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Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA
ANNO XXIV N. 12 Dicembre 1976
Spedizione in abbonamento postale Gmppo 111/70
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ORGANO
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M E N S I L E D E L L ' A I C C E , ASSOCIAZIONE
dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
UNITARIA
D I COMUIVI,
PROVINCE,
REGIONI
I1 compromesso
europeo
di U. S.
E' certo che la ratifica della Convenzione
elettorale europea non può darsi per scontata in tutti e nove i Paesi della Comunità.
Giorni orsono a Parigi ho parlato a lungo
con un comunista, segretario di una associazione di sinistra di Enti locali, e mi ha conlerinato che il PCF non è stato ancora « illuminato »: inutilmente ho domandato al fratello separato francese che cosa se ne farà
della sovranità nazionale illimitata quando
tedeschi, inglesi e irlandesi continueranno a
rovesciare nelllAtlantico il biossido di titanio, con pregiudizievole conseguenza per i
pescatori (e non soltanto per i pescatori)
francesi; inutilmente gli ho chiesto con quale peso un singolo paese europeo potrebbe
sperare, in prospettiva, di impostare diversamente il rapporto Nord-Sud e preparare
- col terzo e quarto mondo - una cogestione democratica dei problemi correlati
del prezzo delle materie prime (ivi incluso
il petrolio), del prezzo dei prodotti industriali, della distribuzione dei prodotti alimentari, del regolamento dei consumi, e di
una stabilizzazione del riferimento monetario in senso non imperialista. Il a compagno » francese, pur pagando un tributo puramente verbale a una non meglio definita
« Europa dei popoli D, ha continuato a dichiararsi fino in fondo nemico delle elezioni
europee. Frattanto è tutt'altro che chiaro lo
atteggiamento che prenderà Chirac, questo
salvatore della patria » che, fondato il suo
rasseinhleinerit, ne ha subito insediato gli
uffici, emblematicamente, in uno degli edihci più caratteristici della speculazione fondiaria che sta minando la Parigi che noi
amiamo (il grattacielo di Montparnasse): sicché Giscard ha i suoi grossi problemi, più
grossi di Mitterand. E dico tutto ciò per
restare in Francia: infatti le preoccupazioni
per la ratifica non finiscono interamente nell'esagono del gollismo. Ciò malgrado ritengo
che sia un errore tentare di costruire le premesse della democrazia europea senza che i
suoi nemici se ne accorgano o comunque facendo il minor chiasso possibile, in modo
che almeno se ne accorgano un po' di meno. Mi pare invece utile, anzi necessario,
iniziare subito la campagna elettorale comunitaria, convinto come sono che la base popolare - tutta la base - sia istintivamente
europea e aperta alla sovranazionalità, fin-
COMUNI D'EUROPA
ché non intervengono a scoraggiarla i quadri misoncisti di taluni partiti politici e le
infinite organizzazioni corporative della società europea e delle sue componenti nazionali.
Bisogna chiarire per prima cosa che le
elexioni europee più che per se stesse sono
importanti per il nuovo quadro politico che
istituiscono. Con la Convenzione elettorale
europea i governi hanno ammesso - iI questo in fondo lo storico passaggio che ci interessa e da questo deve muovere la nuova
politica - che al processo di integrazione
europea per via intergovernativa e diplo[natica si prospetta, in un quadro che si
conclude idealmente col Parlamento eletto,
un'alternativa: l'integrazione diretta dei popoli, delle società nazionali, cioè una specie
di momento costituente continuativo, di cui
episodi centrali sono lo sviluppo della presa
di poteri reali della Confederazione europea
sindacale, l'incontro diretto delle Regioni e
dei Poteri locali europei col relativo esercizio
di poteri di iniziativa e di controllo, la gestazione di una scuola europea e di strumenti sovranazionali di una politica della
cultura e della ricerca, e via così. Le elezioni
europee, il Parlamento europeo eletto, la irrecusabile trasformazione di questo Parlamento in Assemblea costituente nei riguardi
del nuovo patto europeo n saranno dunque
d'ora innanzi i punti di riferimento di una
ampia azione alternativa di costruzione dell'Europa: diciamo alternativa - ripetiamolo -, perché non deve concludersi necessariamente in decisioni dei governi nazionali, e
insomma non è un puro sforzo di persuasione di altri, che poi in realtà decidono.
In questo quadro si colloca il problema dei
programmi, che si proporranno in occasione della campagna elettorale europea. Sarà
bene analizzare talune esigenze di questi programmi.
La prima, direi, L: la seguente: poiché fra
i punti essenziali di un programma per le
elezioni europee non può non esserci quello
degli stessi poteri da conferire al Parlamento europeo e, in definitiva, alle istituzioni
comunitarie, occorrerà tenere ben presente
un'altra fondamentale alternativa. Da molte
parti ci si lamenta del modello di sviluppo
complessivo di questa nostra società europea occidentale: ebbene o le istituzioni comunitarie si avviano decisamente in senso federale, e allora potremo parlare della costruzione di un nuovo modello di sviluppo europeo, o si opta per soluzioni confederali,
c allora - a parte altre considerazioni occorrerà rinunciare allo stesso discorso di
un modello di sviluppo europeo, poiché ci
sarà al contrario un moto centrifugo, una
balcanizzazione europea, una serie di opzioni differenziate da parte delle singole nazioni, in funzione del proprio più o meno stretto rapporto coloniale con le Superpotenze
e di quel tanto di spazio che ciascuno riuscirà a guadagnarsi nel suo piccolo e con
differenziati accordi bilaterali. Qui si deve
collocare la critica di coloro che, con molFoto in prima pagina: il 23 novembre SI e
riunita a Roma la Direzione nazionale delI'AICCE, oltre che per affrontare problemi
di organizzazione interna, per uno scambio di
idee sul momento politico europeo, alla vigilia del Bureau del CCE e della Conferenza
regionale di Parigi, che si sono svolti rispettivamente il 6 e il 7-8 dicembre.
ta astrattezza, si propongono un modello
italiano o europeo meridionale di sviluppo,
di estrema austerità e con contorni di accesa idealità, dimenticando che l'Italia, tanto per fermarci ad essa, è un Paese di economia prevalentemente trasformatrice e che,
se non vuole partecipare alla lotta imperialista per determinare con la forza o addirittura con le armi i bassi prezzi delle materie
prime (tra cui il petrolio), essa è destinata
da sola a darsi un'economia poco più che
silvo-pastorale, che ovviamente potrebbe essere imposta solamente nzutili militari, o che
più probabilmente sfocerebbe in un'economia, tutt'altro che ideale, levantino-coloniale.
In conclusione bisogna stabilire subito, prima di approfondire qualsiasi programma o
piattaforma elettorale europea, che un Parlamento costituente (a cui venga insomma affidato il progetto di Unione europea) e una
effettiva Federazione europea - in cui debbono incontrarsi l'Europa del nord e quella
mediterranea - sono la condizione sine qua
tioti di un nuovo modello di sviluppo europeo. L'alternativa è qui confederale (vagamente unionista) e balcanica.
Ciò premesso, credo che dobbiamo distinguere, in vista delle elezioni europee, tra i
programmi transnazionali dei partiti o gruppi politici - programmi che non potranno non essere antagonisti o in ogni modo
(anch'essi!) alternativi - e le piattaforme
che, per esempio, il movimento europeo sindacale o il movimento europeo delle autonomie potranno darsi per ispirare alcuni
motivi di fondo, che dovrebbero essere comuni ai diversi gruppi politici, o per lo meno a quelli di più profonde radici popolari, nell'ipotesi che si voglia costruire una
autentica Federazione europea. Queste piattaforme dovrebbero essere le risultanti dei
motivi ispiratori di quello che da anni chiamiamo il « fronte democratico europeo D:
ci06 quel fronte che oggi si pone globalmente, per quanto abbiamo or ora rilevato, come l'opposto del fronte di coloro che rifiutano di portare il controllo democratico a
quei livelli dove già opera la sovranazionalità privata, cioè il fronte delle multinazionali e dei nazionalisti, il fronte di coloro che,
hon gré mal gré, saranno costretti, non accettando la sovranazionalità federale, a ripiegare nel ghetto nazionale e nell'area coloniale, con scarse o nulle prospettive per
ogni iniziativa democratica di ampio respiro.
I programmi dei partiti o gruppi politici,
a loro volta, dovrebbero orientarsi verso
obiettivi non tanto dedotti dai proclami che
si accompagnano, stancamente, alle tradizionali scuole politiche quanto costruiti sul riconoscimento - da diversi angoli visuali della utilità comune nel fare reciproche
rinunce e nel darsi obiettivi, per i quali poi
il gruppo politico parlamentare che sarà
eletto si troverà in condizione di trovare
appoggi permanenti nei rispettivi Paesi. Mi
spiego: non si tratta di calare in un programma partitico comunitario un ammasso di istanze contradditorie che, sotto una
bandiera comune, in realtà mettano insieme
interessi e convinzioni contrastanti di diversi Paesi, talché non si trovi poi la forza
di portare avanti, nella battaglia parlamentare e politica generale, alcunché di comune, cioè di sovranazionale. Si tratta di studiare attentamente nell'ambito di ciascuna
forza politica, cosa di comune si può prospettare per esscrc soggetti di una batta-
dicembre 1976
glia non transitoria e non puramente verbale. In effetti, teniamolo bene a mente, il
Parlamento europeo, che attualmente è una
assemblea poco più che consultiva, si darà
poteri non perché ingegneri costituzionali
avranno progettato e deciso nei loro studi
che un Parlamento europeo dovrebbe avere
queste o quelle altre competenze, ma essenzialmente in base a due fatti: 1) che il Parlamento eletto si trovi di fronte I'interlocutore naturale di ogni Parlamento, cioè un
governo, e nel nostro caso un qualsiasi corpo europeo che eserciti la funzione esecutiva e rispetto al quale si possano far crescere iniziative sia sul terreno del controllo, sia su quello delle regole generali - leggi - nel cui àmbito si vuol far camminare
l'Esecutivo, sia finalmente su quello dello
stimolo e dell'incoraggiamento all'iniziativa
politica; 2) che i gruppi politici del Parlamento europeo abbiano - come affermato
sopra - obiettivi transnazionali, concreti,
dietro i quali sia stata mobilitata una precisa zona di elettorato europeo e in funzione dei quali, quindi, i gruppi siano spinti
a condurre una battaglia incessante contro
le resistenze dei governi nazionali e anche
di tutte le altre componenti nazionaliste e
multinazionali cc private del quadro politico.
Infine c'è un particolare compromesso europeo che consigliamo alllItalia, come consiglieremmo a qualsiasi Paese economicamente meno sviluppato, che dovesse condurre la sua lotta democratica e popolare
all'interno della Comunità e per lo sviluppo
della Comunità. Da una parte ai Paesi della
Lotaringia comunitaria, cioè ai Paesi con le
regioni più ricche e sviluppate della Comunità (ci rientra anche, in realtà, una fetta di
Italia) essa deve e naturalmente può chiedere (anche perentoriamente dal momento che
è oltretutto comodo e sicuro mercato di
smercio dei partners attraverso l'unione doganale - l'Italia è il terzo mercato mondiale della Germania di Bonn, piaccia o dispiaccia -) una diversa regola di scambio comunitario e, in definitiva, un diverso modello
di sviluppo. In realtà il Trattato della CEE
prevedeva in 12 anni, con il rinvio ammesso
di altri 3 anni (cioè 1958-1969 o 1958-1972) la
completa realizzazione di una unione doganale - ciò è in gran parte avvenuto - e di
un'unione economica - ciò non si è quasi
per nulla realizzato, salvo che per la politica agricola, beninteso per la politica agri.
cola dei prezzi e quasi per niente delle
strutture -: insomma si è realizzato quanto
giovava di più o immediatamente alla Germania federale, alla Francia e ai Paesi Bassi e, in altri termini, alle regioni ricche di
Europa, creando cosi una maggiore distanza fra i ricchi e i poveri. Fra il 1972 e il '73,
dopo che nel 1971 gli USA avevano anche
formalmente rifiutato di onorare la convertibilità del dollaro, scatenando o sollecitando il sisma monetario internazionale, i nostri partners comunitari ci proposero la « moneta europea dell'unione doganale » - se possiamo chiamarla cosi - cioè o tassi fissi di
cambio infracomunitari o una oscillazione
entro un margine assai ridotto (quello che
sarà poi chiamato serpente): la consueta
insipienza del governo italiano accettò con
accenti di sprovveduto trionfalismo questo
passo « verso la moneta europea » senza
chiedere, nel rispetto del Trattato e di quell'articolo 2 che prevede una Comunità eu-
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1976
3
1,'Eu.ropa deve fure da sc?
11 momento
euro - americano
Stanley Hoffmann
secondo
sono tramontati i tempi del giovane Fullbrigth e di Acheson, ma anche quelli del discorso di Kennedy alla Paulskirche
di Francoforte - un americano ascoltato come Hoffmann ci richiama alla realtà: l'importante è che gli europei ascoltino gli americani, ma decidano per conto loro, superando la filosofia perniciosa della ragion di Stato.
Cambridge (Massachusetts), novembre I l prof. Stanle!l Hoffmann è unii~ersalmente ricoiiosciuto conie irno dei più qualificati
esperti aniericani di affari europei. I suoi
lr~nghisoggiorni di stlrdio in Francia gli consentono un approccio
'dal di dentro ' che
-.
manca a niolti dei suoi colleghi. I l prof. Hoffmanti è professore di Scienze Politiche alla
Harvartl Universitv e professore associato
del Centro di Affari Ititernazionali della stessa università. Tra le sue numerose opere, la
più celebre è « Gulliver's Troubles » che, già
i1ell'amnziccare del titolo alla satira di Jotiathan Swift, suorla la sveglia alla diplomazia
americaria. Di lui è più coilosciuto nel nostro
puese il disincantato intervento ne « I l caso
italiano V , l'opera collettiva edita da Garzanti. I l prof. Hoffmann non fa parte del business di relazioni università-governo. I l suo
giudizio è perciò di uno studioso svincolato
dalle pastoie della politica spiccia. L'intervista, in esclusiva per K Comuni d'Europa », è
a cura di Lzrigi Troiani.
D. Ciò significa iiz pratica la rinuncia alla
speranza di ottenere l'integrazione politica
attraverso l'integraziorie istituzionale, dopo
che già si è dovuto rinunciare all'ottenimento dell'integrazione politica attraverso quella econonzica.
R. Credo che il Parlamento europeo eletto
a suffragio universale e popolare godrà certamente di un maggior prestigio. La mia
personale opinione è che però tutto ciò inciderà con un debole riflesso sull'ampiezza
delle divisioni esistenti tra gli europei.
D. E ciò dipenderebbe da una precisa volontà degli Stati europei...
R. Credo proprio di sì. Vi è una mancanza di interesse comune all'integrazione negli Stati membri della CEE. Lo Stato resta
il nucleo essenziale, l'obiettivo dei loro interessi. La Comunità mi sembra resti essenzialmente una sistemazione molto interessante per la soluzione dei problemi pratici; ma
la
base dell'interesse degli uomini politici orD. Prof. Hoffniunn, la fase di assestamento istituzionale all'interno dei paesi tnembri dinari verte tuttora sul proprio paese. Con
il tempo non è da escludere un mutamento,
della CEE si è conclusa. Le elezioni nella
ma
non ritengo possa avvenire ora: certaRFT hanno chiuso il ciclo di consultazioni
politiche che qzrest'anno cadevano quasi con- mente qualcosa potrà cambiare, ma non vetelnporaneamente in diversi paesi delllEitro- do elementi per un impatto nell'immediato.
pa dei Nove. Ciò dovrebbe consentire, ove
ve ne fosse la volontà, tcil rilancio della coD. Uno dei maggiori ostacoli all'integraziostruzione europea. Che giudizio dà lei delne
europea viene in genere identificato nella
l'attuale motnento comunitario, soprattutto
rispetto al processo dell'integrazione politi- politica tenuta dagli Stati Uniti verso l'Europa. Cosa pensa lei clell'atteggiatnento staco-istituzionale?
tunitense verso l'integraziolie comunitaria.
R. Non mi sembra vi siano novità rilevan- Ritiene che la prossitna Amministrazione inti rispetto a quanto ho ad esempio scritto vertirà una rotta che, tutto somtnato, nell'ulin « Atlantic Lost ». La mia impressione è timo decennio non le si è mostrata troppo
che non sia al momento in atto un grosso favorevole?
sforzo per portare avanti una nuova fase di
R. Non so quale potrà essere la politica
integrazione. Non credo che la Comunità possa scomparire o subire un collasso, ma non americana verso la Comunità europea nel
vedo un grande progresso al momento. Ciò prossimo futuro: credo che dipenderà intederiva in parte da ragioni interne: le socie- ramente dalle scelte della gente. Non mi rità europee continuano ad essere dominate sulta comunque che negli ultimi anni, sociascuna dalle proprie preoccupazioni, e inol- pratutto dopo la crisi potrolifera del '73, gli
tre sussistono le differenze tra i vari livelli USA abbiano attuato una cattiva politica verso l'Europa. Molte critiche ad esempio si rieconomici degli stati membri. 11 problema
volgono
al nuovo ruolo del Giappone o della
dell'inflazione, ad esempio, si presenta in
modi piuttosto diversificati. Rispetto alle ra- RFT ...
gioni esterne v'è da dire che non sempre
D. Come 'longa manus ' degli Stati Uniti...
si ha accordo sulla politica estera. La mia
insomma non è un'analisi molto ottimistica.
R. Esattamente. Per quello che concerne
i rapporti tra Stati Uniti e RFT, e tra Stati
D. Sì, non è molto incoraggiante. Però di- Uniti e CEE non mi sembra che vi sia stamentica l'avvicinarsi delle elezioni del Parla- to un qualche significativo mutamento. La
mento europeo. Per gli europeisti conviiiti la Germania è sempre stata dal 1949-50 un punoccasione di un Parlawzento europeo eletto a to assolutamente cruciale per la politica
suffragio universale e diretto costituisce il estera americana. D'altro canto però si è acpunto di partenza per una ripresa del proces- curatamente evitato di farne una specie di
so integrutivo. Lei condivide l'idea di chi ve- alleato ovviamente favorito. Ritengo probade nel Parlamento europeo più rappresenta- bile che continui tale politica verso 1'Eurotivo un elemento fondamentale in grado di pa, e mi chiedo perché sarebbe un fatto
mutare gli ingredienti della situazione da lei negativo per la CEE. Comunque non vedo
descritta?
occasioni di grande discontinuità nella politica americana verso l'Europa.
R. No, non credo proprio.
D. Resta però che spesso gli osservatori
hanno interpretato decisioni e atti del governo tedesco occidentale conle espressione
del volere di Washington. Ad esempio per
quanto riguarda la politica adottata dopo la
'rivoluzione' portoghese del '74. verso i socialdemocratici di Mario Soares.
R. Non sono d'accordo. Per un po' gli USA
diressero una politica di elevato coinvolgimento nelle cose portoghesi in funzione anticomunista. Sono sicuro che mai pensarono di utilizzare i socialdemocratici tedeschi
per aiutare i socialisti portoghesi. Non penso che l'iniziativa della SPD sia stata sollecitata da Washington. Sono certo che si sia
avuto un reciproco consenso, ma vi è diversità tra il gradimento e il farsi promotori
di un'iniziativa.
D. A proposito dei comunisti, proprio la
questione comunista sta creando nuovi problenii nei rapporti euro-americani. Quale crede sarà l'atteggiamento statunitense se il PCI
ditlenterà parte formale del governo, elo se
il PCF andrà al potere con il cartello delle
sinistre francesi?
R. Non ne ho proprio idea. Posso cercare
di indovinare: penso che la politica americana non subirà mutamenti essenziali. Ciò
che potrà cambiare, forse, sarà il tono delle sue prese di ~osizione.
SOMMARIO
dicembre 1976
Pag.
11 compromesso europeo, di U.S.
l
I1 momento euro-americano secondo Stanley Hoffmann . . . .
3
Lettere al direttore: Storioni e piccioni . . . . . . . . . . .
4
Aggregazione e disaggregazione nel
Mediterraneo: i rapporti regionali e il contesto internazionale, di
Roberto Aliboni . . . . . . .
5
Cronaca delle Istituzioni europee:
l'attività della CEE da settembre
a novembre, di Pier Virgilio Dastoli. . . . . . . . . . . .
9
Europa e Terzo mondo, di Guido
Montani . . . . . . . . . . l 3
I libri: Le regioni italiane e 1'Europa
. . . . . . . . . . . l4
Lo scambio ineguale (un'intervista
a M. Valeria Agostini) . . . . 15
t
.
COMUNI D'EUROPA
D. Però il problema del peso di questi partiti eventuali forze di governo nelle strutture comunitarie si pone, e di riflesso ciò interessa anche gli USA. Ecco, ritiene che questa presenza di tipo nicovo dei comunisti
cambierebbe molte cose nella CEE?
R. Non so. Ma non credo. Nel caso francese, che conosco meglio, è mia opinione
che i socialisti starebbero molto attenti, se
andassero al governo con i comunisti, a mantenere il controllo della politica estera, a
non consentire un ruolo dei comunisti al
riguardo. E i socialisti avranno necessità di
forti connessioni a livello europeo, come
contrappeso ai comunisti. Così non penso
che l'eventuale presenza nelle istituzioni europee porrà eccessivi problemi alla CEE. Riguardo ai problemi che si possono porre agli
Stati Uniti, credo che qualsiasi governo americano continuerà in effetti a dire di non
approvare, di non poter approvare un accresciuto ruolo dei comunisti, augurandosi
magari che diminuisca. I1 contrario potrà
essere affermato in privato, mai in pubblico.
Qualsiasi governo americano incontrerebbe
considerevoli difficoltà nel presentarsi al
Congresso, poniamo per far approvare una
legge di aiuti all'Italia, se' nel governo vi
fosse la presenza dei comunisti. Anche se
la stessa Amministrazione fosse favorevole
a tale partecipazione.
D. Sembra di capire che I'amministraziotie Carter non farù registrare novità di rilieilo i t ~proposito. Benché il nuovo Presidente, durante la sua campagna, abbia parlato
di itn diverso atteggiamento verso gli Alleati, e di un dii~ersoatteggiame?lto verso il problema comiinista in Ei~ropa occidentale.
R. La campagna elettorale... Carter è appoggiato da uomini, come Brzezinski ad esempio, che hanno criticato eccessivamente
il relativo disinteresse di Kissinger all'Europa fino al '73. Dimenticando che dopo il
'73 Kissinger ha riparato largamente i danni da lui stesso effettuati prima sui rapporti
euro-americani. Di ciò gli uomini di Carter
non hanno tenuto conto - se deliberatamente o meno non s o - soprattutto durante la
campagna.
D. Un'ultima domanda: nel suo saggio inserito nel libro « Il caso italiarlo », a rappresentare l'Italia, nella formula allegorica da
lei adottata, sceglie la volpe, piuttosto inerme, bistrattata e spelacchiata, ma tictto sommato sempre abbastanza soddisfatta. Come
mai quest'accostamento?
R. Avevo bisogno di caratterizzare la storia italiana del dopoguerra attraverso la figura di un animale. La tipologia riguardava
sopratutto la vostra politica estera. Ho derivato l'allegoria dal tipo medio di diplomatico italiano incontrato nelle mie ricerche.
Posso garantine che quanto ho messo in bocca alla volpe nel mio saggio è esattamente
quanto mi son sentito dire nel vostro Ministero degli Affari Esteri. Non ho inventato
niente. Mi rendo conto che vi sono delle
affermazioni per certi versi buffe se non
preoccupanti. Ma si è trattato soltanto di
una trascrizione oggettiva.
dicembre 1976
Lettere al direttore
bile la mia disponibilità a prender per oro
colato le perline del Mott », il quale « avrebbe dovuto conoscere », e io con lui, « la
Interpretazione economica degli Stati 'Uniti
Caro Direttore,
d'America di Charles A. Berard », nonché le
ho letto con gran divertimento la brillan- opere di Gore Vidal e del Bitrr, che con le
tissima recensione di Mario Bastianetto che sue affermazioni « fanno a pugni D.
l o avevo scritto (pag. 1458): « Osservaziohai pubblicato nel numero di ottobre, relativa a un mio studio sull'etrropeisrno educa- ni felici, quelle del Mott, anche se prospeitii70, e in specie universitario: la quale, tra tano un quadro idillico ed eccessivamente
l'altro, prova che il suo autore ha avrtto la ottimistico della situazione nord-americana,
costanza (senza dubbio ammirevole, date le da correggere con qrtanto scritto in propodimensioni sesquipedali di quel mio scritto) sito - come si è ai~rttooccasione di riferire
in precedenza - da Denis de Rongemont
di leggerne u n buon settimo.
Conle Kobacei~ - il personaggio de Le (che dice, in sintesi, quel che dicono Bastiaanime morte, che, a u n ricevimento in cui si netto e gli atttori da lui citati), « nonché con
o f f r e ogni sorta di leccornie, si attacca su- quanto sopra riferito nel capitolo dedicato
bito, ed esclitsivamente, a u n grosso storio- alla contestazione studentesca » ( e cioè da
ne, e lo spolvera da solo, « non degnando di autori che dicono più e peggio, sugli Stati
uno sguardo tutte le altre cianciafrùscole ,) Uniti, di Bastianetto e compagni).
Tu che vuoi da me?, dicono a Napoli (con
- così Bastianetto si attacca solo ai miei
capitoli dedicati all'europeismo sttb-universi- l'accento s~ill'u).
Devo esser messo in croce solo perché tali
tario. E non ha poi grande importanza se,
all'opposto di Kobacev, egli non degna di critiche non sono riferite in quel settimo del
uno sguardo proprio lo storione: voglio dire wiio scritto che Bastianetto ha letto?
tittta la parte tttliversitaria e introduttiva
(ahimè, più di mille pagine) che di quella
2) A proposito della scarsa considerazioda lui considerata doveva, almeno nelle mie ne che ho esternato à longueur de pages, e
intenzioni, esser giustificazione e fonda- che ribadisco, per la pedagogia ertropea »
merito.
- quella, per intendersi, dell'europeisrno che
Per questo - e poiché, come dicevo, Ba- io chiamo N d'appélation contrblée » - Bastianetto riesce ad esser esilarantissimo - stianetto scrive:
darei prova di assai scarso senso dell'hu« Chiti-Batelli non lo dice esplicitamente,
mour, e di minor perspicacia, se entrassi in ma si capisce » ( e io confermo che Bastiapolemica con lui, prendendo sril serio, e netto ha capito bene) « che egli si trova, nei
prendendomela, con le sue caustiche battu- confronti della pedagogia » (sottolineato da
te. Me ne guarderò bene: tanto più che, m e ) , in una posizione analoga di quella in
quando le divergenze sono di fondo, ogni di- cui Don Ferrante si trovava nei confronti
sc~issione è sterile, e il solo atteggiamento del contagio: non essendo né sostanza, né
(t costruttivo »
è quello del Br~inelleschi di accidente, il contagio era rtn'invenzione dei
fronte a Donate110 che voleva fargli troppo medici m.
correggere il Cristo ligneo che stava scolCosì, con lcn abile tour de passe-passe,
pendo:
To' il legno e fallo tic ». Me ne quella clie il Chiti-Batelli, come don Ferguarderò bene, dttnqiie. e m i limiterò a due rante, non sa bene che cosa sia, diventa
piccole « rilesse a punto ».
non la neb~ilosa e inconsistente pedagogia
pseudo-etiropea degli europeisti in pantofole, nla la pedagogia tout court.
l ) A proposito di una mia lunga citazione
Sara, forse, u n po' « malhonn2t », come didi icn atitore americano - il Mott - il quale parla del valore quasi di mito che hanno, cono i francesi; ma è certo molto spiritoso.
o avevano, per la famiglia borghese staruni- Spiritoso e meritato. Giacché anch'io - sitense, i valori della Costituzione e della Co- mile al piccione della barzelletta, che si era
rnunità politica - fatto pressoché sconosciu- ritrovato all'inferno, pttr avendo iiissuto semt0 in Europa - Basticinetto trova inconcepi- pre vita intemerata, perché una volta, una
sola, si era lasciato tentare da una graziosissima colomba, senza sospettare che si trattasse dello Spirito Santo - anch'io, dicevo,
che ptir ho visslrto non meno intemeratamente ( e ho infatti sempre trattato coi
guanti gialli ttitti gli scritti firmati da BastiaNUOVI ENTI TERRITORIALI LOCALI
netto), non ho poi manifestato uguale apprezADERENTI ALL'AICCE
zamento per vari opiiscoli dell'A.E.D.E., sospettando ancor meno di quel piccione che
Abitanti
fossero anch'essi farina del suo sacco.
Comune di:
Ssno peccati clie non si perdonano, e che
meritano
l'inferno.
Atessa (CH) . . . . . .
9.276
Per questo - ma solo per quesro - no?;
3.895
Castronuovo di Sicilia (PA) .
applicherò a « Comuni d'Europa » il proverbio « dagli amici m i guardi Iddio », e ti
Mesagne ( B R ) . . . . .
27.304
ringrazio anzi di aver ospitato la corrosiva
recensiot~edi Bastianetto: « stimolante », coPonte Dell'Olio (PC) . . .
5.011
me si dice oggi, in un'epoca in cui difettario
Settimo Torinese (;O) . .
42.710
gli or,noni.
Cordialmente tiro.
Andrea Chiti-Batelli
Storioni e piccioni
I
I
I
I
1
I
dicembre 1976
COMUNI D'EUROPA
Aggregazione e disaggregazione nel Mediterraneo:
i rapporti regionali e il contesto internazionale
di Roberto Aliboni
direfiore delle rirercl~e
dello / A I
Questo articolo è
tratto d a una relazione presentata alla V
Assemblea generale
del Comitato di coordinanlento fra i porti
del
Mediterraneo
Nord-Occidentale, tenuta a Tolone il 1315 settembre 1976. La
relazione f a parte dei
lavori di ricerca che
l'Istituto a f f a r i internazionali (IAI) di Roma conduce sul Medi.
terraneo nel quadro di un progetto finanziato col contributo della Fondazione Ford.
Perché il Mediterraneo è importante?
Innanzitutto, perché la svolta impressa agli
avvenimenti mondiali dal repentino aumento del prezzo del petrolio ha fra i suoi protagonisti i paesi arabi e l'Iran, cioè dei paesi
che si affacciano direttamente sul Mediterraneo o che si trovano nella zona contigua
del Vicino Oriente.
Nessuno dubita dell'importanza di quella
svolta, ma un miglior rilievo al suo ruolo storico è forse dato da un paragone che Guido
Carli - l'ex governatore della Banca d'Italia - ebbe a tracciare in un suo articolo
dell'anno scorso ( l ) , rifacendosi a una nota
controversia sulla storia del Mediterraneo
animata da Henri Pirenne. Nell'VIII secolo,
a seguito della conquista da parte degli arabo-mussulmani del Mediterraneo meridionale, solo la loro marineria era in grado di
dominare il mare ed esportare tessuti e spezie verso l'Europa. Quest'ultima non aveva
da dare in cambio che oro. La base monetaria europcea si accumulò, pertanto, presso
i governi arabi, analogamente a quanto accade oggi con le attuali monete di riserva,
ma senza che vi fosse alcuna possibilità
di riciclaggio. La deflazione conseguita dovette essere uno dei fattori più importanti
della grande depressione che subì I'economia europea di quei tempi. Da quella depressione si uscì, molto lentamente, anche
grazie all'ancoraggio dell'economia europea
all'argento, stabilito da Carlo Magno.
Questo richiamo fa pensare che, se uno
degli edifici che ospitano la Commissione
della Comunità a Bruxelles s'intitola proprio
a Carlo Magno, potrebbe trattarsi di un riferimento non puramente retorico. Qualcuno
forse ha pensato che valeva la pena ricordare quell'imperatore perché aveva risolto
all'epoca sua, per compiere la sua opera di
costruzione europea, uno dei problemi oggi
più scottanti per chi si è posto lo stesso
programma: il problema di una moneta europea:.
Queste considerazioni introducono un secondo motivo dell'importanza del Mediterraneo, e cioè il travaglio della costruzione
europea.
( I ) G . CARI.I, O p p o r ~ u n i f à e limiri del rirolo degli
mondiale, n Banca
Sfafi
nel sisrema
rian (Ronia), gennaio 1975. pp. 7-14.
Diversamente dal petrolio, siamo qui di
fronte a una mera possibilità di svolta storica, un'aspirazione sul cui successo è certo
difficile fare previsioni. Tuttavia, il processo
di unificazione europea, per quanto debole e
travagliato, sprigiona dinamiche politiche
ed economiche che non si debbono sottovalutare. Questo processo garantisce alle economie mediterranee ed africane un mercato
impor.tante, e spesso più liberale di altri
mercati industrializzati. Inoltre, con la convenzione di Lomé, e in particolare con lo
Stabex - il meccanismo di stabilizzazione
dei proventi delle esportazioni di prodotti
di base dei partners meno sviluppati della
convenzione -, nonché con l'approccio cosidetto « globale » della politica mediterranea, la Comunità europea ha dato prova di
un'immaginazione e di una lungimiranza
politica che senza dubbio la distinguono positivamente nel contesto dei rapporti nordsud, anche se non la esentano da critiche.
Aver parlato delllEuropa ci suggerisce un
terzo elemento di importanza del Mediterraneo, e cioè il movimento di rinnovamento
politico che percorre l'Europa del Sud, dopo
la caduta del regime tirannico della Grecia
e di quello reazionario del Portogallo. In questo clima la successione al generale Franco
in Spagna è dovuta avvenire nel contesto
di mutamenti che potrebbero presto -riconsegnare questo paese alla democrazia europea. Questo movimento, infine, potrebbe
rafforzare le attuali opposizioni di sinistra
in Francia e in Italia, portando a mutamenti clamorosi nel governo di questi due
paesi.
Questo rinnovamento politico si accompagna a pressanti richieste di adesione alla
Comunità Europea. La facciata mediterranea delllEuropa sta ponendo quindi a quest'ultima il grave problema di essere più
grande e di trovare così una soluzione alle
maggiori disparità economiche che questo
allargamento comporterebbe. E' una sfida
più grave di quanto a prima vista sembrerebbe.
I fattori d'importanza che abbiamo finora
ricordato si uniscono al persistere del conflitto del Medio Oriente. 11 conflitto medioorientale riguarda l'area con le maggiori
riserve di petrolio nel mondo e per questo
ed altri motivi vi si registra la compresenza più massiccia e delicata delle superpotenze.
Quest'ultimo punto merita di essere sottolineato. Le due superpotenze sono in conflitto su tutti gli scacchieri del mondo, m a
nel Mediterraneo esse realizzano una forte
presenza tattica - oltre che strategica -,
cioè sono fisicamente a contatto e debbono
quindi gestire un equilibrio assai più difficile e precario di quello strategico o di quello che riguarda altre zone nella quale la loro presenza è più o meno mediata da altri
protagonisti. Solo l'Europa centrale conosce
un dispiegamento tattico delle forze come
quello del Mediterraneo. Ma l'Europa centrale, in quanto epicentro, anche storico, del
conflitto est-ovest, è anche il luogo privile-
5
giato della distensione e della deterrenza,
le quali rendono il conflitto diplomaticamente gestibile. Nulla di questo nel Mediterraneo, dove i conflitti possono anche presentarsi in superficie secondo il modello estovest, ma dove hanno invece una radice
autonoma ben salda. Questa scarsa propensione dei conflitti mediterranei a d essere
gestiti con gli strumenti tradizionali della
distensione, insieme al contatto fisico delle
flotte, rendono assai più probabile che altrove l'incidente e il rischio di conflitto.
Occorre anche considerare che ad una forte presenza tattica è sempre associata una
considerevole presenza politica. Ciò è perfettamente visibile nelllEuropa centrale. Ma qui
l'interferenza politica è gestita in un quadro multilaterale - come la Nato e il Patto
di Varsavia - e questo quadro consente una
maggior autonomia ai partners più deboli.
Nel Mediterraneo questo quadro multilaterale manca, e sono assai più intensi i rapporti bilaterali fra ciascun paese dell'area e
le grandi potenze. Ora, non c'è dubbio che,
attraverso i rapporti bilaterali, l'intrusione
delle superpotenze è assai più profonda e
subordinante.
Ecco allora che abbiamo elencato quattro
motivi che sottolineano l'importanza del Mediterraneo. Ce ne sono molti altri, m a questi quattro appaiono i più decisivi: il petrolio e gli effetti economici e finanziari che
esso genera, particolarmente per l'Europa;
l'edificazione europea coi suoi riflessi mediterranei e subsahariani: il risveglio politico
delilEuropa del Sud; il conflitto del Medio
Oriente e la sua interazione con una presenza delle superpotenze particolarmente attiva e penetrante.
Ora, i fattori che abbiamo enumerato esercitano una forza d'aggregazione o disgrega.
zione nel Mediterraneo? Che rapporto c'è
fra l'equilibrio regionale e quello globale?
C'è solo conflitto o anche cooperazione?
Per rispondere a queste domande è necessario partire da qualche considerazione più
generale sull'assetto globale delle relazioni
internazionali.
L'equilibrio globale resta bipolare, anche
se, com'è noto, è in via di proliferazione il
possesso dell'arma atomica: un processo che
porrà nel prossimo futuro gravissimi problemi. Tuttavia, per un arco di tempo ancora ragionevolmente lungo, le potenzialità
dei nascenti arsenali nucleari non avranno
la stessa rilevanza strategica di quello delle
superpotenze.
In questo mondo che resta bipolare occorre sottolineare che le spinte alla cooperazione e all'integrazione fra i due blocchi non
hanno assunto una rilevanza apprezzabile.
I1 processo di distensione sta indubbiamente subendo delle pause. D'altra parte, il
significato pratico della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione europea, conclusasi solennemente a Helsinki l'anno scorso,
non è andato al di là della sanzione delle
frontiere europee uscite dalla seconda guerra mondiale.
Perciò, più che occuparsi dell'assetto bipolare che, sia pure con queste sue debolezze, si può dare per scontato, e più che
occuparsi di scenari multipolari globali cioè di situazioni in cui i poli dotati di sufficienti attributi militari e politici si accrescono -, vale la pena di volgere la nostra
attenzione alllOccidente, avendo dell'occidente una visione forse per alcuni aspetti indebitamente allargata, cioè comprensiva della
COMUNI D'EUROPA
.-.--.-.---A
coordinata nord-sud. Quale assetto ha questo Occidente allargato: unipolare o multipolare? Gerarchizzato o paritario? Quale è
la sua difesa? Quale la sua divisione del lavoro?
Evidentemente non intendiamo rispondere dettagliatamente a queste domande, ma
solo fare delle riflessioni generali. La prima di queste riflessioni è che l'assetto dell'occidente è senza dubbio unipolare: gli
Stati Uniti occupano il vertice di una struttura sulla cui forma si può discutere ma
che è senza dubbio gerarchizzata, sia dal punto di vista militarc. sia da quello economico.
E' utile soffermarsi un attimo sull'evoluzione di questa unipolarità. L'egemonia degli Stati Uniti è oggi diversa da quella degli
anni cinquanta e degli anni sessanta.
Negli anni sessanta abbiamo assistito a
sviluppi politici ed economici che tendevano a conferire ai rapporti iriternazionali un
indiriz7.o più equilibrato, cioè a far evolvere
I'unipolarismo degli Stati Uniti: il successo
della Comunità europea, che negli anni sessanta indubbiamente conobbe un vertice, e
i l grande tentativo di fondare una difesa
atlantica realmente comune, cioè corredata
di forme di partecipazione europea alla gestione e al controllo dell'arma nucleare. Questi disegni sono entrambi falliti: per la difesa non si è fatto nulla c la Comunità è
quasi in declino.
Il risultato ì: che I'unipolarità degli Stati
Uniti, in alcun modo temperata, è evoluta
da forme imperiali - cioè da relazioni contrattuali e partecipanti - a forme nettamente imperialistiche. Inoltre l'Europa ha perso
gran parte del privilegio che la legava agli
Stati Uniti. Restano fra Europa e Stati Uniti
legami grandissimi, soprattutto culturali, ma
dal Terzo Mondo sono indubbiamente erriersi nuovi potenti ai quali gli Stati Uniti sono
per forza di cose altrettanto interessati.
Se ritenessimo interamente negativo questo sviluppo, peccheremmo di eurocentrismo. In effetti, negli anni sessanta. era positivo il tentativo di riequilibrare i rapporti
atlantici, ma mancava una reale considerazione dei rapporti coi paesi emergenti. L'assetto attuale, sia purc in modi assai discuiibili, tiene conto dell'emergenza di nuovi
paesi.
Nel momento in cui ci si pone ancora una
volta il problema di uscire dall'unipolarismo
imperialista evolvendo verso un assetto multipolare dell'Occidente il fatto che in qualche modo il sistema internazionale abbia preso atto dell'emergere di nuovi paesi, cioè di
nuovi poli, è ovviamente assai importante.
Siamo qui a un punto cruciale. Abbiamo
sempre di fronte a noi lo stesso problema,
quello di far evolvere l'occidente verso relazioni internazionali multipolari - oggi negli
anni settanta, come ieri negli anni sessanta. E però c'è una difl'erenza di fondo. Ieri,
la nostra immagine intellettuale del multipolarismo era limitata al solo mondo atlantico - e forse era limitata anche nei fatti.
Oggi, questa stessa immagine, confortata dei
fatti, si è allargata ai paesi del Terzo Mondo. Non possiamo più pensare a un polo
europeo, accanto a quello americano.' Dobbiamo pensare anche ad altri poli, agli arabi,
agli iraniani, ai latino-americani.
Quest'ultima considerazione ci introduce
direttamente nella tematica multipoiare. Abbiamo detto che il mondo occidentale è oggi unipolare e abbiamo fatto alcune con-
dicembre 1976
p
siderazioni sulle caratteristiche di questa
unipolarità. Dobbiamo ora discutere lo scenario multipolare. il quale non costituisce
- come quello unipolare - la realtà sotto
i nostri occhi, bensì un progetto, un auspicio.
Come viene formulato lo scenario multipolare, in linea generale? Limitandoci all'Occidente allargato, si prevede la costituzione
di tre grandi blocchi, fatti ciascuno di un
nord industrializzato e di un sud meno
sviluppato: gli Stati Uniti e il Canada con
l'America Latina; il Giappone e l'Australia
con il Sud-est delllAsia; l'Europa col Mediterraneo in senso lato - - cioè fino all'Iran - e l'Africa subsahariana. All'interno
di questi blocchi, avverrebbero mutamenti
significativi nella divisione del lavoro, grazie a forme di protezione economica, finanziaria c commerciale nei confronti degli altri blocchi.
Ora, chi guardi con un minimo di attenzione questo scenario, non può non scorgervi, sotto nuove denominazioni, un assetto
ben noto, quello degli imperi coloniali e della ricerca degli spazi vitali.
Durante il periodo fra le due guerre ha scritto Sidney Dell in un noto volume (2)
- il mercato mondiale cra diviso in una serie di compartimenti, sicché gli scambi erano confinati all'interno di aree che fossero
quanto pii1 possibile autosufficienti. Ognuno
di questi segmenti dell'economia mondiale
- l'Inghilterra e il Commonwealth, i l Belgio, la Francia, l'Italia, l'Olanda e i rispettivi territori coloniali, la Germania e 1'Europa orientale e meridionale, il Giappone e
la sua « sfera di co-prosperità * - aveva come proprio nucleo centrale una grande e
avanzata industria manifatturiera che necessitava tanto del rifornimento delle materie prime tratte dalle aree dipendenti quanto dei mercati che queste ultime potevano
provvedere n.
Così formulato. lo scenario multipolare
va quanto meno preso con cautela, se non
proprio respinto. Ciò, per motivi diversi.
Perché quello scenario è stato uno dei fattori della seconda guerra mondiale e, quindi, dobbiamo presumere che esso contiene
fortissime dosi di conflittualità. Inoltre, la
disgregazione di quello scenario, avvenuta
con la guerra, non ha solo seppellito per
sempre gli imperi coloniali, ma ha anche la
possibilità di legami privilegiati e unilaterali
fra paesi industrializzati e non industrializzati. Questo tipo di legame è esattamente
quello che t: oggi contestato nei rapporti
globali nord-sud: è impensabile che esso
venga invece accettato e reso organico in
un contesto regionale. Perché dovrebbe?
Diciamo, allora, che lo scenario multipolare, che vogliamo sostituire a quello unipolare in cui oggi viviamo, ha una prima caratteristica: esso non deve prevedere poli
dualistici, al cui interno, cioè, si ritrovi su
scala regionale quel tipo di rapporto che
viene rifiutato su scala globale. Potremo, così, immaginare un polo europeo e un polo
africano - per fare degli esempi - ma non
un polo eurafricano, e via dicendo.
In secondo luogo, lo scenario multipolare
che ci sembra auspicabile dovrebbe avere
un'altra caratteristica importante. e cioè non
dovrebbe essere formato da blocchi chiusi
fra di loro, perchk questa ì: una situazione
( 2 ) T r u < l e Alot.\. irtirl Curntnoti bfurkrr,\, Londori, Con1963, p . 259.
rtable.
di conflitto che rende lo scenario non solo
instabile, ma anche inaccettabile. Lo sienario dovrebbe prevedere invece delle forme
ben salde di integrazione e cooperazione fra
i poli. Questa dovrebbe essere la sua caratteristica fondamentale.
Non ci si deve però nascondere che si annida proprio qui una grande difficoltà. In
efl'etti, come la logica della disintegrazione
a livello mondiale L' quella pertinente allo
scenario multipolare che abbiamo respinto,
così la logica dell'integrazione mondiale è
pertinente allo scenario unipolare. E' dunque possibile costruire uno scenario multipolare che sia fondato sulla logica dell'integrazione, posto che apparentemente è questa
una logica che appartiene allo scenario opposto? La domanda può essere formulata
meglio: è concepibile uno scenario multipolare fondato su un processo d'integrazione
dell'economia internazionale diverso da quello operante oggigiorno nello scenario unipolare?
L'integrazione capitalista dello scenario
unipolare ha delle caratteristiche che bisogna
richiamare. Questa integrazione ha conosciuto più l'approfondimento del la base capitalistica nelle regioni già industrializzate che
non un suo allargamento ai paesi meno
sviluppati. In altri termini gli investimenti
esteri, in particolare quelli delle imprese
multinazionali, si sono in maggior parte
diretti verso l'Europa e il Giappone. La parte andata ai paesi meno sviluppati è assai
minore in termini relativi. Dal punto di
vista tecnologico, mentre sono state decentrate in Europa e Giappone prevalentemerite le produzioni arrivate al secondo stadio
del ciclo descritto da Raymond Vernon, cioè
quelle ancora abbastanza nuove (trasferite
per affrontare o prevenire la concorrenza
sui mercati esteri), invece sono state prevalentemente decentrate verso i paesi meno
sviluppati le produzioni del terzo stadio,
cioè quelle con tecnologia molto standardizzata o con un ciclo produttivo molto frazionato.
Passare dall'approfondimento all'allargamento della base capitalistica potrebbe costituire proprio quell'integrazione diversa che
dovrebbe caratterizzare il nostro scenario
multipolare. Si tratta di un processo tlitficile, che richiede una ferma volontà politica per essere portato a termine. Per ora
dobbiamo registrare solo insuccessi.
Quando è scoppiata la crisi petrolifera, i11
effetti, è stato proposto di riciclare I'eccedente finanziario dei paesi esportatori di
petrolio verso i paesi privi di risorse specifiche o pregiate, per metterli in grado di
acquistare i beni strumentali necessari allo
sviluppo e/o di acquisire gli investimenti diretti e le tecnologie utili allo stesso scopo. Esisteva già da numerosi anni inoltre
uno schema per realizzare questa operazione con apposite emissioni di liquidità internazionale. Nulla è stato fatto, anche se gli
studi compiuti e i negoziati in corso hanno
dato indicazioni precise circa i settori da
decentrare, i relativi finanziamenti, I'assistenza tecnica necessaria, i modi per trasferire la tecnologia. bna ricerca condotta,
mediante un'inchiesta in Europa, dall'Istituto Afl'ari Internazionali (3) ha accertato una
grande cautela da parte delle multinazionali
dicembre 1976
ad investire nei paesi del Mediterraneo meridionale, se non addirittura un vero e proprio disinteresse.
Queste difficoltà vanno sottolineate, perché le analisi in qualche modo ispirate alle
dottrine dell'imperialismo, con quel tanto
di determinismo che le caratterizza, danno
invece per scontato che il capitalismo sia
già pronto a decentrare settori e tecnologie
standardizzate e a imporre una divisione
internazionale del lavoro nuova ma ugualmente subordinante.
Non esistono grandi evidenze di questa
strategia: l'allargamento della base capitalistica mondiale non sembra vicino. In ogni
caso, le analisi in questione ne respingono
l'eventualità per diversi motivi. Soprattutto,
perché gli investiment i esteri sono compiuti in settori a tecnologie standardizzate e
da imprese multinazionali. Queste integrano
il paese ospite nel capitalismo mondiale in
via del t - ~ t t osubordinata e lo rendono quindi impotente e alienato.
Questi argomenti sono in gran parte validi. Tuttavia essi generano atteggiamenti e
proposte che non sembrano altrettanto validi. Vediamo quali.
Taluni scenari multipolari o regionali, come per esempio gli scenari mediterranei,
suggeriscono che la divisione del lavoro, una
volta elimiiiati gli Stati Uniti dalla scena.
sarebbe più equa. Questa è un'illazione senza fondamento. Alle multinazionali arnericane si sostituirebbero quelle giapponesi ed
europee, mentre nulla della situazione sociale e sindacale delllEuropa e del Giappone
fa pensare a decentran~entidiversi da quelli
cui si pensa correntemente, c che - sottolineamolo ancora - neppure trovano cospicue attuazioni.
I1 problema, in effetti, t: più grosso e riguarda la contraddizione in cui si dibatte
tutto l'occidente di fronte a processi economici e finanziari che sono ormai in gran
numero transnazionali e che vengono affrontati con risposte nazionali e magari anche
nazionaliste. Le imprese multinazionali sono Fra questi processi e noi pensiamo che
l'integrazione diversa del nostro scenario
multipolare dovrebbe prevedere fra le sue
procedure di cooperazione un controllo comune almeno sulle imprese multinazionali.
Certamente è difficile, però si può fare. Le
multinazionali hanno programmato la produzione mondiale solo perché non lo hanno
fatto i governi. Occorre avere istituzioni
transnazionali per fare il lavoro che oggi
fanno le imprese multinazionali.
I paesi che lamentano l'intrusione delle
multinazionali, e l'applicazione di una divisione internazionale del lavoro egemonizzata da quelle imprese, hanno dunque ragione. La questione però non si risolve rifiutando l'ingresso alle multinazionali, le qual i spesso sono le uniche detentrici della
tecnologia, bensì cercando di praticare un
controllo nazionale chiaro - come del resto
già fanno molti paesi - e soprattutto una
cooperazione internazionale appropriata. Altrimenti si ricade in scenari di forte conflitto.
Per concludere sullo scenario multipolare,
un'ultima riflessione. Abbiamo detto che questo scenario dovrebbe fondarsi sull'allargamento della base capitalistica .e sull'instaurazione di procedure dirette ad avvicinare
le istituzioni nazionali ai processi transnazionali. Abbiamo sostenuto uno scenario
multipolare fondato sull'inteprazione e la
7
COMUNI D'EUROPA
---
cooperazione. Dobbiamo dire che il pcith di
questo scenario non va certo esente d a conflitti. In effetti, anche se lo scenario non
prevede l'emergere di poli CC l'un contro I'altro armati », nondimeno prevede I'emergere di poli, e questo fatto urta con gli interessi precostituiti. Il path del nostro scenario implica una maggiore partecipazione al
potere dei nuovi poli e pertanto la fine del
potere assoluto degli Stati Uniti. Quindi implica dei conflitti e delle resistenze.
Ora, su questo punto occorre dire che la
iniziativa spetta ai nuovi poli. Addossare agli
Stati Uniti la colpa delle divisioni fra europei fa troppo onore agli Stati Uniti e toglie
troppe responsabilità dalle spalle degli europei, o degli arabi. Quando alla fine del 1973
gli europei si sono trovati di fronte all'aumento del prezzo del greggio, ogni paese ha
dato una sua risposta, ma nessuno ha seriamente pensato a imboccare la strada di
una politica energetica comunitaria. In quel-
Nettuno prenziutn con la bantlieru ti' onore
COMUNE 01 NETTUNO
Comune di Nettuno
PROUIWCII D I R O l l I
-
Cittadini,
la Commissione per l'assetto del territorio e dei poteri locali, operante a
Strasburgo. in seno all'Assemblea del
Consiglio d'Europa, ha assegnato a
N E T T U N O la "BANDIERA D'ONORE
del CONSIGLIO EUROPEO".
Tale ambito riconoscimento, attribuito
alle Comunità locali che si distinguono
per le attività tese a sviluppare l'ideale
europeistico, premia l'azione, oggi rafforzata dal gemellaggio con la Città di
Traunreut, che il Comune di Nettuno, a
nome della cittadinanza, ha svolto e continua a svolgere nell'ambito del Consiglio
Nazionale dei Comuni d'Eurooa.
La consegna della "Bandiera", da
parte del Sen. PIKET, Vice Presidente
della predetta Assemblea. avverrà domenica 5 dicembre p.v., alle ore 16,30.
Nella circostanza, questa Amministrazione,convinta della notevole rilevanza sociale della istituzione della "Federazione
Europea" intende riafiermare ogni impegno e assicurare il proprio sforzo maggiore nele sedi competenti, perchè si giunga rapidamente alla ratifica della convenzione europea e alla sollecita approvazione della legge che permetta alle popolazioni di designare direitamente, nella
prossima primavera del 1978. i propri
rappresentanti al Parlamento Europeo.
L a Commissione p e r l'assetto del territorio e dei poter1
locali, operante a S t r a s b u r g o , i n seno all'Issemblea del
~
dlEuropa,
~
ha
~ assegnato
~ a mettuno
~ la ~
l
BIINDIERII D'ONORE DEL
CONSIGLIO EUROPEO
Tale a m b i t o riconoscimento, a t t r i b u i t o alle Comunlth
locali che s i distinguono p e r l e a t t i v i t a tese a sviluppare
I'lderle europeistico, p r e m i a l ' a z i o n e , oggi r a f f o r z a t a dal
aemellaaalo
con l a Citta d i Traunreut. che il Comune d l Net-tuno, a nome della cittadinanza, ha svolto e continua a evolg e r e nell'amblto del Consiglio Nazionale dei Comuni d'Europa.
L a consegna della "Bandiera,,, da parte del Sen. PIUET,
Ulce Presidente della predetta Issemblea, avverr6 domenica
5 dicembre p.v., alle o r e 18,30.
Mellr clrcoetanza, questa Immlnlctrazlone, convlnta della
notevole rllevanza coclale della Istltudone della "Federadone
Europea,, Intende rlaffermare ognl Impegno e assicurare Il
p m p r l o sforzo magalore nelle sedl c o m p e t e n t i , perchè sl
mlunga rapidamente alla ratlflca della wnvenzione europea
e alla solleclia appmvazlone della lemme che permetta alle
popolazlonl d l declgnare direttamente, nella pmsslma prlmavera del 1878,l p r o p r i rappresentanti a l Parlamento Europeo.
N.lluno.
Nettuno. li 2 dicernbm 1976
li 2 dicembrm I976
IL YNOACO
IL S I N D A C O
IPinlonr>Simeonil
L A ~ ~ ~ K F W ~ ~ I I T A M N ~
Iitosia S
LA
R CÌTTADINANZA
E
E' MVTTATA AD
A 1
m
-
I1 5 rlicenihre 2 stata consegnata al Coniitne d i Nettilno lu Bandiera d'onore del Consiglio d'Eirropa nel corso d i icnri grande nianifestuziotie svoltasi nella sala consilicire del
Contune.
Nelle foto: (in alto) i mattifesti futti affiggere d a l l ' A ~ ? ~ t n i ~ ~ i s t r a z civica;
ione
( s o t t o ) il
Borgoi~ia.stro (li Traunreut, Frawz Haberlunder, premia uti preside della cittadina laziale
uninlatore della Giornatu europea delle Sct4ole; al tavolo della presidenza (da sinistra) l'assessore regionale del Luzio, Panizzi, m e m b r o dell'Esecutivo dell'AICCE, il senatore Piket,
in ruppresentat~zudel Cotisiglio d'Europa, il Borgomastro d i Traunreut ( c o m u n e gemellato
con Nettiino), il .vindaco d i Nettiit~o,S i n ~ e o n i .r il consigliere regionale del Lazio, Lazzaro.
l
~
dicembre 1976
COMUNI D'EUROPA
le condizioni non c'era altra soluzione che
quella di fare come volevano gli americani.
La crisi della costruzione europea è il
punto più debole di questo scenario. Purtroppo però, se non si supera questa debolezza, non si scorgono alternative probabili
all'attuale scenario unipolare. Gli scenari
multipolari diversi dallo scenario multipolare fondato sull'integra~ione e la cooperazione che qui abbiamo sostenuto, appaiono
non solo poco accettabili ma anche più
conflittuali e insolubili.
Ci siamo chiesti, all'inizio, quale rapporto
vi fosse fra l'equilibrio regionale mediterraneo e l'equilibrio globale, se vi fossero fattori prevalentemente aggreganti o disag-greganti, se vi fosse conflitto o cooperazione.
Le considerazioni sin qui svolte, ci hanno
già permesso di fornire, più o meno esplicitamente, qualche risposta. In ogni caso, chiarite le premesse, possiamo ora procedere
più speditamente. Vorrei illustrare tre punti.
I1 primo è che il Mediterraneo non è un
polo, bensì un'area in cui stanno emergend o più poli. I due grandi poli emergenti sono la Comunità europea e il mondo arabo.
Questi due poli sono collegati indubbiamente da fitte relai.ioni, ma questo non
significa che siano operanti anche fattori di
aggregazione. Paradossalmente, si può dire
che l'unico fattore di aggregazione sia costituito dalla presenza delle due superpotenze.
Una rappresentazioiie più incisiva di tanti
discorsi di questa aggregazione operata dalle superpotenze è forse data dall'episodio dell'allarme atomico che vi fu durante l'ultima
guerra arabo-israeliana. In quel momento tutto il Mediterraneo era sicuramente coinvolto.
Neppure si può dire che le imprese multinazionali abbiano dato una struttura unitaria al Mediterraneo. Infatti, queste quando
investono nei paesi della riva sud sono nella
stragrande maggioranza compagnie petrolifere e quando invece investono nei paesi
della riva nord sono imprese manifatturiere o di servizi.
Nemmeno la Comunità europea, che pure
ha svolto un'opera molto interessante, ha
fornito un quadro di riferimento aggregante. In effetti i suoi legami sono bilaterali,
cioè con ogni singolo paese arabo, e malgrado ogni s f o r ~ ocostituiscono una politica
globaie solo dal punto di vista di Bruxelles.
Questo non per fare critiche ingenerose alla
Comunità, ma perchti la situazione è oggettivamente difficile.
Dunque, non esistono spinte aggregative
di rilievo. Invece, vi sono importanti fattori
di disaggregazione.
Uno di questi è costituito dal movimento
di adesione alla Comunità da parte dei paesi delllEuropa meridionale: dalla Turchia al
Portogallo, dalla Grecia alla Spagna, da Cipro a Malta. Questo movimento, che come
abbiamo detto pone gravi problemi alla Comunità, può avere due esiti. Può indebolire
la Comunità o comunque perdersi in una autonoma disgregazione della Comunità, oppure può rafforzare la Comunità. Nel primo
caso questi paesi resterebbero nell'orbita
germanica ed è questa un'ipotesi che qui non
ci interessa. Nel secondo caso creerebbero
un movimento centripeto verso l'Europa e
una demarcazione più netta verso la riva
sud del Mediterraneo come pure verso altre
zone esterne.
Questo è un fattore di rilievo. Ma soprattutto rilevante è che la stessa emergenza
del mondo arabo tende a porsi in termini
divisivi rispetto al Mediterraneo. Innanzitutto la ricchezza finanziaria derivata dal petrolio continua ad avere negli Stati Uniti
il suo luogo preferito di investimento. Ma
anche se si pensa a una diversificazione di
questo rapporto degli arabi con gli Usa, si
scorge una volontà e una convenienza degli
arabi a sviluppare piuttosto il loro stesso
mercato. Già si vedono i tentativi di creare
mercati finanziari arabi, mentre sicuramente seguiranno importanti sviluppi integrativi
nei paesi arabi. Inoltre il mondo arabo ha
acquisito, nello stesso corso della recente
vicenda petrolifera, la consapevolezza della
importanza dei suoi rapporti con l'Africa e
con il subcontinente asiatico. Se queste due
aree si svilupperanno, aumenterà il consumo del petrolio arabo e si diversificherà la
clientela dei produttori. E poiché il consumo di petrolio dipende dal grado di sviluppo industriale e agricolo, ecco che nasce la
grande impresa di investire nello sviluppo
di questi paesi l'eccedenza finanziaria petrolifera per vendere poi loro più petrolio e per
accrescere I'interscambio industriale e/o
agricolo a termine (4).
Nel momento in cui emerge, il mondo arabo si percepisce in realtà al centro di una
rete di rapporti internazionali che è assai
più vasta di quella che eredita dalla tradizione coloniale e su cui in definitiva sono
solo gli europei a credere ancora. Anche questo dunque è urlo sviluppo disaggregativo
importante, che occorre tenere nel massimo conto.
Disaggregazione, tuttavia, non significa disgregazione, non implica conflitti, non esclude la cooperazione. Al contrario, se la disaggregazione porta a una maggiore chiarezza
di rapporti, essa può costituire la base per
una migliore cooperazione. Ora, non c'è dubbio che fra il polo europeo e quello arabo
esistono eccellenti possibilità di cooperazione. Questo è il secondo punto che intendiamo richiamare.
Gli Stati Uniti esercitano un'influenza crescente sul mondo arabo, non solo sul piano
finanziai-io ma anche su quello politico. Basta pensare ai mutamenti in Siria. Nondimeno l'Europa resta per gli arabi un partner importante perché - a parte altri fattori come le migrazioni e il turismo - essa
è un cliente di primo piano per gli acquisti
di petrolio e possiede tecnologie spesso più
adatte di quelle americane (come nel settore agricolo). D'altra parte, gli europei oltre
ad essere fortissimi acquirenti di petrolio,
trovano nei paesi arabi fattori indispensabili al loro stesso interesse.
Il commissario Claude Cheysson e Chedly
Ayari, ora presidente della Banca araba per
lo sviluppo delllAfrica, li hanno enumerati
spesso: materie prime, spazio, manodopera (5). Sono fattori che gli europei non
hanno e che uniti ad altre complementarietà
potenziali costituiscono senza dubbio la base
di una fruttuosa cooperazione. E' questo lo
orizzonte del dialogo euro-arabo.
Occorre però dire, sempre con Cheysson,
che c'è innanzitutto nel dialogo euro-arabo
un'ispirazione politica. Questa ispirazione politica è meno forte negli europei che negli
arabi e fra gli stessi arabi esistono diversità di atteggiamento considerevoli. Tuttavia,
sarebbe vano puntare sul dialogo euro-arabo se si rifiutassero le sue implicazioni politiche. Queste implicazioni si esprimono ora
nel problema del riconoscimento delllOlp,
ma nel lungo andare consistono nell'attuazione del mondo multipolare di cui abbiamo
parlato a lungo in precedenza. I1 dialogo
euro-arabo sottintende due sbocchi: l'unità
europea e quella araba, senza di che esso
resterebbe utile ma poco significativo. I1
fatto che esso prosegua è di buon segno,
perché significa che le due parti continueranno ad essere sottoposte, quasi costrette,
a questo stimolo unitario.
Infine, il terzo punto riguarda l'emergere
dei poli microregionali: la Germania, l'Iran,
1'Arabia Saudita.
La Germania è al centro di una zona che
comprende il Mediterraneo, nella quale operano di fatto forti elementi di integrazione.
Un economista italiano, Marcello De Cecco,
ha parlato di « vocazione germanica del Mediterraneo (6) e ha messo in evidenza come la Germania, esercitando una domanda
di merci, turismo e lavoratori mediterranei,
abbia permesso alle economie mediterranee
di venire in possesso di marchi, che poi queste ultime, anche grazie a una solida politica
di penetrazione commerciale bilaterale, rimettono alla Germania per acquistare soprattutto beni strumentali. Se a questo si
aggiunge che la Germania dovrà decidersi
presto a compiere investimenti diretti all'estero, anche per risolvere i problemi di
decentramento tecnologico che la sua economia impone, il cerchio si arricchisce e si
stringe. E' soprattutto l'Europa meridionale che e investita da queste prospettive.
L'Iran e I'Arabia Saudita hanno la stessa
funzione, pur se complicata da importanti
rivalità. Con i prestiti, gli aiuti e gli investimenti e - a differenza della Germania anche con le armi, questi due paesi stanno
emergendo come poli importanti nell'area
del Vicino Oriente e dell'oceano Indiano.
Questi sviluppi non sono positivi. I poli
di cui parliamo non hanno una loro indipendenza. Sono anelli nella catena che regge lo scenario unipolare.
I paesi che hanno rapporti con questi
poli intermedi hanno un solo modo per evitare l'effetto di subordinazione che ciò comporta: accelerare i rispettivi processi d'integrazione, l'Europa, il mondo arabo. Perché
in un contesto integrato essi hanno maggiori possibilità di autonomia e controllo.
Se ora consideriamo nel loro assieme i
punti che abbiamo sviluppato, scopriamo
che ci suggeriscono una stessa risposta. Gli
aspetti politici ed economici della cooperazione, le sequenze attivate dall'Europa del
Sud con il risveglio iniziato a Lisbona e quella attivata nel mondo arabo con l'ultima
guerra arabo-israeliana, il significato negativo dell'emergere di poli intermedi nella regione, suggeriscono agli europei di accelerare
il processo della loro unità e agli arabi di
fare altrettanto. Questa appare in definitiva
la premessa sia per migliori relazioni mediterranee, sia per un più equilibrato assetto
dell'occidente. Noi non possiamo essere certi
che sarà così, però possiamo lavorare insieme in questa direzione.
))
(4) Si vcda in proposito l'intervista al Prol. Issam
El-Zaim, siil dialogo curo-arabo sii
El Moudjahid ,,.
3 giugno 1975.
(6)Sirlla i~ocaziotle rnediferrailea [lell'econornia iralia(5) Si vedano i loro interventi nel voliime dell'lai o
cura di A . ZWI, E ~ i r o p a - M e t i i t e l - l - a ~ i eqrralr
< ~ : r u o j ~ e r a : i < ~ tra: ririli riora. a Prospettive Settanla *, aprile-giugno 1975,
pp. 5-9.
~ i e , Il Mulino, Bologna. 1975.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1976
9
pp.p--
Cronaca delle Istituzioni europee
I1 successo del programma dipendc in.
fine. per la Coinmissionc, da misui-c concrete concernenti altri aspetti della polidi Pier
tica economica e sociale. A tale proposito
la Commissione esamina con particolare
L'evoluzione congiunturale nella Comuni- lia, sarebbe stata tale da pregiudicare 10 attenzione la politica degli investimenti, deltà presenta, nell'uitimo periodo, alcuni ele- equilibrio dell'economia italiana, aveva au- la concorrenza e la protezione del consumenti positivi, in particolare per quel che torizzato, il 21 luglio 1976, l'Italia a man- matore.
riguarda la ripresa della produzione indu- tenere fino al 5 novembre 1976 l'obbligo
Dall'analisi svolta nel programma, la Comstriale ed il rallentamento del ritmo di in- di deposito.
missione conclude che « l'effettiva soluzioNel mese di settembre, la Commissione ne dei problemi di coordinamento delle poflazione.
Fattori negativi, strutturali alla situazione e le autorità italiane hanno avuto una se- litiche economiche potrà essere soltanto di
economica e sociale della Comunità, hanno rie di consultazioni sulla possibilità di abro- natura politica ed istituzionale. A questo
mantenuto la loro influenza squilibrante su gare anticipatamente le misure di deposi- proposito - prosegue l a Commissione tutta l'area dei paesi membri, specialmente 10. Al termine di Queste consultazioni, il anche se al momento attuale non sono imper la disoccupazione e l'andamento della governo italiano ha chiesto alla C ~ m m i s - mediatamente realizzabili sensibili progresbilancia commerciale.
sione di essere autorizzato a ridurre al 45%
si in materia istituzionale, è necessario
L'azione della Comunità dovrebbe orien- l'importo di deposito a partire dal 15 otto- tuttavia migliorare e sviluppare gli strutarsi quindi, sulla base dei dati congiuntu- bre 1976 e ad effettuarne successivamente menti ed i metodi di coordinamento delle
rali, più verso la rimozione degli squilibri la graduale eliminazione in quattro fasi di politiche economiche e monetaria nell'atstrutturali, che verso la risoluzione od il 45 giorni ciascuna; in tal n ~ o d oil deposito tuale quadro politico ed istituzionale D. Poiriassorbimento degli elementi ciclici della
verrebbe completamente soppresso il 15 ché è fuor di dubbio - conclude la Commissione - che l'elezione diretta darà un
situazione economica. Proprio gli squilibri
aprile 1977.
strutturali sembrano oggi, di fronte alla
La Commissione ha quindi adottato una nuovo impulso alla Comunità, l'urgente e
svolta istituzionale, creare i maggiori osta- decisione, a modifica dell'autorizzazione del necessaria ripresa degli sforzi per realizcoli per l'integrazione economica e politica
21 luglio. il 29 settembre 1976 (G.U. L2680 zare l'Unione Economica e Monetaria si
dell'Europa.
1.10.1976).
inserirà in una prospettiva più favorevole a.
. 11 10 settetrihre 1976, il Comitato MonetaDal 4 al 6
1976 si è svolta a
La politica economica e monetaria
rio ha esaminato, per quanto di sua com- nila l'assemblea annuale del Fondo Monesul piano monetario gli ultimi mesi sono Petenza, la situazione in Danimarca. Fran- tario Internazionale.
Parlando a nome della Comunità eurostati caratterizzati da ampi movimenti del- ~ i ae Gran Bretagna, oltre che in Italia,
gli
relativi all'armo- pea, Duisenberg, Ministro delle finanze olanle monete degli Stati membri. Il rialzo del
marco tedesco ha avuto per effetto I'ap- nizzazione degli strumenti nazionali di PO- dese, ha dichiarato che per ridurre la disoccupazione e rafforzare la ripresa econoprezzamento delle monete del serpente, ri- litica comunitaria.
politica economica a me- mica la Comunità europea promuoverà gli
piano
spetto alle altre monete comunitarie, mentre
il franco francese, in particolare, è stato og- dio termine, la Commissione ha trasmesso investimenti produttivi e ridurrà I'inflazioal Consiglio il progetto di « IV program- ne. Egli ha indicato che la Comunità si
getto di forti speculazioni.
a medio termine
sforzerebbe di rafforzare la cooperazione
I corsi di cambio delle monete che nqn ma di politica
alla
decisione
del
Consiglio
economica e monetaria interna del Merfanno parte del serpente si sono infatti seriL63 5.3.1974).
cato comune, per promuovere uno sviluppo
sibilmente alterati, rispetto alle monete che de' l8 febbraio 1974 ("
I1 Quarto programma considera che, nei economico simultaneo in tutti i paesi memsono mantenute f r a loro entro una fascia
prossimi
quattro anni, l'obiettivo principale bri. Evocando la riforma del sistema moche in nessun momento può superare, a vista, il 2,250/0. L'attuale situazione è quindi della politica economica sia a livello
netario internazionale, Duisenberg ha didovrà essere il ri- chiarato che essa apportava un contributo
caratterizzata da divari medi di una certa munitario che nazionale
entità f r a i tassi di riferimento ed i tassi pristino di una situa7.ione di pieno im- sostanziale alla risoluzione dei problemi finanziari dei paesi in via di sviluppo. Piìi
di cambio a vista delle monete fluttuanti, piego.
rispetto alle monete comunitarie del serritorno al'a piena occupazione i m ~ l i - generalmente, ha precisato, la Cee contica, per la ~ o m m i s s i o n e ,il conseguimento nuerà a cercare una maggiore cooperaziopente.
La situazione della bilancia dei pagamenti
temporaneo di almeno due obiettivi fonda- ne con questi paesi, tanto in seno alla Conitaliana è rimasta precaria, mentre la liqui. mentali della politica economica:
ferenza di Parigi quanto in altre istanze.
dità interna presenta livelli notevoli nono- il prodotto nazionale lordo deve au- Secondo Duisenberg il Fondo Monetario destante l'istituzione del deposito temporaneo mentare più rapidamente e più regolarmen- ve diventare uno strumento incoraggiante
per ogni operazione di acquisto di divise o te di quanto non sia avvenuto nel corso l'adozione di politiche economiche che permettano una stabilità delle economie interdi accredito di conti esteri in lire, nella misu- degli ultimi cinque anni;
ra del 50°/o dell'importo di operazione.
- il tasso di inflazione deve essere ri- ne. Egli ha espresso il parere che I'aumenLa persistente congiuntura negativa della dotto a livelli accettabili.
to previsto dagli Accordi della Giamaica
Italia sul piano monetario ha posto ancora
dovrebbe
bastare a coprire i bisogni di
ripristino della piena occupazione deprestito dei paesi membri, soprattutto se
una volta il nostro paese in una condizione ve essere fondato iiioltre su una strategia
quelli che hanno eccedeme finanziarie departicolare, che ha richiesto misure di salsu tre elementi:
positano le loro eccedenze di quota in movaguardia più incisive di quelle peraltro auuna politica d i sviluppo attiva ed neta liberamente utilizzabile. Duisenberg ha
torizzate ad altri paesi membri, come la Gran
equilibrata sia dal punto di vista regiona- anche sottolineato Irimportanza che i PaeBretagna e l'Irlanda.
le che da quello settoriale: infatti più il si B~~~~ attribuiscono al serpente monetaPrima della scadenza del 5 agosto 1976,
ritmo di aumento del PNL e quindi quello ,io europeo.
il governo italiano ha chiesto alla Commisdella domaiida globale e rapido, più le prosione l'autorizzazione a mantenere, per un
spettive di riassorbimento della disoccu- La politica sociale
periodo di tre mesi, l'obbligo di deposito
pazione migliorano;
autorizzato, conformemente all'art. 108 paNell'ambito dei problemi legati alla poliragrafo 3 Cee, dalla decisione della Com- un impegno sostanziale delle parti tica della piena occupazione, la « piaga »
missione del 5 maggio 1976 (v. Comuni sociali di integrare in materia di redditi i della disoccupazione giovanile ha assunto,
d'Europa D, settembre 1976). La Commissio- limiti
generali;
così per le istituzioni comunitarie come
una politica attiva e prospettiva del- per i governi nazionali, un'importanza prene, dopo aver proceduto ad un esame della situazione economica italiana e consta- l'occupazione per realizzare un equilibrio minente.
tato che l'abolizione delle misure di carat- migliore tra l'offerta e la domanda di m a
I1 9 agosto 1976, la Commissione ha aptere monetario, adottate in maggio dalllIta- nodopera.
provato un progetto di raccomandazione
L'attività della CEE da settembre a novembre 1976
((
-
COMUNI D'EUROPA
10
agli Stati membri sulla preparazione professionale dei giovani disoccupati o minacciati dalla disoccupazione.
La raccomanda~ionetende a promuo-dere
negli Stati membri varie forme di corsi
che permettano, al termine della scuola di
obbligo, di garantire una preparazione protcssionale appropriata per tali giovani.
Per ridurre gli ostacoli alla preparazione professionale, la Commissione raccomanda provvedimenti di due tipi:
- i giovani minacciati dalla disoccupazione dovrebbero beneficiare di agevolaiioni per seguire i corsi nelle ore di lavoro;
- inoltre, essi dovrebbero
beneficiare
di indennità per consentire loro di far fronte alle spese di sostentamento, di iscrizione ai corsi ed alle spese accessorie di partecipazione.
dicembre 1976
lavoratori migranti e di giovani inferiori
a 25 anni (art. 4);
- 245 milioni di U.C. per operazioni a
favore di lavoratori disoccupati o sottoccupati in regioni meno sviluppate, di lavoratori altamente qualificati o di gruppi
di imprese e di industrie di fronte al progresso tecnico (art. 5);
- 0,9 milioni di u.c. per stiidi ed esperienze pilota (art. 7).
La raccomandazione prevede infine un
coordinamento a livello nazionale e a livello locale tra i servizi di orientamento,
Formazione professionale e collocamento,
nonchk associazione dei datori di lavoro e
dei sindacati alle attività di formazione.
11 6 ugosto 1976 è stata pubblicata la
quarta relazione sulle attività del Fondo Sociale Europeo, relativa all'esercizio 1975.
Durante tale esercizio le risorse messe a
disposizione del fondo hanno raggiunto
complessivamente 376.56 milioni di u.c., di
cui:
- 131.06 milioni di U.C. per le operazioni
di riadattamento a favore dei lavoratori
dell'agricoltura e dell'industria tessile, di
Le domande relative alle regioni, presentate in base all'art. 5, sono state meno
numerose rispetto al 1974. Le operazioni riguardanti questo settore hanno comunque
rappresentato circa 1'8S0/o d?i finanziamenti accordati a norma dell'art. 5. Tuttavia,
progresso
l'avvio di nuove operazioni di
tecnico e K gruppi di imprese », destinate
a svilupparsi, dovrebbe garantire a medio
termine un migliore equilibrio.
L'intervento delle Comunità viene comunque ad incidere su una situazione di squilibri strutturali che le politiche nazionali
non riescono a riassorbire o, talvolta, accentuano in taluni aspetti.
In particolare i disoccupati hanno scavalcato i 5.000.000 di unità nel mese di ottobre. Soltanto la Danimarca (111.900 disoccupati, pari al 5,S00 della forza lavoro) e la
Germaiiia (943,686, 4,1°/o) hanno fatto riscontrare un calo nella disoccupazionr. I!
Belgio ha visto aumentare il numero dei
disoccupati del lo0% da ottobre '75 a ottobre '76, raggiungendo quota 230.751 pari al1'8,70h delle forze-lavoro: la Francia è a
((
955.352, con un incremento dell'lO/o (pari al
5,6'?/0 del totale); 1'Italia ha superato il milione, toccando il livello di 1.119.211 (6O/0
della popolazione attiva) con un aumento
del 6Vo; l'Olanda è a quota 205.152 (4,T0/0
del totale) in rialzo del 2%; la Gran Bretagna ha il record dell'incremento della disoccupazione con 20% fino a raggiungere
la cifra di 1.320.923 (5,746 della forza lavoro); i l Lussemburgo è passato da 292 a
356 disoccupati; l'Irlanda infine ha segnato un aumento de11'8Oh, denunciando 16.762
disoccupati, pari al 5,6O/0 del totale dei lavoratori.
Durante la sessione 15-19 novembre 1976
del Parlamento Europeo, la Commissione
ha presentato i l primo bilancio sociale. Si
tratta di un riepilogo delle spese e del
loro finanziamento. Dai dati forniti dall'esecutivo risulta che nel 1975 i regimi di previdenza sociale hanno coperto fra 1'80 e il
98O/o delle prestazioni. L'aliquota più cospicua delle spese è assorbita dalle pensioni
di vecchiaia (40%) con punte massime per
la Gran Bretagna (50%) ed il Lussemburgo
(55('%). L'assistenza malattia rappresenta il
30°4 delle spese.
Una considerazione interessante riguarda
le entrate dei regimi previdenziali. In Italia il 65% dei contributi è pagato dai datori
di lavoro, mentre in paesi come la Danimarca e l'Irlanda tale percentuale scende
rispettivamente al 10 e 209'0. Infine la Commissione rileva che Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi sono i paesi che spendono
di più per il settore sociale: il 33O/0 del
Tabella 6 - Confronto tra il bilancio 1976 e il bilancio previsto per il 1977 (nelle varie fasi d'elaborazione)
1976 (l)
Settori
Stanziamenti
d'impegno
stamment~
di pagamenio
(
o/o
1;
1977 (Progetto preliminare]
1
o
~ranz1ame.l
di pagamento
I
T
o,
~
var~azmne(n ?o
3,l
I
1 1
4/2
1977 (Progeiro Consiglio -Prima lertura)
s;:;~!
la l
Variazione in %
Stanziamenti
di pagamento
Commissione
Stanziamentid'intervento
Settore agricolo
Seitore sociale
Settore regionale
Serrore ricerca -energia industria trasporri
Seitore cooperazione allo sviluppo
Rimborso e aiuto agli Stati membri e
varie
Stanziamentidi funzionamento
Personale
Funzionamenio
Informazione
Aiuti e sovvenzioni
347 172 OSO
347 172 OSO
Riserva per imprei>isti
Rzmborso aglt Stat~mernbrr del 10%
delle risorse proprie
Totale Commissione
Altre isutuzioni
Toiale generale
La nuova presentazione di questa tabella e necessaria pcr consentire il confronto obiertivo Ira gli stanziamenri del 1976 e del 1977, dara l'applicazione piu ampia prrvisra per il 1977 della disrinrioiii
fra stanziamenti d'impegno e sranziamenti di pagamenro
Nel 1976, gli stanziamenti d'impegno erano autorizzati per tre settori ricerca, Fondo regionale e Fondo sociale, nell'ulrimo dei quali le c'autorizzazioni a, corrispondevano a sranziamenti d'impegno
( 1 ) Compresi i bilanci suppleiivi 1 e 211976.
('1 La differenza fra gli sranziamenri d'impegno e gli sranziamenri di pagamento ( = 72.5 182809 u.c.) corrisponde alla differenza fra c~sranziamentid'impegno e ,-sranziamenri di pagamento,, nei settori
interessati (voce 3 200, capiiolo 33. voce 3 620, Fondo sociale, Fondo regionale e FEAOG - orienramenro).
NB
dicembre 1976
reddito nazionale; contro il 28010 delllItalia
ed il 23O.o dell'Irlanda e della Gran Bretagna.
Nella seduta del 18 novembre, il Parlamento Europeo ha esaminato la raccomandazione proposta dalla Commissione per
la formazione professionale. Il Parlamento in particolare ha criticato la forma della proposta, non vincolante per gli Stati
membri, e la genericità delle soluzioni indicate.
Il bilancio delle Comunità
Nel mese di settembre, il Consiglio ha
Dresentanto al Parlamento il progetto di
bilancio generale delle Comunità Europee
Der il 1977: tale progetto
costituisce il ri.
sultato del lavoro della Commissione, dell'esame preliminare da parte del comitato
dei rappresentanti permanenti e degli incontri fra il Consiglio ed una delega7.ione
del Parlamento Europeo.
La procedura di concertazione, prevista
dal trattato del 22 luglio 1975, assegna al
Parlamento Europeo il potere di esaminare
il progetto del Consiglio e proporre eventuali emendamenti. Il Consiglio deve esaminare a sua volta i suggerimenti dell'Assemblea, rinviando il progetto a quest'ultima per una seconda lettura. L'ultima
parola spetta comunque al Consiglio.
Il Parlamento Europeo, riunito in sessione straordinaria a Lussemburgo dal 25 al
27 ottobre 1976, ha esaminato per la prima volta i1 progetto di bilancio presentato
dal Consiglio.
Nella risoluzione approvata al termine
del dibattito, il progetto viene giudicato
del tutto inadeguato a esercitare un impatto sull'at tuale situazione economica, con
l'aggravante della mancanza di una qualsiasi coerente politica economica e sociale. Il Parlamento critica in particolare la
tendenza del Consiglio ad impedire che il
bilancio sia usato per ridurre le disparità
economiche esistenti tra le regioni europee
e per combattere la disoccupazione.
Il Parlamento europeo deplora che I'Italia e la Francia non abbiano ancora ratificato il trattato del 22 luglio 1975, criticando il persistente squilibrio nella ripartizione degli stanziamenti, per tre quarti destinati all'agricoltura.
Nella seduta del 27 ottobre, l'Assemblea
vota su 180 emendamenti al progetto, chiedendo al Consiglio sensibili aumenti per il
Fondo Regionale, per le ricerche nell'aereonautica, per aiuti ai giovani agricoltori e
per la cooperazione con i paesi in via di
sviluppo.
Il progetto così emendato è tornato al
Consiglio. In seconda lettura il Parlamento dovrà dire nella sessione di dicembre,
l'ultima parola sulle spese non obbligatorie e dovrà approvare o respingere i l p r o
getto di bilancio nel suo complesso.
Nella sessione del 23 riovetnhre 1976, il
Consiglio dei Ministri ha adottato una serie di emendamenti del Parlamento Europeo, nella forma in cui questo li aveva
proposti - e che diventano quindi definitivi
- e una seconda serie di emendamenti cui
ha apportato delle modifiche - che devono quindi essere oggetto di una nuova
deliberazione del Parlamento Europeo. Tra
gli emendamenti adottati definitivamente
in particolare quello relativo al Fondo Sociale.
1l
COMUNI D'EUROPA
Problemi istituzionali
1:l 20 settembre 1976, nella sede del Consiglio delle Comunità a Bruxelles, ha avuto luogo la firma solenne dei documenti
relativi all'elezione dei membri del Parlamento Europeo a suffragio universale e diretto. I documenti firmati sono:
a ) una decisione del Consiglio, immediatamente esecutiva;
h ) un atto (comunemente chiamato la
Convenzione) che contiene le disposizioni,
la cui adozione è raccomandata agli Stati
membri.
L'Atto entrerà in vigore il primo giorno
del mese che segue il momento in cui saranno ricevute le prime notifiche previste
dalla decisione; se si vuole che le elezioni
abbiano luogo durante il periodo maggiogiugno 1978, il tempo disponibile per ratifica della Convenzione e adozione delle leggi
elettorali nazionali appare appena su%
ciente.
L'atto contiene norme relative al numero dei rappresentanti, al periodo di durata
della legislatura, alle immunità ed al doppio mandato, alle incompatibilità con cari-
IJ7adrsionedel CCE al Congresso europeo dell'AGE
Thomas Philippovich.
Dal 7 al 10 ottobre si è tenuto a Nizza e a
Monaco il XIV Congresso dell'Associazione
dei Giornalisti Europei, che ha fermato l'attenzione soprattutto sulla decisione dei Nove
di indire per il maggio-giugno 1978 la elezione a suffragio universale diretto del Parla,vento europeo. A tale scopo, è stato deciso
di creare una apposita Commissione di lavoro affidata al vice presiderite Jean Pierre
Gouzy. AI congresso ha portato l'adesione del
Consiglio dei Comuni d'Europa il Segretario
generale Thomas Philippovich che ha sottolineato la più che ventennale azione del CCE
in favore della creazione di istituzioni democratiche federali, elette direttamente dal popolo europeo, e l'attuale azione di mobilitazione degli Enti territoriali europei per la
battaglia elettorale. Il Congresso si è concluso con una risoluzione nolitica che nubblichiamo integralmente.
la risoluzione
Il XIV Congresso dell'Associazione dei Giornalisti Europei, riunito a Nizza e a Monaco dal 7 al 10 ottobre 1976. davanti alla recente evoluzione della politica comunitaria:
1. - sottolinea la portata della decisione dei Nove di eleggere a suffragio universale diretto, nel maggio-giugno del 1978, l'Assemblea Parlamentare Europea, conformemente ai Trattati di Parigi e di Roma, allo scopo di associare i popoli al controllo democratico degli orientamenti e delle attività della Comunità;
2 - ricorda, in questa occasione, che fin dalla sua fondazione, 1'A.J.E. ha combattuto
senza cedimenti p e r la nascita di un'Europa popolare, e ritiene che oggi sia stato compiuto un primo importante passo in tale direzione;
3 - constata tuttavia che il progetto di elezione diretta non può mascherare la degradazione del processo di unificazione, caratterizzata dall'abbandono di fatto dell'unione economica e monetaria - i residui del bilateralismo -, l'assenza di qualsiasi accordo sui progetti di unione (politica) europea. legati alla presentazione del rapporto Tindemans;
4 - derlirncia l'offensiva già avviata contro I'eleziorie del Parlamento europeo a suffragio universale diretto;
5 - chiede ai suoi membri di vigilare
- da un lato affinché l'elezione diretta non sia una semplice concessione, effimera ed aleatoria, degli Stati in cambio dell'accettazione implicita di uno statns quo politico paralizzante in seno alla Comunità;
- dall'altro affinché le procedure di ratifica della Convenzione elettorale europea
abbiano luogo in tutti i paesi interessati prima dell'estate del 1977 e siano seguite senza indugio dall'approvazione delle leggi elettorali nazionali, affinché la data stabilita per
la consultazione elettorale nel corso della primavera del 1978 non sia in alcun modo
spostata;
6 - lancia un appello alle forze politiche e sociali dei paesi della Comunità affinché
si diano, in vista delle elezioni, vere organizzazioni federali. piattaforme d'azione comuni e programmi politici europei;
7 - si riilolge alle istanze comunitarie e ai poteri pubblici nazionali affinché creino
le condizioni propizie ad un vastissimo dibattito nell'opinione pubblica sul ruolo dell'Europa nel mondo e in particolare nel bacino del Mediterraneo, sull'avvenire della nostra
società democratica e della Comunità in quanto tale e infine sui mezzi di cui essa dovrà disporre per risolvere i problemi essenziali del nostro tempo e per contribuire
efficacemente al mantenimento della pace. Solo questo dibattito di fondo inciterà i nostri concittadini, coinvolti e convinti, a « votare europeo *, in massa, quando verrà il
momento.
COMUNI D'EUROPA
che nazionali, alla procedura elettorale, alla
data delle elezioni. All'atto seguono:
a) una dichiarazione della Danimarca
per la quale le autorità danesi possono stabilire le date in cui si procederà alle elczioni dei membri dell'Assemblea di Groenlandia n;
h) del Regno Unito che applicherà le
disposizioni di questo atto soltanto nei confronti del Regno Unito »;
C ) della Germania Federale relativa agli
impegni internazionali per il Land di Berlino.
In occasione della tirma di questi documenti, i presidenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento hanno pronunciato brevi interventi. Il Presidente del
Parlamento, Spenale, ha affermato in particolare che per i Nove, la legge europea
direttamente applicabile in tutti gli Stati
membri non sarà più imposta ai cittadini
senza che questi abbiano contribuito alla
sua elaborazione tramite il loro rappresentanti direttamente eletti. Con ciò viene loro
finalmente restituita un'importante parte
della sovranità dei popoli, vent'anni dopo
i trattati di Parigi e di Roma D.
« Bisogna che tutti i militanti dell'Europa - ha concluso Spénale, si sentaiio mobilitati per ottenere le ratifiche, per ottenere che le leggi elettorali nazioiiali siano promulgate in tempo, che i cittadini si
sentano interessati e motivati, che nella primavera 1978 quando, senza altri ritardi, la
parola s a r à -loro data, questa prima consultazione dimostri la volontà ardente dei nostri popoli di costruire l'Europa della democrazia, della solidarietà, della speranza n.
Rinviamo alla prossima cronaca la consueta panoramica dei commenti e le prime iniziative (nei partiti, nei parlamenti nazionali e nei governi) in vista delle scadeiize legislative e della campagna elettorale.
0
I riflessi delle elezioni politiche italiane e
tedesche sulla composizione del Parlamento Europeo
Le elezioni del 20 giugno in Italia e quelle del 3 ottobre in Germania Federale hanno avuto riflessi importanti sulla composi.
zione del Parlamento europeo, sia in relazione ai rapporti di forze fra gruppi politici, sia per i l rinnovamento all'interiio delle delegazioni nazionali.
Camera dei Deputati e Senato italiani
hanno nominato il 6 ottobre 1976 la nuova
delegazione, che rimarrà in carica tino alle
elezioni dirette del 1978.
1 36 membri della delegazioiie, ripartiti
per gruppi politici sono:
Democristiani (15): Giovanni Bersani,
Peter Brugger, Maria Luisa Cassanmag-nago. Emilio Colombo, Mario Fioret, Luigi
Granelli, Giosuè Ligios, Mario Martinelli,
Luigi Noè, Ferruccio Pisoni, Ernesto Pucci,
Camillo Ripamonti, Rolando Riz, Mario Scelba, Vincenzo Vernaschi;
Comunisti (12): Giorgio Amendola, Carlo Galluzzi, Nilde Jotti, Silvio Leonardi, Aldo Masullo, Michele Pistillo. Renato Sandri, Altiero Spinelli, Vera Squarcialupi, Giut
seppe Vitale, Protogene Veronesi;
Socialisti (5): Aldo Ajello, Francesco
Albertini, Ciiuseppe Aniadei, Pietro Lezzi.
Mario Zagari;
Liberali (2): Enzo Bettiza, Michele Cifarelli;
MSI - Destra Nazionale (2): Alfredo Covelli, Armando Plebe.
Con queste nomine, il gruppo comunista
6 passato da 14 a 17 deputati, i socialisti
da 67 a 65, i democristiani da 51 a 50, i
liberali da 26 a 27 (Cifarelli è passato dal
gruppo socialista a quello liberale), i non
iscritti (cui aderiscono i rappresentanti del
MSIJ da 6 a 3.
Anche le elezioni tedesche avraniio dei
riflessi sulla coiuposizione della delegazione tedesca. Il nuovo Bundestag si riuniia
il 14 dicembre per eleggere la nuova delegazione. In seguito ai progressi registrati
dalla CDU-CSU (democratici-cristiani) ed alla flessione delllSPD, si prevede che il
gruppo DC al Parlamento Europeo otterrà
2 seggi in più e quello socialista due in
meno. Invariati dovrebbero rimanere invece i liberali.
La politica energetica e il vertice delllAja
La scottante attualità della crisi energetica. fattasi più drammatica con il previsto aumento del prezzo del greggio, ha riproposto all'attenzione delle istituzioni eul
La composizione della nuova
Commissione europea
Presidente:
Kov
JENKINS
(G. Bret.)
Membri
Guido
Kichard
Claude
Etienne
Antonio
Fiiin Olav
Wilhelm
Lorenzo
Francois
Christophei
Ravniond
Henk
BRUNNER
(Germania)
BURIiE
(Irlanda)
CHEYSSON (Francia)
DAVIGNON (Belgio)
GIOLITTI
(Italia)
GUNDELACH (Daniin.)
HAFERKAMP (Germania)
NATALI
(Italia)
OKTOLI
(Francia)
TUGENDHAT (Inghilt.)
VOUEL
(Lussemb.)
VREDELING (P. Bassi)
dicembre 1976
capi di governo della Cee hanno dato una
risposta formalmente possibilista ai paesi
delllOPEC e del Terzo Mondo, ma che contiene un'evidente, rigida pressione.
Tenuto conto della precaria situazione
economica e sociale del mondo industrializzato, il consiglio europeo ha giudicato
che ogni onere aggiuntivo sul piano del
costo del petrolio va dedotto dai fondi che
l'Europa potrebbe mettere a disposizione
dei Paesi emergenti. Da ciò una « pressione sui paesi del Terzo Mondo perché convincano >,I'OPEC a moderare le proprie richieste in materia di prezzi petroliferi; un
aumento eccessivo (superiore alle capacità ed all'evoluzione dell'economia occidentale) potrebbe provocare il fallimento dei
negoziati di Parigi sulla creazione di un
nuovo ordine economico mondiale ».
In cambio del non-aumento » del prezzo
del greggio o di una sospensione (così come proposta da Andreotti), l'Europa non
6 stata comunque capace di offrire nessuna proposta di un
nuovo e diverso rapporto tra sviluppo e sottosviluppo» e co.
munque non è stata in grado di fare la
benche minima concessione.
Ha prevalso ancora una volta - dunque
- un'Europa assenteista, in attesa delle
proposte degli altri (i paesi delllOPEC si dovrebbero riunire nel Qatar il 20 dicembre) o di segnali concreti d'oltre oceano
(quando si insedierà il nuovo presidente
USA, Carter).
Le istituzioni europee (Commissione e
Parlamento) - come ha dichiarato il commissario Brunner il 16 novembre - potranno e dovranno ora assumere le proprie responsabilità.
(<
Le altre decisioni del Vertice
I Nove hanno reso noto un documento
sulla situazione congiunturale della Comunità. dove persiste fra paese e paese disparità nell'evoluzione dei prezzi, dei costi e
delle bilance dei pagamenti e dove si sta
notando un rallentamento della produzione ed un risveglio della dinamica inflazionistica.
ropce il tema della politica energetica coIn particolare i paesi più colpiti dalla
crisi (Francia, Italia e Gran Bretagna) domunitaria.
Nella seduta del 16 iiovemhre 1976, i l Par- vranno perseguire una politica rigorosa in
lamento Europeo ha approvato una risolu- materia monetaria, di bilancio e di redditi,
zione, nella quale giudica irresponsabile lo per ridurre i disavanzi della bilancia dei
pagamenti, i tassi d'inflazione e spezzare la
atteggiamento del Consiglio dei Ministri di
fronte alla minaccia che grava sull'approv- spirale della svalutazione monetaria.
I capi di governo hanno esaminato nelvigionamento energetico della Comunità e
di conseguenza sulla sua indipendenza po- le linee generali » il rapporto Tindemans,
incaricando i ministri degli esteri e la
litica ed economica.
Intervenendo a nome della Commissione, Commissione di approfondire l'esame del
il Commissario Brunner ha condiviso le cri- documento, riferendo annualmente (sic!) agli
tiche del Parlamento. affermarido che « nel
stessi capi di stato e di governo sui procampo energetico ancora non 6 stato rea- gressi conseguiti ». Come dire che I'Unione europea può attendere.
lizzato nulla di concreto ».
Quasi a voler confermare il giudizio neIl Consiglio Europeo ha infine approvato
gativo espresso da Parlamento e Commissio- la composizione della nuova commissione,
che si insedierà a Bruxelles a partire dal
ne sulla propria incapacità di elaborare una
politica energetica coerente, comune e con- 1" gennaio 1977.
L'accordo sulla lista dei nuovi commiscreta, il Consiglio Europeo dei capi di governo, riunito all'Aja il 29 e 30 noi~emhre sari è stato facilitato dalle innovazioni che
1976, si è concluso praticamente con un nul- il prossimo presidente, Roy Jenkins, ha in.
la di fatto sul piano interno comunitario e tenzione di introdurre nel funzionamento
con il prevalere della linea dura » sul pia- della Commissione e dei criteri che inten.
no dei rapporti con i paesi esportatori di de seguire nell'attribuzione degli incarichi.
In pratica, secondo il progetto di Jenkins.
petrolio.
Fiduciosi nel rinvio della Conferenza Nord- verrebbero abolite le responsabilità s e t t o
Sud (prevista per il l5 dicembre, ma che pro- riali, mentre si procederebbe ad un dovebabilmente sarà fatta slittare in primavera), i roso raggruppamento delle competenze.
((
Europa
13
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1976
Terzo mondo
di Guido Montani
Nell'attuale dibattito sul risanamento
e la ristrutturazione
dell'economia italiana non si prendono
afl'atto in considerazione i problemi derivanti dalla collo. cazione
internazio:? nale delllItalia, la
sua neiessità di commerciare con i paesi
europei del Mercato
comune e con quelli del Mediterraneo. Per
questo, poiché l'unica strategia che viene indicata per il commercio estero è quella di
« esportare di più e di importare di meno n,
si finisce sempre per prendere misure unicamente per incoraggiare le industrie esportatrici e per proteggere il mercato interno
dalla concorrenza internazionale. Questo indirizzo di politica economica, ormai condiviso - o almeno non contrastato - da tutte le forze politiche, rappresenta in realtà un
fattore importante di disgregazione dell'ordine mondiale perché, spingendo l'Italia allo
isolamento, costringe anche i paesi economicamente più deboli ad adottare misure
analoghe e per il Terzo mondo ciò significa
abbandonare ogni speranza di cooperazione
e di sviluppo.
Occorre invertire l'attuale tendenza all'autarchia dell'economia europea e mondiale e
l'Italia può contribuire in modo importante
all'instaurazione di un « nuovo ordine econornico mondiale », come chiedono i paesi
del Terzo mondo. Ma per comprendere come
sia possibile questa inversione di tendenza e
quale può essere il compito dellJItalia occorre dare uno sguardo, seppur sommario, alle
principali caratteristiche del « vecchio ordine economico mondiale. ed alle cause che
ne hanno provocato la crisi.
Nell'epoca della guerra fredda, il mondo
venne spartito in due grandi zone di influenza: una dominata dagli Stati Uniti, l'altra
dalllUnione Sovietica; L'ordine economico internazionale corrispondente a questa fase
dell'equilibrio mondiale si fondava in effetti
su istituzioni che dipendevano principalmente dalle grandi potenze continentali. A occidente, grazie alla creazione del Fondo Monetario Internazionale ed alla utilizzazione
del dollaro come moneta di riserva, si assicurò un regime di cambi fissi, per circa un
trentennio. La stabilità monetaria, fondata
sulla supremazia del dollaro, fu la premessa
indispensabile per la ripresa e lo sviluppo
del commercio internazionale, in specie fra.
Europa e Stati Uniti. Gli Stati Uniti favorirono poi anche la formazione di un grande
mercato atlantico, attraverso I'istituzionalizzazione di conferenze per le riduzioni tariffarie (nel GATT) e l'introduzione della regola
del multilateralismo.
La guerra fredda fra le superpotenze impose una concentrazione dei loro sforzi nei
punti di maggior tensione, come l'Europa e
il nord-est asiatico. L'America, in particolare, assicurò a più riprese agli europei ingenti aiuti finanziari, che si rivelarono indispensabili per la ripresa delle economie
europee dopo il secondo conflitto mondiale.
Questa situazione di particolare tensione internazionale favoriva anche I'enIarginazione
dei paesi del Terzo ,mondo che proprio allora, grazie al definitivo indebolimento delle
potenze europee dopo il secondo conflitto
mondiale, si stavano emancipando dalla condizione coloniale, ma, abbandonati a se stessi, non riuscivano ad assumere alcun ruolo
attivo nella politica internazionale. La politica del neutralismo » rappresentava la copertura ideologica di questa situazione. Era
così inevitabile che nelle istituzioni monetarie internazionali o nelle conferenze per le
riduzioni tariffarie le esigenze dei paesi
sottosviluppati - esigenze di crediti e di
apertura dei mercati più ricchi alla loro
produzione manufatturiera - venissero sistematicamente ignorate.
(luesto ordine economico, che Per altro
favorì lo sviluppo delle economie europee
e di quelle nord-americane e del Giappone a
tassi fino ad allora impensabili, venne mesSO in discussione da due circostanze: la
contestazione da Parte cinese. nel rmndo
orientale, della leadership sovietica e , nel
mondo occidentale, dalle nuove Pretese di
indipendenza avanzate dagli europei nei confronti dell'America. Negli anni della guerra
fredda, gli Stati Uniti favorirono la messa
in comune delle istituzioni economiche e politiche degli europei, perché SOIO uniti essi
avrebbero potuto costituire un saldo argine
alla politica espansionistica sovietica in Europa. Ma una volta creato il Mercato comune, gli Stati europei si rafforzarono a tal
punto che cominciarono a pretendere di condurre i loro affari in modo indipendente - e
a volte contrastante - dalle direttive americane. Basta ricordare a questo proposito
le minacce di de Gaulle di convertire i dallari francesi in oro nel caso in cui gli Stati
Uniti non avessero raddrizzato la propria bilancia dei pagamenti e i contrasti euro-americani sorti in occasione delle trattative per
il K e n n e d y Roirild.
Questa incrinatura nel vecchio ordine economico mondiale venne ben presto aggravata
dalla protesta organizzata dai paesi del Terzo mondo nei confronti dei paesi più ricchi.
A partire dal 1964, con la Conferenza sul
Commercio e lo Sviluppo, ~I-ganiZzatadall'O.N.U. a Ginevra, si sono succedute senza
interruzione le richieste del Terzo mondo
per la stabilizzazione dei prezzi internazionali delle materie prime (dalle cui quotazioni dipendono i ricavi indispensabili a finanziare lo sviluppo), di più adeguati aiuti finanziari e tecnici e, infine, di un minor Protezionismo da parte dei paesi più prosperi nei
confronti dei manufatti provenienti dal Terzo mondo.
La crisi economica mondiale affonda pertanto le sue radici sulla crisi dei rapporti
fra Europa e America e fra paesi industrializzati e Terzo mondo. La contestazione del
dollaro come moneta di riserva, fatta dagli
europei, ha costretto il governo americano
a dichiarare I'inconvertibilità del dollaro in
oro ed ha aperto una fase di incertezza sui
mercati finanziari e monetari, con continue
oscillazioni delle parità che hanno alimentato e facilitato le manovre della speculazione internazionale. Il mercato internazionale
delle materie prime, infine, è caratterizzato dall'anarchico confronto fra paesi venditori e compratori, dove chi riesce a
coalizzarsi in oligopoli spunta anche i prezzi più alti. In sostanza, si assiste in questi
anni alla disgregazione del mercato mondia1,. Da una situazione di ordine economico
instaurato nel primo dopoguerra - un ordine certo imperfetto e ingiusto, ma nel quale è stato possibile lo sviluppo rapidissimo
delle economie occidentali - si sta ora scivolando verso una situazione di anarchia,
in cui si accentua e si consolida la politica
del a ciascuno per sé D.
Questo stato di cose contrasta singolarmente con le aspirazioni del Terzo mondo
per un « nuovo ordiGe economico moridiale ». L'anarchia del mercato lascia mano
libera ai più forti, ai monopoli ed alle coalizioni che riescono ad imporsi ai paesi meno
industrializzati o privi di materie prime, che
devono subire le condizioni imposte dal mercato. Lo sviluppo economico può essere programmato con qualche speranza di successo
solo in condizioni di stabilità economica e
grazie aila cooperazione con i paesi in cui
già esiste una consistente domanda, capace
di assorbire senza difficoltà le nuove produzioni provenieilti dal Terzo mondo. L'attuale
tendenza all'anarchia non solo è un freno
allo sviluppo delle economie mature, ma rappresenta anche un ostacolo insuperabile per
il decollo delle econonlie più arretrate.
Per invertire la tendenza al disordine non
basta fare appello, come spesso si dice, alla
cooperazione internazionale. L'esperienza della storia ha ormai dimostrato che lo spirito
di cooperazione è ampiamente compatibile
con il progressivo scivolamento verso il nazionalismo economico. Un ordine economico
internazionale più progressivo può essere
instaurato solo se l'attuale equilibrio bipolare in crisi verrà sostituito da un equilibrio multipolare. L'unità politica delllEuropa è la risposta alla crisi economica mondiale e la premessa per la (:reazione di un
ordine economico in cui le esigenze di stabilità e sviluppo delle economie mature
risultino compatibili con le aspirazioni del
Terzo mondo.
Oggi esiste la concreta possibilità di riavviare il processo di costruzione delllUnione
economica e monetaria europea. Nel 1978 gli
europei saranno chiamati alle urne per eleggere il Parlamento europeo, cioè per far
partecipare direttamente le forze pelitiche e
sociali alla costruzione dell'Europa. E' necessario pertanto che i partiti prendano coscienza di questa occasione storica e che cornincino, sin da ora, ad elaborare dei programmi europei in cui siano accolte le soluzioni
adeguate ai gravi problemi
Curopei e mondiali.
La creazione di una moneta europea rappresenterebbe il punto di avvio per la rea-
ABBONATEVI A
COMUNI D'EUROPA
il 1977 sarà il 25" anno di rigorosa
e libera battaglia per gli
Stati Uniti d'Europa
L
lizzazione di una effettiva unione economica
europea. Una moneta europea avrebbe la
stessa importanza del dollaro nel commercio
internazionale e consentirebbe di porre su
basi nuove la riforma del sistema monetario
internazionale. Inoltre, la creazione della moneta europea contribuirebbe ad eliminare la
inflazione mondiale, grazie al ritorno alle parità fisse in Europa e nell'area atlantica.
Nei confronti del Terzo mondo, un esecutivo europeo consentirebbe di affrontare in
modo coerente ed efficace i rapporti economici verso l'estero delllEuropa. Un governo europeo potrebbe facilitare lo sviluppo
delle industrie di punta dei settori tecnologicamente all'avanguardia con una politica delle commesse industriali. Inoltre, poiché l'economia europea è strutturalmente
piìi aperta a1 commercio internazionale dell'economia americana, il governo europeo
avrebbe interesse ad allacciare stretti rapporti di cooperazione e di assistenza con i
paesi del Mediterraneo, i paesi Arabi e quelli africani, da cui potrebbe importare le materie prime di cui ha necessità e verso cui
potrebbe esportare beni capitali e le tecnologie europee indispensabili per avviare un
efficace decollo economico di questi paesi.
L'economia europea, infine, potrebbe aprire
le sue Frontiere alla importazione di manufatti ad alto contenuto di lavoro provenienti
dal Terzo rnondo perche, grazie alla possibilità di programmare spostamenti di mano
d'opera da alcuni settori industriali europei
non pii1 competitivi a quelli tecnologicamente pii1 avanzati, diventerà possibile modificare radicalmente la tariffa esterna comunitaria, che oggi rappresenta un serio ostacolo
- specie per i prodotti agricoli - all'intensifcazione degli scambi commerciali fra Europa e Terzo rnondo.
I partiti italiaiii si trovano così ad un
bivio importante. L'Italia è il paese più colpito dalla crisi economica mondiale, a causa
della sua economia hialistica, e si dimostra
pertanto incapace di mantenere i livelli di
benessere e di occupazione che sembravano
possibili fino a pochi anni fa. L'Italia è anche il paese in cui più acute sono le tensioni fra gli ideali internazionalistici ed europeistici dei partiti e le tentazioni autarchiche. L'Italia senza l'Europa è condannata al sottosviluppo. Ma l'Italia non può nemmeno restare nel Mercato comune così come funziona oggi, perché in assenza di una
moneta europea e di un esecutivo europeo,
t inevitabile che si accentui il divario fra regiorii ricche e povere d'Europa.
Occorre pertanto che i partiti italiani prendano coscienza del fatto che il risanamento
e la ristrutturazione dell'economia italiana
hanno un seiiso solo se progettati nella prospettiva di inserire l'economia italiana nella
Unione economica e monetaria europea. Un
nuovo modello di sviluppo europeo, in cui
si preveda l'espansione delle industrie tecnologicamente all'avanguardia e si intensifichino i rapporti con il resto del mondo ed
i paesi soitosviluppati, 6 coerentemente pensabilc. Nel quadro nazionale ci si può avviare solo sulla triste via dell'autarchia e del
sottosviluppo. Ma ciò che è più triste constatare è che su questa via non si avvierebbe solo l'Italia. La chiusura delle frontiere italiane spingerebbe molti altri paesi
a fare altrettanto e soffocherebbe sul nascere le speranze del Terzo mondo di instaurare ~ 1 1 1nuovo ordine economico mondiale più
progressivo.
dicembre 1976
COMUNI D'EUROPA
14
T libri
Le regioni italiane e 1'Eiiropa
E' il titolo di un denso volume (Milano
1976, Giuffré editore, lire 10.000), che raccoglie gli atti del convegno internazionale promosso e organizzato dalla Regione Piemonte
nello scorso aprile. Esso giunge opportuno
e tempestivo anche per lo spazio ampio dedicato alle elezioni europee dirette, con contributi
fra gli altri - di Sptnale, presidente del Parlamento Europeo, di Patijn, relatore nel P.E. di un progetto di convenzione
per le elezioni dirette (poi modificato dal
Consiglio dei Ministri della Comunità) e di
Maccanico, segretario generale della Camera
dei Deputati (« Problemi della legislazione
elettorale in Italia in relazione alle elezioni
per il Parlamento Europeo .).
-
Numerosi e qualificati gli interventi nel
triplice dibattito. Ne ricordiamo solo alcuni, cioè quelli di: Badini Confalonieri (PLI),
Iotti (PCI), Romita (PSDI), Vittorelli (PSI),
Bodrato (DC), Compagna (PRI), Scarascia
Mugnozza (membro della Commissione esecutiva della Comunità europea), Bersani (vice-presidente del Parlamento Europeo), Bufardeci (vice-presidente dell'AICCE), Trebeschi (Sindaco di Brescia), Triva (membro
della Commissione parlamentare di deputati e senatori per le questioni regionali), Militello (segretario nazionale della Federbraccianti), Paganelli (vice-presidente del Consiglio regionale piemontese), Giuliano Paietta
(responsabile della sezionc emigrazione del
PCI), Mancino (presidente della Giunta regionale della Campania), Pistone (segretario
della Federazione piemontese dell'AICCE),
Arata (vice-presidente del Consiglio regionale della Toscana), Boano (presidente della
Commissione politica del P.E.), Rampi (assessore della Regione Veneto), Sabatini (presidente del MoCLI).'
.
QUOTE SOCIALI
E IMPEGNO EUROPEO
Malgrado l'inflazione galoppante, le
fonti finanziarie dell'AICCE sono rimaste quasi invariate. Occorre, però, che
tutte le quote dei Comuni, delle Province e delle Regioni ci arrivino tempestivamente. Vorremmo ricordare a tale
o a quelli
proposito ai nostri Soci
dei nostri Soci che eventualmente si
sentano trascurati - che la nostra attività non consiste solo in un « servizio
europeo », ma anche e soprattutto nella
difesa (nelle opportune sedi europee)
del punto di vista dei poteri locali e
regionali a noi aderenti e in nome dei
quali parliamo. Quest'opera, non sempre appariscente ma - crediamo
estremamente efficace, va appoggiata
ANCHE col pagamento delle quote: noi
non possiamo fare miracoli.
I1 versamento può essere effettuato
sul c/c postale n. 35588003 intestato all'Istituto Bancario San Paolo di Torino
- Sede di Roma - Via della Stamperia,
n. 64 - 00187 Roma oppure mediante
accreditamento sul conto bancario
n. 14643, intestato all'Associazione ita'liana per il Consiglio dei Comuni d'Europa, presso l'Istituto Bancario San
Paolo di Torino - Sede di Roma.
-
Il presidente del Consiglio regionale piemontese, Sanlorenzo, con Serafini e Martini.
Dopo alcuni saluti (fra cui quello del Sindaco di Torino, Novelli) il volume si apre
con una relazione introduttiva di Dino Sanlorenzo, presidente del Consiglio regionale
piemontese e vice-presidente dell'AICCE, su
« Le Regioni per una nuova Europa »; seguono le relazioni di Patijn, di Picco, consigliere regionale piemontese e rappresentante locale del Consiglio italiano del Movimento Europeo, e del segretario generale delI'AICCE, Serafini (. Le elezioni europee, il
quadro politico e il Consiglio dei Comuni
d'Europa P). Una seconda giornata dei lavori
vede le relazioni di Vercellino, membro del
Fondo sociale europeo e responsabile del
settore emigrazioiie della CGIL ( C Interventi e ruolo anticrisi del fondo sociale sul
mercato del lavoro europeo ed italiano >,), di
Aragona, presidente del consiglio regionale
della Calabria, di Marri, assessore al dipartimento servizi sociali della Regione Umbria,
e del segretario generale aggiunto dell'AICCE.
Martini ((CRelazioni tra Regioni, Stato e Comunità europea: l'azione dell'AICCE ))). La
ter7a giornata, presieduta dal sen. Oliva. presidente della Commissione per le questioni
regionali del Senato della Repubblica, vede
le relazioni del presidente della Giunta regionale piemontese. Viglione (. Le Regioni,
le leggi ed i regolamenti comunitari secondo la legge 382 n ) , di Maccanico e delllAlIcanza nazionale dei contadini ( q Nota sulla
politica agricola comunitaria D).
-
Comuni
Popolnzionc
Fino a 6.000 ab.
da 6.001 a 10.000
10.001 » 20.000
n 20.001 D 50.000
oltre 50.000
Iniporto lire
4.000
10.000
20.000
40.000
2,00 per ab.
Province:
L. 1,00 per abitante.
Regioni:
L. 2,50 per abitante.
Altri Enti: quota da definirsi, con un
ininimo di L. 30.000 annue.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1976
ineguale
Dato l'interesse suscitato dal volume di Maria Valeria Agostini « Regioni europee e scambio ineguale » (frutto di una ricerca promossa dall'AICCE, d'intesa con l'Istituto affari internazionali di Roma) « Comuni d'Europa » ha voluto intervistare l'autrice per un ulteriore contributo all'importante e attuale tema.
1
-
15
--
Lei intitola il suo libro: Regioni eirropee e scambio ineguale
Perché e
il? che senso si può parlare di un rapporto fra sqililihri regionali e integrasione europeo?
S.
E' a tutti chiaro che gli squilibri economici interregionali sono un fenomeno preesistente alla costituzione della CEE che
affonda le sue radici in varie e complesse
ragioni storiche, geografiche ed economiche.
Ciò non toglie però che la costituzione di
un comune e vasto mercato in cui le aree
economicamente meno sviluppate sono venute a diretto contatto con quelle di più
antica e fiorente industrializzazione abbia,
a mio parere, contribuito a d un approfondimento degli squilibri. Lo testimoniano
del resto i dati pubblicati dalla stessa Commissione delle Comunità europee nei suo
rapporto su « l'evoluzione regionale nella
Comunità - Bilancio analitico 1971 ». Da essi
si ricava che la partecipazione delle regioni « periferiche » alla occupazione totale coInunitaria è andata diminuendo dal 22,31°h
del 1950 al 20,10°/~ del 1960 e al 19,86% del
1968; quella del Mezzogiorno è passata nello
stesso periodo dal 9,36% a11'8,22Oh.
Negli anni più recenti, col sopravvenire
della crisi e con l'estendersi della disoccupazione anche alle aree N forti >,,l'aumento
dei divari può essere misurato in termini
di reddito. Nel 1970 il prodotto nazionale
lordo pro-capite ad Amburgo e nella Regione parigina è stato rispettivamente di cinque e quattro volte superiore a quello registrato dalle più povere regioni della Comunità, l'Irlanda occidentale e il sud dell'Italia continentale. Nel 1975 le cifre relative a d Amburgo e alla regione parigina
hanno rispettivamente superato di sei e cinque volte la cifra più bassa.
Già all'epoca della firma del Trattato di
Roma, del resto, numerose personalità del
mondo politico ed accademico e la stessa
Commissione economica per l'Europa delle
~
~unite, esprimevano
~
i
i ~loro timori
~
circa
i
i riflessi che un'integrazione fondata essenzialmente sull'abolizione delle barriere doganali avrebbe potuto esercitare sui processi
di industrializzazione e sulla ripartizione del
reddito f r a regioni a diverso sviluppo economico di partenza.
e ~ e t t i ,come
stato ampiamente dimostrato non solo dalla teoria, ma anche
dalla storia - attraverso numerosi casi concretamente determinatisi -, la liberalizzazione degli scambi favorisce la concentrazione della ricchezza stimolando il trasferimento di risorse e di forza lavoro verso le
regioni già inizialmente più ricche.
Purtroppo il Trattato di Roma - pur contenendo in sé le premesse per ulteriori possibili evoluzioni in senso più favorevole ad
uno sviluppo equilibrato - si fondava su
una concezione essenzialmente liberistica
dello sviluppo economico. Si può anzi dire
che in esso l'armonico sviluppo di tutte le
Regioni della Comunità fosse un atto di
fede nella sola capacità di riequilibrio delle forze'di mercato. Basti Pensare al diverso
peso che il Trattato attribuiva ai due momenti della
costituzione di un mercato
comune ), e del
graduale ravvicinamento
delle politiche economiche ». E basti considerare che il primo - sicuro elemento d i
propulsione dello sviluppo - v
lungi dall'essere considerato anche come un fattore di
approfondimento degli squilibri, sembrava
assurgere, nell'articolo 2, a Strumento Per
la realizzazione dell'obiettivo di uno « svilupp0 armonioso delle attività economiche
nell'insieme della Comunità a .
Tutte le più grosse realizzazioni susseguitesi poi nel campo dell'integrazione europea.
si suno mosse in un'ottica cui era per lo
meno estraneo il problema del conseguimento di un riequilibrio economico-territoriale. L'esempio più Chmoroso è senza dubbio rappresentato dalla politica agricola comune che. assorbendo dal 70 a11'80s del
bilancio comunitario in dieci anni (fra il
1962 e il 19721, ha destinato ai prodotti ortofrutticoli, che costituiscono la parte essenziale della produzione del Mezzogiorno,
solo il 2.2% dei contributi Feoga e lo 0,7O/h
al vino. E' a tutti noto come dalla politica
agricola comunitaria abbiano tratto vantaggi essenzialmente le agricolture più ricche
dell'Europa centrale e come l'Italia, che pur
presentava la più alta percentuale di Popolazione agricola oltre che i più gravi
problemi regionali, sia stata Per lunghi anrii pagatorc netto del Feoga.
Accanto a una politica agricola dirigistica, si è invece attuata in campo industriale, come era del resto nello spirito del
Trattato, la più vasta liberalizzazione degli
scambi non solo all'interno della Comunità,
ma anche verso i paesi terzi attraverso la
adozione di una tariffa esterna comune mal'O bassa. Ciò ha determinato, a mio parere,
ali'innest0 automatico dei processi
e di arretratezza che
mulativi di
propri delle economie aperte a diverso
livello di ricchezza iniziale. anche un condidelle misure di politica 'Onomica industriale. In Italia* ad
delle inte delle misure di
dustrie del
susseguitesi
'ltirni
'lia
giustificazione! "due
meno parziale, nella necessità di non segna-
re
passo
imprese
di oltr'hlpe.
Nel c o m ~ l e s s o .quindi, credo si possa affermare che il processo di integrazione europea abbia contribuito ad una divaricazione
'quilibri
e, se
gli effetti squilibranti sono stati limitati,
ciò è probabilmente dovuto solo ai notevoli
sforzi fatti dalle politiche regionali nazionali.
2 - Ma la Comilnità si è recetitemente dotura di 1 t t ~ 0 s t r ~ ~ m e n tfinanziario
o
specifjco e ha espresso in più occasioni
la ilolotitò di orientare irl senso regionlile anche i preesistetlti fondi serto-
riali. Ritiene che questi strumenti di
intervento e in particolare il fondo europeo per lo sviluppo regionale siano
sufficienti per incidere sugli squilibri
e invertire la tendenza alla divaricaziorie insitu nelle forze di mercato?
Certamente no. E questa non è un'opinione mia, ma è un assunto largamente condiviso anche negli stessi ambienti della Commissione di Bruxelles.
E' fuori dubbio che la creazione del Fori.
do europeo per lo sviluppo regionale ha
rappresentante un punto di svolta nella
storia degli strumenti finanziari comunitari. I fondi settoriali, infatti, erano ben lungi dalllattuare una redistribuzione di risorse a favore delle regioni economicamente
meno prospere. Tralasciando di considerare la Banca europea per gli Investimenti
che, come è noto, non interviene con so"venzioni, ma con prestiti a tasso di mercato, si pensi che il fondo agricolo per
il miglioramento delle strutture dal 1964
ad oggi non ha destinato al Mezzogiorno che
il 4,50/~ di t u t t e le ,-isorse effettivamente
spese e che il Fondo sociale solo dopo la
riforma ha assunto quelle caratteristiche
di maggiore elasticità che gli permettono
di tener conto, nel19incanalare i finanziamenti, di diversi gradi di
e di urgen.
2,
nelle varie regioni. ~i~~ al 1973 i contributi del fondo sociale si sono diretti in
maggior misura verso la ~ ~ ~ ~federab b l
le tedesca che verso 1qtalia.
il 1973
l'Italia ha percepito ogni anno in media
tra il 27 e il 280h di tutti i finanziamenti
concessi dal ~
~
~
d
~
.
M, è
con il ~~~d~ di sviluppo regionale che li^ vede assegnato a~
il 400,~ delle risorse: & la prima
volta che la comunità si dota di uno stru.
mento decisamente perequativo.
u n esame a
delllattività del
Fondo europeo per lo sviluppo regionale in
questi primi due anni di funzionamento,
del resto conferma in pieno questa caratteristica del ~
~ fra ~il 1975
d e i ~primi:
mesi del 1976 a l ~~~~~~i~~~~ è stato erogato oltre i~ 450/0 (205,17 milioni di u.c.) dei
contributi del ~
~ superando
~
dcosì la~ già ,
a l t a quota assegnata a l nostro paese.
Ma evidentemente l'esistenza e il funzionamento di uno strumento finanziario perequativo sono tutt'altro che sufficienti anche
per un avvio al superamento degli squilibri regionali.
Anzitutto il complesso delle risorse del
Fondo è largamente inadeguato. Non occor.
rono grosse congetture per capire che un
miliardo e trecento milioni di unità di conto ( 1 U.C. è equivalente a 625 lire) in tre
anni sono una cifra irrisoria in confronto
ai gravi problemi di sviluppo di molte regioni della Comunità. Ma anche se le risorse
fossero ampliate il ~~~d~ non potrebbe co.
munque di per sé garantire uno sviluppo
equilibrato,
si sovrappone, infatti, ad
un complesso di altri strumenti che solo
in parte, e in nessuna misura per il Feoga,
sono orientati in senso regionale e che,
mancando di u n
coordinamento effettuano interventi parziali e frammentari,
senza rispondere ad una visione globale dei
problemi. Gli interventi finanziari, poi, non
possono essere che uno degli strumenti di
una politica di riequilibrio territoriale.
La situazione del Mezzogiorno dopo più
di venticinque anni di intervento straordi-
i
~
dicembre 1976
COMUNI D'EUROPA
nario è una chiara testimonianza del fatto risorse è stata il frutto di lunghi ed esteche fino a quando gli squilibri non sono nuanti negoziati in cui alla più alta dotaconsiderati nel concreto, e non solo nelle zione proposta dalla Commissione e calaffermazioni di principio, come un proble- deggiata dai paesi beneficiari si sono opma « centrale » che deve permeare tutti gli posti i paesi pagatori e in particolare la
indirizzi di politica economica, le risorse Repubblica federale tedesca. La Germania,
erogate non rappresentano che un pallia- anzi, a un certo punto, decretò che il Fontivo, qualcosa che può ritardare le tenden- do avrebbe dovuto essere considerato in
ze alla divaricazione, ma che non risolve ogni caso sperimentale e che non si sarebbe dovuto dar adito a d automatico rini problemi di Fondo.
novo allo scadere del triennio. Non credo
3 - Alla fine del 1977, i primi tre anni di che la questione sarà riproposta in concreto, ma credo che la battaglia per una sosperimentazione del Fondo europeo per
l o sviluppo regionale verranno a sca- stanziale rivalutazione dell'entità del Fondenza. Quali sono a SUO parere, i nodi do, resa tanto più indispensabile dai tagli
del prossimo negoziato per il rinnovo ad essa apportati dall'inflazione (la Come quali le prospettive per una solu- missione calcola che i 500 milioni di U.C.
zione favorevole ad una maggiore inci- stanziati per il '77 dovrebbero essere portati a 750 solo per riacquistare il loro orisività del Foizdo?
ginario valore in termini reali) sarà aspra.
Restando inteso che il Fondo regionale Quali saranno gli esiti di questa battaglia
per quanto migliorato e potenziato non può è difficile' a dirsi: molto dipenderà dal cliche costituire uno degli strumenti della ma anche politico, oltre che economico che
politica regionale e non la politica regio- si affermerà di qui ad un anno.
nale vera e propria e volendo concentrare
Dal punto di vista tecnico credo che i
l'attenzione sui suoi meccanismi di funzio- principali problemi che dovrebbero essere
namento, credo che il punto cruciale del affrontati siano quello del tipo di complenegoziato sarà rappresentato dalla questio- mentarietà del Fondo e del coordinamento
ne dell'entità del Fondo.
con gli altri strumenti finanziari e con le
Come si ricorderà l'attuale dotazione di altre politiche comunitarie.
Le M o n n i e r
p e r la scuola
NICOLA REMINE
GIUSEPPE BUSCEMI
L'EDILIZIA
SCOLASTICA
problemi
-
prospettive
pagg. IV-600
-
-
legislazione
L. 20.000
Il volume si propone di offrire a quanti operano nella scuola e per la scuola
una rassegna, chiara e completa, dei problemi più significativi dell'edilizia scolastica e delle soluzioni legislative che, via via nel tempo, sono state adottate in
questo settore.
In questi ultimi tempi, poi, con l'attivazione delle competenze dell'ente Regione, il discorso sull'edilizia scolastica ha assunto un'ulteriore dimensione: la
definizione e la reciproca delimitazione dei compiti e delle funzioni degli organi
dello Stato, delle Regioni e degli Enti territoriali minori.
CASA
EDITRICE F. LE MONNIER
Via Scipione Ammirato, 100 - 50136 Firenze
a
Per quanto riguarda il primo punto si ricorderà che i regolamenti del Fondo hanno
lasciato libertà agli stati membri di scegliere - nel rispetto, in ogni caso, dell'aggiuntività dell'aiuto comunitario - fra il cumulo di questo e dell'incentivo nazionale
per ogni singolo investimento e I'ampliamento invece del numero degli investimenti finanziati, fermi restando i livelli di incentivazione per progetto. Tutti i paesi hanno praticamente optato per questa seconda
soluzione, conservando così la manovra degli aiuti e beneficiando solo di un potenziamento delle risorse a tal fine disponibili. Già nel libro mi domandavo se, per
rendere il Fondo più operativo e fargli
svolgere un ruolo di inquadramento di progetti nelle politiche e nelle priorità comunitarie, non sarebbe stato il caso di prevedere I'addizionalità dell'aiuto comunitario progetto per progetto. Solo in questo
modo, infatti, è attuabile una reale selezione a livello comunitario, mentre col sistema della redistribuzione dell'aiuto su un
maggior numero di investimenti, i progetti
presentati alla Commissione finiscono per
non essere altro che delle pezze d'appoggio
per I'ottenimento da parte di ogni singolo
stato membro della quota ad esso risenata.
Di questo stesso avviso mi è sembrato
essere il direttore generale della politica
regionale Renato Ruggiero in un suo intervento alla Confindustria del 10 giugno 1976
sulle prospettive del Fondo, anche se poi
la Commissione nella prima relazione annuale sul Fondo europeo di sviluppo regionale ha mostrato invece di propendere per
il sistema fin qui adottato. Il problema
resterebbe comunque quello di far accettare
ai Paesi membri, gelosi delle proprie prerogative, una forma di intervento comunitario che indubbiamente sottrae ad essi spazi
di manovra per trasferirli al livello delle
istituzioni europee.
Per quanto riguarda il coordinamento la
Commissione ha già preso delle iniziative
in tal senso attraverso la creazione di un
gruppo interservizi per il coordinamento degli strumenti finanziari della Comunità, e
di sottogruppi per l'esame delle varie iniziative comunitarie. Si tratta di strutture
organizzative interne molto importanti che
se, evidentemente, non hanno il potere di
cambiare il segno delle politiche comunitarie, possono tuttavia contribuire all'eliminazione di discrasie e contraddizioni di Funzionamento.
Ancor più nettamente in questa direzione si muove una idea di Renato Ruggiero,
manifestata in occasione del già citato incontro alla Confindustria: quella di invitare le istituzioni della Comunità ad unire, per
ogni proposta o decisione, un'analisi delle
conseguenze di tale azione sull'equilibrio territoriale. Contribuendo ad una migliore conoscenza dei problemi questa iniziativa avrebbe, a mio parere un impatto molto rilevante. In sede di deliberazione del Consiglio dei ministri, infatti, di fronte a misure
capaci di produrre effetti negativi sulle regioni più deboli, i paesi d a esse toccati
si troverebbero nelle migliori condizioni per
opporsi o pretendere delle modifiche, mentre ai paesi avvantaggiati sarebbe estremamente difficile difenderle fino in fondo.
Anche queste misure di coordinamento, comunque, per quanto positive non possono
produrre che effetti parziali.
Per affrontare in maniera seria ed inci-
dicembre 1976
siva gli squilibri presenti nella Comunità,
che non sono solo territoriali ma - come
ha messo drammaticamente in evidenza la
congiuntura economica attuale - investono
l'intero campo economico e sociale, occorrono dei chiari indirizzi di programmazione europea con un'articolazione nazionale
e regionale coerenti.
- Nel
suo libro lei dedica un intero capitolo alle regioni. In che senso e in
che misura esse possono svolgere un
ruolo attivo per l'innesto di un meccanismo di sviluppo eqiiilibrato in Europa?
I1 tema del regionalismo viene sempre
più sovente trattato in convegni, dibattiti
e scritti dedicati alla politica regionale: le
regioni e il decentramento tendono ad entrare come elementi di primo piano nella
concezione stessa della politica regionale.
Cionondimeno nell'attuale assetto istituzionale e politico dell'Europa dei Nove i
rapporti centralistici e internazionali risultano di gran lunga prevalenti e all'interno
degli Stati nazionali, nonostante il manifestarsi di diffuse e rilevanti spinte autonomistiche, permangono differenze sostanziali da paese a paese: a situazioni relativamente avanzate - anche se in gran parte
ancora in fase di costruzione - come quella
italiana, si contrappongono situazioni come
quelle francese e inglese, caratterizzate da
una prevalente natura tecnico-amministrativa del potere regionale.
E' mia convinzione che la conquista di
più ampi margini di potere da parte delle
autonomie locali costituisca un problema
politico di primo piano non soltanto per
un approfondimento delle conquiste democratiche ma an&e per una più coerente
impostazione delle scelte economiche e per
una loro più efficace incidenza. Del resto
per comprendere l'importanza del ruolo delle istituzioni regionali e locali per l'impostazione e l'attuazione di adeguati interventi
di riequilibrio, basta considerare i guasti che
il loro mancato coinvolgimento ha prodotto
fino ad ora. E' ormai largamente diffusa
la convinzione che gran parte dei fallimenti delle politiche regionali in Europa si debbono fare risalire proprio all'assenza. o comunque a una presenza troppo poco significativa dei poteri locali.
Il peso politico ed amministrativo degli
enti regionali nella comunità può assumere una grande rilevanza sotto un duplice
aspetto. Anzitu t to le regioni europee potrebbero intervenire ad orientare a monte
il processo di integrazione. Enti regionali
e locali dotati di automia e di poteri reali
hanno infatti tutte le possibilità di contribuire all'innesto di un processo di integrazione in cui la politica regionale non costituisca più qualcosa a latere, un elemento
aggiuntivo, quasi accessorio del meccanismo di sviluppo, ma uno dei suoi elementi
determinanti.
In secondo luogo l'intervento regionale
si rende addirittura imprescindibile a valle, nella fase, cioè, di attuazione delle politiche comunitarie. Spesso i provvedimenti
comunitari non possono che essere generali ed astratti riferendosi a realtà ampie e
variegate quali sono quelle dei nove paesi
della CEE. In molti campi è anzi opportuno
che essi mantengano quei requisiti di elasticità che li rendano adattabili alle varie
realtà territoriali. Ora credo che sia dificil-
4
COMUNI D'EUROPA
mente contestabile l'opportunità che a questa attività di adattamento provvedano non
solo gli stati nazionali, ma anche e soprattutto enti territorialmente meno ampi che,
proprio per le loro dimensioni, sono a più
diretto contatto con i problemi e le esigenze reali delle varie parti del territorio.
Un solo esempio basta a comprendere la
importanza di entrambi gli aspetti del problema trattato. Si è dibattuto molto dentro e
fuori del parlamento italiano circa lo spazio da riservare alla conferenza regionale
nell'attuazione delle direttive comunitarie del
1971 sulle strutture agricole. Come è noto il
tentativo del governo di avocare a sé ogni potere adducendo la riserva di competenza
governativa nel campo dei rapporti inter-
REGIONI
EUROPEE
E SCAMBIO
INEGUALE
VERSO
UNA POLITICA
REGIONALE
DI MARIA VALERIA
AGOSTiNI
S ~ I E T ÀEDITRICE IL MuUNO
nazionali è stato parzialmente battuto e,
seppure nel quadro delle norme dettate
dalla legge 153 del 1975, è stata riconosciuta alle regioni la potestà di legiferare in
merito. Nonostante questo, però, i problemi
restano e sono di rilevanza tale, da richiamare con forza l'attenzione sul primo dei
due aspetti evidenziati.
Le direttive del 1971, privilegiando I'azienda efficiente e tendendo ad accelerare il
processo di emarginazione delle imprese
marginali, non possono non destare serie
preoccupazioni in particolare nel Mezzogiorno ove estremamente precarie se non del
tutto inesistenti si presentano le possibilità
di riassorbimento delle eccedenze di forza
lavoro agricolo da parte dei settori secondario e terziario. Piegare queste direttive
alle esigenze poste dalla concreta situazione attuale è un compito arduo e spropositato per le regioni, dati anche i troppo
ristretti margini loro lasciati dalla 153 e
dalle direttive stesse. Ecco allora il problema spostarsi a monte, al fatto, cioè, che le
regioni non hanno potuto portare il loro
contributo di migliori conoscitrici delle sin-
17
gole realtà concrete né in sede comunitaria
all'atto dell'elaborazione delle direttive, né
in sede nazionale in fase di determinazione
degli indirizzi da far valere dai rappresentanti italiani nel consesso europeo. Se questo fosse avvenuto probabilmente esse non
si troverebbero oggi a dover fare i salti
mortali per non incorrere nelle sanzioni di
non conformità della Comunità e dello Stato
italiano.
5
- Di
fronte all'attuale crisi economica
dell'area capitalistica, come vede la situazione delle regioni meno sviluppate
della Comirtzità? E' da presumere che
se ne esca con una divaricazione degli
squilibri, con un restringimento del divario risultante dal declino delle aree
N forti » o con una ripresa durevole ed
equilibrata che itzvesta anche le aree
periferiche n?
La situazione economica attuale è indubbiamente fonte di grosse difficoltà in ogni
parte del territorio comunitario. Gli stessi
sintomi di ripresa fatti registrare da alcuni
paesi e in particolare dalla Repubblica federale tedesca non sono esenti da elementi
di incertezza che fanno seriamente dubitare sull'innesto di una reale inversione di
tendenze. I tassi di inflazione si mantengono
alti ovunque anche se differenziati da paese a paese; la disoccupazione - specie
giovanile - permane e r i s c h i a di diventare
cronica; la produzione industriale è molto
lontana dall'aver recuperato i ritmi degli
anni precedenti la crisi energetica.
E' certo comunque che i divari economici fra paesi membri e ancor più quelli fra
.regioni forti e regioni deboli della Comunità sono in forte aumento. Basti pensare
alle recenti vicende monetarie che hanno
messo in drammatica evidenza la precarietà del processo di integrazione europea e
basti ricordare il tentativo di Tindemans
di dare un avallo formale alla ripartizione
delllEuropa in aree ricche e povere.
Sono a tutti presenti del resto le conseguenze particolarmente nefaste che un
processo inflazionistico sostenuto e in gran
parte incontrollabile come l'attuale produce sulle strutture delle aree economicamente meno forti. Gli stanziamenti pubblici pluriennali a favore dello sviluppo subiscono
drastiche svalutazioni, le imprese. più deboli e meno efficienti, non riescono ad adeguare tempestivamente i prezzi e possono
incontrare maggiori difficoltà; i redditi delle famiglie appartengono spesso in più larga misura alle categorie meno difese dalle
drastiche decurtazioni di valore reale proprie del processo inflazionistico.
Ai danni dell'inflazione si aggiungono poi
quelli delle indiscriminate misure deflattive adottate con sempre maggior frequenza
dai governi. L'andamento via via più ravvicinato delle politiche di stop and go proprio di questi ultimi anni rischia così di
aggravare ancor più la situazione delle aree
economicamente meno forti e di alimentare le tendenze alla divaricazione degli squilibri già insite nei meccanismi di mercato.
Certo il problema del sottosviluppo e del
declino industriale, oltre ad approfondirsi,
potrebbe nella situazione attuale tendere
ad allargarsi interessando aree che fino
a ieri potevano essere annoverate f r a quelle industrialmente più forti. Per rendersi
conto di questo basta considerare quanto
mettono in evidenza i più recenti dati del
18
commercio internazionale. La divisione internazionale del lavoro fra paesi sviluppati
che ha costituito in gran parte il motore
dello sviluppo sostenuto negli anni '50 e '60
sembra in via di esaurimento mentre per
molli prodotti industriali, già appannaggio
del mondo industrializzato, si va delineando in maniera netta la concorrenza vincente di alcuni paesi in via di sviluppo. D'altra
parte, come ha osservato recentemente « The
Economist », sembra volgere a termine la
« grande èra della crescita commerciale »
all'interno della Comunità, stimolata dalla
riduzione delle tariffe, dato che a la maggior
parte dei benefici della specializzazione sono effetti una tantum della creazione di
un'unione doganale ».
Sembra certo, insomma, che l'Europa
andrà incontro in un prossimo futuro a dei
profondi mutamenti qualitativi nella sua
struttura produttiva, né i tentativi di ritardare il processo attraverso l'adozione di
misure protezionistiche può risolvere i problemi di fondo. Ora l'atteggiamento nei confronti di questi mutamenti può essere duplice. O si resta passivi e si lasciano operare le tendenze spontanee. E in tal caso,
a mio parere, gli adattamenti saranno sicuramente traumatici e costituiranno la fonte di nuovi e più profondi squilibri. O si
interviene attivamente.
In effetti, io credo che la situazione attuale, essendo suscettibile di intaccare anche la parte più dura » dell'organismo comunitario, potrebbe rappresentare un punto di svolta nella concezione della politica
regionale: non più una politica dualistica
e assistenziale, ma la dimensione territoriale della politica economica e delle politiche seltoriali. Anche in certi ambienti comunitari del resto - come testimonia il
rapporto Maldague -, si ha presente l'esigenza di un mutamento sostanziale, di carattere anche qualitativo, dei modelli di sviluppo e degli stessi modi di vita nei paesi
della Comunità.
Le gravi difficoltà di oggi, insomma - se
si affermasse una concreta volontà politica
di ripresa economica duratura ed equilibrata - potrebbero costituire l'occasione per
un ripensamento del processo di integrazione europea e la base per uno sforzo comune
di ristrutturazione industriale e di riequilibrio economico-territoriale.
6 - Ma, proprio in consideraziotie della crisi, quali sono, a suo parere, oggi in
concreto le prospettive politiche per
l'itlstaurazione di una politica regionale ileramente incisiva ed efficace?
Mi dispiace quasi rispondere a questa domanda: è avvilente. dopo aver sostenuto la
presenza in una situazione di crisi dei germi per una svolta positiva, ammettere poi
che non si intravcdono nell'immediato le
condizioni politiche per realizzarla.
In effetti parlare di una efficace ed incisiva politica di riequilibrio a livello comunitario si~nifica dover spostare il discorso
sui progressi nel campo dell'integrazione
eLll.op~a.
R4i sembra di aver già messo in luce
i,i,mt. i risultati f n o ad ora conseguiti nel
~~riinpodell'inteprazione non siano tali da
~,oiiii.:isLare gli squilibri ma tendano, anzi,
: o i n p l ~ ~ s s i ~ ~ a n ~ cadn t ealimentarli. Ora c'è
irii'iilti-a coiisider-alione ovvia da fare: l'in~i:i~ii-:t~ioiie
di un nuovo modello di svilup-
COMUNI D'EUROPA
po comunitario che, nel farsi carico dei vari
problemi evidenziati dalla crisi, si proponga
anche una più razionale ed equa ripartizione territoriale del reddito e della ricchezza, non può prescindere dal superamento
dello stadio dell'unione doganale e dal conseguimento dell'unione economica.
Ora, come è a tutti noto, i passi avanti
in questa direzione sono stati negli ultimi
tempi molto scarsi. Jacques Nagels su « Paese Sera » del 3 luglio 1976 affermava che a
partire dal 1969 il tetto del livello di integrazione tende a raggiungere una soglia minima ... e addirittura ad oltrepassarla n. In
effetti di fronte alla crisi economica, si è
assistito a sempre più frequenti episodi
di ripiegamento dei singoli paesi su se stessi. Gli stessi risultati fin qui conseguiti sono stati messi in discussione: la relativa
certezza dei cambi è saltata con lo sganciamento delllItalia, della Gran Bretagna,
delllIrlanda e successivamente della Francia
dal serpente monetario; le continue svalutazioni di queste monete mettono in difficoltà la politica agricola comune costringendo a frequenti mutamenti dei montanti
compensativi; le misure protezionistiche cui
gli stati sono spesso costretti a far ricorso
(si pensi all'imposta italiana sull'acquisto
di valuta) mettono in discussione la stessa
unione doganale; le politiche congiunturali
sono scoordinate e sempre meno efficaci in
mancanza di un quadro complessivo coerente.
I legami fra squilibri regionali e processo
di integrazione europea d'altronde non sono mai venuti in così drammatica evidenza. Credo si possa affermare con sufficiente
certezza che se si fosse agito in tempo e
con misure adeguate sugli squilibri, oggi
si avrebbero contraccolpi meno violenti e
politiche meno disgreganti, con grossi vantaggi per la stessa integrazione.
In questo quadro tutt'altro che incoraggiante, il solo spiraglio di luce è dato dalla decisione di tenere le elezioni dirette
del Parlamento europeo nel 1978. La decisione è sicuramente di grande importanza
e appare priva di fondamento, nella situazione attuale, la polemica se si dovesse
pensare prima ad un raiforzamento dei poteri del parlamento e solo in seguito alle
sue elezioni dirette. E' evidente infatti che
i partiti democratici potranno ottenere più
facilmente ooteri reali oer il oarlamento
facendone un argomento della campagna
elettorale piuttosto che esercitando pressioni diplomatiche o sottoscrivendo inascoltati
ordini del giorno dell'attuale « innocuo »
Parlamento europeo. Le elezioni rappresentano un importante momento di aggregazione di forze politiche al di là delle frontiere nazionali (sono già in corso di elaborazione programmi comuni) e l'occasione
per un maggior
coinvolgimento dell'opinio.
ne pubblica europea nell'impresa della costruzione comunitaria.
Certo il superamento dell'attuale impasse
passa attraverso il riconoscimento di ampi
poteri a questo organismo e la fondazione
di una Costituente europea che getti le
basi per l'avvio di un diverso modello di
integrazione. Se questo non avverrà in un
lasso di tempo accettabile il rischio è che
il Trattato di Roma - in gran parte superato dalle mutate condizioni economiche,
oltre che politiche - sia sempre più spesso contravvenuto dai paesi membri, e che
delllEuropa unita non resti che l'idea.
dicembre 1976
I1 compromesso europeo
(coritirircazione doll<i pag. 2)
ropea di equilibrato sviluppo ("), un deciso avvio verso le politiche comuni previste
dall'unione economica e una loro attuazione
secondo i bisogni delle regioni più povere;
né l'insipiente governo italiano (ricordiamolo, lo abbiamo detto: l'Italia è un paese
consumatore irrinunciabile per i suoi partn e r ~ ,specie la Germania) chiese una parziale messa in comune delle riserve monetarie europee, almeno in funzione del miglioramento per taluni Paesi ricchi del rapporto fra export e import infracomunitari a
partire dall'instaurazione delll« unione doganale D: ma tese la mano e si fece concedere
dai governi consociati e particolarmente da
un cancelliere tedesco, poco disposto a rispettare la filosofia di Jean Monnet e gli
impegni assunti dal suo Paese, un insignificante fondo regionale comunitario, una cassetta del Mezzogiorno più utile per allenare
le nostre Regioni a un comportamento sovranazionale che a modificarne in concreto il loro livello economico. L'Italia senza dubbio
ha il diritto e la possibilità, formale e sostanziale, di chiedere un nuovo modello di
sviluppo europeo e, come premessa, una
programmazione economica e una pianificazione del territorio contestuali: a cui ci si
può avvicinare senza compiere atti particolarmente rivoluzionari, ma semplicemente
portando avanti le politiche comuni - tutte
le politiche comuni - previste dal Trattato
della CEE, ampliandone in base all'esperienza il ventaglio, coordinandole e realizzandole in base alle esigenze di tutto il territorio
comunitario (cioè di tutte le sue regioni).
Ciò è quanto il CCE e in esso I'AICCE
chiedono da un pezzo; ciò è quanto è stato
ampiamente specificato nel nostro recente
libro
Regioni europee e scambio ineguale ( 5 " ) ; ciò è quanto hanno chiesto i rap))
presentanti delle Regioni italiane nella Conferenza regionale comunitaria svoltasi - su
istanza del Consiglio dei Comuni d'Europa a Parigi tra il 7 e 8 dicembre ( N ... Deve mutare il generale quadro di riferimento e deve avanzare un nuovo progetto di società,
basato su una diversa gerarchia dei consumi, su una differente geografia degli investimenti e su una effettiva programmazione
economica democratica a livello europeo ... »
ecc. ecc.).
Ma dall'altra parte per poter chiedere dignitosamente ed efficacemente tutto ciò, fra
non molto anche insieme agli altri Paesi europei meno sviluppati che entreranno nella
Comunità (Grecia, Portogallo, Spagna democratica), per non parlare delllIrlanda che
già vi è dentro, l'Italia, che fa bene a non
accettare la scandalosa teoria dell'integrazione a due velocità, di cui ha parlato il notaio
-
(*) Articolo 2 del Trattato istitutivo della CEE: a La
Comunità ha i l compilo di promuovere, mediante I'instaurazione di un Mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso dellc attività economiche
nell'insieme della Comunità. un'espansione continua ed
equilibrata, una stabilità accresciuta. un miglioramento
sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano n. Per tutta
questa tematica si veda in a Comuni d'Europa D, gennaio 1974: N I1 fondo regionale: dono o debilo? D.
('*) u Regioni europec e scambio ineguale
verso una
politica regionale comunitaria? s di Maria Valeria Agostini (è il frutto di uno studio condotto in comune
dall'lstituto per gli Affari inlernazionali di Roma e dalI'AICCE - Bologna 1976, Società editrice Il Mulino).
-
dicembre 1976
Tindemans, deve, a sua volta, rendersi credibile e integrabile. Per credibile rimandiamo i nostri lettori a un vecchio articolo uscito nella nostra rivista (nel numero di
marzo 1972) e intitolato emblematicamente « I levantini della Comunità». Senza
ofl'esa per i levantini, il comportamento
delllItalia nell'àmbito della Comunità è il
comportamento classico dei venditori ambulanti e dei mercanti mediorientali di tappeti:
prende i soldi (pochi in verità) e sbaglia i
conti o finge di sbagliarli, non rispetta le regole del giuoco, tenta furtivamente di raggirare i clienti ma in realtà è pigra e non
riesce a curare i suoi interessi, soprattutto
non riesce a darsi una decente organizzazione moderna, vincendo tradizionali, millenarie
costumanze di un popolo povero abituato ad
« arrangiarsi D. Per integrabile non intendiamo certamente riferirci all'integrabilità, cui
spesso fa allusione il rcigiunàtt Helmut
Schmidt, cancelliere della Germania federale: ad avviso di questo signore i ricchi si
possono integrare con i ricchi e i poveri se
ne devono stare con i poveri, al massimo
utilizzando qualche elemosina, concessa loro tanto per evitargli di fare pazzie. No, no
di certo: per integrabile noi intendiamo un
Paese povero ma dignitoso, che sappia darsi un ordinamento civile; che abbia un'amministrazione centrale non risibile come quella italiana; che possieda una anagrafe fiscale organizzata con un minimo di serietà;
che riduca le spaventose zone di parassitismo e riesca, nei limiti del possibile, a commisurare i consumi alla sua capacità di produrre; che sappia far funzionare a scopi di
incremento produttivo i propri istituti di
credito, le proprie banche; che - dal momento che si tratta di un popolo intelligente - organizzi la produzione industriale degli italiani in modo che, Paese come è
di economia di trasformazione, renda il più
elevato possibile il valore aggiunto (e non
il profitto speculativo), al fine di sopperire all'aumento dei costi delle materie prime, che debbono essere importate prevalentemente dal terzo mondo (in testa, ovviamente il petrolio); che sposti i consumi comprimendo la domanda individuale voluttuaria ed espandendo la domanda sociale; che
riduca il costo spaventoso della previdenza
sociale e di tutte le forme di assistenza
pubblica (talché non si possa venire a raccontare che il salario operaio è troppo alto:
se si prende il salario netto esso, sovente,
non raggiunge neanche le medie europee) e
renda adeguati certi servizi, senza i quali
- un esempio per tutti - si spiega perché
le mamme-lavoratrici italiane sembrino le
più deboli d'Europa e quindi bisognevoli di
esoneri dal lavoro ben più lunghi che negli
altri Paesi; che non si vanti delle punte di
organizzazione avanzata » della classe lavoratrice e delle provvidenze ottenute dal momento che l'Italia ha il minor tasso comunitario di popolazione attiva (ufficialmente),
mentre ha la percentuale più alta di lavoro
occulto (nero); che non pianga sull'alta percentuale di disoccupazione quando non riesce
a mettere ordine sul terreno del doppio lavoro; che ha una preoccupante fascia di ceto
medio povero al limite della miseria (si tratta
di milioni di persone), mentre falangi di « lavoratori » con a colletto e cravatta » al servizio dello stato, del parastato e degli enti
locali non conducono un lavoro produttivo e
talora non conducono alcun lavoro (naturalmente ci0 deriva nticlie dall'incapacità
COMUNI D'EUROPA
delle nostre strutture amministrative di re- Comunità non sarà più la somma algebrica
(statica) delle sue componenti, ma vedrà una
cepire sane iniziative ed eventuali tentativi
di cambiare le cose da parte dei più volen- diversa dinamica del tutto e delle parti, e
terosi e coscienti degli stessi colletti bian- un ripiano sovranazionale della ricchezza
chi); che insomma non abbia le vergogne del- prodotta avverrà necessariamente nell'intela nostra urbanistica, dei nostri ospedali, resse generale. Non potrà non esserci, per
della nostra scuola, dei nostri mercati ge- esempio, una politica federale di sovvenzionerali, delle nostre bustarelle, del nostro fin- ne alle scuole e all'istruzione professionale,
to olio d'oliva, del consumo di pesce medi- un consiglio europeo delle ricerche, una larterraneo pescato dai giapponesi. So bene - ga messa in comune del Fnow-how e perfino - per ragioni di politica dell'ambiente
è una vecchia abitudine italiana - che mi
verranno contestate puntigliosamente una - quella imposizione comunitaria dei plus
parte delle cose o r ora richiamate: gli ita- valori di agglomerazione di cui parla partiliani sono fatti così, protestano su bazzeco- colarmente Giovanni Magnifico nella ediziole per K motivi di principio », quando ci stan- ne italiana del suo N European Monetary Unino montagne di cose della più grande impor- fication ». L'inseguimento, in questo contetanza da affrontare in adempimento dei sto, sarà possibile » e utile a tutti.
Ecco: la sola ipotesi delle elezioni europee
normali doveri civili. Bene: l'Italia bizantina
offre la realtà viva di una strada alternatie parolaia non è integrabile nella Comunità
europea non perché è povera, ma perché va, popolare, per la costruzione delllEuropa,
esprime una classe dirigente incapace (per una strada che non passa più esclusivamente attraverso gli uffici e i salotti della diplocarità, anche qui: nella maggior parte, non
tutta!), malgrado le doti indiscutibili del mazia e apre il varco ad onesti compromessuo popolo (dei suoi figli migliori, come si si europei, che dovranno essere portati avanusa dire) e perché, in linea generale, il no- ti, per il bene delllEuropa ma anche del restro Paese - visto dal di fuori - risul- sto del mondo - di cui l'Europa è un eleta come un simpatico coacervo plurifami- mento non certo insignificante, anche se essa non è più l'ombelico del mondo -, dal
liare e non una società civile.
Di queste cose italiane ha parlato in buo- fronte democratico europeo: quest'ultimo vena parte l'economista Giorgio Fuà in un pre- drà la convergenza di partiti e di gruppi pozioso libretto, recentemente uscito e ricco litici transnazionali, del movimento europeo
di utili cifre, intitolato «Occupazione e ca- dei sindacati, del movimento europeo delle
pacità produttive: la realtà italiana »: leg- autonomie. Il momento costituente dell'ingiamolo, riflettiamoci, emendiamoci o pro- tegrazione europea è dunque cominciato:
mettiamo (credibilmente) di emendarci.
non si tratta di contemplarlo o di fare proQuando poi gli amici tedeschi, non sapen- nostici, si tratta di trasformarlo in un'aud o come,contraddire alle nostre ragioni d a tentica, pacifica rivoluzione, che crei per il
noi espresse in modo corretto (cioè in un
bene di tutti la nuova società europea.
modo nuovo), ricorressero all'altro espediente di dirci che loro non possono calarsi in
una Comunità europea sovranazionale imCOMUNI
D'EUROPA
bavagliata da una « politica economica diriOrgano
delllA.I.C.C.E.
gista », facciamoci una bella risata: dai tempi di Rathenau (di cui un editore italiano
ANNO XXIV - N. 12 DICEMBRE 1976
ha recentemente ristampato « L'economia
nuova m, con una acuta introduzione di Lucio
Villari) fino ad oggi la Germania è il paese
Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI
d'Europa che pianifica di più, in maniera
Redattore capo: EDMONDO PAOLINI
esplicita o sottobanco; e non ci venga pertanto a raccontare che non. può fare onestaE
DIREZIONE,
REDAZIONE
mente in Europa quel che fa con ottimi riAILIILIINISTRAZIONE
6.784.556
Piazza di Trevi, 86 - Roma
sultati e creazione di ricchezza a casa pro6.795.712
pria (la Germania non programma forse il
Indir. telegrafico: Comuneuropa Roma
commercio internazionale addirittura a lungo termine?).
Abbonamento annuo L. 3.500 - AbboCiò premesso, rimane il dubbio, sic r e b ~ t s
namento
annuo estero L. 4.000 - Abstantibus, se questa Italia, meno sviluppata
bonamento
annuo per Enti L. 15.000
degli altri, riuscirà inai a raggiungere il liUna
copia
L. 300 (arretrata L. 600) vello di sviluppo delllEuropa più agiata. In
Abbonamento sostenitore L. 200.000 una interessante recensione sulll«Unità » (del
6 ottobre) del libro di Fuà, intitolata « Un
Abbonamento benemerito L. 400.000.
impossibile inseguimento n, Luciano Barca ci
I versamenti debbono essere effettuaha ricordato che in base alle indicazioni di
ti si41 c / c postale n. 1133749 intestato a:
Fuà, proprio se tutto va bene (velocità quasi « giapponese » di sviluppo), noi potremmo
« Comuni d'Europa, periodico mensile
raggiungere la Francia, quanto a prodotto
Piazza di Trevi, 86 - Roma » (speciinterno per abitante, in un po' più di un
ficaiido la causale del versamento),
quarto di secolo: da qui Barca ne ricava
oppure a mezzo assegno circolare
che noi potremmo raggiungere solamente una
non trasferihile - intestato a
Europa che orienti diversamente il proprio
Comuni
d'Europa ».
modello di produzione e di consumo. I n un
certo senso sono d'accordo con Barca, ma
Aut. Trib. Koma n. 4696 del1'11-6-1955
richiamando quanto ho scritto sopra: cioè
che cambiare il modello di sviluppo europeo
Associato all'USPI
vuol dire darsi - per esprimermi col linUnione Stampa
guaggio della scuola politica di Barca - soPeriodica Italiana
vrastrutture Federali, cioè creare una Comunità politica europea, democratica ma sol l l l J ~ l i ' ~ C R 4 t l A X I CANTINO - ROMA - 1976
prattiitto sovranazionale. In questo caso la
((
-
0
Appello del Movimento Federalista Europeo agli Italiani.
Entro il 1978
elezione europea
moneta europea
governo europeo.
m
Di~endeanche da te ottenere auesti risultati.
Fa sentire la tua voce
al tuo partito o al partito per il quale voti.
Per I'ltalia e giunto il momento della scelta o I'italia in Europa, o a f.ne delle speranze dt fare dell'ltalia n
, paese moderno e civile Questa sce ta riguarda tutt!, nessuno escluso
Con I'elezione europea del 1978 e cio che si puo fare sin da ora per ottenere il migi or risultato possibile tutti sono n causa E bisogna tener presente che l'elezione europea sargun
successo se, e solo se, ciascuno farà quantoè nelle sue possibilità perche l'opera dei partiti, pur essendo necessaria, non è certo sufficiente.
C'e un punto su cui far leva: il programma elettorale europeo dei partiti. E, a patto di chiedere l'essenziale, e di chiederlo in molti, si può riuscire perchè ogni partito temerebbe
di perdere voti se il suo programma non corrispondesse alle aspettative manifestate dagli elettori. D'altra parte, agendo per la formazione di buoni programmi europei, si agisce nel
contempo per garantire I'interesse e la partecipazione degli elettori, per accelerare la trasformazione europea dei partiti, e per sviluppare la tendenza già in atto verso la candidatura
europea delle grandi personalità. Due problemi sono dunque cruciali: l'essenziale in materia di programmi europei. e il modo per far si che siano in molti a chiederlo ai partiti.
Circa il programma europeo, va premesso che il Mercato Comune non puo reggere ancora
oer molto temoo senza una moneta eurooea e un esecutivo eurooeo. Con l'economia
europea del ~ ' e r c a t oComune, le monete dei paesi meno forti sono ccndannate alla debolezza.
E il caso italiano. Tutti sanno che la necessità di difendere la lira obbliga I'ltalia ad una politica
protezionistica che la distacca dall'Europa, anche se nessuno dice apertamente che questa politica
divide I'Europa e riconduce I'ltalia all'impoverimento. Bisogna dunque chiedere un esecutivo
europeo - in pratica un collegamento diretto tra la Commissione della Comunità e il Parlamento europeo e la moneta europea. per togliere di mezzo la causa della divergenza delle politiche nazionali
e consentire il progressivo sviluppo di una politica europea. Circa il modo per far si che siano in molti
a rivolgere questa richiesta ai partiti, e per evitare che pervenga agli stessi partiti una somma disordinata
di richieste particolari che non servirebbe a nulla, il Movimento Federalista Europeo offre agli Italiani
La formazione entro il 1978 di un esecutivo europeo collegato con il Pari suoi servigi. Da più di trent'anni il M.F.E. e alla testa della lotta per l'Europa; e per dimostrare con i fatti
lamento europeo. e capace di aglre, per tradurre in pratica il verdetto dei
che I'Europa non e un interesse di parte ma I'interesse di tutti, non ha mai partecipato alle elezioni
corpo elettorale.
politiche. Per la stessa ragione non parteciperà nemmeno all'elezione europea.
Il M.F.E. può dunque costituire 11 tramite mediante il quale i cittadini di tutte le parti democratiche
La creazione entro i1 1978 di una moneta europea, per sbarrare la strada
possono chiedere al proprio partito, o al partito per il quale votano, di inserire nel loro programma
al ritorno del nazionalismo economico e consentire una giusta e efflcace
un testo
europeo la moneta europea e I'esecutivo europeo. A questo scopo il M.F.E. ha p-posto
che è a disposizione di tutti i cittadini. Offrendo agli Italiani la possibilità di intervenire direttamente nel
politica sociale. regionale, agricola e industriale della Comunita europea
orocesso di formazione del Droaramma eurooeo dei oartiti. il M.F.E. ha fatto il orirno oasso.
Il secondo passo. la vigilanza sulla formazione'di questi programmi, con la possibilità di far
L'adozione di posizioni europee sui principali problemi di politica estera
pesare, anche durante la campagna elettorale europea la minaccia della pubblica denuncia dei partiti
per restituire l'indipendenza all'Europa e garantire il suo contributo alla
che non inserissero nei loro programmi la moneta europea e I'esecutivo europeo, potrà essere
distensione e alla libertà di tutti i popoli.
c o m' ~ i u t asolo se un grande numero di cittadini sosterra l'azione del M.F.E.
L'Europa è la vla della ragione. In questa ora grave, nella quale la ragione sembra di nuovo
travolta, il M.F.E. esorta gli Italiani ad avere fiducia nella rag@%
SAREBBE UN INGANNO SENZA
COPIE DI QUESTO TESTO DA INVIARE Al PARTITI
POSSONO ESSERE RICHIESTEAL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO
Movimento Federalista Europeo
Sezione Italiana
dell'unione Europea dei Federalisti
20135 Milano via San Rocco 20
tel. (02) 573246
Questa pagina e pubblicata nell'interesse degli
Europei che vogliono l'unità dell'Europa.
Essi sono circa 1'80%. ma non hanno mai avuto
sinora, e non avranno fino all'elezione europea,
il potere di stabilire l'indirizzo della politica europea.
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Anno XXIV Numero 12 - renatoserafini.org