Edizioni digitali per la scuola
L’editoria scolastica svolge un ruolo di grande importanza nella formazione delle scelte didattiche dei docenti. La modalità di uso del
testo varia da docente a docente, tuttavia non viene mai meno il ruolo di orientamento che il testo svolge, per quanto riguarda non solo
l’apprendimento degli studenti, ma anche la scelta dei contenuti operata dal docente. Gli anni più recenti hanno visto un crescente
ampliamento del sostegno multimediale al testo cartaceo, fino a delineare una situazione in cui il substrato elettronico sembra destinato
a diventare il canale principale di trasmissione dell’informazione. L’ebbrezza indotta dallo sfruttamento delle potenzialità ancora
inesplorate delle nuove tecnologie comunicative non esime da una riflessione sul senso e sulla tendenza delle trasformazioni che stanno
cambiando con rapidità le caratteristiche dei testi scolastici. La Redazione di NATURALMENTE propone le brevi considerazioni che
seguono come spunto per avviare una discussione su questi temi, con il contributo di docenti impegnati sul campo e di quanti, all’interno
delle Case Editrici, partecipano alla elaborazione delle strategie editoriali.
Sarebbe sciocco e impossibile impedire alla scuola di prendere atto che
la digitalizzazione e internet hanno
cambiato il modo di comunicare.
Inoltre, in rete sono a disposizione
VINCENZO TERRENI di tutti opportunità planetarie di filmati, immensi archivi fotografici,
Il libro, come ogni altro oggetto strumenti didattici a largo spettro già
costruito dall’uomo, ha subito dei confezionati e messi liberamente a
mutamenti tanto più profondi quan- disposizione.
ti più ci si avvicina al momento attuale, nel campo della editoria scola- Una semplice domanda
stica ormai non ci sono adozioni che Passare al digitale significa solo abnon comprendano il pacchetto com- bandonare la carta? Sarebbe già un
pleto: libro di carta, complementi e passo in avanti. In altri Paesi i libri
assistenza in rete. Ora pare che si digitalizzati, disponibili come file
inizi una sperimentazione su larga PDF leggibili su qualsiasi hardware,
scala nel nostro Paese per non “ri- sono già ampiamente diffusi. Ma è
manere indietro” rispetto all’Euro- una soluzione sensata per i libri scopa e agli altri Paesi avanzati. Purtrop- lastici? Non basta travasare in forpo indietro ci siamo già ed è un’arre- mato elettronico i libri già prodotti,
tramento con radici forti ed estese, occorre una impostazione specifica
in Italia sono in atto sperimentazio- che tenga conto sia delle capacità di
ni che meriterebbe analizzare, ma sfruttare adeguatamente i collegatutto sembra al di fuori di un dibat- menti che un pc consente che delle
tito consapevole e ben avviato nelle esigenze di comunicazione delle
scuole, in ambito culturale in gene- nuove generazioni. Di questo aspetrale e nelle famiglie.
to in Italia non si è parlato, ci sono
Vogliamo aprire una discussione su state sperimentazioni promosse dal
questo argomento, mettendo a di- Ministero dell’Innovazione (ministro
sposizione degli interessati la rivista Brunetta) riportate in modo un po’
e il sito. Iniziamo col proporre alcu- trionfalistico, in alcuni servizi passani punti di vista da parte di insegnan- ti sottotono (permangono tracce in
ti, autori di testi scolastici, operatori rete). Si sperimentano anche libri
del settore, osservatori di sistemi autoprodotti, ne parleremo più avanscolastici, docenti. Noi, come tutti, ti, e sono in circolazione edizioni
abbiamo figli o nipoti che si affaccia- miste (se fossero automobili sarebno alla scuola e ancora una qualche bero classificati ibridi): libri di carta
residua reminiscenza di scuola, in- con annessi didattici in rete. In sonovazione didattica e formazione stanza una discussione sugli strudei docenti.
menti per apprendere a scuola non è
Testi scolastici
digitali: una
scommessa al buio
44
stata neppure aperta e là dove ci sono
le sperimentazioni queste si possono
seguire solo per passaparola o attraverso i pochi materiali in rete: il Ministero e le sue propaggini territoriali
sembra che non vogliano disturbare.
In questo modo però si prosegue nella
lunga tradizione di sperimentazione
invece che a doppio cieco a fondo
cieco: quando l’insegnante che l’ha
promossa va in pensione tutto finisce
con lui e la sua esperienza diventa carta
straccia. Sarebbe come se un costruttore di veicoli tutti i giorni dovesse
reinventare la ruota. Non esistono sistemi di monitoraggio della efficacia
didattica miranti alla conoscenza delle
ragioni e degli esiti, in grado di intervenire per produrre correzioni efficaci.
Non che rimpianga gli ispettori, rimpiango solo il lavoro che avrebbero
dovuto fare e che non è stato fatto.
Non rimpiango neppure gli IRRSAE,
insomma non rimpiango tutto quel
che c’era (c’è ancora?) che doveva fare
e non ha fatto e le decisioni di chi
doveva dirigere e ha solo tentato di
comandare.
Ora ci si ritrova di fronte ad una
possibile rivoluzione come fu quella
degli audiovisivi (che dovevano trasformare il modo di far scuola e si
ridussero a qualche “filmino” distribuito sapientemente come salvavita
per evitare sovraccarichi emotivi) e
la rivoluzione informatica che prometteva (e manteneva) tanto, ma
solo per coloro (pochi) che si impegnarono in solitudine senza risparmio insieme alla maggioranza divisa
equamente tra chi sosteneva in modo
tenacemente silenzioso “non mi
avrete mai” e gli altri che frequentavano, superando a stento il disgusto,
lezioni a base di algoritmi, CPU e
sistemi operativi. Un bel mondo che
ha tentato di rinverdirsi con la LIM,
moderno altare elettronico in cui si
officia internet in tutte le lingue gesticolando vigorosamente per risparmiare l’inchiostro del pennarello o il
solfato del gessetto.
Partiamo dai testi attuali
Prendiamo come riferimento uno
tra i più diffusi testi di Scienze naturali per le scuole superiori nelle varie
edizioni, un libro di grandi dimensioni riccamente illustrato, di peso
considerevole e che tende ad essere
omnicomprensivo. Dopo qualche
anno di utilizzo venne corredato di
CD con test di verifica di vari formati,
guida all’osservazione alle attività sperimentali. Successivamente si è teso
ad impegnare maggiormente gli Autori chiedendo loro di rendere più
attiva l’esposizione con lezioni preconfezionate illustrate, animazioni,
filmati e test dinamici. Questo fatto
ha comportato il superamento di un
mezzo statico come il CD e l’utilizzo
del web assistito. Una strada, potenzialmente efficace, ma tendente ad
aumentare il tempo scuola con un
rapporto diretto e personalizzato alunno-docente: un aumento netto anche
del lavoro del docente, talora oltre i
limiti del ragionevole. Viene il dubbio
che in molti casi non si vada oltre
l’utilizzo del testo su carta lasciando il
resto alla libera iniziativa.
Ora dovremmo in tempo brevi, secondo i decisori politici, passare al
livello successivo col superamento
della carta e il passaggio alla lettura
su monitor (oppure: portatili, tablet,
e.reader, smartphone...) collegandosi alla “nuvola”.
Il problema del convincimento
reale
Ci vuole un convincimento vero,
altrimenti l’impegno dei docenti a
trarre i massimi benefici risulta troppo debole. Le ore di lezione si svolgono quasi sempre in classe, una
dietro l’altra, durante la mattina per
un numero di giorni non inferiore a
200. Il pomeriggio, potenzialmente
libero, è spesso occupato da una
infinità di obblighi che rendono la
vita del docente di scuola uno slalom
tra commissioni, consigli, collegi, ricevimenti, incontri limitati solo dalla
fantasia dei dirigenti scolastici. Inoltre molti docenti, specialmente nella
classe d’età (un tempo) prossima alla
pensione, non sono avvezzi all’uso
del pc. Molti, se sono costretti a
presentare una relazione, prima la
scrivono a mano, poi la ricopiano;
quando ricevono un file, per leggerlo lo debbono prima stampare su
carta. Non c’è da fare colpe a nessuno, però prima di partire con l’introduzione dei libri elettronici occorre
sapere a chi va in mano la direzione
del gioco: l’introduzione dell’informatica a scuola è uno dei capitoli più
costosi e deludenti.
Il problema non è solo degli ultrasessantenni
Si potrà mai studiare su un testo
elettronico? Forse la domanda è solo
mal posta e probabilmente è più
corretta in questa forma: “potrò mai
studiare, io che non l’ho mai fatto in
60 anni che sono al mondo, in un
testo letto sul monitor?” Probabilmente no, anche perché studiare
veramente dopo una certa età diventa difficile indipendentemente dal
supporto. Allora chiediamoci quali
sono le differenze per una persona
che adopra tutti i gadget dell’elettronica dalla culla tra studiare su fogli di
cellulosa o sui cristalli liquidi. Proba45
bilmente nessuna. E allora il problema non esiste perché si sta risolvendo rapidamente da solo col tempo.
Rimane però il ruolo dell’insegnante
in uno scenario che dovrà essere
molto diverso dall’attuale, se non si
vorrà assistere ad un’altra tragica e
costosa banalizzazione di cui la nostra storia scolastica è ricca: una semplice sostituzione di supporti che
racchiude tutta questa “innovazione”. Poco circola su quel che sta
succedendo nel resto del mondo in
merito all’introduzione massiccia
dell’elettronica nell’insegnamento,
quel poco che si sa sugli esperimenti
condotti in Italia non riesce a chiarire la situazione nelle sue fondamenta: funziona e fa risparmiare tempo,
denaro e fatica o, senza adeguante
trasformazioni, è solo una strada
apparentemente nuova che porterà
a risultati deludenti? Ma allora come
si fa a sapere se funziona meglio o
no? Sarebbe forse utile fare una indagine scientifica sull’argomento, ma
una proposta del genere in Italia non
susciterebbe neppure ilarità, non
susciterebbe nessuna conseguenza e
basta. Allora questi testi saranno editi
e messi in circolazione e adottati
senza che si possa fare un confronto
con gli altri che continueranno come
sempre a far scarabocchiare, sottolineare, evidenziare con pennarelli
quello che una volta era un libro di
testo.
A cosa andrà incontro il giovane
docente (ammesso che ce ne siano)
che ha appena fatto la scelta di adottare un testo elettronico? Gli ipertesti, perché di questo, si tratta hanno
un senso perché sono dinamici, hanno le parole “calde”, le figure possono diventare filmati, il sonoro consente di aumentare la percezione.
Però, se non ci si sta attenti la lettura
può diventare dispersiva; saltabeccare da un link all’altro può aiutare a
passare in fretta un pomeriggio invernale, ma arrivati in fondo al capitolo si è capito veramente qualcosa?
In caso negativo in fondo alla pagina
ci potrebbe essere un “help” che
connette subito con la posta del prof
o alla chat della proffa. Bisognerà
regolamentare il tutto per evitare di
creare dei martiri. Ma la mattina cosa
si farà in classe? “Leggete da videata
a videata!” Oppure un po’ si spiega e
un po’ si interroga?
Forse è il caso di ripensare completamente il modo di insegnare.
riflessione ci sia e sia produttiva, non
si può pretendere che la valutazione
di un elaborato risulti la stessa da due
correzioni fatte da persone diverse,
ma neppure che possa variare impudicamente dal 4 all’8 per prof diversi
(revisione degli esami di stato dopo i
ricorsi, per esempio).
Della verifica se ne dovrà parlare
Alla fine un voto agli studenti va
dato. È probabile che in rete nel sito
della materia ci sarà un account per
ogni allievo e ciascuno dovrà compilare le prove di fine capitolo. Se i
ragazzi riescono a copiare tra loro
nelle prove tradizionali, per quelle in
rete risparmieranno un sacco di tempo, allora si dovrà tornare alla interrogazione o alla consegna di elaborati originali (originale vuol dire che
il prof non l’ha letto, ma in rete è
facile trovarne di buoni per ogni
esigenza). Quello della valutazione è
un tema ancora irrisolto per una
scuola che si avvale di testi tradizionali, figuriamoci se siamo in condizioni di affrontarlo senza una riflessione accurata e seria per i testi innovativi, quasi rivoluzionari come quelli
elettronici. Il problema esiste da sempre, come sa ogni docente che ha
assistito almeno una volta in carriera
ad un consiglio di classe senza dormire -aggiornare il registro- aggiornarsi sui fatti del giorno. Le eccezioni ci sono e sono lodevoli, ma non
sono mai diventate punto di riferimento per nessuno e ciascuno può
continuare a fare quel che ha sempre
fatto fino a che pensione non lo
separi dall’insegnamento.
In pratica come si valuta lo studente?
Di solito si valuta esattamente come
facevano quelli che erano, molti decenni fa, i docenti nostri: seguivano
un filo sottile e immotivato che li
portava da una smorfia provocata da
una nostra affermazione ad un 4 e
tanti saluti. Sto esagerando? Non poi
tanto: le differenze di criteri, nei pochi casi fortunati in cui questi esistano
e siano esplicitabili, non sono mai
arrivate ad un confronto produttivo.
Ecco perché è necessario che questa
I testi “autoprodotti”
Ci sono sempre stati: chi non ha mai
fotocopiato un capitolo da un testo
regolarmente pubblicato e l’ha distribuito ai suoi studenti? Niente di
male, è anche consentito per questi
scopi. Altra operazione è quella di
realizzare un testo completo utilizzando materiale vario in alternativa
ai testi offerti dall’editoria specializzata. Viene da chiedersi dove un
docente trovi il tempo per progettare e realizzare un lavoro che ogni
altra persona considererebbe di alta
specializzazione e degno di occupare l’intero tempo lavorativo. Ci sono
scuole che lo fanno e lo fanno alla
luce del sole. Perché c’è qualcosa da
nascondere? In effetti sì! ...se l’operazione è condotta, come sembra,
giustapponendo, con scelta insindacata, materiali editi provenienti da
testi diversi e tra loro in concorrenza. Lasciando perdere i diritti d’autore -che sono una cosa seria perché
qualcuno ha speso ore della propria
vita per produrre un’opera che vede
la luce dopo aver superato non pochi né semplici ostacoli- è necessario
comprendere come si facciano a giu-
stapporre pezzi di testi scritti da persone diverse per costruire qualcosa
che abbia l’omogeneità necessaria
per produrre un’opera coerente e
non un’arlecchinata tipografica.
Probabilmente la cosa va studiata
attentamente, perché operazioni
come queste, nell’era digitale e con
gli strumenti a disposizione di chi
possiede un pc, sono possibili in
modo sempre più massiccio. E allora, a pluralità di interpretazione del
concetto di libro di testo, occorre
introdurre l’unicità di valutazione
dei risultati ottenuti altrimenti si riapre una babele senza costrutto né
prospettiva.
Cosa fanno gli altri?
Non per copiarli, ma -sfruttando
saggiamente una volta tanto il nostro cronico ritardo- per evitare di
commettere errori già commessi, cerchiamo di avere un po’ di fantasia e
creatività, almeno negli errori. Sui
quotidiani di grande diffusione nei
rari casi in cui si occupano di scuola
dal punto di vista del suo funzionamento, si dà per scontato che l’anno
prossimo si colmerà il distacco con
gli altri Paesi, ma appare evidente
che c’è un distacco abissale tra le
conoscenze della scuola dei giornalisti e la situazione attuale della scuola medesima. Non sarà per caso un
altro problema derivante da una cultura insufficiente, anche da parte di
coloro che si occupano di informazione?
Il nuovo tablet indiano relizzato per la scuola (prezzo 16 euro)
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Considerazioni
generali
FABIO FANTINI
L’articolo 15 della legge 133 del 6/
8/2008 sancisce, al comma 2, che “a
partire dall’anno scolastico 20112012, il collegio dei docenti adotta
esclusivamente libri utilizzabili nelle
versioni on line scaricabili da internet o mista.”
I libri on line scaricabili sono libri di
testo in formato elettronico (eBook),
disponibili come file che riproducono esattamente il contenuto del testo cartaceo.
I libri misti sono libri di testo che
affiancano alla parte cartacea una parte
digitale. La parte digitale del libro
misto integra, aggiorna ed espande la
parte cartacea attraverso materiali e
strumenti che consentono di potenziare la didattica e di facilitare i processi di apprendimento.
Il legislatore giustifica l’obbligo di
adottare libri scaricabili o misti con il
“fine di potenziare la disponibilità e la
fruibilità, a costi contenuti, di testi,
documenti e strumenti didattici da
parte delle scuole, degli alunni e delle
loro famiglie”. Accanto a questo sco-
po esplicito, emergono altri due scopi, non dichiarati ma evidenti: integrare la fruizione del materiale di apprendimento con l’uso della rete, nella prospettiva di formare cittadini connessi; sviluppare il ricorso a strumenti
tecnologici per trainare un mercato
elettronico di consumo (acquisto di
hardware), ma anche per incoraggiare l’ideazione di nuovi prodotti software).
L’efficacia didattica del ricorso ai
testi digitali non è presa in esame.
Forse si dà per scontata una maggiore
efficacia? Oppure il problema è considerato trascurabile o comunque
minore rispetto all’obiettivo di “cablare” la nuova generazione?
Il cambiamento che caratterizza la
produzione di testi scolastici implica, per la prima volta dopo secoli,
una trasformazione del mezzo fisico
di comunicazione. Il substrato fisico, cartaceo fin da quando la scrittura iniziò ad affiancare e a sostituire
gradualmente la trasmissione orale
fondata sulla memorizzazione, sta
diventando elettronico. Questo cambiamento è, però, minore rispetto a
quello che vede la trasmissione delle
informazioni attraverso le immagini
prevalere sempre più sulla trasmis-
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sione dell’informazione mediata dai
simboli alfabetici. Sembra che il ricorso alla multimedialità sia responsabile di un totale sconvolgimento
grammaticale e sintattico nella trasmissione dell’informazione, accompagnato al mantenimento dello statu
quo semantico.
Il substrato elettronico si articola su
una nuova unità di trasmissione dell’informazione, la pagina-video. La
pagina video deve: catturare l’attenzione in pochi istanti, prima che si
cambi schermata; permettere una
consultazione rapida per individuare eventuali elementi di interesse;
offrire la possibilità di approfondire,
con collegamenti opportuni, i contenuti che stimolano interesse e curiosità. Già oggi le pagine dei testi
scolastici cartacei sono costruite con
la stessa logica delle pagine-video.
Poiché è noto che l’attenzione è
catturata attraverso le emozioni e
che le emozioni prioritarie sono quelle che riguardano violenza e sesso, ci
si può chiedere in quali sottili forme
questi stimoli emotivi stiano entrando nelle pagine-video, cartacee ed
elettroniche, dei testi scolastici.
Per decenni gli autori dei testi scolastici scientifici hanno cercato di cimentarsi in quella che Peter Medawar definiva la “difficile disciplina
che consiste nel tradurre con la massima precisione i concetti in parole”.
La tendenza prevalente nell’editoria
scolastica sembra ora essere il crescente ricorso alle immagini, lasciando alla parola scritta un ruolo marginale e accessorio. È possibile che ciò
che oggi ci appare una regressione,
cioè la perdita del ricorso al significato simbolico degli alfabeti, dei vocabolari e delle lingue, produca con il
tempo la liberazione di risorse cerebrali oggi vincolate alla interpretazione e alla produzione del linguaggio simbolico?
È possibile che il linguaggio iconico
conduca a un’universalità della comunicazione finora impedita dalla
continua evoluzione diversificativa dei
linguaggi simbolici?
I libri di testo digitali
GIUSEPPE FERRARI
“Aboliamo il libro di testo?” “Io credo che siamo più che pronti. Dal
2013-2014 avvieremo un processo in
cui inizialmente avremo un piccolissimo libretto e poi tanto su cose come
queste [i supporti digitali], dove il
libro nasce ogni giorno. Sulla base di
uno scritto iniziale ci sarà la possibilità di fare collegamenti con video,
risolutori, fotografie, altri testi e quindi costruire un libro personalizzato
(...). Sarà un libro che nasce insieme
con gli studenti e noi dobbiamo essere il direttore d’orchestra che dice che
cosa va e cosa non va”.
Così ha detto il ministro Profumo ad
iSchool il 10 ottobre 2012, ribadendo
ciò che è scritto nella Relazione illustrativa dell’Agenda Digitale: indurre
“tutti gli operatori a preferire la scelta
del digitale, senza peraltro renderla
subito obbligatoria”. Quindi è solo
una questione di tempo: presto la
carta scomparirà. Succederà così, fra
cinque anni i libri saranno solo digitali? Si imparerà meglio o peggio? E gli
editori che cosa faranno?
Fra cinque anni i libri saranno
solo digitali?
La risposta, è ovvio, è “chi lo sa”. Ma
ci sono forti pressioni a che ciò
avvenga: da parte del governo, convinto che il digitale farà risparmiare
le famiglie (secondo il discutibile
assioma digitale = immateriale =
gratis), e da parte dei produttori di
hardware, che invece intravedono
grandi ricavi con la vendita di milioni di tablet e netbook (oggetti materiali, quindi costosi).
In mezzo ci sono 800.000 insegnanti che hanno studiato sulla carta e fanno lezione avendo come
punto di riferimento il libro di testo. Oggi infatti i contenuti digitali
sono poco usati e quando lo sono si
aggiungono al libro di carta. Le lavagne interattive sono rare, non è
scontato che gli studenti siano connessi con la banda larga e, soprat-
tutto, cambiare da un giorno all’altro il paradigma di insegnamento
non è un’operazione banale. È ragionevole prevedere che si diffonderanno le sperimentazioni di didattica digitale e che si useranno i
tablet per spiegare, studiare, guardare video e fare esercizi interattivi,
ma sarà un processo non lineare e a
macchia di leopardo. Tra le magnifiche sorti e progressive della didattica digitale e che cosa farò in classe
domattina alle 11:00 c’è una zona
grigia nella quale ci sono molte soluzioni (hardware) in cerca di problemi (didattici).
Con i libri digitali si imparerà
meglio?
Per quanto ne so, non ci sono evidenze forti né che i risultati siano
migliori né che siano peggiori. È
naturale che sia così, perché la didattica digitale ha una storia breve, scandita da frequenti cambiamenti di
hardware (computer, lavagne interattive, i tablet dal 2010) e di software. Ma le sue potenzialità sono innegabili.
Siamo tutti diversamente intelligenti, abbiamo stili di apprendimento diversi e diversi punti di
partenza: chi ama leggere, chi preferisce ascoltare, vedere o fare. Il
tablet può soddisfare tutte queste
esigenze: ci leggiamo (ancora con
un po’ di fastidio agli occhi, ma gli
schermi miglioreranno), guardiamo un video, trasciniamo con le
dita lo slider su un’animazione,
ascoltiamo, risolviamo esercizi interattivi. Ci possiamo anche fare i
compiti scrivendo con un dito (ancora non bene, ma anche qui si
migliorerà) e soprattutto siamo
connessi con il mondo. Per chi
ama la scuola (penso agli insegnanti, ma anche a chi come me
lavora in una casa editrice) è un’opportunità che invita a sperimentare nuove idee per insegnare e a
coinvolgere tutti gli studenti, non
solo quelli bravi.
Chi dirà ancora che insegnare è un
lavoro ripetitivo?
48
Che cosa faranno gli editori?
Alla Zanichelli pubblichiamo libri
da 150 anni (è del 1864 la traduzione
italiana dell’Origine delle specie) e contenuti digitali da 15. Siamo stati i
primi a pubblicare in Italia un libro
di testo digitale: i cd-rom Fisica interattiva di Ugo Amaldi realizzati da
Federico Tibone. Era il 1997, l’età
della pietra dell’era digitale. Nel 2002
abbiamo pubblicato su internet la
piattaforma Zanichelli Test
(zte.zanichelli.it), il sito che ora contiene 60.000 test interattivi di tante
materie. Nel 2010 l’ebook interattivo e multimediale del corso di biologia di Sadava con impaginazione liquida per lo schermo. Quest’anno
abbiamo realizzato i primi libri multimediali su tablet, tra i quali i corsi di
Sadava e di Curtis.
Vogliamo accompagnare la scuola
nella transizione al digitale, proponendo idee per insegnare che si possano mettere in pratica qui e ora in
classe. Siamo consapevoli che non
esiste la ricetta per la didattica digitale, che invece emergerà dal basso per
tentativi ed errori in un processo
evolutivo nel quale si affermeranno
i prodotti più adatti.
Crediamo nell’autore, che sa scegliere e mettere in fila i contenuti con un
taglio originale, che illumina da una
prospettiva insolita la materia e sollecita il piacere di imparare. Questi
prodotti di qualità competeranno con
tanti altri, realizzati anche fuori dalle
case editrici. Saranno gli insegnanti a
scegliere quelli che li aiuteranno
meglio a fare il loro lavoro.
L’economia del digitale consente di
diffondere una copia in più a costi
molto bassi, perché non ci sono
magazzini da riempire e camion che
viaggiano (ma su ogni vendita Apple
trattiene una percentuale del 50%
più alta di quella di un libraio). Tuttavia produrre contenuti digitali richiede grandi investimenti iniziali:
per avere un ordine di grandezza,
un’opera multimediale costa centinaia di migliaia di euro. Anche se
immateriali, i libri digitali non possono essere gratuiti.
Il parere di Italo
Bovolenta
INTERVISTA DI FABIO FANTINI
Italo Bovolenta è una figura di editore sui
generis nel panorama dell’editoria scolastica italiana. La sua casa editrice assomiglia più a una bottega artigiana che a un
reparto industriale. I libri editi da Italo
Bovolenta Editore rivelano una progettazione curata e una realizzazione attenta ai
dettagli. Come affronta un Editore che si
contraddistingue per gli eleganti prodotti su
carta questa incipiente transizione ai prodotti elettronici?
1. La strategia ministeriale sembra guidata
da due obiettivi: si tende a uniformare il
mercato italiano a quello degli altri Paesi
industrializzati; si cerca di diminuire i costi
che le famiglie devono sostenere per i libri di
testo. Ci sono garanzie che, in questo contesto
strategico, rimarrà spazio per l’attenzione
alla qualità della didattica?
Sono molto a disagio perché rischio
di dare una risposta che può apparire
corporativa e biecamente levantina,
ma dopo mezzo secolo di attività
libraria sentirmi ridire che il problema è prima di tutto economico mi
offende. Se fossi un industriale farmaceutico dovrei vergognarmi di
vendere medicine? Dico “medicine”
e non placebo. È uscito in aprile su
LA REPUBBLICA, nell’ambito di un’inchiesta intitolata Il futuro dei lettori, un
articolo che documentava che in Italia chiudono due librerie ogni settimana. In quell’articolo c’è un aned-
doto che a me, librario prima di
editore, ha toccato il cuore. Cito il
passo perché ne vale la pena: “L’avvocato Giovanni Battista Compagno, negli anni ’70, lasciava duecentomila lire ogni mese in libreria come
conto aperto per il figlio. Quella
paghetta era l’educazione sentimentale del figlio, oggi filosofo, Giuliano
Compagno. Lo facevano in tanti in
tutta Italia. Quello zoccolo duro, i
ragazzi fatti clienti dall’infanzia fino
alla maturità universitaria, non c’è
più”. Mi sia perdonato un altro aneddoto: il liceale Italo Calvino fece al
suo professore di filosofia la seguente domanda: “Secondo lei, professore, chi non fa il liceo e nemmeno sa
che è esistito un certo Cartesio non
potrà dunque dare nessun senso alla
sua vita?”. Risposta del professore
rivolto a tutta la classe: “Studierete
tutto il Discorso sul metodo. Lo troverete nella libreria del Corso, edizioni Paravia. Tra due settimane porterete il riassunto scritto e poi ne discuteremo dopo che avrò letto i vostri
compiti”. Un compagno di Calvino
lo redarguì esclamando: “Per quella
domanda cretina che hai fatto, adesso
ci tocca leggere un libro intero. Nel
manuale c’erano solo due pagine”.
Quel professore di filosofia non si
preoccupava minimamente di fare
acquistare un libro e nemmeno gli
passava per la testa che i genitori
sarebbero corsi da lui per dirgli che
spendere soldi per i libri non rientrava nel loro progetto educativo. Il
fatto che tutti i ministri dell’istruzione
(il termine pubblica è sparito e nessu-
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no si preoccupa di riproporlo) insistano sul problema economico ha un
evidente riscontro elettorale in quanto la maggior parte dei genitori considera la spesa dei libri alla stregua di
una rapina. Con questi presupposti lo
spazio per l’attenzione alla qualità mi
sembra molto ristretto. Dalle mie parti
si dice che bello, buono e che costi
poco non s’è mai visto.
2. Con quale atteggiamento pensa che i
docenti italiani si rivolgeranno all’uso dei
testi elettronici, in un momento in cui è loro
richiesto un sostanziale incremento del carico di lavoro, in termini sia di estensione
dei compiti professionali sia di aumento del
numero degli alunni per classe?
Credo che gli insegnanti siano pronti all’uso di strumenti moderni. Ciò
che temo è che si stanchino di essere
trattati come i giocatori di una squadra che deve eseguire gli ordini di un
allenatore spesso incompetente e
nevrotico. Le conseguenze possono
essere catastrofiche.
3. Il mercato italiano dei testi scolastici
presentava, fino a pochissimi anni fa, alcune
anomalie sorprendenti. Per esempio, un’offerta di un centinaio di titoli per i testi di
biologia per il primo biennio delle Superiori.
Molti dei quali destinati a vendere un numero irrisorio di copie. Il maggiore impegno di
investimento richiesto dai testi misti e multimediali sta provocando uno sfoltimento dell’offerta a favore di un numero di prodotti più
limitato, ma di maggiore qualità?
L’offerta di mercato non è mai un
limite, anzi. La competizione ti fa
fare ricerca. Se un libro non vende
spesso non è un buon libro. Se non
vende perché è troppo “difficile”
vuol dire che l’autore non è riuscito
a capire a quale altezza doveva fermare l’asticella. Però credo che oggi
non ci sia nessun professore che
manda i ragazzi ad acquistare Cartesio pretendendo un riassunto scritto
e di aprire la discussione con i ragazzi “dopo” avere letto i loro riassunti.
Io per i miei nipoti mi auguro quel
professore e non credo che il mio sia
un augurio da vecchio. Per quanto
riguarda gli investimenti un editore è
anche imprenditore; se non è in grado di fare investimenti deve cambiare mestiere. Uno dei più grandi disastri dell’Italia è stato il fiorire di uno
stuolo di imprenditori che socializzavano le perdite e privatizzavano i
profitti senza per altro avere fatto
investimenti propri. Se l’offerta futura sarà di qualità non lo so prevedere. Posso però dire che la tendenza attuale che tende a scardinare in
blocco il libro di carta mi sembra
ortodossa. Oggi si dovrebbe lavorare su due livelli: la carta e la “nuvola”. Se i libri di “carta”, anche alle
medie e alle superiori, saranno regolamentati come i libri delle elementari in cui è fissato per decreto
perfino il corpo tipografico avremo
una omologazione verso il basso.
Autori come Gianni Rodari, Mario
Lodi, Bruno Munari, avrebbero
potuto collaborare alla realizzazione di manuali per le elementari, ma
avrebbero dovuto sottostare a vincoli umilianti. Si è perso, per molti,
uno straordinario contributo all’educazione sentimentale dell’infanzia alla quale hanno potuto accedere solo i figli di chi frequenta le
librerie tutte l’anno e non solo quando si aprono le scuole.
4. In alcuni Istituti è stata incoraggiata la
produzione di testi predisposti dai docenti
dell’Istituto. Si tratta di una sfida al
monopolio delle Case Editrici oppure di
esperienze cui le Case Editrici guardano
con interesse per sviluppare prodotti sempre
più vicini alle esigenze didattiche specifiche,
una sorta di delocalizzazione di funzioni
redazionali per offrire libri su misura?
Credo che queste iniziative, che l’attuale ministro guarda con entusiasmo, siano ispirate ancora una volta
dal problema economico. Ai genitori non far spendere soldi per i libri e
vedrai come saranno contenti. Una
casa editrice è come un teatro. C’è il
direttore generale, quello artistico, ci
sono gli orchestrali e, soprattutto,
molta ricerca autentica e molti consulenti esterni. Senza contare il rispetto per quello che il legislatore ha
chiamato “Protezione delle opere
dell’ingegno e della creatività”. Un’insegnante mi diceva che a lei i saggi
servivano per passarli allo scanner e
distribuirli ai ragazzi. Non so se mi
spiego. La stragrande maggioranza
dei pazienti non ha gradito la ricetta
con il principio attivo, che avrebbe
dovuto far risparmiare, ma ha preteso il farmaco che assumeva da sempre. In sostanza l’originale e non la
sua imitazione. Ma le medicine del
corpo sono percepite con una sensibilità infinitamente superiore alle medicine della mente, che sarebbero i
libri.
Spero di chiudere la mia parabola
professionale senza faticare per evitare di realizzare l’imitazione del mio
mestiere. Imitare è molto più semplice che progettare. Ho lavorato
con gli architetti Bassi e Boschetti
che negli anni cinquanta del secolo
scorso hanno vinto il concorso per il
progetto del padiglione della Galleria civica d’arte moderna di Torino,
andato distrutto durante la guerra;
quando abbiamo vistato le ultime
bozze uno di loro mi disse: “Il lavoro alla Galleria di Torino è stato
meno impegnativo di quello richiesto per realizzare il libro”.
Il manuale digitale in
Francia
TERESA MARIANO LONGO
Ogni volta che si guarda a un particolare della scuola di un altro Paese, si
entra in un sistema scolastico che ha
una propria storia ed è caratterizzato
dalle infinite relazioni che anche il più
piccolo degli elementi ha con gli altri.
Raccontare la breve storia dei manuali digitali (manuels numériques) in Francia rinvia immediatamente alle politiche pubbliche per lo sviluppo delle
TIC (Tecnologie per l’Informazione
e la Comunicazione) nelle scuole, ai
problemi delle case editrici e alle implicazioni culturali e didattiche per
insegnanti e allievi. Cercherò di far
riferimento a questi problemi nel corso dell’articolo, che vuole soprattutto
dare un’informazione su cosa si fa e si
dice in Francia su questi manuali.
Le case editrici francesi, di fronte alla
competizione di materiali video e di
internet, hanno cominciato da almeno dieci anni ad offrire, accanto al
manuale cartaceo, materiale digitalizzato e si preparano, con prudenza, a
cambiare il prodotto. Da parte sua, il
Ministero dell’Istruzione, nelle raccomandazioni e circolari sui programmi scolastici, ha preferito andare lentamente verso i manuali digitali. Non
per vocazione antitecnologica, ma per
consapevolezza delle implicazioni
culturali, didattiche e forse anche economiche (il passaggio al digitale ha
costi diretti e indiretti). È stata così
seguita la via della sperimentazione e
del passaggio lento e progressivo.
Nel frattempo il Ministero, attraverso gli Ispettori, avviava un processo
di riflessione e di diagnosi sull’uso del
manuale e contemporaneamente seguiva le sperimentazioni dei nuovi
strumenti.
Prima di cambiare, una riflessione sul senso dei manuali nella
scuola
Nel 1998, anche in vista dell’investimento nelle nuove tecnologie, il rap-
50
porto dell’Ispezione Generale coordinato da Dominique Borne (1) fa
un’analisi della situazione del manuale in tutto il sistema educativo
francese. Dopo aver visitato scuole,
interrogato insegnanti ed esperti dell’editoria, il rapporto analizza contenuti e modi d’uso dei manuali. Il
rapporto ricorda il valore simbolico
del manuale nella tradizione della
“République” e sottolinea come nelle scuole il manuale sia poco usato
dagli allievi e dagli insegnanti, che
preferiscono utilizzare le fotocopie.
Il Rapporto fa anche una storia dei
diversi tipi di manuali in Francia e
del loro progressivo adattamento ai
programmi e agli atteggiamenti culturali dominanti: “essi danno sempre meno spazio alle conoscenze la
cui presentazione non è né sufficientemente coerente, né strutturata”; negli stessi manuali dominano
invece le attività e gli esercizi. Il
rischio, dice il Rapporto, è quello di
una cultura “zapping” e conclude
che esiste, nelle scuole francesi, una
crisi del manuale, legata alla crisi del
modello didattico. La parte dei manuali che riguarda le conoscenze è
poco usata dagli allievi, mentre gli
insegnanti la utilizzano insieme a
questionari, schede, esercizi che riprendono da altri manuali. Gli insegnanti tendono a costruire “un altro
manuale” ritagliando materiali e facendo fotocopie. Il rapporto stima
che gli allievi francesi consumino in
media da 500 a 700 fotocopie ogni
anno, cioé una fotocopia per ogni
ora di corso.
“A casa, bambini e ragazzi raramente
leggono il manuale. Questa crisi del
manuale rende le TIC e internet molto competitivi, esistono infatti su internet e su Cdrom immagini, giochi
didattitici, esercizi, molto più belli ed
efficaci di quelli dei manuali” (2).
Il rapporto conclude con la raccomandazione che il manuale ridiventi un libro da leggere e di riferimento culturale complementare agli strumenti video, sonori e informatici.
Una parte del rapporto è dedicata
all’analisi delle risorse esistenti per
uno sviluppo dell’uso delle tecnologie informatiche nell’insegnamento.
Queste risorse comprendono:
- una cyberlibreria SCEREN (3), già
Centro Nazionale di Documentazione Pedagogica, nella quale gli insegnanti possono trovare materiali didattici di diverso tipo (ne consiglio la consultazione);
- piattaforme in partenariato con
l’editoria privata, come CNS (Canal
numérique des savoirs) (4) e KNE (Kiosque numérique de l’éducation), che già
diffondono i manuali digitalizzati;
- l’informazione e la formazione degli
insegnanti attraverso i siti: Educnet
(5), lettre Tic’Edu (6), Agence des usages
du numérique (7);
- forme originali di formazione a
distanza come il programma
Pairform@nce (8);
- la formazione per i quadri di direzione e ispezione dell’educazione con
l’ESEN (Ecole Supérieure de l’Education Nationale);
- uffici per lo sviluppo delle TIC in
tutte le Académies (autorità locali del
MEN, Ministère de l’Education Nationale).
Le risorse esistenti sono dunque tante, a volte troppe, con difficoltà di
coordinamento e a volte anche di
distribuzione e ottimizzazione.
Il Ministero e l’Ispezione Generale
hanno costituito commissioni disciplinari e coordinamenti che dovrebbero produrre criteri per la costruzione dei nuovi materiali.
Le sperimentazioni
Dopo una fase di diagnosi e discussione, il Ministero decide di procedere attraverso sperimentazioni. La
sperimentazione è stata organizzata
intorno a tre programmi:.
1) Nel 2001, in tre scuole secondarie
inferiori (Collège) del Dipartimento
delle Landes, il Ministero autorizza
una sperimentazione per gli alunni
delle ultime due classi del Collège
(alunni di 13 e 14 anni). Finanzia
l’acquisto di portatili per ogni alunno e l’acquisto di manuali digitali. In
un primo momento le scuole hanno
comprato LIM (lavagne digitali inte51
rattive) e nel 2006 manuali digitali
interattivi di lingue straniere sono
stati acquistati e copiati su ogni computer dei ragazzi. La sperimentazione si estende ad altre scuole del
Dipartimento, ma nel 2010 l’Ispezione afferma che “il bilancio è incerto: da una parte positivo, perché
il 75% dei ragazzi hanno ottenuto il
brevetto informatico e il 57% degli
insegnanti del Dipartimento usa il
computer in un corso su due, dall’altra soltanto 8 su 35 scuole hanno
veramente partecipato alla sperimentazione”. Inoltre, il fatto che ogni
alunno disponga di un computer,
senza che gli insegnanti siano formati a questo cambiamento, ha causato problemi di perdita di attenzione da parte degli alunni e di organizzazione del lavoro.
2) Nel 2009 è stato attuato il programma delle scuole digitali rurali,
che riguarda 6.700 scuole delle zone
rurali in centri con meno di 2.000
abitanti. Sulla base di un partenariato con le autorità comunali, le scuole
hanno acquistato LIM e computer
portatili; il manuale di carta rimane
però lo strumento didattico privilegiato.
3) Il programma più importante è
stato lanciato nel 2009 e riguarda
manuali digitali e piattaforme di lavoro collaborativo (ENT: espaces numériques de travail) per le prime classi
del Collège di 21 Dipartimenti (su
101). Riguarda 8.000 studenti che,
insieme agli insegnanti, hanno accesso in linea ai manuali. In media si
coprono quattro discipline col digitale. Il Ministero, attraverso i suoi
uffici locali, finanzia i materiali per
questa impresa che deve proseguire
nelle classi successive della secondaria inferiore. Nel 2011 questa sperimentazione, estesa alle classi successive, ha
coinvolto 20.000 studenti.
Una prima riflessione degli esperti sulla sperimentazione
Nel 2011 l’Ispezione Generale stende un rapporto di valutazione del
programma per le scuole rurali e dichiara che, nel complesso, il pro-
gramma è stato ben accolto dagli
insegnanti e dalle autorità locali, ma
che gli insegnanti hanno avuto problemi a orientarsi nelle risorse disponibili o ad armonizzare tutti i
materiali esistenti e la loro utilizzazione.
I manuali digitali costituiscono il 10%
delle risorse esistenti e riguardano
sopratutto il Francese e la Matematica. Gli insegnanti si servono del materiale in linea soprattutto per preparare le lezioni e per scambiare materiale tra di loro (9). Il nuovo materiale
sollecita nuovi rapporti tra insegnanti
e in questo quadro, secondo il rapporto, va concepito il manuale digitale, che diventa una delle tante risorse
a disposizione di una scuola la cui
cultura sta cambiando.
La sperimentazione del manuale digitale nel collège è di gran lunga la più
importante e ha portato a molte
riflessioni. Sulla base di questa esperienza, ispettori, insegnanti e ricercatori sono d’accordo nel dire che il
manuale digitale in sé non cambia la
didattica. Esso rinforza gli aspetti
negativi dell’insegnamento frontale,
mentre, là dove l’insegnante vuole
stimolare le domande e gli aspetti
interattivi, rende l’apprendimento
più ricco. La sperimentazione e il
suo finanziamento hanno permesso
alle scuole di acquistare più oggetti
informatici, ma l’acquisto del manuale digitale non si è particolarmente sviluppato. Invece, si diffonde l’uso di materiali digitali da parte
degli insegnanti per costruire moduli didattici originali.
L’Ispezione Generale constata alcuni elementi negativi. Prima di tutto i
finanziamenti: sviluppare l’uso dei
manuali digitali vuol dire disporre di
una buona rete interna alla scuola, di
un efficiente ENT (espace numérique
de travail), di tutti gli strumenti per
ben sfruttare il manuale. Inoltre, le
scuole non dispongono di servizi di
manutenzione efficienti per le reti
informatiche e allora frequentemente i sistemi si bloccano. A tutto ciò si
aggiunge che il sistema delle licenze
delle case editrici agli insegnanti non
solo è caro (da 100 a 500 euro), ma è
anche reso complicato dai sistemi
usati dalle case editrici per evitare le
riproduzioni indebite. Questi elementi sono all’origine dell’abbassamento relativo della frequenza
delle connessioni individuali dal primo al secondo anno e del fatto che
alcune scuole hanno rinunciato all’esperimento.
Altro aspetto interessante che l’inchiesta dell’Ispezione Generale del
2012 ha messo in luce è stato il fatto
che la presenza di manuali digitali ha
reso più importante di prima l’uso
del manuale in sé. Infatti, solo 14%
degli insegnanti dichiara ora di non
farne uso, mentre nel 1998 il Rapporto Borne aveva denunciato la
crisi del manuale.
Un tema molto caldo nel sistema
educativo francese, in cui lo Stato
centrale è stato sempre molto importante, è quello del controllo dei
materiali messi in linea. In effetti, il
manuale digitale pone con più forza
il problema dell’autonomia didattica
degli insegnanti. Più che con il manuale di carta, gli insegnanti possono, da soli o in gruppo, combinare
insieme i materiali digitali secondo
specifici criteri culturali e didattici.
Le possibilità di adattare, creare, inventare sono molto più facili con i
materiali digitali, servono però tempo, formazione e buone fonti e serve
anche un riconoscimento dell’autonomia didattica che per ora è raro. E,
soprattutto… le Academies e gli Ispettori non sono molto d’accordo.
In alternativa, il controllo dei materiali potrebbe essere attribuito a organismi come gli Istituti universitari
di formazione, l’Istituto Nazionale
di Ricerca Pedagogica o l’Ispezione
Generale. All’interno di queste istituzioni si apre ancora più forte il
problema del rapporto con gli insegnanti e della loro autonomia. Sembra profilarsi il rischio di un ritorno
del manuale come strumento di insegnamento passivo di applicazione
dei programmi nazionali.
In conclusione, in questo momento
in Francia il manuale digitale non è
52
molto diffuso (0,6% del fatturato
per i manuali delle case editrici). Invece si diffondono sempre più i
“complementi” ai cartacei e i siti che
guidano all’uso di materiali. Questa
ricchezza di possibilità aiuta gli insegnanti nel loro lavoro e li spinge a
lavorare insieme e a costruirsi propri
testi per la didattica. Lo sviluppo dei
mezzi digitali è legato ai finanziamenti e al modo con cui le innovazioni degli insegnanti sono appoggiate e coordinate dagli organi centrali del Ministero, un aspetto che
apre un grande problema politico e
istituzionale.
Note
(1) Dominique Borne(1998): Le manuel
scolaire
http://
www.ladocumentationfrancaise.fr/
var/storage/rapports-publics/
994000490/0000.pdf
(2) ibidem
(3) http://www.cndp.fr/
accueil.htmleduscol.education.fr/
plan-numeri que/catalogue-chequeressources/index.action
(4) http://www.cns-edu.com
(5) http://eduscol.education.fr/pid
26435/enseigner-avec-lenumerique.html
(6) vedi per esempio:
http://eduscol.education.fr/lettres/
actualites/aventures-livre
che informa sulle novità messe in linea
per la volgarizazione dalla Biblioteca
Nazionale di Francia;
(7) http://www.cndp.fr/agenceusages-tice/plan-de-relance.htm
(8) http://
national.pairformance.education.fr/
(9) Le plan Ecole numérique rurale, rapporto n° 2011-073, giugno 2011, p.34-35.
Una voce dalla
scuola
LUCIA STELLI
Non saranno certo i libri di testo
digitali a cambiare il modo di fare
scuola, almeno finché continueranno a circolare nelle aule come fantasmi di quelli cartacei. Non basta
smaterializzarsi per facilitare l’accesso al sapere, tanto più se si diventa
una traslazione del testo tradizionale. Un brutto testo di scienze -così è
nella stragrande maggioranza dei casidiventa un brutto PDF, come è avvenuto nella scuola secondaria di
primo grado in questo anno scolastico, che ha portato di legge la testualità digitale nelle scuole.
Se i genitori hanno ben accolto il
cambiamento, nella speranza di veder alleggeriti gli zaini e riscontrare
miracoli nell’apprendimento dei
propri figli, chi invece la scuola la fa
ben sa che cambia il vestito, ma il
corpo rimane quello vecchio e gli
accessori (multimediali), pur luccicanti, non sono altro che specchietti per le allodole. Gli effetti speciali
devono essere funzionali alla concettualizzazione e non fini a sé stessi. Non è ad esempio scomodando
Piero Angela a fare videolezioni
che il testo digitale diventa più comprensibile. Tablet e app ci porteranno poco lontano, se non sarà rinnovata alle radici la didattica dell’educazione scientifica, un’impresa per
la quale non bastano alcuni strumenti interattivi e qualche annesso
multimediale. Il problema di fondo
è che attualmente il manuale scolastico è uno strumento attraverso
cui non si impara né a studiare né ad
acquisire un habitus mentale razionale, né tantomeno a impossessarsi
di concetti scientifici per comprendere e risolvere problemi reali.
Il primo difetto dei manuali scolastici riguarda l’aspetto linguistico, il
secondo quello sperimentale. Il linguaggio utilizzato è quello dell’adulto e ovviamente comunica all’adul-
to. Il riquadro di pagina 54 presenta
un esempio paradigmatico di questo
linguaggio, nella doppia versione
cartacea e digitale.
Il discente, che dovrebbe essere il
focus di autore e docente, viene inevitabilmente bypassato; non potendo,
da bambino, parlare come un adulto
nella maggior parte dei casi impara a
mente.
Il giovane alunno mantiene tuttavia
curiosità e interesse per l’attività sperimentale, che a scuola non è in
genere praticata in modo formativo
e che i libri contribuiscono a che non
lo sia, perché si affannano a proporre la risoluzione dei problemi attraverso protocolli sperimentali precostituiti, a volte anche inefficaci. Finché i testi della scuola di base continueranno a somigliare a ricettari, le
competenze resteranno un miraggio. Finché il verbo spiegare non sarà
eclissato per lasciare il posto al problem solving nessun lettore si sforzerà
di capire, immaginare, osservare, interpretare.
Tutti siamo consapevoli che le proposte devono in primis venire dall’insegnante e tocca all’insegnante, al di
fuori del libro, motivare e orientare
l’alunno a ricercare le risposte alle
questioni scientifiche; ma quanto
sarebbe meglio se i testi fossero consonanti con la metodologia del problem solving! Le risposte già pronte
per l’uso hanno una valenza didattica infinitamente minore rispetto a
quelle ricavate attraverso un percorso graduale di scoperta! Fornire le
soluzioni è un servizio al docente,
non agli alunni.
Nei testi sarebbe opportuno distinguere ciò che è rivolto al docente da
ciò che serve al discente. A questo
proposito il supporto digitale può
fare molto separando il prima dal
dopo, la parte per l’insegnante e
quella per l’alunno, proponendo ad
esempio non simulazioni belle, d’effetto, sempre funzionanti, ma video di esperimenti realmente svolti
nelle classi, con tentativi ed errori,
ipotesi e interpretazioni scaturite
dall’esperienza degli allievi, così che
53
emerga la fatica dell’insegnare e dell’imparare.
Per i docenti come per gli alunni,
ragionare su problemi e realizzare
esperienze è un viaggio pieno di
insidie e ostacoli, ma anche ricco di
scoperte e sorprese, di per sé formativo, spesso piacevole. Nella scuola
di base è una necessità imprescindibile, se vogliamo formare menti razionali che si interroghino sul mondo e non siano passive. Molti giovani hanno un ipad in tasca e vi ricorrono al minimo bisogno; possedere
conoscenze non è più così prioritario, è più importante sapervi accedere e avere la capacità critica per poter
scegliere. Gli strumenti digitali scolastici possono aiutare molto se mirano a tal fine, per questo è necessario cambiare i riferimenti e costruire
nuovi materiali didattici centrati non
sulle conoscenze ma sulle abilità:
confrontare, descrivere, esemplificare, definire, classificare, analizzare, mettere in relazione, inferire, tanto per dirne alcune.
È anche importante mantenere negli allievi la curiosità per il mondo
naturale, che ai loro occhi non ha
certo le stesse attrattive di quello
tecnologico.
Se i libri digitali contenessero anche
solo una piccola parte delle buone
pratiche raccolte con i vari progetti
di educazione scientifica che Ministero e Indire hanno promosso negli
ultimi dieci anni, si creerebbero quelle
condizioni di circolarità che permetterebbero di dare continuità al cambiamento. Ma attenzione, servono
poco le eccezioni, i progetti particolari legati a contesti privilegiati, c’è
bisogno di cose comuni, che tutti i
docenti riconoscano alla loro portata, che si concilino con tutte le difficoltà giornaliere dell’insegnare, ad
esempio con la multietnicità delle
classi. Cose normali per fondare abilità di base alla portata di tutti. Ci sarà
poi tempo, nella scuola secondaria
di secondo grado, per elevarle e specializzarle. Valorizziamo la ricercaazione sul campo e stiamo con i
piedi per terra.
Ho avuto la fortuna di accogliere
diversi tirocinanti SSIS, giovani, appassionati, digitalizzati e tutti mi hanno confermato che il tirocinio è stato
il momento più formativo di tutta la
scuola di specializzazione. Ben vengano allora corsi TFA e concorsi,
perché forieri di rinnovamento, ma
partiamo dal lavoro di quei docenti
che hanno fatto del mestiere di insegnante un’arte al servizio degli alunni.
Diamo la possibilità di fare formazione a chi nelle classi ci lavora e ricorriamo ai docenti universitari che si occupano di didattica, ma solo a loro; sono
pochi, ma preziosi. Personalmente
ho impiegato oltre vent’anni del mio
percorso lavorativo a cercare conferme e supporti per una didattica che
tenesse in conto le difficoltà dei miei
alunni (le ho sempre vissute come
mie) e ho faticato molto per trovare i
riferimenti che cercavo tra tanti aggiornamenti vuoti e inutili. In seguito
ho pensato tante volte che mi sarebbe
bastato vedere all’opera colleghi per
accordare altre esperienze scolastiche al mio sentire e continuo a credere che anche di questi tempi la bottega
del maestro resti l’esperienza più formativa.
Spero si sia capito che le mie critiche
ai testi scolastici digitali non vorrebbero eliminare il digitale dalle scuole,
tutt’altro, mi auguro che dal brutto
anatroccolo venga fuori un bel cigno. È però necessario che anche il
Miur giochi un ruolo diverso da quello di imporre un cambiamento di
facciata, è necessario dettare criteri
su cui costruire un testo digitale e
questi devono essere diversi per la
scuola primaria e per quelle secondarie. Pazienza se la carta stampata
andrà a sparire, lo spreco che se ne
sta facendo è davvero insopportabile. Penso al fiorire di tutti quei volumetti di Prove INVALSI, peraltro
tutte reperibili in rete, che le Case
Editrici mettono a disposizione dei
docenti della scuola di base. Allenarsi può essere utile, ma prima di tutto
bisogna essere ben impostati. Andiamo dunque al cuore del problema
e smettiamo di girarci intorno.
Per esemplificare il linguaggio da adulto riproduciamo un brano tratto da un diffuso
manuale di Scienze per la scuola secondaria di primo grado. La successione dei concetti
procede ineccepibile (anche se forse si potrebbe dubitare del beneficio che gli organismi
anaerobi obbligati ricevono dalla fotosintesi), ma la comprensione del processo è riservata
a chi il processo lo conosce già! Un messaggio rivolto più al docente che agli allievi.
La fotosintesi clorofilliana (nel testo di carta)
Nella foglia si svolge la fotosintesi clorofilliana, una funzione fondamentale che
le piante svolgono arrecando beneficio a tutti i viventi. Qui infatti giungono
l’acqua, assorbita dal suolo attraverso le radici, e l’anidride carbonica, che proviene
dall’aria, entrata attraverso gli stomi. In presenza di luce, nei cloroplasti si svolge
una complessa reazione chimica a seguito della quale avviene la trasformazione
dell’anidride carbonica e dell’acqua in ossigeno e glucosio (fig. 1).
L’espressione “fotosintesi clorofilliana” significa letteralmente “unione per mezzo della luce e della clorofilla”. In tale processo distinguiamo due fasi.
Nella fase luminosa viene utilizzata la luce: la pianta sfrutta l’energia luminosa del
Sole per scindere le molecole di acqua assorbite dal terreno in idrogeno e ossigeno.
L’ossigeno viene immediatamente liberato nell’aria. La fase oscura si svolge senza
bisogno della luce: l’idrogeno viene unito alle molecole di anidride carbonica per
formare il glucosio. L’ossigeno che noi respiriamo proviene dall’acqua che la
pianta ha assorbito con le sue radici; l’ossigeno che si trova nel glucosio proviene
dall’anidride carbonica dell’aria assorbita attraverso le foglie. Il glucosio rappresenta il “carburante” delle nostre cellule, che estraggono dal glucosio l’energia
chimica che vi è contenuta. Tale energia proviene dall’energia luminosa che la
pianta ha catturato nella fase luminosa.
Con la fotosintesi la pianta trasforma l’energia luminosa in energia chimica e
trasforma sostanze inorganiche quali l’anidride carbonica e l’acqua in una sostanza organica preziosa, il glucosio, ricca di energia.
La fotosintesi clorofilliana (nel testo web)
La fotosintesi clorofilliana avviene così: con la luce solare, gli stomi si aprono e
fanno entrare l’anidride carbonica nelle foglie. Dal fusto arriva la linfa grezza
(acqua e sali minerali) alle foglie. I cloroplasti presenti nelle cellule trasfornao
l’anidride carbonica e l’acqua in ossigeno e glucosio (uno zucchero), Gli stomi si
aprono e l’ossigeno esce. Il glucosio trasforma la linfa grezza in linfa elaborata (il
cibo delle piante) e attraverso i vasi cribrosi la linfa elaborata va in tutta la pianta.
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