© M. Guiducci – Convegno La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale – 8, 9 e 10 novembre 2013
IL “PROGETTO TUTORING”: FARE SCUOLA TRA INTEGRAZIONE E
ANTIDISPERSIONE
Guiducci Martina, insegnante Scuola Secondaria di Primo Grado “Giovanni XXIII”, Castellarano (RE)
Il “Progetto Tutoring”, attivo nella Scuola Secondaria di Primo Grado di Castellarano (RE) da ormai
15 anni, è un progetto antidispersione scolastica, che si rivolge prevalentemente - ma non solo - ai
ragazzi di classe seconda e terza. È un progetto finanziato interamente dall’Amministrazione
Comunale e viene gestito dagli educatori della Cooperativa Koala, che gestisce anche il locale
Centro di aggregazione giovanile.
Il titolo scelto per questo intervento non è casuale: il Tutoring infatti, è un progetto che ha in
mente quei ragazzi per i quali la scuola, se non vuole perderli, ha bisogno di progettare
quotidianamente attività specifiche, perché hanno dei bisogni educativi così speciali per cui la
regolare attività didattica generalmente non funziona. L’idea, però, che sta alla base del nostro
lavoro è che l’integrazione e l’antidispersione nella scuola del primo ciclo (ma in generale nella
scuola dell’obbligo) si possano e si debbano fare “facendo scuola” e cioè attraverso la storia, la
musica, la tecnologia e la matematica. Non si tratta, quindi, di progettare per loro attività
alternative, diverse da quello che si fa in classe: un corso di bricolage o un laboratorio delle
emozioni, un laboratorio teatrale o un percorso di recupero; si tratta piuttosto di creare le
condizioni idonee perché anche loro possano studiare e apprendere. E ciò è possibile attraverso
un percorso di tutoraggio, cioè attraverso la figura (o le figure) di adulti e coetanei che facciano da
mediatori, consapevoli e affascinanti, di conoscenze e di apprendimenti.
Cerchiamo allora di vedere come funziona il progetto.
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Tappa preliminare, fondamentale per la buona riuscita del lavoro, è quella in cui si individuano i
ragazzi da inserire nel progetto; fase che compete naturalmente al consiglio di classe,
preferibilmente all’inizio ma anche in corso d’anno, nel caso in cui qualcuno evidenzi difficoltà.
Passaggio, questo, che non è sempre semplice. Nel nostro Piano dell’Offerta Formativa scriviamo,
infatti, genericamente, che il progetto si rivolge ai “ragazzi in situazione di disagio sociale,
relazionale, comportamentale a rischio di dispersione scolastica”, i cosiddetti “ragazzi in difficoltà”
(e la cui difficoltà diventa spesso anche la nostra), quelli che non sono facili da gestire in classe e
che, ancor di più, è difficile raggiungano il successo scolastico e arrivino a conseguire la licenza.
Come si fa allora a capire chi sono? E come facciamo a scegliere? Chi inseriamo nel progetto?
Innanzitutto ragazzi e ragazze che a scuola spesso non vengono, che fanno assenze frequenti e
saltuarie, e che quindi rischiano di scomparire e smettere di frequentare, senza arrivare al
diploma; quelli per cui alzarsi al mattino è un problema o perché non ne hanno voglia o perché per
loro stare a scuola è davvero difficile.
In secondo luogo, e su un piano diametralmente opposto, ci sono quelli che invece vengono
sempre: la scuola per loro è un rifugio, un’isola felice, un luogo di socializzazione e di benessere,
nel quale si può sfuggire ad una situazione di disagio forte, personale, famigliare, sociale o
economico. La campanella però alla fine suona sempre, a casa ci si deve tornare e qui le condizioni
non favoriscono certo lo studio e non predispongono ad una situazione di successo scolastico.
In entrambi i casi il percorso d’apprendimento non può essere regolare e allora il Tutoring ci viene
in aiuto.
A queste due tipologie di alunni, se ne aggiunge poi un’altra che è formata da quei ragazzi che non
hanno particolari problematiche famigliari, sociali o comportamentali, ma appaiono apatici e
apparentemente indifferenti a tutto e a tutti, totalmente demotivati nei confronti di una scuola
che per loro non ha alcun senso, non perché sia brutta, fatta male o sbagliata, ma perché ormai
hanno scelto così. Per questi ragazzi il successo scolastico non è un obiettivo da raggiungere e
prendere un 4 o un 5 non è un problema: spesso hanno già ripetuto almeno un anno di scuola, di
voti negativi ne hanno presi tanti e credono di non avere ormai quasi nulla da perdere. Se poi sono
intelligenti e dotati, realizzano molto rapidamente che non potremo bocciarli per sempre.
Di fatto non hanno nessun disturbo e nessuna difficoltà di apprendimento, non hanno una
disabilità certificata, non hanno problemi diversi che impediscano loro di studiare e fare i compiti.
Sono quelli per i quali spesso si sente dire che “se volessero ce la potrebbero fare da soli”. Ma il
problema è che di solito non vogliono: non vogliono studiare, non vogliono fare i compiti, non
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vogliono fare nulla. La mancanza di motivazione, allora, diventa a tutti gli effetti una “difficoltà
d’apprendimento” o perlomeno un ostacolo all’apprendimento. Ecco allora qual è il loro bisogno
educativo speciale.
Superata la fase d’individuazione dei ragazzi, si passa alla progettazione delle attività; tappa
altrettanto importante, perché è qui che si decide cosa fare nelle ore del Progetto. Educatori e
insegnanti concordano, infatti, periodicamente le attività da svolgere e gli argomenti da trattare. Il
punto di partenza è sempre il programma, quello che in classe in quel periodo si sta studiando o
quello che di lì a poco verrà introdotto. Le ore del Tutoring, però, sono poche e non si può pensare
in quel tempo così limitato d’imparare tutto: si tratta, quindi, di lavorare nell’ottica
dell’essenzializzazione del programma, individuando all’interno delle discipline i contenuti e le
abilità imprescindibili. D’altra parte i ragazzi hanno bisogno di motivazioni forti, quindi, con quei
contenuti e quelle abilità, è indispensabile costruire un percorso originale, magari inconsueto, non
necessariamente identico a quello svolto in classe. Perché il Tutoring non è un “semplice” progetto
di recupero e se gli obiettivi a breve termine sono le verifiche e le interrogazioni, si tratta, però, nel
lungo periodo di “dar loro uno scopo” e un orientamento. Non si tratta, perciò, di semplificare
quello che si fa in classe (anche perché spesso sono i ragazzi stessi che non ci stanno!): bisogna
fare qualcosa che sia per loro stimolante.
E allora se la classe in quel periodo sta studiando la guerra di Secessione, gli educatori potrebbero
concordare con gli insegnanti un percorso di approfondimento sui Nativi d’America al tempo della
“conquista del West” e sulla vita nelle riserve indiane di oggi (magari da esporre in inglese durante
l’ora di civiltà). Per farlo, bisogna allora cercare informazioni, organizzarle in un discorso logico,
impararle e poi preparare una presentazione da esporre alla classe (preferibilmente utilizzando gli
strumenti che la moderna tecnologia ci offre, perché più congeniali agli stili di apprendimento dei
ragazzi e perché più stimolanti). A questo punto come colonna sonora del nostro repertorio
d’immagini e d’informazioni potremmo mettere “Fiume Sand Creek” di Fabrizio De Andrè, che di
questa storia racconta un episodio importante (che nei manuali di storia della Scuola Secondaria di
Primo Grado in genere non è raccontato) e che potrebbe diventare parte integrante del
programma di musica. Il percorso si configura così anche un percorso interdisciplinare, ricco di
collegamenti e di spunti di ricerca ulteriore e che potrebbe già essere parte del percorso d’esame.
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Ecco, quindi, che nelle ore in cui i ragazzi lavorano con gli educatori devono fare ricerca, leggere,
sottolineare, ripetere… insomma devono studiare e imparare. E devono poi diventare capaci di
esporre ciò che hanno appreso, perché sarà quello che alla fine dovranno fare in classe.
L’ultima fase del percorso (e forse la più importante), infatti, è proprio quella dell’esposizione del
proprio lavoro ai compagni e all’insegnante; tappa importantissima, che educatori ed insegnanti
devono progettare e preparare quasi come fosse una cerimonia o una festa. Perché è il momento
in cui i ragazzi tornano in classe e, una volta tanto, hanno fatto un bel lavoro e sono pronti per
essere interrogati; una volta tanto sono loro quelli più competenti, mentre i compagni - anche i più
bravi e i più studiosi – sono tenuti a stare attenti, ascoltare, prendere appunti e fare domande.
Per fare tutto questo dovranno, quindi, sviluppare una certa abilità di esposizione orale che tanto
importante è non soltanto per la preparazione del colloquio d’esame, ma anche e ancor più per
costruire quella competenza comunicativa che è fondamentale al cittadino di oggi.
Quali sono i punti di forza del progetto?
1) La stretta collaborazione tra docenti ed educatori, perché i ragazzi sperimentino i benefici di
una vera “alleanza educativa”, pensata e costruita per il loro benessere e la loro crescita.
Tutto ciò, in genere, contribuisce a creare una relazione di fiducia, in virtù della quale i ragazzi
comprendono che insegnanti ed educatori, insieme, non si limitano a preoccuparsi di loro ma
se ne occupano davvero.
2) La scelta degli argomenti che, poco alla volta, costruiranno il loro percorso personalizzato di
apprendimento. Argomenti che devono essere stimolanti e interessanti, connessi alle
discipline, ma con un occhio anche alle tematiche legate alla legalità, al benessere, agli stili di
vita a rischio, perché è importante creare situazioni di apprendimento che siano significative
per la costruzione della loro identità di cittadini. Ciò anche nella consapevolezza che per
qualcuno di loro, potrebbero essere le ultime occasioni di conoscenza.
3) L’uso delle nuove tecnologie (presentazioni tradizionali con Power Point, ma anche
utilizzando Prezi o Biteslide con cui si lavora online, video e raccolte fotografiche che facciano
da sfondo a letture espressive, applicazioni educativo-didattiche per tablet e netbook, …). Ciò
innanzitutto perché i nostri ragazzi sono competenti o comunque, quando non lo sono,
apprendono facilmente come usarli e in secondo luogo perché sono utilissime per realizzare
degli elaborati che facciano da supporto nella fase del ritorno in classe e dell’esposizione
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davanti agli insegnanti e (soprattutto) davanti ai compagni di ciò che si è fatto “fuori” e,
soprattutto, di ciò che si è capaci di fare.
4) la scelta di metodologie basate sulla cooperazione e la peer education, in grado di
coinvolgerli attivamente, stimolando la loro curiosità e la loro voglia di apprendere, e di far
emergere le abilità relazionali di alcuni a vantaggio di altri. Il piccolo gruppo può essere
costituito ora da ragazzi del Tutoring di altre o della stessa classe, ora da uno o più compagni
di classe che l’insegnante individua o perché particolarmente competenti o perché
“collaboratori efficaci” o perché ritiene che possano, in quel momento e in quel preciso
contesto, trarre benefici da un percorso educativo di tal genere.
5) Il ritorno in classe con un sapere accresciuto e consolidato, che i ragazzi sono sempre
orgogliosi di avere imparato e desiderosi di condividere con compagni ed insegnanti. Ciò
anche in considerazione del fatto che spesso coincide anche con la possibilità di scrivere un
voto positivo sul proprio libretto.
Il percorso prosegue così fino alla preparazione dell’Esame di Stato, momento forte del Progetto,
durante il quale gli educatori affiancano i ragazzi, sia al mattino a scuola sia nelle ore pomeridiane,
nella preparazione delle prove scritte e della prova orale.
In questi anni il Tutoring ha permesso a tanti di affrontare più serenamente e con maggior profitto
gli anni della scuola media, in una prospettiva d’inclusione scolastica e sociale. E, quando le cose
funzionano, i ragazzi imparano davvero: magari non tutto quello che imparano i loro compagni,
magari non con le stesse modalità e gli stessi tempi, ma comunque imparano, in una logica che
non è quella dello sconto e del condono, ma quella della personalizzazione del percorso
d’apprendimento. La loro promozione, quindi, e il loro Diploma sono assolutamente guadagnati.
Negli ultimi anni, al progetto dentro la scuola media - anzi dentro le scuole medie, perché il
Tutoring è finanziato da tutte le Amministrazioni Comunali del distretto a cui la nostra scuola
appartiene - si è aggiunto anche il “Progetto Ponte: per non perdere la strada”, attivo presso
l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore “P. Gobetti” di Scandiano (RE). Qui, con metodologie
molto simili, gli stessi educatori affiancano i ragazzi durante il primo anno (e in qualche caso anche
nel secondo), cercando di accompagnarli nella difficile fase di passaggio alla Scuola Superiore e di
guidarli verso il Diploma. Negli ultimi anni diversi dei nostri ragazzi hanno scelto questa scuola tra
l’altro anche in virtù della presenza degli educatori e non pochi di loro sono arrivati (o stanno
arrivando) al conseguimento del Diploma di Maturità.
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Per ulteriori informazioni è possibile contattare:
prof.ssa Guiducci Martina: [email protected]
Bussoli Barbara (Coop. Koala): [email protected]
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Martina Guiducci