Prefazione
PREFAZIONE
La crisi del settore tributario è sotto gli occhi di tutti, dell’opinione pubblica e
degli operatori del settore. Che vedono molta parte del loro tempo assorbito
in adempimenti sostanzialmente secondari, rispetto ad altri, che invece
vengono trascurati. Il disorientamento ultradecennale delle istituzioni
politiche e amministrative davanti ai problemi del settore riflette la mancata
comprensione, da parte dell’opinione pubblica qualificata, degli studiosi della
convivenza sociale, degli “opinion makers”, delle classi dirigenti, che la
tassazione moderna passa attraverso le aziende. Alle aziende, intese come
gruppi sociali, dove le persone in parte modificano i propri comportamenti
individuali, è infatti dedicato un adeguato spazio in questo volume. Dalle
aziende, intese come gruppi di persone, e non come insiemi di beni,
dipendono i pregi e i difetti di un sistema tributario che entra in crisi dove le
aziende mancano, o nella misura in cui le loro ridotte dimensioni consentono
al proprietario di nascondere quote significative di ricchezza. Dove le aziende
non arrivano o non sono affidabili dovrebbe intervenire serenamente una
richiesta delle imposte da parte del fisco. Perché, oggi come ieri, le tasse si
pagano quando qualcuno le richiede, o si avverte la probabilità che lo faccia.
Può anche essere efficiente delegare la richiesta delle imposte alle aziende, ma
bisogna intervenire dove esse mancano, o i loro proprietari possono mentire.
Altrimenti si creano gli squilibri involontari che lacerano la nostra opinione
pubblica e che sono alimentati dalle spiegazioni dei comportamenti in termini
di “onestà” e “disonestà”, di “lotta all’evasione”. Lo stesso concetto di
“autotassazione” è fuorviante quando viene inteso come se milioni di
contribuenti si trovassero davanti alla normativa fiscale e si regolassero in
base ad una loro fantomatica “onestà” o “disonestà”. Non ha senso applicare
alle aziende, che sono gruppi di individui, la stessa pietra di paragone
dell’onestà o della disonestà, utilizzata per individui in carne e ossa, come
piccoli commercianti o artigiani, privi di rigidità aziendali e quindi con
amplissime possibilità di nascondere ricchezza al fisco, che
comprensibilmente utilizzano. L’unica differenza tra questi individui e le
organizzazioni è nella maggiore rigidità delle seconde, ma se invece si effettua
il confronto in termini di onestà/disonestà non ci sono motivazioni palesi per
considerare le organizzazioni “più oneste” dei piccoli commercianti e degli
artigiani. Che sono tanti, evadono per bisogno e oltretutto “votano”. Messe le
cose su questo piano, le aziende sono poche, non votano, e agli occhi
dell’opinione pubblica sono misteriose e spersonalizzate. Quanto basta per
essere considerate non dico “cattive”, ma non più oneste del piccolo
commerciante o dell’artigiano. Quindi se evadono questi ultimi, perché non
dovrebbero evadere le aziende? Le quali sono ideali per interpretare la
VII
Prefazione
scomoda parte del “grande evasore” , attirando paradossalmente la maggior
parte dei controlli proprio su quanto esse stesse dichiarano, mentre quanto i
loro titolari hanno la possibilità di nascondere resta sostanzialmente
indisturbato; i titolari delle aziende, costretti loro malgrado a fare gratis gli
esattori del fisco, si prendono verosimilmente nell’ombra la loro rivincita,
nella misura in cui glielo consentono i margini di flessibilità residui delle loro
aziende; del resto è normale che il titolare dell’azienda, con margini per
nascondere una quota di ricchezza al fisco, faccia un po’ di cresta in proprio,
magari tassando fino all’ultimo centesimo i terzi, dipendenti, consumatori,
etc. Si innesca così quel meccanismo perverso che già intravedevo in
“Evasione fiscale Paradiso e inferno”1.
La tassazione attraverso le aziende si trasforma così in una grande
messinscena, molto più di quanto dovrebbe essere, e in una certa misura lo
sia ogni vicenda umana. Quando il fisco contesta il regime giuridico di tutto
quello che gli si dice, nascondere la quota di ricchezza compatibile con le
proprie dimensioni aziendali, non è il problema, è la soluzione,
implicitamente offerta da un sistema confuso, e quindi inevitabilmente
ipocrita. Volendo estremizzare, per le aziende “tutorate”, sottoposte a
controlli ricorrenti e annuali, si profila un doppio livello di imposizione
tributaria, il primo in autodeterminazione per sostenere il peso delle spese
pubbliche, trasferendolo in gran parte su dipendenti, collaboratori,
consumatori, risparmiatori. Il secondo livello con accertamenti, di solito in
adesione, basati sull’evasione interpretativa, cioè la reinterpretazione giuridica
di quanto dichiarato dalle aziende. In questo modo si alimentano le statistiche
del gettito recuperato, mentre il numero degli autonomi controllati è irrisorio
rispetto al loro numero, e anche presso le suddette aziende “flessibili”, dove
ci può essere una consistente quota di “nero”, viene fuori poco o nulla.
Questo anche per carenza di cultura giuridica, perché nessuno spiega che la
ricchezza nascosta non può essere determinata con la precisione contabile
tipica delle aziende, e richiede le solite valutazioni per ordine di grandezza che
caratterizzano la tassazione da millenni. Neppure ha senso farneticare di
sanzioni oltre certi limiti, perché la ricchezza nascosta è comunque
onestamente guadagnata, e le sanzioni non possono andare molto al di là
dell’acquisizione totale di quello che sarebbe stato imponibile. Tanto è vero
che, se teniamo conto della media, in genere agli autonomi si chiedono, in via
di controllo, più o meno le imposte che avrebbero pagato direttamente se
avessero dichiarato tutto. Quindi la crisi della tassazione attraverso le aziende
è superabile solo attraverso una “perequazione tributaria” che porti la
“richiesta delle imposte”, in modo molto più esteso, dove le aziende non
arrivano o i loro titolari mentono.
1
VIII
In due parole, inferno della ricchezza palese, paradiso di quella nascosta.
Prefazione
Le attuali sperequazioni creano infatti costi sociali altissimi in termini di
perdita di coesione tra categorie produttive, rancori e recriminazioni sociali,
allontanamento delle grandi aziende multinazionali, ostacoli alla crescita di
quelle piccole, drammatizzazione dell’attività degli uffici.
La crisi non ha le solite cause politico-sociali con cui tutti la liquidano, come
se fosse una cospirazione politica consapevole, o il riflesso di già indicate
carenze ataviche di senso civico. Le cause sono invece molto meno
consapevoli, e sono tecniche, o meglio tecnico-scientifiche, se vogliamo
riferire il termine allo studio della convivenza sociale. Nel settore tributario si
incrociano infatti settori di tutte le scienze sociali, come politica, diritto,
gestione aziendale ed economia. Anzi, il diritto vi viene in considerazione
negli aspetti dello studio dei poteri pubblici e dell’analisi economica dei
rapporti privati, per tacere del processuale e del penale. Il malessere latente
nelle varie discipline delle scienze sociali si amplifica tante volte quante sono
le materie che si intrecciano nella tassazione attraverso le aziende. Che
sembra attrarre tutto il malessere, ed i complessi, delle cosiddette “scienze
sociali” rispetto alle scienze fisiche. Anche per questo l’Italia non è riuscita a
creare, per lo studio della tassazione, un’accademia che sapesse coordinarne
gli aspetti giuridici, economici, aziendali e politici. Era un compito immane,
che probabilmente sarebbe stato comunque mancato, ma che è stato
ostacolato anche da spiegazioni processualistiche radicate nel periodo
anteriore alla tassazione attraverso le aziende, quando la ricchezza era stimata
direttamente dagli uffici. Senza ripetere, nella prefazione, concetti indicati
all’interno del volume, la concezione del diritto tributario come due parti che
litigano, tra cui il giudice decide a chi dare ragione, ha finito per far travisare
persino il processo, e la legislazione. La concezione legalistico-processuale del
diritto tributario è inadatta non solo a capire la tassazione attraverso le
aziende, ma anche a capire se stessa, cioè il ruolo del legislatore e del
processo. Perché la legislazione, e il processo, vanno inseriti in una cornice
giuridica di studio dell’attività dei pubblici poteri, diretti alla determinazione
della ricchezza. Il diritto dei poteri pubblici caratterizza il “metodo giuridico”,
e spiega il ruolo del legislatore e del giudice, mentre la gestione aziendale
caratterizza l’“oggetto economico”.
E’ un messaggio facile da comprendere per i lettori di elezione di questo
libro, cioè persone “mature” che hanno tratto dall’esperienza quei concetti di
base sull’organizzazione sociale che la formazione scolastica, e anche
universitaria, non fornisce2. Mi rivolgo quindi ad operatori del diritto,
2 Per questo il volume non si rivolge agli studenti, preoccupati soprattutto di “passare un esame”, il che è comprensibile in una formazione concepita come “strumento di facili conquiste
pratiche, una fabbrica di titoli accademici da concedere come corrispettivo delle tasse pagate”. Se questo era vero nel 1948, quando lo scriveva Salvatore Satta, nella prefazione al volume
di procedura civile (che neppure si trova su internet, cosa cui vedremo di rimediare), figuriamoci
(segue)
IX
Prefazione
dell’economia, delle aziende, e in genere a studiosi della convivenza sociale
nella politica, nell’economia, nel sindacato o nell’informazione3. Il libro non
dirà loro cose nuove, ma, come dovrebbero fare tutti quelli in materia
umanistica e sociale, consentirà loro di organizzare e collegare concetti già in
qualche modo posseduti4, vedendoli in una luce diversa.
Riorganizzando un po’ questo bagaglio economico-giuridico generale
dell’opinione pubblica qualificata, delle classi dirigenti, spero di poter
superare tanti equivoci che circondano la tassazione attraverso le aziende.
Sperando di contribuire un po’ alla serenità di questo tormentato settore. E di
essere la migliore cornice concettuale per successivi inquadramenti settoriali
che questa collana si propone in diverse direzioni sostanziali e procedimentali
della tassazione attraverso le aziende. Dal processo, alla motivazione
dell’accertamento, al reddito di impresa, alla fiscalità societaria, al passaggio
generazionale delle aziende, all’inerenza, e a tante altre parti della tassazione,
che ha senso approfondire solo in quadro d’insieme, che ci auguriamo possa
essere rappresentato da questo libro. Che cercherò di arricchire, nelle ulteriori
edizioni, con tutti gli spunti di ordine sistematico che dovranno pervenire
dagli amici e dai lettori, mentre i tanti temi dovuti a contingenti
scoordinamenti legislativi potranno essere chiariti nelle monografie
specialistiche di cui dicevamo, o su dialoghi tributari.
oggi, con la prospettiva della sempre minore possibilità di lavoro, in un quadro grigio del sapere
umanistico-sociale.
3 In questo quadro il volume va bene anche per i frequentatori di master universitari, o persino per gli studenti, una volta affrancati dall’ossessione di “cosa rispondere agli esami”, dalle nevrotiche domandine tipo “ma questo c’è o non c’è”, tipiche di un insegnamento nozionistico.
4 Come tutte le articolazioni delle scienze sociali, anche la tassazione presenta aspetti conosciuti o facilmente alla portata di chiunque abbia una certa esperienza della convivenza sociale. E’ un riflesso di quella “accessibilità” delle scienze sociali che teorizzeremo, tra le altre loro
caratteristiche, nel corso del testo (vedi Capitolo 2).
X
I. Fiscalità e tributi prima della tassazione attraverso le aziende
CAPITOLO I
FISCALITA’ E TRIBUTI PRIMA
DELLA TASSAZIONE ATTRAVERSO
LE AZIENDE
SOMMARIO: 1.1. Organizzazione privata e pubblica della convivenza
sociale: Stato, mercato e tassazione – 1.2. Tassazione e fiscalità: le entrate non tributarie dell’antica “finanza patrimoniale” – 1.3. I tributi
come collegamento dell’individuo a una determinata collettività – 1.4.
La richiesta dei pubblici poteri come sfondo della tassazione – 1.5. I
millenni della tassazione attraverso i poteri pubblici – 1.6. Il brusco
avvento della tassazione attraverso le aziende e la mancanza di una
sua spiegazione
1.1. Organizzazione privata e pubblica
della convivenza sociale: Stato, mercato
e tassazione
Il punto di partenza di tutti i libri di diritto, economia o politica,
prima di prendere ciascuno strade diverse, è la socialità umana e,
quindi, un’organizzazione basata sull’osmosi, l’interdipendenza
costante tra due modalità di fondo: quella privata, dell’accordo
individuale, e quella collettiva, dell’accordo politico. Perché gli
individui creano l’organizzazione collettiva, che interagisce con le
altre, all’esterno1, e all’interno garantisce l’ordine sociale basato
sugli accordi bilaterali.
In questo quadro dell’organizzazione sociale occorre ritrovare le
caratteristiche millenarie della tassazione, trasfigurate ma individuabili grattando sotto la superficie, collegando il passato col
presente, per spiegarlo e progettare il futuro2. Occorre evitare i
rischi opposti di romanzare il passato, guardandolo con gli occhi
1
L’organizzazione
sociale e le sue
modalità
La riscoperta
dei caratteri
tradizionali
della tassazione
Si pensi alla difesa militare e ai rapporti diplomatici.
Nel sapere umanistico sociale, cui sono riconducibili diritto, economia, politica, gestione aziendale, e altri aspetti della vita associata (paragrafo 2.5.), le
tradizioni sono importanti e rivelano tendenze ricorrenti degli esseri umani e della
loro convivenza: il passato condiziona il futuro, conoscenze ed esperienze si stratificano nel tempo e formano gradualmente una sensibilità che si evolve.
2
3
Manuale professionale di diritto tributario
del presente, oppure di ridurlo a sterile filologia3 per un rifiuto
pregiudiziale di usare alcuni atteggiamenti dell’uomo di oggi per
capire quello di ieri. Bisogna, quindi, capire in quale misura i nostri atteggiamenti attuali possono essere utilizzati per comprendere quelli delle organizzazioni sociali del passato.
Nell’intreccio tra
organizzazione
sociale pubblica
e privata
L’organizzazione sociale “privata”, bilaterale, consensuale, oggi
istintivamente associata a quella di “mercato”, si intreccia quindi
con i poteri pubblici, la sovranità, la coercitività, oggi associata
all’idea di “Stato”. I gruppi sociali sono però molto più numerosi,
e non bisogna assolutizzare forme contingenti della convivenza,
come il moderno Stato territoriale, retto da un governo e da una
costituzione; invece l’uomo è strutturalmente un animale sociale,
ma non un animale statale, né aziendale, né mercantile. La storia
ha conosciuto, ed esistono anche oggi, tanti gruppi diversi dallo
Stato e dal mercato, aggregati da un bisogno, da una idea, o da un
misto dei due4.
Lo Stato come
forma relativa
di organizzazione
pubblica
Lo Stato e il mercato sono solo la manifestazione attuale, e storicamente relativa, dell’organizzazione pubblica e dell’organizzazione privata della convivenza sociale.
Per secoli, del resto, l’organizzazione collettiva ha avuto base diversa dall’attuale Stato territoriale, ad esempio etnica, nomade,
religioso-ascetica come gli ordini monastici degli ospitalieri o dei
cavalieri teutonici, feudale, guerriera (compagnie di ventura),
mercantile (come le compagnie commerciali con le loro milizie),
delinquenziale, come le leghe di pirati o le mafie, esoterica, come
varie sette medievali, persino ideologica, come la massoneria; la
pluralità dei gruppi sociali, ciascuno con un proprio sistema di
valori e spesso anche di coercizione, era nella storia ben prima
che ne parlassero giuristi come Santi Romano. Molti dei gruppi
sopra indicati hanno avuto, quando serviva, eserciti e polizie che
interagivano con quelle di altri gruppi organizzati. Poi sono stati
assorbiti dallo “Stato nazionale” del secolo scorso, fatto di territorio, autorità esclusiva5 e diritto appiattito sulla legislazione
“onnipotente”, che non è certo la forma necessaria della convi-
3
Macerandosi sulle fonti e sui documenti.
I piccoli scambi dell’economia agricolo pastorale di sussistenza erano i
progenitori del “mercato”, in una cornice di ordine pubblico e di difesa che si sarebbe poi evoluta verso lo Stato.
4
5
4
Sublimatosi all’estremo limite totalitario di Ein reich, ein volk, ein fuhrer.
I. Fiscalità e tributi prima della tassazione attraverso le aziende
venza sociale, come conferma non solo la storia, ma anche
l’evoluzione del presente, con i gruppi sociali sovranazionali o
federali.
La convivenza sociale oscilla tra due modelli. Da un lato vi è
l’organizzazione privata, la “società civile”, basata sul consenso
negoziale, sullo scambio, sulla “pariteticità”, sulla corrispettività.
Questa che oggi viene chiamata “mercato”, più o meno globale,
ma che ieri caratterizzava la già menzionata economia agricola di
sussistenza, di artigianato, di limitati scambi locali. Dall’altro lato
vi é l’organizzazione collettiva, basata sul “consenso politico”,
che sarebbe una forzatura spiegare estendendo gli accordi tra
privati, come faceva nel settecento Rousseau; il suo Contratto sociale era solo un espediente argomentativo per limitare le fantomatiche “investiture divine del monarca”, all’epoca ancora prese
sul serio. Il consenso su cui si basa il potere politico è, infatti,
molto diverso dal consenso negoziale bilaterale, ma ci torneremo,
per evitare ripetizioni, a proposito del ruolo del potere legislativo
in materia tributaria.
Organizzazione
privata /
mercato/
consenso
negoziale/
rispetto a
organizzazione
pubblica e
consenso politico
Questi due punti di riferimento dell’organizzazione sociale non
sono compartimenti stagni, ma si integrano l’uno nell’altro. Gli
accordi sono sempre stati garantiti, anche indirettamente, dal
gruppo, con la difesa, la giustizia, la tutela della proprietà e della
fiducia reciproca. Per questo la contrapposizione tra Hobbes e
Locke, tra l’uomo cooperativo e l’homo homini lupus è solo una estremizzazione. La tutela pubblicistica dei rapporti giuridici è stata del resto ritenuta6 uno dei motori dello sviluppo del settore
privato; man mano che questo diventa più complesso, anche il
settore pubblico deve andargli dietro, come vedremo al paragrafo
4.5., confermando che l’organizzazione pubblica e quella privata
si alimentano a vicenda; quella privata alimenta quella pubblica,
che a sua volta la garantisce. Il rapporto reciproco tra i due settori varia ma, come conferma il fallimentare esperimento sovietico,
l’uno ha bisogno dell’altro.
Alcuni aspetti della convivenza spettano in genere all’organizzazione collettiva, come difesa, giustizia, culti, infrastrutture o pro-
L’osmosi tra
organizzazione
pubblica
e privata
6 L’economista peruviano Hernando De Soto ha teorizzato che la differenza
tra i Paesi occidentali e quelli in via di sviluppo è la certezza dei rapporti giuridici ,
la circolabilità della proprietà grazie al servizio di giustizia, che le istituzioni pubbliche prestano ai privati. E’ una chiave di lettura che, come spesso avviene nelle
scienze sociali (paragrafo 2.5.), non spiega tutto, ma coglie abbastanza.
5
Manuale professionale di diritto tributario
duzioni strategiche, mentre l’organizzazione privata si occupa
della produzione ordinaria di beni e servizi, salvo magari un intervento regolatore pubblico a tutela delle parti deboli o di interessi generali; in alcuni settori intermedi organizzazione pubblica
e privata sono variamente fungibili, come sanità, assistenza o istruzione, e qui si sofferma il dibattito tra “statalisti” e “liberisti”,
che riprenderemo al paragrafo 4.5.
La possibilità
di un gruppo
sociale
senza tributi
1.2. Tassazione e fiscalità: le entrate non tributarie
dell’antica “finanza patrimoniale”
E’ già chiaro a questo punto un filo conduttore del volume, cioè
che la tassazione riguarda senza dubbio l’organizzazione sociale
“pubblicistica”. Sarebbe però un errore trasferire sul passato una
contingenza del presente, in cui l’organizzazione pubblica è finanziata soprattutto attraverso i tributi. Questi ultimi non sono
invece una caratteristica indefettibile di qualsiasi organizzazione
sociale, come confermano i lunghi periodi storici in cui
l’organizzazione pubblica della convivenza sociale è stata sostenuta da strumenti non tributari.
Lo sfruttamento
di beni pubblici
come prima
fonte
di finanziamento
I tributi comportano, infatti, a parità degli altri fattori, un certo
malcontento sociale; pagare le imposte è sempre piaciuto poco,
ed anche chiederle non incrementa il consenso sociale del vertice
politico, che anche nei regimi tirannici cerca di sfruttare i finanziamenti “patrimoniali” prima di passare ai tributi7; finché le spese pubbliche erano modeste, si tendeva a fronteggiarle mediante i
proventi di beni pubblici a partire dalle concessioni di terre o di
miniere, come accadeva in epoca romana ed oggi in molti stati
produttori di petrolio.
Confische,
requisizioni,
monopoli,
vendite
di cariche,
e altre entrate
del passato
Questa proprietà pubblica poteva alimentarsi con entrate coattive
non tributarie come requisizioni e confische8, magari collegate a
7 Sul carattere residuale del tributo vedi molti passaggi di Cerami, Aspetti e
problemi di diritto finanziario romano, Giappichelli, 1996. Una storia della tassazione, utile per approfondimenti e tesi di laurea, per mettere alla prova quanto sostenuto in questo volume si trovano in La fiscalità nell’economia europea dal secolo XIII al XVIII a cura di Cavaciocchi, Firenze università press, 2009 (atti del convegno internazionale dell’istituto Datini di Prato sul tema).
8 Le confische gravavano su appartenenti al gruppo che, in qualche modo,
dovevano essere “puniti”. Si ricordino, nell'antica Roma, le liste di proscrizione del
secondo triumvirato, e tanti altri episodi in cui illustri cittadini vennero perseguitati
e giustiziati proprio perché i potenti di turno potessero appropriarsi delle loro ricchezze.
6
I. Fiscalità e tributi prima della tassazione attraverso le aziende
persecuzioni9, bottini di guerra10 con riduzioni in schiavitù11 ed
appendici di taglie e riscatti12; il gettito delle sanzioni al codice
della strada ancora oggi alimenta del resto i bilanci comunali. Alla
forza del gruppo erano indirettamente ascrivibili anche erogazioni spontanee, compresa l’organizzazione di spettacoli pubblici, o
la costruzione di opere utili alla collettività13. Lo scopo era avere
visibilità pubblica e, quindi, cariche politiche, titoli nobiliari o ecclesiastici, o semplicemente popolarità.
L’organizzazione sociale “pubblicistica” poteva basarsi però anche su prestazioni in natura, come le corvées per la manutenzione
dei boschi o delle strade, o il lavoro personale prestato, con vari
gradi di coattività, dalle piramidi alle cattedrali gotiche, fino alla
coscrizione militare obbligatoria nei moderni “Stati-nazionali”14.
Prestazioni in
natura, lavoro
coatto e servizio
militare
L’intervento pubblico nell’organizzazione sociale poteva anche
ispirarsi al mercato, chiedendo una tariffa agli utenti di opere o
servizi pubblici; l’utenza poteva essere in vario modo forzata, u-
Tariffe e tasse
9 Espulsioni di massa, come quelle degli ebrei o dei moriscos dalla Spagna,
liste di proscrizione nell’antica Roma, grandi processi per eresia, come quello dei
templari, e persino scismi religiosi, come quello anglicano sotto Enrico VIII, servirono in buona parte al potere politico per incamerare i beni dei perseguitati.
10 Il saccheggio, la razzia e il bottino di guerra avevano il vantaggio di gravare su gruppi sociali “alieni” rispetto a quelli che li effettuavano.
11 Il lavoro schiavistico era uno strumento per la soddisfazione dei bisogni
collettivi, negli imperi dell’antichità.
12 Le somme chieste per la liberazione di nemici catturati erano
un’importante fonte di entrata nel medio evo, come ricorda la storia di Riccardo
Cuor di Leone di ritorno dalle crociate, trattenuto dal duca d’Austria fino al pagamento di un riscatto (anche a fronte dei danni arrecati dall’esercito crociato
nei domini nel duca, attraversati sulla via del ritorno).
13 Si pensi ai ludi gladiatori organizzati da Giulio Cesare, o al finanziamento
delle infrastrutture dove il mecenate faceva scrivere “fecit de pecunia sua” (in
proposito Zerbini, Pecunia sua. Munificenza privata ed utilità pubblica nelle città
romane, Rubbettino, 2008).
14 Mentre la polvere del tempo copre i ricordi delle guerre mondiali del ventesimo secolo, capire perché milioni di giovani si siano fatti uccidere per dovere,
adempiendo una prestazione imposta (servizio militare) è una sfida interessante
per i cultori del sapere umanistico sociale. E’ però una conferma dell’importanza,
nella spiegazione dei comportamenti umani, di quello in cui si crede, o in cui si
viene indotti a credere, in una dialettica tra individuo e contesto sociale, pervaso
da retoriche di forza e di potenza. Sono del resto atteggiamenti che ritroviamo
nella varie forme di kamikaze di ieri e di oggi, a riprova, che l’”uomo razionale”, di
cui gli economisti indagano i comportamenti con grafici e formule è, come vedremo, pura illusione.
7
Manuale professionale di diritto tributario
sando i poteri coercitivi perché determinati bisogni fossero soddisfatti solo attraverso il servizio pubblico a pagamento15. Diremo più avanti della zona grigia tra tariffe e tributi, tipica delle
sfumature che caratterizzano le scienze umane (paragrafo 2.5.).
Prestiti forzosi e
svalutazioni
Potevano poi esserci entrate pubbliche a titolo di prestito, eventualmente forzoso nelle contingenze politiche più delicate.
Un sostegno alla finanza pubblica poteva venire anche da interventi sul valore della moneta, perché entro certi limiti il gruppo
sociale può influenzare i “valori economici” utilizzati al proprio
interno 16; l’autorità politica aveva quindi margini per “fare cassa”
attraverso emissioni di moneta e connessa svalutazione.
I monopoli come
fonti di entrate
Alcune attività private potevano poi essere riservate a chi pagasse
un canone allo Stato, come accadeva per i monopoli, ad esempio
nel commercio d’oltremare17.
Le sfumature tra
le entrate basate
sul consenso e
sulla coattività
Già in questo brevissimo panorama troviamo quindi ininterrotte
combinazioni di corrispettività e coattività, più che schematiche
contrapposizioni tra entrate di diritto privato, e entrate di diritto
pubblico. Tra il braccio violento dello Stato, che confisca le proprietà dei ribelli o dei malfattori, ed i corrispettivi per i servizi
pubblici, troviamo quel patto di convivenza sociale cui corrispondono i tributi. Questi ultimi erano usati, non a caso, soprattutto a fronte di occasionali emergenze finanziarie, soprattutto
militari, ad integrazione delle entrate ordinarie18.
15 Un esempio potrebbe essere oggi il tributo per la raccolta dei rifiuti solidi
urbani. Un’analoga leggendaria entrata per pubblici servizi fu quella istituito sulle
latrine da Vespasiano, rimproverato per questo dal figlio Tito, cui rispose “non olet”, indicando una moneta, simbolo del gettito. Anche questa è una conferma
dell’interdipendenza tra organizzazione pubblica e privata nella convivenza sociale.
16 Il titolare del potere politico aveva margini per “battere moneta”, imponendone la circolazione e finendo così per provocarne la perdita di valore; la
svalutazione monetaria, insomma, è una specie di imposta occulta, utilizzata tra
l’altro nel tardo impero romano, con un graduale abbassamento della quantità
di oro presente nelle monete.
17 Si ricordino le varie compagnie di commercio, come quelle delle Indie,
cui gli Stati riservavano le relazioni mercantili con le colonie.
18 Appare pertanto solo una battuta ad effetto quella di B. Franklin, secondo cui solo due cose sono certe nella vita, la morte e le tasse.
8
I. Fiscalità e tributi prima della tassazione attraverso le aziende
I tributi sono quindi solo una parte della fiscalità, intesa come
amministrazione del patrimonio pubblico, denominato fisco19,
erario o “tesoro”, che invece è un elemento strutturale di qualsiasi gruppo sociale20. Ogni collettività organizzata ha, infatti, una
fiscalità, intesa come amministrazione del patrimonio pubblico21,
o strumento per far fronte alle spese pubbliche, mentre i tributi
potrebbero anche non esserci, o costituire una fonte di entrata
relativamente secondaria e sporadica.
1.3. I tributi come collegamento dell’individuo
a una determinata collettività
Quando le entrate della “finanza patrimoniale”, basate sullo
scambio o sulla coercizione, non bastavano, ecco emergere
l’imposta, collocata in una posizione intermedia; secondo cui chi
viene in contatto con una comunità politica contribuisce ai suoi
costi organizzativi22 in relazione alla propria forza economica,
emergente da manifestazioni di ricchezza.
Per alcuni aspetti è un ragionamento simile a quello di un enorme
condominio, dove i servizi indivisibili sono pagati in proporzione
al valore degli appartamenti. Un po’ di coercizione c’è, espressa
dagli organi della collettività verso suoi componenti fiscalmente
riottosi, ma per il resto rispettati, in quanto produttori di reddito
o legittimi titolari di patrimoni. I tributi stanno quindi in una posizione intermedia, secondo il solito gradualismo delle scienze
sociali (paragrafo 2.5.), tra i corrispettivi e le acquisizioni confiscatorie, basate esclusivamente sulla forza: uno degli elementi caratteristici del tributo è, appunto, la consapevolezza della appartenenza ad una “comunità”, ad un gruppo sociale, a una “tribù”;
I tributi come una
parte
della fiscalità
Residualità della
tassazione nel
finanziamento
delle spese
pubbliche
Il pagamento del
tributo come
indice di
appartenenza a
una comunità ...
19 Sembra dal nome del cesto con cui si raccoglievano le somme, che era
simile a quello usato nell’antica Roma per la raccolta dei fichi.
20 L’erario e il fiscus dell’antica Roma altro non erano che il patrimonio pubblico, il primo nell’epoca repubblicana e il secondo in quella imperiale. Il Tesoro è
un’espressione di cui oggi il ricordo resta nel nome di molti ministeri finanziari dei
Paesi sviluppati.
21 Una conferma di questa maggiore ampiezza della fiscalità rispetto alla
tassazione, o ai tributi, si ha nel c.d. “federalismo fiscale”, di cui parleremo al paragrafo 5.5., ma che si riferisce prima di tutto alla allocazione delle entrate pubbliche tra i vari livelli di governo deputati a spenderle e, quindi, rappresenta un
fenomeno appunto più fiscale che tributario.
22 Si tratta dell’organizzazione pubblica della convivenza sociale di quella
specifica comunità.
9
Manuale professionale di diritto tributario
è il segno di un “patto di convivenza”, dell’appartenenza a uno
stesso gruppo, dove si hanno degli interessi in comune23. Tra chi
paga i tributi e chi li riceve c’è quindi, nella storia, un patto di coesistenza, espresso o tacito24; magari è un patto imposto con la
forza, ma comunque accettato, preferibile a mali peggiori. In nessuna comunità però gli individui pagano volentieri, proprio perché non percepiscono i benefici immediati del pagamento25.
Possibilità
economiche
o fisiche
come primo
parametro di
commisurazione
delle imposte
Non spetta ai tributaristi approfondire cosa tenga insieme i gruppi sociali, in quale misura sia il territorio, la religione, la stirpe o
gli interessi economici. Ai fini tributari rileva la richiesta, da parte
delle gerarchie del gruppo26, di un contributo per sostenere
l’organizzazione collettiva. Questo contributo può consistere in
risorse economiche (in sintesi “ricchezza”) o lavoro fisico, che
sono il primo teorico parametro per la commisurazione di richieste tributarie, come pleonasticamente ribadisce l’art. 53 della Costituzione, con gli equivoci di cui al paragrafo 5.2.
La diversa
determinabilità
della ricchezza
Sono sempre però subentrate altre valutazioni, connesse alla diversa individuabilità della ricchezza, che costituisce un filo conduttore di questo libro, con la tassazione riversata sulle ricchezze
facilmente individuabili e quantificabili, anziché su quelle sfuggenti.
Riflessi della
ricerca di
consenso sociale
sulla tassazione
Questo spiega l’appena menzionata antica tendenza alla “diseguaglianza fiscale”, ponendo cioè relativamente più tributi a carico di classi gerarchicamente subalterne, diverse cioè da quelle su
cui si puntellava il potere politico. Era politicamente preferibile,
23 Questo aspetto riguarda anche la tassazione degli stranieri, che si giustifica per via degli interessi economici o della residenza fisica nell’ambito di una determinata comunità.
24 Questo patto di coesistenza non esiste invece per le entrate derivanti da
prestazioni rese a terzi, magari assolutamente estranei all'istituzione pubblica che
effettua la prestazione (come sono ad esempio gli importatori esteri di beni nazionali di produzione pubblica).
25 Solo in alcuni casi particolari, quando il tributo simboleggia la desiderata
appartenenza al gruppo, il suo pagamento avviene volentieri. Una volta acquisito questo status, come in genere accade da noi per altri motivi, è difficile che i
tributi si paghino spontaneamente, di propria iniziativa, solo perché si sente il bisogno di far fronte alle pubbliche spese.
26 Il riferimento è alle varie tipologie di gruppi sociali, variamente interdipendenti, che si articolano all’interno della collettività, e di cui diremo più avanti, anche a proposito della pluralità degli ordinamenti giuridici.
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I. Fiscalità e tributi prima della tassazione attraverso le aziende
insomma, chiedere di più a individui o gruppi politicamente meno rappresentativi, anziché alle categorie su cui si basava il consenso del potere politico. E’ la spiegazione dei suddetti inasprimenti e privilegi fiscali, che hanno caratterizzato la storia passata,
comunque verso categorie le cui proprietà, i cui contratti e le cui
esistenze erano garantite secondo i sopra indicati criteri di appartenenza alla comunità. Sono atteggiamenti giunti fino ad oggi, sia
pure in forme diverse: anche oggi inasprimenti fiscali su alcune
categorie, riequilibrati da alleggerimenti su altre, non si bilancerebbero in termini di consenso politico.
Al di là dei progetti di riforma, che danno voce all’insoddisfazione diffusa nel settore, c’è un conservatorismo fiscale strisciante, dove una tassa vecchia e collaudata è preferita ad una nuova e
da sperimentare. Per timore che ne siano valorizzati mediaticamente solo gli aspetti negativi. Nel settore, i cambiamenti in peggio creano, infatti, più attenzione di quelli “in meglio”; al limite
persino lo slogan: pagare meno pagare tutti, in apparenza così
suadente, può rivelarsi passivo quanto a bilancio di consenso.
Dove coloro che pagano qualcosa di meno neppure se ne accorgono, o hanno apprezzamenti secondari, sempre sul piano del
consenso, rispetto alle rumorose recriminazioni di chi paga di
più. Anche perché, in materia di tributi, è molto più probabile la
protesta per un inasprimento che il ringraziamento per una diminuzione. Anche perché manifestare gratitudine sarebbe come
un’ammissione di aver avuto abbastanza e, quindi, impedirebbe
ulteriori richieste. Come si vede, è difficile introdurre elementi di
razionalità nella tassazione partendo dalla gestione del consenso.
E’ più facile farlo partendo dalla diversa determinabilità delle varie forme di ricchezza, che poi è la strada della ricerca umanistico-sociale (paragrafo 2.5.).
Riformismo e
conservatorismo
sociale in
materia di tributi
Un altro parametro riguarda le diverse gerarchie sociali, con antiche esenzioni tributarie su ricchezze riconducibili a classi dominanti per stirpe, etnia, ceto, affiliazione politica o fede religiosa; si
pensi alle esenzioni fiscali previste per l’Italia nell’ambito
dell’impero romano, o – dopo le conquiste barbariche – per gli
appartenenti alle stirpi conquistatrici e, successivamente, per i
nobili e per il clero; analoghe considerazioni potevano farsi per la
Gizah, sovrimposta sui redditi degli infedeli, introdotta nel medioevo nei Paesi conquistati dall’Islam. Questa rilevanza della gerarchia sociale è un passaggio successivo al riferimento della tassazione alla ricchezza; non è che si pagasse in quanto di condi-
Gerarchie sociali
e discriminazioni
fiscali
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Manuale professionale di diritto tributario
zioni sociali inferiori o di religione diversa, ma la ricchezza reale
o virtuale, data magari dalla capacità lavorativa di queste categorie, era tassata maggiormente rispetto alla stessa ricchezza di altre
categorie sociali gerarchicamente superiori. Svolgendosi la tassazione su impulso dell’autorità politica27, era naturale un occhio di
riguardo per le classi privilegiate, sempre nel quadro del patto di
convivenza, con le sue fluide gerarchie, presente in ogni gruppo
sociale28. Erano discriminazioni consapevoli, che non provocavano lacerazioni sociali fino a che gli equilibri complessivi di potere nella società “tenevano”. Le discriminazioni fiscali, nella storia, ci sono sempre state, ma erano socialmente tollerabili perché
consapevoli, trasparenti, politicamente volute e governabili, accettate o sopportate da chi ne era colpito, incardinate sui “patti di
convivenza sociale” assestatisi nel quadro delle varie collettività;
pagare più imposte perché “plebeo” poteva essere accettato,
mentre vedremo che pagare più imposte perché intercettato dalla
tassazione attraverso le aziende, evitabile da altre numerose categorie sociali, provoca invece le recriminazioni che costituiscono
un filo conduttore di questo libro; queste stesse lacerazioni offrono inoltre argomenti a chi, in buona o mala fede, ha interesse
a fomentare varie forme di rancore sociale, per aggregare alcune
aree della società, facendone strumento di lotta politica.
[..............................]
27 Anche oggi l’amministrazione pubblica fa capo alla politica, ma nel passato l’immedesimazione degli scarni apparati pubblici con la politica era ancora
maggiore (tanto è vero che neppure era stato teorizzato il concetto di “diritto
amministrativo”, esistente solo nella vita concreta, ma non metabolizzato né oggetto di riflessione).
28 Anche i patti di coesistenza e di convivenza dopotutto hanno le loro gerarchie tra chi vi partecipa.
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prefazione