Anteprima Estratta dall' Appunto di
Archeologia greca
Università : Università Cattolica Milano
Facoltà : LettereFilosofia
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ARTE GRECA
Bejor, Lambrugo, Castoldi
I. L’età protogeometrica e geometrica
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I cosiddetti ‘secoli bui’
Tra la fine del secolo XIII a.C. e circa la metà del XII a.C., il mondo miceneo (la cui cultura si era
sviluppata già dal XVI sec.) subì un evidente declino con un susseguirsi di eventi di varia natura: distruzione diffusa dei palazzi a Micene, Tirinto, Pilo nel Peloponneso, Iolco in Tessaglia e, infine,
sull’Isola di Creta (le cause concomitanti possono ricondursi principalmente a catastrofi naturali e a
ribellioni sociali interne; l’invasione da parte dei Dori in Grecia, ma anche le migrazioni dei
cosiddetti ‘popoli del mare’, sul finire del XII sec., non possiamo ritenerle cause prime di tali
distruzioni, tanto più, pare, relativamente ai Dori, che si fossero inseriti gradualmente dando vita a
forme pacifiche di convivenza), - scomparsa dell’uso della scrittura sillabica ‘Lineare B’, passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro, - mutamenti culturali che si riflettono sui manufatti
artistici (a metà dell’XI comparirà la cultura ‘protogeometrica’), - passaggio dal rito
dell’inumazione a quello dell’incinerazione, - inizio della cosiddetta ‘colonizzazione ionica’ (in
realtà anche euboica e dorica) consistente nel trasferimento e nell’occupazione stabile delle coste
occidentali della penisola anatolica (Isola di Lesbo e antistante costa, a sud di Smirne, isole di Samo
e Chio, isola di Coo e sulla costa di fronte proseguendo sino alla città di Lindo) da parte di gruppi di
Greci, provenienti da aree diverse della Grecia orientale.
Vale ricordare che proprio in questo periodo (tra 1194-1184 a.C., secondo Eratostene e Apollodoro)
si colloca la mitica spedizione acheo-micenese contro Troia, il racconto omerico conferma in più
parti quanto i regni micenei fossero già in quegli anni in balia di profonde convulsioni. Al di là di
tutti questi mutamenti, vi sono comunque, anche significativi episodi di continuità tra la cultura
micenea e quella successiva (=protogeometrica), sia insediativa (= odierna Nichoria in Messenia e
ad Asine in Argolide) che cultuale (= Kalapodi nella Focide, nel santuario di Apollo Maleates
presso Epidauro e, infine, nel santuario di Hermes e Afrodite a Kato Syme Viannou a Creta,
quest’ultimo attivo ininterrottamente dal XVI a.C. fino al IV d.C.).
I primi templi e le prime abitazioni
Tra i tipi architettonici greci il solo edificio sacro si caratterizza fin dalla sua nascita per proprietà di
grandezza, per materiale durevole e pregiato di costruzione, a differenza di quanto avvenne per le
abitazioni civili costruite per lo più con materiali di facile deperimento (ci rimangono, infatti, pochi
resti). Distinguiamo 2 differenti concezioni progettuali a destinazione sacra, corrispondenti l’una
con l’area dorica della Grecia continentale, l’altra con l’area ionica della grecità orientale. Nel
primo caso le soluzioni architettoniche adottate paiono svilupparsi da 2 fondamentali tipologie
planimetriche, il megaron miceneo e l’oikos. Il megaron è un edificio a pianta rettangolare con
terminazione ad abside (deriva la sua forma dalla sala micenea), eventualmente divisa in 2/3 navate
da file di colonne, all’interno del quale l’anax (signore) si mostrava ed era possibile sacrificare e
consumare pasti vicino al trono. La forma più consueta e diffusa (almeno fino al sec. VII a.C.) fu,
comunque, quella più modesta dell’oikos (comune tipologia abitativa), con eventuale vestibolo ad
ante, naiskos, ambiente quadrangolare di piccole dimensioni, absidato o normale di cui tra l’altro ci
sono pervenuti numerosi modellini in terracotta e pietra che ce ne fanno apprezzare meglio l’aspetto
(es. fig. 1.8, Heraion di Argo). Concludendo possiamo affermare che in area dorica il tempio
ricalca, nelle sue più antiche forme, il modello della casa, sia nel tipo più spettacolare del megaron
rettangolare allungato, sia in quello più modesto dell’oikos quadrangolare. [Di notevole importanza
per l’evoluzione delle primitive forme dell’edificio di culto è il cosiddetto Heròon (fig. 1.4)
rinvenuto a Lefkandi (Eubea), databile alla prima metà del sec. X a.C., di pianta rettangolare
allungata con abside, accessibile dal lato corto tramite anticamera. Costruito su una fondazione in
pietre e un tetto a doppio spiovente in canne e paglia, il cui peso era sostenuto, sia da una fila di pali
lungo l’asse centrale, che da un perimetro di pali intorno alla struttura (= probabile precursore della
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peristasi?). Questo era in origine un’abitazione di un re locale che ne divenne successivamente la
sepoltura.]. Nell’area ionica, troviamo influenze dell’Anatolia e il Vicino Oriente, qui l’idea
generatrice è quella di un recinto monumentalizzato che abbraccia uno spazio scoperto per la
teofania (= apparizione sotto forme visibili) del dio (= statua esposta sotto una qualche struttura di
protezione). La più antica testimonianza dell’applicazione di questa concezione architettonica è il
periptero geometrico di 8 x 4 colonne dell’Artemision di Efeso (fig. 1.9, I), che con una peristasi
lignea, avvolge il recinto nel quale viene eretto un tabernacolo a protezione dell’agalma (=
immagine di culto). Il primitivo recinto assume, nell’Heraion di Samo (fig. 1.10), le forme di un
edificio rettangolare molto allungato (= hekatompedon, ovvero lunga 100 piedi), il cui tetto era
sostenuto da una fila centrale di pilastri lignei, vi si accedeva da un lato corto aperto tristilo in antis
(= con 3 colonne tra le ante), la statua di culto era collocata sul fondo leggermente fuori asse per
permetterne la visione nonostante la presenza dei pilastri. In generale fin dal secolo VIII a.C. si
afferma presso i Greci l’esigenza di delimitare un’area nella quale la presenza della divinità si
espliciti concretamente tramite la statua di culto.
Come abbiamo già accennato, la tipica casa consiste, invece, in un ambiente quadrangolare
monovano (oikos) piuttosto modesto (15/20 mq) privo di suddivisioni interne, con probabili tettoie
o cortili esterni (fig. 1.11). Per famiglie più numerose o gruppi di famiglie la casa segue, invece, il
modello del megaron miceneo, precedentemente illustrato. Le case o si basavano direttamente su un
banco di roccia scavato oppure si ergevano su muretti di ciottoli e pietre. L’antica Smirne ha
restituito case di forme sia ovale che rettangolare (età geometrica), mentre a Emporio (Chio) le
abitazioni consistono, per la solita età geometrica, per lo più di oikoi quadrangolari. Le piante delle
due città non dispongono di impianti urbanistici regolari (a Smirne le case sono più agglomerate, a
Emporio più sparse), come invece poteva disporne un insediamento di tipo coloniale quale fu, ad
esempio, Megara Iblea (Sicilia), qui il territorio venne suddiviso in lotti uguali, le case
quadrangolari di simile ampiezza disposte regolarmente. Col passare del tempo, per rispondere a
maggiori esigenze pratiche, le abitazioni si fecero più grandi, vennero costruite accostando i vari
ambienti, spesso non comunicanti tra loro, bensì tramite un corridoio trasversale cinto da un muro,
detto pastàs (fig. 1.17), questo tipo di costruzione si completava con un cortile antistante chiuso da
muri.
La ceramica
1) Stile protogeometrico (PG): 1050-900 a.C.
2) Stile geometrico antico (GA): 900-850 a.C.
3) Stile geometrico medio (GM): 850-760/750 a.C.
4) Stile geometrico tardo (GT): 760/750-700 a.C.
La datazione delle ceramiche protogeometriche e geometriche si basa sulla successione dei reperti
rinvenuti nella necropoli ateniese del Dypilon (la Bottega del Dypilon, inizia la sua attività intorno
al 760 a.C., trae il nome dalla vicina omonima necropoli), che insieme ad altri centri attici, continua
a costituire la sequenza più completa.
1) Atene in questo periodo effettua molte esportazioni (nel Golfo Corinzio e Saronico, sulle Cicladi
a Delo, Sifno, Thera, nel Dodecaneso a Rodi e Coo), il suo tipo di ceramica (soprattutto anfore a
collo distinto, oinochoai, crateri e skyphoi) non presenta una cesura netta con la facies precedente
submicenea. Accanto a motivi micenei come la linea ondulata, l’ornato si compone di larghe bande,
ritmi di linee sottili, triangoli campiti a reticolo, losanghe, scacchiere, semicerchi e cerchi
concentrici, dipinti con un pennello multiplo montato su compasso (fig. 1.22 e 1.21), queste
decorazioni seguono l’anatomia del vaso.
2) In questo periodo si ha la ripresa dei contatti con il Vicino Oriente, la decorazione delle
ceramiche, di ritmo e ispirazione pienamente geometrici, si dispone per fregi orizzontali sovrapposti
a scandire la dinamica del vaso, con un netto prevalere degli elementi rettilinei e obliqui (zig-zag,
meandri, clessidre) e un progressivo scomparire delle forme tracciate a compasso (di questo
strumento, spesso, viene ritrovato sulla superficie del vaso il foro di appoggio), persistono, come
nella fase precedente, le ampie superfici semplicemente campite di nero (fig. 1.23).
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3) Adesso l’ordito geometrico va piano piano estendendosi all’intera superficie e per la prima volta
iniziano a comparire le raffigurazioni di animali (fig. 1.24) e successivamente di uomini resi a
silhouette. I vasi, soprattutto quelli funerari, si fanno monumentali e ha notevole successo la pisside
a scatola bassa, il cui coperchio è spesso dotato di impugnatura plastica con forme di cavallini fittili
(fig. 1.25). Di straordinaria qualità è lo skyphos di Eleusi (fig. 1.27, 2 le scene raffigurate: lo sbarco
di una nave, uno scontro tra uomini).
4) L’enorme produzione di ceramiche permette di individuare, ora, diversi gruppi stilistici, botteghe
e pittori, attivi ad Atene negli ultimi decenni del VIII sec. a.C. (anche se quasi nessuno si firma,
ricordiamo che le prime iscrizioni greche, a noi pervenute, appartengono a questo secolo; fig. 1.3,
‘coppa di Nestore’, con una delle prime iscrizioni greche, rinvenuta a Pitecusa). La decorazione
geometrica si espande a occupare tutta la superficie del vaso, si moltiplicano le scene inquadrate in
metope, oppure disposte per fregi sovrapposti. Si ritraggono scene di carattere narrativo (ispirate
agli eroi dell’Iliade e dell’Odissea), soprattutto episodi funebri con l’esposizione (prothesis, es. fig.
1.28, attribuito al pittore del Dypilon) o il trasporto del defunto (ekphorà, fig. 1.29, qui al compianto
partecipa l’intera comunità). In una fase più avanzata del GT l’armonia si stempera in un
progressivo dissolversi dei rigidi schemi geometrici, il segno è meno preciso, la figura umana e
animale assumono contorni più pesanti meno netti, le scene risultano più confuse, inoltre, si
adottano forme plastiche (soprattutto serpenti) applicate sul labbro, sulla spalla o sulle anse (fig.
1.30). Ad Atene si affianca ora la produzione di ceramiche corinzie (esporta in Magna Grecia,
Sicilia), che manca della vivacità narrativa di quella ateniese (fig. 1.18); produzioni si hanno anche
in Beozia (che risente molto l’influsso ateniese), nelle Cicladi e nell’Eubea, ove si prediligono
ornati curvilinei e figure di animali (fig. 1.19).
L’arte del vasaio: argille e tornio. Il colore dell’argilla dipende dalla natura geologica del terreno di
estrazione: argilla corinzia è molto chiara dai toni verdi, giallognoli, quella attica è rossa, quella
dell’Asia Minore color cuoio. A una prima fase di pulitura della massa argillosa, segue l’operazione
della decantazione (= l’argilla sciolta in acqua, le particelle più pesanti vanno a fondo, i corpi da
scartare salgono in superficie), successivamente l’argilla depurata si mescola con sabbia e chamotte
(= cocci di argilla cotti e macinati) per ottenere una sgrassatura e migliorare la cottura. Quindi
l’argilla può essere ora plasmata o al tornio o a mano, essiccata, rifinita con l’applicazione delle
anse (a volte anche piedi e orli) prodotte separatamente. Le fasi conclusive: lisciatura del vaso con
un cencio di pelle e decorazione pittorica. Pinax (=tavoletta) fittile corinzia, VI sec. a.C., fig. 1.31,
1.32, ove sono riprodotte scene raffiguranti la lavorazione dell’argilla.
La piccola plastica
In età protogeometrica si sviluppano anche produzioni di figure di animali fittili (la decorazione è la
stessa che compare sui vasi), probabilmente oggetti votivi, fig. 1.33 cervo del sec. X a.C. da Atene e
fig. 1.34, centauro di Lefkandi tra PG e GA. Nella prima metà del VIII a.C. diventeranno numerosi i
tripodi bronzei (= utensile creato alla fine dell’epoca micenea come contenitore per bollire carni,
ora costituisce un monumentale dono votivo) fig. 1.35. Ricca sarà anche la produzione di piccole
figure di uomini (es. fig. 1.39 l’auriga di Olimpia, fig. 1.41 il bronzetto dell’Acropoli, qui al posto
del rigidismo della concezione geometrica si fanno strada forme più fluide, il movimento pare
appena liberato, il capo non è più frontale ma sollevato lievemente e spostato verso sinistra, ci sono
cenni percettibili delle articolazioni tra gli arti, databile agli ultimi decenni del VIII) e di cavallini in
bronzo (fig. 1.37), questi ultimi costituivano un importante status symbol per la classe aristocratica,
le forme e le proporzioni ricalcano quelle dipinte sulle coeve ceramiche. I centri più fiorenti cui
fanno capo queste produzioni di microplastica sono principalmente: Atene, Argo, Corinto, Sparta e
altri centri del Peloponneso e della Grecia centrale. La microplastica sarà prodotta non solo in
bronzo ma anche in avorio (fig. 1.42, dal Dypilon).
II. L’età orientalizzante
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Fino a una fase avanzata del Geometrico Tardo le importazioni dall’Oriente non avevano affatto
indebolito né destrutturato il sistema culturale geometrico. In Grecia alla fine del secolo VIII a.C. e
inizio del VII aumenta notevolmente l’afflusso di manufatti siro-fenici, ittiti, aramaici, assiri,
iranici, inoltre, mercanti greci iniziano a frequentare assiduamente lo scalo di Al- Mina nella valle
dell’Oronte e l’emporio di Naucrati sul delta del Nilo (qui gruppi di greci si stanziarono
stabilmente). Contemporaneamente avvenne l’intensa diaspora verso Occidente di famiglie orientali
in fuga dalla pressione assira, soprattutto dal IX al VII secolo a.C., cosicché nuove tecniche, nuove
mode e nuovi linguaggi iconografici penetrarono nel mondo greco (le città greche di area ionica ed
eolica saranno quelle maggiormente influenzate, meno lo sarà Atene), ad esempio, numerosi
soggetti tematici nuovi come le sirene, i grifoni, i centauri, le sfingi, le gorgoni fecero le prime
apparizioni sulle ceramiche (fig. 2.2, 2.3, 2.4). Intorno alla metà del secolo VII a.C. il processo di
assimilazione può dirsi completato: la brutalità e la mostruosità delle prime raffigurazioni vengono
gradualmente placate e rielaborate, gli esseri feroci e mostruosi sono ricomposti in pacate teorie di
animali selvatici e domestici insieme; la tempestosità espressiva della prima metà del secolo VII
a.C. si trasforma, quindi, in organicità compositiva e in potenza figurativa. Tra la fine del VIII e
l’intero VII secolo a.C. vanno attuandosi, nel mondo greco, tre fondamentali fenomeni:
l’intensificarsi della colonizzazione (principalmente nel Mar Nero, nell’Italia meridionale e nella
Sicilia), l’avvento di legislatori e quello, invece, dei tiranni. Questi cambiamenti sono conseguenze
dirette dell’avvenuta crisi all’interno dei ceti dell’aristocrazia terriera e al rafforzarsi del potere
economico di gruppi sociali nuovi, ad esempio quello degli artigiani, dei mercanti o dei marinai.
Dall’interno della stessa classe aristocratica emergeranno le prime figure di legislatori (periodo,
questo, in cui nascerà e si consoliderà la costituzione spartana). Le leggi vengono ora messe per
iscritto, significando così una più vasta alfabetizzazione. All’opposto vanno formandosi le prime
tirannidi, le principali del secolo VII a.C. sono quelle delle città istmiche (Corinto, Sicione, Megara)
e delle città ioniche (Mileto, Efeso, Mitilene sull’isola di Lesbo).
Sviluppi del tempio
Il legno verrà sempre più frequentemente sostituito dalla pietra. La tradizione letteraria assegna a
maestranze di area corinzia, intorno al 680 a.C., il merito dell’introduzione della tecnica di
copertura a tegole fittili. L’orditura di tetti, con copertura in tegole, rese più solidi e più duraturi gli
edifici, ma impose anche una differente inclinazione del tetto che per ragioni statiche non poteva
superare 33-25%, si rese, perciò, necessario ripartirne il carico sulla peristasi esterna e su una o più
file di pali di sostegno interni al naòs.
Gli sviluppi nel Peloponneso
Nel secolo VII a.C. la Grecia peloponnesiaca continua a svolgere un ruolo attivo nello sviluppo
dell’architettura templare di matrice dorica. L’Heraion di Argo è citato da Vitruvio come l’edificio
originario dei Dori; attualmente, datandosi agli inizi del secolo VII a.C., è il più antico dei templi
peloponnesiaci con peristasi (5 o 6 x 14 colonne). Un notevole avanzamento nella definizione
dell’ordine dorico si compie con l’Heraion di Olimpia (fig. 2.6). Esso testimonia la transizione
dall’edificio in legno e mattoni a quello in pietra e, per lo stato di conservazione degli alzati, è utile
punto di osservazione per l’evoluzione della peristasi e della trabeazione. Viene inizialmente (650
a.C. ca.) eretta una cella di 100 piedi, preceduta da un pronao di 20, con due colonne tra le ante
(distilo in antis). Successivamente si aggiunge un opistodomo (=è lo spazio posto dietro la cella,
esso poteva contenere le suppellettili utili al rito e ai sacrifici, era chiuso con cancellate metalliche e
vi potevano accedere solo i sacerdoti. simmetrico al pronao) e una peristasi di 6 x 16 colonne lignee
(il cui numero è cioè pari alla proporzione di 6 : 16 espressa dal rapporto tra larghezza e lunghezza
dello stilobate = piattaforma base delle colonne). Le 40 colonne lignee della peristasi sono poi
gradualmente rimpiazzate, dall’età arcaica fino all’avanzata età romana, da esemplari in calcare, che
consentono dunque di studiare da vicino l’evoluzione delle forme del capitello dorico. Si divide poi
lo spazio della cella in piccole cappelle laterali, isolate da brevi lingue di muro cui si addossano due
file di otto colonne lignee su due piani con capitelli in pietra; al centro del naòs su una base erano le
statue di culto di Zeus e Hera (fig. 2.26). La copertura fittile del tempio (con metope e frontone) era
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caratterizzata da ricca policromia, di cui è splendida prova il grande acroterio a disco in terracotta
dipinta (fig. 2.8). La scansione in pronao, cella e opistodomo diverrà canonica, almeno nell’area
dorica. Il naòs non è più diviso in due navate, bensì in tre (significa piena visibilità dell’agalma). La
trabeazione presenta già il tipico fregio dorico consistente in alternanza di triglifi e metope. I primi,
in coincidenza con le travature terminali del tetto, sono collocati sull’asse delle colonne della
peristasi e sull’asse degli intercolumnii; lo spazio vuoto, che separa un triglifo dall’altro, diviene lo
spazio della lastra della metopa che sarà ora in argilla, ora in bronzo sbalzato (come a Olimpia), ora
in pietra scolpita; la scansione dei triglifi nella trabeazione consente l’inserimento tra una colonna e
l’altra di due metope. Vi troviamo applicati anche i primi accorgimenti per la correzione del
cosiddetto “conflitto angolare”; ossia l’inevitabile spostamento dei triglifi angolari dall’asse delle
colonne al margine del tempio viene progressivamente compensato tramite l’allargamento delle
componenti della trabeazione (soprattutto la prima metopa) o la diminuzione degli interassi agli
angoli (contrazione angolare); l’architettura di età arcaica tenderà a prediligere la prima soluzione;
quella di età classica, la seconda, di esiti più armoniosi. Intorno al 630-625 a.C. fu edificato anche il
tempio periptero di Apollo a Thermos (fig. 1.6). Il tempio è senza pronao, ma con un opistodomo
molto profondo; la cella in mattoni crudi è ancora divisa in due navate da un colonnato assiale. La
peristasi di 5 x 15 colonne lignee su tamburi di pietra regge una trabeazione lignea e un fregio
dorico inglobante metope fittili dipinte con immagini mitiche (fig. 2.9-2.11).
Gli sviluppi nella Ionia
Il vecchio hekatompedon geometrico viene sostituito, intorno alla metà del secolo VII a.C., da un
nuovo edificio, noto come hekatompedon II (fig. 1.10). Qui la cella è circondata da una peristasi di
colonne, sulla facciata un pronao tetrastilo (con quattro colonne). All’interno il primitivo colonnato
centrale è stato abolito a favore di una serie di pali addossati alle pareti del naòs. La decorazione è
di ispirazione orientale e fregi figurativi continui (senza cioè l’alternanza dorica di triglifi e
metope).
La nascita della scultura monumentale
L’Apollo di Mantiklos (fig. 2.14) è chiara espressione della direzione verso cui si evolve la
concezione figurativa greca nel momento di passaggio tra i secoli VIII e VII a.C. Diversamente
dall’Auriga di Olimpia (fig. 1.39) e dal guerriero dell’Acropoli di Atene (fig. 1.41), l’Apollo di
Mantiklos ha abbandonato la forma del nucleo piatto ritagliato dallo spazio circostante per un più
accentuato potenziamento delle singole masse dei pettorali, dell’addome, dei glutei, delle cosce. Un
solco verticale infatti attraversa l’intera figura e costituisce il discrimine rispetto al quale vengono
assemblate le varie parti anatomiche. Questa espressione della forma dell’essere come addizione
assiale di volumi è alla base della scultura dei secoli VII e VI a.C.; è il punto di partenza per la
costruzione di figure a grandezza naturale e quindi per la nascita e lo sviluppo della scultura
monumentale greca a tutto tondo (inizialmente soprattutto a Creta e sulle isole Cicladi, con statue in
pietra e marmo). All’origine della scultura monumentale in pietra, in legno e in altri materiali i
Greci ponevano Dedalo di Creta. La tradizione omerica lo descrive come: architetto, ideatore del
famoso labirinto di Creta (e delle ali artificiali con le quali riuscì, secondo la leggenda, a fuggire da
Creta con suo figlio Icaro), scultore, inventore di molti utensili e strumenti da lavoro, ma in realtà
non abbiamo notizie storiche che ci confermino la sua esistenza. Nei primi decenni del VI sec. a.C.,
comunque, compaiono le prime firme degli artisti sui vasi (es.: Euthykartidas di Nasso che fece e
dedicò all’Apollo di Delo una statua raffigurante un giovinetto oppure Polymedes argivo che firmò
a Delfi la coppia di giovani noti come Kleobis e Biton, fig. 3.32).
Delo. Posizionata al centro delle isole Cicladi, a metà strada tra la Grecia continentale e la costa
ionica. Il mito della sua fondazione vuole che Hera, furente per essere stata tradita da Zeus che
aveva giaciuto con Latona, ordinò al serpente Pitone di inseguire quest’ultima ovunque in modo da
impedirle di partorire. Tutte le terre, infatti, intimorite da Hera, non vollero ospitarla, soltanto Delo
(= ‘adelos’= ‘l’invisibile’, era un isolotto che vagabondava per tutto il Mediterraneo
sommergendosi e riemergendo continuamente dal pelo dell’acqua) la ospitò. Così Latona dette alla
luce i due gemelli: Apollo e Artemide. Da allora l’isola si fissò in fondo al mare e si chiamò Delos
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