA, PROGETTO E CONTROLLO DEL RISCHIO”
Note:
1) il testo originale tratto dalla lettera del “Lubavitcher Rebbe”, Menachem Mendel Schneerson ,
è il seguente:
“Here science has two general methods of inference;
295
Capitolo 4
Il Controllo del Rischio nella Demolizione
(a)
The method of interpolation (as distinguished from extrapolation), whereby, knowing the
reaction under two extremes, we attempt to infer what the reaction might be at any point
between the two.
(b)
The method of extrapolation, whereby inferences are made beyond a known range, on the
basis of certain variables within the known range. For example, suppose we know the
variables of a certain element within a temperature range of 0 to 100, and on the basis of
this we estimate what the reaction might be at 101, 200, or 2000.
Of the two methods, the second (extrapolation) is clearly the more uncertain. Moreover, the
uncertainty increases with the distance away from the known range and with the decrease of this
range. Thus, if the known range is between 0 and 100, our inference at 101 has a greater
probability than at 1001.
Let us note at once, that all speculation regarding the origin and age of the world comes within
the second and weaker method, that of extrapolation. The weakness becomes more apparent if we
bear in mind that a generalization inferred from a known consequent to an unknown antecedent is
more speculative than an inference from an antecedent to consequent.
That an inference from consequent to antecedent is more speculative than an inference from
antecedent to consequent can be demonstrated very simply: Four divided by two equals two. Here
the antecedent is represented by the divided and divisor, and the consequent - by the quotient.
Knowing the antecedent in this case, gives us one possible result - the quotient (the number 2).
However, if we know only the end result, namely, the number 2, and we ask ourselves, how can
we arrive at the number 2, The answer permits several possibilities, arrived at by means of
different methods: (a) 1 plus 1 equals 2; (b) 4-2 equals 2; (c) 1 x 2 equals 2; (d) 4 2 equals 2. Note
that if other numbers are to come into play, the number of possibilities giving us the same result is
infinite (since 5 - 3 also equals 2; 6 3 equals 2 etc. ad infinitum)”.
296
La Demolizione delle Opere in Calcestruzzo Armato:
Teoria, Progetto e Controllo del Rischio
BIBLIOGRAFIA
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Teoria, Progetto e Controllo del Rischio
-
“Innovazione tecnologica ed architettura” – Laura Angeletti – Gangemi
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“Nuovo cantiere” - annate: 2003
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Supercoralli
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“Demilition & Recycling International” – annate: 2003, 2004, 2005
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“Byzantine seige Warfare in Theory and Practice” - Eric McGeer from The
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“Parangelmata Poliorcetica et Geodesia” - Heron of Byzantium
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La Demolizione delle Opere in Calcestruzzo Armato:
Teoria, Progetto e Controllo del Rischio
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“The Science of Industrial Explosives” – Melvin A.Cook – Ireco Chemicals,
Salt Lake City,
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“Blasting Practice” - Nobel’s Explosives Company Limited, Stevenston,
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“Explosives for North American Engineers” – C. E. Gregory – Trans Tech
Publications;
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“Swedish Blasting Technique” – Rune Gustafsson;
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“Explosives for Engineers – A primer of Australasian Industrial Practice” – C.
E. Gregory – University of Queensland Press;
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“De pirotechnaria” – Biringuccio Vannoccio, 1540
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“175th Anniversary Edition of Blasters’ Handbook” – E. I. Du Pont de
Nemours & Co. (Inc.) Explosive Product Division, Wilmington, Delaware 1989
- Sixteenth Edition;
MATERIALE ILLUSTRATICO DELLE DITTE PRODUTTRICI:
-
A.T. Toptaglio S.r.l.
-
General Smontaggi S.r.l.
-
Bontempi demolizioni speciali s.r.l.;
-
Indeco Italia;
-
Cardox International Limited;
-
Italesplosivi;
-
Carper s.r.l.;
-
Loizeaux Group International (LGI);
-
CE.TAD s.r.l.
-
Maia – Caterpillar;
-
Controlled Demolition Incorporated
-
Mantovanibenne S.r.l.;
(CDI);
-
Pagel Italiana S.r.l.;
Demarec Demolition & Recyciling
-
Saide Costruzioni;
Equipment BV;
-
S.I.A.G. s.r.l. - Blasting Works;
-
Despe s.r.l. - Demolizioni Speciali;
-
Tecnomine s.a.s.
-
Esplodem service;
-
ThyssenKrupp;
-
Fogtec Fire Protection;
-
VTN Europe S.r.l.;
-
299
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