STRIKE
rassegna universitaria
OTTOBRE 2005
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO
ANNO IV NUMERO 1
Il grande salto
Un nuovo inizio. Non c’è niente di più
bello: il primo giorno te lo ricordi
sempre. E’ il momento in cui più
intensi emergono la curiosità, il desiderio, le attese. Magari capita che a
volte ci sia un po’ di paura, anche se
in realtà quella viene dopo: all’inizio
domina lo slancio. Proprio come l’uomo nella foto di Henrie CartierBresson, che da una vecchia scala si
lancia verso qualcosa, colto nell’istante in cui il suo piede sta per toccare la superficie dell’acqua. Cosa lo
aspetta? Cosa accadrà?
Un po’ come passare il portone di
Largo Gemelli 1: la prima volta per le
matricole, l’ennesima per noi un po’
più arrugginiti, ma la questione è la
stessa. Cosa ci aspettiamo da questo
nuovo inizio? Cosa chiediamo a questi anni, a questa nuova vita che si
spalanca? Cosa cerchiamo? E’ come
se Cartier-Bresson con la sua foto ci
facesse una domanda: cosa siamo
disposti a rischiare? Perché quel salto
si può trasformare all’istante in un
tonfo in una pozzanghera. Allo stesso
modo la vita in università, dopo i
primi entusiasmi degli inizi, può tramutarsi in men che non si dica nel
grigiore del solito tran tran, lo stesso
grigiore della stazione di St. Lazare
ritratta dalla foto.
Ma quel salto, quello slancio, può
essere altro. Nello sfondo, sull’angolo
del muro, quasi invisibile ad una
prima occhiata, c’è una ballerina che
salta da un vecchio manifesto. Viene
in mente la meraviglia del circo con le
sue luci, i suoi suoni e i suoi colori,
ma allo stesso tempo è evidente il
legame con l’uomo in primo piano. E’
lo stesso balzo, ma in un respiro
nuovo.
“Bisogna che il quotidiano diventi
eroico e l’eroico diventi quotidiano”
diceva Giovanni Paolo II. Bisogna che
qualcosa di eccezionale entri nella
nostra vita, così abituata ad adagiarsi
e scivolare nella banalità. E serve il
coraggio, una volta che questo eccezionale sia stato anche solo intravisto, di seguirlo e cercarlo in tutto.
Per afforntare questa battaglia è
necessaria una condizione, la stessa
che seguì Dante quando, salendo su
una scala piena di angeli, si lanciò
verso “il gran mare dell’essere”: non
essere da soli. Noi vogliamo rispondere a questa sfida. Per questo ci interessa ancora quello che studiamo
ormai da anni, ci interessa il rapporto
con i professori, ci interessa quello
che succede nel mondo. Siamo pronti
a iniziare nuovamente, insieme a
chiunque sia interessato a rischiare
con noi.
La redazione
Università
I Docenti, le associazioni: vita di ateneo
pagg. 2, 3, 4
Pacs
Non una questione
religiosa, ma un fatto
civile
pag. 5
New Orleans
Nel dramma, condividere il bisogno
pag. 6
STRIKE - OTTOBRE 2005
pag. 2
Iniziare di nuovo, da docenti
Il prof. Santamaria: non
assopite i vostri interessi
Quali sono le sue aspettative
relative all’anno accademico
appena iniziato? Che giudizio ha sulla reale possibilità
di crescita educativa ed
intellettuale dello studente
in questa università, teatro
della riforma e della controriforma?
Le aspettative su questo nuovo
anno accademico e in modo particolare sulle possibilità di crescita dello studente in questa riforma sono dal mio punto di vista
piuttosto flebili. Osservando la
situazione attuale ci troviamo di
fronte ad un’università dove la
fretta nel laurearsi ha preso il
posto dell’effettivo apprendimento. Questo ha causato in certi
casi una consistente riduzione
dei programmi o l’anticipazione
di alcune materie del 2° o 3°
anno al 1°. Ormai insegnare, nel
vero senso della parola, è molto
difficile, soprattutto perché un
tempo vi erano 40 o 50 studenti,
oggi invece ci troviamo di fronte
ad un fiume in piena che ogni
anno è più difficile da gestire.
Non possiamo pretendere che un
ragazzo dia 27 esami in tre anni:
è necessario ridurre gli esami e
non i programmi, affinché l’offerta formativa abbia un’utilità
anche per la laurea triennale e,
soprattutto, per evitare un intasamento nelle specialistiche.
Occorre snellire i canoni di questa riforma applicandoli dove è
possibile. Non si crea una classe
dirigente capace di lavorare e
insegnare in base al numero degli
esami sul libretto, né con l’apertura diffusa di poli universitari in
ogni parte del suolo italiano.
In questo scenario lo studente può ancora sperare in
un rapporto con il docente,
per cercare, lavorando
insieme, di migliorare questa situazione?
I progressi, da questo punto di
vista, sono già presenti. Il consiglio di facoltà è fra tutte le possibilità quella più efficace e, fino
ad ora, quella che ha generato
maggiori frutti. Il problema resta
la reale formazione degli studenti che non hanno la capacità di
poter scegliere in modo adeguato
il proprio percorso, vista la
miriade di corsi specialistici. Essi
seppur validi da un punto di vista
didattico disorientano i ragazzi,
che usano come metro di scelta
quello del corso più gettonato,
seguendo la massa e non i propri
interessi, che restano in questo
modo assopiti.
Si genera così una sfiducia da
parte delle aziende che puntano
alla formazione interna del per-
sonale, preferendo in alcuni casi
il diploma di laurea, magari più
incompleto, ad una specializzazione più difficile da gestire nell’ambito lavorativo e molto più
rigida da un lato formativo.
Lo studente deve puntare all’accrescimento delle proprie capacità sia intellettuali che lavorative
partendo da un approccio personale, facendo tesoro dei consigli
dati dai docenti e vedendo l’università non come un luogo dove
si fabbricano titoli di studio, ma
come un luogo dove crescere
anche umanamente. Solo così si
può portare via qualcosa di
buono, altrimenti ci avvieremo
sempre di più verso un declino
sia economico che culturale,
fenomeno che appare ormai
come inesorabile, ma che si può
ancora fermare.
A cura di Simone Cantarini
Il prof Luigi Santamaria è
docente straordinario di
Statistica economica
presso l’Università
Cattolica
La prof.ssa Colombo: la competenza
non può essere puro efficientismo
nalmente nella scuola ho vissuto,
ciò che ho imparato riguardo al
lavoro dell’insegnante. Cerco di
motivare gli studenti ad approfondire quanto stanno studiando
perché sono convinta che la preAnche quest’anno si troverà parazione alla riflessione sicuradi fronte a molte nuove mente andrà a sostenere quanto
matricole…come si pone di nella scuola sarà loro richiesto.
Ritengo che la competenza che
fronte a loro?
Nella relazione con gli studenti
credo sia fondamentale riconoscere che prima di tutto mi trovo
di fronte a delle persone, poi a
degli studenti. E’ quindi essenziale rispondere primariamente alle
persone, con tutte le aspettative
che portano con sé, perciò entrare
in rapporto con esse significa scoprire dei mondi, trovarsi di fronte
a degli uomini con una propria
storia. Nel rapporto con loro sono
interessata a dare un significato e
un senso a quello che si sta facendo, cercando di sollecitare e stimolare l’essere autentici e il dire
quello che si desidera emerga nel
corso delle attività che si vanno
facendo.
Nel suo ruolo di supervisore
di tirocinio, come si declina
concretamente questa visione del rapporto con gli studenti?
Ho cercato di individuare i bisogni e le aspettative emergenti sia
dagli studenti che dal mondo scolastico, per poi metterli a confronto al fine di aiutare a comprendere cosa significhi essere un insegnante oggi e quali siano le effettive difficoltà, presentando un quadro il più possibile reale. Cerco di
trasmettere quello che io perso-
E’ a ancora possibile, con i
ritmi frenetici imposti dalla
riforma, che uno studente
studiando non trascuri ciò
che veramente gli sta a
cuore?
Nel lavoro che svolgo con gli studenti, in un ambito che lega forte-
ha svolto un particolare percorso,
sia personale sia come professionista, all’interno della scuola e
proprio per questo può porsi
come guida rispetto agli studenti
che si trova di fronte. E’ una persona consapevole di avere davanti
a sé individui che hanno molte
attese che l’insegnante è chiamato
a non deludere. Gli studenti arrivano con un potenziale di capacità, di energia e di desideri che è
veramente grande, su cui puntare
nel fare la propria proposta di
insegnamento. Bisogna avere
fiducia nelle potenzialità degli
alunni che si hanno di fronte, perché dal prenderli sul serio scatta il
desiderio di studiare, l’energia per
conoscere e approfondire ciò che
viene loro proposto.
A cura di Sara Rampa
Emanuela Colombo
deve essere acquisita non sia
quella di un puro efficientismo,
ma sia un lavoro a livello personale su cosa significhi incontrare i
bambini a cui si andrà ad insegnare, quali siano i bisogni e le necessità a cui si dovrà rispondere e in
quale modo.
La prof. Emanuela
Colombo è dal 2002
supervisore di tirocinio
del corso di Scienze della
formazione primaria
presso l’università
Cattolica; insegna in una
scuola elementare dal
1983 a Mimssaglia
mente l’università con il mondo
del lavoro, la domanda di senso
non può essere evitata, perché
all’interno di questo percorso lo
studente deve capire cosa andrà a
fare in futuro e se veramente
quello che ha scelto gli corrisponde. Il mio compito è aiutare a trovare il senso di ciò che stiamo
facendo, per permettere di capire
se il percorso scelto è quello che
veramente interessa per la propria vita.
Come descriverebbe la figura
dell’insegnante oggi?
L’insegnante è una persona in
mezzo ad altre persone, che però
REDAZIONE
DIRETTORE: Stefano Nembrini
VICEDIRETTORE: Daniele Boscolo
REDAZIONE: Alice Broserà, Simone
Cantarini, Andrea Cassina, Federico
Dessi, Mattia Ferraresi, Luca Gabriel,
Leone Grotti, Carlo Marnati, Daniele
Meneghini, Marco Pedersini, Sara
Rampa, Elisabetta Realini, Amir
Tewfik, Daniele Valerin.
HANNO COLLABORATO: Emanuele
Massagli, Luca Pezzi
GRAFICA: Tommaso Teggia
EDITORE: Codit Stampa Digitale,
via dei Fontanili 13, 20141 Milano
DISPONIBILE IN AULA
STUDENT POINT
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STRIKE - OTTOBRE 2005
pag. 3
Università, la contro-riforma
I cambiamenti che stanno per investire il nostro ateneo
Il prof. Adriano De Maio
me
In questi ultimi anni le università
italiane hanno dovuto superare la
prova del tre più due, ad eccezione della facoltà di medicina. La
riforma universitaria ha costituito
un punto di svolta dal quale non
si può tornare indietro; del resto
mai come in questo momento
l’università italiana aveva bisogno
di una riforma: dal ’68 in poi la
scuola secondaria subisce un
pesante tracollo nella formazione
professionale degli studenti e in
ambito universitario si afferma
l’idea del “tutto per tutti”.
L’università perdeva così la sua
vocazione elitaria senza però una
riforma adeguata.
La nuova formula del 3+2, che
intendeva far recuperare nei
primi tre anni le lacune delle
scuole superiori e nei due anni
successivi la formazione d’eccezione, non ha raggiunto del tutto i
suoi obiettivi. Si tratta però di una
riforma già riformata: è stata
ormai varata la riforma “ad Y” o
cosidetta De Maio, dal nome del
suo ideatore, che prevede un anno
di base e poi due possibili percorsi: da una parte i due anni (1+2)
dall’altra due anni in preparazione di altri due anni di specializzazione (1+2+2), tra i quali la possi-
bilità di scegliere il biennio abilitante all’insegnamento. Per l’attuazione di questa riforma il
ministero ha lasciato libera iniziativa alle università: le sperimentazioni inizieranno probabilmente
dal
prossimo
anno.
L’Università Cattolica ha fatto
molta fatica ad adattarsi alla
riforma del +2, in particolare per
le facoltà di Economia e Lettere,
mentre facoltà come Psicologia si
sono adattate più rapidamente.
Per quanto riguarda la riforma ad
Y se ne parlerà tra almeno un paio
d’anni.
Nel frattempo la riforma ha fatto
emergere almeno due problemi:
la selezione alle lauree scpecialistiche, ovvero il necessario calcolo dei numeri di accesso, onde
evitare di “lasciare a casa” studenti in corso; in secondo luogo i
problemi didattici legati alla conversione dei programmi nel passaggio dal corso tradizionale a
quello riformato: da una parte si
rischia il mantenimento di pro-
grammi complessi e difficili a
fronte del minor tempo concesso,
dall’altra si verifica il rischio di
eccessivi tagli e semplificazioni.
Di certo non manca la volontà di
collaborazione: le facoltà al proprio interno stanno lavorando per
questo.
Una cosa, almeno a noi studenti, è
chiara: nella maggior parte dei
casi è assolutamente controproducente fermarsi alla laurea
triennale, precludendosi un livello si specializzazione che, per
livello di approfondimento delle
materie e per possibilità di lavoro
con i docenti, si sta rivelando
essere l’occasione di vivere l’università in quanto tale, cosa non
così semplice in un triennio sempre più licealizzato; da questo
punto di vista siamo d’accordo
con quanto affermato in un
manifesto firmato da numerosi
docenti universitari (maggiori
informazioni presso il sito web
dell’associazione
Universitas
University) per i quali “l’universi-
tà non può e non deve perdere il
suo senso originario di luogo dove
si trasmette e si elabora la cultura.
Il luogo cioè dove la nostra società acquista conoscenza e consapevolezza della sua storia, dei suoi
valori, della situazione della
nostra epoca, e cerca su questa
base, nella necessaria molteplicità
dei punti di vista, di costruire
pensieri e paradigmi intellettuali
e prospettive di azione in grado di
accrescere e perfezionare la sua
sostanza spirituale e umana.
Se viene meno questa trama di
fondo anche la formazione delle
competenze professionali si
disarticola e si riduce a ben poca
cosa. Senza la sua radice culturale
e umanistica, senza il carattere
che è stato originariamente suo di
libera comunità di studio e di
saperi, l’università non solo perde
se stessa, ma anche ogni vera funzione sociale.”
Carlo Maria Marnati
Università per tutti? Forse no
Il “progetto di vita” alternativo per chi è diversamente abile
Da qualche anno ci siamo interessati al problema della presenza
dei disabili nella nostra università. La gestione dei servizi ai disabili si è complicata dopo la fine
della leva obbligatoria, fatto per
cui sono venuti a mancare gli
obiettori di coscienza che svolgevano queste attività. In seguito, a
Roma, è stato bocciato un progetto della Cattolica per l’utilizzo dei
giovani del servizio civile volontario come supporto ai ragazzi non
indipendenti. La Cattolica non
può avvalersi di forti finanziamenti statali come avviene nelle
università pubbliche, anche se il
suo nome e la sua impostazione
educativa dovrebbero garantire
un’attenzione particolare a questo
tipo di problematica.
Durante lo scorso anno, anche
sotto nostra sollecitazione, sono
nati vari progetti e, se pur con
grandi difficoltà, la situazione
sembra migliorare.
Ma ciò che ci ha davvero sconcertati parlando con il professor
D’Alonzo, delegato del Rettore
per “l’integrazione degli studenti
disabili di tutte le sedi
dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore”, non sono tanto le difficoltà legate all’assenza di fondi,
quanto la concezione dell’uomo e
dello studente che sta alla base
dell’agire nei confronti di questo
scuole per disabili, centri specializzati. Un altro problema, ha
sostenuto sempre D’Alonzo, è
dato dalle famiglie, che talvolta
scelgono l’università come luogo
di parcheggio dei loro figli, pretendendo anche un servizio completo. I suoi studi e la sua esperienza dimostrano che per questi
ragazzi è impossibile vivere
l’Università dalle 9:00 alle 18:00
(come noi di Ateneo Studenti stiamo proponendo in questi giorni a
tutte le matricole all’ingresso
dell’Università) ed è anche impossibile che l’università sia per loro
un momento di crescita scientifica e umana, come è per tutti.
Eppure da più di un anno un
gruppo di nostri amici sta aiutando nello studio un ragazzo tetraplegico che frequenta la Facoltà di
Lettere e Filosofia (un ragazzo che
probabilmente appartiene a quel
5%). Questo aiuto ci è stato espliproblema. D’Alonzo, docente di mettono a chi ne è portatore di citamente rimproverato, perché
“Pedagogia dell’intervento specia- affrontare con successo gli studi. incoraggerebbe la pretesa della
le” e di “Problematiche educative La formazione universitaria mira famiglia di fargli frequentare
speciali”, ci ha spiegato che il suo all’inserimento nel “mondo socia- l’università, pur non avendone le
ufficio ha un “progetto di vita” su lizzato” a cui questi ragazzi reste- capacità. Ma i ragazzi che stanno
ogni ragazzo disabile che frequen- rebbero sempre estranei. Perciò con Fabio non hanno nessun
ta la Cattolica. Tramite un grafico bisognerebbe, con le “buone” o “progetto di vita” su di lui, lo aiuimprovvisato, ci ha illustrato con le “cattive”, far capire alle tano come studente, lo aiutano
come vi siano delle forme di han- famiglie interessate che non può perché è diventato loro amico.
dicap (alle quali appartiene alme- essere questo il percorso adatto al Non è pietismo, non è pedagogia,
no un 5% dei ragazzi che frequen- proprio figlio, al quale andrebbe- è la semplice condivisione del
tano la nostra sede) che non per- ro proposte strade alternative: bisogno più comune in università:
lo studio, e chi sta con lui si è
accorto, in questi anni, di una sua
crescita sia a livello scientifico che
umano.
Perché Fabio non può fare l’università? I “progetti di vita” li
lasciamo agli “educatori”, ma ci
permettiamo di suggerire un
metodo: la Cattolica faccia di
tutto per accertare se il ragazzo
disabile è capace di trattenere le
nozioni studiate, se all’interrogazione riesce a dimostrare effettivo
impegno e comprensione, seppur
parziale, della materia. Per fare
questo utilizzi qualsiasi mezzo
possibile: tutor, computer, traduttori, libri appositi… Il criterio,
a quel punto, sarebbe oggettivo:
se il ragazzo capisce è incontestabilmente idoneo a frequentare
l’università.
Questa conclusione è frutto della
realtà, non di un disegno ideologico o a priori; noi siamo pronti
anche ad impegnarci pubblicamente per difendere questo diritto che è di qualsiasi studente.
Cosa se ne farà della laurea, lui
che nel “mondo socializzato” non
entrerà mai? Questo sarà la vita, e
non un progetto, a deciderlo.
Emmanuele Massagli,
responsabile di Ateneo Studenti
STRIKE - OTTOBRE 2005
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Centocanti: e la Commedia rivive
Storia di un’associazione nata per riconsegnare Dante al popolo
Viene in mente “Fahrenheit 451”,
il romanzo in cui Ray Bradbury
immagina un’epoca dove i libri
sono illegali e vengono dati alle
fiamme, e dove un pugno di
uomini lottano per preservarne il
ricordo imparandoli a memoria.
Ci auguriamo che il futuro non
riservi questo destino al nostro
Dante, ma forse è meglio cautelarsi: è iniziata così, quasi per
scherzo, l’avventura dell’ associazione dantesca Centocanti, fondata da un gruppo di studenti dell’università Cattolica. O, più profondamente, dalla convinzione
che valga ancora la pena conoscere Dante, e che non ci sia miglior
modo di incontrarlo che attraverso l’apprendimento a memoria:
come lui stesso suggerisce in
Paradiso V, “ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, l’avere inteso”,
non è conoscenza l’aver ascoltato
una cosa se non la si fa propria. E’
stata questa la scintilla iniziale:
trovare almeno cento persone che
imparassero un canto a memoria
della Commedia e costituire così
una Divina Commedia vivente.
Due sole le condizioni: avere
meno di 35 anni (“Nel mezzo del
cammin di nostra vita”), perché
coloro che più rischiano di
dimenticare Dante sono proprio i
giovani, annoiati da un autore
sempre più ingabbiato in ambiti
accademici e specialistici. E poi
fare di tutto per conoscere e far
conoscere l’opera di Dante, ovunque; è così partito il primo progetto dell’associazione, il Progetto
Centocanti appunto, cui stanno
aderendo ragazzi da tutta Italia e
non solo: in arrivo le prime adesione da Olanda, Spagna e
America. Una delle prime è stata
proprio una ragazza di Seattle,
Allison, a cui è stato assegnato il
canto XIII dell’Inferno: trascorso
il mese concesso dall’associazione
per imparare il canto, lo ha recitato, nonostante la patina di slang,
Il cinghiale collassato
Non si finisce mai di imparare.
Come quando prendi in mano il
Cinghiale Corazzato, il giornalino
del Movimento Universitario
Padano , e scopri …
...una novità sorprendente: dal
2001 siamo in guerra e “si muore
un po’ ovunque”.
...che ci siamo sentiti fare più
volte la domanda “Colpiranno in
Padania o in Italia?”.
...evidenti casi di priapismo (c’è
chi firma l’editoriale con “Duri
per durare”).
...le avvincenti vicende del campo
nomadi a Verona.
...che a Verona gli zingari sono mente più coordinata di Flavia
apostrofati con il gentile vezzeg- Vento”.
giativo “sengali”.
...la direzione di gara dell’arbitro
Moreno agli ultimi mondiali è
...che, sulla pena di morte, Davide stata “impeccabile” .
Alemanni la pensa diversamente
da Piergiorgio Seveso.
...che se per caso vi trovate vicino
ad Albaredo, località Scoccia, non
...che Gianfranco Fini è un bel- potete non assaggiare il leggendal’uomo anche con la kippah.
rio formaggio del pastorello Eriù
(curioso nome affibbiatogli da
...che, in un giornale che si rispet- “un cacciatore che veniva da lonti, ci si può firmare “Ci-enne e tano e pronunciava solo due paroEffe-Effe”.
le, Eriù e Bittu”).
...che è bello occupare quattro
facciate con foto curiose di indubbia utilità .
...un’interessante profilo di Afef
che scopriamo essere “neuronica-
...che la pittoresca Végia Giosa
“ben prima della nascita di Gesù
Bambino vegliava sulle genti” che
popolano le valli del Bitto.
... “Parlato semplice: IL CANNI-
BALE”, un’interessante disquisizione mai banale sulla società del
progresso in cui potrete trovare
evergreen del calibro di: “ieri
come oggi, ci si fa la guerra l’uno
con l’altro per sopravvivere” o
“vivi e lascia vivere”.
...che “uno del MUP, che di tolleranza ne ha molto poca”, sa bene
cosa sia “la tolleranza, quella
vera”.
...che i gufi, nel loro piccolo, sono
molto educati.
Al prossimo numero...
La Redazione
senza sbagliare un accento. E se
gli chiedete perché la fatica di
imparare un testo così lungo in
una lingua straniera, vi risponde:
“Ne vale la pena, perché la lingua
di Dante è la mia lingua; non la
sento come straniera, è una lingua universale, perché è la lingua
della verità. E la verità è ciò che
più corrisponde alla mia vita”.
Almeno una volta all’anno tutti gli
aderenti al progetto si riuniranno
in declamazione no-stop dell’intera Commedia, presso luoghi
significativi come la tomba di
Dante a Ravenna…e non è finita
qui: da questo spunto iniziale è
nata poi l’idea di cominciare a leggere Dante in scuole e università o
in occasione di convegni e incontri pubblici, mossi dall’impeto di
comunicare a tutti quello che di
interessante scaturisce dall’incontro con il poeta fiorentino. Ed
il successo delle prime uscite pubbliche non è dovuto a particolari
approfondimenti critici quanto al
tentativo di leggere la Commedia
lasciandosi provocare da ciò che
l’uomo Dante ha da dire a noi,
uomini del XXI secolo. Inoltre
stanno nascendo importanti rapporti di collaborazione con enti ed
istituzioni dantesche, quale il
Centro di studi Dantesco di
Ravenna…insomma, si tratta di
un esempio di come quello che si
studia in università, che sia
Dante, economia, o il diritto privato, possa essere lo spunto per
prendere sul serio ciò che più
appassiona. E’ un inizio possibile
per tutti: da questi anni di università non ci aspettiamo niente di
meno.
Stefano Nembrini
Per ulteriori informazioni:
Fax: 1782755719
segreteria@centocanti
www.centocanti.com
Ogni anno Ateneo Studenti
organizza per le matricole
gruppetti di aiuto allo studio
per gli esami più importanti.
Inizieranno da ottobre presso
lo Student Point gruppetti di:
ECONOMIA: matematica
generale, economia aziendale,
economia politica I (Emanuele
Massagli 328-2591722).
SCIENZE POLITICHE:
Scienza politica, economia
politica (Chiara Colombini
340-3486829). LETTERE E
FILOSOFIA: letteratura italiana I, lingua latina e greca
(Andrea Sansonetti 3339014259). GIURISPRUDENZA: diritto privato (Giovanna
Camilli 340-8249583). LINGUE: lingua inglese, spagnola,
tedesca e russa. (Giovanni
Beachi 348-3622845). MAGISTERO: filosofia morale (Elisa
Ferrari 347-4918799).
STRIKE - OTTOBRE 2005
pag. 5
Pacs, non si scende a patti
Non una questione religiosa, ma di responsabilità civica
Dopo un’annoiata parentesi estiva, è ripreso con violenza il dibattito attorno alla problematica dei
Pacs. In seguito alle dichiarazioni
della Cei, infatti, i giornali e le
televisioni del bel Paese si sono
affollati di paladini della modernità e della giustizia sociale che
hanno dato libero sfogo al loro
astio nei confronti di quell’inguaribile retrogrado del cardinal
Ruini, contro il quale, affermano,
è legittimo anche fischiare, com’è
avvenuto a Siena. Sembra a questi
che la Chiesa, passate di moda le
streghe, per far fronte alla noia
abbia deciso di ricominciare a
divertirsi, dirigendo le sue intenzioni più bellicose verso il gaio
mondo degli omosessuali e delle
coppie di fatto, veri e propri
avamposti della modernità.
Perdonerete se, per orientarci in
questa problematica fin troppo
caotica, dovremo prima tentare di
delineare per sommi capi cosa
siano questi fantomatici “Patti
Civili di Solidarietà”che tanto turbano il nostro dibattito politico.
Invenzione parigina (legge dello
stato francese dal 15 novembre
1999), altro non sono che contratti bilaterali di natura squisitamente economica, tanto che non
modificano lo stato civile delle
parti, ma permettono di subentrare nell’affitto della casa, ottenere la pensione di reversibilità,
lasciare eredità al partner ed esse-
re interpellati da parte dei medici
in caso di malattia del convivente.
Così configurati, altro non sono
che un semplice vincolo patrimoniale, tanto è vero che per la firma
del contratto non è prevista alcuna cerimonia, nemmeno la più
civile e composta, ma si viene
banalmente iscritti in un apposito
registro. Per quanto si legga con
attenzione non si troverà una
parola su fedeltà, eventuali figli,
soccorso reciproco: non è contemplato alcun dovere che non sia
di natura economica.
Detto questo, ci resta da capire
quale colossale mostruosità abbia
affermato il cardinal Ruini per
esser oggetto di una così furiosa
lapidazione mediatica. Basta leggere distrattamente l’infelice
discorso per notare come, in realtà, non sia tutta farina del suo
sacco: ha citato e sviluppato una
parte della prolusione del 22 settembre, quando papa Benedetto
XVI affermava che “matrimonio e
famiglia non sono una costruzione sociologica casuale, frutto di
particolari situazioni storiche ed
economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra
l’uomo e la donna affonda le sue
radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può
trovare la sua risposta soltanto a
partire da qui.[…] Il matrimonio
come istituzione non è quindi
un’indebita ingerenza della socie-
Locandina di propaganda dei sostenitori dei Pacs
tà o dell’autorità, l’imposizione
dal di fuori sulla realtà più privata della vita; è invece esigenza
intrinseca del patto dell’amore
coniugale e della profondità della
persona umana.[…]Le varie
forme di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il
“matrimonio di prova”, fino allo
pseudo-matrimonio tra persone
dello stesso sesso, sono invece
espressione di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per
vera liberazione dell’uomo”.
Insomma, per la Chiesa non è
proprio tollerabile che basti dormire con i cuscini vicini per vedere legittimata la propria unione
da diritti non troppo lontani da
quelli di una coppia sposata, per
giunta senza contrarre le respon-
sabilità derivanti ad esempio da
un laicissimo matrimonio civile.
Una sorta di condono morale,
quindi, un’unione senza troppi
vincoli per alleggerire le responsabilità di molti. La reazione non
si è fatta attendere: si sono
infiammate le critiche e hanno
infuriato i fischi da parte del
mondo “laico” contro la possibilità di esprimere la propria opinione, esercizio del tutto inopportuno per un cardinale. Tra i vari critici troviamo anche personalità
del calibro di Massimo D’Alema,
che si distingue lamentando che
“la società non può non farsi carico del fatto che in questo Paese ci
sono 500mila coppie di fatto eterosessuali
o
omosessuali”.
L’amore per i grandi numeri,
però, tradisce l’onorevole: infatti,
la calcolatrice testimonia inflessibile che tale cifra non rappresenta
nemmeno lo 0.9% degli italiani.
Curioso che, come la quasi totalità del mondo politico, D’Alema
non spenda una parola riguardo
all’urgenza di una nuova politica
per la famiglia, istituzione che
interessa invece ben 43.250.000
italiani (fonte Istat). Si dirà che le
minoranze vanno tutelate, e questo è sacrosanto (Chiesa esclusa,
sembra). Ma se è vero, come ci
insegna la pubblicità, che la vita è
fatta di priorità, non si vede perché la politica debba fare eccezione. A ben vedere, l’unica vera
colpa della Cei è stata forse la scomoda denuncia del fatto che i
Pacs non sono che un “fenomeno
assai marginale anche rispetto
alla sua effettiva rilevanza sociologica, a fronte invece della grave
mancanza di politiche a sostegno
della famiglia”. Infatti, l’entusiasmo con cui buona parte del
mondo politico ha sposato la
causa dei Pacs non convince, è
uno spaventapasseri talmente
bello da apparire palesemente
finto. Nella scomoda veste di passeri, chiediamo invece una politica seria e coraggiosa nei confronti della famiglia, per cui si è fatto
poco e si propone ancora meno,
preferendo rifugiarsi in problemi
più confortevoli, ma artificiali.
Marco Pedersini
Di cosa davvero si discute al Sinodo
Dal Papa a Sodano: stralci dagli interventi dei vescovi a Roma
“Quando celebrano l’Eucaristia, “i
fedeli possono rivivere in qualche
modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “Si aprirono loro
gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,
31). Per questo Giovanni Paolo II
afferma che l’azione eucaristica
suscita stupore. Lo stupore è la
risposta immediata dell’uomo alla
realtà che lo interpella. Esprime il
riconoscimento che la realtà gli è
amica, è un positivo che incontra
le sue attese costitutive. (…)
Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo
tempo nell’esperienza dell’uomo,
quando, a causa della finitudine e
del male, in lui si fa strada la
paura che la positività della realtà
non permanga. Così, da una
parte, l’azione eucaristica, come
del resto l’intero cristianesimo in
quanto sorgente di stupore, si
inscrive nell’esperienza umana
come tale. Tuttavia, dall’altra,
Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e del tutto gratuito. (…) Come i due di Emmaus,
dono della libertà, nell’incontro
con Dio l’uomo trova se stesso, il
senso della sua esistenza e la meta
del suo destino eterno, che consiste nella visione beatifica.
Nell’Eucaristia avviene pertanto
l’incontro tra Dio e l’uomo.”
(Relazione di S.E.R. Mons. Nikola
Eterovic, 2 ottobre 2005)
rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il proprio cammino
(cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo
di Dio, abbandonandosi alla forza
del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.”
(Relazione di S.E.R Cardinale
Angelo Scola, 2 ottobre 2005)
“Nell’Eucaristia, pertanto, si
manifesta un cammino in duplice
direzione. Nel Gesù Cristo, morto
e risorto, Dio stesso viene incon-
tro all’uomo redento, lo purifica
dai suoi peccati, lo nutre con il
pane vero, quello che dà la vita al
mondo (cfr. Gv 6, 33), accompagnandolo durante il pellegrinaggio terrestre verso la patria celeste. A tale percorso discendente
del Signore Gesù, corrisponde
quello ascendente dell’uomo che
nel profondo anela ad incontrare
Dio, in quanto creato a sua immagine (cfr. Gen 1, 27). Nonostante
vari tentennamenti e possibili
sbandamenti, connessi con il
“Il primo imperativo è molto frequente nelle Lettere di San Paolo,
anzi si potrebbe dire è quasi il
«cantus firmus» del suo pensiero:
«gaudete». In una vita così tormentata come era la sua, una vita
piena di persecuzioni, di fame, di
sofferenze di tutti i tipi, tuttavia
una parola chiave rimane sempre
presente: «gaudete». Nasce qui la
domanda: è possibile quasi
comandare la gioia? La gioia, vorremmo dire, viene o non viene,
ma non può essere imposta come
un dovere. E qui ci aiuta pensare
al testo più conosciuto sulla gioia
delle Lettere paoline, quello della
«Domenica Gaudete», nel cuore
della Liturgia dell’Avvento: «gaudete, iterum dico gaudete quia
Dominus
propest».
Qui sentiamo il motivo del perché
Paolo in tutte le sofferenze, in
tutte le tribolazioni, poteva non
solo dire agli altri «gaudete», lo
poteva dire perché in lui stesso la
gioia era presente: «gaudete,
Dominus enim prope est». Se
l’amato, l’amore, il più grande
dono della mia vita, mi è vicino, se
posso essere convinto che colui
che mi ama è vicino a me, anche
in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che
è più grande di tutte le sofferenze.
L’apostolo può dire «gaudete»
perché il Signore è vicino ad
ognuno di noi. E così questo
imperativo in realtà è un invito ad
accorgersi della presenza del
Signore vicino a noi.”
(Papa Benedetto XVI, prima congregazione generale, lunedì 3
ottobre 2005).
A cura di Luca Pezzi
STRIKE - OTTOBRE 2005
pag. 6
Nella tragedia, una speranza
Reportage dalla catastrofe: quali i bisogni più urgenti
Tramite l’ufficio stampa AVSI
(Associazione Volontari per il
Servizio Internazionale), abbiamo intervistato Ezio Castelli,
presidente di AVSI-USA che vive
negli Stati Uniti dal 2001 e che è
stato nei luoghi colpiti dall’uragano Katrina nei giorni immediatamente successivi al disastro.
abbiamo potuto vedere le zone
allagate di New Orleans, tratti di
autostrade completamente divelti, zone della costa di Biloxi.
Sembrava una storia ripetuta, la
“fotocopia” di Banda Aceh colpita
dallo tsunami, con barconi adibiti
a bar e casinò, una volta galleggianti, trasportati da vortici alti
fino a sei metri e ora adagiati ben
dentro la terra ferma. Ho potuto
Com’era la situazione nelle incontrare famiglie e anziani rifuzone colpite dall’uragano e giati nello stadio coperto da
che cosa ti ha maggiormente 20.000 posti di Baton Rouge e la
impressionato?
solidarietà vissuta dalla comunità
vietnamita della città verso i “fraDal 10 al 14 settembre scorsi ho telli” (circa 40.000 ormai dopo i
avuto il privilegio di accompagna- primi arrivi degli emigrati dopo la
re S.E. Mons. Cordes mentre si caduta di Saigon del 1975) di New
recava a New Orleans e Baton Orleans. E ho sentito i racconti di
Rouge per esprimere la vicinanza una ostetrica dell’Ospedale
e la solidarietà del Papa alle vitti- “Nostra Signora del Lago”, una
me: dal portellone dell’enorme istituzione non-profit, con 700
CH 53 Sikorsky della marina Usa letti, che riferiva di infermiere e
personale che da New Orleans
La Fondazione AVSI
hanno trasferito sulle loro vetture
(Associazione Volontari per il
private malati e bambini, perfino
Servizio Internazionale) è
una prematura di poco più di un
un’organizzazione non goverchilo che è stata rimessa nell’innativa senza scopo di lucro
cubatrice dopo 70 km di strada.
nata nel 1972 e impegnata in
Oppure la testimonianza di una
progetti internazionali di coosuora di un ospizio per anziani,
perazione allo sviluppo. Ad
che raccontava come nel giro di
oggi è presente in Africa,
due giorni sono riusciti a trasferiAmerica, Medio Oriente ed Est
re più di 300 persone non-autoEuropeo.
sufficienti in quattro ospizi diversi sparsi nella Louisiana.
Ovviamente il numero dei morti è
difficile da dimenticare. Come
anche i racconti dei vari trasferimenti in fretta e furia che hanno
separato i bambini dalle proprie
mamme, verso destinazioni lontane, soprattutto per chi non
aveva parenti o amici cui appoggiarsi nelle zone limitrofe o semplicemente mezzi privati per fuggire. I sopravvissuti vogliono
rientrare, tornare a casa. Anche
quelli che hanno perso tutto di
quel poco che avevano. Quello che
mi ha maggiormente colpito è
stata la conferma, guardando i
volti delle persone cui mons.
Cordes si rivolgeva, che ciò di cui
tutti hanno smisuratamente bisogno e che più corrisponde alle
condizioni di ciascuno, facili o
difficili che siano, è la carità: il
dono di sé commosso per un ideale intravisto vero. I pallets di alimenti o l’organizzazione per la
distribuzione e il soccorso ci
vogliono eccome, ma solo l’essere
guardati ed abbracciati nel proprio destino fa veramente la differenza.
Le polemiche riguardanti il
ritardo nei soccorsi e la cattiva organizzazione della protezione civile americana
sono fondate?
Il dibattito, le accuse sui ritardi
nell’intervento, sulla complementarità e le competenze tra gli enti
statali e federali, sul disinteresse
verso le fasce marginali c’è stato,
c’è. Qui in America, però, sembra
relegato a tema per gli articoli dei
giornali o ai circoli governativi. È
come se in realtà non c’entri con
la vita di ogni giorno; non ha fermato e non ferma l’iniziativa della
“società civile”. Più che la poderosa ed esuberante macchina civile
e militare che si è messa in moto e
più che gli stanziamenti finanziari, mi impressiona vedere in azione l’indomita volontà di riprendere, di ricostruire, di intraprendere, di rischiare, di non risparmiarsi.
trasferiti ad AVSI-USA a sostegno
del suo programma di interventi.
Più che a fornire generi di prima
necessità, per evitare sovrapposizioni, AVSI-USA sta impiegando i
fondi raccolti per aiutare gli sfollati ad avere un’adeguata sistemazione abitativa, principalmente a
Baton Rouge e Laplace, dove si
sono rifugiati da New Orleans, e a
Houston e Plano in Texas.
L’iniziativa sostiene anche le
famiglie che hanno accolto in casa
gli sfollati, aiutando questi ultimi
a trovare un lavoro e, soprattutto,
permettendo ai giovani di continuare a studiare presso nuove
scuole. In sintesi, un’iniziativa sul
medio periodo che vuole aiutare
le persone colpite dalla furia dell’uragano Katrina a ricostruire
Come AVSI ha intenzione di una vita “normale”.
muoversi per contribuire
Daniele Valerin
alle opere di assistenza alla
Conto corrente per le donazioni:
popolazione colpita?
Credito Artigiano
Sede Milano Stelline
Di fronte a questa catastrofe la
Conto corrente n° 000000005000
Fondazione AVSI, facendo prointestato AVSI
prio l’appello del Papa e risponABI: 03512- CAB 01614 - CIN Z
dendo alla disponibilità di tanti
Causale: “Emergenza uragano
suoi sostenitori, ha lanciato una
Katrina”
raccolta fondi anche in Italia.
IBAN IT 68
Tale campagna si affianca a quelZ0351201614000000005000
la che AVSI-USA ha avviato negli
BIC (Swift code) ARTIITM2
Stati Uniti nei giorni immediatamente successivi alla catastrofe. I Donazioni possibili anche tramite il
sito www.avsi.org
fondi raccolti in Italia verranno
STRIKE - OTTOBRE 2005
pag. 7
Gaza e il dilemma di Abu Mazen
Le priorità della palestina all’indomani del ritiro di Israele
Nessuno ci avrebbe scommesso.
E invece è accaduto. Eravamo
stati abituati a considerare la questione come una malattia cronica
che, per quante cure si fossero
adottate, non sarebbe mai migliorata. E invece abbiamo assistito
ad una rigenerante boccata d’ossigeno. È accaduto che le colonie
ebraiche sono state sgomberate
dalla striscia di Gaza trent’anni
dopo la vittoria sull’Egitto: un
evento di portata storica, perché
costituisce un passo decisivo
verso la risoluzione di un conflitto, quello israelo-palestinese, che
ha insanguinato, e tutt’ora insanguina, il Medio Oriente da oltre
mezzo secolo. Disinnescando una
delle ragioni del terrorismo islamico - l’occupazione ebraica in
territorio palestinese - il governo
israeliano ha mostrato segni concreti della sua volontà di porre
fine alla guerra.
Ora la mossa decisiva tocca
all’Autorità Nazionale Palestinese
di Abu Mazen, che si trova in difficoltà a gestire una “tregua”
attuata per esclusivi meriti del
governo di Tel-Aviv. Il primo
compito è quello di controllare
gli estremisti di Hamas (che ha
promesso che ciò che accaduto è
il primo passo verso la cacciata
degli ebrei dalla Palestina), sempre più irrequieti e insofferenti ai
richiami all’ordine. Insomma, il
problema cruciale or
a per i palestinesi è vincere la
sfida della pace. Sfortunatamente
in questi ultimi tempi parecchi
segnali ci indicano che questa
importante sfida potrebbe essere
perduta. Il primo segnale è l’incendio delle sinagoghe presenti
nella Striscia da parte degli
arabo-palestinesi. Gli ebrei hanno
distrutto le loro case ma non
rivelata tale. L’incendio delle
sinagoghe dimostra come il problema territoriale sia soltanto
uno specchietto per le allodole
(europee), e di come la componente religiosa sia sempre più
se in qualcosa che ricorda molto
da vicino lo stile di Al-Qaida: il
rapimento di un israeliano e la
sua esecuzione mostrati in un
video (il confronto con quanto
avviene in Iraq è inevitabile),
che sta diventando sempre più un
problema interno palestinese
piuttosto che israeliano e che
quindi sia compito di Abu Mazen
esercitare quella forma di controllo e prevenzione atta a contrastare il sorgere di progetti terroristici che avrebbero il solo scopo di
far ritornare i tanks israeliani nei
Territori.
Non bisogna dimenticare che
anche Hamas è una delle formazioni che concorrono alla prossima spartizione di potere all’interno dell’ANP e per questo agisce
anche in termini di ricerca del
consenso, prova ne è che mentre
nella Striscia sono diminuiti gli
attacchi, in Cisgiordania Hamas
ha aumentato la sua presenza,
costringendo Israele a maxiretate
e raid aerei mirati. Quanto sta
avvenendo, pur con i suoi risvolti
drammatici e violenti, testimonia
comunque che qualcosa sta cambiando in meglio. S
e non si è ancora giunti alla pace,
lo situazione attuale è sicuramente preferibile a quello stato di cronica rassegnazione cui eravamo
abituati. La speranza è che questo
cambiamento sia progressivo e
duraturo.
Daniele Meneghini
Bambini giocano vicino al “Muro”
potevano distruggere i simboli del
loro culto e della loro identità.
Dopo averle svuotate dei loro preziosi e dei loro oggetti sacri, le
hanno lasciate alla clemenza del
“nemico”, clemenza che non si è
protagonista all’interno del conflitto. Un ulteriore segnale “premonitore” è la ripresa degli attentati suicidi, con conseguenti
risposte israeliane, e una trasformazione del terrorismo palestine-
avvenuti a fine settembre, ne
mostrano la rapida evoluzione.
Quanto sta avvenendo rende evidente il fatto che questo conflitto,
dal punto di vista di Tel-Aviv, si
sta “esternalizzando”, nel senso
Prove di democrazia in Egitto
Lo scontato trionfo di Mubarak e la vittoria morale di Ayman
“Per la prima volta nella loro plurimillenaria storia gli egiziani sceglieranno il loro faraone”: così
scriveva Magdi Allam sul
Corriere della Sera il giorno
prima delle storiche elezioni in
Egitto del 7 settembre 2005.
Storiche perché per la prima volta
gli egiziani sono stati chiamati
alle urne non più per esprimere
un sì o un no (le rielezioni di
Hosni Mubarak, 77 anni e da 24
presidente, si sono sempre svolte
in precedenza nella forma del
referendum, dal momento che
non era ammessa la competizione
nelle elezioni presidenziali), ma
per scegliere tra dieci candidati il
proprio presidente.
Il vento democratico che soffia in
Medio Oriente, dal Libano
all’Anp, dall’Afghanistan all’Iraq,
ma soprattutto le sollecitazioni
americane ad intraprendere riforme democratiche, hanno spinto il
Hosni Mubarak
vecchio presidente a mettersi in
gioco, formulando per la prima
volta un programma ed esponendosi alle critiche. Lo ha fatto
secondo le proprie regole che
fanno storcere il naso a chi è abituato a feroci polemiche sul
minutaggio in televisione dei
politici. In particolare ha impedito agli osservatori internazionali
di vigilare sulla correttezza dei
conteggi (eppure i propri osservatori li aveva mandati in Palestina,
in occasione delle elezioni presidenziali palestinesi), ha messo a
disposizione autobus nelle campagne (dove il consenso per lui è
molto forte e non si conoscono gli
altri candidati) per portare la
gente ai seggi e altri numerosi
brogli denunciati da oppositori e
Ong.
Il 7 settembre dei 32 milioni di
egiziani aventi il diritto di votare
si sono recati ai seggi solo il 23%,
un’affluenza bassa anche per chi
in questi mesi ha parlato di sete
democratica nel mondo arabo.
Nessuna sorpresa, il popolarissi-
mo Mubarak ha ottenuto l’88%
dei voti. Sconfitto alle elezioni ma
vincitore morale è Ayman Nour,
avvocato 41enne, presidente del
neonato partito liberale Al Ghad
(Il domani) e forte oppositore di
Mubarak, che ha ottenuto poco
meno del 10% dei consensi. I
giorni antecedenti al voto aveva
dichiarato che, senza brogli,
sarebbe andato al ballottaggio
con Mubarak: in realtà è già stato
un buon risultato superare il
terzo candidato Noaman Gomaa,
70 anni, del Wafd, il più antico
partito egiziano (protagonista
della lotta anticoloniale nella
prima metà del secolo scorso).
Se le presidenziali non davano
certo dubbi sul proprio esito, la
battaglia per gli oppositori di
Mubarak è rimandata a novembre quando si terranno le elezioni
per
i
rappresentanti
all’Assemblea Nazionale nelle
quali si prospetta, grazie a questo
assaggio di democrazia, una rappresentanza
dell’opposizione
molto più significativa dell’attuale (il partito al governo detiene il
95% dei seggi).
Intanto Mubarak, che nei manifesti che continuano a tappezzare Il
Cairo appare sempre molto più
giovane di quanto sia in realtà
(qui forse sta la più grande somiglianza con la democrazia italiana), ha prestato giuramento ed ha
poi fatto ritorno alla residenza
presidenziale, per esserne illustre
inquilino ancora per altri 6 anni,
ad Allah piacendo.
Amir Tewfik
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