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Fonti, interpretaz. ed efficacia del dir . del lnv.
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a\' eu ti efficacia forma le di legge, in quanto contenute appunto
in un decreto legislativo.
Un grave problema di costituzionalità si pone però a proposito della legge 14 luglio 1959. Nella relazione della maggioranza della Commissione parlamentare che ha accompagnato il
disegno di legge alla Camera dei deputati, è stata posta in rilievo
la circostanza che le leggi delegate non avrebbero dichiarato
obbligatorie nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie
interessate le clausole contenute in ciascun contratto collettivo ,
ma avrebbero esse stesse fissato i trattamenti minimi e li avrebbero resi generalmente obbligatori. Non si sarebbe, quindi,
trattato di una legge di attuazione dell'art. 39, di una legge
cioè che desse efficacia obbligatoria ai contratti collettivi con un
sistema diverso da quello previsto dall ' articolo in questione,
anche se il governo, nell'emanazione delle norme è tenuto ad
« uniformarsi » alle singole clausole degli accordi e dei contratti.
Si sarebbe trattato di una autonoma disciplina che restava al
di fuori dell 'art. 39 e che tendeva ad assicurare ai lavoratori eque
condizioni di lavoro ed un trattamento economico minimo , in
base alle norm e degli art. 3, 35 e 36 della Costituzione. Nello
stesso senso si era già espressa del resto anche la relazione
ministeriale.
Ma , a nostro parere, con considerazioni del genere non
viene superata la grave questione di legittimità costituzionale,
che non è di ordine puramente formale, o peggio formalistico
come sembra ritenere la relazione. Che la legge delegata dichiari
obbligatorio erga omnes il contratto collettivo, ovvero riproduca essa stessa tutte le norme del contratto (e ciò, si noti bene,
non incidentalmente o casualmente ma nell' adempimento di un
preciso obbligo giut·idico derivante dalla legge di delega), è dal
punto di vista sostanziale - e non solo da tale punto di vista la stessa cosa. E se si tiene conto che questa recezione nella legge
delle norme contrattuali deve aver luogo « per tutte le categori e
per le quali risultino stipulati accordi economici e contratti col lettivi» (art. 2), non si vede davvero come si possa negare che,
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attraverso il sistema indicato, si vuole raggiungere la finalità
stabilita dall'art . 39 con mezzi essenzialmente diversi da quelH
previsti da detto articolo.
D'altra parte anche si si può convenire con la relazione
parlamentare nel ritenere che la competenza attribuita dall'articolo 39 ai sindacati , di stipulare contratti collettivi con efficacia
generale, non ha tolto al legislatore ordinario la potestà di
porre direttamente norme legislative in materia di disciplina di
rapporti di lavoro anche per singole categorie, è certo che nello
spirito della nostra Costituzione, e in conformità di quello che
avviene in tutti gli ordinamenti moderni, la determinazione di
questi aspetti del rapporto , soprattutto di quelli patrimoniali,
deve essere lasciata alrautonomia sindacale, in quanto i sindacati sono ritenuti i soggetti più indicati per realizza re, sotto
questo profilo, una autotutela di categoria , nel rispetto di interessi più generali tutelati direttamente dalla legge. Un interven to del legislatore in questioni sp ecifiche di categoria dovrebbe
avvenire solo in casi eccezionali, ad es. nel caso di mancanza
di associazioni sindacali per una determinata categoria. Nella
specie non si può certo considerare come una situazione eccezionale la mancata attuazione dell'art. 39, determinata essenzialmente da inazione del governo e del Parlamento. D' altra
parte il sistema prescelto , applicato a tutte le categorie, trasforma in regola quello che se mai avrebbe dovuto essere solo
una eccezione. Anche in questioni di ordine giuridico, il dato
sostanziale ha la sua importanza per qualificare una situazione.
A queste e ad altre considerazioni che fanno seriamente
dubitare della costituzionalità della legge 14 luglio 1959, n. 714,
sono da aggiungere gli inconvenienti - del resto facilmente
previsti - derivanti dalla sua applicazione nello stesso campo
sindacale, a causa della impossibilità di modificare successivamente, senza l'intervento di altri atti aventi efficacia di legge
fo rmale, le disposizioni dei vari decreti legislativi. Invero,
trascorso il periodo di valore della delega legislativa, e ferma
l 'efficacia delle norme già emanate, ogni nuova disciplina dei
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rapporti di lavoro potrà essere attuata solo attraverso la contrat·
tazione collettiva, priva peraltro di efficacia general e. Con la
conseguenze che o si dovrà prorogare la validità della delega
come già si è fatto una volta (legge l " ottobre 1960 n. 1027) e
come sembra si voglia ancora fare ( ma con ciò si sottolineerà
maggiormente l 'incostituzionalità del provvedimento) o si man·
terranno in vigore le norme delegate che fissano dei mi nimi
superati da quelli contrattuali e saranno così venute meno alla
loro fin alità essenziale.
Si aggiunga a ciò il modo , che non esitiamo a dichiarare
aberrante, con il quale il governo ha fatto uso dei poteri delegati esimendosi persino dal compiere quell'accertamento della
conformità delle disposizioni contrattuali alle norme imperative
di legge, pur espressamen te imposta dall'art. 5 della legge 14
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luglio 1959. Sicchè sono state dichiarate obbligatorie tutte le
norme contenute nei vari contratti, e si è lasciato al cittadino
di sollevare nel corso di un eventuale giudizio l a questione di
costituzionalità nei confronti di una o più di dette nonne, con
quali conseguenze in ordine alla certezza dei testi legislativi
e degli obblighi , da essi derivanti , è facile immaginare.
La questione si sarebbe presentata diversamente se la delega
legislativa fosse stata concessa come norma di carattere realmente
transitorio , in una legge di attuazione dell'art. 39. In tale caso,
infatti, essa avrebbe avuto la funzione di dare una sistemazione
formale all 'or.dinamento contrattuale esi stente, senza dover ri correre ad una nuova stipulazione di tutti i contratti già in
vigore. Ma in assenza della disciplina generale dell'art. 39,
la qualifica di « transitoria » attribuita nel titolo alle norme della
legge di delega è un puro artifizio che non ne elimina la illegittimità.
43. Fonti non scritte. - Per quanto concerne le fonti non
~r.ritte, osserveremo che le consuetudini (o usi), le quali presentarono in altri tempi un rilievo ed un 'importanza particolare ai
fini della disciplina dei rapporti di lavoro , hanno ormai una
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sfera di applicazione notevolmente limitata dopo l'attuazione
della disciplina legislativa dell'impiego privato e della r egolamentazione collettiva intersindacale. Legge sull 'impiego privato
e contratti collettivi hanno del resto tradotto in norme scritte
la maggioranza delle norme consuetudinarie in precedenza esistenti.
Ad ogni modo il Codice civile non manca di richiamarsi
spesse volte agli usi, nei casi di assenza di norme di legge e di
contratto collettivo(''· ad es. artt. 2109 , 2110, 2118, 2120, etc.).
Gli usi più favorevoli ai lavoratori prevalgono in ogni caso sulle
norme dispositive di legge (non su quelle aventi carattere imperativo); non prevalgono invece sui contratti individuali di lavoro
(articolo 2078).
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I regolamenti di azienda o di fabbrica e loro esclusione
dal sistema delle fonti. - Non costituisce fonte del diritto d ei
lavoro il regolamento di azienda o di fa bbrica che, generalmente al di fuori di ogni forma lità, ogni datore di lavoro può
adottare p er fi ssare alcune regole generali di condotta nonchè
i doveri e i diritti più importanti dei propri dipendenti (orario
di entrata e di uscita dal luogo di lavoro, riposi, turni , obblighi
particolari di azienda etc.). In qualche caso l'adozione di . un
r egolamento del genere è obbligatoria: così nelle miniere o cave
ove siano addetti più di 50 operai o che presentino particolari
pericoli deve essere redatto un « r egolamento interno)), sottoposto all 'approvazione d eli 'ingegnere capo delle miniere e contenente le disposizioni particolari per l 'applicazio ne del decreto
sulla polizia delle miniere (art. 51 D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128).
Molte volte il regolamento di azienda o di fabbrica si limita
a ripetere le norme di legge o di contratto collettivo che maggiormente interessano il comportamento dei lavoratori ; ]a efficacia di tali disposizioni deriva in tal ca o diretlamente dalla
legge o dalla contrattazione collettiva. In tutti gli altri casi il
fondamento e l'efficacia delle disposizioni è essenzialmente contrattuale, discende cioè dallo stesso contratto individuale di
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è membro.
Qu e ti ultimi atti -
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45. Fonti comunitarie e internazionali. -Per completare
la rassegna delle fonti è necessario accennare anche ad alcuni
dei più importanti atti di diritto internazionale che hanno stretta
attinenza con la nostra materia o espressamente la riguardano.
A questo proposito occorre p erò distinguere tra gli atti dei nor·
mali organismi internazionali (ad es. Organizzazione internazionale del lavoro) e gli atti degli organismi comunitari europei
(soprattutto della Comunità economica europea e della Comunità europea del carbone e dell ' acciaio) dei quali il nostro Paese
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lavoro e dall ' obbligo, assunto con esso dal lavoratore, di osser·
vare le istruzioni e le direttive impartite dal datore.
gli atti cioè degli organismi comuni-
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tat·i -- hanno infatti efficacia diretta ed immediata nell'ambito
del nostro ordinamento, il quale risulta così determinalo non
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solo dall e normali fonti di diritto interno , ma anche dalle fonti
comunitari e. Il trattato istitutivo della Comunità economica
europea (Roma , 25 marzo 1957) prevede in proposito l'emanazione di atti obbligatori , quali i regolamenti, le direttive e le
decisioni , e di atti non obbligatori quali le raccomandazioni e
i pareri. I « regolamenti» , anche se hanno la stessa denomina·
zione, sono atti ben diversi dai regolamenti dello Stato: hanno
portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e
sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri
della C.E.E. e, quindi , anche n el nostro. Si possono ricordare,
a questo proposito, i regolamenti n. 3 e 4, relativi alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti; il regolamento n. 9 relativo al Fondo sociale europeo; il regolamento n. 15 concernente
la libera circolazione dei lavoratori. Le «direttive» invece (ed
esempi di direttive si possono citare in materia di libera circo·
lazione dei lavoratori) \'incolano lo Stato membro cui sono
rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla
forma ed ai mezzi. Le «decisioni», infine, sono obbligatorie in
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tutti i loro elementi per i destinatari da esse designati. Raccoman·
dazioni e pareri non sono atti vincolanti. Ciò non significa che
la loro importanza, nel sisteJUa delle fonti, sia trascurabile;
ma si tratterà più che altro di una importanza e di una influenza
indirette.
Nei settori delle industrie carbonifera e siderurgica possono poi venire in rilievo atti della Comunità europea del carbone dell'acciaio (C.E.C.A.). Questa Comunità, e in particolare l 'Alta Autorità che ne è l'organo propulsivo e centrale,
può adottare .decisioni ed emanare raccomandazioni e pareri.
Il valore e l 'effica cia di tali atti sono gli stessi degli analoghi atti
della C.E.E.
Per quanto riguarda invece i normali atti internazionali
(non comunitari), occorre osservare che essi non spiegano una
efficacia diretta nell'ordinamento giuridico interno dei vari Stati
che li hanno sottoscritti, ma costituiscono solo il presupposto per
l'emanazione di appositi provvedimenti legislativi da parte dello
Stato che si è impegnato, nell'ordinamento giuridico interna·
zionale, alla loro concreta e pratica attuazione. Essi costituÌ·
scono quindi delle norme giuridiche c.d. indirette, in quanto in
sè e per sè non presentano efficacia di diritto interno dello Stato,
ma la possono acquistare solo in quanto leggi statali gliela attribuiscono e nei limiti di tale attribuzione.
Per quanto concerne il diritto del lavoro dobbiamo premettere che gli atti relativi possono consistere in trattati di lavoro
gent~rali o ati inenl i ad aspetti particolari della disciplina rei
rapporti di lavoro, stipulati direttamente fra il nostro ed uno
Stato estero, e in raccomandazioni e in convenzioni adottate dalla
conferenza della Organizzazione internazionale del lavoro. La
raccomandazione è un atto mediante il quale la Organizzazione
richiama l'attenzione degli Stati membri su una determinata que·
stione attinente al lavoro c dà loro, in ordine ad es a, un sugge·
rirnento; lo Stato deve sottopor) a ali ' esame dei propri organi
competenti, per la sua eventuale attuazione sotto forma di legge
n azionale o altrimenti. La convenzione viene invece sottoposta
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prevista.
Tra i vari atti di diritto internazionale interessanti la nostra
materia una speciale importanza rivestivano, poi, in alcu ne loro
norme, i trattati di pace stipulati al termine della guerra mon diale 1914-1918 tra le Potenze alleate e associate e gli Imperi
centrali. Di dette norme, che sono raggruppate in una parte distinta nei singoli trattati, può essere ricordato quel complesso
(art. 427 del trattato di Versaglia) che è noto sotto il nome di
Carta interrwzionale del lavoro. Essa fissa alcuni principi, che
tutte le collettività industriali dovrebbero procurare di attuare
in quanto lo permettano le loro circostanze speciali: ad es. l'adozione della giornata di lavoro di otto ore o della settimana di
quarantotto ore, l'adozione di un riposo settimanale di ventiquattro ore, la soppressione del lavoro dei fanciulli c la tutela
del lavoro degli adolescenti , l' istituzione di un servizio di ispezione del lavoro per assicurare l'applicazio ne delle leggi e dei
regolamenti relativi alla protezione dei l avoratori, etc.
Più recentemente gli Stati membri del Consiglio d'Europa
hanno sottoscritto (a Torino, il 18 ottobre 1961) una Carta sociale europea, la quale fissa i principi generali ispiratori dell'azione che gli Stati stessi intendono svolgere nel campo sociale;
tra tali principi assumono particolare rilievo quello del diritto
al lavoro, quello del diritto ad eque con dizioni di lavoro, quello
d i libertà sindacale, quello del diritto all a sicurezza sociale, etc.
La Carta dovrà essere ratificata dagli Stati firmatari. Essa si
pone nei confronti dell'ordinamento int erno come fonte giu ri-
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a1 Membri per la ratifica, e se ratificata, impegna Io Stato ad
attuare nel proprio ordinamento interno la disciplina da essa
dica indiretta.
46. Rapporti tra le varie fonti. - La molteplicità dell e
fonti innanzi considerate induce ad accennare brevemente ai
rapporti che tra le stesse intercorrono. Se si prescinde dalle
norme di diritto internazionale (non comunitarie), la cui efficacia nei confronti dell'ordinamento giuridico interno può manife-
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starsi solamente in via indiretla, detti rapporti possono essere
di supremazia - e correlati vamente di subordinazione - , di
parità e di separazione.
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Rapporti di supremazia si verificano tra la legge formale (e
gli atti aventi efficacia ana loga) e gli altri atti costitutivi dell'ordinamento giuridico. Nella categoria delle leggi , quelle costituzionali prevalgono su quelle ordinarie; nella categoria dei regolamenti quelli adottati con decreto del Capo dello Stato prevalgono su quelli adottati con decreto ministeriale; gli uni e gli
altri su quelli di autorità locali. Inversamente si verificano i
correlativi rapporti di subordinazionc.
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Rapporti di parità abbiamo invece tra leggi in senso formale
c atti governativi forniti di efficacia di legge formal e {decreti
legislativi e decreti legge), nonchè tra regolamenti c tra norme
autonome appartenenti ad una medesima categoria.
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I rapporti di separazione, infine, possono verificarsi: a) tra
le leggi ordinarie dello Stato e i regolamenti dell a Comunità economica europea; b) tra le leggi ordinarie dello Stato e le c.d.
c< leggi» regionali; c) tra r egolamenti dello Stato e norme autonome. In tutti questi casi le sfere di competenza dei soggetti ch e
emanano le norme sono istituzionalmente distinte e separate.
Ne deriva non una supremazia di una fonte sull'altra, ma piuttosto una situazione di indi pendenza di una font e rispetto all'altra.
Una eccezione deve porsi n el caso delle (( direttive » comunitarie. Queste, come sappiamo (n. 45) vincolano lo Stato membro
per quanto riguarda il risultato da raggiunger e, ma lo lasciamo
l'ibero quanto ai mezzi da impiegare per raggi ungerlo. Tali
mezzi, pertanto, siano ess i legislativi o amministtrativi , vengono
a trovarsi sostanzialmeutc in una posizione di subordinazione nei
confronti dell'atto com unitario.
Le considerazioni uesp oste valgono in linea di principio.
In casi particolari può accadere che una norma subordinata
possa formalmente derogare a disposizioni contenute in un atto
apparten ente a categoria superiore. Tale situazione si può verilìcar·e anzitutto nei casi in cui la norma superiore abbia carattere
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Fotui, interprctaz. ed efficacia del dir. del lav.
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meramente disposiùvo; in secondo luogo, e anche in mancanza
di tale carattere, quando la deroga sia espressamente consentita,
in via temporanea o comunque eccezionale, dall'atto formalmente superiore; infine - e tale situazione riguard a appunto
specifLcamente la nostra materia - quando la norma subordinata sia diretta ad attuare una maggiore tutela del lavoratore.
Questo ultimo principio, proprio e caratteristico, del diritto
del lavoro, ci consente di determinare con precisione i rapporti
che nel nostro settore possono intercorrere tra il contratto col lettivo e le varie form e di posizione di norme giuridiche, in particolare la legge e il regolamento. Veramente il problema si pone,
o megli o si poneva nella sua integrità formale solo nei confronti
del contratto collettivo norme giuridica; oggi, venuta a mancare
almeno ~otto un profilo puramente giuridico tale ultima fonte, il
problema p ermane uP-i confronti dei vecchi contratti collettivi
tuttora in vigore ai sen si del D.L.Lgt. 23 novembre 19~4, n. 369;
ma si pone in un certo senso anche nei confron ti dei nuovi
contratti i quali , di fatto se non di diritto , direttamente influisco no !'ni vari istituti di diritlo del lavoro.
Il contratto eoll ettivo può regolare, infatti, anche alcuni
aspetti del rapporto di lavoro che hanno già una propria disciplina legislativa; tali ad es. l'orario di l avoro e il riposo settimanale È ovvio eh~ , dato il carattere cogente delle leggi in questione, il contratlo collettivo non potrà ad esse derogare, nel
sen:-o Ji stabilire un orario di lavoro maggiore di quell o normale
o una riduzione o una soppressione del riposo settimanale; appunto per accertare tale osservanza nel contratto delle norme
di legge era previsto, nel precedente ordin amento , un particolare controllo preventivo, sul contratto stesso, da parte dell ' autorità amministrativa. Ma le norme di diritto del lavoro, già lo
sappiamo, sono dirette acl assicurare un minùnum di tutela al
lavoratore in determinati aspetti del rapporto di lavoro , non ad
instaurare un r egolamento uniforme dei rapporti medesimi;
nulla vieta , quindi, che tale tutela, per disposizione di contratto
collettivo, venga ampliata c perfezionata. Sotto questo partico-
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lare punto di vista il contratto veniva ad assumere - ed assume
anche oggi - una posizione di sostanziale supremazia di fronte
agli stessi regolamenti statali; questi ultimi infatti, a meno che
non siano emanati sulla base di una espressa delegazione legislatitva che attribuisca loro tale facoltà, p ossono dettare norme solo
p er la attuazione delle leggi sociali , quindi entro i limiti da tali
leggi previsti , ma non possono prevedere forme di tutela maggiori, e quindi maggiori oneri pel datore di lavoro , di quelli dalle
leggi stesse discipUnati.
Quanto alle consuetudini esse, se più favorevoli ai lavoratori possono prevalere e già l 'abbiamo visto - sulle norme scritte, legislative e regolamentari, aventi <'aratterc meramente dispositivo (cod. civ. art. 2078).
La semplificazione delle leggi sul lavoro. Il problema
deUa codificazione. - Altri p roblemi , di carattere prevalentemente politico , sorgono a causa della molteplicità delle fonti o,
per essere più precisi, a causa del numero elevato di testi normativi che vengono in rilievo nel sistema del diritto del lavoro. A
questo proposito deve essere ricordato il problema tanto spesso
sottolineato in sede politica, della semplificazione e del coordinamento delle vari e norme e dei vari istituti, che, concepiti e
creati in tempi diversi, ispirati talvolta anche a diverse concezioni p olitiche, per far fronte ad esigenze disparate, continuano
molto spesso a permanere in vigore anche quando la loro funzione è completamente esaurita. Se su l finir e del 1957 la Corte
costituzionale non avesse dichiarato la illegittimità del sistema
dell 'imponibile di mano d 'opera in agricoltura , tale istituto sarebbe ancor oggi vigente, e i prefetti emanerebbero i relativi
decreti di imponibile, sebbene oggi le mano d' opera in agricoltura sia più richiesta che offerta.
Sta di fatto ch e nel settore del lavoro più ampiamente e facilmente si manife La la c.d. iniziativa parlamentare, in una gara
serrata tra i vari partiti , ognuno dei quali , al meno a parole non
vu ole rimaner e indietro agli altri nel campo sociale. Ed è un set·
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tore nel quale ogni governo ritiene di dover intervenire il pm
spesso possibile, per far fronte anche a situazioni del tutto contingenti che potrebbero essere f ronteggiate con altri mezzi. Purtroppo, in questa gara cui prendono parte governi, partiti di
maggioranza e partiti di opposizione, non sono i grandi problemi
sociali che vengono affrontati (quello , ad es. , della disciplina
delle organizzazioni sindacali e dei contratti collettivi, o quello
della riforma della sicurezza sociale, magari in un suo solo
aspetto, qu ello del finanzi amento o quello delle prestazioni) ;
sono generalmen te j problemi di settore, che riescono a carpire,
con il favor e delle circostanze, soluzioni non sempre eque ed opportu ne. Ciò che più preoccupa, è che non sempre si tiene
conto delle co nseguenze che possono derivare da determinate
leggi, conseguenze che possono condurre a risultati completamente opposti a quelli perseguiti. Così tanto per far e un esempio, si è creduto di adottare un provvedimento di ca rattere sociale con lo stabilire l'obbligo della conservazione del posto ai
lavoratori chiamati alle armi per compiere il servizio di leva
(D.L. 13 settembre 1946, n. 303) ; e non si è tenuto conto del
fatto che un giovane che ha appena terminato il servizio militare, se volenteroso e capace (se incapace c svogliato non merita
certo una particolare tutela), costituisce l 'elemento piit richiesto
dai datori di lavoro, sicchè, nella assoluta maggioranza dei casi,
la conservazione del posto non gli apporta alcun sostanziale vantaggio; mentre l' obbligo di conservare il posto ad un elemento
di cui ancora non si conoscono qualità e capacità fa sì che i
datori di lavoro siano in genere restii ad assumere giovani che
non abbiano ancora compiuto il servizio di leva; il che certo non
rappresenta, dal punto di vista sociale, un risultato positivo. Per
contro non si è pensato di stabilire l 'obbligo della conservazione
del posto per gli operai (per gli impiegati la disposizione esiste
e il diverso trattamento non si giustifica) richiamati all e armi; e
qui invece la norma sarebbe stata opportuna in quanto il richiamo , a differenza del ervizio di leva che è per tutti obbligatorio ,
è un evento che può colpire solo alcuni lìo~getti, i quali vengono
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così a trovarsi in una s i~u az i one meno favorevole dei propri colleghi, non richiamati; non solo, ma è un evento che può colpire
elementi non più giovani, aventi generalmente famiglia a carico,
e che per tanto meriterebbero un trattamento particolare. Così
pure non si è ancora discipli nata legislativamente l ' attività dei
lavoratori dirigenti sindacali, non si è data ad essi, sul piano legislativo, alcuna garanzia n ei confronti dei licenziamen ti o dei
trasferim enti per rappresaglia, e si è creata e mantenuta così
una situazione non certo favorevo le ad un regolare adempimento ,
da parte di molti dirigenti sindaca li, delle loro funzioni.
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Non è il caso, ad ogni modo, di insistere in considerazioni
del gen er e che, r iguardando in un certo senso la poli tica legislativa, ci farebb ero oltrepassar e i limiti del nostro corso. È solo
sufficiente sottolineare l'esistenza , nella sovrabbondanza delle
norme legislative e contrattuali, di gravi lacune che attendono da
tempo di essere colmate. Per tornare, poi, al problema della
semplificazione legislativa, è opportuno ricordare che da più
parti è stata prospettata, anche di recente, la necessità di proceder e all a elaborazione di un vero e proprio codice del lavoro.
L ' idea non è, a nostro parer e, attuabile. La instabilità estrema
dell a materia, il variare delle disposizioni , la necessità politica
di fa r fronte continuamente, con nuove norme, a situazioni anch e contingenti , la necessità di adattare le disposizioni generali
all e esigenze dei vari settori produttivi (onde le leggi sul lavoro
sono generalmente caratterizzate dall'affermazione di un principio, al quale immediatamente vengono recate molteplici eccezioni , che alla lor volta sono limitate da ulteriori eccezioni), tutto
ciò impedisce che si possa pensare seriamente a una t·era codifi·
cazione, per la qua le la sta bilità della disciplina giuridica e la
generalità del campo di applicazione costitui scono presuppo·
sti imprescindibili. Nè è da p ensa re che una codificazione p ossa
di p er sè opporre una remora a modificazioni di dettaglio e non
ponderate. n patrio legislator e non è pi tl quello dell a fine del
secolo scorso ch e, ri spettoso dei principi roma nistici in materia
di responsabilità, impi egò un trente nnio per elabora re la legge
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Fonti, iuterpretaz. ed efficacia del dir. del lav.
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infor tuni; sensibile ad esigenze immediate e concrete, il legislatore di oggi sarebbe ben capace di modifica re un coruce il giorno
successivo alla sua entrata in vigore; come è :.tato capace di mo·
diftcare ampiamente, sotto la spinta di esigenze di settore, e dopo
averlo a ppena emanato, lo statuto degli impiegati civili dello
Stato, ch e pur avrebbe dovuto costituire una specie di codice del
pubblico imp iego. Anche sotto questo profilo un codice del lavoro
sarebbe opera va na.
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Del resto anche iu Francia, dove pur esiste un Dode du tra·
vail, esso è tale solo di nome; di fatto esso è una raccolta di testi
unici, continuamente e ampiamente modificati e integrati.
Il ricorso ai testi unici sembra in r ealtà preferibile anch e
nel nostro ord inamento giuridico . .Grazie ad essi sarà appunto
possibil e coordinare e sempl ificare le varie leggi, assoggettandole
anche ad una r evisione di merito onde armonizzarl e con le mutate condizioni economiche e con le attuali concezioni politiche
e i nuovi istituti giuridici del nostro ordinamento. Su questa strada sembrava essersi avviato il legislatore che negli anni scorsi
aveva appunto coordinato in un testo unico le norm e relative al
Ministro del lavoro e ai suoi orga ni periferici , e i n altro testo
unico le norme r elative agli assegni famili ari. P eraltro dopo
questi primi tentativi, l' opera di coordinamento e di semplificazione si è arrestata. E nuove l eggi sono intervenute in tutti i
settori del diri llo del lavoro a complicare e a r ender e più com·
plesso il i tema vigente.
L'interpretazione del diritto del lavoro. - Sull ' interpretazione dell e norme di diritto del lavoro non è necessario
soff ermarsi, trovando natur ale applicazione anche in tale settore i principi generali relativi all 'interpretazione delle leggi
(v. articolo 12 delle disposizioni sulle leggi in generale premesse
al codice civile).
Nel procedimento di interpretazione dovranno esser e sempre tenuti pr esenti la finalità prima del diritto del lavoro - di
realizzare per quanto possibile una situazione di sostanziale pa·
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rità tra datore di lavoro e lavoratore nello svolgimento dei loro
rapporti - e l 'indubbio favore per il lavoratore che ispira tutto
il sistema giuridico.
Come è noto, se una questione non può essere decisa con
una precisa disposizione, l 'interprete deve aver «riguardo alle
disposizioni che r egolano casi simili o materie analoghe ; se il
caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali
dell'ordinamento giuridico dello Stato » (art. 12 ci t.). A questo
proposito non può essere trascurato il carattere del diritto del
lavoro, di essere costituito da norme che attengono in parte al
diritto privato in parte a queJlo pubblico e che, sostanzialmente
devono essere l"Ìcondotte da un lato al diritto civile dall'altro a
quello amministrativo. L'unità e l'autonomia scientifica della
materia, da noi sostenuta , consente che il procedimento analogico abbia riguardo anzitutto al diritto del lavoro complessivamente consideralo; l 'interprete cioè dovrà ricercare in questa
vasta sfera di norme la disposizione regolante casi simili o materie analoghe. Ma se la ricerca sarà infruttuosa, egli dovrà tener
conto delle più ampie e vaste sfere del diritto amministrativo e
del diritto civile cd estender e ad esse la propria ricerca. Così, ad
es. , l'art. 1886 del C. Civ. stabilisce che « le assicurazioni sociali
sono disciplinate da leggi speciali» e quindi - aggiungiamo
noi - dalle norme espresse in esse contenute e da quelle che è
possibil e desum ere attraverso l'analogia ; «in mancanza - pro·
segue l'articolo - si applicano le norme del presente capo)>, che
sono norme di diriuo privato aventi ad oggetto l 'assicurazione
privata. Superfluo è forse ricordare, per quanto riguarda la pos·
sibilità dj utilizzare il procedimento analogico, che questo non
può trovare applicazione in tutti i casi in cui venga direttamente
o indirettam ente in rilieYo una norma di carattere penale (arti·
colo 14 preleggi), casi che non sono per nulla infrequenti nel
caso del diritto del lavoro.
Quanto ai principi generali è evid ente che il ricorso ad essi
potrà e sere frequ ente soprattutto nello studio di quegli 1 tttuti
giuridici, o per quegli aspetti di essi, che trovano n el diritto
Fonti, interpretaz. ed efficacia del clir. del lav.
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amministrativo o in quello civile la loro disciplina fondamentale.
Così ad es. si dovrà ricorrere ai principi generali del diritto am·
ministrativo nell' indagi ne relativa agli organi dello Stato e agli
enti pubblici che si presentano come soggetti nel campo del diritto
del lavoro, alle loro sfere di competenza, alla loro n atura giuri·
dica, all'efficacia e alla validità degli atti da essi emanati, alle
responsabilità di diritto pubblico che ne possono derivare, etc.
E si dovrà ricorrere ai principi generali del diritto civile nell'in·
dagine sugli elementi del contratto individuale di lavoro , sui vizi
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emanate.
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relativi , etc.
Anche sulle fo r me attraverso le quali la interpretazione si
può manifestare (autentica, giurisprudenziale, dottrinal e) e sulla
loro diversa effica cia , non è il caso di soff ermarsi, non presen·
tando la que tione nel campo del diritto del lavoro caratteristiche
particolari. Solo va accennato ch e, n ell' applicazione delle norme
del dirilto del lavoro - soprattutto legislative e regolamentari vengono molto . pesso in rilievo interpretazioni formulate da
organi della pubblica amministrazione. Esse trovano gen eralmente posto in ordinanze amministrative ma possono essere con·
tenu te anche in veri e propri atti regolamentari. Il valore e l ' efficacia loro dipendondo essenzialmente dall 'autorità dell' organo
che le emana e dalla forma dell 'atto ch e le pone; in ogni caso
le interpretazioni contenute in circolari non potranno comunque vincolare soggetti estranei all'amministraz ione che le ha
49. Efficacia delle norme di diritto del lavoro. - L'effi·
cacia delle norme di diritto del l avoro può manifestarsi in ordine
al tempo , allo spazio e all e persone. Per quanto concerne l 'efficacia nel tempo, vale anche per il diritto del lavoro il principio
della irretroattività della legge; l a retroattività è u na eccezione
che può essere posta solo con legge form ale o con altro atto
avente efficacia di legge form ale . Efficacia retroattiva possono
invece avere - e molto spesso hanno - le norme dei contratti
collettivi di lavoro; ma ciò è possibile in quanto come sappiamo
Lezioni di diritto del lavoro ·
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si tratta di norme non giuridiche, ma puramente negoziali; quando il contratto collettivo sarà, come è previsto nel sistema dell'art. 39 della Costituzione, fonte di diritto in senso specifico e
tecnico, le sue norme, che saranno vere e proprie norme giuridiche, non potranno disporre che per il futuro.
Sempre per quanto concerne la efficacia nel tempo è opportuno rilevare che in determinate circostanze economico-politiche può manifestar:-i l'oppo-r tunità di sospendere l'applicazione di alcune leggi sul lavoro. Così in occasione dell'ultimo
conflitto mondiale, con la legge 16 luglio 1940, n. 1109, si
provvide ad adeguare alle esigenze della Nazione in guerra le
norme legislative sulla tutela del lavoro; vennero apportate al cune limitazioni temporanee all' applicazione di talune disposi zioni delle leggi sul lavoro dell e donne e dei fanciull i7 sul
riposo domenicale e settimanale, etc.; l'orario di lavoro, sospesa
l' applicazione della legge sulle 40 ore, fu nuovamente assoggettato alla disciplina del R.D. 15 marzo 1923, n. 692, che
aveva cessato di aver vigore per gli operai delle aziende industriali da circa tre anni. E tale situazione - per quanto con·
cerne l' orario di lavoro - dura tuttora.
In materia di efficacia nello spazio vige anche nel diritto
del lavoro, il principio della territorialità della legge. Tale prin·
cipio comporta che le norme relative si applichino a tutti coloro, cittadini e stranieri, che risiedono nel territorio dello Stato
(l'efficacia nei confronti degli stranieri può ad ogni modo, io
alcuni casi, essere oggetto di speciali pattuizioni in convenzioni
internazionali), e non abbiano invece efficacia fuori del terri·
torio metropolitano se non in base ad u na norma ch e l 'efficacia
medesima espressamente statuisca. L' alluazione del mercato comune europeo h a però apportato , in que ti ultimi tempi , alcune
eccezioni a tal e principio, soprattullo in materia di assicurazioni
sociali, in modo da disciplinare la posizione assicurativa ilei
lavoratori migra nti e da permettere loro di cumulare i diritti ac·
quisiti o in corso di acquisizione nei vari Paesi.
Nell'interno del territorio metropol itano, le leggi sul la-
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voro possono poi avere efficacia generale, estesa cioè a tutto il
territorio medesimo, o limitata ad alcune parti di esso. Così,
ad es., nelle provincie della Venezia Giulia e della Venezia
Tridentina vige una particolare forma di assicurazione malattia;
per le sole provincie dell' Alta Italia hanno avuto vigore, sia pure
transitoriamente, alcuni anni fa , provvidenze speciali a favor e
dei lavoratori d eli ' industria, etc. Situazioni del genere si verificano specialm ente nei confronti degli istituti giuridici disciplinati da contratti collettivi di lavoro , la cui efficacia è assai
spesso limitata ad una determinata circoscrizione terr itoriale,
e potranno verificarsi in futuro anche nei confronti di istituti
disciplinati da norme l e~:,rislative a 5eguito del decentramento
regionale e dell ' attribuzione all 'ente Regione di una capacità
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Fonti, interpretaz. ed efficacia del dir. del lav.
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normativa in materia.
Il problema , infine, della efficacia dell e norme di diritto del
lavoro nei confronti delle p ersone, si identifica con quello dei
soggetti del diritto del lavoro o, quanto meno, con quello di
una parte di essi. Lo esamineremo p erciò nel capitolo successivo
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dedicato appunto allo studio dei soggetti.
I SOGGETTI NEL DIRITTO DEL LAVORO
DATORI E PRESTATORI DI LAVORO
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§ l.
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CAPITOLO
50. Il dat ore di la voro. D atore di lavoro e imprenditore. ·- 51. n
concetto di datore di lavoro. - 52. Datore c prestatore di lavoro in seno
all' impresa. - 53. Posizione dello Stato e degli enti J>ubblici in quanto
dato ri di lavoro. - 54. La natura dell'auività esercita ta d:1l datore di lavoro
e i suoi r iflessi sull ' applicazione delle norme di diritt o del lavoro . - 55. Il
preslalore di lavo ro subordinato . Terminologia c definizione. - 56. La rapa·
cità del prestatorc di lavo ro. L'età minima di ammissione al lavoro. - 57. La
ca pacità di agire. - 58. Il prestat ore di lavoro in un' impresa. Categorie.
La di stinzione tra impiegati e operai. - 59. Particolare posizione dci diri·
ge nti. - 60. Speciali figure di prestatori di lavoro subordinato. - 61. Lavoratori associati , autonomi e piccoli imprenditori. - 62. Applicaz ione delle
leggi sul la voro a soggetti che non sono datori di lavoro o lavoratori . 63. 11 libretto di lavoro.
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SoMM ARIO:
50.
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Il datore di lavoro. Datore di lavoro e imprenditore. Nel sistema dei soggetti del diritto del lavoro, datore e prestatore di lavoro assumono una importanza di primo piano. Essi
si presentano, infatti, come i principali destinatari delle varie
norme giuridiche, o quanto meno come i maggiormente interessati alla loro attuazione, tanto che tutti gli altri e numerosi soggetti, pubblici e privati, appaiono - si può dire - muoversi
ed agire in funzione, diretta o indiretta, dei rapporti esistenti tra
datore e prestatore. È opportuno quindi che l'esame dei soggetti
prenda le mosse da queste due figure giuridiche.
Del cc datore di lavoro>>, denominato dalle leggi meno recenti anche <<principale» (v. , ad es., D.L. 13 novembre 1924,
n. 1825, sul contratto di impiego privato, art. 3: 6, etc.), non
possediamo una definizione legislativa. Il codice civile ci offre
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Lezioni eli diriuo del lavoro
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la definizione di imprenditore, e dà a questa figura giuridica uno
speciale rilievo ai fi ni della disciplina del rapporto di lavoro
subordinato. Secondo il codice «è imprenditore chi esercita
professionalmente una attività economica organizzata ai fin i
della produzione o dello scambio di beni o di servizi» (art. 2082).
Gli elementi ch e caratterizzano la fi gura d eli ' imprenditore sono
pertanto i seguenti : a) in primo luogo, l'esercizio di un'attività
economica, che può essere agricola, industriale o commerciale ;
b) il carattere «professionale>> di questo esercizio, nel senso che
l'attività di cui trattasi non deve essere svolta in via occasionale
o contingente, anche se non costituisce l'attività unica, e n em meno prevalente, del soggetto; c) la organizzazione, n el senso
che l'esercizio dell' attività deve esser reso possibile dall'esistenza
di un complesso di mezzi, materi ali e personali, ordinati appunto in maniera idonea al conseguimento di un dato scopo; d)
la finalità, che deve essere quella della produzione e dello
scambio di beni o di servizi; e) il rischio, elemento che non
risulta dalla definizio ne sopra r iportata , ma che è connaturato
al concetto di imprenditore - n el senso che fanno carico a
quest'ultimo perdite e guadagni che possono verificarsi nell' esercizio della sua attività : « dove non c'è rischio, non c' è
impresa, ma attività di mera amministrazione>> (MESSINEO).
Orbene, questo concetto di « imprenditore» pur particolarmente ampio e comprensivo, n on coincide con quello di datore
di lavoro. È indubbio che, nel sistema del codice, l 'imprenditore
deve avere dei collaboratori, i prestatori di lavoro (art. 2094),
con i quali pone appunto in essere un rapporto di lavoro. l\1a è
indubbio altresì che un rapporto del genere può instaurarsi
anche tra un prestatore di lavoro e u n soggetto che non rivesta
la fi gura giuridica di imprenditore.
In realtà anche nel sistema del codice, che pur prende le
mosse dal « lavoro neIl 'impresa » (v. titolo H del libro V) e su
di esso sembra basarsi, alla posizione dell'i.mprenditore in q uanto
soggetto del rapporto di lavoro è avvicinata quella di altri sog·
getti che imprenditori non sono. Ciò deve dirsi anzitutto per
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I soggetti ciel diritto ciel Lavoro
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gli enti pubblici, sia nel caso che esercitino un 'impresa (art.
2093; e l'equiparazione appare davvero logica), sia anche in
mancanza di tale esercizio (art. 2129). Ma deve dirsi anche per
tutti quei casi in cui, pur in presenza di un rapporto di lavoro,
manca un imprenditore, in quanto o l'esercizio dell 'attività economica non è svolto professionalmente ( v. art. 2070, ultimo
comma) o non vi è addirittura eser cizio alcuno di attività econo mica. Una situazione del genere si verifica ad es. oltre che nel
caso dell 'ente pubblico non esercente attività economich e, nel
caso di persone giuridich e private aventi fin alità culturali , scientifiche, ricreative; nel caso degli esercenti liber e professioni , titolari di studi professionali ; nel caso infine del dator e di lavoro
domestico, al quale espressamente si riferisce il capo n d el
titolo I V. Nelle varie leggi speciali la fi gura d el datore di lavoro
acquista poi un r ilievo assorbente nei confr onti di quella dell' imprenditore. Basterà ricordare a questo proposito il R.D. 17
agosto 1935 , n. 1765 , sull' assicurazione degli infortuni sul lavoro
e dell e malattie professionali , il quale, all'art. 6 considera « datori di lavoro » soggetti all'obbligo dell 'assicurazione, non solo
gli imprenditori esercenti determinate atlività ed aventi all e pro·
pr ie dipendenze persone compr ese nell'assicurazione, ma anche
gli appaltatori e i concessionari di lavori , nonchè l o Stato e gli
altri enti pubblici quando esercitano direttam ente le attività previste dalla l egge, e infine, tutti coloro che senza essere impren·
ditori svolgono direttamente lavori o occupa no direttamente
lavoratori nelle attività predette.
È evid ente, quindi, ch e i due concetti, di imprenditore e
di dato::e di lavoro , non sono tra loro necessariamente con nessi ;
ed è evidente altresì che nel sistema del di ritto del lavoro è
proprio il concetto di dator e di lavoro quello ch e viene in rilievo
e che deve essere preso in consid erazione.
51. Il concetto di datore eli lavoro. - Il concello di datore
di lavoro presuppone necessariamente l ' esistenza di un rapporto
giuridico- il r app orto di lavoro - del quale il datore costitui sce
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appunto uno dei soggetti. Se non vi è un rapporto, non esiste
n emmeno un datore. La figura del datore di lavoro potenziale
non è presa in considerazione dal nostro diritto (a differenza
di quanto avviene per il lavoratore, che è preso in considerazione anche quando aspira ad essere assunto: si pensi al sistema
del collocamento). Così pure non esiste una figura giuridica
autonoma per individuare colui che è stato datore di lavoro: le
obbligazioni cui esso deve adempiere si riferiscono infatti sempre
al periodo in cui è esistito il rapporto di lavoro (a differenza,
anche qui, di quanto avviene per il lavoratore, che può essere
preso specificamente in considerazione dal diritto proprio per la
sua figura di ex-lavoratore: si pensi, ad es. , all'assicurazione
contro la disoccupazione).
Possiamo perciò intendere per datore di lavoro il soggetto
del rapporto che riceve la prestazione di lavoro. In realtà, come
ha osservato il CAJtNE LUTTI (Teoria del regolatnento collettivo
dei rapporti di lavoro, Padova, 1930, p. 8), nell'espressione« datore di lavoro » la parola « lavoro >> deve intendersi non come
svolgimento di energia ma come occasione di lavoro : in altri
termini, « dar lavoro» significa « dar da lavorare». Nessuna
meraviglia, quindi, che datore di lavoro sia colui che riceve la
prestazione.
Il datore può essere tanto persona fisica che persona giuridica. Quando è persona fisica, sorge il problema della sua capacità di agire, cioè di esercitare personalmente i diritti di cui
è titolare in quanto datore di lavoro. Vale a questo proposito
la regola generale per cui la capacità di agire si acquista al
compimento del ventunesimo anno. P eraltro la stipulazione del
contratto di lavoro non è compresa tra gli atti eccedenti l' ordinaria amministrazione; ad essa possono quindi provvedere direttamente anche il minore emancipato e il maggiore inabilitato.
Quando , per minore età o per interdizione, manchi la capacità
di agire, il datore potrà esercitare i diritti solo attraverso il
rappresentante legale, geni tore o tutore.
Molte volte le leggi si riferiscono, invece che al datore di
(
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l soggetti del diritto del lavoro
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lavoro, all'azienda o all' impresa. Non sempre il riferimento
appare giuridicamente appropriato. Infatti, nel sistema del Codice impresa è l 'organizzazione produttiva creata e guidata dall'imprenditore, mentre azienda è « il complesso dei beni organizzati dall 'imprenditore per l 'esercizio dçll' impresa » (art.
2555). Nelle varie leggi sul lavoro invece i term ini di cui si
tratta risultano usati molto spesso in senso generico e volgare
per indicare a volte il datore di lavoro, a volte l ' attività cu i il
prestatore di lavoro è addetto. Così, ad es. , le « aziende agricole
e fo restali )> cui si applica il D.L.Lgt. 23 agosto 1917, n. 1450,
sull' assicurazione infortuni in agricoltura, altro non sono che
« le coltivazioni della terra e dei boschi e l e lavorazioni ad esse
connesse, complementari ed accessorie» (come espressamente
dichiara l'art. 2 dello stesso decreto); e le « aziende industriali o
commerciali » cui si applica il D.L. 15 marzo 1923, n. 692,
sulla limitazione obbligatoria dell ' orario di lavoro , sono, in
definitiva, le imprese relative.
Le nostre leggi usano talora anche le espressioni « opifi cio»
e « stabilimento >> per indicare ambienti di lavoro a carattere industriale (v. ad es. R. D. 17 agosto 1935, n. 1765, art. l , n . l e
12); peraltro l 'espressio ne << stabilimento » dovrebbe indicare
piuttosto il complesso degli edifici n ei quali trova si l'opificio, cioè
l'ambiente di lavoro predetto. Sia cc opificio>> che« stabilim ento»
possono acquistare un certo rilievo al fi ne dell 'applicazione di
determinate disposizio ni (v. ad es. il contratto collettivo 8 mag·
gio 1953 per la nomina delle commissioni interne).
52. Datore e prestatore di lavoro in seno all'impresa.
Anche se i concetti di imprenditore e di datore di lavoro n on
sempre coincidono, è certo che n el sistema del Cod ice al datore
d i lavoro imprendjtore è fatta una posizione particolare, sulla
quale lo stesso Codice modella poi la posizion e del datore di
lavoro n on imprend itore. La dottrina ha ritenuto così di dover
dare uno sp eciale risalto alla disciplina del lavoro in seno al l'impresa, concepita da alcuru come una comunità di persone
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av enti interessi comuni e indirizzata al perseguimento degli stessi. All a stregua di questa concezione, per cui molti hanno visto
nella impresa una vera e propria istituzione - cioè un ordinamento giuridico, secondo la nota teoria sostenuta in Italia dal
RoMANO e in Francia dall'HAURIOU - si è ritenuto di poter dare
una base soddisfac ente a molti dei poteri riconosciuti all 'imprenditore ; qual e quello direttivo, quello disciplinare, etc.
Non è il caso di soffermarci ora a considerare questa dot·
trina, che peraltro assume aspetti e formulazioni parzialmente
diverse presso i suoi sostenitori. È solo il caso di rilevare, in
relazione soprattutto a certe conseguenze che essa comporta,
che la pretesa comunanza di interessi che esisterebbe in seno
all' impresa tra imprenditore e lavoratori non attenua e tanto
m eno elimina la ~ivergenza o, meglio, il contrasto d'interessi che
istituzionalmente esiste tra questi due soggetti: l'imprenditore
assume il lavoratore per riceverne la prestazione e il lavoratore
si occupa p er ottenere una retribuzione ; e l'uno e l 'altro ope·
rano per conseguire questi loro fini particolari nel migliore dei
modi e nella misura più elevata. Come osservava oltre mezzo
secolo fa uno scrittore francese, il LANGLOIS (Le contrat de
travail, Paris, 1907, p. 24 segg.), l'interesse che può avere il
lavoratore a che l 'impresa sia efficiente, produca e continui,
in modo che a lui non venga meno il lavoro, è un interesse
lontano, che sfugge ai lavoratori presi individualmente; più che
un interesse, io direi, è una aspirazione più o meno cosciente,
per la quale in ogni caso il lavoratore non opera, in genere,
attivamente. La verità è che imprenditore e lavoratore sono
titolari di interessi particolari, propri esclusivamente a ognuno
di essi, e contrastanti tra loro; e che tali interessi possono trovare
una conciliazione - non una identificazione - grazie al contratto
di l avoro con il quale i due soggetti si accordano per scambiarsi
le relative prestazioni . Tale contratto costituisce, come vedremo,
la fonte del r apporto e in esso trovano il loro fondam ento anche
quelle manifestazioni dell'autonomia dell'imprenditore che sono
intese a regolare l ' ordinamento e l'attività interna dell' impresa
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I suggelli fiel diritto del lavoro
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(n. 44; in proposito v. in/ra, n. 102). Che poi il contralto sia
conciliabile o meno con la impresa, concepita come istituzione,
è questione dibattuta che, per il momento , non è il caso di
approfondire.
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53. Posizione dello Stato e degli enti pubblici in quanto
datori di lavoro. - Non tutti i datori di lavoro si presentano,
in quanto tali, come soggetti nel campo del diritto del lavoro.
Il più importante datore di lavoro del nostro ordinamento , lo
Stato, sfugge generalmente all 'applicazione delle norme che
costituiscono il diritto del lavoro. E lo stesso si deve dire per
gli enti di diritto pubblico, specie per quelli a carattere territoriale (regioni, provincie, comuni). La ragione di questa esclusione deriva dal fatto che gli enti di cui si tratta, e in parti·
colare modo lo Stato, per la loro natura e per le loro stesse
finalità istituzionali, assicurano già ai propri dipendenti , con
disposizioni legislative e regolamentari , una situazione giuridica
sufficientemente definita e tutelata; quindi nella maggioranza
dei casi si dimostrerebbe per lo meno superflua, quando anche
non di possibile attuazione data la speciale natura della prestazione di lavoro, la applicazione delle comuni norme.
Questa, la giustificazione di una regola un tempo di carat·
tere generale, alla quale peraltro oggi devono farsi varie eccezioni. La questione assume infatti un aspetto parzialmente diverso
nei confronti di quegli istituti, denominati aziende, attraverso i
quali lo Stato o l 'ente pubblico gestiscono determinati servizi
come un qualunque soggetto privato, sia pure in funzione del
raggiungimento di un fin e pubblico. In tali casi l' azienda non
solo acquista molte volte una propria personalità , ma, anche
quando è compresa nella persona giuridica pubblica (si pensi
ad es., all e aziende municipalizzate), risulta dotata di autonomia
amministrativa e finanziaria e si configura sotto l'aspetto funzionale come un comune imprenditore privato. Una limitazione
all' applicazione delle leggi sul lavoro nei riguardi di tali aziende
non troverebbe una sufficente giustificazione da un punto di vista
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teorico; d' altra parte ragioni di opportunità consigliano di
assicurare ai dipendenti, che svolgono mansioni identiche o
quanto meno analoghe a quelle svolte da operai di imprese private la stessa tutela alla quale questi ultimi hanno diritto.
Una analoga situazione si ba nel caso dei c.d. enti pubblici economici, cioè di quegli enti (si pensi agli istituti di credito di diritto pubblico, alle Casse di risparmio, all'Istituto nazionale delle assicurazioni, allo stesso Istituto poligrafico dello
Stato) che la legge qualifica espressamente come « pubblici )) ma
che hanno come fin e esclusivo lo svolgimento di una attività
economica produttiva, generalmente in posizione di parità e di
concorrenza con i comuni soggetti privati (tanto che noi siamo
sempre più convinti che questi enti di « pubblico)) non abbiano
che il nome e che in realtà siano delle persone giuridiche private; ma dottrina e giurisprudenza dominanti sono di parere
contrario). Tali enti nou devono essere confusi con le ùnprese a prevalente partecipazione statale, per le quali invero non
sorge alcun dubbio circa l' applicabilità delle comuni leggi sul
lavoro; in realtà, anche se il capitale di tali imprese è, nella
totalità o nella maggioranza, di proprietà dello Stato, esse altro
non sono che società per azioni, di natura quindi privata, e in
quanto tali sono soggette anche a tutte le leggi sul lavoro che
si applicano ai datori di lavoro privati ; una eccezione, tuttavia,
è prevista nei loro confronti, in materia di associazione sindacale: la vedremo a suo luogo (infra, n. 70).
In linea più generale poi l'applicazione delle comuni norme
delle leggi sul lavoro è ammessa anche per i dipendenti dello
Stato e degli enti pubblici quando per gli stessi non esi stono
disposizioni speciali. Già l'art. 2 del D.L . 13 novembre 1923,
n. 1825, sul contratto di impiego privato, aveva stabilito che le
disposizioni del decreto si applicavano anche « agli impiegati di
enti morali , di enti parastatali e di enti pubblici», quando il
rapporto di impiego non era diversamente regolato per legge;
non si applicavano però in alcun caso agli impiegati dello
Stato , delle provincie e dei comuni. La norma è stata ripetuta
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l soggetti del diritto del lavoro
dali' art. 2129 del Cod. Civ., il quale stabilisce appunto che le
disposizioni di quella sezione ,(la m del titolo
libro v' relativa
al rapporto di lavoro), << si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici, salvo che il rapporto sia diversamente
regolato per legge)) (v. anche art. 98 disposizioni di attuazione).
Anche in molte leggi speciali esistono disposizioni analoghe. Così
le amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici sono soggette
all 'obbligo di alcune asliicuraizoni sociali per il personale dipendente al quale non sia assicurato un trattamento di quiescenza
o di previdenza (d. legge 4 ottobre 1935, art. 38, n. 2); le
esclusioni dal sistema degli assegni familiari sono in generale
subordinate alla sussi stenza di un trattamento di famiglia disciplinato da legge, regolamento o atto amministrativo (T. U. 30
maggio 1955, n. 797, art. 79); ad una categoria di dipendenti
pubblici - i maestri elementari e direttori didattici - è stata
estesa espressamente l 'assicurazione contro la tubercolosi (D.L.
21 dicembre 1938, n. 2202). E quanto all' assicurazione contro
gli infortuni, essa val e anche per lo Stato e per gli enti pubblici
quando eserciscono imprese per cui ricorra l'obbligo relativo ai
sensi dell'art. l del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765.
Questa estensione di i stituti di diritto del lavoro, in particolare previdenziali , allo Stato e alle persone giuridiche pubbliche è in relazione, in definitiva, con i perfezionamenti intervenuti negli istituti medesimi e con la più ampia tutela da questi
realizzata in alcuni settori, in confronto a quella derivante
dallo stato giuridico dei dipendenti pubblici. Il principio generale della esclusione dello Stato e degli enti pubblici dall'ap·
plicazione delle legge sul lavoro ha così subito numerose eccezioni, ed altre ancora si appresta a subirne.
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54. La natura dell' attività esercitata dal datore di lavoro
e suoi riflessi sull'applicazione delle norme di diritto del lavoro.
- La natura dell'attività esercitata dal datore di lavoro assume
talvolta uno speciale rilievo ai fini dell'applicazione delle varie
norme di diritto del lavoro.
Lezioni di diritt o del uworu
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Si distinguono a questo proposito le attività esercitate in
agricole, industriali e commerciali. Ha carattere agricolo l'at·
tività intesa a conseguire ricchezze vegetali ed animali, provo·
cando, favorendo o dirigendo le forze della natura: coltivazione
del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame, e anche tra·
sformazione e alienazione di prodotti agricoli quando rien·
trino nell'esercizio normale dell'agricoltura (c. civ. articolo
2135). Ha invece carattere industriale ogni attività che abbia
per oggetto la trasformazione, parziale o totale, della materia
in prodotto avente differenti caratteri o diverse possibilità di im·
piego; nonchè ogni attività diretta all'appropriazione di corpi
organici e inorganici alla cui formazione non abbia concorso
l 'opera dell'uomo ovvero destinata al trasporto di persone, di
cose e di notizie. Si ha, infine, attività commerciale ogni qualvolta si realizzi, tra produttori e consumatori , un processo di
interposizione attraverso il quale le merci pur conseguendo un
diverso grado di utilità, non vengono sottoposte a lavorazioni o
a modifiche..
A seconda della natura dell' attività esercitata, le leggi sul
lavoro possono presentare una differente sfera di applicazione.
Così l'assicurazione infortuni è regolata diversamente nelle at·
tività industriali e in quelle agricole, la disciplina dell'orario di
lavoro è differente nelle imprese industriali e in quelle commermerciali, e la sua applicazione presenta ulteriore particolarità
nei confronti delle imprese agricole; etc. Da queste differenze di
regolamentazione emerge in generale una maggiore e più ampia
tutela del lavoro industriale, in confronto di quella prevista per
il lavoro degli altri settori. Ciò è da attribuire in gran parte alla
maggiore gravosità e pericolosità di tale lavoro, ma non vi è certo
estranea anche la pitt salda organizzazion e e la maggiore combat·
tività nel campo sindacale proprie dei lavoratori dell'industria.
Giova poi osservare che nell'ambito delle singole attività
alcuni rami possono essere oggetto di norme speciali: così, ad
es., nell ' attività industriale e per quanto riguarda la prevenzione
degli infortuni, quello dell' esercizio di miniere, cave e torbiere,
l soggelli del dirillo del lavoro
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quello delle costruzioni, quelle delle industrie che trattano o
applicano materie esplodenti, quello dell'esercizio delle ferrovie tramvie, e altri oncora.
Tale diversità di regolamentazione è particolarmente accentuata nel campo della contrattazione collettiva, e in generale
nella disciplina degli aspetti più propriamente economici e pa·
tdmoniali del rapporto di lavoro: i contratti collettivi hanno
generalmente valore per singoli rami di attività economica,
molte volte addirittura per singole imprese.
Salvo casi espressamente determinati, la dimensione dell 'impresa non influisce sulla applicazione delle varie leggi. A
queste sono perciò 5oggetti anche i piccoli imprenditori (coltivatori diretti , ar tigiani , piccoli commercianti) ch e abbiano all e
loro dipendenze personale stipendiato o salariato. E tra i datori
di lavoro , agli .effetti del! ' applicazione delle leggi di tutela del
lavoro, vengono talvolta comprese anche le società cooperative,
nelle quali, come è noto, si realizza invece una delle fi gure più
notevoli di lavoro associato. I contratti collettivi invece tengono
conto molto spesso della dimensione dell'impresa e prevedono
per le piccole imprese una disciplina particolare. È opportuno
segnalare sin da ora ch e la posizione dei piccoli imprenditori è
del tutto singolare, potremo dire bivalente. Invero, se da un lato
essi p ossono essere datori di lavoro, soggetti , in quanto tali, agli
obblighi ch e le leggi impongono ai datori di lavoro, dall 'altro essi
sono posti, a determinati fini previdenziali, in una posizione
analoga a quella dei prestatori di lavoro subordinato e ammessi
a benefici are di alcune forme di tutela (v. infra, n. 61).
Una posizione a sè assume, tra i soggetti del diritto del lavoro, il datore di lavoro domestico. Un tempo anzi si poteva dire
che esso sfu ggiva quasi completamente all' applicazione delle
varie l eggi del lavoro; queste, che per le ragioni innanzi brevemente accennate si arrestavano di fronte al più importante datore di lavoro - lo Stato - , si arrestavano, all'estremo opposto ,
dinanzi al datore di lavoro più modesto e alla comunità più mi·
nuscola esistente nel nostro ordinamento: la famiglia. Le ragioni
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dell 'esclusione erano di ordine vario e dipendevano dalla stessa
natura della prestazione nonchè dal fatto che nell'ambito della
comunità e della convivenza familiari dovrebbe già considerarsi
assicurata al lavoratore una posizione di particolare fa vore indipendente da norme legislative. L ' evoluzione della legislazione
ha p erò portato in questo campo a numerose innovazioni , sic·
chè il principio della esclusione dei datori di lavoro domestico
dalla sfera di applicazione d elle leggi sul lavoro , principio che
subiva sino a qualche anno fa una sola eccezione relativamente
all ' obbligo delle assicurazioni per l' invalid ità e vecchiaia e per
la tubercolosi, è stato infirmato dal codice civile, ch e ha, sia pur
brevemente, disciplinati i rapporti di lavoro domestico dettando
alcun e norm e in cui è imman ente il carattere protettivo e di tu·
tela del lavoratore ( artt. 2240-2246), nonchè da leggi più re·
centi (in particolare dalla legge 2 aprile 1958, n. 339), che hanno
esteso ai lavoratori domestici altri istituti di diritto del lavoro,
soprattutto previdenziali.
55. Il prestatore di lavoro subordinato. Terminologia e
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definizione . - Sullo stesso pi ano del datore di lavoro si pone,
come soggetto di diritto del lavoro, il « lavoratore subordinato >>.
Anche qui la terminologia delle leggi non è univoca. I testi meno
recenti p arlavano generalmente di « operaio)>; ma , come vedre·
mo, gli operai altro non sono che una particol are fi gura, una
categoria di lavoratori. In senso più ampio e comprensivo, sia
legislazione che dottrina hanno usato molto spesso, la locuzione
cc prestatore d ' opera »; ma ad essa il codice civile del 1942 ha
dato un altro e ben preciso significato (v. in fra, n. 61), sicch è
non appare scientificamente e praticamente opportuno conti·
nuare a rifarsi ad essa. Lo stesso codice ha introdotto la lo cuzione, indubbiamente più corretta e precisa di « prestatore di
lavoro subordinato»; e ad essa, quindi , e a qu ell a equivalente
di « lavoratore subordinato » ci atterremo nel corso delle nostre
lezioni. Leggi antiche e recenti non mancano poi di usare anche
l' espressione « dipendente», ch e sottolinea la particolare posi·
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z10ne che il prestatore di lavoro subordinato assum e nei confronti del proprio da tore di lavoro .
L' art. 2094 del codice civile definisce colne prestatore di
lavoro subordinato «chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell' impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale
o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore )> . Questa definizione si ricollega a quella di imprend itore
ch e, come innanzi abbiamo visto, il codice dà ali' art. 2082. Ma
come non tutti i datori di lavoro sono imprenditori, così pure
- ed è evidente - non tutti i prestatori di lavoro svolgono la
loro attività in una impresa e alle dipendenze di un imprenditore ; se vogliamo perciò delineare un concetto di prestatore di
lavoro che tenga conto anche di coloro che prestano il loro lavoro alle dipendenze di non impreditori , la definizione suddella
deve es ere parzialmente rettificata, eliminando ogni riferimen to
diretto o indiretto al concetto di impresa e a quello di imprenditore. Potremmo così definire come prestatore di lavoro subordinato colui ch e si obbliga, mediante retribuzione, a prestare il
proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto
la direzion e di un altro soggetto e nell ' interesse di questo.
Gli elementi che caratterizzano la figura del lavoratore subòrdinato sono quindi essenzialmente tre: la p restazione di lavoro, la dipendenza e la retribuzione. La prestazione di lavoro
è una tipica prestazione di fare e consiste nello svolgimento di
un'a llività intellettuale o manuale, a favore del datore di lavoro;
è una prestazione personale, nel senso che deve essere svolta
personalmente dal lavoratore, il quale non può a questi fini farsi
sostituire da altri soggetti.
La dipendenza o subordi nazione si risolve in un vincolo di
gerarchia tra datore e prestatore di lavoro : il primo può imJlartire al secondo tutte le direttive e gli ordini ch e ritenga necessari
ed opportuni per il concreto svolgimento del lavoro. Il vincolo
di gerarchia, per cui i due soggetti non si trovano più su uno
stesso piano formale ( sul quale invece si trovano al momento
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della formazione del rapporto), è determinato dalle esigenze
della stessa p restazione; sarebbe invero inammissibile che que·
sta , pur dovendo aver luogo nell' interesse del datore di lavoro,
potesse svolgersi indipendentemente dai suoi ordini e dalle sue
direttive, o addirittura in contrasto con essi. In quanto deter·
minato dalle d ette esigenze, il vincolo di gerarchia non va oltre i limiti della stessa prestazione di lavoro e non può incidere
in alcuna maniera sulla dignità e sulla personalità morale del
lavoratore. Da notare altresì che l'origine di questo vincolo e
di questa particolare posizione nella quale il lavoratore viene a
trovarsi di fronte al datore di lavoro, deve ricercarsi nel con·
trallo di lavoro , liberamente stipulato tra datore e prestatore.
Altro elemento caratteristico della figura giuridica di pre·
statore di lavoro subordinato è la retribuzione. Abbiamo già visto che essa rappresenta il corrispettivo della prestazione, ma
sappiamo anche che è qualcosa di più e di diverso di un semplice
corrispettivo. La Costituzione infatti stabilisce che, oltre ad essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, la
retribuzione deve in ogni caso essere sufficiente ad assicurare al
lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.
Ciò non comporta che la retribuzione abbia natura alimentare
(essa è corrisposta dal datore quale compen o della prestazione
ricevuta e non per adempiere ad un obbligo di natura alimen·
tare), ma è un indubbio riconoscimento della funzione che la
retribuzione ha nei confronti del lavoratore subordinato, di
mezzo di sostentamento per lui e per la sua famiglia. Appunto
per questo, il codice di procedura civile limita ( art. 545) le pos·
sibilità dj pignoramento delle somme dovute a titolo di stipendio
o di salario.
Osserveremo da ultimo che poichè la p restazione vi ene ef·
fettuata alle dipendenze e sotto la direzione del datore, cioè se·
guendo i suoi ordini e le sue direttiye, il rischi o del suo ri sul·
tato deve gravare su di lui : la retribuzione deve perciò essere
indipendente dai risultato anzid etto.
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56. .La capacit<ì del prestatore di lavoro. L'età minima di
ammissione al lavoro. - La prestazione di lavoro - abbiamo
detto - deve essere compiuta dal lavoratore personalmente; egli
non può a questo fine farsi sostituire o rappresentare da altri
soggetti. Ora, una prestazione personale di fare può essere compiuta solo da una persona fisica. Perciò, a differenza del datore
di lavoro, il quale può essere anche persona giuridi ca, il lavoratore può essere solo persona fisica.
Sorge, quindi, anche n ei suoi confronti, il problema della
capacità; ed è problema che assume un rilievo ed un ' importanza
pat·ticolari. Invero , se per quanto concerne la persona fi sica
datore di lavoro tale problema può porsi soltanto in ordine alla
capacità di agire, cioè alla capacità di esercitare personalmente
diritti ed obblighi relativi ( e abbiamo visto ch e è rilevante a
questo proposito il compimento della maggiore età), mentre
quanto alla capacità giurid ica nulla impedisce che anch e il mino re degli anni 21 possa assumere la posizione di datore di lavoro, nei confronti del lavoratore, il quale deve prestare personalmente il proprio lavoro, si può porre anche il problema della
su a idoneità a compiere la prestazione di cui trattasi.
E tale problema infatti si è posto, in tempi relativamente
recenti, ed ha dato luogo ad una delle manifestazioni più caratteristich e della tutela del lavoro dei fanciulli: la determinazione
di un'età minima per l 'ammissione al lavoro.
Nel nostro ordinamento questa materia è ora regolata d alla
legge 29 novemhrc 1961, n. 1325, che ha modificato la vecchja
legge 26 aprile 1934, n. 653 , sulla tutela del lavoro delle donne
e dei fanciulli. A termine delle nuove disposizioni « è vietato
adibire al lavoro i minori di amho i sessi, ivi compresi gli
apprendisti, di età inferiore ai 15 anni compiuti>>. Poichè
peraltro è rimasta ferma l'età di 14 anni come limite per l 'istruzione obbligatoria , si è creata una grave lacuna che è auspica bile venga presto colmata: oggi il giovane che ha adempiuto
all' obbligo dell'istruzione non può essere immediatamente avviato al lavoro , nemmeno in veste di apprendista.
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Fermo il limite mini.mo di 15 anni come regola generale,
la legge ammette che nelle attività non industriali (quindi anche
in quelle agricole, per le quali sinora non vigeva limite alcuno)
si possano occupare minori di età non inferiore ai 13 anni, in
lavori leggeri che non pregiudichino la loro assiduità alla scuola
e siano compatibili con le esigenze di tutela della loro salute ;
in ogni caso tali minori non debbono essere adibiti al lavoro
durante la notte e nei giorni festivi. Per quanto concerne
l'orario è poi stabilito che, pei minori di età com presa tra i
13 e i 14 anni, la prestazione non possa essere richiesta durante
le ore di scuola e non possa su perare le due ore giornaliere,
sempre che i periodi di lavoro e le ore di scuola non superino nel
complesso le sette ore giornaliere; per i minori di età compresa
tra i 14 e i 15 anni la prestazione giornaliera non può superare
le sette ore.
Un 'ulteriore eccezione al limite minimo di 15 anni è rimessa all'apprezzamento discr ezionale dell'Ispettorato del lavoro. La legge stabilisce infatti che « nell 'interesse dell'arte, delle
scienze e dell'insegnamento», l' Ispettorato, sentito il p refetto
della p rovincia, può autorizzare, quando vi sia l'assenso scritto
del genitore o del tutore, la partecipazione di minori di età
inferiore ai 15 anni (senza quindi che sia fi ssata alcuna età
minima) nella preparazione e nella rappresentazion e di spetta·
coli; l 'occupazione è subordinata all'osservanza di determinate
condizioni (legge ci t., art. 3).
P er contro, il limite di 15 an ni è, in alcuni casi, variamente
elevato. Così è fissato in anni 16 per l 'ammissione n ei lavori
sotterranei nelle cave, miniere e gallerie dove non esiste trazione
meccanica, in quelli di sollevamento e di trasporto di pesi,
in quelli di carico e scarico dei forni nelle zolfare della Sicilia,
in quelli che si svolgono nell e sale cinematografiche, nei me·
stieri girovaghi; è elevata ulteriormente ad anni 18 per i
lavori di manovra e di traino dei vagonetti e per la somministra·
zion e al minuto di bevande alcooliche (legge 26 aprile 1954
cit. , art. 6).
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È opportuno sottolineare infine come la ammissione al lavoro
dei minori - uomini e donne- possa essere subordinata anche
all 'accertamento della sussistenza di determinati r equi iLi inerenti all'idoneità fisica del soggetto. n requisito dell ' idoneità
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fisica è richiesto in via generale per tutti i fanciulli (cioè p er i
giovani che non ha nno compiuto i 15 anni) e per le donne mi-
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norenni; pei lavoratori adulti è richiesto solo quando essi debbano attendere a lavorazioni industriali n ell e quali si adop erino
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o si producano sostanze tossiche od infettanti. Esso si presenta
come il mezzo più idoneo p er assicmare un'adegua ta tutela
igienica e sanitaria e per conseguire al tempo stesso u na selezione tecnica fra i lavoratori ai fini d ell' orien tamento e della
formazione professionali. P er le don ne minorenni e per i fanciulli la idoneità fi sica deve essere accertata attraverso visita
medica e risultare da certificato rilasciato, gratuita mente, dall' ufficiale sanitario, o da medici dell'Opera nazional e maternità
ed infanzia o di istituti assistenziali debitamente autorizzati.
Ove il sanitario accerti la non idoneità fisica del soggetto a
Lutti o ad alcuni dei lavori fatico si, pericolosi ed insaluhri nei
quali l 'occupazione delle donne è consentita solo co n l'osservanza di determinate cautele, dovrà specificare nel certificato
medico i lavori ai quali il soggetto non può essere adib ito. P er
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Ai fini dell'ammission e al lavoro è preso talvolta in considerazione anche il sesso del lavoratore, sia per fissare p er le
donne un limite di età diverso da quello normale sia , talvolta ,
pet· inibire loro l'a mmissione a determinati lavori. Così l ' occupazione del personale femminile è vietata tassativamente nei lavori
sollerranei nelle cave, miniere e gallerie; può essere vietata,
co n provvedimento prefettizio ispirato a ragioni di moralità e
di ordine pubblico, nella somministrazione al minuto di bevande
alcooliche; è limitata alle donne maggiorenni nei l avori di pulizia e di servizio dei motori e degli organi di trasmission e e delle
macchine che sono in moto, nonchè nei lavori pericolo i, fa ticosi
ed insalubri.
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l.i O~o: J. I.O
H. l.t!I' I· SA:O:Dit l
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Lezioni di diritto del lavoro
i lavoratori adulti l 'idoneità fisica alle lavorazioni cui devono
essere addetti è accertata dal medico di fabbrica.
57. La capacità di agire. - Il problema dell a capacità del
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prestatore di lavoro si pone peraltro anche solto l'aspetto della
capacità di agire, cioè di esercitare personalmente diritti e obblighi che derivano da un rapporto di lavoro subordinato. Le
disposizioni che innanzi abbiamo ricordato si limitano infatti
a vietare l'ammissione al lavoro di soggetti aventi un 'età inferiore
a quella indicata , ma non attribuiscono ai soggetti aventi l'età
minima richiesta la capacità di agire nella formazione e nello
svolgimento del rapporto.
Tale capacità è oggetto di una particolare disposizione del
codice civile, quella dell' art. 3, che stabilisce appunto che « il
minore che ha compiuto gli anni diciotto può prestare il proprio
lavoro, stipulare i relativi contratti ed esercitare i dirilli e le
azioni che ne dipendono, salve le leggi speciali che stabiliscano
un'età inferiore». Pertanto la capacità di agire che, per l'art. 2
dello stesso codice, è generalmente conseguita dalla persona fisica
al compimento del 2P anno, è stabilita in materia di lavoro al
compimento degli nnni 18. Sicchè ai fini della prestazione di
lavoro in forma subordinata vengono in rilievo due distinti limiti
di età: uno attinente all'ammissione al lavoro: in linea generale,
compimento del 15° anno ; l'altro attinente all'esercizio personale dei diritti e delle azioni che dedvano da un contratto di
lavoro: compimento degli anni 18. Tra i 15 anni (o l'età inferiore consentita dalla legge) e gli anni 18, il minore, per poter
prestare il proprio lavoro, stipulare i relativi contratti ed esercitare i diritti e le azioni che ne dipendono, ha bisogno dell 'intervento del legale rappresentante, genitore o tutore.
Si è discusso, e tuttora si discute, in dottrina sulla natura
di questo intervento. Secondo alcuni esso non sarebbe che una
manifestazione di quel generale potere di rappresentanza legale
ch e spetta al genitore esercente la patria potestà nei confronti
del minore (Cod. civ., art. 320). Altri però ha ril evato che l'oh-
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propria rappresentanza.
Questa costruzione non è immune da critiche; i ndubbiamente essa non può richiamare a proprio fondamento alcuna
formale disposizione del nostro diritto. Ma è certo ch e la situazione che sorge in occasione della stipulazione di un contratto
di lavoro interessante persona minore dei 18 an ni non embra
poter trovare piena giustificazione sulla base dell'istituto della
rappresentanza legale. È certo , peraltro , che l' adempimento
delle varie obbligazioni scaturenti dal contratto sottin tente ed
implica un riconoscimento della volontà del minore. Lo svolgimento da parte del lavoratore della prestazione pattuita non si
concreta in una mera azione materiale, incapace di produrre
conseguenze giuridiche. Il contratto di lavoro è un contratto
ad esecuzion e continuata, il su o contenuto è estremamente vario
e il suo svolgimento importa un comportamento continuato e
vario dei due soggetti e successive manifestazioni di volontà da
parte degli stessi. Il lavoratore deve determinare il proprio comportamento non solo in base alle obbligazioni assunte nel contratto e alla qualifica ricevuta , ma anch e in base alle manifestazioni , n el corso del rapporto, del potere direttivo d eli 'imprenditore; egli deve adempiere, altresì, agli obbligh i di dil igenza e
d i fedeltà , svolgendo un'attività - positiva o n egativa - alla
quale si ricollegano o si possono ricollegare importanti conseguenze giuridiche. Nel corso del rapporto , inoltre, il lavoratore
minore può esercitare personalmente alcuni diritti , sorgen ti dir ettamente dalla legge o dal contra tto, alla stessa stregua degli
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bligo fondamental e che il prestatore di lavoro assume nel contratto di lavoro impone lo svolgimento di una prestazione personale di fare; e nessun soggetto, nemmeno il genitore esercente
la patria potestà, può costringere il .minore, che non volesse,
ad adempiervi. Perciò il contratto di lavoro non potrebbe essere
validamente stipulato dal legale rappresentante senza o, peggio,
contro la volontà del minore; la p resenza di costui, in sede di
stipulazione del contratto, sarebbe necessaria e il genitore o
tutore svolgerebbe una funzione di assistenza e non di vera e
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Lezioni di diritto del lavoro
altri lavoratori di età maggiore: tipico il caso dell' esercizio del
diritto di sciop ero; ma una situazione analoga si ba, a nostro
avviso, anche nell ' esercizio del diritto alle ferie e per quello
al riposo domenicale e settimanale: nell'un caso e nell'altro
l'eser cizio del diritto, infatti, è essenzialmente personale.
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Se è vero, perciò, che nella fase della stipulazione del con-
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trallo alla volontà del minore si sostituisce quella del genitore
o del tutore, è vero anche che nello svolgimento del rapporto
la volontà del minore è, in molti casi almeno , determinante e
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sotto questo profilo un suo riconoscimento è implicito nel nostro
ordinamento. Da ciò deriva, a nostro avviso, una limitata ca·
pacità dj agire in materia di lavoro anche pel minore degli
anni 18. Questa capacità è una conseguenza necessaria deli ' ob-
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bli go che ha anche il lavoratore minore di eseguire personalmente la prestazione; capacità giuridica c capacità di agire ven·
go no quindi, necessariamente a coincidere, come coi nei dono in
tutti quegli atti (si pensi al matrimonio o al testamento) che non
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ammettono rappresentanza legale.
Se si tiene conto che senza l ' intervento del minore, il contralto pur validamente stipulato e perfetto , non può avere ese·
cuzione, si può dire che la volontà del minore f unzioni da
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condizione (condicio juris) di efficacia dell'atto. Si deve distinguere, cioè, tra perfezione ed efficacia dell'atto. È una distinzione
che assume uno speciale rilievo in alcuni negozi di diritto pub-
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blico (ad es. nella costituzione del rapporto di pubblico impiego) ma che è frequente anche nel diritto privato; nella
specie essa consente di conciliare la situazione formal e, secondo
la quale l ' intervento del genitore e del tutore h a luogo in f unzione di rappresentanza del minore, con la r ealtà non solo sociale
ma anche giuridica che subord ina l' adempimento della presta·
zione alla libera volontà del minore stesso.
Sempre a questo proposito si deve rilevare ch e l 'interve nto
del minore degli anni 18 è esplicitam ente richiesto per la stipu·
!azione del contratto di a rruolamento marittimo e per quella del
contratto di lavoro per il p ersonale di volo. Il cod. della navi·
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gazione (art. 324 e 908) reca a questo riguardo che il minore può
stipulare i predetti contratti ed esercitare i diritti e le azioni
che ne derivano « con il consenso di chi esercita la patria
potestà o la tutela». L 'opera del genitore e del tutore è, in
questo caso, di vera assistenza e non di rappresentanza.
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58. Il prestatore di lavoro in un'ùnpresa. Categorie. La
distinzione tra impiegati e operai. - Se la figura del prestatore
di lavoro subordinato non può essere limitata al soggetto con·
templato dell ' art. 2094, è certo però che il prestatore di lavoro
dipendente da un imprenditore e la prestazione di lavoro nell 'impresa assumono, nel sistema del codice e nella realtà della
vita sociale, una importanza tutta particolare. Interessante è
notare che nei riguardi del prestatore di lavoro in questione sembra venire in considerazione anche un altro elemento, oltre ai
tre innanzi indicati. L'art. 2094 infatti afferma che è prestatore
di lavoro subordinato colui che si obbliga «a collaborare nell'impresa, prestando etc. >> . Sembrerebbe quindi che un elemento
di «collaborazione» dovesse caratterizzare questa figura giuridica. Senonchè occorre tener presente che la concezione del
lavoratore subordinato come cc coll aboratore>> dell ' imprenditore,
è strettamente dipendente dal principio corporativo della collaborazione fra le classi nell'interesse superiore della produzione
nazionale, che nel 1942, anno di promulgazione del codice civile,
ispirava ed informava la nostra legislazione. Comunque, tale
preteso elemento non appare giuridicamente configurabile ; esso
costituì ce anch e oggi , come del resto costituiva nell o stesso
periodo corporativo, un 'affermazione di carattere politico-sociale, priva di un effettivo contenuto giuridico; dal punto di
vista giuridico l 'elemento della subordinazione p resenta carattere assorbente e non lascia posto per una collaborazione, che
presupporrebbe piuttosto un rapporto di carattere associativo.
La legge distingue, in seno all 'impresa, tre categorie fondamentali di prestatori di lavoro: dirigenti amministrativi c tecnici, impiegati ed operai (codice civ., art. 2095). Nell'ambito
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di ogni categoria, legge e contratti collettivi prevedono in genere
ulteriori distinzioni e qualifiche: direttori , capi di ufficio o di
servizio, institori, procuratori, impiegati di concetto e d'ordine,
operai specializzati e qualificati , manovali specializzati e comu ni,
etc.
Categoria e qualifica sono assegnate dall' imprenditore, al
momento dell'assunzione e in relazione alle mansioni per le
quali il prestatore di lavoro è stato assunto. I contratti collettivi
possono stabilire che, in caso di divergenza, l 'accertamento dei
fatti rilevanti p er la determinazione della qualifica venga fatto
da un collegio costituito da un ispettore del lavoro e da delegati
delle associazioni sindacali interessate; tale accertamento ha
carattere vincolante, salvo che non sia viziato da errore manifesto (di sp. attuazione cod . civ., art. 96).
Se si tien conto che i dirigenti altro non sono che una
categoria di impiega ti {v. infra, n. successivo), è chiaro che la
distinzione fondamentale, che in realtà assume un particolare
rilievo nel campo del diritto del lavoro, è quella tra impiegato
e operaio.
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Comunemente si ritiene che tale distinzione si fondi sulla
natura intellettuale o manuale della prestazione di lavoro; ad
una prestazione di natura prevalente.rnente intellettuale dovrebbe
corrispondere la qualifica impiegatizia, ad una di carattere pre·
valentemente manu ale q~ella operaia. Tale criterio potrà risultare valido nella maggioranza dei casi e delle situazioni, ma non
assume ad ogni modo valore e portata generali ed è in definitiva
da respingere. Sta di fatto che la qualifica impiegatizia è pacificamente riconosciuta anche in casi nei quali la natura prevalente·
mente intellettuale della prestazione è molto dubbia, se non
addirittura da escludere (si pensi ai commessi di negozio, ai
commessi di studio: copisti, dattilografi , etc.), mentre la qualifica
operaia è attribuita in molti casi in cui il carattere manuale ha,
nella prestazione di lavoro, un ' importanza del tutto secondaria
(come avviene nel caso di lavoratori altamente specializzati).
I soggetti del diritto del lavoro
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La questione della distinzione tra impiegato ed operaio è in
realtà una questione di diritto positivo. L'art. 2095 del Codice
stabilisce infatti che le leggi speciali e i contratti collettivi,
«in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare
struttura d eli 'impresa», determinano i requisiti di appartenenza
alla categoria dei dirigenti e a quelle degli impiegati e degli
operai; in mancanza, l'appartenenza alla categoria di impiegato
o di operaio è determinata dal decreto legge 13 novembre 1924,
n. 1825, sul contratto d'impiego privato (art. 95 disp. di attuaz.
del cod. civ.).
Ora, l ' art. l di questo decreto legge stabilisce che è impiegato colui che viene assunto al servizio di una impresa, normalmente a tempo indeterminato «con funzioni di collaborazione
tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione che
sia semplicemente di mano d ' opera ».
La distinzione quindi si basa - possiamo dire - sulla « collaborazione », intesa nel senso di riferibilità .della prestazione
a mansioni proprie dell' imprenditore. Si h a tale collaborazione
allorchè il lavoratore svolge mansioni che, in quanto attengono
all'organizzazione stessa dell'impresa e alla combinazione dei
vari fattori della produzione, sono proprie deli 'imprenditore ;
quindi mansioni di direzione, di organizzazion.e, ma non solo
esse ; anche mansioni esecutive e d'ordine (tenuta di documenti
contabili, archivio , copia) in quanto attengono all' organizzazione
dell' impresa, sono mansioni proprie dell' imprenditore e chi vi
è addetto « collabora » con l' imprenditore, nel senso etimologico
del vocabolo che « lavora con » lui, ed è quindi impiegato. Viceversa quando quelle mansioni , anche se elevate, esulano dalla
sfera di attribuzioni dell' imprenditore, sono oggetto della sua
opera di organizzazione e non elem ento di essa, chi vi è addetto
è operaio e non impiegato.
È appena il caso di sottolineare che la «collaborazione» cui
si richiama il d. legge del 1924 ha una portata e un contenuto
ben diversi di quella ch e, come testè abbiamo visto, viene in
rilievo - se ancora può dirsi che venga in rilievQ - n el ricor-
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Lionello Levi Sandri fonds