l METODOLOGIA
Elena Firpo, Laura Sanfelici
LI.LO - Lingua Italiana e Lingua di Origine
pag. 2
Oriele Orlando
Basic English, New-Economy, Diplomazia Culturale e diffusione
della lingua e cultura italiana nell’UE
Giuseppe Maugeri, Silvia Scolaro
Segnali di qualità nell’insegnamento dell’italiano in Cina:
un caso esemplare *
Sara Lis Ventura
Insegnare italiano in Corea: il gioco come arma per far breccia
nel silenzio
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l ITALIANO L2 IN ITALIA
Luca Di Dio
* Un modello «umanistico» per l’inclusione. Parte II: la normativa
come risorsa, tra ricchezza ideale e limiti applicativi *
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Barbara Gramegna
Italiano L2 in Provincia di Bolzano: di cosa stiamo parlando oggi?
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l LIBRI E RIVISTE
– Siena
– Itals
– Globes
– Dante Alighieri
– Perugia
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I n d i c e Nr. 31-32
l ITALIANO LS NEL MONDO
* I saggi marcati da un asterisco sono stati sottoposti a procedura di referato.
LI.LO - Lingua Italiana
e Lingua di Origine
Metodologia
Elena Firpo e Laura Sanfelici
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La realtà della scuola italiana, basata sostanzialmente su un sistema pubblico di istruzione, sta attraversando un periodo di grandi cambiamenti, dovuti sia alla crisi economica globale, sia all’aumento di classi popolate sempre più da alunni provenienti da
paesi non italiani, sia europei ma soprattutto extracomunitari.
In base alle ultime elaborazioni pubblicate nel 2014 dal Servizio Statistico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nelle scuole il numero degli alunni
con cittadinanza non italiana nati in Italia ha superato il dato degli alunni stranieri
di recente immigrazione (51,7%), dando luogo al fenomeno che lo stesso Ministero ha
definito “il sorpasso”.
I dati sui risultati scolastici degli alunni stranieri e sulla scelta dell’indirizzo di scuola
secondaria di secondo grado, tuttavia, non sono incoraggianti: da un lato evidenziano
risultati inferiori a quelli degli studenti italiani, dall’altro mostrano, alla fine del ciclo di
scuola secondaria di primo grado, una scarsa propensione verso gli studi a lungo termine. Attualmente gli insegnanti devono integrare nelle loro aule non soltanto alunni di
recente immigrazione, che sviluppano rapidamente le abilità di superficie e iniziano a
maturare la lingua dello studio, ma soprattutto devono cercare nuove strategie e risorse
per promuovere la proficiency scolastica di molti alunni stranieri di seconda generazione
che, nonostante siano nati e scolarizzati in Italia, hanno mediamente risultati scolastici
non adeguati. Nonostante la politica linguistica italiana ed europea preveda lo sviluppo
del bilinguismo e il mantenimento della lingua di origine, è stato rilevato che, laddove la
lingua madre non sia adeguatamente compartita, anche lo sviluppo linguistico di una L2
o di una lingua dominante non è armonico (Baker 1993; Cummins 1979).
Inoltre, il documento di lavoro della Commissione Results of the consultation on the
education of children from a migrant background (5 agosto 2009), oltre a mettere in
risalto l’importanza della lingua del paese d’accoglienza, sottolinea il supporto fondamentale che il paese di accoglienza può fornire all’alunno immigrato attraverso il
mantenimento della heritage language nel settore educativo.
Nella scuola multiculturale e plurilingue devono essere diffuse, in generale alcune consapevolezze e qualche attenzione linguistica e pedagogica (Favaro 2011). I bisogni
linguistici in L2, a cui il Ministero fa riferimento con il Piano Nazionale L2 del 2008, non
vanno sottovalutati. Potenziare l’apprendimento dell’italiano è necessario, soprattutto, come indica il documento, per i NAI o per coloro inseriti a scuola da meno di due
anni. Al tempo stesso c’è però anche la necessità di lavorare sulle competenze orali e
scritte nella lingua d’origine. La consapevolezza che la conoscenza della lingua d’origine è un arricchimento e non un ostacolo all’apprendimento della L2 non è un dato
scontato. Vi è la necessità di sostenere e rassicurare i genitori immigrati nell’uso della
lingua materna con i loro figli. Soprattutto nella prima fase migratoria, infatti, in un’ottica assimilazionista, alle famiglie veniva caldamente raccomandato l’uso dell’italiano
in casa. La necessità è quella di avvicinare politiche educative e mondo della scuola,
perché non di rado sussiste uno scollamento fra la norma e la pratica scolastica. E’ op-
portuno implementare la comunicazione e collaborazione tra scuola e territorio. Sarà
così possibile arrivare alla costruzione di una comunità scolastica più aperta, da un
lato, e dall’altro di una società più attenta ai bisogni educativi che non devono essere
delegati soltanto alla scuola.
In
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1. Il progetto LI.LO
Queste premesse hanno portato all’elaborazione del progetto LI.LO, acronimo di Lingua Italiana e Lingua di Origine, rivolto agli alunni di lingua d’origine ispanofona della
scuola secondaria di primo grado. Nello screening iniziale, per quanto riguarda l’aspetto
linguistico, si è appurato che le medie degli studenti italiani sono superiori a quelle
degli alunni ispanofoni di seconda generazione. Per questi ultimi, però, l’italiano
dello studio è la lingua nella quale la performance è più alta. I punti di maggiore
criticità emergono nelle abilità di comprensione in lingua spagnola ma soprattutto
nella sezione uso della lingua in spagnolo e, più precisamente, nella parte di produzione scritta. Questo dato supporta l’ipotesi che negli studenti in oggetto non
vi sia un bilinguismo bilanciato, ma che la lingua di origine sia usata soltanto nella
sfera familiare e che non vi sia academic proficiency. Dopo un’attenta analisi delle
biografie linguistiche e dei bisogni linguistico-comunicativi di ciascun alunno tramite un questionario di screening e analisi dai dati il progetto è proseguito con la
creazione di un corso rivolto alle lingue di studio (italiano e spagnolo). Il corso ha come
obiettivo lo sviluppo, attraverso l’uso delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), di quella che nella letteratura specializzata è definita Cognitive Academic
Language Proficiency (CALP). Per CALP si intende l’abilità di manipolare la lingua e i
concetti più astratti in modo sofisticato, generalmente in un contesto accademico e di
studio (Cummins 1979). La CALP, quindi, è l’abilità di pensare e di usare la lingua come
strumento per l’apprendimento.
Lo scopo principale del corso è sviluppare abilità linguistiche e cognitive in entrambe
le lingue. L’obiettivo secondario è quello di sviluppare quelle competenze informatiche che risultano lacunose nell’ambito dello studio, ma che gli studenti desiderano
imparare. La metodologia adottata per il corso è la modalità blended, dove la parte a
distanza è svolta sia attraverso l’uso di una piattaforma didattica, sia attraverso l’utilizzo di programmi liberi fruibili in rete e adatti per la didattica e quella in presenza è
svolta in laboratorio informatico.
2. LI.LO e l’approccio lessicale
Avendo rilevato che il punto di forza degli studenti in entrambe le lingue riguardava
la sezione del test dedicato ai Linguaggi, si è deciso di utilizzare l’approccio lessicale
come riferimento teorico/metodologico (Lewis 1993; Lewis 1997).
Come afferma Cardona (2009), nel caso invece dell’apprendimento di chunks, si crea
la necessità di adottare il paradigma osservare/ipotizzare/sperimentare. Nel caso di
LI.LO, partendo dall’osservazione dei chunks presenti in un testo di tipo disciplinare è
possibile, attraverso tecniche induttive, comprendere la struttura, il funzionamento e,
contemporaneamente sviluppare strategie cognitive rivolte in un primo momento alla
comprensione del testo e, in un secondo momento, alla rielaborazione dei concetti e
dei contenuti, con l’obiettivo di sviluppare l’abilità di produzione scritta. In tal modo si
creano le condizioni non solo per la loro acquisizione, ma soprattutto per il loro riutiliz-
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zo in fase produttiva. Giovanni Freddi (2003) propone un corpus di strategie e attività
didattiche riprese da Serra Borneto. Tali strategie di processazione del lessico sono:
strategie di ripetizione, strategie di elaborazione, strategie di strutturazione. Si espone sinteticamente di seguito come queste sono state applicate al progetto LI.LO.
3. Strategie di ripetizione
Si tratta fondamentalmente di imparare vocaboli a memoria e/o ripetere i vocaboli a
voce alta. In LI.LO questo procedimento meccanico è stato preceduto da esercizi di
tipo fonetico con l’obiettivo di disambiguare i suoni nelle due lingue, soprattutto quelli
più difficili (c, g, j ecc.). Una volta individuati i suoni, agli alunni sono stati proposti
esercizi di dettato fonetico e di ripetizione ad alta voce di vocaboli. Questi esercizi
sono stati propedeutici alle attività di produzione scritta.
4. Strategie di elaborazione
Rivista In.it
Consistono nella manipolazione del materiale da apprendere in modo da coinvolgere
l’aspetto cognitivo del discente. Le strategie di elaborazione richiedono la partecipazione attiva dello studente. Nel progetto LI.LO, per portare gli alunni a espletare determinate operazioni mentali utili all’integrazione della struttura cognitiva, sono stati
creati esercizi ad hoc quali:
- Esercizi di associazione (immagine/parola; parola/significato; campi semantici).
- Esercizi di contestualizzazione (cloze, ricostruzione di testi).
- Esercizi di confronto e contrasto (trovare i sinonimi o i contrari, confronto interlinguistico fra l’italiano e la lingua d’origine. Il confronto viene effettuato attraverso il
metodo contrastivo che implica distinguere, separare gli oggetti e il lessico nella
memoria. Per far ciò le due lingue, inizialmente, non vengono presentate contemporaneamente. Solo in un secondo momento, nella fase di sintesi, le lingue vengono
messe a confronto).
- Esercizi di visualizzazione (uso di video, immagini legate a concetti e parole
chiave).
5. Strategie di strutturazione
Sono utili per organizzare, sistematizzare e strutturare i significati secondo vari criteri.
In LI.LO sono state svolte le seguenti attività:
- Le mappe concettuali sono state utilizzate per individuare e strutturare i concetti
in maniera gerarchica e per fornire ai discenti non solo competenze linguistiche ma
anche abilità di studio.
- Costruzione di campi semantici e/o raggruppamento di parole secondo caratteri
semantici. Questi esercizi sono stati molto utili come attività propedeutiche per
impostare l’attività di produzione scritta.
- Esercizi di contestualizzazione del lessico appreso. Per svolgere un’attività di breve
produzione scritta, uso della lingua e rielaborazione del lessico appreso, è stato
utilizzato un programma di cartoni animati.
6. LI.LO e CLIL: convergenze e divergenze
All’interno del corso LI.LO la metodologia CLIL è stata molto utile e ha fornito indicazioni fondamentali. Nonostante ciò tra LI.LO e CLIL vi sono alcune convergenze
ma anche divergenze. Fra le convergenze tra LI.LO. e CLIL si riscontra l’attenzione
al content integrated learning. Inoltre è costante l’attenzione al lessico disciplinare,
all’approccio comunicativo, alla consapevolezza interculturale, al confronto con le TIC
(Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). Un altro punto di convergenza
è la sinergia con la programmazione curricolare. Sono stati coinvolti gli insegnanti dei
diversi consigli di classe che hanno fornito indicazioni sullo svolgimento del programma. Si è pertanto cercato di creare materiali inerenti ai contenuti disciplinari rispettando la tempistica della programmazione curricolare.
La maggior divergenza risiede nella natura che per questi ragazzi riveste lo spagnolo:
non stiamo più parlando dello studio di una Lingua Straniera ma di una lingua d’origine, di cui posseggono le surface skills ma non le abilità dello studio, sia come lessico
sia come variante diafasica in base al contesto comunicativo. Nella produzione orale
tendono a usare i sentence frames or heads (Lewis 1993), cioè le frasi per strutturare
il testo, dell’italiano. La produzione scritta è quasi totalmente assente, anche per le
BICS, ovvero le Basic Interpersonal Communicative Skills (Cummins 1979). La divergenza maggiore tra LI.LO e CLIL è il lavoro in parallelo su uno stesso argomento nelle
due lingue. In ambiente LI.LO la stessa lezione è proposta sia in italiano che in spagnolo, ed è per questo che si è ritenuto idoneo un approccio di tipo contrastivo.
E’ opportuno sottolineare che gli studenti di LI.LO non hanno mai studiato spagnolo
come lingua straniera nel contesto scolastico italiano.
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7. Conclusioni
I risultati quantitativi dell’analisi della seconda fase hanno evidenziato che il corso
LI.LO è stato utile per sviluppare la lingua dello studio nelle abilità di comprensione
in entrambe le lingue e nelle abilità di uso della lingua, specialmente nella lingua italiana.
Dall’ analisi qualitativa sono emersi spunti interessanti. Innanzitutto gli studenti che
hanno partecipato al corso hanno espresso una valutazione positiva sia degli apprendimenti che dell’insegnamento. All’interno del gruppo è aumentata la consapevolezza
sul funzionamento delle due lingue, sul valore del proprio bilinguismo e sull’autostima.
Uno degli obiettivi principali del docente è quello di motivare prima ancora di insegnare: senza motivazione, non si potrà certamente compiere fino in fondo l’iter di acquisizione linguistica, poiché è l’interesse dello studente che esercita in primo luogo la
spinta per il processo cognitivo (Calvi 1995).
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Bibliografia
Baker, C., 1993, Foundations of Bilingual Education and Bilingualism. Clevedon,
England, Multilingual Matters.
Calvi M., 1995, Didattica di lingue affini. Spagnolo e Italiano, Milano, Guerini.
C������
ummins, J.,1979, “Cognitive/academic language proficiency, linguistic interdependence,
the optimum age question and some other matters”, in Working Papers on
Bilingualism, n. 19, 121-129
Favaro, G. 2011, A scuola nessuno è straniero. Firenze, Giunti.
Freddi, G. 2003. “Il lexical approach nel quadro della glottodidattica contemporanea”,
RILA, n. 1,2, Bulzoni, Roma.
Lewis, M., 1993, The Lexical Approach, Hove, Language Teaching Publications.
Lewis, M., 1997, Implementing the Lexical Approach, Hove, Language Teaching Publications.
Sitografia
Rivista In.it
Commission of European Communities, (2009) Results of the consultation on the education of children from a migrant background, reperibile su http://www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/commission_europeenne/sec/2009/1115/
COM_SEC%282009%291115_EN.pdf ultima consultazione 23/01/2015.
Cardona, M., 2009, L’insegnamento e apprendimento del lessico in ambiente CLIL.
Il CLIL e l’approccio lessicale. Alcune riflessioni, in Studi di Glottodidattica, n. 2,
reperibile su http://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/
cardona_lapprendimento_del_lessico_in_clil.pdf ultima consultazione 23/01/2015.
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The reflections displayed revolve around the concepts that make up the title. They clarify the
importance given to multilingualism in European documents, which put multilingual and multicultural education competences as an essential component to citizenship, a basic element of
language policy in most documents of the European Council, in a perspective that is proper: the
defense of rights and the creation of foundations for a renewed and sustained dialogue among
people through the developing of mutual knowledge of languages by recognizing and protecting
the rights of speakers of European languages. In the next step the concept of multilingualism
and the principles stated in documents opposed to the proactive policies of recent years will be
illustrated and how they have damaged the promotion of the Italian language, even for the MAE
(Ministry of Foreign Affairs) policies, with the subsequent announcement of the closure of the
Departments of Italian studies of the Universities of Barcelona and of Saarland.
1. Le politiche linguistiche dell’Unione Europea
Le politiche linguistiche dell’UE si sviluppano all’interno del quadro di riferimento dell’European Cultural Convention del 1954, ratificata da 49 Stati e finalizzata alla promozione della diversità linguistica e all’apprendimento linguistico. Politiche trattate
sin da subito in stretta relazione con i fenomeni politici, economici, sociali e culturali
perché legati alla mobilità dei cittadini al fine di costituire l’identità comune europea
declamata nei documenti. Alle lingue si riconosce un ruolo rilevante nella crescita cognitiva e psicologica degli individui considerate una delle componenti di identità collettiva e individuale. Assunzione di base è il riconoscimento dell’esistenza in Europa
di una varietà di lingue, come celebra Hagège nella nota definizione, quando descrive
l’Europa come “un humus di idiomi innumerevoli, diversi, aggrovigliati lungo la storia
caotica degli uomini”.
Nasce il bisogno di interventi specifici affinché i sistemi scolastici e formativi e gli
strumenti di educazione linguistica tengano conto di questa diversità che è linguistica e culturale. Vengono promossi continui progetti di ricerca e avviate una serie
di riflessioni e sperimentazioni sistematiche riguardanti l’apprendimento e l’insegna-
L’ITLAIANO LS NEL MONDO
Abstract – Le riflessioni esposte gravitano attorno ai concetti che ne compongono il titolo. In via
preliminare si chiarisce l’importanza attribuita al plurilinguismo nei documenti europei tanto da
porre la competenza plurilingue e pluriculturale come componente essenziale dell’educazione
alla cittadinanza, un elemento di base delle politiche linguistiche nei documenti del Consiglio
d’Europa in un’ottica che gli è propria: la difesa dei diritti e il voler creare le basi per un rinnovato
e duraturo dialogo tra i popoli attraverso lo sviluppo della conoscenza reciproca delle lingue riconoscendo e salvaguardando i diritti dei parlanti delle diverse lingue europee. Sarà in secondo
luogo illustrato quanto al concetto di plurilinguismo e ai principi ribaditi a più riprese dai documenti si contrappongano le fattive politiche degli ultimi anni che danneggiano la promozione
della lingua italiana, anche per le politiche del MAE, con il conseguente annuncio della chiusura
dei Dipartimenti di Italianistica delle università di Barcellona e del Saarland.
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Oriele Orlando
Basic English, New-Economy, Diplomazia Culturale e diffusione della lingua e cultura
italiana nell’UE
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L’italiano LS nel mondo
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mento delle lingue a livello europeo proprio per consentire la costruzione dell’identità
europea. Non a caso nel processo di unificazione e integrazione europea la sfida è
proprio quella di integrare la valorizzazione della varietà sorprendente di lingue, culture, tradizioni, storia, organizzazioni, istituzioni ed esaltare i valori storici, linguistici,
ambientali comuni.
Nonostante questa prospettiva, il significato del plurilinguismo e di conseguenza l’importanza cruciale della valorizzazione e del mantenimento dei patrimoni linguistici è
un dibattito che sembra essere stato rimosso o assunto da una minoranza di docenti e
studiosi. I riferimenti legislativi, le dichiarazioni di principio e gli orientamenti espressi nei documenti, non sono adeguatamente realizzati, si accusa dunque un significativo ritardo nel tradurre le linee guida della normativa in misure concrete di valorizzazione e di mantenimento dei repertori presenti in UE. Fattori diversi, vincoli e limiti
di varia natura – culturali, politici e sociali, finanziari ed organizzativi – si intersecano
e mettono in evidenza come l’alfabetizzazione e o la salvaguardia delle diverse L1,
lingue spesso ignorate se non svalorizzate, sia un processo complesso che richiede un
investimento progettuale e sistemico a medio e lungo termine. Abitare le parole della
lingue materne resta quindi una sfida complessa e plurale per l’Europa.
Se si desidera completare il processo di democrazia tra i Paesi dell’UE, tendere concretamente verso l’unità politica e la crescita dei livelli di istruzione è necessario che
si continui a costruire la comunanza di lingua, condizione fondante di vita della pólis
come ci ricorda nella sua ultima fatica Tullio De Mauro in cui affronta cronologie, mutamenti, contaminazioni, aspetti geopolitici. Lo studioso riconosce che l’Europa è storicamente un’entità multilingue, che la questione della lingua nell’UE non riguarda solo
gli aspetti istituzionali e burocratici, bensì è una questione di democrazia, essendo
difficile costruire una comunità politica democratica se i suoi cittadini non dispongono
di una lingua comune, ribadendo quanto già da tempo in più occasioni ha affermato,
vale a dire che la questione linguistica è un problema che riguarda la cultura e che
investe l’istruzione, mentre gli Stati e l’Europa nel suo insieme se ne disinteressano
totalmente. Ambendo creare concretamente la federazione di Stati, bisogna che ci sia
quindi un terreno linguistico comune partendo dalla prossimità grammaticale e lessicale e da quel fondo di vocabolario comune individuato dal linguista francese Antoine
Meillet e che deriva in gran parte dal latino e dal greco.
2. Diplomazia Culturale del Ministero degli Affari Esteri e Identità Nazionale
Jean Monet, padre dell’unificazione dell’Europa, negli anni ‘60 affermò che, se fosse
stato possibile ricominciare il processo di integrazione dell’Europa, avrebbe preferito
ripartire dalla cultura, piuttosto che dal carbone e dall’acciaio. Si era reso conto che
quello culturale era il primo e principale collante, capace di facilitare e favorire l’integrazione fra i popoli. Non a caso i fattori che determinano ed impongono ad uno
Stato moderno la necessità di avere e attuare con tempismo e con mezzi adeguati la
politica estera sono tanti e vari, tra questi è ineludibile e necessario considerare la
cultura come uno dei fattori determinanti, assieme a quello geo-politico, economico e
militare, della politica estera che può e deve svolgere un Paese. Infatti la dimensione
culturale e quella della ricerca scientifica costituiscono una componente fondamentale
della politica estera di ogni Paese. L’impiego di risorse in questi ambiti rappresenta un
investimento perché può dare risultati ben superiori all’entità degli esborsi e recare
beneficio al Paese nel suo complesso, non solo in termini di immagine, ma anche di
specifici e concreti interessi economici.
La Repubblica italiana promuove la diffusione all’estero della cultura e della lingua
italiana, per contribuire allo sviluppo della reciproca conoscenza e della cooperazione
culturale fra i popoli, nel quadro dei rapporti che l’Italia intrattiene con gli altri Stati.
Il Ministero degli Affari Esteri è organo di attuazione della politica estera e può essere
descritto come un’azienda erogatrice di una vastissima gamma di servizi, produttrice
di valore aggiunto sociale e depositaria della protezione e promozione degli interessi
dell’Italia nel Mondo, cura i rapporti con gli altri Stati e con le Organizzazioni Internazionali e Sovranazionali oltre che sovrintendere all’attività consolare e diplomatica. Sul
piano multilaterale, il Ministero opera attivamente nell’UE per la realizzazione della
dimensione culturale e dell’istruzione su scala anche sovranazionale, nel Consiglio
d’Europa e in seno all’UNESCO per la diffusione dell’educazione, della cultura e delle
scienze nel mondo. All’interno della struttura del MAE, opera la Direzione Generale
per la Promozione e Cooperazione che ha il compito di promuovere la cultura e la lingua italiana nel mondo quale parte integrante della politica estera del MAE.
Particolare importanza rivestono anche i Lettorati presso Università straniere ed i Dipartimenti di italianistica all’interno di Università straniere e l’Italian Academy di New York.
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2.1 La promozione della lingua italiana
Il percorso della promozione della lingua italiana nel mondo è stato lungo e impervio, pieno di perigli come scriverebbero Ariosto, Tasso e Manzoni. Già dal Medioevo,
l’eloquenza del volgare italiano riscuote rispettabilità fuori dai confini della penisola,
principalmente nelle cerchie elitarie della società, quelle che potevano studiare, leggere la letteratura, apprezzare, finanziare l’arte e la musica. Ciononostante la maggior
diffusione della lingua e della cultura italiana è avvenuta in tempi relativamente recenti. I più grandi ambasciatori sono stati, in modo inconsapevole, i 27 milioni di italiani
che emigrarono in tutto il mondo. I numeri di emigrati che a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento si distribuì, nell’arco di un secolo, prevalentemente tra l’Europa, le
Americhe e l’Australia, alla ricerca di un lavoro che le condizioni indigenti dell’Italia
non potevano offrire, sono paragonati dagli storici a quelli dei caduti di una guerra.
Gramsci parlò addirittura di emorragia sociale. Nel bene e nel male sono stati loro che
hanno diffuso la nostra cultura, i dialetti, l’italiano. Tuttavia, “a questo insieme di fattori positivi ai fini dell’espansione dell’italiano nel mondo non corrisponde un’azione
organica di sostegno da parte dello Stato italiano.”
Concetto parafrasato dall’Art. 2 della legge del 22 dicembre 1990, n. 401.
L’attività Culturale della DGPC si realizza attraverso: gli accordi di collaborazione
culturale e scientifica; rilancio della cooperazione scientifica e tecnologica tramite gli
uffici degli addetti scientifici presso le Ambasciate; realizzazione ad opera degli Istituti
Italiani di Cultura di grandi manifestazioni che promuovono l’Italia, il patrimonio dell’arte,
dello spettacolo e dell’industria culturale; collaborazione con il Ministero per i Beni e le
Attività culturali, con il Dipartimento per lo Spettacolo del Consiglio dei Ministri, con
Istituti e Accademie, per il potenziamento dei servizi della rete diplomatica e contribuisce
alla diffusione della cultura italiana oltre a sostenere le missioni archeologiche italiane
all’estero e al recupero delle opere d’arte trafugate o esportate illecitamente; diffusione della
lingua italiana attraverso le scuole sia italiane che straniere con sezioni italiane all’estero,
nonché con corsi di lingua e cultura italiana all’estero. Su richiesta di un’utenza italiana
ormai stabilizzata, viene inoltre perseguita, in contatto con le autorità locali, l’istituzione
di sezioni bilingue nelle Scuole straniere e di sezioni di italianistica nelle Università.
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Le istituzioni si sono occupate della difesa e diffusione dell’Italiano in tempi recenti,
contrariamente ai modelli e alle politiche culturali di altri Paesi. Nel 1999 il Ministero
degli Affari Esteri commissiona una nuova indagine, diretta da Tullio De Mauro, sullo
stato della lingua italiana nel mondo, dopo quella degli anni Settanta realizzata da
Baldelli. Il confronto tra le indagini rileva differenze sostanziali. Differenze dovute ai
cambiamenti sociali ed economici di cui l’Italia è stata protagonista nei decenni esaminati. Dal 1995 al 2000 gli studenti che fuori dal patrio suol hanno studiato la lingua
italiana sono aumentati di circa il 40%, e inevitabilmente è cresciuta l’offerta formativa
nella maggior parte degli Istituti Italiani di Cultura. La ricerca ha inoltre evidenziato
che i motivi che hanno spinto le persone a studiare l’italiano sono professionali, un
apprendimento strumentale quindi, spendibile in ambito lavorativo, oltre alle motivazioni personali, culturali. Motivi culturali che ben descrivono lo stretto rapporto della
nostra lingua con la sua storia e la sua cultura. Nel mercato globalizzato, nonostante
l’impari concorrenza di una lingua veicolare quale l’inglese, e di spagnolo, francese e
tedesco, l’italiano si colloca tra le prime cinque lingue più studiate al mondo soprattutto come seconda, terza, o quarta LS. Nella giornata REI del 1 Dicembre 2014 il
Presidente Onorario della Crusca ha ricordato che l’Italiano nel mondo globalizzato e
in Europa ha 5 milioni di connazionali all’estero con passaporto (nessun Paese europeo
ha tanti cittadini espatriati) ed 80 milioni gli italo discendenti. La seconda diaspora
mondiale, dopo quella cinese.
Sono molti i segnali della presenza dell’italiano nel mondo e in Europa, ma manca la
capacità di utilizzare il caso italiano nel quadro del multilinguismo, in quanto lingua
minacciata, per coagulare le alleanze tra le lingue altre dall’inglese. La vitalità di tante
lingue, portatrici di ricchezze enormi, rischia di essere appiattita a discapito perfino
della lingua che se ne avvantaggia. La società inglese, infatti, comincia ad avvertire il
danno derivante dal non conoscere altre lingue. L’uso persistente ed esclusivo di una
lingua veicolare rischia di isolare le èlite e dar luogo a un nuovo medioevo. La teoria
sociolinguistica ha dimostrato che nessuna lingua è intrinsecamente superiore alle
altre, ma ciascun codice possiede un’assoluta efficienza rispetto alle esigenze comunicative della comunità di parlanti che lo utilizza; attraverso la lingua i parlanti non
si limitano a trasmettere messaggi di contenuti referenziali, ma elaborano identità
sociali. La lingua “codifica nel suo lessico, nelle strutture grammaticali le esperienze
storiche del gruppo, i valori in cui si riconosce, i suoi schemi del vivere e del pensare,
i modelli culturali, insomma, che segnano e dirigono il suo cammino nella storia,” la
lingua materna è quella con cui impariamo ad orientarci nel mondo, innerva la nostra
vita psicologica, i nostri ricordi, le associazioni, gli schemi mentali. Essa apre le vie al
con-sentire con gli altri e le altre che la parlano ed è dunque la trama della nostra vita
sociale e di relazione, la trama, invisibile e forte, dell’identità di gruppo.
Il titolo della pubblicazione è: Italiano 2000. I pubblici e le motivazioni dell’italiano diffuso
fra stranieri.
In occasione del Semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, si è
svolta a Roma il 1 dicembre, presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari, con il patrocinio
della Camera dei Deputati, la XV Giornata della REI (Rete per l’eccellenza dell’italiano
istituzionale. Titolo della Giornata, presieduta dal prof. Francesco Sabatini, presidente
emerito dell’Accademia della Crusca e presidente onorario del Comitato scientifico della
REI: “L’italiano nel mondo globalizzato: quale presente e quale futuro? La prospettiva
europea”). Le Giornate, che si svolgono in genere a Roma, Bruxelles o Lussemburgo, sono
dedicate alla riflessione su un argomento centrale, dalla qualità dei testi normativi alle
novità del Trattato di Lisbona, alle differenze di genere nell’italiano delle istituzioni.
3. La lingua ci fa diversi. Gli studi di Italianistica che si vogliono cancellare nel
Saarland e all’università di Barcellona
Potrei cominciare così, rovesciando l’esortazione programmatica di don Milani questo
paragrafo. Mentre ero ancora indecisa nello scrivere le prime battute di questo articolo
la mia attenzione è stata catturata dalle notizie riportate su i siti dell’Accademia della
Crusca e dell’ASLI. Il 18 Dicembre c’è stata persino un’interrogazione al Parlamento
italiano riguardo all’annunciata riforma dell’ateneo di Saarbrücken. Chiusura deliberata dalle autorità regionali tedesche e rischia di compromettere l’esistenza di un presidio di eccellenza della cultura italiana all’estero. Siamo in Germania, nel Saarland
e stante ai piani di riorganizzazione presentati dal governo di grande coalizione si
chiede all’università di sviluppare il carattere europeo e di accentuare l’internazionalizzazione della propria offerta formativa, facendo leva tra l’altro sulla posizione geografica della città che è situata nella periferia occidentale della Germania, nel cuore
dell’Europa, a due passi dal Lussemburgo e da Strasburgo. L’attuale pianificazione
economica dell’Università del Saarland – Saarbrücken - prevede la completa scomparsa dell’Italianistica dai programmi accademici: allo stato attuale non si intende rinnovare né la cattedra di letteratura, né quella di linguistica. Eliminando l’italiano dai
corsi di laurea in Romanistica nonché dai corsi di laurea in Linguistica e Letteratura
comparata e Traduzione, l’italiano non sarà più presente in alcun corso di laurea dell‘Università del Saarland. I tagli andranno a colpire un Dipartimento di Italianistica fra
i più noti, che lo Stato italiano ha sostenuto per decenni caricandosi i costi dei lettori
di lingua e cultura italiana e dove sin dal 1979, si redige il LEI, il dizionario del Lessico
Etimologico Italiano finanziato dall’Accademia delle Scienze di Magonza. È in questa
struttura che fanno ricerca tre membri dell’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma
e soci stranieri dell’Accademia della Crusca: il fondatore e direttore del LEI Prof. Max
Pfister, il codirettore e attuale titolare della cattedra di linguistica romanza Prof. Wolfgang Schweickard e il dantista e petrarchista Prof. Karlheinz Stierle. Nel Dipartimento
di Italianistica di Saarbrücken si avvicendano da anni studiosi provenienti da tutti gli
atenei italiani, grandi nomi della linguistica italiana, giovani ricercatori che approfondiscono le ricerche nei cantieri del LEI. I progetti di ricerca da decenni portati avanti
nella città saarlandese - oltre al LEI sono da citare, fra gli altri, il Deonomasticon Italicum e il Dictionnaire Étymologique Roman - vengono realizzati in stretta collaborazione con i colleghi italiani. Ambiti di ricerca affiancati da una vasta offerta didattica.
Il Dipartimento offre, infatti in collaborazione con il Centro Linguistico di Interfacoltà,
diversi corsi di lingua e cultura italiana per studenti di altre facoltà e affianca l’attività
di docenza dell’Istituto per traduttori ed interpreti dell’Università del Saarland. Ma
sono destinati a cessare i corsi di laurea in italiano, la formazione degli insegnanti di
italiano, il corso di laurea in traduzione. Morirà anche, nel medio termine, l’italiano
nelle scuole. Tutto questo in un Land in cui i 18.000 italiani residenti rappresentano la
prima comunità straniera. Muore un centro di eccellenza, che tra l’altro ha portato alla
stessa università del Saarland finanziamenti esterni di svariati milioni di euro.
Progetto avviato nel 1979 per la stesura del dizionario etimologico italiano il LEI (Lessico
Etimologico Italiano) appunto.
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3.1 Articolo 10: Tutte le comunità linguistiche sono eguali in diritto.
La notizia di quanto sta per accadere a Saarbrücken è stato denunciata dalle pagine di
Facebook dell’Accademia della Crusca che nel mese di Luglio 2014 ha anche lanciato
una petizione per evitare la chiusura del Dipartimento, senza che cambiasse nulla nei
fatti. Ma è veramente solo una questione di fondi del Land tedesco? Se così fosse allora sarebbe una ben singolare coincidenza che anche presso l’università di Barcellona.
si vuole chiudere il Dipartimento di Italianistica come denuncia la lettera pubblicata
sul sito dell’ASLI a firma di: Accademia della Crusca, ASLI, SIFR, SLI e l’AItLA. Per
Barcellona si intende chiudere il Dipartimento di Studi romanzi, pertanto si elimineranno i corsi di Filologia Romanza, di Italiano e Portoghese in barba al pluralismo linguistico tanto proclamato.
Eppure in difesa delle lingue nazionali è nata una Federazione! Certo al di là di facili e
superficiali critiche i vantaggi dell’essere parte dell’UE sono innegabili, ma allo stesso
tempo le considerazioni che quanto si vuole far accadere di una Unione con una sola
moneta e una sola lingua desta preoccupazioni. È legittimo chiedersi se sia giusto che
la lingua veicolare per eccellenza, l’inglese, si imponga a scapito di quelle nazionali
che hanno un portato culturale che non deve e non può essere perso. La situazione che
purtroppo si sta delineando è talmente critica al punto che le Accademie e i Centri di
ricerca di 15 Paesi europei si sono riuniti in un organismo sovranazionale con l’obiettivo di difendere il plurilinguismo europeo.
Il nome dell’organismo istituito è Federazione Europea delle Istituzioni Linguistiche
Nazionali, e per l’Italia ne fanno parte l’Accademia della Crusca e l’Opera del Vocabolario Italiano del Cnr. Il primo atto ufficiale della Federazione è stata la stesura di un
documento: la Carta di Mannheim, presentata ai Capi di Stato di tutti i Paesi membri.
Il documento traccia le linee fondamentali di politica linguistica che devono essere
adottate per difendere un futuro europeo plurilinguistico. In esso viene sì riconosciuto
la presenza di una lingua mondiale che si sta sempre più affiancando alle lingue nazionali per funzioni politiche e scientifiche, ma al tempo stesso si è respinta l’idea di
una gerarchia tra le lingue europee, perché come sottolineato dal professor Francesco
Sabatini non esiste una seconda, una terza o una quarta lingua europea più importante dato che ciò comporterebbe la fine delle lingue nazionali. Tra le raccomandazioni
enunciate nella Carta è previsto l’insegnamento di almeno due lingue straniere europee a partire al più tardi dalle scuole elementari. La seconda lingua, definita dallo
scrittore Amin Maalouf la lingua del cuore, deve essere scelta senza imposizioni gerarchiche. L’apprendimento di una terza lingua, scelta liberamente, sostiene Sabatini,
potrà garantire quella dinamicità che è la condizione perché una lingua resti viva. Nel
frattempo l’UE politica-economica ha riproposto che le lingue di lavoro siano: inglese,
francese, tedesco, spagnolo. Gli studiosi costituenti la Federazione hanno invece richiesto che la lingua di lavoro debba essere una, l’inglese, oppure tutte.
Il rischio è che nell’Europa unita si potrebbe verificare una restrizione di ambito d’uso
delle lingue nazionali e una progressiva dialettizzazione delle lingue nazionali che,
Dichiarazione Universale sui Diritti Linguistici di Barcellona: http://www.unesco.org/
cpp/uk/declarations/linguistic.pdf.
Cfr.: http://www.storiadellalinguaitaliana.it/sites/default/files/ramirezisarrio.pdf.
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Cfr.: http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivita/europa-plurilingue.
È possibile leggere il documento all’url: http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivit/
multilinguismo/testo-raccomandazioni-mannheim.
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con il tempo, finirebbero per essere circoscritte all’ambito familiare. Per quanto riguarda la nostra lingua le situazioni delineate chiamano in causa da un lato le contraddizioni tra i documenti prodotti dall’UE e dall’altro le poco avvedute politiche culturali
dell’Italia dall’altro.
Intanto la direzione generale per le Risorse e l’Innovazione del ministero degli Affari Esteri, mesi addietro ha annunciato che si intende riorganizzare la rete estera e il
ruolo delle ambasciate; è stata comunicata la chiusura di 32 sedi tra Ambasciate, Consolati, Sportelli Consolari e Istituti Italiani di Cultura oltre a quelle già chiuse. Eppure
nell’ambito della prima riunione dei Direttori degli Istituti Italiani di Cultura, tenutasi
a Roma il 27 Luglio 2000, l’allora Ministro degli Affari Esteri ha sottolineato:
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Da alcuni anni è stata coniata l’espressione Diplomazia Culturale: si tratta di un’espressione particolarmente felice che definisce con chiarezza quello che è ormai divenuto
uno strumento di politica estera (...) sottolineare come la promozione di un’immagine
integrata del Sistema Italia rispondesse, soprattutto se considerata in relazione alla
proiezione esterna, ad una visibile necessità. Necessità che a sua volta discende dallo
stretto legame, sempre più visibile, della cultura con l’economia e la politica estera10.
rimarcando come la cultura debba divenire “un elemento portante della politica
estera.11”
La promozione culturale può espletare un ruolo effettivo e determinante nel più vasto
contesto delle relazioni bilaterali fra l’Italia e gli altri Paesi e può essere altresì, per sua
natura, coerente alla diplomazia. È possibile e lecito pertanto parlare di una vera e
propria Diplomazia Culturale che diventa parte inscindibile della politica estera, considerando la cultura nel senso antropologico, ossia in maniera in cui una determinata
popolazione, in un certo momento della sua storia e del suo divenire, realizza la propria
idea di civiltà e instaura nei confronti degli altri fuori dal gruppo un proprio sistema
originale di tradizioni, di pensiero e di valori, come ci ricorda tra gli altri Zygmunt
Baumann. Diplomazia Culturale da intendersi quindi come piano d’azione del Ministero che integra strategia, linee programmatiche e strumenti in una visione unitaria
delle tre grandi linee di intervento della nostra azione: quella della lingua, della cultura e della ricerca scientifica. Considerando lo straordinario patrimonio culturale e
le potenzialità intellettuali che l’Italia può permettersi di proiettare nel mondo, esse
diventano strumento privilegiato di politica estera, non solo per il valore insostituibile
dello scambio culturale come veicolo di contatto e di dialogo, ma anche e soprattutto,
sottolineerei, per le ricadute di grande portata sul piano economico, politico e, più in
generale, dell’immagine del Paese. La cultura sembra oggi assumere sempre maggiore importanza nel dibattito politico e l’azione di promozione e diffusione della nostra
cultura necessita un supporto strategico e mirato.
L’Unione incoraggia i Paesi ad integrarsi nei vari settori (economico, giuridico, politico,
educativo) però negli ultimi anni ha aperto una nuova fase nella relazione tra le lingue,
arrivando ad influenzarne la posizione anche sulla scena internazionale. Quando uno
Stato vive in autonomia, ci ricorda Sabatini, la posizione della lingua risente del potere
nazionale e della capacità propulsiva data da: prestigio culturale, potenziale economico,
e accordi bilaterali con gli altri Paesi. Nonostante i trattati che riconoscono alle lingue
europee pari dignità di lingue ufficiali, si sta agendo verso un progressivo accreditamenAtti della terza conferenza degli ambasciatori: http://www.esteri.it/mae/it/ministero/
servizi/archivi_biblioteca/politica_estera_italia_testi_doc.html
11
Ibidem.
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to nelle istituzioni comunitarie di un numero più ristretto di lingue riconosciute operative, a discapito del valore delle altre lingue. Rinnegamento motivato da ragioni economiche che avvia un processo di indebolimento delle lingue escluse dal gota dei potenti
con conseguente ricadute negative sulle condizioni di queste lingue anche in Patria. Si
interferisce in tal modo sul prestigio internazionale delle lingue. La lingua italiana è una
delle prime a farne le spese di questa nuova politica, sebbene sia stata considerata alla
pari (all’inizio del processo di unificazione), viene man mano esclusa dall’uso nei bandi
di concorso, dalle gare d’appalto, dalle procedure di registrazione dei brevetti industriali. Lo studioso sottolinea come non sia mai stata inaugurata una politica di riequilibrio
di pari trattamento delle lingue nazionali nell’UE, sebbene sia stata ideata la funzione
specifica di “Commissario per il multilinguismo”. Alla luce di ciò è innegabile l’associazione alle vicende storiche passate e alle Grandi Potenze e alla pressione che esercitano
ancora oggi, mentre è necessario che si realizzi concretamente un multilinguismo collettivo e additivo come recita la Carta europea del plurilinguismo:
“La diversità delle lingue garantisce la pluralità e la ricchezza delle rappresentazioni [...]. Il plurilinguismo è una libertà, cosi come è una libertà fondamentale il pieno
possesso della lingua materna [...]. La conoscenza di più lingue, a prescindere dal
grado di competenza, costituisce una libertà supplementare in un mondo aperto ed
una necessità nell’attuale contesto europeo12.”
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36 | catalogo 2015 | corsi bambini
GIROTONDO
L’ITALIANO NEL MONDO
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Rivista In.it
Linuccio Pederzani - Alida Cipolletti - Paolo E. Balboni
OCorso operativo di lingua italiana per bambini dai 5 agli
11 anni.
OPuò essere usato sia nella classe plurilingue che monolingue.
OIl corso ha come filo conduttore le avventure fantastiche
di tre personaggi. La storia narrata ha lo scopo di avviare i bambini allo sviluppo di un sentimento di rispetto
dell’altro attraverso lo scambio culturale, il dialogo,
l’accettazione e la valorizzazione delle diversità.
OSi basa sui più recenti indirizzi umanistico-affettivi, rispetta i diversi stili di apprendimento dei bambini e ha
come obiettivo quello di imparare a fare con la lingua
attraverso molteplici attività basate sul gioco.
OIl lessico e le strutture principali della lingua vengono
introdotte attraverso filastrocche e canzoni.
A1 (Primo Approccio)
A1
A1/A2
A2
• Scenario 1: Per un bambino che si avvicina allo studio dell’italiano prima di
imparare a leggere e scrivere.
Girotondo 5-6 anni
Girotondo 1
Girotondo 2
Girotondo 3
• Scenario 2: Per un bambino che dopo lo studio con Girotondo Primo Approccio prosegue negli anni successivi.
Girotondo Primo Approccio Girotondo 1
Girotondo 2
Girotondo 3
Girotondo 1
Girotondo 2
Girotondo 3
• Scenario 3: Per un bambino che prevede già in partenza uno studio pluriennale.
SCHEDA TECNICA
GIROTONDO 5-6 ANNI
Libro studente
ISBN: 978-88-7715-796-6
PAGINE: 192
FORMATO: cm 20x27
Guida dell’insegnante
ISBN: 978-88-7715-760-7
PAGINE: 96
FORMATO: cm 20x27
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GIROTONDO PRIMO APPROCCIO
Libro studente
ISBN: 978-88-7715-611-2
PAGINE: 240
FORMATO: cm 20x27
Guida dell’insegnante
ISBN: 978-88-7715-628-0
PAGINE: 152
FORMATO: cm 20x27
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GIROTONDO 1
Libro studente
ISBN: 978-88-7715-731-7
PAGINE: 272
FORMATO: cm 20x27
Guida dell’insegnante
ISBN: 978-88-7715-738-6
PAGINE: 96
FORMATO: cm 20x27
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Segnali di qualità nell’insegnamento dell’italiano in Cina:
un caso esemplare*
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Giuseppe Maugeri e Silvia Scolaro
Lo scopo di questo articolo non è soltanto di fare il punto sulla situazione dell’insegnamento in Cina ma di registrare un rinnovato interesse per lo studio dell’italiano
grazie alla qualità e l’efficacia con cui la nostra lingua viene insegnata presso la scuola SenMiao, la cui capacità di operare è da sempre supportata dall’esperienza e dai
percorsi formativi e di aggiornamento glottodidattico del Laboratorio Itals. Dunque,
esamineremo la strategie e gli strumenti di questa collaborazione che ha permesso di
realizzare nuove possibilità di promozione per la lingua italiana nello scenario cinese.
1. Cenni storici sull’insegnamento dell’italiano in Cina
L’insegnamento della lingua italiana inizia, rispetto alle altre lingue straniere, più tardi, ma anch’esso subisce fasi alterne di apertura e chiusura che rispecchiano l’andamento dei rapporti delle relazioni diplomatiche fra l’Italia e la Cina.
Stando a quanto riporta Clotilde Oneto (Oneto, 1998), negli anni Cinquanta del secolo
scorso, la Cina invia i primi studenti a studiare italiano, ma non in Italia bensì in Russia, alla Università di Leningrado. Gli studenti sono scelti casualmente e inviati dal
Governo cinese, senza tenere conto delle loro preferenze e/o attitudini. Negli stessi
anni, l’Università di Economia e Commercio di Pechino istituisce il primo corso di italiano affidandolo a due cinesi, nessuno dei quali linguista. Durante gli anni Sessanta
vengono affiancati da italiani, alcuni dei quali sinologi, che fungono da lettori.
Negli anni Sessanta ritornano in Cina i primi, pochi, laureati in Lingua Italiana presso
le università sovietiche e allo stesso tempo si aprono corsi di italiano in diversi istituti
universitari. Divengono, inoltre, più frequenti gli scambi culturali fra i due Paesi e molti
italiani che si trovano a studiare in Cina, hanno la possibilità di collaborare nei corsi di
italiano come lettori.
Nel 1960 iniziano anche le trasmissioni in italiano di Radio Pechino (oggi divenuta
China Radio International), una stazione radiofonica che trasmette in lingua straniera,
con la conseguente necessità di avere “esperti” in lingua italiana. Per questo motivo, l’Istituto Universitario che fa riferimento alla Radio, inizia un corso quadriennale
di italiano. Molti dei lettori di madrelingua italiana che collaboravano con l’Istituto
Universitario di Radio Pechino erano, in genere, legati al Partito Comunista Italiano. I
corsi, però, vengono sospesi durante la Rivoluzione Culturale e, quelli di italiano, non
saranno mai ripresi.
* Il presente articolo è frutto del lavoro congiunto dei due autori che ne hanno curato
l’impostazione e la suddivisione in parti. In particolare, Silvia Scolaro ha steso i paragrafi
che vanno dal primo al terzo; Giuseppe Maugeri si è invece occupato dei paragrafi quattro,
cinque e ha scritto la conclusione.
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Durante i primi anni Sessanta, si aprono i corsi di italiano all’ Istituto Universitario di
Lingue Straniere, a Pechino, per la formazione di interpreti e traduttori.
Durante la Rivoluzione Culturale, le lezioni di italiano avvengono in maniera dispersiva. I libri di testo sono il Libretto Rosso di Mao e la rivista La Cina.
Dall’inizio degli anni Settanta, inizia a cambiare qualcosa: si intensificano gli scambi
fra i professori dei due Paesi, si rivedono i libri di testo, si inizia la stesura dei primi
dizionari. Questi lavori di revisione e di stesura di testi continuano anche durante gli
anni Ottanta.
Importante per la diffusione della lingua italiana in Cina è sicuramente l’Istituto di Lingue di Pechino; aperto nel 1962, è stato per molto tempo l’unico Istituto universitario a
cui gli stranieri potessero accedere per lo studio della lingua cinese, ma la sua offerta
formativa prevedeva, e prevede ancora oggi, corsi quadriennali di lingue straniere per
studenti cinesi: francese, tedesco, spagnolo, portoghese, russo, coreano, eccetera. Il
corso di lingua italiana inizia solo nel 1983 su decreto del Ministero dell’Educazione
Nazionale Cinese. A questo corso, in genere, partecipavano studenti che si dovevano
recare in Italia con borse di studio per corsi post-laurea di alta specializzazione o per
lavoro, quindi, si trattava per lo più di persone già laureate e di età media compresa
fra i 25 e i 40 anni. Solo negli ultimi anni, grazie a ulteriori progetti di scambio culturale
fra l’Italia e la Cina, è aumentato il numero degli studenti che frequentano il corso, la
cui età è intorno ai 20 anni. Il corso è intensivo, di durata semestrale o, tutt’ al più annuale e prevede 20 ore di frequenza settimanali. Ad insegnanti cinesi che insegnano la
grammatica italiana, vengono affiancati dei lettori madrelingua, in genere studenti di
cinese e un lettore di ruolo inviato dal M.A.E.. La cultura italiana non ha grande spazio
presso questo tipo di corso, ma prepondera la parte lessicale e morfo-sintattica.
A partire dagli anni Sessanta anche a Shanghai, presso l’Università degli Studi Internazionali (Shanghai Waiguoyu Daxue) si aprono corsi di italiano, e dagli anni Ottanta
si instaurano collaborazioni con docenti e professionisti di Università italiane.
Negli anni Novanta, non solo a Pechino e Shanghai ma anche in altre grandi città come
Nanchino e Xi’an, nascono corsi di italiano, sempre all’interno di percorsi di studio
universitari, per poter essere riconosciuti a livello governativo. Non erano, e non sono,
permessi corsi e scuole non autorizzate dal Governo cinese.
Anche se, sicuramente, accanto ai corsi universitari sono sempre esistite lezioni personali o a piccoli gruppi, di queste è difficile avere notizie.
La prima organizzazione privata che riesce a presentare corsi di italiano in Cina è la
Società Dante Alighieri, presente sul territorio cinese dal 1983-84, anche se inizialmente si occupava per lo più di corsi a titolo privato e gratuiti. Dal 2004, si affianca
a delle scuole private e, essendo sede di esame della certificazione Plida, diventa il
primo centro certificatore per la conoscenza della lingua italiana in tutta la Repubblica
Popolare Cinese.
Un altro caso particolare sull’insegnamento della lingua italiana in Cina, riguarda la
Scuola Media 301 di Pechino, dove si tengono corsi di italiano, aperti nel 1987, grazie
a un forte rapporto di amicizia e stima reciproca fra una famiglia italiana stabilitasi in
Cina e il direttivo della scuola media. Questa è l’unica scuola pubblica, che non sia un
istituto universitario, dove sia insegnato l’italiano.
In molti Paesi nel mondo, la cultura e la lingua italiana sono diffuse principalmente
dagli Istituti Italiani di Cultura e dalla Società Dante Alighieri.
Per quello che riguarda la Cina, l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino non può, per
convenzione con le autorità cinesi, organizzare corsi di lingua italiana, ma nel sito internet dell’IiC di Pechino, sotto la sezione Corsi nell’area di competenza, sono indicate
le principali Istituzioni che offrono corsi di italiano.
Dal 2006, c’è un sostanziale interesse per la lingua italiana che, grazie al Progetto
Marco Polo, dilaga in Cina e si diffonde non solo nelle università cinesi (attualmente
33 istituti universitari offrono corsi di italiano), ma anche in scuole di lingue private e
centri che organizzano viaggi-studio all’estero.
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2. Lo studente sinofono
La notevole lontananza fra la lingua cinese, isolante e scritta per mezzo di caratteri, e
quella italiana, flessiva e che utilizza un sistema alfabetico per la scrittura, non aiutano lo studente sinofono nell’apprendimento della seconda. È molto difficile e richiede
tempo, per studenti di L1 cinese comprendere e applicare i concetti di coniugazione verbale, di declinazione e accordo delle parti flessive presenti nella nostra lingua.
L’insegnamento della L1 in Cina avviene sin dall’inizio per mezzo della copiatura dei
caratteri, della lettura ad alta voce, della ripetizione e della memorizzazione. Il concetto di grammatica, come quello presente nelle lingue occidentali, non esiste, infatti, la
grammatica cinese non viene, in genere, studiata a scuola. L’insegnante è considerato
il modello da emulare, da copiare e, anche se spesso vengono pagati molto poco, il
docente è oggetto di grande stima e rispetto da parte degli studenti in Cina.
Lo studente cinese è spinto sin dalla nascita ad essere sempre in competizione con i
compagni dello stesso livello per essere sempre il migliore, e questo tipo di influenza
sociale non aiuta, almeno in classe, il peer working. D’altronde, reticenza del confucianesimo, è molto sviluppato in questo tipo di studenti il senso del rapporto da superiore
a inferiore, per cui lo studente più brillante aiuterà volentieri lo studente che ha maggiori difficoltà. Il senso gerarchico in Cina è tuttora molto forte.
Il sistema scolastico cinese non prevede esami orali, ma solo scritti, come da tradizione confuciana, per questo, forse, lo studente sinofono incontra maggiori difficoltà
nell’oralità rispetto a studenti di altre provenienze. Una serie di esami scritti segnano
la vita degli studenti cinesi e di questi il più importante è quello di ammissione all’università, il cui punteggio, e non i desideri o le inclinazioni del singolo studente, deciderà le università in cui si merita di entrare, segnando così la vita dello studente.
Lo stesso tipo di apprendimento mnemonico che viene utilizzato per l’apprendimento
della L1, è usato anche per l’apprendimento delle LS in generale. Per questo, in genere, agli studenti cinesi viene insegnata una lingua straniera attraverso la memorizzazione di liste di parole e di punti grammaticali. Il metodo usato ancora oggi, nella
maggior parte delle scuole pubbliche e private è quello grammaticale-traduttivo. Solo
recentemente, grazie anche all’apertura economica e alla globalizzazione dei mercati,
si inizia a diffondere l’idea che la lingua è un mezzo di comunicazione.
Perciò, solitamente, lo studente cinese raggiunge spesso una buona conoscenza teorica, a livello grammaticale e morfo-sintattico e lessicale, ma non è, nella maggioranza
dei casi, in grado di raggiungere una competenza comunicativa sviluppata a causa
delle metodologie utilizzate nell’insegnamento “tradizionale”, e ciò spesso preclude
la possibilità di comunicare con gli stranieri in maniera “corretta” a livello socio-culturale, il che spesso genera profonde incomprensioni.
3. La Scuola SenMiao
Un caso particolare nell’insegnamento delle LS in Cina è dato dalla Scuola SenMiao,
fondata nel dicembre 2006 a Pechino, che è ufficialmente riconosciuta dal governo con
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licenza rilasciata dal Ministero dell’Educazione cinese. Dal 2010, la scuola ha anche
una sede a Shanghai.
La scuola Senmiao dal giugno 2007 è diventata Centro di Esame per la certificazione
Cedils, in collaborazione con il Laboratorio Itals del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel dicembre 2007, è
divenuta, anche centro certificatore per la Cils dell’Università per Stranieri di Siena,
mentre nel maggio 2008, con la firma della convenzione con l’Università per Stranieri
di Perugia, è possibile sostenere anche gli esami Celi. SenMiao, che conta un migliaio
di studenti circa ogni anno, è, quindi, sede di tre riconosciute certificazioni, che la mettono in rilievo in questi ultimi anni come istituto che si adopera per la diffusione della
lingua e della cultura italiana in Cina.
Gli studenti sono, per la maggior parte (90%), studenti che vogliono accedere ai corsi
delle università in Italia, grazie al Progetto Marco Polo e Turandot, ed ad altri programmi di scambio culturale. Altri, invece, (8% circa), studiano la lingua italiana per motivi
di lavoro (rapporti commerciali, turismo e traduzioni). Altri ancora (solo un 2%, ma,
questo numero, potrebbe avere una tendenza alla crescita nei prossimi anni), studiano
per passione delle lingue o della cultura italiana in particolare.
Purtroppo, la Cina, tralasciando gli scambi commerciali di cui ultimamente si parla
molto, non è un Paese molto aperto alla conoscenza degli altri paesi e delle altre culture. Un modo di dire cinese è: “Al mondo, ci sono solo due Paesi: la Cina e l’ estero,
(sarebbe meglio tradurre come fuori - Cina)”. I cinesi si sentono uniti sotto questo
Paese e hanno un senso di nazionalità forte e centralizzata, rispetto agli altri Paesi che
si considerano solo “non-Cina o fuori-Cina, fuori, insomma, dal Paese di mezzo”, non
certo, quindi, come singoli Paesi distinti con lingua, cultura e storia propria. Si vorrebbe fare comprendere agli studenti che anche l’Italia è un “mondo” da scoprire, al di là
della conoscenza e dell’uso pragmatico della lingua. Anche l’Italia ha la sua storia e la
sua cultura fatta di piccole e grandi cose, di monumenti, di cucina, di arte e musica ma
anche di persone e di quotidianità. Una lingua, infatti, non può essere studiata senza
avere un’idea di come vivono le persone che la parlano.
La Scuola SenMiao cerca, in particolare, di creare le condizioni ottimali per l’apprendimento della lingua italiana, rispondendo ai bisogni degli studenti, attraverso l’uso
di una metodologia comunicativa in un approccio umanistico-affettivo, fornendo agli
studenti gli strumenti, il più possibile adeguati, e i tempi per potersi esprimere per
mezzo della lingua italiana.
4. Scopi e funzioni della politica culturale della scuola
La qualità, dunque, rappresenta il valore differenziale della scuola nell’arena competitiva locale. Nei prossimi paragrafi perciò focalizzeremo l’attenzione sulla politica di
sviluppo della qualità diffusa all’ambito didattico della scuola attraverso un progetto e
una programmazione che raccorda le proposte progettuali della stessa con le offerte e
i servizi del Laboratorio Itals dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
4.1 La qualità come componente della didattica della scuola
Uno degli obiettivi prioritari della scuola è stato quello di ridefinire le competenze dei
docenti mediante dei corsi di formazione e di aggiornamento glottodidattico. Scelta
strategica indispensabile di cui l’istituto si è fatto carico in forma di capacità organiz-
zative costruite attraverso i progetti qualità dell’Itals volti a incoraggiare interventi
che tematizzassero e rendessero espliciti saperi specializzati da inserire nel contesto in un’ottica di sviluppo e di crescita. Ed è proprio su questi principi di fondo che
i responsabili della scuola hanno voluto diffondere mediante una progettazione che
distribuisse a ogni evento e aspetto della vita organizzativa e didattica dell’istituto
una visione dell’educazione e delle possibilità di successo che lo studio della lingua
italiana possono dare allo studente.
I bisogni e le richieste dei discenti hanno dunque costituito il presupposto implicito
per formulare dei percorsi di sviluppo mirati a tradurre principi e modalità di studio in
nuove forme di apprendimento.
In conseguenza di ciò, le proposte e tutte le attività sono state impostate in modo tale
da beneficiare i docenti e lo studente allo scopo di:
- individuare quei partner che potessero contribuire grazie al proprio know how al
miglioramento della scuola;
- favorire un ritorno interno in termini di competenze (Martino, 2010) e di fidelizzazione.
Nel far questo, la scuola SenMiao ha coinvolto tutte le risorse in un insieme organizzato per dar vita alla collaborazione con il Laboratorio Itals e affinare con essi i modelli
di pianificazione di percorsi didattici prettamente umanistici affettivi all’interno dei
quali ogni discente è valorizzato poiché portatore di idee, di conoscenze e creatività,
vale a dire quei valori che più di ogni altro lo legano alla lingua e alla cultura italiana.
Si è trattato da parte dell’organizzazione di far emergere una cultura operativa che ottenesse dei risultati non solo in termini di profitto ma di soddisfazione delle competenze apprese dello studente in uscita con maggiori possibilità di successo e di ricaduta
per quel che concerne la reputazione dell’istituto.
4.2 La collaborazione con il Laboratorio Itals
Come abbiamo sopra menzionato, alla base della richiesta di un migliore accesso alle
conoscenza teorico-pratica e a una più solida preparazione in ambito glottodidattico
si è giunti ascoltando le richieste dei docenti interni, delle risorse presenti nel mercato
nonché a una motivazione più profonda e strutturata nelle esigenze didattiche che la
scuola aveva di costruire, gestire e far fruire dei contenuti e dei servizi ispirati dalla
qualità Itals a modelli di acquisizione linguistica efficaci e altamente formativi.
La qualità della ricerca glottodidattica e della significatività dei processi di formazione
rivolti ai docenti costituiscono il grande patrimonio di un laboratorio fondato dal prof.
Balboni nel 1997. Coordinato dal prof. Serragiotto, l’Itals ha da sempre considerato
prioritarie le richieste della collettività dei docenti nel proporre delle offerte negoziate
e contestuali al fine di supportare quel cambiamento culturale in forma di didattica
organizzata, con un indirizzo metodologico preciso e coerente alle scelte disposte dal
docente per migliorare l’apprendimento della lingua straniera dei propri allievi.
Le finalità sociali e pedagogiche rappresentano infatti il punto di riferimento per cui
la scuola SenMiao ha deciso di avvantaggiarsi dei percorsi Itals, avviandosi a una collaborazione coordinata e continuativa con l’obiettivo di adottare e promuovere nuove
espressioni e criteri per valutazioni di qualità (Mezzadri, 2005).
La motivazione che ha spinto entrambe le strutture a mettere insieme il capitale di conoscenze e di relazioni articolando un’intesa sottoscritta nel 2007, sono le seguenti:
- inadeguatezza del mercato cinese: considerate le potenzialità del mercato, si è voluto creare le condizioni perché l’arena delle lingue straniere fosse sensibile a nuove
capacità legate allo sviluppo della lingua italiana;
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- ampliamento di reti e relazioni riconosciuti nel territorio allo scopo di dare accesso
a contenuti culturali e informazioni necessarie per la realizzazione di opportunità di
crescita e di miglioramento;
- implementare delle azioni e degli interventi centrati sui bisogni dei docenti e sulla
valorizzazione delle competenze acquisite.
Da un punto di vista tecnico, la programmazione culturale ha riguardato la formazione in loco dei docenti mediante alcune attività:
- la Cedils, ossia la certificazione che attesta la competenze nella didattica dell’italiano a stranieri. Dal 2007 sono stati qualificati più di 80 docenti di italiano, per molti
dei quali è iniziata una pratica di riflessione e di sviluppo delle proprie competenze
rafforzata da ulteriori percorsi e approfondimenti (Master Itals di I e II livello) che
hanno incrementato il senso di appartenenza e di identità alla comunità di pratica
con le sue dinamiche di sviluppo della ricerca scientifica;
- corsi propedeutici alla Cedils: a fronte della distanza geografica fra Italia e Cina, i
corsi sono stati svolti on line secondo modalità e-learning, dove i tutor hanno assistito e guidato i corsisti allo studio di alcuni aspetti di cui si compone la certificazione didattica;
- corso di formazione e aggiornamento glottodidattico in presenza: l’effetto positivo
degli interventi realizzati, ha accresciuto il numero dei docenti che ha esplicitamente richiesto all’organizzazione scolastica di definire una programmazione coerente
e unitaria in grado di proporre con cadenza regolare dei corsi di aggiornamento in
presenza. Da queste considerazioni si è partiti per delineare degli interventi formativi che vedono impegnato nell’ottobre 2011 il prof. Serragiotto ad illustrare i nuovi
approcci glottodidattici, mettendo in luce le implicazioni nell’utilizzo di determinate
tecniche per l’apprendimento;
- lezione concerto: il Laboratorio Itals e la scuola SenMiao sono portatori di innovazione e pertanto il progetto della lezione concerto avviato con grande successo dal
prof. Caon e che ha già interessato il Mae, verrà riproposto presso le due sedi della
scuola, a Pechino e Shanghai;
- realizzazione di attività trasversali: l’incontro fra la domanda di italiano e la qualità dell’offerta ha promosso le sinergie di cui la scuola si è avvalsa nel territorio; in
particolar modo, l’esigenza di creare con enti istituzionali quali l’Istituto Italiano di
Cultura di Pechino un dialogo che misuri la dimensione e la qualità delle offerte per
il potenziamento della partecipazione alle iniziative rivolte alla collettività.
5. Conclusione
In questa logica di concertazione pianificata, la scuola è riconosciuta nel territorio
come principale distretto culturale da chiunque voglia cimentarsi con l’italiano. I suoi
spazi sono considerati come un riferimento da parte della comunità dei docenti e da
tutto il sistema locale, avendo attivato un flusso di relazioni che, collegati coi saperi e
valori della comunità glottodidattica italiana di cui l’Itals è ambasciatrice nel mondo,
vincolano in maniera indiretta due identità come quella cinese e italiana, protagoniste
nel rafforzare nello scenario internazionale gli strumenti di una partecipazione e valorizzazione integrata (Amari, 2010) attraverso lo studio delle lingue e della cultura.
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Bibliografia
Amari M., 2006, Progettazione culturale, Milano, FrancoAngeli.
Balboni P. E., 1994, Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci.
Balboni P. E., 2008, Fare educazione linguistica, Torino, Utet Università.
D’Annunzio B., 2000, L’allievo di origine cinese, in Balboni P. E. (a cura di), Approccio alla
lingua italiana per allievi stranieri, Torino, Theorema.
Magner T.F., 1974, The Study of Foreign Language in China, Modern Language Journal
58 (8).
Martino V., 2010, La comunicazione culturale d’impresa. Strategie, strumenti, esperienze, Milano, Guerini.
Mezzadri M., 2005, La qualità nell’insegnamento delle lingue straniere, Perugia, Guerra.
Oneto C., 1998, L’insegnamento dell’italiano in Cina, Mondo Cinese n. 97 (1).
Serragiotto G., 2009, Sillabo di riferimento per la formazione degli insegnanti di italiano
a stranieri, Venezia, Cafoscarina.
Sitografia
www.itals.it
Sito internet ufficiale del Laboratorio Itals dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove
è possibile trovare informazioni sui corsi, sulle certificazioni e sui Master, oltre a un
poderoso corpus bibliografico e di ricerca.
64 | catalogo 2015 | cultura e civiltà
PROGETTO
CULTURA
ITALIANA
A cura di Paolo E. Balboni
OIl Progetto Cultura Italiana nasce dall’idea che per la
formazione di uno studente di italiano non si possa escludere una dimensione culturale e letteraria. Tuttavia per
uno straniero risulta spesso demotivante affrontare testi
linguisticamente complessi e di cui non può apprezzare
la componente estetica.
OQuesto progetto ha l’obiettivo di avviare al piacere del
testo, presentando la cultura italiana in forma guidata.
OAlla storia letteraria si affiancano un manuale di storia
italiana, inserita nel quadro della storia delle varie aree
culturali del mondo, un percorso di geografia d’Italia, una
breve introduzione all’arte italiana, un testo di cultura e
civiltà per ragazzi e giovani adulti, un manuale di cucina
per scoprire i piaceri di un’arte tutta italiana e un corso
di storia della musica italiana.
SCHEDA TECNICA
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Insegnare italiano in Corea:
il gioco come arma per far
breccia nel silenzio
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Sara Lis Ventura
Apprendere una lingua straniera non significa solo conoscere i principi e le convenzioni astratte che ne regolano la forma e la struttura interna, significa principalmente
entrare in contatto con un nuovo codice interpretativo della realtà, significa acquisire
un nuovo ‘strumento simbolico’ (Vygotsky 1987) per rappresentare se stessi e il proprio rapporto con gli altri e il mondo. Imparare una lingua straniera implica cioè un
processo di acculturazione (Ellis 1994), un processo che presuppone un riorientamento
della sfera cognitiva, affettiva e comunicativa, e la creazione di significati condivisi tra
rappresentazioni culturali diverse. In altre parole gli apprendenti rinascono a se stessi,
dandosi una seconda identità che consente loro di avvicinarsi e familiarizzare con la
cultura della lingua target e il nuovo ordine sociale da essa rappresentato.
L’insegnante ha il compito di facilitare il percorso dell’apprendente attraverso attività
in grado di accompagnarlo e assisterlo in questo suo ‘viaggio culturale e identitario’,
e capace di stimolarlo non solo da un punto di vista neurologico-cognitivo, ma anche
e soprattutto psicologico-emotivo e socio-culturale. Ma come fare? Se il linguaggio è
un prodotto culturale e la cultura è la nostra identità collettiva (ciò che guida il nostro
comportamento all’interno del gruppo, della società) va sa sé che il processo di apprendimento e il conseguente processo di acculturazione può essere innescato solo
promuovendo la comunicazione e la mutua interazione in classe. Il problema è che in
contesti socio-culturali molto lontani le metodologie più frequentemente adottate in
glottodidattica risultano spesso non efficaci. Questo è il caso di quei paesi estremoorientali, come la Corea del Sud, tuttora distintamente influenzati dal pensiero tradizionale confuciano. Sullivan, in alcuni suoi studi relativi all’insegnamento della lingua
inglese in Vietnam, aveva giustamente sostenuto che le pratiche della classe sono situate in specifici ambienti culturali da cui dipende la risposta degli studenti (Sullivan,
2000). Le metodologie didattiche di solito adottate, hanno per lo più avuto origine in
occidente e sono il prodotto di un milieu culturale certamente molto distante da quello
orientale. Presupporre che ciò che funziona in un particolare contesto educativo, può
funzionare in un contesto completamente diverso, significa “ignorare la fondamentale
interrelazione tra storia, cultura e pedagogia” (Sullivan 2000: 115). Con questo contributo ci si vuole soffermare sull’insegnamento della lingua italiana in Corea del Sud. In
primis si analizzeranno i fattori socio-culturali di matrice confuciana che secondo noi
tendono a influire sensibilmente sulla disponibilità alla comunicazione e sulla predisposizione all’espressione orale degli studenti in classe. Si procederà poi a dimostrare
come alcune attività ludiche, se opportunamente ideate, siano in grado di rispondere
alle esigenze culturali di questi apprendenti riuscendo a stimolare un’interazione più
spontanea nella LS, e abbattere quel muro di silenzio dietro il quale spesso questi
studenti si trincerano.
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1. La Corea del Sud e il Confucianesimo
La Corea del Sud è l’unico paese in cui il Confucianesimo è ancora fortemente radicato
come sistema che regola i comportamenti sociali e le relazioni umane (Byong-ik 2004).
Il Paese ha conosciuto negli ultimi decenni degli straordinari cambiamenti sia dal punto di vista economico che politico: dalla rapida crescita determinata da un’accelerata
industrializzazione con liberalizzazione dei mercati, alla progressiva urbanizzazione,
fino allo stabilizzarsi di un sistema di governo democratico. Sebbene il processo di
modernizzazione e l’integrazione della Corea nell’economia mondiale abbia visto l’imporsi di nuovi valori quali l’efficienza, la libera competizione, il benessere materiale e
la selezione naturale, il Confucianesimo ha continuato e continua a persistere come
sistema interiorizzato di valori e norme che regolano l’azione sociale (Kihl 1994) e che
condizionano il modo di pensare, di percepire e di rappresentare la realtà nella vita
quotidiana. L’influenza del Confucianesimo nel tessuto socio-culturale coreano è così
profondo e pervasivo per motivi storici. Per più di cinque secoli durante la dinastia
Joseon (1392-1910) il neo-Confucianesimo è stata l’ideologia di fondo su cui veniva
educata la classe dirigente degli Yangban, una classe di intellettuali, aristocratici, burocrati che ricoprivano cariche politiche e avevano il compito di orientare e guidare il
popolo verso l’etica e i valori del confucianesimo (Kihl 1994).
Sulla base del modello interpretativo delle diversità culturali elaborato dallo psicologo
sociale e antropologo olandese Hofstede (2001), si analizzeranno qui le tre dimensioni
culturali di derivazione confuciana che a nostro parere sono cruciali al fine di comprendere il ‘silenzio’ dei coreani: il collettivismo sociale, l’elevata avversione all’incertezza
e l’alta distanza dal potere.
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1.1 Il collettivismo sociale
Uno dei fondamenti del sistema di pensiero confuciano è la realizzazione dell’identità
umana in una dimensione collettiva che si concretizza nella trama dei rapporti sociali.
L’uomo considera se stesso non come individuo indipendente ma come membro di
un gruppo al quale sente di appartenere, percependo come distanti i gruppi altri. La
persona esiste all’interno di un contesto relazionale nel quale gli è dato di agire e costruisce la propria identità in virtù dei rapporti che intesse con gli altri e in particolare
la famiglia, la cerchia di amici, il gruppo. Ne deriva che non esiste un unico senso del
sé ben identificabile e inalterabile, caratterizzato da specifici attributi, ma esistono
tante identità quante sono le relazioni sociali esistenti. L’uomo, inserito in un contesto
sociale nel quale sente il legame d’‘interdipendenza’, agisce per il bene della comunità
aspirando a conseguire l’‘armonia’ relazionale in una prospettiva di solidarietà e fedeltà al gruppo (Nisbett 2003), e cercando di realizzare il ren1, la natura umana migliore.
Molto diversa è l’idea occidentale di uomo: soggetto agente di per sé, assolutamente
indipendente dalla comunità, responsabile della propria vita e delle proprie scelte, che
fa della ‘libertà’ d’azione il presupposto irrinunciabile per l’affermazione della propria
individualità e la realizzazione dei propri obiettivi personali. Da un punto di vista educativo il sistema occidentale opera per favorire lo sviluppo della personalità e l’accrescimento dell’‘autostima’ perciò in glottodidattica le attività di dibattito e confronto
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Il carattere cinese per indicare il ren di Confucio è un carattere composto semplice che
significa “due persone”. Cfr. LEE E.H., 2004.
sono spesso uno strumento utile per stimolare l’interazione in classe. Qui il forte senso
di individualità e l’autonomia di pensiero, alimentano in ciascuno studente il desiderio
di esprimere la propria opinione difendendola con l’arte della retorica.
In Corea, invece, gli studenti cercano di evitare il dibattito e la controversia. Questo
perché l’iniziativa personale e l’esposizione individuale al gruppo non costituiscono
norme comportamentali accettabili in una società orientata al collettivismo. La persona, avendo come obiettivo non l’affermazione della propria individualità ma il conseguimento dell’armonia nel gruppo, sceglie l’‘autocritica’ ed evita di manifestare la
propria superiorità o unicità, rinunciando a esprimere il proprio talento personale. Il dibattito confligge con l’idea di armonia: bisogna dirimere le controversie e non alimentarle. In una lezione di lingua, dunque, non sorprende che le attività di discussione in
plenaria si rivelino fallimentari: gli studenti, pur avendo opinioni decise, raramente
intervengono, preferiscono rimanere in silenzio e apparire timidi e umili, rispettando
perfettamente il codice di comportamento confuciano.
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1.2 L’elevata avversione all’incertezza
L’avversione all’incertezza si riferisce al livello di ansia con il quale i membri di una
società rispondono a situazioni di ambiguità. Quando il livello di questa dimensione
culturale è elevato, l’atteggiamento prevalente delle persone è quello di fuggire da
tutte le situazioni percepite come non strutturate, non chiare e imprevedibili. Questo
significa che in una lezione di lingua gli studenti sono molto cauti: non intervengono
se le attività non sono sufficientemente strutturate e chiare. La libertà che a volte viene concessa in attività di gruppo o di coppia di approccio comunicativo, non è molto
efficace in Corea. Gli studenti hanno bisogno di essere guidati e le attività vanno ben
impostate.
L’elevata avversione all’incertezza, infatti, si manifesta in un atteggiamento prudente
che evita qualsiasi tipo di risk-taking. Gli studenti in classe sono reticenti a parlare
perché hanno paura di commettere errori, di rendersi ridicoli, di ‘perdere la faccia’ all’interno del gruppo e cadere quindi in uno stato di alienazione e isolamento. Perciò si
proteggono avvolgendosi in un manto di silenzio.
1.3 L’alta distanza dal potere
La distanza dal potere è un indicatore che ci permette di valutare in che misura le persone accettano la disuguaglianza e si rapportano con il potere sociale. Quando il livello di questa dimensione culturale è alto, come in Corea, vige la profonda convinzione
che un sistema sociale su base gerarchica sia giusto e legittimo.
Nella penisola sudcoreana l’alta distanza dal potere è evidente soprattutto in ambito
educativo e in particolare nel sistema d’istruzione superiore. Si tratta di un sistema
chiuso fondato sul centralismo amministrativo e su un rigido autoritarismo formale e
funzionale che insiste sull’assetto gerarchico da applicare nelle relazioni tra superiori
e subordinati e tra anziani e giovani. Aderisce perfettamente all’O-Ryun, il codice etico
confuciano che si basa su cinque relazioni gerarchiche di base: sovrano-suddito, padre-figlio, marito-moglie, anziano-giovane, amico-amico (Chon-sun 2008; Lee 2002).
In classe l’alta distanza dal potere tra insegnante e studenti e tra studenti anziani e
studenti più giovani contribuisce a mantenere molto alto il filtro affettivo, quel meccanismo di difesa psicologica procurato dall’ansia, dalla paura e da una bassa autostima
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che, come Krashen insegna, interferisce nel processo acquisizionale di una lingua.
In Corea l’insegnante è al centro del processo di apprendimento. A lui è dovuto un
rispetto reverenziale e a lui è riconosciuta un’autorità e un’autorevolezza indiscutibile. Lo studente, in questo processo, è in posizione subordinata e dunque assume un
atteggiamento passivo di attesa. In una lezione di lingua, però, la prospettiva deve
assolutamente capovolgersi: il discente deve collocarsi al centro del processo di apprendimento e il filtro affettivo deve essere ridotto il più possibile.
Al fine di poter operare questa fondamentale inversione di tendenza, bisogna ridurre
la ‘distanza’ tra insegnante e studenti, compito questo non troppo difficile per un lettore straniero. Infatti l’atteggiamento dei discenti verso l’insegnante madrelingua è
in genere più disteso: questi non viene percepito come parte della comunità coreana,
viene visto piuttosto come una sorta di outsider, perciò, anche se ne viene riconosciuta
l’autorità, la distanza di potere tra lui e gli apprendenti è meno elevata.
Più difficile è invece ridurre la ‘distanza’ tra studenti. La gerarchia dell’anzianità che
si costituisce all’interno del gruppo classe, conduce infatti al formarsi di sottogruppi a
volte rivali che contribuiscono a mantenere alto il filtro affettivo. Diretta conseguenza
di questo assetto della classe è la scarsa predisposizione alla comunicazione dovuta
al timore del giudizio non solo dell’insegnante ma anche e soprattutto degli altri compagni.
2. L’attività ludica come strumento per gestire al meglio questi fattori culturali
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In un tale contesto socio-culturale l’attività ludica, se adeguatamente congeniata, può
diventare una risorsa davvero preziosa per stimolare l’interazione in classe. Le ragioni
principali sono tre.
2.1 Giocare significa cooperare e competere
Il gioco sociale, e in modo particolare il gioco di squadra, riproduce in piccolo una realtà sociale che procede grazie a una duplice pulsione: la collaborazione e la competizione. Nei giochi di squadra gli studenti si sentono parte di un gruppo, di una comunità
e il senso di affiliazione al piccolo nucleo sociale costituitosi, favorisce la comunicazione interna e l’emergere di un atteggiamento cooperativo: all’interno del gruppo si
discutono strategie, si trovano soluzioni, si condividono idee e punti di vista. Un tale
interscambio sociale è ciò che rende possibile quello che viene definito apprendimento situato (Lave & Wenger 2006).
Il gioco è però nello stesso tempo anche competitivo. La rivalità e il conflitto tra squadre è ciò che conduce ogni studente a sforzarsi e impegnarsi duramente per il bene
della propria squadra: ognuno fa ricorso a tutti i suoi talenti e abilità personali. Attraverso il gioco si realizza un fondamentale equilibrio, quello tra impulsi ‘altruistici’ e ‘egoistici’ (Cook 2000). L’insegnante riesce a raggiungere un duplice obiettivo:
assicurare l’armonia all’interno della comunità-squadra e promuovere l’avanzamento
individuale. Il gioco, così concepito, si adatta perfettamente all’idea coreana di società fondata sul collettivismo. Il giocatore non è un individuo, egli esiste in quanto
membro di un gruppo, la squadra, e all’interno di essa interagisce in senso cooperativo. Anche la rivalità nasce non in forma di rivalsa personale ma come desiderio di
vittoria collettiva della squadra. Come spiega Huizinga (1938) il risultato ottenuto nel
gioco si trasmette dall’individuo al gruppo. L’istinto agonale non è volontà di potenza
o desiderio di dominare gli altri, ma è voglia di contribuire alla vittoria e al benessere
del gruppo facendo ricorso a tutte le proprie abilità personali per conseguire onore e
rispetto all’interno della squadra.
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2.2 Giocare significa entrare in un universo immaginario
Giocare significa entrare in un mondo differente che non è direttamente rilevante nel
mondo reale (Cook 1997). Quello che avviene quando giochiamo non ha nessun effetto sulla realtà contingente. Per usare le parole di Callois “il gioco presuppone una
temporanea accettazione di un universo immaginario” (Callois 2006: 135) e illusorio.
La natura stessa della parola illusione lo confermerebbe: in-lusio, sempre secondo lo
studioso francese, significherebbe ‘iniziare un gioco’. In effetti, i giocatori entrano in
una sorta di dimensione parallela nella quale si spogliano della loro personalità ordinaria, dimenticano temporaneamente chi sono e assumono una nuova identità fittizia.
L’atmosfera carnevalesca nella quale entrano permette loro di liberarsi da costrizioni,
obblighi e paure. Gli studenti non si sentono più direttamente responsabili per quello
che dicono o fanno e tutte le loro resistenze psicologiche vengono meno. Commettere errori diventa divertente e soprattutto non rischioso perché chi commette l’errore
non è il vero sé ma un personaggio immaginario. In poche parole questa temporanea
dissociazione dalla realtà consente agli studenti di diventare più coraggiosi e più propensi a correre dei rischi. Il timore di essere derisi o giudicati si riduce, così come il
livello di ansia e paura. Il gioco ha dunque il merito di saper creare un clima rilassato e
disteso nel quale il discente è libero di esprimersi senza sentirsi minacciato o intimorito. Il livello di avversione all’incertezza si riduce così drasticamente. È sorprendente
riscontrare come anche i discenti più timidi durante il gioco, sentendosi al sicuro e al
riparo da qualsiasi giudizio, si aprano alla comunicazione con maggiore entusiasmo.
Particolarmente efficaci sono i role-play e i giochi da tavolo. Nel caso dei role-play è
opportuno che il docente prepari delle schede-stimolo (cue-cards) sufficientemente
dettagliate sul personaggio da interpretare, in modo da evitare ogni possibile motivo
di incertezza e tensione per gli studenti-attori.
2.3 Nel gioco l’ordine sociale costituito è sospeso
Il gioco prevede una sospensione temporanea della realtà che è anche sospensione
dell’ordine sociale costituito. Il sistema fortemente gerarchico su cui si fonda il vivere
ordinario, svanisce, lasciando lo studente libero di agire e di esprimersi come vuole,
senza per questo pensare che la sua condotta sia irrispettosa verso l’autorità riconosciuta, o inappropriata nel gruppo. All’interno della cornice del gioco, tutto è consentito, anche gli atteggiamenti sovversivi. Spesso, infatti, le relazioni che si stabiliscono
all’interno del gioco sono opposte a quelle esistenti nella realtà: gli amici diventano
nemici, i capi diventano subordinati ecc. Nella realtà carnevalesca del gioco l’ordine
sociale è sovvertito e la distanza dal potere smette di essere un problema e diventa
anzi una risorsa. Nei giochi di ruolo, infatti, gli apprendenti sono chiamati a interpretare ruoli sociali diversi e a esprimersi e agire di conseguenza. A differenza di quelle
attività aventi come obiettivo l’uguaglianza nelle relazioni, per es. le attività di scambio di informazioni o di information gap, tipiche dell’approccio comunicativo (Sullivan
2000), i role-play si fondano in genere sulle differenze di status. Gli studenti coreani
dunque giocano su un terreno a loro molto familiare, quello della gerarchia dei ruoli. Si
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divertono e sperimentano di volta in volta registri sempre nuovi. Il risultato è la sensibile riduzione del filtro affettivo, l’espansione del repertorio comunicativo e lo sviluppo
della competenza sociolinguistica.
3. Considerazioni finali
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Nonostante in questo particolare contesto socio-culturale, l’approccio ludico risulti
particolarmente efficace, perché in grado di stimolare in modo soddisfacente l’interazione orale e ridurre il filtro affettivo in classe, rimane comunque forte tra gli studenti
la convinzione che sia preferibile la lezione frontale in cui il docente è al centro del
processo di apprendimento. Per vincere la diffidenza verso un approccio alternativo è
dunque molto importante che il docente preveda due momenti riflessivi che precedano e seguano l’attività ludica:
- un momento pre-ludico in cui vengono esplicitati gli obiettivi didattici dell’attività e
la rilevanza glottomatetica della tecnica ludica da utilizzare (Daloiso 2006);
- un momento post-ludico in cui si riflette sulle strutture grammaticali e le abilità linguistiche esercitate durante il gioco, dimostrando la rilevanza dell’attività proposta in
termini di obiettivi didattici perseguiti.
La riflessione meta cognitiva post-ludica è particolarmente importante perché consente di vincere lo scetticismo degli studenti e la loro idea pregiudizievole che il gioco sia
una perdita di tempo (Lombardo 2006) e permette loro di diventare sempre più consapevoli dell’efficacia di questo approccio alternativo.
Rivista In.it
Riferimenti bibliografici
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cura di), Collected works of L. S. Vygotsky: Vol. 6. Scientific Legacy, New York, Plenum Publishers.
PROGETTO
CULTURA
ITALIANA
A cura di Paolo E. Balboni
o Il Progetto Cultura Italiana nasce
dall’idea che per la formazione di
uno studente di italiano non si possa
escludere una dimensione culturale e
letteraria. Tuttavia per uno straniero
risulta spesso demotivante affrontare
testi linguisticamente complessi e di
cui non può apprezzare la componente
estetica.
o Questo progetto ha l’obiettivo di avviare al piacere del testo, presentando
la cultura italiana in forma guidata.
o Alla storia letteraria si affiancano un
manuale di storia italiana, inserita
nel quadro della storia delle varie aree
culturali del mondo, un percorso di
geografia d’Italia, una breve introduzione all’arte italiana.
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Cultura & Comunicazione
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Rivista In.it
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Italia 2020
Piano per l’integrazione nella sicurezza identità e incontro.
Ripercorrere l’iter della Legge 94/2009 [cfr. In.It. 29-30, 2013, pagg. 31-40] e di tutti gli
strumenti normativi – decreti, ordinanze, note ministeriali, linee guida e documenti – che,
limitatamente al tema dell’immigrazione, hanno dato e stanno dando in questi anni applicazione ai contenuti del modificato T.U., può introdurre all’analisi della scelta di campo
compiuta dal ‘sistema Italia’ in tema di immigrazione nel corso degli ultimi anni.
Nel contesto storico-normativo descritto, lo svilupparsi di un processo di progressiva
collaborazione tra le Amministrazioni dello Stato, ha consentito di delineare un quadro
complessivo, unitario, di riferimento in materia di integrazione linguistica e sociale degli
immigrati, quello che sostanzialmente possiamo indicare come “modello di inclusione”.
Prima della Legge 94/2009, nonostante l’ordinaria collaborazione tra le varie Amministrazioni, le politiche di integrazione linguistica e sociale degli immigrati venivano
settorialmente affidate, ciascuno per la propria competenza, a dicasteri differenti (Interno, Ministero del Lavoro, Istruzione, Welfare, ecc.).
L’introduzione di un requisito puntuale, quale il test di conoscenza della lingua italiana, dice invece di un avvio di una collaborazione sistematica tra le Amministrazioni
dello Stato e rappresenta un punto di svolta rispetto al quale è possibile parlare di un
prima e di un dopo.
Con la Legge 94/09 la conoscenza della lingua e della cultura e civiltà italiane da parte
degli stranieri acquista una rilevanza giuridica del tutto particolare, andando a configurarsi come un tema di interesse pubblico, in un percorso di collaborazione interistituzionale che ha dovuto affrontare dei passaggi, degli approfondimenti e delle scelte
sostanziali, soprattutto su due grosse novità.
1. Il test da adempimento ‘ostativo’ a occasione educativa
La Legge 94 subordina il rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata al superamento di un test di lingua italiana, ma rinvia ad un apposito decreto la definizione dei
criteri e delle modalità per lo svolgimento di tale test; neppure il D.M. 4 giugno 2010,
ITALIANO L2 IN ITALIA
Ogni azione politica e legislativa deve essere coerente con una visione
di fondo che attiene innanzitutto alla dimensione antropologica e quindi
sociale.
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Luca Di Dio
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Un modello «umanistico» per
l’inclusione. Parte II:
la normativa come risorsa,
tra ricchezza ideale e limiti
applicativi
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però, promosso dal Ministero dell’Interno di concerto con il MIUR, contiene fino in
fondo chiara ed evidente la possibilità di costruire una “via italiana” all’integrazione,
cioè non contiene in maniera chiara l’opportunità o quantomeno la facoltà di avviare
una strategia volta a creare un “modello di inclusione”. Il decreto Maroni si limita ad
indicare il livello di conoscenza richiesto, ad elencare i casi di esonero1, a dare facoltà
alle Prefetture-UTG di promuovere accordi per trovare le sedi idonee allo svolgimento
dei test.
E forse proprio questa possibilità contenuta nell’art. 6, che delega al Prefetto l’individuazione delle sedi per lo svolgimento del test «anche attraverso accordi con gli enti
locali e le istituzioni scolastiche», diventa in qualche modo l’occasione per ‘scardinare’
un quadro ordinamentale apparentemente rigido e costruire una strategia di inclusione, a partire dal riconoscimento del valore integrativo legato all’insegnamento e
all’apprendimento della lingua italiana, prima che alla mera esecuzione di un test di
livello.
Inizia, infatti, quella trasformazione che vede un adempimento – che riguarda sostanzialmente una condizione (la conoscenza della lingua italiana) necessaria per l’esercizio di un diritto – diventare un’occasione importante per il processo di inclusione, e
cioè la scelta di svolgere il test all’interno di una cornice di garanzia, quale quella data
dalle istituzioni scolastiche dell’apparato statale.
La serrata interlocuzione, di cui si è già detto, avviata all’indomani del 4 giugno 2010
tra l’Amministrazione del Ministero dell’Interno e quella del MIUR sfocia nell’Accordo
Quadro nelle cui premesse introduttive si legge
che i Centri Territoriali Permanenti, istituiti con Ordinanza del Ministro della pubblica
istruzione n. 455 del 29 luglio 1997, svolgono un ruolo fondamentale nell’accoglienza
degli stranieri e nella diffusione della conoscenza della lingua italiana sia tramite l’erogazione di percorsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio sia con l’attivazione
di corsi si integrazione linguistica e sociale.
Le “sedi” generiche per lo svolgimento del Test indicate dal D.M. 4 giugno 2010, divengono nell’Accordo Quadro, all’art. 4, «istituzioni scolastiche per lo svolgimento
del test» e – di più – quel che prevedeva il decreto all’art. 3, comma 32, e che dava
alla prova quel tono perentorio e ostativo, tipico di tanta normativa in materia di immigrazione, si trasforma radicalmente nella misura in cui gli adempimenti, anche di
accoglienza, vengono affidati a personale della scuola3 preparato e specificatamente
formato in italiano come Lingua Seconda, trasformando così, anche nella percezione
dello straniero, una barriera, in una opportunità: frequentare un ambiente già di per
sé inclusivo, disposto ad accoglierlo, a sostenerlo e a favorirlo in quelli che sono gli
impegni contenuti all’interno di questa legge.
La più grossa novità è proprio il riconoscimento, quale titolo valido ai fini dell’esonero,
accanto alle Certificazioni dei quattro Enti riconosciuti per la certificazione della lingua
italiana secondo il Framework, anche dell’attestazione di conoscenza della lingua
italiana rilasciata dai Centri Territoriali Permanenti in esito ai corsi di integrazione
linguistica e sociale.
2
«Il test si svolge, previa identificazione dello straniero a cura del personale della prefettura
ed esibizione della convocazione».
3
Oltre alla preparazione del test, alla somministrazione, alla correzione e all’attribuzione
del punteggio, l’articolo 5, comma 7, affida alla commissione perfino l’identificazione
dello straniero. Fino a generare situazioni di informalità che, d’altro canto, rischiano di
creare problemi come si vedrà nel capitolo 9.
1
Come afferma Rocca (2010: 119):
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l’Accordo Quadro fra Ministero dell’Interno e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca assegna agli stessi CPIA non solo il ruolo di somministratori, ma
anche quello di item writers, esaminatori e valutatori. Certamente, l’aver evitato
che il test venisse somministrato in Questura e corretto da personale amministrativo costituisce motivo di soddisfazione ovvero, meglio, di sollievo. Parallelamente,
intravedere la presenza di un filo rosso teso a collegare i momenti della formazione
e della verifica rappresenta una nitida affermazione dell’auspicato legame tra insegnamento e valutazione.
Le Scuole infatti, storicamente e concretamente, per il semplice essere ambiente di apprendimento, sono di fatto occasione, opportunità di reale inclusione, grazie anche e soprattutto alla presenza di risorse professionali
specifiche, che da anni lavorano sia per favorire l’apprendimento della lingua seconda, sia per favorire quel percorso interculturale che nella società
di oggi è a dir poco indispensabile.
2. La conoscenza della lingua italiana: requisito di valore
Se l’Accordo quadro stipulato l’11 novembre 2010 è di per sé privo di documenti che
possano assicurare sul territorio un’uniformità, una standardizzazione delle operazioni, e fornire criteri il più possibile omogenei di predisposizione, somministrazione e
correzione delle prove, ecco nascere il Vademecum che, pur in tutti i suoi limiti4, rappresenta un altro punto di svolta.
Il fatto di nascere dalle rispettive cellule tecniche del Ministero dell’Interno del MIUR
e da una cornice normativa corposa (come è evincibile nella premessa) non ha infatti
impedito di recepire le preziose indicazioni contenute nel Sillabo redatto per l’occasione dai 4 Enti Certificatori.
La collaborazione interistituzionale ha fatto cioè sì che (probabilmente per la prima
volta) si mettessero insieme i 4 Enti Certificatori riconosciuti a livello nazionale e internazionale per l’italiano come lingua straniera e seconda e creassero uno strumento
tecnico-scientifico unitario per dare corpo e sostanza al Vademecum; il Sillabo rappresenta, infatti, l’anima scientifica del Vademecum e l’argomentazione che consente di
poterlo esibire nelle sedi deputate, nonostante i già segnalati limiti, come un documento con una sua fondatezza e affidabilità.
3. La nascita di un modello?
Si delinea così una complessa architettura fondata sull’integrazione dei sistemi embrione di un vero e proprio sistema per l’immigrazione i cui attori – Amministrazione
Centrale, Prefetture, Questure, USR, Istituzioni Scolastiche Autonome, Enti Certificatori – giocano ognuno un ruolo fondamentale e strategico.
Se l’iter “tecnico”, dal punto di vista dello straniero, può apparire tutto sommato semplice (e così deve essere) e di estrema fruibilità5,
Cfr. in tal senso Rocca 2010 e Masillo 2013.
Lo schema, presente nei report statistici del Ministero dell’Interno (l’evidenziazione in
rosso è nostra), descrive in maniera immediata la procedura legata allo svolgimento del
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Centrodi
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istruzioneper Prefettura Richiedente
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UTG
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adulti
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Preparazionee
inoltrotelematico
delladomanda
Letteradi
convocazione
Domanda
Produzionedi
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convocazione
Letteradi
convocazione
Esitodeltest
Esitodeltest
Registrazione
dell’esitodeltest
Fine
Esecuzionedel
test
Esitodeltest
quanto ruota attorno alla voce “esecuzione del test”, come già sopra esposto, è tutt’altro che immediato.
Ne va di mezzo la responsabilità del Dirigente Scolastico che, secondo l’Accordo Quadro, oltre a presiedere le Commissioni deve individuare «almeno due docenti di italiano, in servizio presso le istituzioni medesime, individuati preferibilmente tra quelli che
abbiano frequentato corsi di aggiornamento e formazione in Italiano Lingua Seconda»
(art. 5, comma 3); tali docenti devono «definire il contenuto delle prove» (comma 4), ma
in questo tenendo in debita considerazione i criteri delle «linee guida adottate dagli
Enti di Certificazione», ed infine «predisporre tutti i necessari adempimenti anche di
natura organizzativa» (comma 6) per lo svolgimento del test.
Ora, se tale scelta ha determinato immediate – e per certi aspetti motivate – obiezioni
da parte degli addetti ai settori nella misura in cui (Rocca 2010: 120)
il Legislatore ha chiesto ai 4 Enti di Certificazione di unirsi in ATS per omologare il
più possibile, uniformare e conferire omogeneità al Sillabo, di contro lo stesso Legislatore tende a legittimare in teoria oltre 400 diversi sistemi di elaborazione, somministrazione e valutazione (ognuno dei quali riconducibile al singolo CPIA),
dall’altro ci parla di un serio investimento in chiave di maggiore consapevolezza dell’Istituzione Scuola – preposta all’assolvimento di un compito importante – chiamata
a sostenere formazione, diffondere buone pratiche, tutelare una crescente consapevolezza delle dinamiche inclusive da mettere in atto.
Di più, nella misura in cui il lavoro da parte dei CTP (CPIA) viene condotto con serietà
ed efficacia, gli stessi contenuti del test – che, preparato a livello nazionale, avrebbe
sicuramente mostrato una valenza estremamente asettica e genericista – potrebbero
far riferimento a situazioni reali di vita quotidiana per le quali la comprensione possa
passare o comunque essere facilitata anche attraverso informazioni di base deducibili
dall’ambientazione territoriale in cui lo straniero si trova a vivere.
test nella sua completezza. Sulla sinistra vengono rappresentati gli attori coinvolti nel
processo secondo i livelli di competenza e le frecce indicano i passaggi che il richiedente
compie dal momento dell’inoltro per via telematica della domanda di partecipazione al
test, alla registrazione e successiva comunicazione dell’esito.
Ovviamente, come tutte le strutture giovani, anche il modello del Test di livello A2 messo in campo a livello nazionale è una struttura che necessita di un accompagnamento
costante, capace di correggerne i difetti e orientarne gli sviluppi, che ha già visto numerose correzioni della rotta in corso d’opera6 e che altre ne vedrà sulla base delle esperienze locali7, ma resta il fatto che il nostro Paese, a partire dal 2010, ha fatto una scommessa: l’inclusione degli stranieri (linguistica e sociale) si fonda su un modello che ha il suo
primo fondamentale step all’interno del sistema pubblico di istruzione degli adulti.
Ciò non significa affatto escludere altri attori, anche perché si è visto che l’architettura
complessa li chiama inevitabilmente in causa, ma significa l’aver voluto affidare ad un
luogo preciso tale compito.
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4. Il D.P.R. 179 del 14 settembre 2011 e la conoscenza civica
Se il Decreto Maroni dà avvio alla procedura di testing di lingua italiana per gli stranieri regolarmente residenti in Italia da almeno 5 anni e che desiderano ottenere il
permesso CE per il lungo soggiorno, a disciplinare i nuovi arrivi ci pensa il D.P.R. 179
del 14 settembre 2011 che dà invece attuazione all’articolo 4-bis del T.U. che prevede
la sottoscrizione dell’Accordo di Integrazione articolato per crediti.
Il nuovo regolamento viene applicato, con l’entrata in vigore a partire dal 10 marzo 2012 (come indicato nella Circolare del Ministero dell’Interno n. 1542 del 2 marzo
2012), a tutti gli stranieri di età superiore ai sedici anni che arrivano per la prima volta
in Italia e richiedono il rilascio del permesso di soggiorno di durata non inferiore a un
anno. Il decreto prevede che l’Accordo possa essere tradotto nella lingua materna
dello straniero firmatario o in una delle lingue da lui indicata come preferenziale8. Al
momento della sottoscrizione, sono assegnati allo straniero sedici crediti. Tale punteggio corrisponde, nella tabella allegata all’Accordo di integrazione, al livello A1 del
Framework, relativamente alla comprensione e alla produzione orale e ad un livello
sufficiente di conoscenza della cultura civica italiana, competenze e nozioni di base
ritenute punto di partenza per il processo di integrazione9.
6
Ad esempio le note e le circolari che prendono atto della situazione di analfabetismo di
molti richiedenti.
7�
Cfr. Di Dio 2012 e 2014.
8
Il testo e i relativi allegati, al fine di garantire una partecipazione più consapevole al
raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo, sono tradotti in 19 lingue e disponibili sul sito
del Ministero dell’Interno unitamente ad un vademecum esplicativo delle nuove procedure,
anch’esso tradotto nelle stesse lingue. Una tendenza, vale il ricordarlo, già introdotta dalla
Legge Turco-Napolitano che, all’art. 2, comma 5, prevedeva che “ai fini della comunicazione
allo straniero dei provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti
sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero,
quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spagnola, con preferenza per
quella indicata dall’interessato”.
9
Da qui aumenteranno proporzionalmente ai livelli di conoscenza della lingua italiana,
della cultura civica o alla partecipazione, con profitto, a percorsi di istruzione o di
formazione professionale. I crediti acquisiti possono anche subire delle decurtazioni a
seguito di provvedimenti giudiziari penali di condanna o dell’applicazione di misure di
sicurezza personali, anche non definitive, o ancora dall’irrogazione definitiva di sanzioni
pecuniarie di importo non inferiore a 10 mila euro. Il numero dei crediti riconoscibili o
decurtabili è specificato in apposite tabelle riportare rispettivamente negli allegati B
e C dell’Accordo. Qui è riportata come esemplificazione solo la parte relativa ai crediti
linguistici e di conoscenza civica.
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1. Conoscenza della lingua italiana
(secondo il quadro comune europeo di riferimento per le
lingue emanato dal Consiglio d’Europa)
livello A1 (solo lingua parlata)
livello A1
livello A2 (solo lingua parlata)
livello A2
livello B1 (solo lingua parlata)
Livello B1
livelli superiori a B1
(*) I crediti relativi alla presente voce
non sono cumulabili tra loro
Crediti
riconoscibili (*)
2. Conoscenza della cultura civica e della vita civile
in Italia
Crediti
riconoscibili (*)
Livello sufficiente
Livello buono
Livello elevato
(*) I crediti relativi alla presente voce
non sono cumulabili tra loro
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Attraverso la sottoscrizione dell’Accordo, lo straniero si impegna ad acquisire un livello di conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello A2 del
Framework, ad apprendere i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, a conoscerne gli organi istituzionali, ad acquisire le conoscenze di base relative
al funzionamento della vita civile in Italia – con particolare attenzione ai settori della
sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e degli obblighi fiscali - e a garantire
l’adempimento dell’obbligo di istruzione da parte dei figli minori. Infine lo straniero
dichiara di aderire alla Carta dei valori di cittadinanza e dell’integrazione, adottata dal
Ministero dell’Interno il 23 aprile 2007 con il fine di riassumere ed esplicitare i principi
fondamentali che regolano la vita collettiva nel Paese10. Nel contempo lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazione, assicurando allo straniero la partecipazione a Sessioni di formazione civica e di informazione sulla vita in Italia e accreditando le
iniziative più consone all’obiettivo di integrazione, in collaborazione con Regioni, Enti
locali e Centri per l’istruzione degli adulti (CPIA).
Non diversamente dal D.M. 4 giugno 2010, anche il D.P.R. 179/11 elenca i soggetti
esenti dalla stipula dell’Accordo11.
L’articolo 3 del D.P.R. 179/11 tratta nello specifico la questione delle Sessioni di formazione civica e di informazione; gli stranieri hanno l’obbligo di partecipare alle Sessioni,
che sono gratuite, entro 90 giorni dalla stipula dell’Accordo. La durata delle Sessioni
è variabile, da un minimo di cinque ore ad un massimo di dieci; inoltre, durante queste ore, è possibile avvalersi di materiali e sussidi tradotti in lingua materna o in una
delle lingue indicate come preferenziali. L’obiettivo delle Sessioni è quello di far acquiLa Carta dei valori, redatta secondo i principi della Costituzione italiana e delle principali
Carte europee e internazionali dei diritti umani, propone ed elenca norme sociali di
convivenza, alla luce dei cambiamenti che hanno portato l’Italia ad essere una società
multiculturale.
11�
Persone affette da patologie o disabilità tali da determinare gravi difficoltà di
apprendimento linguistico e culturale; minori non accompagnati; vittime delle tratte di
persone, di violenza o di grave sfruttamento.
10
sire allo straniero, in forma sintetica, consapevolezza relativamente ai propri diritti
e doveri e alle facoltà ed obblighi derivanti dal soggiorno; in aggiunta vengono date
informazioni riguardanti le normative di riferimento in materia di salute e sicurezza sul
lavoro, nonché indicazioni relative alle principali iniziative a sostegno del processo di
integrazione.
Il comma 3 è particolarmente importante, perché vi si specifica che la mancata partecipazione alla sessione di formazione civica e di informazione dà luogo alla perdita di
quindici dei sedici crediti assegnati all’atto della sottoscrizione dell’accordo.
È proprio all’interno del testo legislativo, questa volta, che trovano posto indicazioni
ben circostanziate legate all’espletamento delle Sessioni di formazione civica ed informazione, invitando il Prefetto a concludere o promuovere la conclusione di forme di
collaborazione tra lo sportello unico e la struttura territorialmente competente dell’ufficio scolastico regionale, i centri provinciali per l’istruzione degli adulti […], le altre
istituzioni scolastiche statali operanti a livello provinciale e, se del caso, le altre amministrazioni ed istituzioni statali, comprese le università, relativamente all’organizzazione e allo svolgimento degli adempimenti di cui al presente regolamento, con particolare riferimento alle sessioni di formazione civica e informazione di cui all’articolo 3
e ai test linguistici e culturali di cui all’articolo 5, comma 1.
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5. Avvio delle Sessioni e Accordo Quadro 7 agosto 2012
Con la sottoscrizione dei primi Accordi di integrazione a far data dal 10 marzo 2012,
pertanto, si rende necessario normare ulteriormente lo svolgimento del primo degli
impegni sottoscritto dallo straniero, ovvero la partecipazione alle Sessioni di formazione civica e informazione previste dall’art.3 del D.P.R. 179/2011.
Alcune questioni aperte, infatti, come la durata delle stesse – lasciata dal D.P.R. 179/11
discrezionalmente variabile tra le 5 e le 10 ore –, i materiali utilizzati e il chi dovesse
provvedere all’erogazione della Sessione (e in parte anche il dove), trovano risposta
con la stipula di un secondo Accordo Quadro tra il Ministero dell’Interno e il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Tale Accordo, sottoscritto il 7 agosto
2012, definisce i criteri e le modalità per lo svolgimento delle Sessioni di formazione
civica e di informazione; i Ministeri, oltre a stabilire alcune indicazioni generali relative
alle modalità di erogazione dei corsi di lingua e delle Sessioni, optano per la durata
massima prevista dal D.P.R. 179/11, ovvero 10 ore, e individuano nelle istituzioni scolastiche sedi dei Centri Territoriali Permanenti il luogo idoneo per lo svolgimento delle
medesime Sessioni.
In particolare l’articolo 4 stabilisce che:
- la Sessione di 10 ore può essere articolata in più sedute (comma 4);
- le istituzioni scolastiche delegate individuano almeno due docenti in servizio per
l’erogazione dell’attività informativa (comma 5);
- le istituzioni scolastiche possono utilizzare i sussidi predisposti dal Ministero dell’Interno12 e/o ogni altro materiale predisposto dai CTP (comma 6).
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Si tratta dei video di circa 5 ore tradotti in 19 lingue diverse che, tramite le Prefetture-UTG,
il Ministero dell’Interno ha fatto pervenire a tutti i CTP per avviare le Sessioni di formazione
vica ed informazione.
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Ma soprattutto l’articolo 6, comma 1, stabilisce che l’iscrizione e la frequenza ai corsi
di integrazione linguistica e sociale e ai percorsi per il conseguimento del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione [terza media], organizzati dalle istituzioni
scolastiche, sedi dei Centri Territoriali Permanenti costituisce a tutti gli effetti partecipazione alla sessione.
Viene così riconosciuto esplicitamente al sistema pubblico di istruzione un ruolo importantissimo ai fini dell’integrazione in senso chiaramente istituzionale, in quanto
l’attività formativa che esso eroga è funzionale anche ad assolvere i requisiti richiesti
allo straniero per la sua permanenza legale in Italia.
Occorre, infine, attendere il 4 luglio 2013 per avere un chiaro riferimento sui contenuti
delle Sessioni. Con la nota 988, infatti, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, diffonde le Linee guida per la progettazione della sessione di formazione
civica e di informazione, ovvero delle indicazioni per la declinazione delle conoscenze
di cui all’art. 2, comma 4, lettere b) e c) del DPR 179/201113.
Il documento rende noto l’elenco delle conoscenze da acquisire nelle 10 ore di corso, in
riferimento all’articolo 2 del D.P.R. 179/2011, e le rispettive fonti: per le nozioni di cui all’art. 2. comma 4, lettera b), gli argomenti riguardano i principi fondamentali della Costituzione (artt. 1-12), e l’organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche in
Italia (art. 5 e titolo V); in relazione all’art. 2, comma 4, lettera c), i temi vertono sulla
sanità (art.32), sulla scuola (art.33 e 34), sui servizi sociali (Legge Quadro n. 328/2000),
sul lavoro (artt. 35-40), sugli obblighi fiscali (art. 53). Inoltre, in base all’articolo 3, comma 2 del D.P.R., agli attendenti devono essere fornite le seguenti informazioni: diritti e
doveri degli stranieri in Italia, facoltà e obblighi inerenti al soggiorno, diritti e doveri
reciproci dei coniugi, doveri dei genitori verso i figli secondo l’ordinamento giuridico
italiano, anche con riferimento all’obbligo di istruzione, e principali iniziative a sostegno del processo di integrazione degli stranieri a cui egli può accedere nel territorio
della provincia.
Nei paragrafi successivi delle Linee Guida vengono forniti maggiori dettagli sulle tematiche, e soprattutto vengono date indicazioni abbastanza precise riguardo le metodologie e la gestione-organizzazione delle sessioni, la cui durata di 10 ore può essere
distribuita in più incontri14.
Di particolare interesse appaiono gli elementi di progettazione15, dai quali si evince «la
concreta intenzione di sviluppare un percorso attrattivo al fine di favorire il coinvolgimento dei partecipanti per la fruizione dei contenuti proposti», utilizzando «una pluralità di canali nella comunicazione»16, sviluppando il confronto interculturale rispetto
ai temi affrontati, e implementando «i contenuti proposti con esempi concreti, anche
mediante immagini e materiali appositamente selezionati e predisposti».
Le Linee guida sono state stese nel corso del workshop FEI “Formazione linguistica ed
educazione civica dei cittadini stranieri extracomunitari: linee guida per la costruzione di
un sistema integrato Regioni – Uffici Scolastici Regionali – Prefetture” tenutosi il 3 ,4 e 5
aprile 2013 a Roma presso la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (S.S.A.I.).
Il documento è stato predisposto da un gruppo di lavoro congiunto di cui chi scrive ha
avuto l’onore di fare parte.
14
Anche in virtù di una progettazione modulare e in relazione alle esigenze del territorio.
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Cfr. “Linee guida per la progettazione della sessione civica e di informazione, di cui
all’articolo 3 del DPR 179/2011. Indicazioni per la declinazione delle conoscenze di cui
all’art. 2, comma 4, lettere b) e c) del DPR 179/2011”, p. 21.
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Non solo filmati, dunque, ma anche “riproduzioni scritte in sintesi, immagini, interazione
verbale, ecc.”.
13
6. L’avvio della Verifica dell’Accordo di Integrazione
A distanza di circa due anni dall’entrata in vigore dell’Accordo di integrazione, prende
avvio anche tutto l’iter relativo alla verifica degli accordi sottoscritti, come indicato
dall’articolo 6: lo Sportello unico per l’Immigrazione invia comunicazione allo straniero, che è invitato a presentare la documentazione necessaria. Per quanto concerne
la conoscenza della lingua italiana e della cultura civica, in assenza di idonea attestazione, lo straniero potrà far accertare il proprio livello di conoscenza della lingua
italiana e di cultura civica attraverso il test svolto gratuitamente a cura dello Sportello
unico, utilizzando le medesime procedure già in vigore per lo svolgimento del test di
conoscenza della lingua italiana di chi richiede il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. La verifica si conclude con l’attribuzione dei crediti finali
e la relativa disposizione riguardo al permesso di soggiorno; se il numero dei crediti
finali è pari o superiore alla soglia di adempimento, purché sia stato raggiunto almeno
il livello A2 nella conoscenza della lingua italiana e un livello sufficiente di conoscenza
delle cultura civica, l’accordo viene estinto per adempimento, mentre viene prorogato
per un altro anno alle medesime condizioni se il numero dei crediti finali risulta essere
superiore a zero, ma inferiore alla soglia di adempimento. Nel caso in cui il numero dei
crediti fosse pari o inferiore a zero, viene decretata la risoluzione dell’Accordo per inadempimento, con la conseguente assunzione di provvedimenti discrezionali, tra cui la
revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dal territorio nazionale.
È così che il 3 aprile del 2014, vengono diffusi dal MIUR i tre strumenti che ancora
mancavano per completare l’approccio italiano al processo di integrazione degli stranieri, come previsto dagli artt. 5 e 6 del D.P.R. 179/2011: i primi due riguardano i test
linguistici17, mentre il terzo, che rappresenta la maggiore novità dell’ultimo periodo,
riguarda i “Criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della cultura civica e della
vita civile in Italia”.
La prima peculiarità emerge fin dall’introduzione, dove viene specificato che il test è strutturato in forma orale, ad un livello A2, e che «La scelta di tale approccio è dettata dalla considerazione socio-linguistica che pone l’oralità come dimensione comunicativa preponderante nell’interazione sociale [...]». Inoltre, «la metodologia presuppone l’adozione - da
parte delle Commissioni - di strategie specifiche per l’interazione orale, secondo protocolli
di conduzione e procedure comportamentali come da letteratura di settore».
L’indeterminatezza riguardo le indicazioni metodologiche è spiegata subito dopo, quando si afferma che «le presenti Linee guida non si pongono come un percorso prescrittivo», ma come un sostegno per la costruzione di modelli definiti dalle «reali esigenze
delle diverse tipologie dell’utente adulto straniero» e costituiscono un punto di partenza
da migliorare nel tempo con l’esperienza e il supporto di tutti gli operatori.
A differenza di quanto avviene nei paesi analizzati nella prima parte del presente lavoro,
dunque, queste Linee guida non propongono un modello di test centralizzato e uguale
per tutti, ma lasciano un considerevole margine discrezionale alle Commissioni degli
istituti preposti alla stesura, somministrazione e correzione del test che – come previsto
dall’Accordo Quadro tra Ministero dell’Interno e MIUR del 7 agosto 2012 – sono individuate nelle sedi dei CPIA o, in attesa del compimento della riorganizzazione, nei CTP.
La prova, che dura da un minimo di 7 ad un massimo di 10 minuti, è strutturata in due
I “Criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana a livello A2
parlato” e i “Criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana a livello
B1”.
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fasi: la prima consiste in una breve presentazione da parte dello straniero, guidata dall’esaminatore; la seconda in uno scambio comunicativo che prende avvio da tre input,
uno per ogni sezione delle conoscenze elencate nelle “Linee guida per la progettazione della sessione civica e di informazione.
La breve presentazione deve seguire un percorso di domande aperte in riferimento al
nome, alla provenienza, al viver quotidiano e al contesto famigliare dell’esaminato, più
eventuali altre richieste; le informazioni ricavate devono essere tenute in considerazione al momento della scelta degli input nella seconda parte dello scambio comunicativo. Riguardo quest’ultimo, i Criteri specificano che gli input devono riferirsi al vissuto
o al quotidiano della persona senza astrazioni o generalizzazioni culturali o concettuali, in coerenza con le competenze attese dal livello A2 parlato. Inoltre, viene esplicitamente indicato che i turni dell’esaminatore non devono superare le 20 parole.
Il test deve essere svolto come un colloquio, e mai dare l’impressione di un’interrogazione; per favorire lo scambio, è incentivato l’uso di immagini o oggetti di uso quotidiano.
Le indicazioni per la conduzione del colloquio, rivolte all’esaminatore, dimostrano in
modo chiaro la propensione ad assumere un atteggiamento collaborativo e cordiale;
l’esaminatore deve inoltre parlare in maniera comprensibile, tenendo un ritmo rallentato, con una dizione non distante dallo standard; infine, devono chiamare il candidato
per nome e usare preferibilmente il Lei, a meno che il registro formale non ostacoli
l’interazione, perché poco legato alla quotidianità dell’esaminato.
Nell’ultima parte vengono stabiliti i criteri di attribuzione del livello di conoscenza
della cultura civica e della vita civile in Italia18, formulati secondo le indicazioni del
sillabo redatto dagli Enti certificatori, per cui l’esaminato che supera la prova viene
valutato ad un livellodi conoscenza “sufficiente”, “buono”, o “elevato”, e ‘guadagna’,
rispettivamente, 6, 9, o 12 crediti nel quadro dell’Accordo di Integrazione.
Il livello “sufficiente”, oltre a permettere al candidato di superare l’esame, consente di
ottenere il riconoscimento del livello A2 della lingua italiana, solo parlata, nel caso in
cui non sia già in possesso di una conoscenza superiore.
Una dinamica, quest’ultima, che sembra essere prettamente italiana e che differenzia ulteriormente in chiave “formativa” il modello italiano da quello degli altri paesi europei.
Sia riguardo la preparazione ai test, sia riguardo le modalità di svolgimento, emerge
in modo evidente un’organizzazione meno ‘tipizzata’ e più attenta alla personalità e al
vissuto dell’immigrato.
Il materiale di studio e i contenuti di quella che è comunemente definita KoS (Knowledge
of Society) sono nei diversi paesi europei per lo più standardizzati, e gli esami si svolgono in forma scritta, possibilmente con domande a risposta multipla, al fine di limitare il
più possibile il grado di soggettività; in Italia invece il test viene svolto oralmente, e le
indicazioni sugli argomenti lasciano ampia scelta alle Commissioni delle varie sedi distribuite sul territorio. Anche il materiale di studio delle sessioni, se si fa eccezione per
un video standard distribuito in 19 lingue, è a discrezione delle sedi competenti19.
Quello della valutazione è forse l’aspetto più discutibile delle Linee guida, in quanto
lascia un notevole margine discrezionale alle Commissioni, risultando pertanto molto poco
oggettivo, e rischiando di determinare disparità di giudizio nelle diverse sedi d’esame del
territorio nazionale.
19
Recentemente il Ministero dell’Interno ha affidato all’Università per Stranieri di Perugia e
all’Università per stranieri di Siena la realizzazione di alcuni sussidi per i cittadini migranti
che consistono in brevi spezzoni video didattizzati e corredati da domande di preparazione.
Gli stessi presentati a Roma il 29 maggio 2015 nel corso del Convegno “Integrazione
linguistica: fra didattica dell’italiano L2 e certificazione delle competenze”.
18
Conclusioni: arriverà a compimento il modello “umanistico”?
Tra gli aspetti, a giudizio di chi scrive, più interessanti di questo iter c’è forse l’evidente affermazione di un nuovo ‘pubblico’, destinatario di un percorso formativo linguistico e culturale sinteticamente riassunto nell’etichetta “italiano della cittadinanza” 20.
Una lingua che non ha requisiti differenti (o almeno non significativi) dal punto di vista morfosintattico o lessicale e al fondo neppure nell’aspetto comunicativo in senso
stretto, ma può a buon diritto essere considerata una strada diversa all’interno delle
dinamiche socio-culturali che il nascente “modello umanistico” italiano per l’inclusione degli immigrati sta mettendo in moto.
Una strada che ha dovuto e deve fare i conti con una realtà – quella dei cambiamenti
introdotti (e indotti) dalla L. 94/2009 e dalle successive norme attuative – che ha gettato nello scompiglio un intero mondo: quello degli immigrati che dall’oggi al domani si
sono trovati – da grandi – a dover dimostrare che ‘conoscono una lingua’ (anche senza
averla studiata). Ma anche quello dei ‘nativi’ (brutta parola) che devono dare applicazione a quel che la normativa prevede (o prescrive).
Si trattava alcuni anni fa e si tratta ancora oggi di leggere, tra gli squarci che un cielo
apparentemente grigio e tempestoso lasciava intravedere, momenti di luce legati ad
un quotidiano lavoro e tentare di mettere in piedi un sistema, di azzardare una progettualità, di ipotizzare un modello che renda ragione della costruzione di una società
naturalmente pluriculturale21.
Il modello che ne emerge – e che proponiamo di seguito – non può essere definito in
astratto, ma costruito in modo da adattarsi a realtà territoriali diverse, a pubblici caratterizzati a livello locale e alle agenzie formative che, in quel territorio particolare,
diventano il punto di coordinamento e di snodo della rete, in un percorso né semplice,
né rapido, nei confronti del quale, a tutt’oggi, restano carenze e miglioramenti da attuare, ma consapevoli che si è dato avvio ad una struttura permanente, facente capo
alle istituzioni locali che ha finalmente cominciato a dare risposte programmatiche
ponendo al centro l’ “italiano della cittadinanza”.
Le incombenze stesse che la normativa ha – come si è visto positivamente – fatto ricadere sul sistema scuola, troveranno senso solo se riassorbite in un sistema formativo
composito in grado di accogliere ed accompagnare tutti al raggiungimento di quelle
competenze basilari (non solo la lingua) che costituiscono l’essenza del diritto di cittadinanza, italiana così come europea.
In questi termini si è espresso anche Maggini nell’introduzione al XXII Convegno
Nazionale dell’ILSA che si è svolto a Firenze il 29 novembre 2013: “Contesti di
apprendimento dell’italiano L2: gestione del fenomeno migratorio fra sperimentazione e
quadro normativo”.
21
Non sembra di dire nulla di sconvolgente affermando che ormai, al di là di sterili
proclami politici contro gli immigrati, assolutamente anacronistici oltreché indegni, la
percezione del cittadino comune – sebbene diversa dall’atteggiamento che poi si assume
– non può non fare i conti con tutta una serie di aspetti ‘visibilmente’ pluriculturali: dalla
nazionale di calcio di Balotelli e Ogbonna alla letteratura di immigrazione, dalla presenza
di italianissimi immigrati nella scuola, nei negozi, nei programmi televisivi e in ogni campo
della vita sociale fino ad un aspetto di piena incisività socio-economica, che vede una
nuova presenza nel mercato del lavoro non più limitata alla ‘manovalanza’, ma seriamente
impegnata nell’imprenditoria e nelle libere professioni.
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Italiano L2 in Provincia di
Bolzano: di cosa stiamo parlando
oggi?
Barbara Gramegna
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Rivista In.it
Fino ai primi anni ’90 era bene evidente a tutti in Alto Adige il concetto di Italiano
L2: si trattava dell’insegnamento/apprendimento della lingua italiana alla popolazione germanofona (minoranza sul suolo nazionale) nata e cresciuta in provincia di
Bolzano.
Il sistema scolastico altoatesino è, infatti, tripartito: Scuola in Lingua Italiana, Scuola
in Lingua Tedesca, Scuola in Lingua Ladina.
Tralasceremo qui per economia il tema della Scuola in Lingua Ladina, che offre un insegnamento paritetico nelle tre lingue del territorio, mentre concentreremo l’attenzione
sugli altri due sistemi scolastici.
La Provincia Autonoma di Bolzano è regolata, oltre che dalla legislazione nazionale,
per quanto concerne importanti ambiti, fra i quali la scuola, dallo Statuto d’Autonomia.
Il Secondo Statuto di Autonomia (una piccola costituzione), risalente al 1972 e tuttora
vigente, recita a proposito di scuola, con l’Articolo 19 quanto segue:
Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna. Nelle scuole elementari, con inizio dalla seconda o dalla terza classe, secondo quanto sarà stabilito con
legge provinciale su proposta vincolante del gruppo linguistico interessato, e in
quelle secondarie è obbligatorio l’insegnamento della seconda lingua che è impartito da docenti per i quali tale lingua è quella materna.
Sono solo delibere della Giunta Provinciale (il governo locale) ad avere il potere di modificare o apportare variazioni transitorie o permanenti allo Statuto.
L’introduzione dell’insegnamento della seconda lingua dalla prima classe della scuola
primaria è stata sancita ad esempio da una delibera apposita, così come l’apertura,
per la scuola in lingua tedesca, verso la possibilità di ‘attivare progetti didattici finalizzati a un più efficace apprendimento della seconda lingua (Italiano) e delle altre lingue
presenti nel curricolo di scuola’ (Delibera Provinciale nr.1034 8.07.2013), sempre però
in ottemperanza al summenzionato Articolo 19.
D’altro canto la scuola in lingua italiana, che ha attuato sin dagli anni ’90 diverse
sperimentazioni linguistiche potenziando in termini di ore l’insegnamento del Tedesco L2 e introducendo coraggiose scelte metodologiche, ha inoltre visto, quasi dieci
anni prima della scuola in lingua tedesca, l’ingresso di diversi studenti provenienti
da altri paesi.
Si è pertanto trovata di fronte alla necessità di ragionare sul concetto di Italiano L2 per
‘studenti con background migratorio’.
Nel 2007, dando seguito ad una esigenza sempre maggiore di fornire sostegno lingui-
stico a questo nuovo tipo di alunni, vengono quindi istituiti, sempre attraverso una
delibera di Giunta (nr.1482 7.05.2007), i ‘centri linguistici’.
I centri linguistici sono al servizio dei tre gruppi linguistici e di tutte le scuole, coinvolgendo in caso di necessità e per quanto attiene le misure da adottare, la scuola dell’infanzia.
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I centri hanno i seguenti compiti:
- la consulenza per genitori di alunne e alunni con background migratorio e per coloro
che ne fanno le veci per quanto riguarda la scelta della scuola;
- il rilevamento del livello di conoscenza della lingua usata per l’insegnamento;
- la pianificazione e l’attuazione degli interventi di promozione linguistica: la consulenza e il sostegno alle scuole dell’infanzia, alle scuole e alle reti di scuole;
- il coordinamento delle risorse umane e didattiche;
- la collaborazione con le comunità comprensoriali, con le associazioni che operano nel
sociale e con le associazioni e le istituzioni private;
- la pianificazione dei corsi di alfabetizzazione per i genitori, anche in collaborazione
con organizzazioni di educazione permanente.
La nota particolare è che tali centri sorgono, in effetti, soprattutto per la necessità
di rispondere a un’urgenza (indotta dalla stessa legislazione locale) di acquisizione,
pressoché contemporanea, delle due lingue parlate sul territorio e il cui insegnamento
è obbligatorio nei due sistemi scolastici.
In questa maniera la definizione di L2 viene qui a corrispondere a:
- Italiano per provenienti da altri paesi;
- Italiano per germanofoni della Provincia di Bolzano;
- Tedesco per italofoni della Provincia di Bolzano;
- Tedesco per genericamente provenienti da ‘fuori Provincia’;
- I Centri Linguistici offrono, infatti, a tutte le scuole del territorio:
- Corsi di ‘incentivazione’ in Italiano L2 per ‘stranieri’;
- Corsi di ‘incentivazione’ inTedesco L2 per ‘stranieri’
ma non sono deputati ad insegnare Italiano L2 a germanofoni della Provincia di Bolzano, né Tedesco L2 ad italofoni della Provincia di Bolzano, visto che questo avviene
già nelle scuole.
Considerando che le parole dovrebbero essere riempite di significato condiviso, mai
come in questo caso ci troviamo di fronte ad un’estrema ambiguità.
Inoltre, l’Italiano di Bolzano, non solo è una delle tante varietà di Italiano presenti in
Italia, ma è anche l’Italiano di una fetta di popolazione di fatto minoritaria sul suolo
provinciale e che trae origine in gran parte da un processo d’immigrazione coatta
voluta da Benito Mussolini, quando ‘italianizzò’ a tavolino questa propaggine meridionale dell’ ex-territorio austriaco (Süd-Tirol), annesso all’Italia nel 1919 sulla base di un
trattato e a conclusione del primo conflitto mondiale.
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L’Italiano L2 di Bolzano, quindi, non solo è un Italiano ricolmo di valenza politica
per molta parte della popolazione autoctona germanofona, ma è anche un Italiano
linguisticamente influenzato dal tedesco, da una cifra veneto-trentina, e culturalmente non proprio identificabile con il concetto di ‘italianità’ che l’Italia esporta
nel mondo.
Una vera riflessione rispetto a che Italiano L2 sia necessario insegnare/si insegni alle
prime, seconde e terze generazioni dei ‘nuovi cittadini’ della Provincia di Bolzano, non
è stata però ancora fatta.
Riferimenti sito-e bibliografici:
Il Nuovo Statuto di Autonomia, Giunta provinciale di Bolzano, 2009.
http://lexbrowser.provincia.bz.it/doc/20130807/it/1971/delibera_n_1482_del_07_05_
2007.aspx
http://lexbrowser.provinz.bz.it/doc/it/197177/delibera_8_luglio_2013_n_1034.
aspx?view=1
14 | catalogo 2015 | corsi adulti
vità
+no
SYLLABUS
Corso di italiano per stranieri
Rosanna Chirichella-Caratsch
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La maggior parte degli insegnanti ha la necessità di dover produrre
lavori adatti alle diverse esigenze, trovandosi spesso a lavorare con
classi disomogenee. Con Syllabus si ha a disposizione tutto quello
che serve per l’apprendimento dell’italiano come lingua straniera. Gli
studenti che hanno utilizzato quest’opera in fase sperimentale hanno
raggiunto con successo il livello di riferimento e sostenuto con profitto
gli esami di certificazione.
Rivista In.it
O Syllabus è un corso di italiano articolato in tre volumi:
livelli A2/B1, B2, C1/C2, ognuno corredato da Cd audio.
Il Volume 1, oltre che trattare le strutture grammaticali e gli ambiti tematici
del proprio livello, riepiloga le strutture di base del livello A1.
O Il corso si rivolge principalmente a studenti di università e di accademie
superiori, ma anche a studenti adulti, dei corsi di lingua e cultura italiana
all’estero, e istituti superiori, che vogliono acquisire una competenza
linguistica secondo i livelli dettati dal QCER.
SCHEDA TECNICA
SYLLABUS 1
Testo+CD audio
ISBN: 978-88-557-0563-9
PAGINE: 256
FORMATO: cm 20X27
In preparazione
T
( ((
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( A2/B1(
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SYLLABUS 2
Testo+CD audio
In preparazione
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SYLLABUS 3
Testo+CD audio
In preparazione
( ((
(
( C1/C2(
(
(
( ((
(



O Ognuna delle 8 Unità ruota intorno ad un tema culturale e contiene:
– un’attività introduttiva (Per incominciare) che mette in gioco le
preconoscenze dei singoli corsisti
– testi autentici che mettono in contatto lo studente, oltre che con
l’italiano standard e con autori della letteratura italiana contemporanea, anche con le diverse varietà tipiche dell’uso parlato e
scritto
– strutture grammaticali, a cui è dedicata una specifica sezione e
che vengono proposte attraverso un metodo induttivo
– funzioni comunicative presentate con gradualità, per permettere
un costante arricchimento delle capacità di produzione orale
– attività di comprensione orale
– un’ampia gamma di esercizi di diversa tipologia
– una sezione di Autovalutazione e un Test che verifica gli apprendimenti proposti ogni due Unità
– pagine dedicate a Strategie comunicative, ad elementi di Civiltà
Italiana e ad esercizi di Fonetica (per il livello A2/B1).
Il sito www.guerraedizioni.co/syllabus offre materiale aggiuntivo:
− Sezione Navigare in internet con l’italiano, che permette di acquisire un linguaggio sempre più attuale
− Attività supplementari
− Chiavi degli esercizi
− Un Blog al quale saranno indirizzati la maggior parte dei link, con la possibilità per tutti gli studenti che usano
Informazione bibliografica
Balboni P.E., Mezzadri M. (a cura di), 2014, L’italiano L1 come lingua studio, Torino, Loescher.
A cura di
Elena Ballarin
I curatori del volume presentano in circa 170 pagine una panoramica sul rapporto tra
lingua dello studio, microlingue e didattica CLIL e insegnamenti disciplinari rivolti a
parlanti madrelingua e affronta una riflessione sulla necessità di offrire mezzi didattici
adeguati, affinché il discente affronti lo studio di un particolare ambito disciplinare
potendo contare su un’adeguata padronanza linguistica.
La raccolta di saggi si apre con l’introduzione di uno dei curatori, Paolo E. Balboni,
che illustra le linee guida del progetto M.I.L.E.L (Materiali integrativi Loescher per
l’Educazione Linguistica) e parte da tre principi fondamentali per affrontare l’esame
della lingua dello studio:
a. la padronanza della lingua di lavoro è condizione necessaria per il successo scolastico;
b. la padronanza della lingua è legata all’input che si riceve e che si riesce a comprendere;
c. la comprensione dipende da alcuni fattori personali di ogni studente.
Successivamente illustra gli obiettivi principali del progetto: produrre guide operative
che coadiuvino i docenti sia nella pratica didattica, sia nella riflessione sul raggiungimento dell’apprendimento efficace in aula. Tale riflessione coinvolge i processi di apprendimento che avvengono in L1, L2 e in ambito dialettofono. Il contributo prosegue
illustrando il tipo di apporto che, nella lingua dello studio, si crea tra l’input offerto
dall’insegnante di lingua e quello offerto dall’insegnante di disciplina e sottolinea
come anche la lingua offerta nell’ambito delle discipline umanistiche sia disciplina
essa stessa. La conclusione di questa parte introduttiva al volume vede indicati gli
strumenti utilizzati nel progetto: guide per i docenti e percorsi didattici per gli studenti.
Il volume si divide in due parti: coordinate e aspetti operativi e vede nel capitolo 1 (“La
natura della lingua dello studio”) a cura di Luise M.C. una riflessione sulla natura epistemologica della lingua usata per diffondere il sapere. Il contenuto offre una definizione
di lingua dello studio intesa come sovra disciplinare e alternativa alle microlingue, con
le quali pur si confronta e che comprende. L’autrice pone la differenza nel soggetto che
apprende: specialista nel caso delle microlingue, non specialista nel caso della lingua dello studio. Successivamente affronta l’esame delle abilità linguistiche coinvolte
nella lingua dello studio: per quanto riguarda le abilità orali sia esamina sia la lingua
prodotta dal docente, come pure la lingua prodotta dal discente il rapporto che si crea
quando i due soggetti interagiscono. Si passa in rassegna anche l’abilità di scrittura,
ponendo l’accento sull’importanza della comprensibilità delle fonti e la variabilità di
quanto prodotto in base all’età e al percorso di studi del discente. Si passa in rassegna
successivamente le caratteristiche che rendono la lingua dello studio ‘difficile’ per chi
apprende e questo esame offre uno strumento prezioso al docente che necessiti di una
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riflessione sui materiali didattici. Il contributo si conclude con una riflessione sulle
competenze di cui hanno bisogno sia i docenti che i discenti nell’affrontare questa
disciplina linguistica.
Il capitolo 2 (“L’educazione alle microlingue e nelle microlingue disciplinari”) ���������
è a cura
di Balboni P. E. e propone degli spunti di riflessione sulla percezione che il soggetto
che apprende ha a proposito delle microlingue. Il contributo si apre con un’importante
distinzione fra istruzione ed educazione microlinguistica e prosegue con un esame
puntuale a proposito della comunicazione microlinguistica, intesa come visione di una
variante di lingua completa in tutti gli ambiti comunicativi e affrontandone la dimensione cognitiva, testuale, sintattica, lessicale. Anche in questo contributo viene posta
particolare attenzione al processo di comprensione linguistica evidenziandone il carattere prioritario rispetto ad altri processi. Si passa successivamente in rassegna una
serie di tecniche didattiche finalizzate al rafforzamento di questa abilità. In conclusione al contributo è posta un’importante rassegna bibliografica su studi ormai divenuti
dei ‘classici’ in merito a questo argomento scientifico.
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Rivista In.it
Il capitolo 3 (“Autonomia di apprendimento e italiano dello studio”) è a cura di Menegale M. e propone una riflessione sul principio di autonomia nell’apprendimento da
parte dello studente. Perché lo studente possa divenire autonomo è indispensabile il
ruolo di guida nell’apprendimento da parte del docente: così si apre questo saggio.
Perché questo processo si realizzi, il docente deve sempre tenere alta e costante la
motivazione, poiché quando si affronta lo studio nella lingua dello studio, lo sforzo cognitivo è notevole e il solo intervento del docente potrebbe non essere sufficiente.
Il capitolo 4 (“Un ampliamento di prospettiva: il CLIL di lingua straniera”) è a cura di
Coonan C.M. e apre con una riflessione su ciò che accade a uno studente nell’atto di
studiare una disciplina in lingua veicolare, su quali effetti possano provocare l’impatto
emotivo e cognitivo. Successivamente si propone un approfondimento sul ruolo dell’insegnante e quali competenze debba mettere in atto al fine dell’insegnamento. Anche
in questo saggio si enfatizza l’importanza della comprensione, evidenziando, tuttavia,
molto efficacemente come la comprensione nel caso del CLIL sia duplice: l’input linguistico deve risultare comprensibile secondo la teoria di Krashen e la comprensione
dei contenuti disciplinari deve procedere parallelamente. Vengono esaminate, quindi,
le competenze professionali che un insegnante che adotti la didattica CLIL deve avere
e si conclude con una panoramica sulle caratteristiche dell’insegnamento nell’ambito
di questa metodologia.
La seconda parte del volume riguarda gli aspetti operativi e si apre con il capitolo 5
(“I principali problemi dell’italiano L2 dello studio”) a cura di D’Annunzio B. e propone
una riflessione sulle distinzioni che intercorrono fra italbase e italstudio. Di pregio è
la riflessione sulla complessità e l’architettura con cui sono concepiti i libri di testo. Si
propone quindi una rassegna di alcune tecniche di facilitazione nella didattica della
lingua dello studio.
Il capitolo 6 (“La realizzazione di unità didattiche di italiano dello studio”) è a cura di
Balboni P.E. ed esamina in ordine cronologico il concepimento dell’idea di lezione nelle
varie epoche sino a giungere alla costruzione dell’unità didattica in tempi più recenti.
Si prosegue la rassegna passando alla successiva e più moderna idea di unità di acquisizione inserita in una rete di saperi. Successivamente si propone una riflessione
sui moduli e, anche in questo caso, il saggio si conclude con una completa rassegna
bibliografica sull’argomento.
Il capitolo 7 (“Indicazioni metodologiche e modelli operativi per la didattica italstudio
fra classe e laboratorio”) a cura di Piera�������������������������������������������������
ccioni G. illustra il percorso compiuto dall’Università di Parma a partire dalla certificazione Italstudio. Vengono illustrate le coordinate di riferimento che hanno guidato alla definizione di un curricolo Italstudio, come
pure alla costruzione di un sillabo delle abilità di studio. Il contributo prosegue nella
proposta di un percorso didattico che porti alla definizione delle tappe nella programmazione di un corso di Italstudio, fino alla proposta di una ridefinizione di unità di
acquisizione di Italstudio.
Il capitolo 8 (“Team teaching e l’italiano dello studio”) è a cura di Menegale M. e invita
a riflettere sull’importanza del lavoro in équipe. Il contributo inizia con un esame dettagliato del concetto di ‘team teaching’ e di come questo concetto sia indispensabile
nell’insegnamento della lingua dello studio enumerandone gli innumerevoli vantaggi
ed esaminandone parimenti le difficoltà.
Il capitolo 9 (“Certificare l’italiano dello studio di studenti migranti”) a cura di Mezzadri M. illustra nel dettaglio la certificazione Italstudio, descrivendone i destinatari e i
livelli, e spiegando all’interno di quali percorsi di formazione sono state concepite le
prove, che vengono spiegate nei particolari. Una parte del saggio è dedicata alla riflessione scientifica che ha guidato il processo di valutazione e il contributo si conclude
con una serie di esempi di prove di certificazione.
Questo saggio offre alcuni spunti interessanti verso una prospettive di recente studio,
ma di grande attualità come la didattica CLIL e, più in generale, la lingua dello studio.
Il pregio di questo volume consiste nell’abbinare una solida riflessione epistemologico-scientifica a esempi pratici di didattica. Il saggio costituisce, dunque, uno strumento prezioso sia per lo studioso che affronta l’approfondimento di questi temi, sia
anche l’insegnante che ha bisogno di una guida epistemologico-pratica al suo operare
in aula.
Castelli M., 2012, Generi testuali e comunicazione scientifica,
Perugia, Guerra.
A cura di
Elena Ballarin
L’autrice del volume presenta in circa 150 pagine una panoramica sul rapporto tra comunicazione scientifica e divulgazione e affronta una riflessione sulla testualità in tutti
i suoi aspetti: genere, codice, pubblico.
Il saggio si apre con l’introduzione, che illustra le linee guida di tutto il volume e parte
dall’analisi, nella comunicazione scientifica, di forme testuali ed elementi linguistici,
presupponendo due importanti campi d’indagine:
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Rivista In.it
a. linguistica e semiotica del testo;
b. analisi dei linguaggi specialistici.
La linguistica del testo offre lo spunto per partire dall’assunto che l’unità fondamentale
del linguaggio è il testo e non l’enunciato e ad esso è collegata l’analisi della comunicazione e la teoria degli atti linguistici e della conversazione. L’analisi delle lingue per
scopi speciali si prefigge di individuare gli elementi verbali e non verbali che caratterizzano la comunicazione in ambito scientifico e professionale. L’autrice sostiene come
le due prospettive si intersechino continuamente nella pratica descrittiva dei ricercatori e diano luogo a risultati di grande interesse. Successivamente l’autrice si interroga
sulla relazione che intercorre fra macro e microlingua e sostiene come la comunicazione specialistica assuma una dimensione verticale e si articoli su tre piani:
a. divulgazione;
b. formazione;
c. specializzazione.
52
Rivista In.it
Si offrono, quindi, esempi testuali per ognuno dei livelli elencati. L’introduzione si conclude con l’indicazione degli obiettivi del volume: studiare in modo approfondito il
rapporto fra scrittura formativa e scrittura divulgativa attraverso un itinerario che contempli il circuito della comunicazione scientifica.
Il capitolo 1 (“Comunicazione, testualità e generi”) si apre con la presentazione del circuito
comunicativo illustrandone i sei fattori costitutivi e le conseguenti funzioni linguistiche.
L’autrice, tuttavia, evidenzia un punto debole nel modello jakobsoniano identificandolo
nella scarsa attenzione riservata all’interattività nelle comunicazione linguistica, che è
pluriplanare e implica processi di comprensione e interpretazione. Il capitolo prosegue
esaminando il contesto in cui avviene la comunicazione: in esso sono parte integrante
lo spazio e ciò che vi è collocato. Nel contesto si trovano, infatti, fattori cognitivi e sociali
che definiscono un circuito complesso nel quale il testo non è un oggetto statico, ma una
specie di spazio d’incontro tra mittente e ricevente. Gli approcci al testo sono, quindi,
plurimi e vi si può accedere partendo da discipline con prospettive diverse. Un intero
paragrafo è dedicato al rapporto generato da metalinguaggio e retorica. Il metalinguaggio sarebbe il motore che genera processi di acquisizione linguistica, mentre la retorica
costituirebbe la strategia per organizzare il discorso. Il capitolo poi prosegue nell’esame
delle tipologie di testi e, successivamente, dei generi testuali. Un paragrafo è dedicato
all’esame dei generi e testi elettronici in quanto considerati di grande attualità nella
comunicazione contemporanea. Il capitolo si conclude con la disamina della Systemic
Functional Grammar secondo la quale esistono tre funzioni del linguaggio:
a. ideativa;
b. interpersonale;
c. testuale.
Queste funzioni si legano al contesto d’uso e il genere come azione comunicativa è
interpretato in realtà come azione sociale e culturale.
Il capitolo 2 (“Testi formativi e testi divulgativi”) si dedica alla descrizione dei testi e
inizia con un paragrafo sulla descrizione dei generi. Secondo l’autrice il genere è un
costrutto prototipico e i confini fra le diverse categorie non sono univoci: ogni categoria non è strutturata in termini di proprietà comuni, ma attraverso una serie di affinità
che si incrociano. Inoltre, un testo si presenta come il luogo di intersezione di generi
diversi e, perciò, l’autrice sostiene come sia impraticabile la categorizzazione stretta
del genere testuale, mentre si può riconoscere senza ombra di dubbio l’intersezione fra
generi diversi. Si passa, quindi, alla definizione dei testi ‘trasformativi’ nei quali le conoscenze consolidate e non consolidate trovano armonica collocazione. In questo capitolo
un paragrafo è dedicato alla distinzione e caratterizzazione di testi formativi e testi divulgativi individuando nello scopo comunicativo un indice di distinzione significativo.
Un aspetto importante della comunicazione testuale è individuata nella comunicazione
e comprensione della scienza, processo in virtù del quale lo scienziato non solo informa
chi lo legge, ma interessa il lettore alla sua ricerca: questo aspetto evidenzia il carattere
di ibridità e contaminazione fra cenere formativo e informativo. Il capitolo si conclude
con un intero paragrafo dedicato ai metodi e agli strumenti per comunicare la scienza.
Il capitolo 3 (“Coesione e coerenza nei testi divulgativi e formativi”) propone una riflessione sul processo di analisi testuale. Il testo è un oggetto multidimensionale, portatore e attivatore di conoscenze, non riconducibile a un’analisi compiuta e perfetta.
Più paragrafi sono dedicati alla descrizione del processo di coesione testuale individuandone i referenti testuali, ovvero i concetti espressi e non tanto le parole usate.
Successivamente si passa alla descrizione del processo di coerenza per poi proseguire
nell’illustrazione della distinzione tra microstruttura e macrostruttura, nella quale si
coglie la distinzione fra comprensione globale del testo e comprensione mirata. Grazie all’analisi della macrostrutture dei testi formativi e divulgativi si colgono punti
di contatto fra i due generi. L’autrice ritorna in questo capitolo sulla teoria degli atti
linguistici individuando nelle catene di intenzionalità comunicativa una sorta di superstrutture, grazie alle quali è possibile ricostruire l’architettura del testo. Il capitolo
si conclude esaminando la diversa disposizione delle conoscenze nei testi formativi e
divulgativi, osservando lo spazio dato nei testi alla verifica delle conoscenza e, infine,
al carattere dinamico che caratterizza i testi trasformativi.
Il capitolo 4 (“Terminologia, definizioni e metafore”) apre con una riflessione su ciò che
accade al repertorio lessicale, dato il ruolo centrale che esso ricopre nella comunicazione scientifica. Il capitolo prosegue nell’esame del ruolo che la terminologia ricopre
nel testo specialistico, individuandone nella monosemia il carattere distintivo. Tale
tendenza provoca il ricorso frequente ai processi definitori in ambito semantico e lessicale e anche alle metafore intese come figura del pensiero e dell’azione.
Il volume procede, attraverso le conclusioni, alla sintesi del pensiero dell’autrice: esiste un continuum tra divulgazione formazione ed è possibile ipotizzare un modello di
continuità tra tipi testuali diversi che guidi il lettore alla comprensione dei macro e dei
microtesti. Grazie a questo modello è possibile individuare alcune caratteristiche che
contraddistinguono il linguaggio scientifico e il linguaggio divulgativo e, sollecitando
il lettore a cogliere le linee di contatto fra i diversi generi, lo si guida in modo efficace
alla comprensione del testo.
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Rivista In.it
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e-mail info@guerra edizioni.com
www.guerraedizioni.com
Seguici anche
Università per Stranieri di Siena (In It.)
UNIVERSITÀ PER STRANIERI
DI SIENA
Sono attivati presso il Dipartimento di Ateneo per la Didattica e la Ricerca i seguenti corsi,
ai quali possono iscriversi studenti/-esse italiani/-e e stranieri/-e:
■ Corso di Laurea in MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE
Classe L12 – Mediazione. 2 curricoli:
• Traduzione in ambito turistico-imprenditoriale
• Mediazione linguistica nel contatto interculturale
Domande di immatricolazione entro il 30 settembre 2014..
■ Corso di Laurea in LINGUA E CULTURA ITALIANA PER L’INSEGNAMENTO AGLI STRANIERI E PER LA SCUOLA
Classe L10 – Lettere. 3 Curricoli:
• Insegnamento della lingua e della cultura italiana a stranieri
• Competenze storiche e letterarie per la scuola italiana
• Insegnamento della Lingua dei Segni Italiana (LIS)
Domande di immatricolazione entro il 30 settembre 2014
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Rivista In.it
■
Corso di Laurea Magistrale in SCIENZE LINGUISTICHE E COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
Classe LM 39 – Linguistica. Domande di immatricolazione entro il 30
settembre 2014
■ Corso di Laurea Magistrale in COMPETENZE TESTUALI PER L’EDITORIA, L’INSEGNAMENTO E LA PROMOZIONE TURISTICA
Classe LM 14 – Filologia Moderna. Domande di immatricolazione entro
il 30 settembre 2014
■
Master di I livello (il titolo rilasciato dà punteggio per i concorsi pubblici)
- Master Ditals (Centro DITALS: [email protected])
- Master on-line in Didattica della lingua e della letteratura italiana in collaborazione con il Consorzio interuniversitario ICoN (Centro DITALS: [email protected])
■
Master di II livello (il titolo rilasciato dà punteggio per i concorsi pubblici)
- E-Learning per l’insegnamento dell’italiano a stranieri (Centro FAST: [email protected])
■ Scuola Superiore di Dottorato e di Specializzazione
Dottorato in Linguistica e didattica della lingua italiana a stranieri
Dottorato in Letteratura, storia della lingua e filologia italiana
([email protected])
■
Master di I livello (il titolo rilasciato dà punteggio per i concorsi pubblici)
- Master Ditals (Centro DITALS: [email protected])
- Master on-line in Didattica della lingua e della letteratura italiana in collaborazione con il Consorzio interuniversitario ICoN (Centro DITALS: [email protected])
■
Master di II livello (il titolo rilasciato dà punteggio per i concorsi pubblici)
- E-Learning per l’insegnamento dell’italiano a stranieri (Centro FAST: [email protected])
■ Scuola Superiore di Dottorato e di Specializzazione
Dottorato in Linguistica e didattica della lingua italiana a stranieri
Dottorato in Letteratura, storia della lingua e filologia italiana
([email protected])
Scuola di specializzazione in didattica dell’italiano come lingua straniera
Durata: 2 anni. È previsto il riconoscimento crediti per i possessori di titoli di master,
sia di primo che di secondo livello, sulle tematiche inerenti la Scuola.
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Rivista In.it
PER INFORMAZIONI GENERALI
In Italia: Università per Stranieri di Siena, Piazza Carlo Rosselli 27-28 SIENA
Tel.: +39 0577 240115 - Fax: +39 0577 283163; E-mail: [email protected]
All’estero: Istituti di Cultura italiani e rappresentanze diplomatiche del governo
Italiano
ITALS Italiano Come Lingua Straniera
Centro di Ricerca e Formazione
Centro di Ricerca sulla Didattica delle lingue, Ca’ Foscari, Venezia
Laboratorio Itals
l
1. Il progetto Itals
Formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e del personale impegnato in agenzie
o scuole che, all’estero, diffondono la lingua e la cultura italiana:
a. Master in promozione e didattica della lingua e cultura italiana all’estero
• indirizzo didattico generale, per chi insegna a stranieri in generale
• indirizzo didattico specifico per chi insegna a immigranti in Italia
• indirizzo organizzativo, per chi si occupa dell’organizzazione di corsi e della
promozione dell’italiano all’estero.
b. Corsi fi formazione iniziale tenuti in Italia, di primo e secondo livello.
c. Corsi di formazione iniziale tenuti all’estero, quando si realizzi un gruppo
di dimensioni sufficienti a sostenere i costi del corso.
d. Corsi di perfezionamento.
e. Corsi speciali finanziati dal Ministero degli Affari Esteri.
f. Corsi ad hoc per associazioni di insegnanti di italiano, tenuti in Italia o
all’estero.
g. Certificazione della competenza didattica nell’insegnamento dell’itals.
Due sessioni l’anno in Italia, altre sessioni all’estero sulla base di accordi con Istituzioni locali.
h. Scuola estiva di formazione dei docenti.
sono aperte le iscrizioni
ai due master on line
Itals 1° livello
di carattere più operativo e di formazione glottodidattica
Itals 2° livello
di natura più progettuale e avanzato
le descrizioni sono in www.itals.it
i bandi sono in http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=135530
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Rivista In.it
DEAL
Dislessia Educativa
e Apprendimento Linguistico
Globes
Glottodidattica per
Bisogni Educativi Speciali
Il progetto GLOBES
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Rivista In.it
GLOBES è un progetto di ricerca e formazione dell’Università Ca’ Foscari Venezia che
si occupa dell’insegnamento delle lingue non materne a studenti con bisogni speciali derivanti sia da cause congenite (deficit o disabilità, ma anche allievi definiti
“superdotati”) sia da fattori ambientali (svantaggio sociale, adozione internazionale
ecc.). GLOBES svolge: o attività di ricerca finalizzate ad esplorare le peculiarità del processo di apprendimento dell’allievo con bisogni speciali per elaborare metodologie glottodidattiche specifiche;
o attività di formazione e consulenza glottodidattica a Venezia o presso le istituzioni richiedenti;
o progettazione di materiali glottodidattici, in collaborazione con case editrici.
Direttore del progetto: Dott. Michele Daloiso ([email protected])
Formazione presso le istituzioni scolastiche
GLOBES organizza corsi di formazione presso istituzioni scolastiche, associazioni ed
enti pubblici e privati, sulla base di una specifica richiesta. I corsi si basano su un
progetto formativo costruito ad hoc per rispondere alle esigenze dell’istituzione scolastica. Per concordare il progetto e richiedere un preventivo contattare il referente.
Formazione a Venezia
Durante il periodo estivo l’Università Ca’ Foscari, in collaborazione con l’Associazione
Italiana Dislessia, organizza il MASTERCLASS DEAL (Dislessia Evolutiva e Apprendimento delle Lingue), un corso di alta formazione rivolto ai docenti di lingue non materne
di ogni ordine e grado che offre una preparazione teorico-metodologica specifica per l’insegnamento delle lingue ad allievi con disturbi dell’apprendimento, offrendo strumenti
metodologici e operativi spendibili nella didattica quotidiana. Il corso si compone di un
ciclo di giornate di lavoro a Venezia e una fase di approfondimento online.
MASTERCLASS DEAL - Edizione 2014
MODULO BASE
Fondamenti teorici e metodologici per una glottodidattica accessibile agli allievi con
Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Il modulo offre ai docenti una preparazione teorico-metodologica di base specifica
per l’insegnamento delle lingue straniere ad allievi dislessici. Facendo riferimento
non solo alla normativa ma anche agli studi glottodidattici internazionali, si offriranno
strumenti metodologici e operativi spendibili nella didattica quotidiana.
MODULO SPECIALISTICO A (Scuola dell’Infanzia e Scuola Primaria)
Sensibilizzare i bambini ai suoni e alle lettere della lingua inglese. Principi
metodologici e strategie operative
Il modulo offre ai docenti una preparazione specifica per accostare i bambini italiani
al sistema fonetico e ortografico della lingua inglese in modo sereno ed efficace. I
principi metodologici e le strategie fornite costituiscono un supporto necessario nel
caso di allievi con DSA, ma rappresentano anche una risorsa utile per il lavoro con
l’intera classe.
MODULO SPECIALISTICO B (Scuola Secondaria di 1° e 2° grado, adulti)
Insegnare la grammatica ad alunni con dislessia: dalla teoria alle buone pratiche
Il modulo offre ai docenti una preparazione specifica per favorire l’apprendimento
della grammatica della lingua straniera da parte di allievi con DSA, promuovendo lo
sviluppo di competenze metalinguistiche e metacognitive.
CALENDARIO DELLE LEZIONI
Palestra informatica A distanza (facoltativa)
Modulo Base
Fase a distanza
Moduli specialistici
5 ore
15 ore
26-29 giugno 2014
30 giugno – 12 luglio 2014
Fase in presenza
15 ore
14-16 luglio 2014
Fase in presenza
15 ore
17-18 luglio 2014
Fase a distanza
15 ore
21 luglio – 2 agosto 2014
SCADENZA PRE-ISCRIZIONI: 30 APRILE 2014 ISCRIZIONI: 23 MAGGIO 2014
Per altre informazioni sulle modalità d’iscrizione, consultare il bando alla pagina:
www.unive.it/centrodidatticalingue, link “GLOBES-DEAL”, sezione “Formazione”
Per altre informazioni:
Coordinatore Scientifico: Dott. Michele Daloiso, [email protected]
Seguici anche su Facebook: www.facebook.it/progetto.deal
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Società Dante Alighieri
PLIDA. Progetto Lingua Italiana
Dante Alighieri
PLIDA è una certificazione ufficiale di competenza della lingua italiana L2/LS.
È il cuore di un progetto assai più complesso, che include varie sezioni autonome
ma coordinate con PLIDA:
a. ADA:
è il sillabo per la programmazione curricolare per corsi di lingua italiana L2/LS;
su questo sillabo è possibile ottenere l’Attestato di frequenza unico ADA;
b. Formazione e aggiornamento insegnanti:
da anni questo ambito è centrale nella vita della Dante, che organizza seminari
per insegnanti sia in Italia sia nel mondo, i cui calendari sono reperibili nel sito;
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c. Pubblicazioni didattiche e scientifiche:
la Società Dante Alighieri non è solo un centro di insegnamento, ma anche di
formazione dei docenti, come visto sopra, ed entrambe queste funzioni hanno
bisogno di fondarsi su solide fondamenta scientifiche.
La vita della Dante è guidata da due comitati scientifici, che hanno rispettivamente
una funzione genrale di indirizzo scientifico ed una di traduzione di tali linee in
progetti operativi:
a. Comitato scientifico direttivo:
Paolo E. Balboni, Valeria Della Valle, Luca Serianni, Mirko Tavoni, Massimo
Vedovelli
b. Comitato scientifico operativo:
Guido Benvenuto, Fabio Caon, Barbara D’Annunzio, Stefania Ferrari, Matteo
Santipolo, Paolo Torresan
La responsabile di tutto il progetto PLIDA è Silvia Giugni
Contatti:
www.plida.it
tel. 066873787
[email protected]
[email protected]
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Rivista In.it
In.it
Rivista
I
ISBN 978-88-557-0564-6
9 78885 5 705646
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No 31/32 - In.IT online