Un mondo nuovo dove i rapporti tra gli uomini e tra le cose siano più armoniosi:
questo è il mio fine ed è sia politico che poetico.
(Jean Luc Godard)
La scomparsa dei Maiorana
Le prospettive e sfide italiane sull’universo della conoscenza
La questione del sapere è un tema centrale
per comprendere i
valori e le prospettive
di una società: dal
punto di vista dell'individuo, la conoscenza
permette di approfondire l'autocoscienza di
sé, di elevare il rapporto con gli altri, di
aumentare la consapevolezza delle aspirazioni, dei bisogni e
degli obiettivi; rispetto
alla comunità, il sapere gioca un ruolo assolutamente decisivo,
perché costruisce la
società e soprattutto
con il suo progredire
continua a modificarne
il funzionamento e i
valori. Questi elementi
hanno impatti fortissimi
nella vita di tutti i giorni, perché procedono
dalla realizzazione
individuale al progresso collettivo. Si parla
oggi di società della
conoscenza, e non per
nulla l'asset fondamentale per uscire dalla
crisi è l'investire in sa-
pere e innovazione:
altri paesi l'hanno già
individuato, l'Italia no.
Ma non è sempre stato
così, in Italia. Il gruppo
dei fisici di Via Panisperna con Ettore Majorana, i chimici con
Giulio Natta, sono alcune tra i diversi team
o equipe di studiosi
che hanno costruito le
basi per il salto in avanti dell’economia
italiana dopo la seconda guerra mondiale, quel processo che
ha portato un paese
sconfitto a diventare
la settima economia
del mondo. Si era affermato allora un circolo virtuoso tra ricerca pubblica e processi
di innovazione delle
imprese. L’Italia negli
anni ‘50 scopriva la
chimica industriale e
attraverso Fincantieri,
Finmeccanica ed Eni
esportava prodotti
innovativi nel mondo.
Quel processo si
è rallentato alla fine
degli anni ’80 e oggi
si è quasi fermato del
tutto. Ciò è dovuto
soprattutto al blocco
di finanziamenti pubblici e privati alla ricerca e all’istruzione.
La strategia di Lisbona
indicava come, della
spesa per ricerca e
sviluppo del paese,
due terzi dovessero
provenire dalle imprese ed un terzo dal settore pubblico: in Italia
i già scarsi investimenti
sono
fifty-fifty. La
scelta di mettere la
conoscenza al centro
dell’organizzazione
del lavoro e della circolazione delle merci,
a t t u a l m e n t e
non è trattata come
una priorità dalla
gran parte del nostro
tessuto produttivo, costituito in prevalenza
da piccole e medie
imprese che necessitano, per competere su
scala globale, di puntare sulla qualità dei
prodotti; avrebbero
pertanto bisogno di
reggersi ad una forte
e strutturata rete pubblica di ricerca che le
sostenga e le accompagni nell’innovazione
tecnologica. Per le
politiche della conoscenza, ci sono due
opzioni culturali distinte ed antitetiche tra
loro: il sapere come
possesso individuale, i
INDICE
La scomparsa dei
Maiorana
3
I giovani italiani
e il “nuovo esodo”
europeo
5
Il sistema di
tassazione
universitaria
11
I servizi agli
studenti
15
La rete universitaria
nazionale
20
RUN
P A G IN A 4
La scomparsa dei Maiorana - segue
cui costi ricadono sul singolo;
oppure la natura cooperativa e
il valore sociale del lavoro intellettuale, i cui costi sono divisi
tra stato e sistema produttivo.
Crediamo si debba ripartire
dal libro bianco di Jacques Delors, testo straordinario che ha
poi influenzato la politica europea per la conoscenza, fino ad
arrivare all’incompiuta strategia
di Lisbona. La risposta alla globalizzazione per la trasformazione di economie sempre
più legate alla conoscenza, deve comprendere la costituzione
di uno spazio di apprendimento
permanente lifelong learning,
atto a creare misure attive e
preventive rivolte ai disoccupati e alle persone non attive.
L’obiettivo di una politica della
conoscenza di scala europea
deve essere la costruzione di un
grande spazio pubblico
dell’istruzione e della ricerca,
che consenta di creare, innovare e produrre, includendo nel
processo di crescita economica
quelle fasce di popolazione
escluse dal mercato, dal lavoro
e dal sapere. Questa saldatura
tra lavoro ed istruzione, per cui
si investirà nel primo per creare
occupazione stabile, e nella
seconda per rafforzare la coesione sociale, avrà come ulteriore effetto quello di creare uno
nuovo senso di cittadinanza. La
costruzione cioè di un senso comune, un insieme di elementi
condivisi, che richiami ad
un’appartenenza più alta. Non
solo il francese ed il polacco,
ma il veneto ed il calabrese. A
tale risultato ci sembra guardare con lungimiranza il programma “Erasmus per tutti”, che punta a raddoppiare, a partire dal
2014, gli studenti Erasmus che
approfondiscono la loro preparazione universitaria, la loro
esperienza di vita e il loro bagaglio culturale in senso lato, in
uno dei paesi dell'UE. E' un segnale che il paradigma culturale che negli ultimi vent'anni aveva relegato il sapere ad un
costo da contenere e ridurre, e
che in Italia era ulteriormente
rafforzato dal provincialismo
leghista e dall'immaginario berlusconiano del successo fondato
sull’effimero - cioè sul nulla - sta
cambiando. La mobilità studentesca su scala europea
contribuisce a costruire una nuova identità continentale, che
permette di superare le antiche
appartenenze nazionali, per
ritrovare nell'unità del nostro
continente le ragioni di una cultura che valorizzi meglio noi
stessi. E concorre a sanare uno
dei principali limiti dell'università italiana, cioè la scarsa internazionalizzazione dei suoi docenti e dei suoi studenti: dovuta
in parte ma non solo alla lingua
italiana, poco studiata nel mondo, e principale causa dei voti
bassi delle nostre università nei
ranking internazionali.
L’internazionalizzazione degli
atenei è una sfida decisiva per
riportare le università ad essere
quel luogo di incontro, conoscenza reciproca, tra persone e
culture diverse, di scambio e
condivisione, di universitas del
sapere. L'importanza che ha
per il mondo del lavoro, delle
imprese e dell'innovazione il
sapere non significa escludere o
ridurre il ruolo del sapere “umanistico”. L'espressione
artistica, la conoscenza storica e
letteraria, la speculazione filosofica e l'approfondimento antropologico, sono i cardini della
consapevolezza di sé, e quindi
della critica e del progresso
vero, di una società. E' fondamentale comprendere che anche nell'era della specializzazione del sapere, la vera sfida è continuare a concepire
quel campo come profondamente unitario, perché solo se
progrediscono insieme i saperi
possono davvero continuare a
progredire: occorre rivalutare
le competenze diverse che diversi percorsi formativi possono
offrire; solo con una riscossa del
sapere tecnico, pratico e professionalizzante, anche il sapere specialistico e universitario
può sviluppare livelli d'eccellenza. La società della conoscenza
non deve essere una società con
un diverso sistema gerarchico
fatto di accumulo di titoli di studio e di anni di esami, ma un
nuovo modo di intendere le
competenze e la conoscenza,
che restituisca valore ai luoghi
in cui il sapere si incontra con il
saper fare e con la pratica;
sapere tecnico e sapere teorico
non sono due mondi autonomi
ma concorrono entrambi allo
sviluppo umano ed al progresso
della società. Fare l'università non deve essere la scelta di
P A G IN A 5
chi ricerca professioni prestigiose e ben remunerate, bensì una
delle possibilità in cui sviluppare le proprie attitudini; il sapere
universitario ha un grande valore in sé, che prescinde dalla
applicazione pratica dello stesso, ma che al contempo deve
garantire reali sbocchi nel mondo del lavoro. Per questo occorre una riforma del mercato del
lavoro che permetta una reale
connessione tra titolo di studio e
mondo lavorativo, che non renda la laurea specialistica un
obbligo, ma una scelta, che
proprio per questo dia valore
alla Laurea triennale e non ma-
scheri il 3e2 in un 3+2.
Tutto questo induce oggi a chiedere un ritorno della politica e
della partecipazione, della democrazia e dei corpi intermedi,
degli ideali e delle alternative.
Gli studenti in tutto questo vogliono essere protagonisti. In
gran parte del mondo la nuova
primavera è promossa dalle
giovani generazioni e quindi
dagli studenti. C'è bisogno di
partecipazione, a cominciare
dalle prossime elezioni studentesche, che devono confermare
la voglia di cambiamento e la
voglia di esserci. E c'è bisogno
di un altro doppio lavoro: una
vera presenza concreta nei propri atenei e un collegamento
nazionale e speriamo anche
europeo tra gli universitari.
La scomparsa di quel clima che
attraversava il nostro paese nel
novecento, la scomparsa dei
Majorana come l’abbiamo chiamata, ha costretto l’Italia nelle
condizioni che conosciamo. Il
futuro è sempre più lungo del
passato, investire finanziamenti
pubblici e privati in istruzione
significa scommettere sul luogo
dove passeremo il resto della
nostra vita.
I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo
1.1 The more you learn, the
more you earn?
È passato un anno dalla riforma
“epocale” voluta dall’ex ministro Gelmini, riforma che avrebbe dovuto cambiare per sempre l’università italiana. Ed in-
fatti è cambiata veramente
l’università, ma in peggio. A
distanza di un anno si può finalmente dire che la nuova legge
ha raggiunto tutti i suoi obiettivi:
paralizzare completamente il
funzionamento delle università
pubbliche, licenziare i precari,
ridurre il personale universitario
(e il numero dei laureati) a numeri più
vicini a quelli del
Terzo Mondo, che a
quelli di una nazione europea. Secondo un sondaggio
Ocse, nel nostro
Paese1 il 54% della
popolazione ha un
titolo di diploma,
contro una media
nel resto d’Europa
pari a 73%: questo
significa che l’Italia
cresce meno rispetto
agli altri paesi
d’Europa. Le cifre
dell’Ocse sono chiarissime. Solo il 54%
degli italiani con
NOT E
1. Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
2. Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale
3. Dati forniti dal coordinamentiprecariuniversitari
un’età compresa tra i 25 e i 64
anni ha ottenuto un diploma di
scuola media secondaria. La
media Ocse è del 73%. Siamo
lontanissimi non solo dall’85%
della Germania, dall’88% del
Canada, dall’89% degli Stati
Uniti, ma anche dal 91% della
Repubblica Ceca, dall’89%
dell’Estonia, dall’88% della
Polonia. Secondo le proiezioni
del Cedefop2, nel 2020 nel
nostro paese il 37% delle forze
lavoro avrà un basso livello di
qualificazione, contro la media
europea che sarà pari al 20%.
Alti livelli di qualificazione solo
per il 18 % degli italiani, contro una media europea pari al
34% Un paese che non investe
sul proprio capitale umano, è un
paese destinato ad invecchiare
presto.
1.2 Tabella precari
nell’Università italiana: numeri da capogiro3
In 2 anni, dal 2008 al 2010, si
RUN
P AGIN A 6
I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue
è realizzata una strage silenziosa di ricercatori e docenti precari: nel 2010 vi erano circa
22mila precari in meno che nel
2008.
E per il 2011 la strage silenziosa continua a ritmi ancora più
rapidi che in passato.
1.3 I “geni” in fuga: chi
sono e perché preferiscono
l’estero.
Secondo uno studio condotto
dall’Istat tra dicembre 2009 e
febbraio 2010, su 18 mila dottori di ricerca, quasi 1.300 (il
7%) si sono spostati all’estero.
In questa percentuale
i maschi sono più delle donne
(7,6% contro 5,1%).
MI PARE CHE QUESTE PERCENTUALI NON VANNO BENE
A prediligere la mobilità inout,
gli studenti che hanno conseguito il dottorato in giovane età
(meno di 32 anni) e che provengono da famiglie con un elevato livello d’istruzione. Dei 1.300
ricercatori ‘in fuga’, il 41,2%
risiedeva nel nord Italia, il
23,3% al Centro e il 24,2% al
Sud. Le regioni settentrionali
presentano le quote più elevate
di spostamenti verso l’estero: si
va dal minimo dell’EmiliaRomagna, pari al 6,9% (dei
dottori di ricerca residenti prima dell’iscrizione all’università)
al massimo del 10,5% della
Liguria. L’incidenza della mobilità verso altri Paesi cresce
all’aumentare del livello
d’istruzione dei genitori. In particolare, il 10% dei dottori di
ricerca settentrionali, con almeno uno dei due genitori laureati,
viveva all’estero al momento
dell’intervista. Gli originari del
Centro e del Mezzogiorno pro-
La creatività contrattuale
i numeri precari*
Docenti a contratto
41.349
Collaboratori linguistici
317
Personale impegnato in attività di tutorato
23.996
Borse di studio
6.565
Borse post-doc
747
Assegni di ricerca
17.942
Co.co.co. (di durata superiore ai 30 gg.)
8.096
Ricercatori a tempo determinato
1.240
Formazione specialistica dei medici
24.934
Altro
1.002
Totale
126.188
di ruolo
a contratto
totale
Personale docente
57.748
(58,3%)*
41.349
(41,7%)
99.097
Collaboratori linguistici
1.857
(85,4%)
317 (14,6%)
2.174
Personale ricercatore
57.748
(48,8%)*
60.526
(51,2%)**
118.274
Fonte: MIUR Statistica, dati al 31/12/2010
* docenti di ruolo: professori ordinari e ricercatori a tempo indeterminato.
** la voce comprende i seguenti contratti di ricerca: borse di studio, borse postdoc, assegni di ricerca, co.co.co., ricercatori a tempo determinato, contratti di
formazione specialistica dei medici, altro.
venienti da famiglie con un elevato livello d’istruzione, hanno
scelto di vivere in un altro Paese nel 7,8% e nel 5% dei casi.
Nel Mezzogiorno, secondo le
ultime analisi condotte dallo
Svimez4, il tasso di occupazione
giovanile (15-34 anni) nel 2010
era il 31,7 per cento e per le
donne non raggiungeva che il
23,3 per cento, dunque potremmo dire che un giovane su tre è
disoccupato e nel resto d’Italia
la situazione non è certo diversa. In Italia meno di un giovane
su tre ha un lavoro, per le donne è ancora peggio: meno di
una su quattro. Tralasciamo di
soffermarci sulle condizioni di
NOT E
4. Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Milano, 2011.
occupazione, dove emergono
dati sempre più preoccupanti:
sottopagamento, sottoinquadramento.
Ma l’aspetto più allarmante
emerso dalle analisi Svimez, è
che il dato relativo alla fascia
d’età compresa tra i 25 e i 34
anni, rivela due fenomeni che,
accentuati al Sud, caratterizzano l’intero Paese e si combinano
in un rapporto di causa effetto
con le carenze strutturali del
nostro sistema economico: una
tendenza “patologica” a prolungare la permanenza nel
sistema formativo e tempi assai
più dilatati di transizione dal
mondo della formazione a
P A G IN A 7
un’occupazione caratterizzata
da un grado accettabile di stabilità e sicurezza economica.
Nel 2010, tra i 25 e i 34 anni,
risultavano «inattivi» 1.162.000
giovani meridionali, il 41% della popolazione di riferimento
(contro il 16,7 per cento del
Centro-Nord, comunque più alto
delle media Ue): un tasso di
inattività che per le giovani
donne raggiunge il 54,7 %. Un
vero e proprio esercito di giovani donne e uomini che è vittima della marginalità sociale,
dell’attività irregolare
nell’economia sommersa e della
ricerca occasionale di lavori
saltuari, attraverso canali informali se non di carattere clientelare.
1.4 Dal Mezzogiorno
all’Italia intera: dal brain
drain al brain waste
Tra il 2004 e il 2010, gli occupati tra 25 e 34 anni, se sono
diminuiti nel Mezzogiorno di
quasi il 18 per cento, sono calati al Centro-Nord di oltre il 16
per cento. La crisi precedeva
“la crisi”, e quest’ultima ha scaricato i suoi effetti sociali sul
Sud perché si è sommata a debolezze strutturali. Ma la dinamica del mercato del lavoro
giovanile non è stata meno grave nel Centro-Nord (nel 2010,
addirittura, gli occupati tra 15
e 24 anni sono calati più nel
Centro-Nord che nel Mezzogiorno, del -6,2 per cento contro il -4,4 per cento).
Nell’Italia delle molte fratture,
delle crescenti disuguaglianze,
dei divari che persistono, la
condizione delle nuove generazioni è, insomma, la cifra comune di una società in cui le
opportunità e le aspettative di
benessere individuali e collettive si riducono, in cui tornano ad
essere determinanti le “eredità”
familiari e geografiche.
In questi anni, il divario di op-
portunità tra Nord e Sud si poteva raccontare con un frammento di specchio, ancora più
piccolo (?), ma che restituiva
più nitidamente l’immagine della condizione giovanile: la ripresa dell’emigrazione, in particolare di quella “interna” verso il CentroNord (e, in
minor misura,
verso
l’estero), e
in particolare del capitale umano
più qualificato
(la
quota dei
laureati
nella popolazione migratoria è
assai crescente, e riguarda ormai oltre
un terzo dei “pendolari di lungo
raggio” – quelli più difficili da
censire, perché non cambiano
residenza).
Ora, il peggior andamento
dell’occupazione giovanile al
Centro-Nord sembra restringere
la “valvola di sfogo” della fuoriuscita migratoria e allargare
per tutto il Paese le maglie
dell’emigrazione verso l’estero.
Allo stesso tempo ha reso più
“selettiva” l’emigrazione meridionale dei giovani maggiormente qualificati. È particolarmente preoccupante il fatto che
a fronte di una crescita della
“qualità” dell’emigrazione nel
2009, si sia ridotta significativamente la “qualità” delle occupazioni svolte dagli emigrati
stessi. E pensare che la determinante principale dei flussi resta
e diventa sempre più la ricerca
di un’occupazione all’altezza
delle proprie competenze e
delle legittime ambizioni maturate in percorsi di studio qualificati. La gravità del fenomeno,
nel XXI secolo, non è ovviamente nella mobilità dei giovani
meridionali: è che la scelta
spesso non è scelta (libera) ma,
come un tempo, necessitata
soprattutto dalla mancanza
di brain exchange. Vi fossero
infatti flussi multi direzionali di
mobilità verso le aree in ragione delle specializzazioni, chi
lamenterebbe il brain drain?
Pur troppo i nostri
flussi sono
monodirezionali:
verso il
Nord, per
le emigr azioni
interne; e
dall’Italia
v e r s o
l ’ es t er o ,
c o m e
avviene
più o meno con le stesse proporzioni in
tutte le aree del Paese. Eppure
oggi, più che il brain drain, a
raccontare la penalizzazione
dei giovani e dunque delle possibilità di ripartenza dell’Italia,
è una nuova categoria che siamo chiamati a fronteggiare:
il brain waste, lo “spreco di cervelli”, una sottoutilizzazione del
capitale umano di dimensioni
abnormi. La condizione di Neet
(non studio e non lavoro: 1.900
mila giovani meridionali 15-34,
secondo la Svimez, nel 2010),
generalmente più diffusa tra i
meno istruiti è cresciuta,
nell’ultimo triennio, più rapidamente per i giovani con elevati
livelli di istruzione – soprattutto,
tra laureati. Circa il 30 per cento dei laureati meridionali, sotto
i 34 anni, non lavora e ritiene
(ragionevolmente) inutile continuare a formarsi; nel Nord sono
circa due su dieci.
1.5 I “brain drain” chi sono
e perché scappano?
Ma perché si preferisce
“scappare” all’estero. Come si
RUN
P A G IN A 8
I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue
spiega questo paradosso e come è possibile che la tanto criticata università italiana produca
figure così qualificate e ricercate nel resto d’Europa e del mondo? Perché accade che dopo
essersi formati e dopo aver
avuto un’adeguata istruzione, si
sceglie di partire per l’estero?
Dietro la fuga dei cervelli c’è
molta falsa retorica e dietro
questo paradigma si cerca di
nascondere la realtà delle cose.
La risposta è semplice ma non
del tutto scontata e la chiave di
lettura è da ritrovare nel modo
di concepire in Italia la ricerca.
Negli ultimi anni nel reclutamento si applicata una falsa meritocrazia, combinata ad uno scarso investimento nel capitale umano e, utilizzando una metafora tratta dall’opera del fisico e
storico della scienza Thomas
Kuhn che analizzando le trasformazioni del sapere scientifico mise in luce che gran parte
dell’attività di ricerca è “scienza
normale”, ovvero tutt’altro che
rivoluzionaria: lavoro quotidiano e certosino di affinamento e
limatura delle conoscenze esistenti.
Questa ricerca –
per fortuna – non
necessita di geni.
Infatti è proprio
grazie al lavoro di
coloro che praticano
la
scienza
“normale” che ingegni straordinari
come Darwin o Einstein, sono capaci
di uscire dal paradigma esistente per
balzare al successivo, è il prezioso
lavoro collettivo a produrre un
salto di qualità. Ma in Italia non
accade tutto questo, salvo rare
eccezioni perché a fuggire è
proprio quel collettivo che forma “ la scienza normale” e che
non riesce a trovare le condizioni per lavorare.
Secondo una stima della National Science Foundation americana, il numero di ricercatori nel
mondo è cresciuto, tra il 1995 e
il 2007, da circa 4 milioni a 5,7
milioni. Limitandosi solo a un
sottoinsieme di riviste internazionali peer reviewed, il numero
degli articoli pubblicati è passato, negli ultimi due decenni,
da circa 460.000 a circa
760.000. Si tratta di dimensioni
che non permettono più di confidare, nella sola presenza di
“geni” capaci di alimentare la
nascita della scienza moderna. I
giovani studenti, i giovani ricercatori emigrano all’estero perché altrove la ricerca è
un’impresa globale, e gli Stati
decidono sempre di più di investire nell’economia della conoscenza, reclutando sempre più
un gran numero di affidabili
professionisti.
Altrove le organizzazioni di
ricerca sono efficienti e capaci
di valorizzare, appunto, quel
“ceto medio” di cui la scienza
contemporanea ha bisogno.
Ma se l’Europa investe sui gio-
vani sin dai primi anni, anche in
questo caso in Italia la situazione pare in controtendenza. I
dottorandi italiani, ultimo anello
della spina dorsale della ricerca italiana, risultano essere i
meno tutelati e più precari di
questa catena e tra i problemi
irrisolti restano le questioni:
borse di studio e tasse universitarie. Nel giugno 2008 la neo
Ministra Gelmini firmava un
provvedimento legislativo a
favore dei dottorandi. Il decreto in questione, nato da un’idea
di Mussi, Ministro dell’Università
e della Ricerca dell’ultimo governo Prodi, portava per la
prima volta da 800 a poco più
di 1000 euro mensili
l’ammontare della borse di dottorato. Ma il beneficio economico, ancora vigente grazie a
quella norma, non è rivolto a
tutti, infatti la legge attuale
prevede che le borse debbano
coprire almeno (o solo!) il 50%
dei posti messi a disposizione. E
dunque rispunta uno dei grandi
nodi ancora irrisolti dalla politica universitaria, quello della
figura del dottorando senza
borsa che fianco a fianco ai
"colleghi con borsa" non solo
non viene retribuito, ma si trova
anche nella posizione di dover
pagare le tasse universitarie
pari anche a 2000 euro circa
annui, contro ad esempio i poco
più dei 300 euro francesi.
Ad oggi nella bozza ministeriale presentata
dall’ex Ministro Gelmini,
non vi è alcuna traccia del
superamento di questa
figura. Per accorgersi che
la situazione è ben diversa da quella italiana non
bisogna andare oltre oceano. La Svezia, ad esempio che offre le migliori
condizioni di lavoro e
qualità, stanzia borse di
studio pari a 2.500 euro
contro i 1.000 euro della
borse italiane, comprendendo la partecipazione a tutte
le attività di dipartimento, riconosciute e retribuite contro la
didattica non riconosciuta e non
retribuita dei dipartimenti nostrani. Lo stesso vale per i nostri
cugini d’oltralpe. In testa tra le
mete predilette dei cervelli in
P A G IN A 9
fuga, infatti, c’è la Francia dove
le borse assegnate dai contrats
doctoraux si aggirano tra i
1600 che diventano 1900 euro
se sono previste attività didattiche comunque mai superiori a
96 ore. Senza contare che
all’estero tutti i dottorandi vengono stimolati ad un’attività
intensa attraverso
la realizzazione di
paper per riviste di
livello internazionale, oltre che a partecipazioni a seminari e convegni. Il
caso italiano in tal
senso sembrerebbe
ancora una volta
molto antieuropeo.
In Italia infatti si
può arrivare alla
tesi di dottorato
senza alcuna pubblicazione e spesso
non si può partecipare a conferenze
e seminari
per
mancanza di fondi
da parte dei dipartimenti. Il nostro
sistema con questo
nuovo regolamento
continuerà a concepire attività di ricerca non retribuite, consentendo che uno studente in dottorato
possa svolgere attività gratuite
pagando tasse esose quando in
realtà le sue ricerche prodotte
nei laboratori di dipartimento
vanno a vantaggio dell'università e producono conoscenza
(come le pubblicazioni scientifiche) e ritorno economico (nel
caso di brevetti). Nell’ultimo
anno abbiamo assistito al taglio di oltre il 30% delle borse
di dottorato e la prospettiva
futura non sembra cambiar rotta. La famigerata legge 133
del 6 agosto 2008, infatti,
quella contro la quale gli studenti si ribellarono nell'autunno
dell'Onda, non ha ancora finito
di dispiegare le sue conseguenze peggiori. Quel testo, che in
pochi ricordano, non si limitava
a tagliare l'FFO, cioè la principale fonte di finanziamento
degli atenei, ma prevedeva
anche nuovi tagli, a scaglioni
sempre crescenti, per i 5 anni a
venire. E così, nel 2012 arriveranno altri tagli per ben 417
milioni, un assoluto record, chia-
ramente destinato ad essere
battuto l'anno prossimo, quando
i tagli ammonteranno a ben
455 milioni di euro. Nell’ultimo
anno abbia assistito anche ad
alcuni passi in avanti in tal senso, ma troppo pochi è tardivi e
non del tutto risolutivi. Se è vero
che al dottorato viene attribuito
lo status di early stage researchers, siamo ancora ben lontani
dal riconoscere a chi svolge un
dottorato lo status di ricercatore in formazione come già avviene nel resto d’Europa. Il tentativo di internazionalizzare
l’università con l’istituzione di
dottorati in co – tutela con università straniere sembra apprezzabile tuttavia ci si dimentica del tutto dell’importanza di
istituire obbligatoriamente corsi
di dottorato bilingue e la partecipazione obbligatoria
a
convegni internazionali. La
rappresentanza di questa categoria
all’interno
dell’università che dovrebbe
essere obbligatoria in tutti i
collegi di dottorato in modo da
stimolare il dibattito nelle singole
università
sulle scelte che
riguardano
le
condizioni di vita
e di lavoro dei
singoli dottorandi,
non è ancora del
tutto sviluppata. In
Francia ogni dipar timento
e
gruppo di ricerca
è provvisto di un
comité de pilotage con all’interno
un rappresentante
dei dottorandi che
ha voce in capitolo su spese e progetti di dipartimento. L’Italia si
allontana sempre
di più dagli standard europei anche in termini di
servizi e tasse.
L’università che si sta delineando per il futuro sembra essere
un’università dove prevalgono
logiche di classe e di censo. I
nostri cugini europei, fatta eccezione degli inglesi, pagano tasse universitarie inferiori
rispetto alle nostre. Ma andiamo per ordine. Partiamo
dall`Europa del nord. In Svezia gli studenti non pagano
tasse fatta eccezione di coloro
che lavorano. Gli inglesi sono
quelli che, come noi , pagano
tasse a volte esorbitanti fino a
1100 sterline . Ma esistono
svariati incentivi economici per
gli studenti (borse di studio,
prestiti, agevolazioni...). Bisogna comunque ricordare che i campus universitari
inglesi sono dotati di grandi
strutture completamente gestite
P A G IN A 1 0
RUN
I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue
da studenti . La Francia è il
paese europeo dove le tasse
universitarie sono minori (circa
300 euro) che in Italia, tuttavia
la percentuale degli studenti
che usufruiscono di borse di studio è più alta e il diritto allo
studio è tutelato grazie anche
ad un serio impegno da parte
dello Stato. La Francia risulta
paese avanguardia in termini di
servizi per i giovani studenti.
Per quanto riguarda i trasporti
locali, esistono abbonamenti
speciali per gli studenti con meno di 25 anni che ti permettono
di spostarti non solo a livello
locale ma anche con i treni per
tutta la Francia. Un giovane fino
a 25 anni ha una serie di vantaggi incredibili e oltre a riduzioni consistenti su qualsiasi
mezzo di trasporto, usufruisce di
borse e aiuti negli studi. Un esempio? Indipendentemente che
tu sia studente o meno puoi usufruire della cosiddetta Caf
Caisse d’Allocation Familiale un
organismo pubblico che aiuta
finanziariamente (contribuendo
a seconda dei casi al pagamento del 30 – 40 %
dell’affitto) gli studenti e tutti
quelli che guadagnano poco.
Elemento indispensabile è quello di avere un contratto regolarmente registrato (così anche
si fa la battaglia ai contratti a
nero!!). Senza considerare che
lo stato francese aiuta le giovani famiglie finanziando asili
nido e se vuoi trovare il primo
lavoro, ti sostiene ti accompagna alla ricerca della tua attività professionale. Ancora una
volta l’Italia si dimostra un paese poco moderno e poco europeo.
Le università tedesche invece
sono finanziate in larghissima
parte dallo Stato5, o meglio
dai Länder, che hanno competenza sull’amministrazione scola-
stica e universitaria. Alle università tedesche, gli studenti pagano un contributo semestrale
chiamato Semesterbeitrag, che
a seconda delle università può
variare circa da 80 a 300 euro. Spesso comprende anche
s er vizi impor tanti c ome
l’abbonamento semestrale ai
mezzi pubblici della
città/regione. In più, da qualche
anno i Länder sono anche liberi
di introdurre tasse universitarie
le Studiengebühren per migliorare la qualità della formazione. Ogni Land ha fatto una propria scelta (e la situazione è in
continua evoluzione in funzione
dei differenti governi che si alternano a livello regionale):

alcuni hanno introdotto le
tasse;

altri hanno deciso di introdurle solo per gli studenti fuoricorso o per
coloro che vogliono prendere una seconda laurea;

altri ancora, infine, hanno
preferito mantenere la
completa gratuità del
diritto allo studio.
In ogni caso, anche laddove
presenti, le tasse sono di entità
abbastanza contenuta, in quanto si aggirano al massimo sui
500 euro a semestre, dunque
mai superiori 1000 euro annui.
Tasse più ingenti si hanno ovviamente nelle università private tedesche, con cifre che variano, anche di molto, da un ateneo all’altro e che possono ammontare fino a 20.000 euro
annui. In Austria i ragazzi pagano quando hanno un impiego,
esiste comunque una tassa fissa a semestre che si aggira intorno ai 365€ . Ma
all’ester o, a diff erenza
dell’Italia (salvo pochissime e
piccole realtà) si pratica anche
NOT E
5. DAAD- Deutscher Akademischer Austausch dienst German Academie Exchange Service.
la cultura della cittadinanza
s t u d e n t e s c a .
In Germania numerose università hanno la propria radio, giornali e teatri gestiti dai ragazzi.
Per esempio nell' università di
Monaco di Baviera , la Ludwig
Maximilian Universität , i giovani di SdC hanno a disposizione una radio 24/24h – UniRadio 94 Mhz .
Oppure
all' università di Tübingen c`è
l` Unione degli studenti , Fachschaft , che organizza
feste nell`ambito universitario
e aiuta le matricole nella formulazione del planning settimanale. Tutto questo grazie agli spazi che l`università mette loro a
disposizione. In Inghilterra ci
sono grandi aree completamente gestite da ragazzi ; associazioni studentesche, culturali, sociali e politiche, laboratori teatrali. E tutto ciò in strutture concepite per quello scopo . Generalmente giornali o radio gestite da universitari si trovano in
tutto il territorio europeo. In Germania per gli universitari l`abbonamento ai mezzi
pubblici costa la metà , nei cinema e nei locali sono previste
riduzioni. In Polonia i ragazzi
hanno uno sconto del 49% sui
biglietti ferroviari e del 50% su
l`autobus . Inoltre possono praticare attività sportive, come il
pattinaggio, a prezzi contenuti.
Ma non è mai troppo tardi per
invertire le cose, basterebbe
“ri”mettere al centro delle priorità dell’università il sapere e
gli studenti. Basterebbe guardare aldilà e modernizzare
realmente il sistema, non solo in
termini di reclutamento, ma in
termini di contenuti, di mentalità
e prospettive. Basterebbe rendere l’università italiana, europea.
P A G IN A 1 1
Il sistema di tassazione universitaria
2.1 L’esempio
dell’università di Trento
Il sistema di tassazione
dell’Università di Trento è stato
modificato dalla cosiddetta
“riforma Cerea” nell’anno accademico 2008-2009. Questo
sistema rappresentava una novità nel quadro nazionale per i
meccanismi applicati: la tassazione è stata infatti usata come
leva per una redistribuzione di
risorse economiche sulla base
del merito. Un obiettivo che può
apparire pienamente condivisibile ma difficilmente realizzabile, anche sulla base della considerazione che essendo già di
per sé difficile avere una definizione condivisa di merito, la
sua articolazione concreta diventa quanto mai problematica.
2. 2 Il sistema di tassazione pre-riforma
Il modello di tassazione precedente è stato per anni contestato dalla nostra rappresentanza.
Prima del 2008 infatti esistevano tre categorie di studenti: gli
esentati totali, gli esentati parziali e i non-esentati.
Gli esentati totali (circa a un
15% degli studenti). erano i
borsisti dell’ente provinciale per
il diritto allo studio (di seguito
Opera Universitaria) che non
pagavano alc una t as s a
all’Università. I borsisti erano
studenti che facevano richiesta
di sostegno all’Opera Universitaria. Per fare ciò dovevano
presentarsi ad un Caf entro la
data stabilita dal bando e compilare il modello ICEF. Questo è
un modello presente solo nella
Provincia Autonoma ed è
l’equivalente nazionale
dell’ISEE. E’ quindi un modello
che punta a misurare patrimonio
e reddito del nucleo familiare,
normalizzandolo a seconda del
numero di componenti. Rispetto
all’ISEE, l’ICEF è più approfondito visto che prende in considerazione qualsiasi patrimonio sia
di natura immobiliare (case,
terreni) che finanziario (conto in
banca, azioni, assicurazioni sulla
vita o titoli di varia natura).
Qualora l’ICEF avesse certificato le condizioni economiche richieste del bando, lo studente
aveva diritto a tre tipi di benefici: borsa di studio, alloggio
pubblico a canone forfettario
(o, a scelta dello studente, maggiorazione della borsa di studio) e, per l’appunto, esonero
totale dalle tasse universitarie.
Dal secondo anno, oltre al criterio della condizione economica,
l’erogazione di queste agevolazione veniva vincolata al raggiungimento di un determinato
numero di crediti stabiliti dal
bando. In aggiunta al superamento di una soglia più alta di
cr edit i, ve niva er o gata
un’integrazione alla borsa di
studio. L’erogazione delle agevolazioni non poteva comunque
superare gli anni legali del titolo di studio più sei mesi (quindi
tre anni e mezzo per le triennali
e due anni e mezzo per le specialistiche).
Gli esentati parziali erano gli
studenti di poco al di sopra dei
criteri del bando Opera: questi
pagavano tutte le imposte universitarie e avevano l’unica agevolazione nell’esonero della
tassa per il diritto allo studio
(T.d.S.) pari a circa 112 €
l’anno. La quantità
dell’agevolazione (irrisoria) e il
numero delle persone che ne
usufruivano (bassissimo) ci ha
sempre portato ad accorpare
questa seconda fascia con la
terza, quella dei non-esentati.
Questi pagavano, a seconda
della facoltà di appartenenza,
da poco meno di mille euro a
1200 euro l’anno di tasse. La
nostra critica verso questo sistema contestava due iniquità di
fondo: la prima era quella che
si creava tra un borsista con
condizioni economiche appena
sufficienti a conquistare le agevolazioni e uno studente che
invece, anche solo per poco,
sforasse questi criteri (gli interventi creavano uno “scalone
troppo alto” tra due condizioni
economiche sostanzialmente
simili). La seconda iniquità era
quella che si creava invece tra
uno studente appartenente alla
“classe medio bassa” o “media”
che si ritrova a pagare la stessa
cifra degli appartenenti alle
classi più abbienti, creando così,
nei fatti, un sistema di tassazione sostanzialmente regressivo.
La nostra proposta, portata
avanti negli anni, richiedeva - a
saldi invariati – una diversa
redistribuzione del carico fiscale
con l’introduzione, per i nonborsisti, di una tassazione progressiva per fasce.
2. 3 La riforma Cerea
Questa riforma ha introdotto un
sistema di 13 fasce di reddito a
cui corrisponde un importo di
tasse. Tutte le fasce sono tenute
a pagare delle tasse proporzionali al reddito: anche se dalla prima alla sesta fascia il contributo è figurativo (cioè non si
versa, ma è come se lo si fosse
pagato: è un dettaglio che verrà utile per quando parleremo
del rimborso per merito). La
tassa massima (la fascia 13) è
sostanzialmente di 2000 euro,
la settima fascia è rimasta intorno ai 1000 – 1200 euro. Si è
quindi creato un extra-gettito
rispetto alla situazione precedente che è stato utilizzato per
due interventi: il tutoraggio e i
RUN
P A G IN A 1 2
Il sistema di tassazione universitaria - segue
premi di merito. Il tutoraggio è
un servizio offerto per gli studenti del primo anno in cui dottorandi e studenti della specialistica aiutano gli studenti
nell’inserimento e nel comprendere i meccanismi universitari.
Una sorta di inserimento guidato tra pari. Gli “studenti anziani” vengono scelti tramite bando
e vengono remunerati in base
al numero di ore svolte. I premi
di merito sono il secondo meccanismo finanziato con questo
extra-gettito, quello che ha suscitato una maggiore curiosità
(in particolare sul sito
www.lavoce.info ). Il premio di
merito è un riconoscimento in
denaro, di importo variabile,
dai 500 ai 5.000 €, che viene
assegnato indipendentemente
dalla condizione economica del
laureato,
sulla base
di quattro
criteri:
il
tempo in cui
si è conseguita
la
laurea,
i
voti e i crediti conseguiti il primo anno, le
esperienze
maturate
all’estero
(doppia
laurea
o
Erasmus), i
voti ottenuti
in tutto il
corso
di
studi.
Le
facoltà possono, a loro giudizio,
introdurre un ulteriore criterio
ritenuto particolarmente rilevante in un dato percorso formativo. Il premio è garantito ad
almeno il 50% dei laureati che
terminano gli studi entro il tempo massimo prestabilito:
l’erogazione del premio non è
quindi immediata ma può ritar-
dare anche di molto. Allo studente esonerato dal pagamento delle tasse universitarie durante il percorso formativo,
viene assegnato un importo
pari alla differenza tra il premio spettante e l’importo virtuale delle tasse che avrebbe
dovuto versare (meccanismo
che non ci ha mai convinto
perché sposta risorse dalle
fasce basse a quelle alte).
Il metodo di calcolo è un metodo molto preciso, conteggiato
sulla base di formule matematiche che sono reperibili sul sito
d’Ateneo. La trasparenza dei
criteri è un punto essenziale
della riforma, che intendeva
stabilire un “principio contrattualistico” di patto formativo tra
lo studente e l’Ateneo.
2. 4 Punti critici della riforma
Già nel momento di entrata in
vigore di questa riforma avevamo sottolineato alcuni punti critici che, si sono evidenziati chia-
ramente nel tempo. Innanzitutto
il criterio delle esperienze formative all’estero è, secondo noi,
elemento discriminatorio nel
momento in cui, per le fasce più
basse, gli interventi di sostegno
sono estremamente carenti. Avevamo proposto che questo
criterio venisse introdotto solo
successivamente all’attivazione
di interventi più consistenti da
parte dell’Opera Universitaria
e che potevano essere calibrati
al costo della vita del Paese
ospitante, oltre che al reddito
dello studente. Una battaglia
che stiamo continuando, ma che
è stata purtroppo bloccata dai
tagli al diritto allo studio che
anche qui abbiamo sofferto
(anche se forse meno di altre
realtà grazie ad alcune compensazioni della Provincia Autonoma). In secondo luogo
siamo contrari
ad un criterio
del
tempo
troppo stringente che va
a
discapito
degli studenti
che svolgono
attività
non
riconosciute
(nelle associazioni o nella
rappresentanza) e degli
studentilavoratori.
Infine, soprattutto, un premio che dovendo essere
assegnato sulla base di una
graduatoria, viene erogato anche un anno dopo la laurea e
che quindi non agisce come agevolatore di diritto allo studio.
In questo caso la nostra proposta prevede di sostituire il premio finale con agevolazioni diffuse, alla fine di ogni anno accademico, che si tramutassero in
P A G IN A 1 3
sconti sulle tasse da pagare e
integrazioni alla borsa di studio. Sconti uguali per tutti, non
percentuali dell’importo, in modo da avvantaggiare le fasce
più deboli. Tra poco questo sistema compirà cinque anni e,
secondo noi, sarebbe ora di
fare un tagliando per mettere
in evidenza questi possibili cambiamenti. Su un piano generale
è però innegabile che un sistema di redistribuzione delle tasse, può essere un segnale politico di attenzione all’impegno in
un Paese che, su questo fronte,
ha tanti passi da fare.
2. 5 Per un diritto allo studio europeo: non abbiamo
paura delle tasse e delle
tariffe
Per la nostra esperienza di rappresentanza un argomento che,
secondo noi, è importante trattare è quello dell’uso delle tasse e delle tariffe per migliorare
i servizi per gli studenti e avvicinare l’equità. Per anni la rappresentanza di Sinistra si è incagliata sull’idea di tasse basse
per permettere l’accesso a tutti.
Questa si è rivelata nel tempo
una illusione: le tasse sono infatti solo una piccola parte dei
costi che lo studente deve soste-
nere per laurearsi e le tasse
sulle classi più elevate possono
essere usate come integrazione
per rendere possibile l’accesso
ai livelli più alti, ai meritevoli
anche se privi di mezzi in un
periodo in cui di soldi ce ne
sono sempre meno, mentre ne
servirebbero tanti in tanti campi
(interventi sociali contro la precarietà, per lo sviluppo – soprattutto a Sud -, per la messa
in sicurezza del territorio dal
dissesto idrogeologico, etc.). In
cambio bisogna responsabilizzare gli studenti, incentivandoli
a laurearsi in tempi ragionevoli
ma senza creare una “corsa al
credito” che squalifica
l’esperienza universitaria. Pensiamo che le tariffe delle mense
o degli affitti pubblici debbano
essere vicini ai prezzi di mercato e i risparmi vadano usati per
borse di studio che coprano le
fasce basse e medio-basse della popolazione. Questo per due
motivi: uno di privacy dello studente visto che riteniamo le tariffe differenziate un sistema
discutibile (il principio è lo stesso della tanto discussa “social
card” di Tremonti), ma soprattutto per migliorare il servizio.
Nel momento in cui la gestione
delle mense viene affidata tramite gara d’appalto, i gestori
sono tentati di tagliare sulla
qualità, per massimizzare i
profitti. Nel momento in cui tutti
gli studenti sono liberi di scegliere se mangiare in mensa o
nel bar di fronte alla facoltà
perché il costo è simile, questa
tentazione viene meno. Mantenere una buona qualità diventa
così per il gestore l’unico modo
per continuare a vedere le
mense piene e poterne trarre un
giusto profitto. Discorso simile è
quello degli alloggi pubblici: lo
studente deve essere messo in
condizione di scegliere se accettare l’alloggio dell’Ente o se
trovare un appartamento sul
mercato privato coprendo la
differenza con una maggiorazione della borsa. Questo è uno
stimolo per l’Ente pubblico a
investire sugli appartamenti
studenteschi: esperienza ci insegna che se gli appartamenti
sono tenuti bene (come è obiettivamente nella nostra realtà)
gli Studentati non diventano
“posti per i borsisti”, ma appartamenti ambiti dove, anche chi
non ha diritto, desidera entrare.
Non a caso l’Opera Universitaria assegna camere rimaste
libere a non idonei che ne fanno richiesta(numero sempre più
in crescita negli ultimi anni).
L’Ente ha infatti 1500 posti letto
su 15000 iscritti. Considerato
che da questi iscritti bisogna
scalare i residenti a Trento
l’incidenza è più che buona. Ci
rendiamo conto che il contesto
trentino è particolare ma pensiamo che queste esperienze
possano essere delle buone
direttrici per realtà mediopiccole, con Università che puntano ad una sempre maggiore
vivacità e alla qualità dei servizi per attirare maggiori studenti.
2. 6 Tassazione universitaria: l'esempio torinese
Dal 2008 i tre poli universitari
torinesi sono stati coinvolti prima
nello studio e poi nell'elabora-
RUN
P A G IN A 1 4
Il sistema di tassazione universitaria - segue
zione di un'alternativa al sistema di tassazione vigente. La
necessità di un cambiamento è
nata dall'esigenza di allineare
l'università pubblica al criterio
di equità ed al principio di giustizia sociale, per cui chi più ha
più deve contribuire. Così nel
2010 si è giunti con successo ad
una revisione statutaria che ha
introdotto il nuovo sistema di
calcolo e imposizione fiscale
per gli studenti. I criteri seguiti
sono quelli di progressività e
proporzionalità in base al reddito familiare, con particolare
attenzione a valutare l'incidenza delle tasse sulla vita dello
studente e della sua famiglia.
Questo sistema ha avuto successo e può essere replicato promuovendo modifiche in tutti gli
altri atenei italiani, nell'ottica di
maggiore equità sociale e del
merito. Nel sistema di tassazione universitario sono compresi
due importi, uno fisso ed uno
variabile. Il primo comprende le
spese di Diritto allo Studio e
tassa di immatricolazione. L'importo variabile invece varia in
funzione del proprio reddito
familiare (Indicatore ISEE). E'
stato dimostrato che le fasce di
contribuzione basate sull'ISEE
non sono realmente progressive.
L'incidenza sul reddito familiare
è inversamente proporzionale a
ciò che si dichiara. Infatti, ad
esempio, uno studente con ISEE
pari a 5.000 euro può avere
un'incidenza del 6%, mentre
uno studente con ISEE pari a
80.000 euro può averla del
2%. Quindi diminuisce all'aumentare del reddito, è un sistema iniquo che sfavorisce i ceti
meno abbienti. Una soluzione
proposta è stata quella di eliminare i livelli di fasciazione
fissi e di introdurre un meccanismo di contribuzione basato sul
reddito familiare (ISEE). Come?
Stabilendo una retta massima
ed un reddito massimo oltre il
quale non si avrà diritto ad una
riduzione delle tasse (esempio:
ISEE da euro 0 a euro 80.000;
retta da euro 0 a euro 2.000).
Utilizzando un coefficiente moltiplicativo (ottenuto dall'importo
massimo stabilito della rata
diviso l'indicatore ISEE massimo)
calcoliamo l'importo variabile a
cui va sommato quello fisso ed
otteniamo la retta totale da
pagare. E' provato che questo
sistema produce addirittura un
aumento relativo delle entrate
dell'ateneo. Un'altra soluzione
proposta è introdurre un sistema di fasciazione continua realmente progressivo per incidenza sul reddito familiare, con
scatti di fascia ogni 1000 euro
e di importo per 25 euro. Entrambi i sistemi sono sostenibili
ed efficaci, uno esclude l'altro
ma spetta agli organismi universitari valutare quale sia il
più adatto alle esigenze della
popolazione universitaria.
P A G IN A 1 5
I servizi agli studenti
Le nostre campagne all’interno degli Atenei
3.1 Assistenza sanitaria
per gli studenti fuori sede
Gli studenti fuori sede trascorrono lunghi periodi lontano da
casa, mantenendo il medico di
base nel proprio comune di residenza. Crediamo che gli Atenei, il sistema sanitario nazionale e quello del diritto allo studio, debbano garantire le prestazioni mediche anche nelle
città in cui gli studenti risiedono
per affrontare
il percorso universitario. Tuttavia, l’obbligo
di scegliere un
medico
nella
nuova città di
studio, potrebbe comportare
la
perdita
dell’assistenza
medica di base
nel comune di
residenza.
Proponiamo
come soluzione
una convenzione fra gli Atenei e le Aziende
USL locali: questo permetterebbe di fruire
dell’assistenza medica gratuita
semplicemente presentando un
documento che attesti l’iscrizione
all’Università (ad esempio, il
libretto o il badge universitario). In questo modo, inoltre, non
sarebbe necessario rinunciare
al proprio medico di base del
periodo pre-universitario. Questa buona pratica è attualmente
in uso presso l’Ateneo di Bologna dove, grazie ad una convenzione fra l’Alma Mater Studiorum e l’Az. USL-BO, gli studenti possono ricevere assistenza medica gratuita da oltre
450 medici di base nel solo
comune di Bologna.
3.2 Lotta per la trasparenza.
La legge 390/91 prevede all'
Art. 12 comma 1 lettera d: che
le Università promuovano attività culturali, sportive e ricreative,
mediante l'istituzione di servizi e
strutture collettive, anche in collaborazione con le Regioni e
avvalendosi altresì delle associazioni e cooperative studentesche. In virtù di questa legge ci
si dovrebbe aspettare che i
fondi destinati alla realizzazione di tali attività siano effettivamente destinati a quegli studenti e alle associazioni che
presentano progetti di qualità,
di impatto sociale o che semplicemente rispondano ai criteri
richiesti dalla legge. Cosa che,
sfortunatamente, nell'Università
degli Studi di Bari non accade.
Stanchi di veder utilizzati i fondi
pubblici per la creazione di siti
che a nulla servono, se non alla
pubblicizzazione di serate universitarie, o per la distribuzione
di gadgets come penne, raccoglitori, laccetti, braccialetti, accendini e quant'altro, si è cercato di venire a conoscenza di
quali siano le modalità di attri-
buzione di tali fondi nella nostra Università e per quale motivo migliaia di euro vengano
sprecati in attività le quali sostanzialmente di “culturale” non
hanno nulla e che, in nessun
modo, rispondano ai fini che la
legge 390/91 vuole perseguire. Nonostante le richieste pressanti dei nostri militanti rivolte
ai responsabili amministrativi di
tali risorse, le informazioni, oltre
che tardive, sono sempre state
poco esaurienti. Nel totale disinteresse, non solo
degli organi universitari, ma anche delle
associazioni studentesche, i componenti
della RUN-Bari hanno proposto una loro
modalità di attribuzione dei fondi atti
alla realizzazione di
tali attività, attribuzione che ha come
principio fondamentale quello secondo
cui la maggior parte
delle risorse economiche destinate a tali
scopi debbano andare agli studenti
(cosa che già avviene in alcuni atenei) e non alle
associazioni studentesche che
per mal costume li utilizzano al
solo scopo di propaganda politica. La nostra proposta è stata
anche oggetto di una petizione
che in meno di 3 giorni ha raccolto più di 200 firme, sintomo
di come la popolazione studentesca sia ben disposta ad ascoltare e a discutere su tematiche
che la riguardano personalmente e che, se opportunamente
pubblicizzate, contribuirebbero
a rendere davvero fruibili molti
dei diritti che già l'Università
garantisce agli studenti. Le firme raccolte e la nostra proposta, saranno inviati al Consiglio
degli Studenti, al quale sarà
RUN
P A G IN A 1 6
Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue
chiesto di prenderne atto e discuterne per far approvare
questa nostra proposta, come
parte aggiuntiva all'attuale
regolamento per le attività culturali.
LA PROPOSTA
Modifica delle proporzioni con
cui i fondi per le attività autogestite vengono attribuiti:
60% a gruppi di studenti universitari costituitisi per la realizzazione di una specifica iniziativa culturale, composti da almeno cinquanta studenti regolarmente iscritti.
bando;
-Nomina di relatori i quali non
dovranno più essere Docenti
(ordinari o associati) della stessa Università; in caso contrario
tali docenti non dovrebbero
poter ricevere nessuna retribuzione o indennità;
-Imporre alle associazioni studentesche di pubblicare sui loro
siti e di affiggere fuori dalle
aulette le specifiche di ogni singola iniziativa realizzata con i
fondi delle attività autogestite,
in modo che gli studenti possano
valutare, loro stessi, la qualità
dell'operato delle singole associazioni;
30% a Liste studentesche che
hanno loro rappresentanti sia
nel Consiglio degli Studenti, sia
in uno degli organi collegiali:
Senato Accademico, Consiglio
di Amministrazione, Consigli di
Facoltà; Liste studentesche presenti nei Consigli di Facoltà ma
non rappresentate nel Consiglio
degli Studenti;
-Presentazione di una documentazione fiscale analitica
di
tutte le spese sostenute per la
realizzazione di una iniziativa,
vietando fatturazioni generali
di spesa;
10% ad associazioni studentesche universitarie regolarmente
costituite con atto notarile, che
abbiano come associati almeno
50 studenti regolarmente iscritti;
-Possibilità, per determinati servizi,di far riferimento SOLA-
-Creazione di un logo che renda immediatamente riconoscibile il bando delle attività autogestite e pubblicazione dello
stesso sulla homepage dell'Università così da dare più visibilità al bando e perché tutta la
comunità studentesca possa averne una conoscenza minuziosa;
-Affissione, nelle bacheche ufficiali di Facoltà, di manifesti riportanti il testo completo del
-Pubblicazione di queste ultime
sul sito dell'università;
MENTE ad aziende convenzionate con l'Università (ad esempio volantini e materiale cartaceo utilizzato per pubblicizzare
gli eventi)
3.3 Trasporti
Lavorare sul fronte trasporti è
già di per sé un impresa ardua,
ma lo diventa ulteriormente
quando si è residenti nel sud
Italia. Preso atto della difficoltà
che moltissimi studenti della
provincia di Bari, e non solo,
hanno nel raggiungere quotidianamente il proprio luogo di
studio, tenuto conto inoltre della
poca attenzione delle istituzioni
verso questa fascia di “studenti
nel limbo” - troppo vicini per
essere fuori sede ma troppo
lontani per vivere comodamente
e dignitosamente la propria
vita universitaria- i militanti della RUN-Bari hanno chiesto proprio agli studenti pendolari suggerimenti per risolvere i problemi più gravosi. È stato creato un
gruppo sul social netwook
“Facebook” chiamato “Il forum
studenti pendolari” nel quale,
oltre a scambiarsi informazioni
circa ritardi, soppresioni di corse e altro, è stato chiesto qua-
P A G IN A 1 7
le, fosse il problema da risolvere prioritariamente per i loro
spostamenti. A differenza di
quello che ci si poteva attendere, non è il prezzo del biglietto
quello che più interessa agli
studenti, ma la riduzione dei
tempi di viaggio, oltre che l'aumento della frequenza delle
corse. Sono anche stati realizzati video in cui i militanti della
RUN-Bari intervistano colleghi
ed amici sulla medesima questione. I video hanno dato maggiore visibilità al nostro lavoro,
oltre che aumentato la partecipazione spontanea degli studenti a questa nostra iniziativa.
Seguirà una assemblea che si
terrà presso la sede centrale
dell'Università a cui parteciperanno l'assessore regionale ai
trasporti, i responsabili di tutte
le aziende di trasporto pugliese, l'a.di.s.u e un rappresentante
dell'Università degli Studi di
Bari oltre che tutti gli studenti a
quali sarà data l’opportunità di
porre direttamente domande ai
responsabili, che avranno così
modo di conoscere le reali esigenze degli studenti e potranno
intervenire per migliorare il servizio.
3.4 Contratti di locazione
Sono circa 800.000 gli studenti
fuori sede e di questi solo
46.000 (dati MIUR) vivono
presso residenze universitarie
gestite dagli enti regionali per
il diritto allo studio La restante
parte di studenti fuori sede si
trovano, quindi, spesso a dover
accettare di vivere in appartamenti che in molti casi non possiedono gli standard minimi di
sicurezza per non parlare degli
elevati canoni di affitto che sono costretti a pagare.
Si tratta di una problematica
che rischia, in molti casi, di negare ogni possibilità di accedere ai più alti livelli di formazione ad uno studente privo di ri-
sorse economiche tali da poter
intraprendere gli studi universitari fuori dal proprio comune o
dalla propria regione.. Numeri
che testimoniano la distanza
che intercorre tra il nostro Paese e il resto d’Europa in materia
di edilizia universitaria: nel
2010 Francia e Germania hanno assicurato rispettivamente
160.000 e 180.000 posti letto
agli studenti borsisti. Il dato
nazionale è ancora più preoccupante se analizzato in relazione ai dati di ogni singola
Regione poiché solo in 4 Regioni è stata assicurata la copertura del 100% degli alloggi agli
studenti idonei fuori sede. E’
chiara, dunque, la necessità di
aumentare l’offerta abitativa
nazionale da destinare agli
studenti borsisti mediante la
costruzione di nuove residenze
universitarie; un intervento del
genere permetterebbe di contrastare in modo efficace la
corsa dei prezzi degli affitti di
abitazioni per studenti. Secondo
dati Sicet, la spesa per l'affitto
ha inciso negli anni sempre di
più sul reddito
delle famiglie.
Tra il 1991 e il
2009, se il budget familiare
è cresciuto del
18%, il canone
di locazione è
aumentato del
105%. Accanto
all’eccessivo
prezzo richiesto
per gli affitti (
per una stanza
singola, si va
dai
180
€/mese di Palermo ai 400
€ di Pisa sino a
500€ di Milano,
Firenze,
Roma) si pone,
con eccezionale
attualità,
il
problema
di
contrastare la
piaga del mer-
cato degli affitti in nero. Basti
pensare che sul territorio nazionale ci sarebbero circa
500.000 case affittate in modo
irregolare, su tacito accordo tra
proprietario e conduttore. E’
pacifico ritenere come un rilancio delle politiche abitative per
studenti permetterebbe di risolvere, almeno per i borsisti, i
problemi sopra descritti.
L’esperienza della Toscana
L’indisponibilità di strutture, che
non permette di coprire al
100% le richieste di posto letto
in alloggi universitari, potrebbe
essere compensata, come avviene in Toscana, con
l’erogazione di un contributi
affitto da destinare agli studenti borsisti che non possono usufruire dell’alloggio studentesco
a causa della mancanza di posti. L’Ardsu Toscana eroga una
somma di circa 150 euro al
mese a coloro (circa 2500 studenti) che, idonei non beneficia-
RUN
P A G IN A 1 8
Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue
ri del posto alloggio, presentano copia di un regolare contratto di affitto. Per un’efficace
lotta contro gli affitti in nero
rilanciamo, inoltre, la campagna
di sensibilizzazione “Basta col
nero”, promossa dai Giovani
democratici della Toscana con
l’intento di fornire a tutti coloro
che hanno un affitto in nero tutte le informazioni e l’assistenza
tecnica necessaria per denunciare la loro situazione ed accedere a un contratto regolare di
affitto a prezzi bassissimi ( fino
al 90% di sconto). Infatti dal 6
giugno 2011, termine ultimo
previsto per i proprietari, dal
decreto legislativo n. 23/2011,
per regolarizzare i contratti al
nero, migliaia di giovani
(studenti e non ) hanno uno strumento concreto per uscire
dall’illegalità e costringere i
proprietari di casa a regolarizzare i contratti e a dichiarare i
redditi provenienti dalle locazioni, pena pesanti sanzioni amministrative e l’obbligo di stipulare contratti di durata fino a 8
anni a un canone mensile inferiore fino a dieci volte rispetto
a quello praticato.
LA NOSTRA PROPOSTA
Si potrebbero prevedere delle
agevolazioni economiche
(fissare una percentuale di
sconto) nel pagamento delle
tasse universitarie per gli studenti fuori sede che dimostrano
di prendere in affitto un appartamento a titolo oneroso. Gli
studenti in questo modo sarebbero incentivati a richiedere la
regolare registrazione del contratto al proprietario
dell’appartamento. Le minori
entrate per le Università sarebbero in questo caso ampiamente compensate dalle maggiori
entrate per lo Stato derivanti
dalla registrazione del contrat-
to (presso l’Agenzia delle entrate) e dal maggior gettito
fiscale proveniente dalle imposte sul reddito pagate dal proprietario che dichiara
l’appartamento in locazione.
Basterebbe infine destinare il
maggiore introito dello Stato
alle Università.
Con un esempio:
- ad uno studente che paga
1000 euro di tasse universitarie, e presenta il contratto di
locazione, viene concesso uno
sconto del 20% , ovvero, di 200
euro;
- dalla registrazione del contratto di locazione lo Stato incassa subito una tassa pari al
2% del canone, e successivamente le imposte che il proprietario pagherà in fase di dichiarazione dei redditi;
- se, ad esempio, il contratto
per una stanza prevede un canone mensile di 250 euro, per
dieci mesi sarebbero 2.500
euro in più di entrate per il proprietario sulle quali sarà applicata un’aliquota di imposta che
varia dal 23% al 43% ;
- nel caso in cui venga applicata l’aliquota più bassa, del
23%, lo Stato potrebbe incassere 575 euro (2500 * 23 /
100 ).
3.5 Aziende regionali per il
diritto allo studio
Gli organismi regionali di gestione per il DSU, istituiti con la
legge quadro del 1991, hanno
assicurato negli anni prestazioni
quantitativamente e qualitativamente molto diverse tra loro, a
causa dei differenti investimenti
effettuati dalle Regioni che hanno dato vita ad una competizione al contrario, in cui lo studente
sceglie la sede dei propri studi
non in base alla qualità
dell’università ma in base alla
possibilità in quella Regione di
ottenere la borsa e i servizi ad
essa connessi. Al fine di assicurare una efficace gestione operativa da parte delle aziende
regionali è opportuno
un’omogeneità nell’erogazione
dei servizi di DSU. Per il raggiungimento di questo fine è
necessario creare un coordinamento tra i diversi enti competenti nel settore, che favorisca
uniformità di trattamento ed
una costante diffusione delle
“best practices” realizzate nelle
singole esperienze territoriali
P A G IN A 1 9
con riferimento ai servizi resi
agli studenti. Per questo motivo
seguiremo con attenzione il percorso che porterà all’istituzione
dell’ Osservatorio Nazionale
per il Diritto allo Studio Universitario, previsto nell’ articolo
20 del decreto legislativo emanato in data 14.11.2011 con il
compito di monitorare
l’attuazione del diritto allo studio e valutare l’azione dei diversi enti regionali. Per conseguire la necessaria uniformità di
azione, sarebbe utile perseguire un’omogeneità tra i vari enti
anche dal punto di vista strutturale, privilegiando i modelli
organizzativi che permettono la
razionalizzazione delle spese
senza incidere sugli utenti finali
, gli studenti, e sulla qualità dei servizi offerti. In Toscana, ad esempio, dal
2009 si è scelto di riservare la gestione dei servizi in
materia di DSU ad
un’Azienda regionale unica, che ha preso il posto
delle tre aziende di Firenze, Pisa e Siena. Ne è scaturito, attraverso un abbattimento delle spese di gestione (un solo consiglio di
amministrazione invece di
tre, un direttore dove prima ce n’erano tre, un presidente al posto di tre, tre
revisori al posto di nove) ,
un recupero di risorse pari
a circa 400 mila euro che
son serviti, ad ampliare i servizi
per gli studenti. Nella ristrettezza delle risorse in cui le aziende
si ritrovano ad agire, è auspicabile l’utilizzo nello svolgimento delle attività amministrative
nei propri uffici, anche al fine di
fronteggiare la scarsità di risorse in materia di personale ( dovuta al blocco del turn over) e
migliorare il rendimento
nell’erogazione dei servizi, degli studenti vincitori del bando
per i contributi economici relativi ad attività a tempo parziale.
In tal modo verrebbe realizzato
un diretto coinvolgimento degli
studenti nella gestione del sistema di DSU.
3.6 Mense studentesche
Anche per quanto riguarda il
numero delle mense universitarie il nostro Paese è nettamente
indietro rispetto ai numeri di
Francia e Germania: 225 (fonte
CNSVU) contro 610 e 740. Inoltre riscontriamo differenze,
piuttosto marcate, tra le diverse
regioni e province con riferimento ai prezzi applicati e alla
qualità del servizio. La maggior
parte delle mense universitarie
esistenti in Italia (192 mense,
corrispondente all’85,3% del
complesso) è costituito da men-
se a gestione indiretta, cioè
date in appalto ad aziende di
ristorazione collettiva, mentre
quelle gestite direttamente dagli Enti per il diritto allo studio
sono mediamente di dimensione
doppia rispetto a quelle date
in appalto.
In molte Regioni le aziende si
avvalgono per il servizio di ristorazione anche di esercizi
convenzionati, ovvero ristoranti
e bar dove gli studenti possono
utilizzare i buoni pasto, sulla
base di accordi tra gli stessi
esercizi e le università o Enti
per il diritto allo studio, oppure
utilizzare la stessa tessera magnetica della mensa e accedere
ai menu convenzionati. Tra i
sistemi più virtuosi ricordiamo
quello dell’ARDSU Toscana che
eroga ogni anno attraverso le
numerose mense presenti sul
territorio circa 3 milioni e 650
mila pasti, per un totale di oltre 80 mila studenti. Il tratto
distintivo consiste nell’aver assicurato, nonostante la costante
diminuzione delle risorse stanziate, tariffe molto contenute ( 3
euro in media) che si differenziano per tipologia di utente(
borsista, non borsista o soggetto non iscritto) e di pasto (intero,
ridotto, da asporto). Proprio in
Toscana negli ultimi mesi è stata
discussa l’ipotesi di un aumento
del prezzo della mensa a
partire dal 2012 per rimediare alle difficoltà di bilancio. A seguito di incontri
con i dirigenti dell’azienda
le liste he aderiscono alla
Run sono riuscite ad ottenere l’introduzione di una fasciazione che andrà a tutelare gli studenti appartenenti ai ceti medio-bassi e
ad incidere sulle fasce di
reddito più alte. La nuova
fasciazione che lascia naturalmente inalterata la gratuità del servizio per i borsisti, prevede una riduzione
di 20 centesimi sul pasto di
chi ha un ISEE inferiore a
36.000 € ( il costo del pasto scende quindi a € 2,80)
mentre gli studenti che hanno un
ISEE compreso fra 36.000 e
75.000 € continueranno a pagare 3€, e solo chi ha un ISEE
superiore o chi non ha presentato la certificazione pagherà 4€.
Questo sistema è il frutto di
una intensa battaglia condotta
per tutelare gli studenti attraverso la previsione di una misura di equità sociale che, nonostante i tagli dell’ultimo governo
Berlusconi, permetterà
all’ARDSU Toscana di garantire
le fasce più deboli della popo-
P A G IN A 2 0
RUN
Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue
lazione studentesca.
3.7 Mobilità internazionale:
opportunità e integrazione.
Discutere di mobilità positiva
contrapposta ai tanti esempi
che abbiamo di mobilità negativa. E’ questa una delle le sfide
che le giovani generazioni oggi
devono cogliere. Partire per poi
tornare, formarsi per poi formare, viaggiare e poi conoscere. Tutto ciò grazie ai programmi europei per la mobilità internazionale. Reti di associazioni
di promozione sociale come
Giosef Italy, organizzazioni non
governative e associazioni di
volontariato da anni sviluppano
progetti di scambi culturali, servizio volontario europeo, attività di formazione e apprendimento non formale in tutta Europa. Il progresso economico del
nostro paese, in uno contesto
così multidimensionale e interconnesso,
passa soprattutto
dalla formazione delle nuove
generazioni a cui devono essere
dati gli strumenti utili da adoperare poi per la ricerca di un
posto di lavoro, rispettoso delle
aspettative personali. Per questo motivo è importante arricchire i percorsi di formazione ordinaria con esperienze extradidattiche, formative e interculturali e incentivare e promuovere
la partecipazione a tutte quelle
opportunità di mobilità per
l’apprendimento che i programmi europei mettono a disposizione. Bandi europei come
“Gioventù in Azione”, “Lifelong
learning” e “Europa per i cittadini” permettono ogni anno a
migliaia di ragazze e ragazzi
di tutta Europa di viaggiare,
conoscere e arricchire il proprio
bagaglio di esperienze. La sfida è quella di allargare le opportunità di scambi e mobilità
anche ai giovani precari e ai
non studenti cosa che sembrerebbe il nuovo programma
“Youth on the move” voglia lanciare con le nuove linee di azione. In questa direzione vanno
alcuni degli obiettivi portanti
della strategia di Lisbona, dove
la mobilità internazionale è vista come il principale mezzo
per l’acquisizione di maggiori
competenze linguistiche e culturali, ma anche una forma per
accrescere il capitale umano e
integrare l’educazione formale
con quella non formale. La riflessione sul concetto di mobilità
positiva in Italia dovrà essere
fatta pensando ad una nuova
forma di cittadinanza europea
che preveda prima di tutto un
rinnovato spirito europeo da
parte delle istituzioni che dovranno farsi carico, insieme
all’impegno di tutte quelle forze
politiche e sociali, di dare delle
risposte concrete alle grandi
sfide future della globalizzazione.
La rete universitaria nazionale - RUN
Le elezioni del CNSU del maggio 2010 hanno decretato
un’importante risultato per il
centrosinistra, frutto di anni di
impegno
delle associazioni
universitarie cresciute nel clima
del movimento di Genova, Firenze e di contrasto alle politiche che nell’ultimo decennio
hanno minato alla base
l’università pubblica.
L’esperienza delle elezioni , ha
fornito un dato concreto
dell’impegno impiegato su tutto
il territorio nazionale ed ha
messo in risalto l’importanza e
l’efficacia della messa a sistema, in chiave sinergica, di tutte
le esperienze. La lista del centrosinistra ha ottenuto 53 mila
voti attestandosi prima lista a
livello nazionale. Il composito
quadro dell’associazionismo
universitario di centro-sinistra
ha vissuto una importante esperienza di unità e forza di azione da valorizzare e potenziare
in forma organizzata, più orientato a capitalizzare gli sforzi fatti e capace di mettere a
sistema il movimento di idee
sviluppato in anni di impegno.
La nascita della Rete universitaria nazionale con l’assemblea
fondativa della Sapienza del
30 ottobre 2010, rappresenta
la prima tappa di un percorso
che ha messo in rete diverse
associazioni già esistenti e radicate negli atenei Italiani e che
ha decretato la nascita di nuove
associazioni che hanno trovato
nel percorso della RUN (Rete
U n i v er s i ta r ia N a z i o na l e)
un’opportunità di crescita ed
impegno fondati sulla centralità
dello studente, sull’uguaglianza
delle opportunità, sull’istruzione
universitaria come mezzo di
emancipazione sociale e culturale, sull’autonomia del sapere
per un’università libera e democratica, sullo sviluppo della partecipazione diretta e negli organismi di rappresentanza delle università. L’esperienza ha
consentito , mediante una elaborazione politica nata dal confronto tra i soggetti afferenti ,
di superare la frammentazione
tematica ed organizzativa,
uscire dall’ambito particolare e
declinare le questioni dentro un
filone unico di interazione tra
livelli nazionali e livelli territoriali. Il movimento universitario
dell’autunno del 2010
(movimento di contestazione
alla legge Gelmini.Legge 240) ,
P A G IN A 2 1
è stata la prima occasione per
mettere in pratica i benefici di
un sistema organizzato rispetto
alle sue capacità di dare voce
a migliaia di studenti che in tutti
gli atenei italiani hanno vissuto
con preoccupazione l’avvio di
una fase difficile per il sistema
universitario italiano: riduzione
drammatica delle risorse per il
diritto allo studio, tagli pesantissimi al fondo per il funzionamento dell’università (fondo di
finanziamento ordinario), burocratizzazione dell’università e
riduzione indiscriminata degli
insegnamenti e del personale
accademico. Il movimento
dell’autunno del 2010
ha visto la RUN con gli
studenti e le associazioni, gli eletti negli organismi di rappresentanza
delle università ed al
CNSU, sempre in prima
linea, per difendere
l’università pubblica, il
diritto allo studio e
l’autonomia del sapere,
di fronte ad un palese
tentativo di destrutturazione del sistema accademico italiano. Diversi
sono stati gli appuntamenti
assembleari organizzati negli
atenei Italiani e in diverse località del paese: assemblea
all’università “La Sapienza” di
Roma, all’università di Bologna,
A ll’univers ità di Tor ino,
all’università di Milano; gli appuntamenti a Torre del Lago e
nella città dell’Aquila.
L’esperienza organizzativa di
quei giorni ha dimostrato la
forza che la rete universitaria
nazionale può esprimere se si
creano le condizioni per una
sempre più ampia partecipazione a partire dal lavoro sulle
differenti realtà ,fatto,in costante contatto con gli studenti.
Abbiamo popolato le piazze ,
contribuito al dibattito nazionale che si è sviluppato in quei
giorni e siamo diventati una
realtà riconosciuta nel panora-
ma nazionale. Il movimento di
contestazione alla legge Gelmini , nonostante la battuta di
arresto determinata dalla sua
approvazione il 30 dicembre
2010, ha proseguito la sua
azione nell’ambito dell’attività
più interna agli organismi universitari e ministeriali, in particolare, in relazione alla redazione degli statuti ed all’iter di
costruzione ed emanazione dei
decreti attuativi.
La RUN , in rapporto alla prevista riorganizzazione entro
tempi brevi della governance
negli atenei, ha elaborato “un
manuale di sopravvivenza” per
promuovere le sinergie ed il
coordinamento tra tutti gli eletti
negli organismi centrali delle
università (senati accademici e
commissioni) che da li a poco
sarebbero stati impegnati in
una discussione sulla riforma
degli statuti . Il documento della
RUN prevede un maggiore
bilanciamento dei poteri accademici; un controllo sul reclutamento dei membri esterni ai
Cda;
il rafforzamento della
rappresentanza studentesca
all’interno degli organismi di
governo degli atenei. I nostri
rappresentanti degli studenti
hanno operato nell’ambito delle
diverse realtà, per garantire i
giusti equilibri nella governance, a fronte di uno schema
proposto dalla 240 che concentra nelle mani dei rettori e dei
Cda le principali prerogative e
riduce in modo drastico la rappresentanza studentesca.
L’esperienza disastrosa del governo Berlusconi ,le difficoltà
della ricerca pubblica e del
personale universitario, la frammentazione del sindacato e dei
lavoratori di fronte al ricatto
del referendum negli stabilimenti FIAT , ha inaugurato una
nuova fase di movimento e dibattito pubblico in cui è stato
posto al centro il tema dei diritti
dei lavoratori e del precariato.
Le tensioni che hanno accompagnato Il referendum del 22 giugno 2010 nello stabilimento
Campano di Pomigliano ed il
13 Gennaio 2011 nello stabilimento di Torino Mirafiori, la vittoria
risicata dei “SI”(Torino
Mirafiori ) all’accordo
proposto da Marchionne,
ha mostrato
l’insofferenza dei lavoratori ormai piegati
dalla necessità di
scambiare possibilità
occupazionali con la
cessione di diritti. La
capacità di vivere nel
ventre del paese e di
elaborare una riflessione sui
principali temi del lavoro, accompagnata dallo sforzo di
legare la lotta per i diritti, intesa come costruzione di opportunità per le generazioni presenti
e future, è stata certamente la
chiave per penetrare in un movimento che ha attraversato
l’Italia dalla fabbrica
all’università. Il precariato e la
lotta per il lavoro è l’elemento
che ha unito diverse generazioni, classi sociali e gran parte
delle categorie lavorative e
pervaso di una nuova sostanza
il movimento . La capacità di
contribuire in modo sostanziale
al dipanarsi della nuova fase,
è stato affrontato dalla Rete
Universitaria Nazionale, promuovendo diverse assemblee
all’università ed un importante
momento seminariale.
RUN
P A G IN A 2 2
La rete universitaria nazionale - segue
“Primavera non bussa” è
l’iniziativa di Chianciano che ha
aperto le iniziative della primavera 2011; una assemblea nazionale di RUN ed FDS ( Federazione degli studenti) che ha
visto la partecipazione di 300
studenti provenienti da tutta
Italia. L’assemblea del 16 e 17
aprile 2011 è stata
un’importante occasione di riflessione e dibattito sulla storia
del movimento studentesco in
Italia dagli anni 70 fino ai
giorni nostri e sul futuro del
movimento studentesco in relazione alle politiche sul lavoro.
Dopo un momento assembleare in cui sono intervenuti
tutti i referenti delle associazioni territoriali e gli
eletti agli organismi centrali
che hanno fatto il punto sulle principali questioni dell’
università e del diritto allo
studio, la plenaria si è conclusa con un workshop sulla
condizione dei dottorandi. A
seguire, Le riflessioni hanno
conosciuto un momento di
approfondimento nel corso
di tre sessioni di lavoro ;
una prima sessione per parlare di lavoro con Andrea
Ranieri, il prof. Giulio Marcon, il prof Furio Camillo
( consorzio alma laurea); una
seconda sessione dedicata ai
movimenti
con Massimo
D’Alema, Adriano Sofri e Francesco Cundari; una terza sessione dedicata alla campagna
referendaria con Giuseppe Onufrio (direttore esecutivo di
Green Peace). La campagna
per il referendum del 12 e 13
giugno 2011 è stato un altro
momento di fermento delle attività svolte a diretto contatto con
gli studenti, all’interno delle
università, tanto in termini di
informazione sui quesiti referendari che di sensibilizzazione sui
temi affrontati. Abbiamo lavorato sull’accreditamento dei
fuori sede per la partecipazio-
ne al voto e sono stati in migliaia gli studenti che si sono
recati alle urne nelle tante città
universitarie italiane. La campagna per votare “SI” ai quattro quesiti, portata avanti in
collaborazione con i comitati
per il referendum, ha ottenuto
un grande successo; si sono
recati a votare il 57% degli
elettori determinando il raggiungimento del quorum e la
vittoria schiacciante delle forze
civiche, politiche e delle associazioni studentesche che hanno
contribuito all’impresa
(campagna per il “SI”), espri-
mendo il proprio dissenso sulla
privatizzazione dell’acqua, il
ripristino del nucleare ed il c.d
“legittimo impedimento”.
La nuova stagione studentesca e
l’apertura dell’anno accademico è stata inaugurata dalla Rete Universitaria Nazionale il 30
settembre ed il 1 ottobre 2011
all’Università “La Sapienza” di
Roma, con la seconda assemblea nazionale della RUN dal
titolo “espulsi dal sapere lottano i pensieri”. Titolo emblematico che mette in risalto il dissesto
determinato dall’applicazione
della legge Gelmini e le conseguenze dei tagli sulle risorse
per il diritto allo studio e per il
funzionamento dell’università.
L’elaborazione del “pensiero” e
della linea di condotta volta ad
arginare gli effetti disastrosi
della riforma Gelmini, sono stati
sviluppati nel corso di due giorni di assemblea, attraversati
dallo svolgimento di tre
workshop: “sugli statuti degli
Atenei” ; “Diritti e welfare studentesco”; “Università e Lavoro”. All’assemblea hanno partecipato centinaia di studenti,
rappresentanti delle istituzioni
nazionali e del mondo politico e
sindacale, rappresentanti del
mondo accademico, dei docenti,
dei ricercatori e dei dottorandi.
I gruppi di lavoro, coordinati dagli studenti e dai
rappresentanti della RUN
con l’ausilio di esperti del
settore, si sono conclusi
con la stesura degli atti
conclusivi dei gruppi di
lavoro, confluiti in un unico
documento, il cui contenuto
costituisce la linea e gli
obiettivi della Rete Universitaria Nazionale per
l’anno accademico in corso. La capacità di aprire
un confronto libero e plurale tra i vari soggetti in
campo, ci ha consentito di
intraprendere un lavoro
corroborato dall’ausilio di
tutti i principali attori coinvolti
nel processo di sviluppo dell’
istruzione e della formazione
universitaria, del mondo del
lavoro, delle istituzioni e della
politica. l’ottica di ricerca delle
strade da seguire per elaborare soluzioni concrete a problemi
reali, costituisce il contributo che
la RUN può dare all’università e
al paese in un momento di grave crisi economica e finanziaria.
La via maestra è il rilancio delle opportunità per un futuro di
sviluppo sociale e culturale per
il nostro paese. Un nuovo modello di sviluppo che possa crescere con il contributo del sapere, della cultura, non può far
altro che fregiarsi del patrimo-
P A G IN A 2 3
nio di conoscenze e del capitale
umano che l’università italiana
esprime in tutti i campi. A partire dai luoghi della formazione
e della ricerca si possono affrontare le questioni cruciali e
raccogliere contribuiti ed idee
per la crescita. La RUN, nel promuovere iniziative e dibattiti
nell’università sui vari temi, deve
proporsi come interprete e collante delle diverse forze impegnate nel processo di ricostruzione del paese, fornendo così
il proprio contributo attivo
all’esercizio di una funzione
politica, in grado di sorpassare
approcci di tipo corporativo o
di mera difesa degli interessi
(funzioni meramente sindacali?).
La partecipazione al movimento
che si è sviluppato nell’autunno
del 2011 e che è culminato con
la manifestazione internazionale del 15 ottobre, a cui la RUN
ha aderito al di là dell’ epilogo
disastroso al quale è giunta,
non cancella le ragioni di quelle
decine di migliaia di studenti e
cittadini scesi in piazza per rivendicare lavoro, diritti, dignità
ed un ripensamento delle politiche neo liberiste che hanno caratterizzato l’Europa ed il mondo in questi ultimi 20 anni. La
discriminante della nostra azione nei movimenti di protesta
rimane senza fraintendimenti, il
rifiuto di ogni violenza, ma senza dover rinunciare alla partecipazione e al tentativo di intervenire nei processi provando a
tracciare sbocchi realistici. Un
elemento fondamentale, per
restringere “gli spazi insidiosi” e
mettere ai margini le frange
violente. L’ apertura di luoghi
plurali per il confronto con gli
studenti e la collaborazione con
tutte le forze interessate al confronto democratico, rappresenta la via più sana ed utile per
condurre l’intreccio tra il paese
reale e le forze politiche e sociali impegnate nella costruzione di un modello di sviluppo
alternativo al paradigma attua-
le che ha impoverito il paese ed
aumentato le divaricazioni sociali. Possiamo affermare di
stare vivendo in una “fase periodizzante” dell’economia occidentale e dello sviluppo complessivo, di avere davanti a noi
una sfida di portata eccezionale che coinvolgerà tutti i settori
della società. L’istruzione, la
formazione, la ricerca e
l’innovazione avranno la funzione di puntellare il sistema , costruire una base di pensiero
forte ed approntare gli strumenti per edificare un nuovo
modello sociale rispettoso della
dignità umana, dei diritti e della sostenibilità ambientale.
L’attività svolta dalla rete universitaria nazionale nei luoghi
del sapere deve essere impiegata in una ottica capace di
guardare ad un orizzonte sempre più ampio che dal miglioramento delle condizione di vita
e dalle opportunità di ogni
singolo studente, sia in grado di
relazionarsi con la società e
con il mondo, inteso come il luogo in cui si dovranno realizzare
le aspirazioni e le capacità maturate nel proprio processo di
crescita e di formazione .
Le dimissioni di Berlusconi e del
suo governo il 12 novembre del
2011, ha segnato la fine di una
fase durata un quindicennio,
caratterizzato da una destra
conservatrice e populistica che
ha attaccato dalle fondamenta
il sistema pubblico italiano,
colpendo tutti i settori;
l’università ha subito interventi e
progetti di riforma che hanno
impoverito culturalmente e burocratizzato il sistema
dell’istruzione e della formazione pubblica ed hanno minato
profondamente il diritto allo
studio con la drammatica riduzione dei fondi destinati al
welfare studentesco. L’università
che abbiamo ereditato presenta delle profonde defezioni i
cui effetti stanno prendendo
forma con l’applicazione della
riforma: riduzione drastica degli insegnamenti e dell’offerta
formativa, facoltà sotto organico e nell’impossibilità di compiere nuove assunzioni(oneri del
tourn over), riduzione dei canali
di insegnamento e “classi pollaio”, accentramento dei poteri
nelle mani dei rettori (in rapporto all’ateneo) dei presidi
e/o dei direttori di dipartimento (in rapporto alle facoltà), gli
organismi assembleari (Senati
accademici e consigli di facoltà)
vengono esautorati ed i poteri
vengono esercitati nell’ambito
di orgasmi ristretti (giunte di
presidenza o affini) in cui spesso non viene prevista la rappresentanza studentesca; strutture
ed aule fatiscenti, dipartimenti
senza attrezzature, biblioteche
senza fondi per acquistare libri
e riviste scientifiche. Le università per far fronte alle spese per
il funzionamento sono state costrette ad aumentare le tasse
universitaria, in alcuni casi, fino
a sforare il tetto massimo consentito( il gettito derivante dalle
tasse non può superare il 20%
di quanto l’università percepisce
in termini di FFO), colpendo in
questo modo gli studenti e le
famiglie. La riduzione drammatica dei fondi destinati al welfare studentesco, nell’anno 2011,
ha fatto registrare un aumento
degli “idonei non vincitori” di
borsa di studio(45 mila studenti)
e
notevoli
ritardi
nell’assegnazione dei contanti
per gli studenti beneficiari.
Nell’ultimo anno si è registrato
un calo vertiginoso delle iscrizioni nell’università pubblica e
contestualmente, si è registrato
un aumento degli iscritti negli
atenei privati, sintomo che gli
studenti e le famiglie perdono
fiducia nei confronti delle opportunità offerte dal settore
dell’istruzione pubblica.
L’esigenza di sostanziare il diritto allo studio deve essere il
principale obiettivo da raggiungere, insieme all’esigenza di
[email protected]
Via Palermo, 12 - 00187 ROMA
www.runonline.it
restituire qualità ai
nostri atenei, restituendo loro risorse e sperimentando “forme evolute” di autonomia.
Bisogna riconsegnare
all’università pubblica
gli strumenti per reggere la competizione
con il sistema delle
private; adeguare le
strutture fondamentali
per la ricerca e la formazione e promuovere, insieme agli studenti, percorsi didattici e
di studio in grado di
offrire le qualità e le
competenze necessarie
per affacciarsi nel
mondo del lavoro. In
questo, l’attività svolta
dai rappresentanti
della RUN al CNSU, al
CUN e all’ANVUR,
possono fornire un ausilio costante. Con la
nascita del nuovo governo si sta aprendo
una nuova fase per il
paese. La Rete Universitaria Nazionale già
dalle ore successive
all’insediamento del
nuovo governo(16 novembre 2011), ha
chiesto al nuovo ministro di fornire dei segnali chiari di discontinuità e di incontrare
gli studenti per discutere del futuro dei
decreti attuativi e delle risorse per il diritto
allo studio. Il ministro
Profumo ha mostrato
disponibilità al dialogo con gli studenti e
dato segni di discontinuità con il passato
già a partire dalla
nomina dei sottosegretari.
l’intenzione di
completare l’iter di
attuazione della legge
240/10 da parte del
ministro, diventa inevi-
tabile, una volta che la
legge è stata approvata ed il processo ha
preso avvio,tuttavia,
per il momento sono
stati emanati soltanto
17 decreti e serviranno molti altri provvedimenti d’attuazione.
Perciò, molto ancora
si può compiere per
limare gli effetti della
riforma, già a partire
dal decreto con cui si
dovranno stabilire i
requisiti in termini di
ISEE (reddito familiare) e di CFU necessari
(crediti formativi universitari) per avere
diritto alla borsa di
studio. Va assolutamente evitato che si
stabiliscano criteri restrittivi volti a ridurre
ulteriormente il numero
degli studenti idonei,
come era intenzione
dell’ ex-ministro Gelmini. Saranno diverse
le occasioni in cui il
nuovo ministro, potrà
dare prova di voler
inaugurare una fase
diversa per l’università
italiana , il compito
della RUN sarà quello
di vigilare ed intervenire su tutti i livelli in
cui è presente, dalle
aule di facoltà fino al
CNSU, nel momento in
cui si riterrà compiersi
un danno all’università
pubblica o una violazione del diritto allo
studio. Tra la primavera e l’autunno prossimo, quasi tutti gli
atenei italiani andranno al voto e gli studenti saranno chiamati ad
eleggere i rappresentanti degli studenti in
tutti gli organismi. Gli
effetti della riforma
hanno determinato una
riorganizzazione complessiva degli atenei e
degli organismi di
rappresentanza, perciò, ci troveremo ad
affrontare le elezioni
in un contesto del tutto
nuovo rispetto al passato. Molte facoltà
sono state smembrate
e dalla fusione di dipartimenti che in passato afferivano a realtà diverse,ne sono
nate di nuove. Bisognerà adeguarsi al
nuovo quadro organizzativo e laddove il
processo di nascita
delle nuove facoltà si
sta compiendo o si è
già compiuto, assicurarsi la presenza della
rappresentanza studentesca nei consigli di
dipartimento, a cui
verranno attribuiti
sempre maggiori poteri e all’interno dei
quali, già da subito,
inizieranno a determinarsi le scelte più importanti.
La riduzione della
rappresentanza studentesca nei CDA,
agevolerà la semplificazione del quadro
politico interno agli
atenei, bisognerà costruire delle liste larghe cercando di rispettare al massimo
l’omogeneità delle
liste in relazione alle
idee ed alla politica,
per tutelare l’efficacia
dell’azione ed il rispetto della funzione
che le associazioni e i
rappresentanti della
RUN devono compiere:
tutelare gli studenti,
l’università pubblica
ed il diritto allo studio.
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Manifesto RUN