EDITORIALE
…sì bella e perduta!
di Ferruccio Cremaschi
L
a contraddizione è sempre più stridente. Economisti (1) e ricercatori di fama mondiale, documenti delle Organizzazioni internazionali, politiche
di Paesi come Spagna, Francia, Germania, Gran
Bretagna sostengono gli investimenti dei servizi
per l’infanzia come risposta alla crisi e prospettive di crescita
della società. In Italia la politica per l’infanzia e l’educazione
è fatta di tagli. Il sistema rischia il collasso. Ma i bambini non
occupano le piazze. E gli adulti sembrano rassegnati. Mancano sussulti di indignazione.
giugno 2011
I
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n una recente rassegna (2), Cristiano Gori (ricercatore
dell’Istituto di Ricerca Sociale di Milano e della London
School of Economics) evidenzia le criticità per i servizi
all’infanzia a seguito delle scelte di finanza pubblica degli ultimi anni.
• La domanda diminuisce e l’offerta è a rischio: l’impoverimento delle famiglie e le difficoltà delle Amministrazioni
pubbliche che portano ad aumentare le rette rende attuale
una diminuzione della richiesta non solo abbattendo le liste
d’attesa ma lasciando posti liberi. D’altra parte si verifica un
calo della stessa disponibilità di posti che dopo anni di crescita incominciano a diminuire per la chiusura di servizi privati
e pubblici.
• L’offerta si polarizza: “si rischia un quadro composto da servizi pubblici rivolti alle fasce più fragili, servizi privati per i più
abbienti e, nel mezzo, un insieme sempre più esteso di famiglie
non abbastanza povere da accedere al pubblico e non sufficientemente benestanti da pagarsi il privato”.
• La qualità diventa superflua: in un contesto di contrazione di
risorse è proprio la garanzia della qualità che viene messa a rischio con tagli degli elementi che fanno la qualità sostanziale
del servizio (riduzione delle ore di coordinamento e di programmazione, delle supervisioni ecc.) e, sul fronte dell’iniziativa pubblica, con la tendenza a spostare gli investimenti verso i servizi
meno costosi e con minori requisiti qualificanti richiesti (come i
nidi famiglia in Lombardia, le mamme a domicilio ecc.).
• Le condizioni di lavoro peggiorano: la voce che più incide e
dove quindi è più diretto l’intervento per risparmiare è quella
del costo del personale. Già oggi abbiamo una differenza del
20% nell’incidenza del personale tra pubblico e privato. E la
tendenza ulteriore è quella di introdurre forme di lavoro meno costose e più precarie ricorrendo, dove possibile, all’assunzione di personale con minore qualificazione.
• I confini tradizionali dei servizi si spostano: “un ultimo elemento è rappresentato, in misura crescente, dallo spostamento
dei confini tra asilo nido e scuola dell’infanzia, ampliando le
responsabilità della seconda attraverso il ricorso all’accesso
anticipato ai servizi 3-6 anche mediante le sezioni primavera.
Tale anticipo rappresenta occasione di risparmio dal punto di
vista economico sia per le famiglie, che in tal modo vedono
abbattere l’onere della retta di oltre il 50%, sia per i Comuni,
poiché il costo del servizio è sensibilmente inferiore, se non
altro per il fatto che gli standard di riferimento più onerosi,
come il rapporto operatore/bambino, sono decisamente più
elevati nel nido. Qui l’elemento di rischio derivante dall’attuale
momento di crisi è principalmente il ricorso poco consapevole
all’opportunità degli anticipi e delle sezioni primavera, dettato
prevalentemente, se non unicamente da ragioni di risparmio
e invece poco connesso alle caratteristiche e del bambino e al
percorso educativo che viene proposto. In sintesi, la centralità del bambino rischia di passare in second’ordine rispetto
a vantaggi di tipo economico, che nella contingenza attuale
assumono un rilievo dominante”.
O
vviamente possiamo abbandonarci allo sconforto e piagnucolare tra noi o lasciarci andare ad
atteggiamenti di sopravvivenza disimpegnata in
attesa della pensione (peraltro miraggio sempre
più lontano) oppure possiamo cogliere l’opportunità che una situazione di disordine e di debolezza complessiva del sistema può comunque offrire.
Incominciamo allora a porci sistematicamente e puntigliosamente dal punto di vista delle esigenze e dell’interesse del
EDITORIALE
P
rendiamo un esempio. Abbiamo ormai forme diffuse di anticipo? Abbiamo scardinato il sistema
del “gioiello di famiglia” vantato ai tempi del Ministro Luigi Berlinguer e riconosciutoci da tutto
il mondo? Partiamo da questo dato negativo per
rimettere in discussione i “contenitori” e avviare una riflessione virtuosa. A noi non sta bene che un bambino di 2 anni venga “infilato” nella scuola dei 3-6 anni. Noi vogliamo
un’istituzione che prende in carico il bambino a un anno
e lo porta fino ai 5-6 anni. Noi vogliamo un’istituzione che
si adatta al bambino e si alza all’altezza delle sue esigenze.
Noi vogliamo spazi adeguati e attrezzati per bambini da 1
a 5 anni che tengano conto delle età pesantemente diverse.
Noi vogliamo che i bambini crescano “insieme” ma non che
debbano adattarsi a spazi, strutture, orari, rapporti, pratiche
funzionali ad altre età. Noi vogliamo personale che possa
operare perché ha i saperi e le competenze per lavorare con
bambini piccoli, a partire da loro con attenzione al loro sviluppo e non con la preoccupazione delle presunte aspettative dell’ordine di scuola superiore. Noi vogliamo un vero
modello di continuità.
I
l Sindacato è pronto per fare un ragionamento non
sulle tessere, ma a partire dai bambini? È pronto
ad avviare una contrattazione che promuova i diritti di lavoratori che lavorano con bambini e genitori
e debbono avere riconoscimenti adeguati alla responsabilità e alla professionalità che viene loro richiesta?
Siamo disposti a mettere in primo piano che il lavoro di
educatrice (definizione molto più nobile di quella di insegnante) ha delle peculiarità che possono essere pesanti e
impegnative, ma che tali sono e tali debbono essere riconosciute anche a livello di retribuzione, di riconoscimento
sociale, di formazione?
Gli Enti locali che già hanno servizi 0-3 e 3-6 sono disposti a
sperimentare una vera continuità?
Vogliamo guardare avanti?
L
o scorso anno è uscito in Francia, un libretto
Indignez-vous! (3) che solleva il problema dell’insostenibilità di una società incapace di porsi
con coraggio davanti ai problemi e di proporsi
delle soluzioni. È stato un travolgente successo
di pubblico (650.000 copie in due mesi). Ne è nata presto una
polemica: l’indignazione è importante, ma fermarsi all’indignazione è in definitiva darsi un alibi e non impegnarsi nel
cambiamento. L’autore ha risposto con un altro pamphlet:
Engagez-vous! cioè Impegnatevi (4). Questo messaggio ci viene in questi giorni anche dai giovani spagnoli “Indignados”:
l’indignazione non può limitarsi alla sfera etica personale,
ma deve diventare una concreta azione di modifica dell’esistente e di avvio di una società diversa. Indigniamoci in
questo senso operativo e concreto di presa di coscienza e di
iniziative propositive.
Oppure limitiamoci a rimpiangere quell’Italia sì bella e perduta, che ci ha delineato il maestro Muti nel concerto del 12
marzo (5).
(1) Cfr. intervista a James Heckman in “Bambini”, n. 1/gennaio 2009.
(2) “Criticità per i servizi per l’infanzia”, in Prospettive Sociali e Sanitarie,
n. 6/2011.
(2) Stéphane Hessel, Indignez-vous!, Indigène éditions, Montpellier,
2010; trad. it. Indignatevi, Add Editore, Torino, 2011 – disponibile anche
in e-book.
(4) Stéphane Hessel, Engagez-vous!, éditions de l’Aube, La Tour d’Aigues,
2010, trad. it. Impegnatevi!, Salani, Milano, 2011.
(5) Nel concerto del 12 marzo 2011 a Roma, in occasione delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, Riccardo Muti ha interrotto il “Nabucco” di Verdi dopo il coro “Va pensiero” e si è rivolto al pubblico: “Il 9
marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all’unità e
all’identità dell’Italia. Oggi, 12 marzo 2011, non vorrei che Nabucco fosse
il canto funebre della cultura e della musica […] Sono molto addolorato
per ciò che sta avvenendo, non lo faccio solo per ragioni patriottiche ma
noi rischiamo davvero che la nostra patria sarà ‘bella e perduta’, come dice
Verdi. E se volete unirvi a noi, il bis lo facciamo insieme”. La registrazione
è disponibile su youtube.
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bambino. Se analizziamo la situazione attuale (tipologie,
professionalità, organizzazione…) è evidente come la storia
del nido e della scuola dell’infanzia è segnata, fin dall’inizio,
dalla matrice di risposta alle esigenze dell’organizzazione
rigida del lavoro degli adulti che vede sempre più intensamente il genitore o i due genitori occupati fuori casa, ma
anche dalla contemporanea scomparsa della rete della famiglia allargata. Poi sono intervenuti i contratti di lavoro, le
codificazioni legate non alla funzione concretamente svolta
e alle esigenze specifiche di un servizio rivolto ai “piccoli”
(che non può essere assimilato, con tutto il rispetto, al lavoro degli impiegati all’anagrafe o ai servizi cimiteriali), con
differenze connesse alle caratteristiche del datore di lavoro
(pubblico: Stato o Ente locale; privato: Ente religioso, non
profit, cooperativa, commercio…), e alla categoria di riferimento della tessera sindacale (istruzione, funzione pubblica,
commercio…).
Il bambino è sempre venuto dopo. Prima si sono create rigidità, strutture, pratiche che non hanno come prima funzione e
preoccupazione di rispondere alle esigenze del bambino, poi
si è cercato di individuare gli interventi per recuperare condizioni di qualità del servizio.
Oggi poi il disastro è completo: i tagli indiscriminati in
maniera orizzontale senza nessuna attenzione ai territori, alle frequenze – numeriche e di orario – all’utilizzo del
personale… stanno distruggendo il “sistema educativo”. Su
questo terreno probabilmente è facile aggregare un folto
consenso.
Può allora essere l’occasione per spostare l’occhio e la discussione dalla restaurazione dello status quo a un nuovo progetto centrato sul bambino.
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