LADOMENICA
DOMENICA 28 APRILE 2013
NUMERO 425
DIREPUBBLICA
CULT
All’interno
La copertina
Troppi dati
o troppo pochi?
Perché i numeri
non spiegano tutto
DAVID BROOKS
e MAURIZIO RICCI
Il libro
Abbandoni
e cattiverie
La riscoperta
di Jean Rhys
IRENE BIGNARDI
Straparlando
Lisetta Carmi
“Con la musica
si può sempre
cambiare vita”
ANTONIO GNOLI
L’archivio
delle
DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI
Rivoluzioni
C’è un palazzo a Mosca che custodisce
memorie e segreti del mondo in rivolta
E cheora rischia di scomparire
L’attualità
Twitterer d’Italia
i perfetti sconosciuti
fanno opinione
EMILIO MARRESE
L’inedito
Harry Houdini,
mi sonoliberato
dalle catene
ANGELO AQUARO
HARRY HOUDINI
e LORENZO JOVANOTTI
Il festival
GIANCARLO BOCCHI
I
VIKTOR EROFEEV
MOSCA
l Palazzo dei segreti è un edificio imponente, in pietra grigia,
sulla Stolešnikov, una delle vie più alla moda del centro di Mosca. Ha un nome ufficiale, Rgaspi, Archivio della Storia politica e sociale, ma tra i moscoviti c’è chi lo chiama ancora Archivio del Comintern. Probabilmente è il solo luogo al mondo che
per vastità di materiale e ricchezza di possibili interpretazioni si potrebbe paragonare alla Biblioteca infinita immaginata da Borges.
Nell’invenzione letteraria dello scrittore argentino, il visitatore cerca il libro che contiene la Verità. Lo trova, ma scopre che ne esistono
innumerevoli altri con altre verità, talvolta opposte. Nel Palazzo dei
segreti sono i documenti storici a mostrare tante verità, talvolta l’una alle altre opposte. Dal primo piano un grande bassorilievo in
bronzo di Lenin osserva severo le boutique di Vuitton, Fendi, Prada
e il via vai delle macchine di lusso.
(segue nelle pagine successive)
I
n una fredda sera del 25 dicembre 1991 fui casuale testimone di una cerimonia tutt’altro che solenne: al Cremlino si ammainava la bandiera rossa. Non credevo ai miei
occhi: possibile che quel mostro fosse davvero morto?
Ora mi sembra che la mia incredulità fosse in parte profetica.
Si può far risorgere l’Unione Sovietica? O l’ipotesi appartiene a
una cattiva metafisica politica che non poggia su alcuna base reale? Penso che fino a pochi anni fa giochetti del tipo “Facciamo risorgere l’Urss” sarebbero apparsi come una beffa. Ma i tempi
cambiano, e nella coscienza del potere russo l’idea del ritorno ai
valori sovietici sta diventando più dolce del miele.
Cominciamo dal tentativo di restaurare il concetto arcaico di
popolo. È questo lo scudo che oggi il potere innalza contro qualsiasi dissenso.
(segue nelle pagine successive)
Teatri di vetro
una ricognizione
sulla scena giovane
che deve crescere
ANNA BANDETTINI
L’arte
Il Museo
del mondo
Un Perseo “dark”
di Burne-Jones
MELANIA MAZZUCCO
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
LA DOMENICA
■ 30
La copertina
Memorie dal sottosuolo
Da Robespierre a Marx, dall’Urss a Cuba,
passando per Garibaldi e guerra di Spagna
Nei bunker di un severo palazzo moscovita sono conservati
i documenti relativi a tutte le rivoluzioni e a tutti i rivoluzionari
del mondo. Ecco cosa abbiamo trovato nei sotterranei
dell’altra metà della Storia
GARIBALDI
E MAZZINI
La Relazione
Romm per
la Dichiarazione
dei diritti
dell’uomo
(1792-95)
A destra lettere
di Garibaldi
(1860) e Mazzini
(1849)
Tra gli scaffali
e le barricate
GIANCARLO BOCCHI
(segue dalla copertina)
er varcare l’ingresso dell’edificio, più esteso dell’atrio
di una stazione ferroviaria,
bisogna passare tra agenti
con giubbotto antiproiettile e superare una statua di
Lenin che guarda perplesso i poveri fiori di plastica lasciati ai suoi piedi da
qualche estimatore. All’interno quattro piani di casseforti e armadi blindati
gonfi di cartelle protetti da serrature
elettroniche e piccole telecamere. Due
milioni di fascicoli contenenti ciascuno
una media di duecento documenti. I
corridoi e gli uffici hanno un odore particolare. Non è quello acre delle carte
ammuffite, semmai il profumo di documenti ben tenuti. Quello del Comintern è il più grande archivio della storia
politica al mondo. Decine di milioni di
fogli, su cui è scritta, e in parte è ancora
da scrivere, la storia delle rivoluzioni e
della politica dalla fine del Settecento a
tutto il Novecento. Oltre ai documenti
dei cento partiti comunisti aderenti all’Internazionale, oltre alle risoluzioni
P
del Politburo sovietico, agli atti e alle comunicazioni dell’Nkvd, la polizia segreta staliniana, i carteggi sulla lotta fratricida tra anarchici e comunisti nella
guerra di Spagna, le carte private dei
maggiori dirigenti del comunismo,
l’Archivio contiene materiali di tutte le
trame clandestine, di tutte le insurre-
zioni e le rivoluzioni dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America latina. Carte
molto invidiate dai cinesi, che ne vanno
a caccia pagando fino a quindicimila
euro a foglio.
In queste stanze silenziose, lungo i
corridoi che i funzionari percorrono
con rispetto, quasi in punta di piedi,
IL PALAZZO
L’ingresso del palazzo che ospita l’Archivio con i volti di Marx, Engels e Lenin
sempre parlando sottovoce, si aggira
anche un fantasma benevolo. Ha un
nome che tra gli archivisti russi incute
rispetto e ammirazione, quello di David
Borisovic Rjazanov, l’uomo che nel
1921 fondò l’Archivio chiamandolo
Istituto Marx-Engels. Eccentrico, coltissimo, dotato di una memoria eccezionale e di una capacità illimitata di lavoro, passò gran parte della giovinezza
in esilio e in prigione. Già negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’ottobre, criticò la linea bolscevica di soppressione dell’opposizione e
della libera stampa («Le discussioni
non danneggiano il partito, lo rafforzano!») e denunciò le posizioni autoritarie di Lenin e di Trotskij, sfidando infine
anche il monolitismo degli anni bui del
terrore staliniano. Inizialmente il suo
Archivio fu aperto al mondo e alle testimonianze. Rjazanov creò una rete internazionale unica, quasi un suo personale “servizio segreto culturale” di corrispondenti autorizzati a scovare e acquistare libri rari e manoscritti dei grandi rivoluzionari nelle maggiori città europee, tanto che negli Anni Trenta
l’Istituto divenne la Mecca per gli studiosi di tutto il mondo: Kautsky, Béla
Kun, Maksim Gorkij. Quando l’Urss
non aveva fondi per comprare in Occidente neppure un trattore, partivano
dalle capitali europee decine di vagoni
ferroviari pieni di carteggi che i segugi di
Rjazanov erano riusciti ad acquistare
dagli antiquari e nelle aste. Quando nel
’27 Stalin visitò l’Istituto e vide i ritratti
di Marx, Engels e Lenin gli chiese:
«Dov’è il mio?» lui rispose: «Marx e Engels sono stati i miei maestri, Lenin un
mio compagno. Tu chi sei per me?».
Un’altra volta lo irrise pubblicamente,
interrompendolo mentre dissertava di
questioni ideologiche durante un congresso: «Smettila, lo sanno tutti che la
teoria scientifica non è esattamente il
tuo campo!». Fu inviato in esilio, nel luglio del ’37 arrestato e l’anno successivo fucilato.
Nessuno osò però distruggere il suo
lavoro. Così, da allora, i preziosi scritti di
Marx e Engels sono ancora conservati
dentro il caveau sotterraneo fortificato,
chiuso non solo al pubblico ma sovente anche agli studiosi e in cui vengo eccezionalmente accompagnato. Superare le sue enormi porte blindate, che
sembrano uscite dalla fantasia di Jules
Verne, è come accedere alla macchina
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 31
MARX
E ENGELS
Sulla pagina
di sinistra
la prima
edizione
francese
de Il Capitale
di Marx,
qui sotto
una pagina
dello stesso
volume
con alcune
note a margine
di Jenny Marx
A fianco,
una lettera
di Engels
a Marx
con caricature
di amici comuni
Quando la Russia
sogna l’Unione Sovietica
VIKTOR EROFEEV
(segue dalla copertina)
i civetta con il popolo, in particolare con la classe operaia, della quale chissà come negli ultimi vent’anni ci si
era dimenticati. Il popolo è nuovamente chiamato a diventare eroe della storia, con il suo innato patriottismo,
la sottomissione e la diffidenza per tutto ciò che è straniero. Agli eroi della storia odierna d’ora in poi sarà conferita, per iniziativa di Putin, la più alta onorificenza, quella di Eroe del Lavoro: simbolo assolutamente sovietico.
Come può tutto ciò conciliarsi con l’economia della Russia, orientata verso il capitalismo? In nessun modo. Ma
se così ordineranno, si concilierà. Il passo successivo sarà la riesumazione del bel distintivo Gto: Gotov k Trudu i
Oborone, “Pronto al lavoro e alla difesa”. Lo assegneranno in massa, come in Unione Sovietica, a tutti quelli che sono bravi nella corsa e nel salto, e nel contempo a difendere il paese dal nemico. Parallelamente, è prevista l’introduzione dell’uniforme scolastica obbligatoria per tutti i bambini e le bambine della Russia — ancora una volta, come nell’Urss.
Stiamo andando verso una generale caserma della felicità. Come reagisce a questo il nostro popolosemi-mitico,
che nei vent’anni dopo la fine dell’Unione Sovietica si è trasformato in popolazione con un diverso livello di reddito e di bisogni, e con concezioni diverse circa i valori della vita? A dire la verità, il popolo reagisce fiaccamente. Fiaccamente perché è appunto semi-mitico e quindi semi-inventato. Rivolgendosi al popolo, il potere tenta di toccare
le corde ideologiche, quelle dell’eterna anima russa e dell’ex Homo Sovieticus. Ma il popolo si è disgregato, diviso
tra giovani che non sanno giocare all’Uomo Sovietico e anziani che guardano al potere attuale con indifferenza o
sospetto. Per loro l’Unione Sovietica è proprio l’esempio di ciò che ora non vedono: dove sono le imprese spaziali?
Dov’è l’assistenza medica gratuita? Dove sono gli alloggi a basso prezzo? Dove sono i nostri intellettuali? Mi capita
spesso di parlare davanti a queste persone nelle biblioteche comunali: sono per lo più persone stanche, disilluse su
tutto. Ma dubito che il potere russo nel suo giocare all’Unione Sovietica punti davvero su di loro. Punta in realtà
sulle proprie ambizioni imperiali. Con la stessa instancabile consequenzialità con cui Stalin procedeva
a riappropriarsi degli spazi dell’Impero russo perduti dopo la rivoluzione del 1917, il potere attuale aspira a riportare la Russia al rango di superpotenza. E questa è un’efficacissima arma
nella disputa con ogni genere di opposizione politica, dai liberali ai nazionalisti: voi non fate
che chiacchierare a vanvera, noi invece rimettiamo in piedi la Russia e la rendiamo invincibile.
Il guaio di questo sogno è che Mosca parla con i vicini, fratelli ucraini in primis, in maniera
brusca, perentoria, impaziente. Invece del sorriso e della seduzione, la voce brusca del fratello
maggiore. Ecco, non riusciamo in nessun modo a sbarazzarci di questo tono da fratello maggiore, a cui ci siamo troppo abituati in epoca sovietica e addirittura zarista. Altrimenti forse li avremmo anche convinti. E adesso vivremmo tutti - russi, ucraini, georgiani - in una nuova Unione Sovietica, senza Lenin, ma con il rispetto per Stalin, senza kolchoz, ma in compenso con il gas e il petrolio. E della vecchia Unione Sovietica ricorderemmo solo il bene, il lato più gioioso ed eroico, mentre cancelleremmo dalla memoria tutto il resto, come una spiacevole inezia. E vivremmo felici, e voleremmo ogni giorno nello spazio — in barba a tutti voi!
S
LA COMUNE DI PARIGI
In basso una lettera di Louis Rossel,
Capo di stato maggiore
della Comune di Parigi (1871)
Sopra, una lettera di Antonio Labriola
© RIPRODUZIONE RISERVATA
del tempo. Nell’immenso caveau spettrali corridoi, rivestiti di piastrelle, portano a numerose porte blindate che
proteggono grandi locali stipati di austeri armadietti grigi e anch’essi blindati. Il responsabile del settore è Valerij
Fomichev, un sessantenne che ha trascorso molta parte della sua vita qui
dentro. Ogni giorno, come facevano
una volta i tre decrittatori ufficiali degli
scritti di Marx, sfoglia pagine e pagine
seguendone la scrittura minuta e le annotazioni veloci in cui saltava tutte le
vocali, per svelarne poi l’ultimo segreto. Con aria divertita osserva dei documenti sul figlio che Marx ebbe dalla domestica Helene e che il padre del comunismo non volle mai riconoscere, e
estrae poi un foglietto dove Stalin ha
scritto: «È una cazzata. Lasciate sepolto
questo materiale per sempre». Qui è custodito persino il fiocco rosso che Marx
era solito indossare: «Era ricavato dalla
stoffa di una bandiera dell’ultima barricata della Comune di Parigi», ci racconta con appena un filo d’emozione.
Negli uffici dei piani superiori è conservata in perfetto ordine anche una
preziosa collezione di manoscritti che
spaziano dal ’700 al ’900 e che riguarda-
no tutta l’Europa. Atti della Rivoluzione
francese, lettere di Voltaire e di Rousseau, l’originale della Dichiarazione dei
Diritti dell’Uomo, lettere di Garibaldi e
di Mazzini. «Ma il più grande segreto di
tutti i segreti del Novecento sono i carteggi dell’Nkvd, la polizia segreta sovietica…» racconta il vice direttore dell’Archivio, Valerji Šciepeliov. Attraverso le
carte del Politburo è possibile ricostruire molte trame ancora sconosciute, e
per esempio si può scoprire che molti
dei membri della dirigenza sovietica
erano tenuti all’oscuro delle strategie di
Stalin. «Non era affatto matto, giocava
sempre d’anticipo…» commenta Šciepeliov, che conosce bene quelle carte.
Con un semplice ma efficace sistema di
numerazione dei dossier, ad esempio,
Molotov veniva informato di un fatto
che invece danov non doveva sapere.
Anche il caveau di Lenin è uno dei grandi segreti custoditi in questo edificio.
Sta sottoterra ma nella parte opposta
dell’edificio, protetto da una serranda
corazzata e, di nuovo, da enormi porte
blindate fabbricate appositamente dai
tedeschi della Krupp negli anni ’30: uno
scudo d’acciaio in grado di resistere a
una bomba di 500 chili. All’interno cas-
seforti a tenuta stagna per permettere
in caso d’incendio il completo allagamento dei locali. La mastodontica impresa letteraria di Lenin è fatta di trattati, tesi, proclami, risoluzioni, saggi di
storia, filosofia, economia. «Come avrà
trovato il tempo di scrivere tutto questo…» sfugge detto a Svetlana Kotova,
l’esperta del reparto nonché curatrice
dei due musei smantellati negli anni
Novanta per far posto ai club della nuova aristocrazia russa, il Museo della Rivoluzione e il Museo di Marx e Engels.
Un vero cruccio per gli archivisti,
espertissimi e necessariamente poliglotti, è quello di non essere riusciti a fa-
IL CAVEAU
Una delle casseforti in cui sono custoditi i documenti di Vladimir Ilic Lenin
re passi avanti con la decifrazione dei
codici segreti che il Comintern usava
nei messaggi più riservati. L’allora Kgb,
ora Ffb, non ha mai dato la chiave di decodificazione: «Segreto di Stato». Ma
anche il processo di desecretazione di
molti altri documenti essenziali a comprendere la storia del Novecento è stato avviato solo in minima parte. L’archivio online, finanziato negli anni Novanta anche da istituzioni straniere, è
solo una goccia nell’oceano delle carte
dell’archivio reale. Ma del resto non è
neppure questo il problema più impellente. Oggi questi custodi dei grandi segreti del Novecento guardano sconsolati dalle finestre l’assedio al loro fortilizio. Invece di essere tutelato dall’Unesco, come meriterebbe, è circondato dalle grandi firme della moda che
puntano a questo grande spazio come
all’ultima casella che ancora manca loro per poter aggiungere un’altra vetrina di lusso per lo shopping dei ricchi del
post comunismo. Nella notte moscovita il rigido volto di Lenin, sulla facciata di pietra grigia del Palazzo, è un’ombra che pian piano scompare tra le insegne multicolori.
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Repubblica Nazionale
LA DOMENICA
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 32
L’attualità
Follow me
Si chiamano Bonnie La Cozza, Grande Lebowska o Insopportabile. Sono perfetti
sconosciuti. Ingegneri, ragionieri, receptionist o insegnanti
che, a colpi di battute in 140 caratteri, hanno conquistato
fino a centomila fan. Ecco come. E soprattutto perché
Il Twitterer
della porta
accanto
EMILIO MARRESE
acile essere Michelle Hunziker e sfamare i propri
750mila seguaci con concetti tipo «Un bacio a tutti
gli amici di twitter!!!!! Muà
Muà Muà» (mercoledì 25
aprile, ore 15.40). Meno facile, se sei la
receptionist di un agriturismo o un ragioniere leccese, conquistare un pubblico di quindicimila utenti, fate conto
un bel paesone come Ponsacco (o il triplo dei sostenitori di Rodotà sul web).
Meno facile, altrettanto, attirare tra i
propri followers addirittura Barack
Obama, se ti chiami Marco Lupoi e ti
occupi di fumetti, eppure i tuoi pensieri liofilizzati in 140 caratteri li leggono
oltre centomila persone (e qui siamo
già a una Bolzano virtuale).
In principio furono i blogger poi venne YouTube a selezionare dall’anonimato autori, opinionisti e talenti comici (tipo Maccio Capatonda o Guglielmo
Scilla, oggi deejay, attore e scrittore).
Adesso è il momento di pescare su Twitter tra le centinaia di sconosciuti ingegneri, contabili, insegnanti, grafici, disoccupati eccetera, capaci di fare con-
F
@Comeprincipe
correnza, quanto ad audience, ad artisti o personaggi già noti, ritagliandosi
una popolarità sul web a colpi di battute, aforismi o invettive su politica, sesso, calcio, tv, gente e semplicemente sugli affaracci loro. In sintesi: il cazzeggio
all’ennesima potenza. Di cui sono maestri al pari di chi ne aveva già fatto mestiere prima ancora dell’avvento di
Twitter, come i seguitissimi Lia Celi,
Johnny Palomba, Guia Soncini o Selvaggia Lucarelli. È satira dal basso. I più
compulsivi sparano in media un tweet
all’ora, dopocena poi è una santabarbara dal divano. Macchianera, all’anagrafe Gianluca Neri, 41enne ragioniere,
ha escogitato anche gli awards per premiare ogni anno i twittatori non vip più
divertenti e arguti. E per qualcuno di loro il gioco si sta tramutando in qualcosa di più, visto che arrivano proposte
per scrivere libri, blog, testi televisivi,
veline politiche o articoli sul giardinaggio. «Io continuo a fare la spesa con il
mio vecchio stipendio 1.0, ma ho la possibilità di pettinarmi l’ego con i complimenti della gente, un bacino di pazzi
sempre pronti a leggere qualsiasi cosa
io scriva, cazzate, battute o cose più serie» dice Massimo Santamicone, pro-
@azael
Un uomo col coltello dalla parte
del sadico. E una coscienza
due punto Zeno
gettista web abruzzese di 38 anni laureato in Filosofia, in arte Azael. È uno di
quelli che si sono inventati il falso Casaleggio che sta spopolando con una raffica di assiomi assurdi (“Evitare sprechi. Aprire vongole chiuse” “Basta ingannare la gente. Vendere fusilli srotolati” o “Patrimoniale sui gattini”). «E il
bello è che continuano ad arrivare risposte serie». Eh, il Popolo della Rete.
Che poi non significa nulla: anche su
Twitter, come in uno stadio o al supermercato, c’è di tutto, il meglio e il peggio. Quello degli influenceramatoriali è
solo un aspetto, un ingrediente del pentolone. Nulla a che fare col grillismo o
l’attivismo smanettone, altre piume
dell’uccellino blu: tra questi anonimi di
successo il comune denominatore è il
senso dell’umorismo, pure esasperato,
e un buon livello medio di istruzione.
«La soddisfazione principale è proprio
quella di arrivare per ciò che si pensa,
senza la mediazione forte dell’immagine o del contesto sociale. È un modo di
confrontarsi con un numero e una qualità di interlocutori altrimenti impensabile per me che sono timidissima» spiega egyzia, tipografa di Olbia appassionata di architettura. Ci crede un po’ me-
@nataliacavalli
massimo santamicone aka azael,
38 anni e spicci, scrivo cose per evitare
che gesù pianga da qui a uffa
Bivacco nella mente di @casalegglo
Natàlia, l'accento è là
Io, limonare duro,
ce l'ho come soggetto sottinteso
21.728
20.438
17.653
Follower
Follower
Follower
Nome:
Matteo P.
Nickname: Comeprincipe
Nome:
Massimo Santamicone Nickname: Azael
Nome:
Natalia Cavalli
Nickname: Natalia Cavalli
Età:
33 anni
Professione: contabile
Età:
38 anni
Professione: progettista web
Età:
36 anni
Professione: redattrice
Studi:
ragioniere
Città: Lecce
Studi:
laurea in Filosofia
Città: Perugia
Studi:
lauree in Filosofia e Lettere Città: Milano
Intese
22 APRILE 2013
Il vantaggio di un errore condiviso
è che puoi spacciarlo
per una scelta sensata
Governi
Premier
24 APRILE 2013
Enrico Letta è uno cui venderei
volentieri un’auto usata
26 APRILE 2013
Governissimo si può dire
anche “governo governo”
o “molto governo”
[La situazione è grammatica]
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 33
7
500 milioni
4,5 milioni
1,9 milioni
35,6 milioni
1,87 milioni
Gli anni di vita di Twitter
creato il 21 marzo 2006
a San Francisco
Gli utenti iscritti
nel mondo
di cui 200 milioni attivi
Gli utenti italiani
La fascia più numerosa
è tra i 16 e i 34 anni
I tweet inviati ogni giorno
in Italia. Nel mondo
invece sono 400 milioni
I followers della cantante
Katy Perry, l’utente
più seguito del mondo
I followers di Valentino
Rossi, l’utente italiano
con maggior seguito
I NUMERI
@Iddio
@mlupoi
il Signore Iddio Onnipotente,
fondatore e CEO dell'Universo
Entra sempre nel bagno delle donne,
perché c’è scritto Signore
@insopportabile
Comic book publisher, lapsed
mathematician, wannabe Gestalt
counsellor, radical geek
Ne ho le scatole piene,
ma con eleganza
125.292
104.606
57.743
Follower
Follower
Follower
Nome:Alessandro
Nickname: Iddio
Nome:Marco Marcello Lupoi
Nickname: Marco M. Lupoi
Nome: - - - - - -
Nickname: insopportabile
Età:
Professione: imprenditore
Età:
Professione: direttore publishing
Età:
Professione: ingegnere
Città: Foligno
Studi: maturità classica
Città: Bologna
Studi: laurea in Ingegneria
31 anni
Studi: laurea in Filosofia
48 anni
Illuminazione
22 APRILE 2013
45 anni
Passi
Il mese scorso ho sostituito
le stelle con le lampade a led
Colpa
Le città sopravvivono ai passi degli uomini
Ai nostri e a quelli di coloro
che le hanno percorse con noi
In questa vita e in cento vite fa
11 APRILE 2013
Città: Sassari e Cagliari
22 APRILE 2013
Comunque anche mia moglie
dice che è colpa di Twitter
Ma lei ha ragione
VOCABOLARIO
#
TT
TL
FOLLOWER
TWEET
HASHTAG
TREND TOPIC
TIMELINE
RETWEET
chi segue
un altro
utente
messaggio
di massimo
140 caratteri
parola chiave
per identificare
un argomento
gli argomenti
più discussi
del momento
pagina personale
dove compaiono
i tweet di chi segui
messaggio
di un altro utente
rilanciato
no Natalia Cavalli, violoncellista romana con due lauree che lavora a Milano in
un’agenzia letteraria: «Riscuoto molto
successo quando mi chiedo, per esempio, se l’analisi di Heidegger sulla dimenticanza dell’essere può essere
iscritta nei termini di una storia della
decadenza. Ma a onor del vero, credo
che un buon uno per cento si debba attribuire alle tette nella foto». Fermi là: si
vede più roba su un autobus. «Credo
che Twitter sia il luogo per la meritocrazia sociale per eccellenza» esagera un
tantino l’aretina Bonella C., alias Bonnie La Cozza, impiegata in un agriturismo, laurea in Lettere con indirizzo
musica e spettacolo.
E dunque cosa avrà mai da dire di così interessante Marco Marcello Lupoi,
direttore publishing della Panini, da
catturare anche la figurina di Obama?
«Twitter ha un suo algoritmo per cui se
hai tanti follower il sistema ti alimenta il
numero, proponendoti come “persona
da seguire”. Così è arrivato anche Obama, dio solo sa perché, e l’algoritmo si è
ulteriormente rinvigorito. Ma a parte
ciò, quando catturi l’esperienza o l’idea
che vuoi ricordare, e la immetti in un
tweet, e sono 140 caratteri che rollano
sulla lingua come un vino perfetto, allora sì, hai una certa soddisfazione, anche
creativa. Altri vantaggi zero: solo quello
di essere ammesso in visita al quartier
generale di Twitter a San Francisco come uno dei Vit (Very Important Twitterer) italiani e rimediare una T-shirt».
Francesco Altomare, economista calabrese, è un altro dei pionieri, twitta dal
2007 quando si parlava in terza persona
a quattro gatti: «È uno strumento che
senza alcuna competenza ti permette di
mettere online il tuo pensiero nel giro di
pochi secondi, ti fa sentire parte di qualcosa di realmente grande. Per diventare
un opinion leader bastano una connessione a Internet e un cervello (ben appuntito)». Non sono requisiti base, ma
se volete sfondare su Twitter (a parte i
vari decaloghi che circolano in Rete e i
software dalle gambe corte per drogare
di utenti fasulli il proprio pubblico) aiutano anche un po’ di esibizionismo,
protagonismo e ossessività. E qualche
buona regola di comportamento: «Non
rispondere alle provocazioni. Fare attenzione alla grammatica. Retwittare
poco, ma cose fondamentali» enumera
Macchianera: «Non utilizzare Twitter
esclusivamente come veicolo pubblici-
tario o di promozione. Quando c’è un
certo tipo di convenienza forse si è utili
a se stessi, ma non agli altri, e credo che
chi ti segue se ne accorga».
«Sono uno che dice cose abbastanza
ovvie e le dice in modo abbastanza ovvio. Mi sembra ovvio avere seguito in
un mondo ovvio»: minimizza, ovviamente, Insopportabile, ingegnere sardo, 45 anni. «Poter lanciare un’idea, discuterla, vedere che prende strade inaspettate e sorprendenti, diventa fiume
e scardina argini e dighe di supponenza o scema inesorabilmente nell’ansa
dell’indifferenza: osservare questo
spettacolo mi gratifica. Sono dentro un
videogame di parole».
Il confine con la dipendenza o l’alienazione è sempre sottile, l’autoironia
l’unico antidoto. «Ora ogni cosa che
faccio, vedo o sento, mi fa domandare
“come posso raccontarla in 140 caratteri”. Finisco col ragionare per tweet...
Ma tutti noi ci crogioliamo al pensiero
di poter smettere quando vogliamo» si
schernisce Bonnie. Comeprincipe ha
una platea di oltre ventimila followers,
si chiama Matteo ed è un contabile pugliese trentatreenne che si definisce ragioniere «a indirizzo classico»: «Uso
@BonnieLaCozza
RT
Twitter, o a questo punto dovrei dire
che lui usa me, dal 2009, ma è dal 2011
che ne ho fatto uno strumento di sopravvivenza intellettuale. Non è facile
attrarre l’attenzione utilizzando solo
l’alfabeto. Amo scrivere di quel che rende infelici i meschini come me: sentimenti, beghe morali e tutto il resto. Dedico a Twitter tutta la giornata, nel senso che da quando apro gli occhi la mia
mente lavora costantemente su due livelli, quello concreto dell’occupazione
che regolarmente porto a termine e
quello dello “spettacolo” che amo regalare a chi mi legge e quindi a me stesso.
Ma non lo nascondo: è l’unica parte della mia vita che mi renda la soddisfazione che ho sempre sognato. Mi rende vivo. Mi tiene dritto. In piedi. Dimentico
tutto e mi sembra di avere un bel motivo per combattere. La regola è esserci.
Sempre. Macinare continuamente notizie, luoghi, volti, nomi, emozioni.
Twitter crea dipendenza. Assolutamente. Inevitabilmente. Ed è difficilmente guaribile. L’attenzione degli altri
è l’ossigeno di una società effimera che
però non giudico. Ne sono parte e non
ho mai fatto niente per guarirla».
C’è l’effetto autoterapeutico, a com-
pensare: «Risparmio molto di psicologo» scherza Natalia Cavalli. «Twitter è
un modo per sfogarsi e lo sfogo deve essere quotidiano e continuativo per una
colata lavica come me. Penso di avere
tanto seguito, sinceramente, perché
sono una furba che sa abbinare il bell’aspetto all’ironia senza filtri» sorride la
Grande Lebowska, cioè una professoressa (supplente) di fisica a San Benedetto del Tronto. «Essere Dio mi porta
via un sacco di tempo, ma dato che ero
disoccupato il tempo non mi mancava»
si confessa dall’alto dei suoi 125 mila
followersDioin persona, un trentunenne di Foligno che, grazie a questa trovata, sta rimediando varie collaborazioni
come autore: «Twitter ha dato un senso
alla mia laurea in Filosofia; mi ha fatto
trovare lavoro, più di una volta, arricchire il curriculum, viaggiare, conoscere tanta gente e tanti amici (forse troppi), e se ho fatto bene i miei calcoli siamo solo all’inizio». Ecco: quanto durerà
questo quarto d’ora di celebrità? «Fino
al prossimo social network che riuscirà
a stravolgere veramente, nuovamente,
il modo di parlare e comunicare». Parola di Bonnie La Cozza. Anzi, tweet.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
@sissetta80
@egyzia
Lavoro come pagliaccio nel circo
della vita. Poi mi strucco, mi guardo
allo specchio: occhi grandi da bambina
il corpo di donna, i denti al cuore
Leggo, dunque sogno. Potenzialmente
mi interessa tutto, dopo scelgo
Custode della parola amplissimo
Dimenticavo, sono sommelier
15.510
15.339
12.050
Follower
Follower
Follower
Sono la terrorista di me stessa
Sto sul ciglio di un baratro
per sentirmi viva
Nome:Bonella C.
Nickname: Bonnie la Cozza
Nome:Silvia Rosetti
Nickname: Grande Lebowska
Nome:Maria Teresa Deiana
Nickname: egyzia
Età:
Professione: receptionist
Età:
Professione: insegnante
Età:
Professione: grafica
Città: Arezzo
Studi: laurea in Fisica
Città: San Benedetto del Tronto
Studi: maturità scientifica
33 anni
Studi: laurea in Lettere
5 APRILE 2013
32 anni
Recinti
Uomini
A forza di mettersi dei paletti,
si rischia di finire soli dentro il recinto
che ci siamo costruiti
Sono seduta in autobus vicino al matto
che parla da solo con la vocina
del bimbo di Shining. C’ho un certa
fortuna con gli uomini
16 APRILE 2013
36 anni
Città: Olbia
Ghigliottina
10 APRILE 2012
Le ultime, drammatiche parole
di Maria Antonietta a Robespierre
prima di salire sul patibolo:
“Pensaci, Giacobino”
Repubblica Nazionale
LA DOMENICA
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 34
L’inedito
Trucchi del mestiere
Scappò dalle celle di sicurezza, sgusciò dalle casseforti,
si divincolò da grovigli di lucchetti immerso nell’acqua
Poi il più celebre illusionista di tutti i tempi
svelò alcuni segreti in un libro
pubblicato in Italia per la prima volta
Mago, simbolo
o superspia
ANGELO AQUARO
arry Houdini cominciò a liberarsi delle sue catene
quando aveva dodici anni e
si chiamava ancora Ehrich
Weiss. Appleton, Illinois,
non era neppure la più
profonda delle province degli United States of America: un college prestigioso —
Lawrence University — e un’Opera House
ne avevano fatto una piccola capitale nel
Midwest. Ma al figlio dell’immigrato ungherese riciclatosi rabbino sarebbero presto andate strette perfino le frontiere dell’America, che a fine Ottocento scopriva le
gioie (economiche) e i dolori (sociali) della
prima globalizzazione: e figuriamoci dunque i confini di quella cittadina che aveva
accolto la sua famigliola in fuga dall’Europa. Racconta la leggenda che il piccolo Ehrich fu conquistato dall’arrivo di un circo.
Provò a copiare nel giardino di casa i primi
movimenti da trapezista, avventurandosi
su una corda tirata tra due alberi. Passo dopo passo, show dopo show, si ritrovò già in
fuga e da allora non si fermò più. Una vita
in tournée col nome d’arte di Houdini. Sfidando la morte, da New York a Londra, con
esercizi e trucchi di straordinaria intelligenza, e invidiabile fisicità.
Fin qui la storia ingigantitasi a mito: che
prima la pubblicistica del tempo e poi
quella senza tempo di Hollywood (ricordate il film con Tony Curtis?) hanno rilanciato. Come ogni leggenda, anche questa è
dovuta però passare al setaccio del revisionismo: per una volta uscendone, altra magia, ancora più rafforzata. Prendete le radici ebraiche che il Jewish Museum di New
York ha dissotterrato in Houdini: Art & Magic, catalogo della mostra dedicatagli l’anno scorso: ci voleva tutta la forza dell’escatologia giudaica per liberare Houdini dalle
catene da super Barnum che il successo gli
aveva stretto intorno. “Houdini non solo
seppe sfuggire alle costrizioni fisiche e alle
situazioni potenzialmente mortali — si
legge nella presentazione — ma fu lui stesso un modello dell’American Dream: sfuggendo al passato per affermarsi nel Nuovo
Mondo”. Non per niente la celebrazione
ha raccolto nel segno di Houdini progetti di
artisti culturalmente in fuga da ogni regola: da Matthew Barney a Vick Muniz.
Peccato che revisionismo troppo spesso
faccia rima con dietrologismo. E qui neppure il re degli “escapisti” è riuscito a sfuggire all’accusa più infamante che sempre
spiegherebbe i successi inspiegabili. Ci
hanno provato William Kalush e Larry Sloman (The Secret Life of Houdini: The
Making of America’s First Superhero) ad
aprirci gli occhi e rivelarci il suo più grande
trucco: farci credere cioè di essere un mago mentre — peek-a-boo! — in realtà non
era altro che una superspia.
Vero, falso o verosimile? Uno psicologo
famoso e intellettualmente spregiudicato, Stanton Peele, ha sfidato il religiosamente corretto per sottolineare la tara ancora una volta jewish dell’ossessione materna. Proprio la morte dell’adorata
mamma portò infatti il mago dei maghi a
denunciare lo spiritismo allora imperante. Di più. Per sbugiardare i ciarlatani che
promettevano contatti con i cari estinti, il
grande Houdini arrivò addirittura a promettere diecimila dollari a chiunque gli
avesse dimostrato l’esistenza di fenomeni paranormali.
Ecco: e se alla fine fosse proprio questa
la sua lezione più grande? Siamo tutti chiamati a liberarci delle nostre catene. Ma
non contiamo sui miracoli. La vita è tutta
un trucco. E ogni fuga un’illusione.
H
‘‘
Per ingoiare una spada,
e anche vetri o chiodi,
iniziate inghiottendo patate intere...
Come fuggire e vivere felici
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Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 35
BIG SHOW
la sua superficie liscia facilita lo scivolamento oltre le anche.
Si usano circa 15-18 metri, e quando direte che sono 23 meel cercare di conquistare il vostro pubblico,
tri di corda da bucato nessuno avrà niente da ridire. Il segrericordate che “le buone maniere rendono
to consiste nel fatto che, purché la legatura inizi con un caricchi”, quindi non siate insolenti. Un vecpo della corda e finisca con l’altra estremità, è quasi imposchio trucco ben realizzato è molto meglio di
sibile legare un uomo in piedi con quella quantità di corda
un nuovo trucco mal riuscito. Non dite mai
in modo che, contorcendosi, non possa liberarsi con relatial pubblico quanto siete bravi; lo scopriranva facilità. All’inizio di questa sfida dovete tenere la corda arno presto da soli. Non tirate i trucchi per le lunghe, ma prorotolata in una mano e la prima mossa sarà srotolarla e farcedete il più spediti possibile, tenendo a mente il motto lala ispezionare dalla commissione. Darete ai membri della
tino: Festina lente, affrettati lentamente.
commissione «corda a volontà», lasciando che vi leghino nel
modo che loro più aggrada. Durante questo discorso, riavCome incantare il pubblico
volgete la corda, spiegando nel frattempo tranquillamente
Se il vostro pubblico è molto lontano, una certa mimica
alla commissione che così arrotolata sarà più maneggevosarà decisamente apprezzata. Qualche commento ben
le, passerà meglio nei nodi eccetera; lo scopo è di “forzarli”
scelto sui temi del momento va
a iniziare a legarvi partendo da
sempre bene. Preparatevi semun’estremità. I primissimi nodi
pre una breve frase da dire nel cavengono fatti con molta attenzioso un trucco non vada nel verso
ne, ma dopo un po’ chi sta legangiusto. La verità è che non è il trucdo si accorge che rimane ancora
co in sé né come lo si esegue a fare
molta corda e inizia a girarla attordi un numero un successo, ma il
no al corpo facendo pochissimi
discorso che accompagna il nunodi. Se vi capita una commissiomero stesso.
ne particolarmente seria che iniLORENZO
JOVANOTTI
Tra le sfide da me realizzate ci
zia a fare più nodi di quanto vi consono quelle di seguito elencate, alvenga, sarà bene gonfiare i mui sono maghi calciatori, maghi
cune delle quali sono molto intescoli, espandere il torace, incurvaballerini,
maghi
scrittori,
maghi
ressanti: la fuga sotto gli occhi del
re leggermente le spalle e tenere le
meccanici, maghi elettricisti,
pubblico da una camicia di forza
braccia un po’ discoste dai fianchi.
maghi ortopedici, maghi del sesso. Si
usata per i pazzi omicidi; l’evasioNel sottoporvi a questa legatura,
dice sempre: quello lì è un mago. Houne da una cassa inchiodata; da una
dovreste sempre indossare una
dini era un mago a fare le sue magie. Per
cassa costruita sul palcoscenico;
giacca, scoprirete che sarà un ulme
avrebbe
potuto
anche
fare
il
bagnida un sacchetto di carta; da una ceteriore aiuto per ottenere gioco.
no, ascolterei molto volentieri quello
sta di vimini; da una cesta appesa
Da qualche parte dovrete nasconche ha da dirmi sul suo mestiere il più
per aria; da un cesto o da una gabdere un coltello affilato con la labravo
bagnino
del
mondo.
Houdini
è
bia d’acciaio improvvisati; da una
ma ricurva, potreste trovarlo utile
pieno di buoni consigli per chiunque
caldaia d’acciaio rivettata; appeso
nel caso alcuni dei primi nodi, leabbia un “pubblico”, una platea, quala una scala a mezz’aria; inchiodagati con più attenzione, si rivelino
cuno che giudicherà dalle apparenze,
to a una porta; evasione da una teproblematici. Se taglierete un
che non ingannano, si sa. Non c’è nienca di vetro improvvisata; da un
pezzettino di corda a un’estrete
di
più
profondo
delle
apparenze.
enorme pallone da football; fuga
mità, nessuno se ne accorgerà.
Un giorno a Los Angeles ero in macda un grande sacco della posta;
china con un mio amico esperto della
Come ingoiare una spada
evasione da una scrivania a ribalcittà. Passando vicino a una villa decata; evasione da un pianoforte zinPer eseguire il numero del mandente dalle parti di Laurel Canyon mi
cato eccetera eccetera.
giatore di spade è necessario solo
colpì un certo magnetismo inquietante
superare la nausea provocata dal
che sprigionava da quei muri e venni a
Come slegarsi
metallo che tocca la membrana
sapere che ci aveva vissuto il grande
I numeri con le corde hanno un
mucosa della faringe, perché per il
Houdini.
In
quella
casa
i
Red
Hot
Chili
vantaggio notevole su tutte le altre
resto dalla bocca al fondo dello
Peppers negli anni Novanta ci hanno
forme di fuga, ovvero che non è
stomaco c’è un canale senza ostaregistrato Bloodsugarsexmagic, il loro
possibile avanzare sospetti sulle
coli abbastanza largo da contenealbum
più
bello.
corde in quanto tali. Quando è
re alcune delle sottili lame usate. Il
Magie. Bisogna fare attenzione con
possibile, in generale è meglio usacanale non è dritto, ma il passagquelli come Houdini. Essere un po’
re dei nastri, perché suscitano angio della spada lo raddrizza. E anHoudini, almeno provarci, a liberarsi
che meno diffidenza delle corde…
che se alcune gole sono più sensisempre, da qualsiasi catena.
La fuga più antica che si conosca
bili l’esercizio abituerà al passag© RIPRODUZIONE RISERVATA
nel mondo dei prestigiatori è quelgio della lama. Quando viene usala nella quale si devono liberare le
ta una spada molto appuntita,
mani normalmente legate dietro
l’artista fa scivolare di nascosto un
la schiena. Si ottiene piegando il corpo in avanti e facendo
cappuccio di gomma sulla punta, per evitare incidenti.
scendere le braccia fino a superare le anche, portando le maDa un anziano giapponese della troupe di Kitchy Akimoni giusto dietro le ginocchia. La cosa potrà sembrarvi imto imparai il metodo per inghiottire oggetti abbastanza vopossibile al primo tentativo, ma continuate a provare e doluminosi e rigurgitarli a piacere. Per fare pratica all’inizio si
po un po’ diventerete pratici. Quando le mani sono posiziousano delle patate molto piccole, così da prevenire incidennate dietro le ginocchia, sedetevi sul pavimento e incrociati; e, una volta padroneggiata l’arte di rigurgitarle, la misura
te le gambe, la sinistra sopra la destra, poi portate il braccio
viene aumentata gradualmente fino a che non si riesce a insinistro oltre il ginocchio sinistro e tirate indietro il piede sighiottire e rigurgitare oggetti grandi quanto la gola può sonistro e quindi il destro, facendoli passare per il cerchio forstenere. I mangiatori di vetro, chiodi, sassi e altro, ingoiano
mato dalle braccia. Così avrete le braccia legate davanti al
realmente questi oggetti, anche se sembra impossibile, vocorpo e a questo punto potrete sciogliere i nodi con i denti.
mitandoli fuori una volta finita l’esibizione. Il fatto che con
Per questa legatura si dovrebbe usare una corda nuova di
il vomito non ottengano sempre l’effetto voluto è provato
quelle che si usano per le finestre a saliscendi, per due radai registri degli ospedali, che riportano molte operazioni
gioni: in primo luogo perché è impossibile fare dei nodi davchirurgiche su artisti di questo genere.
vero stretti con quel tipo di corda e in secondo luogo perché
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Harry Houdini
(1874-1926)
nel numero
delle corde durante
un suo show
Al centro delle pagine
la locandina
di un suo spettacolo
del 1895
HARRY HOUDINI
N
Liberiamoci
dalle catene
C
IL LIBRO
Il modo giusto di sbagliare
(Add edizioni, 192 pagine, 14 euro)
di Harry Houdini con una prefazione
di Lorenzo Jovanotti, è un ritratto
inedito (in Italia) del popolare
illusionista, collezionista di libri,
amante della scrittura
Ma è anche il racconto dei trucchi
usati da molti suoi colleghi e imitatori
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
LA DOMENICA
■ 36
Spettacoli
Abbassa la cresta
Il rabbioso movimento che, negli anni Settanta, rifiutò
il sistema oggi sfila sulle passerelle dell’alta moda
Una grande mostra a New York racconta
questa strana storia di griffe e di anarchia
“Perché nulla ha avuto un impatto così forte sull’estetica”
SID VICIOUS
CHANEL
JOHNNY ROTTEN
ALEXANDER MC QUEEN
INGAR
DIOR
MALCOLM MC LARE
Londra 1977
collezione p/e 2011
Londra 1976
collezione a/i 2008-9
Londra 1977
collezione a/i 2006-7
Londra 1976
‘‘
Sid Vicious
Mina la loro autorità pomposa,
rifiuta i loro standard morali,
fai dell’anarchia e del disordine
i tuoi marchi di fabbrica
Causa più caos e disagi che puoi
ma soprattutto non lasciare
che ti prendano da vivo
‘‘
Johnny Rotten
Camminavo su e giù
per King’s road pieno di rabbia
C’era uno sciopero della spazzatura
Ho pensato di mettermi
quei rifiuti addosso
Io mi vorrei avvolgere
nella spazzatura
‘‘
Malcolm McLaren
C’era questo tizio distrutto
che sembrava appena uscito
da una fogna, coperto di melma,
con la faccia stravolta
di chi non dorme da anni
Era un meraviglioso, sudicio
ragazzo con una t-shirt stracciata
Repubblica Nazionale
ALCOLM MCLAREN
ndra 1976
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 37
Se la ribellione
diventa solo
questione di stile
Vivienne Westwood
“Le nostre idee
restano diverse”
GIUSEPPE VIDETTI
MASSIMO VINCENZI
l veropunk, come assicura Mick
Jones dei Clash, è durato cento
giorni, poi nei successivi quarant’anni o giù di lì ha zigzagato
tra cultura, musica e costume
arrivando sino al red carpet del
Metropolitan Museum di New York.
Dove il 9 maggio si apre la mostra
Punk: Chaos to Couture con Beyonce e
la direttrice di Vogue, Anna Wintour, a
fare da madrine. Per una generazione
che si immaginava come un enorme
dito medio levato al cielo non è certo
un approdo indolore.
Il New York Magazine dedica all’evento una lunga inchiesta chiedendosi:
se un movimento creato sulla rabbia e
sulla ribellione diventa il perno di un
evento ultramondano è l’ultimo chiodo piantato sulla sua bara o è la prova
della sua vita eterna? Alcuni dei protagonisti di quegli anni hanno meno dubbi. Legs McNeil animatore della rivista
Punke storica figura della scena americana protesta nelle pagine del New York
Times: «I ricchi provano sempre a cooptare tutto quello che non possono possedere. Catturano l’anima di quegli anni e la anestetizzano, la rendono noiosa. Cosa hanno a che fare tutti questi stilisti con noi? Non ne capisco il senso». E
la sua compagna di avventura Debbie
Harry, altra icona dei Settanta ribadisce: «Noi non volevamo essere trendy,
volevamo solo trasgredire». Nel 1976
l’anno del primo Lp dei Ramones, l’anno in cui nelle cantine di New York e
Londra le chitarre elettriche distorte
graffiano gli spartiti facendo a pezzi la
melodia e le canzoni insultano il “mondo pulito là fuori”, urlando “uccidimi
per favore”, al Met va in scena una mostra dal titolo La gloria del costume russo. Nell’aria fluttuano litri di Chanel
Cuir de Russie. «È come se un club di vegetariani finisse a festeggiare dentro
una bisteccheria».
Ma il tempo avvicina gli opposti. E in
realtà lo straniamento è meno forte. È
infatti innegabile che le grandi firme
della moda si sono ispirate agli abiti
strappati di quei ragazzi. Andrew Bolton è il curatore dell’esposizione, insieme all’italiano Riccardo Tisci (uomo dell’anno per il New York Times) e
si racconta come un fan entusiasta:
«Niente ha avuto un impatto così forte
sull’estetica come il punk. Anzi c’è di
più. La sua stessa essenza, quella voglia di autodeterminarsi, di creare uno
stile mai visto prima ha dato grande
energia a molti stilisti».
Lo spettacolo, ché di questo si tratta
con musiche e video, si snoda su sette
sale, con oltre cento fotografie che giocano sul contrasto tra il modello originale e la creazione artistica. Da una parte i Sex Pistols, i Clash, i Ramones e tutti
gli altri con le loro giacche nere di pelle,
i pantaloni attillati, le magliette scucite,
tenute insieme con le spille da balia. Le
creste sulle teste rasate, i capelli colorati, le catene, le borchie, i corpi scheletrici per l’eroina e gli occhi cerchiati di nero insonnia. Dall’altra, come riflessi in
uno specchio distorto, i modelli creati
dai mostri sacri della moda, nessuno
escluso. C’è una foto di Johnny Rotten
dei Sex Pistols che fissa l’obiettivo, stralunato, le pupille dilatate sul niente.
I
Nell’immagine a fianco, una modella di
Versace anno 1994, collezione primavera estate: stesso sguardo, stessa pettinatura, stesso modo di vestire.
C’è la New York del 1974 e c’è la Londra dello stesso periodo. In America, i
punk sono i figli della classe media stufi del rock dei padri e dell’iconografia
degli hippie. Si trovano negli scantinati del CBGB, il locale su Bowery fondato da Hilly Kristal dove si esibiscono
tutte le band del momento. Il suo bagno diventa una leggenda dall’odore
inconfondibile e dalle mille scritte irriverenti: luogo talmente mitico che
verrà riprodotto al Met. In Inghilterra la
scena gira tutta attorno ad un negozietto di King’s Road, dove lavorano
Malcolm McLaren e Vivienne Westwood: ovvero i veri anelli di congiunzione tra l’anarchia e il fashion. Coloro
che hanno addomesticato, codificato
la violenza, trasformandola in un marchio. A loro è dedicato, giustamente, il
posto d’onore. «Il punk era caotico, irriverente, iconoclasta ma ha cambiato
per sempre la natura della creatività.
Sembra una contraddizione, ma in
realtà c’è un filo comune che lega tutto
questo», spiega il direttore del Met
Thomas P. Campbell.
Sui blog delle riviste underground
newyorchesi, però, i lettori sono più arrabbiati che incuriositi. Arrabbiati con
Johnny Rotten, che sognava di sconvolgere le strade di Londra e che ora è qualche pagina più in là nello stesso catalogo: «Venivamo dal popolo, eravamo genuini. Il guaio è che poi tutto è stato distorto dai media, le persone fanno fatica a scappare dai luoghi comuni. La situazione economica in Gran Bretagna
è stata la fonte di ispirazione. C’era un
senso di fallimento, mi sentivo come se
l’intero paese stesse per crollare. C’era
l’idiozia di Margaret Thatcher e noi volevamo spaccare tutto».
Non è andata proprio così. Anche se
per molti, il punk ha anticipato il futuro:
i no global, gli squatter, la disillusione
dei giovani disoccupati. «Lo spirito di
quell’epoca dura ancora perché la nostra protesta è attuale. Non per le magliette colorate che sono diventate souvenir», argomenta Legs McNeil. E lo
scrittore Jon Savage aggiunge: «Noi siamo ancora qui, perché io ancora adesso quando sono stanco, sfiduciato alla
fine di una giornata metto su un disco
dei Ramones e mi sento meglio».
Ma la cultura radicale spesso non
regge all’urto degli anni. Invecchia male. Il sangue scolora e la rabbia evapora. Il 64 per cento dei nuovi punk intervistati nel sondaggio del New York Magazine dice di non essere affatto “arrabbiato”. Lo definisce “uno stato d’animo, uno stile di vita” la politica non
viene quasi menzionata. E un terzo di
loro muore dalla voglia di andare alla
mostra del Met. Si spera che almeno,
essendo gli ultimi Mohicani, non abbiano il problema di alcune invitate
che confessano di “essere molto stressate dal pensiero su cosa sia opportuno
indossare”. La cosa più trasgressiva?
«Metterò il collare del mio cane». Che
razza è? «Yorkshire». Ecco, una trasgressione bonsai.
l numero uno? Yves Saint Laurent; è lui il dio della moda. L’unico che abbia raggiunto la
perfezione». Fa un certo effetto sentirlo dire da Vivienne Westwood, la sacerdotessa del punk che, su istigazione di Malcolm McLaren, entrò nel fashion business con la stessa prepotenza di una guerriglia armata nelle vie del
centro. «Qualsiasi idea avessi all’epoca dell’apertura della prima boutique
Sex, al 430 di King’s Road, oggi è cambiata al 180 per cento», dice la stilista
pasionaria che ha risollevato le quotazioni del made in England. Divorata
dal conformismo? «No, ribelle a oltranza. I conformisti semmai sono
sempre stati Johnny Rotten e compagni, che hanno assolto il loro ruolo nella società. Non sei diverso perché hai i
capelli verdi o grigi o blu. È il tuo modo
di pensare che fa la differenza, l’attitudine nei confronti della vita».
Ma prima di Rotten e Sid Vicious fu
lei ad adottare quel look...
«Al 430 di King’s Road io ci andavo
anche da ragazza, è vero. Prima di Sex
c’erano stati il Paradise Garage e Mr.
Freedom, due negozi in perfetta sintonia col R&R anni Cinquanta. Adoravo
lo stile Teddy Boy. Le prime cosa che
comprai da cliente squattrinata furono un paio di pantaloni di velluto leopardati. Cose che non trovavi da nessun’altra parte a Londra. Avevo già i capelli pettinati a cresta, sembravo una
principessa aliena».
Come cambiò la sua vita quando
incontrò McLaren?
«Era un uomo alla continua ricerca
di stimoli, molto interessante. Abbiamo vissuto insieme per tredici anni.
Alla fine non la pensavamo più allo
stesso modo, era assetato di gratificazioni, di successo. Io sono una che ama
andare a fondo alle cose; lui utilizzava
il suo talento solo per impressionare il
pubblico».
Proprio nel momento il cui il punk
da fenomeno musicale iniziò a influenzare la moda lei ha messo il piede sul freno.
«Già, perché per me con il punk non
era successo niente d’importante, né
culturalmente né politicamente, solo
un’altra stagione entrata a far parte
dell’iconografia della ribellione.
Nient’altro che un’opportunità di
marketing. Anche se ci furono persone, compreso Malcolm, che finirono
sul piedistallo come portabandiera di
una generazione che lottava per una
società libera. I punk non facevano altro che scorrazzare per Londra a far casino. Non avevano idee. Io ne avevo,
Malcolm ne aveva. All’epoca, in termini di design, mi consideravo una sua
aiutante, davo corpo alle sue illuminazioni perché essendo più vecchia di
cinque anni conoscevo meglio gli anni
Cinquanta – tutto infatti partì da una
riconsiderazione della prima generazione R&R».
Quindi? Tutto merito, o colpa, di
Malcolm?
«No. Tutto merito mio se lo stile
punk è dilagato nel fashion business.
Ero io che creavo i modelli. Poi, è vero:
lui aveva delle intuizioni commerciali
formidabili, aveva sempre la ciliegina
pronta da mettere sulla torta».
«I
VIVIENNE WESTWOOD
VIVIENNE WESTWOOD
collezione p/e 2009
Londra 1976
‘‘
Joe Strummer
Dovevamo adattarci a quello
che trovavamo nei negozi dell’usato
che era veramente orrendo
Portavamo i giubbotti
dal carrozziere e gli dicevamo:
“Ok Pete, dacci tu
una colorata con lo spray”
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Repubblica Nazionale
LA DOMENICA
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 38
Next
Mission possible
Sembra uno scherzo, ma non lo è: una società olandese
cerca (e trova) partecipanti volontari per colonizzare Marte
coprendo i costi con la pubblicità di uno show da realizzare lassù tra nove anni
Unico problema: il viaggio è di sola andata...
Reality senza ritorno sul Pianeta Rosso
JAIME D’ALESSANDRO
ra nove anni. Ad aprile del 2022 partiremo alla volta di Marte. E lo faremo
grazie a un reality show planetario, il
più grande evento televisivo della storia. Comincia quest’anno con selezioni alla X Factor e test di resistenza
come ne L’isola dei famosi. Porterà alla formazione
degli equipaggi che si imbarcheranno uno dopo
l’altro per il Pianeta Rosso in mondovisone. Troupe televisiva compresa. Ecco Mars One, progetto
olandese faraonico e così ambizioso da sembrare
uno scherzo, una trovata pubblicitaria. Ma che in
realtà nasconde un’intuizione giudicata da alcuni
brillante: aver forse trovato il modo, attraverso la
vendita di spazi pubblicitari, di superare l’enorme
problema delle missioni spaziali su grande scala:
quello dei fondi. Tanto da ricevere l’appoggio di
Gerardus ‘t Hooft, dell’Università di Utrecht, premio Nobel per la fisica nel 1999. Tanto da raccogliere diecimila domande di aspiranti astronauti
appena pervenute all’organizzazione. Anche se c’è
un problemino: il biglietto è di sola andata. Chi andrà, ci resterà fino alla fine dei suoi giorni.
«Se hai un miliardo di telespettatori, i sei miliardi di dollari necessari per la colonizzazione di Marte non sono poi così tanti», racconta Bas Lansdorp,
la mente dietro l’iniziativa. Imprenditore con una
laurea in ingegneria alle spalle, ne parla mentre
guida per le strade di Los Angeles nel documentario One Way Astronaut, del quale è stato pubblicato cinque giorni fa un trailer di qualche minuto. È
pieno di interviste ai candidati, un assaggio delle
centinaia di video che già affollano il sito di Lansdorp & Co. Ragazze e ragazzi che hanno inviato la
loro presentazione filmata dal Brasile e dalla Germania, dagli Stati Uniti e dal Giappone, dall’Italia e dalla Russia. Ma ci sono anche qua-
T
2018
L’ESPLORAZIONE
Decollo del primo rover
per l’esplorazione della superficie
di Marte e per iniziare ad attrezzare
l’area dove sorgerà la base
2016
IL PRIMO LANCIO
Tra tre anni partirà il primo cargo:
pesante circa tre tonnellate,
conterrà cibo, strumenti, utensili
e materiali per allestire la base
rantenni con moglie e figli, signori un po’ in là con
l’età, gente di ogni estrazione e provenienza. Spaccato di un’umanità normale che ha un sogno comune ed è disposta a pagare un prezzo alto per realizzarlo. Quello di andare a morire su Marte.
Anche questa più che una follia è il superamento di un limite tecnico. Arrivare infatti è relativamente facile, ripartire è il vero problema. La missione dell’Apollo 11 sulla Luna, a oltre quaranta anni di distanza, sembra ancora un miracolo e i miracoli in genere non si ripetono. Anzi, a volte si guardano con sospetto. Diventano il centro di teorie
complottiste. In Capricorn One, il film del 1978 di
Peter Hyams con Elliott Gould e O. J. Simpson, la
Nasa era senza più fondi, grosso modo come accade ora. E per evitare rischi e insuccessi, metteva in
scena una missione posticcia in uno studio televisivo perso nel deserto del Texas.
Oggi, a poca distanza da quell’area, Sir Richard
Branson sta costruendo la sua Virgin Galactic: viaggi oltre la stratosfera a partire dal prossimo anno e
uno spazioporto firmato dall’architetto Norman
Foster in costruzione nel grande nulla del New
Mexico per “appena” 250 milioni di dollari. Le orme sono quelle di Juan Trippe, il fondatore della
Pan Am che nel 1968 cominciò a raccogliere le prenotazioni per i primi voli per la Luna. Il biglietto sarebbe costato quattordicimila dollari. Centomila
persone si misero in lista pensando di partire trenta anni dopo. La compagnia però fallì nel 1991.
Branson invece potrebbe farcela. Ha le risorse e sta
acquisendo le compagnie con il know-how tecnico necessario. Nel frattempo guarda oltre, alla colonizzazione di Marte, con l’intenzione di offrire
anche lui biglietti one way come Bas Lansdorp. Ma
non si è spinto fino ad immaginare uno show in tv.
In realtà, non lo ha fatto nemmeno Lansdorp. «Nel
2011» spiega «dopo aver venduto la mia compagnia per la produzione di energia alternativa, stavo
lavorando al progetto di Mars One. Ma non riuscivamo a trovare un modo per finanziare l’operazione. A quel punto Paul Romer,
uno dei creatori del Grande fratello, mi consigliò di trasformarlo in un evento mediatico di portata mondiale
vendendo gli spazi
pubblicitari».
Evento in se-
guito modulato in sette tappe diverse, o forse dovremmo chiamarle “stagioni”, a partire da quella di
quest’anno per la selezione dei quaranta astronauti e i test all’interno di una replica fedele di quella che sarà la base su Marte. Riedizione in chiave
fantascientifica del format di Romer, che nel frattempo è diventato consulente del progetto Mars
One. Nel 2016 verrà lanciato verso il pianeta rosso
il primo cargo con tre tonnellate di viveri, parti di ricambio, strumenti, materiali. Due anni dopo sarà
la volta del rover che dovrà iniziare a preparare il
campo. In Olanda hanno calcolato che impiegherà
tre anni a mettere in piedi la struttura della base, sei
moduli. A quel punto il primo equipaggio formato
da quattro persone sarà in procinto di partire. Data prevista del decollo 2022, per raggiungere Marte
nel 2023. Da quel momento in poi ogni due anni
prima e poi a intervalli sempre minori, verranno inviati altri equipaggi fino ad arrivare nel 2035 a una
colonia di almeno trenta o quaranta persone.
Sembra un copione scritto da uno sceneggiatore dotato di troppa fantasia. Ma in fondo tutto quel
che è legato alla conquista dello spazio ha questo
sapore. Dwight D. Eisenhower, quando nel 1958
ordinò la creazione della Nasa, dopo lo shock provocato dal satellite sovietico Sputnik, chiamò al suo
fianco Neil McElroy. Classe 1904, nato in Ohio e
laureatosi ad Harvard, era entrato da giovane alla
Procter&Gamble, la multinazionale del sapone di
Cincinnati. Da addetto all’apertura della corrispondenza a direttore del reparto pubblicità in dieci anni circa. Il sogno americano fatto persona.
Non solo, la cosiddetta soap opera è un’idea sua.
Quei drammi radiofonici, presto passati alla televisione e pensati per essere interrotti dalle pubblicità del sapone, stavano diventando
parte della cultura popolare. Il motivo che spinse Eisenhower a
chiamare un tipo del genere
per ricoprire la carica di Segretario della Difesa è intuibile. Alla fine la corsa allo
spazio era una guerra di
comunicazione da combattere sul piano dell’immaginario. Cinquantacinque anni dopo si ricomincia, e guarda caso ancora una
volta dalle soap opera.
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2013
I PREPARATIVI
Cominciano selezione
dei quaranta
astronauti
e simulazioni
dello sbarco su Marte
Il tutto viene
trasmesso in tv
IL CONFRONTO
DURATA DELL’ANNO
MARTE
TERRA
686 GIORNI
365 GIORNI
DURATA DEL GIORNO
DIAMETRO
24 ORE E 37 MINUTI
24 ORE
6.780 CHILOMETRI
12.745 CHILOMETRI
COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA
96% ANIDRIDE CARBONICA
21% OSSIGENO
2,5% AZOTO
78% AZOTO
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 39
GADGET SHOW
LA TAZZA
LA FELPA
LA MAGLIETTA
2021
‘‘
Se hai un miliardo di telespettatori
i sei miliardi di dollari necessari
per la colonizzazione non sono poi così tanti
Bas Lansdorp Ideatore del progetto Mars One
2022
LA BASE
Viene ultimata
la base composta
da sei differenti
moduli. È stato
calcolato infatti
che siano necessari
tre anni
per approntarla
I VOLONTARI
Parte il primo
equipaggio,
quattro persone scelte
anche dal pubblico
nel corso
degli show televisivi
Il viaggio di sola
andata durerà un anno
2023
L’ORTO
I MODULI ABITATIVI
Il primo equipaggio raggiunge Marte. I volontari
si stabiliscono nei moduli abitativi. Ciascuno dei quali
è composto da una cucina, un soggiorno con divani
e super schermo, stanza da letto, magazzino e orto
LA CUCINA
IL SOGGIORNO
MISSIONI
RIUSCITE
1964
MARINER 4
Dopo cinque
tentativi sovietici
falliti quella Usa
fu la prima sonda
a sorvolare
Marte
1971
LE STANZE DA LETTO
MARINER 9
Dopo altre nove
missioni fallite
(sei dall’Urss)
gli americani
entrano
nella sua orbita
IL MAGAZZINO
1975
VIKING 1
Tappa storica:
la sonda Usa
invia le prime
immagini
del pianeta
È ancora in orbita
1996
2025
NUOVI ARRIVI
Parte la seconda
missione,
la colonia marziana
inizia a ingrandirsi
Entro il 2035
sarà abitata
da quaranta parsone
PATHFINDER
Fu la prima
a trasportare
un rover
per l’analisi
del suolo
e delle rocce
2012
CURIOSITY
L’ultimo rover
americano
è stato lanciato
per indagare
se c’è vita
su Marte
TEMPERATURA MINIMA
-128 GRADI CENTIGRADI
-60 GRADI CENTIGRADI
TEMPERATURA MASSIMA
30 GRADI CENTIGRADI
60 GRADI CENTIGRADI
FORZA DI GRAVITÀ
PESO DI UNA PERSONA
0.38 G
1G*
27,9 CHILOGRAMMI
75 CHILOGRAMMI
* un “G” corrisponde
a un’accelerazione di 9.8 m/s2
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
LA DOMENICA
■ 40
I sapori
Fatti in casa
Generazioni
di bambini cresciuti
con le brioche confezionate
Ma ora, tra crisi
e consapevolezze alimentari,
a metà pomeriggio
rispuntano mele,
crostate e focacce
LICIA GRANELLO
era una volta pane-burromarmellata, magico trio capace di scatenare l’acquolina in bocca e far abbandonare i giochi — tra un baffo zuccherato sul labbro e l’ineliminabile fastidio delle dita appiccicose — ultimo
baluardo sanamente goloso, spazzato via da ondate successive di merendine confezionate. Una
piccola rivoluzione alimentare su cui l’industria
ha investito con successo crescente, fino all’eliminazione totale del fai-da-te di metà pomeriggio, in favore dei fagottini imprigionati nel cellophane. Naturalmente, non di solo pane-burro-
C’
la Rivincita
della
Merenda
A grande richiesta pane e marmellata
zucchero vivevano gli intermezzi famelici dei
bambini. Fin da piccini, la scelta tra dolce e salato
schierava gli infanti in contrapposizione saporita
fra i cultori del krapfen e gli ardimentosi di burro
e acciughe. Generazioni di allievi di elementari e
medie sono cresciuti sapendo che masticare la
sofficezza burrosa di una brioche o la fragrante
carnalità di un panino alla mortadella faceva una
bella differenza, prolungata dalla scelta di cosa
bere tra un morso e l’altro, cioccolata calda o
aranciata, tè o gazzosa. Una sorta di comfort food
in formato mignon che sapeva tacitare lo stomaco e far gongolare il palato, prima di finire i compiti e in attesa della cena. E in caso di temporaneo,
scarso appetito, non c’era genitore che si sottraesse al fortunato sacrificio di finire la merenda
in vece del figlio.
Il rito è cambiato molto, costretto nei ritmi accelerati dei pomeriggi fatti di compiti e piscina,
scuola d’inglese e lezioni di judo, con mamme e
papà in fuga affannosa dagli uffici o incollati al cellulare per dare istruzioni a nonne e tate. Un elenco infinito di ingredienti, così vistosamente ardui
da leggere nelle pieghe delle confezioni, ha sostituito i pochissimi di un tempo. Creazioni a prova
di tabella nutrizionale per gli adulti di domani. Facili e comodi. Non necessariamente più economici, né più salutari.
Così, tra il prolungarsi avvilente della crisi economica e gli allarmi ravvicinati sul numero crescente di preadolescenti supersize — l’ultimo è
datato martedì — l’idea di recuperare le merende
d’antàn ha cominciato ad animare piccoli locali
dedicati e trasformare quelli che avevano da tempo abdicato al rito della focaccetta farcita. Complice l’inarrestabile diffusione del biologico, nicchia in controtendenza in tempi di taglio della
spesa alimentare, mele e sandwich di pane scuro
sono tornati a far capolino dagli zaini e sui banconi dei bar insieme al piacere di una fetta di crostata fatta come-dio-comanda, di un rettangolo di
focaccia deliziosamente unta (lievito madre ed
extravergine d’obbligo), di una fetta di buon prosciutto avviluppata su un grissino croccante.
Più che la riproposizione di gusti retrò, il far di
necessità virtù, tornando a scegliere il cibo invece che subirlo. Se trovate del buon pane (o fatelo
in casa, le macchinette aiutano assai), spalmatelo con la crema di pistacchi di Corrado Assenza o
con il bio stracchino delle Cascine Orsine, affondate i denti e chiudete gli occhi. I compiti, rimandateli a domani.
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Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
■ 41
Pane e...
Bruschetta
Panino
Bianco o integrale,
il pane è il supporto perfetto
per burro e zucchero,
oppure olio, aceto e sale,
passando per i fruttini Zuegg
e l’estratto di carne Liebig
Pane casareccio,
un poco raffermo
e ben abbrustolito,
condito con extravergine
e sale grosso,
o strofinato con pomodoro
Baguette, rosetta, bocconcino,
meglio se ancora caldi,
imbottiti con salame,
mortadella, formaggio,
frittata, verdure,
fino alla poderosa cotoletta
Salame
di cioccolato
Impasto irresistibile
di biscotti sbriciolati, burro,
zucchero, cacao
e qualche goccia di rum,
raffreddato e tagliato a fette
Gli indirizzi
La confettura
di frutti rossi
spalmata sul pane
è la classica
merenda casalinga
da accompagnare
a una bevanda calda
o a una spremuta
Torino
M** Bun
Via Rattazzi 4
Tel. 011-19704606
Firenze
Ino
via dei Georgofili 3
Tel. 055-219208
Milano
Pavè
Via Casati 27
Tel. 02-94392259
Roma
La Santeria
Via del Pigneto 213
Tel. 06-64801606
Arzignano (Vi)
Damini
Macelleria&Affini
Via Cadorna 31
Tel. 0444-452914
Napoli
Anhelo
via Bisignano 3
Tel. 081-402432
Avellino
Ghi Caffè
Via Amabile 19/B
Tel. 0825-1911605
Parma
Pepen
Borgo Sant'Ambrogio
2/C. Tel. 0521-282650
ILLUSTRAZIONE DI CARLO STANGA
Classica
Bologna
Pane burro & wifi
via Tiarini 1/C
Tel. 366-3665855
Biscotto
della Salute
Dalla ricetta targata Wamar
al Lagaccio di Genova,
la sintesi di fetta biscottata
e biscotto. Sopra,
confettura o crema di nocciole
Altamura (Ba)
Panificio
Ninivaggi
Via Torino 36
Tel. 080-3115852
Tramezzino
A tavola
Io, la nonna e un vecchio potagé
CARLO PETRINI
e penso alla mia generazione, risulta fin troppo evidente che quand’erano le nonne a occuparsi delle nostre merende l’educazione alimentare e al gusto fosse una cosa naturale e automatica. Il che rendeva quasi superfluo il tema, oggi invece scottante, del suo essere affrontata
nelle scuole o da soggetti terzi. Le nonne con amorevolezza e sensibilità aiutavano noi bambini a
superare i piccoli pregiudizi alimentari, a fare le prime esperienze gustative importanti, a nutrirci
in maniera sana.
Cibo, gusto, memoria e affettività sono collegati profondamente e diventano un marchio indelebile per chi ha potuto godere dei suoi primi rudimenti gastronomici accompagnato dai gesti della propria grand-mère. Mi ritengo fortunato a essere passato da questa scuola, per merito di mia
nonna paterna. Le dedico alcune pagine in un recente libretto, Zuppa di latte (Slow Food Editore),
nelle quali non ho potuto dimenticare il pane — lusso ritrovato nel secondo dopoguerra — che nei
giorni di festa a merenda si arricchiva di una spalmata di burro fresco e di una spolverata di zucchero. Capisco soltanto ora quale fosse il valore di quei prodotti per una generazione, come quella
della madre di mio padre, che li aveva visti contingentati e che finiva con il sognarseli la notte.
Un marchio nella mia memoria sensoriale, semplice e prezioso, il cui gusto, riprovato oggi, rimanda inevitabilmente alla cucina spartana in cui passavo i miei pomeriggi, accanto al potagé, la
stufa a legna per cucinare, uno degli oggetti di design più riusciti del Ventesimo secolo. Non so quanta poesia si mescoli alla realtà di un ricordo, ma sta di fatto che il mio palato e la mia fame erano stati educati da una nonna: beati i bambini che oggi possono ancora contare sui gesti di una semplice
preparazione come pane e burro, piuttosto che della consegna frettolosa di un pacchettino colorato da scartare e di cui ingurgitare il contenuto.
Morbido pan carré
tagliato a triangolo ,
farcito con tonno e carciofini,
pomodoro e uova sode,
burro e acciughe,
insalata di pollo
S
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Focaccia
Venduta a tranci
in due versioni:
alta e spugnosa
o bassa e croccante
Sottilissima con stracchino
quella tipica di Recco
Gelato
Toast
Brioche
Crostatina
È la scelta più sana
- a patto che gli ingredienti
siano latte, frutta, zucchero ma anche il trionfo di cornetti,
mottarelli (antesignani
del Magnum) e coppette
Da addentare caldissimo
Pan carré sbordato,
fontina filante e prosciutto
cotto senza polifosfati
Il più croccante,
lievemente spalmato di burro
Il simbolo delle paste lievitate
(bombolone, croissant...)
cotte al forno oppure fritte
Vuota o con una farcitura
di crema, confettura,
oppure cioccolato
Versione mignon
della classica frolla
con marmellata
Un guscio di pasta
per farciture di ricotta, ganache
di cioccolato, tocchetti di frutta
Repubblica Nazionale
DOMENICA 28 APRILE 2013
LA DOMENICA
■ 42
L’incontro
Maestri
Ha preso il posto che fu di Arturo
Toscanini, ma non per questo
il nuovo direttore d’orchestra
del Metropolitan Opera di New York
si è montato la testa. E appena può
si rifugia nella casa
di Camogli. Genovese
di nascita, wagneriano
di formazione,
ha una sua ricetta:
Fabio Luisi
“Cerco di essere
una persona normale
difendendo dall’anormalità
dell’arte la mia esistenza
piccolo borghese”
siste un direttore d’orchestra che non ha un ego
smisurato, e io l’ho incontrato. Fabio Luisi, genovese di cinquantaquattro anni, occupa un posto di raro prestigio. È di fatto
il direttore principale al Metropolitan
Opera di New York. «Un teatro di leggenda» dice Luisi, e aggiunge di sentirsi «onorato di occupare un ruolo che fu
di Arturo Toscanini un secolo fa». Che
non si sia montato la testa, però, lo dimostrano gli elogi molto speciali che
gli ha tributato il New York Times. Luisi si è guadagnato il rispetto di Anthony
Tommasini, il gran sacerdote della critica musicale newyorchese, per l’impeccabile qualità del suo lavoro (solo
in questa stagione, Luisi ha diretto al
Met con grande successo Un ballo in
maschera, Aida, Les Troyens e il ciclo
wagneriano de L’Anello del Nibelungo). Ma del maestro italiano viene apprezzata anche un’altra dote, poco comune nel mondo della lirica: la diplomazia. Luisi è stato chiamato a New
York per una vera e propria “mission
impossible”. La sua nomina nel 2011
come direttore principale doveva
riempire un vuoto creato dalla malattia del settantenne James Levine, il venerato direttore d’orchestra america-
‘‘
Per gli americani Luisi è un fenomeno singolare anche sotto il profilo linguistico e musicale. Italiano, ma con
un curriculum germanico-wagneriano di primissimo ordine. Conducendo
le prove d’orchestra al Met esordì nel
2005 e fece subito scalpore per un inglese perfetto, condito solo da una leggera intonazione… tedesca. Eppure i
suoi legami con l’Italia sono solidi. Alla Scala ha già diretto Manon e tornerà
a dirigere il Don Carlo. Soprattutto,
sente il richiamo delle sue radici liguri.
Di recente ha comprato un appartamento a Camogli. (Confessione per
dovere di trasparenza: ci unisce un’antica fedeltà al ristorante “Rosa”, con
terrazza panoramica sul porticciolo,
caro anche a Piero Ottone). «Mia moglie e io siamo innamorati di Camogli
In Wagner c’è l’anima
tedesca, nel Simon
Boccanegra
di Verdi tutto
lo spirito italiano
Per farli andare
d’accordo ci vorrebbe
un francese: Berlioz
FOTO BLOOMBERG
E
NEW YORK
no la cui storia s’identifica con l’ascesa
della fama mondiale del Met negli ultimi decenni. Un personaggio ingombrante, che malgrado i problemi di salute non si rassegna a dare l’addio finale. E infatti il compito assegnato a Luisi è delicato: sostituire Levine senza
eliminarlo, lasciandogli la possibilità
di tornare a dirigere di tanto in tanto, se
e quando la salute glielo consente.
Non molto conosciuto fuori dagli Stati Uniti, Levine è un mostro sacro nella
sua casa madre newyorchese. Luisi
gliene dà atto con fair play: «Levine va
ammirato — dice il maestro italiano —
per la dedizione a questo teatro, a cui
ha consacrato tutta la sua vita. Fu nominato direttore musicale quarant’anni anni fa, da allora ha fatto un
lavoro impressionante: ha rafforzato
l’orchestra, ha reso meravigliosamente efficiente la macchina organizzativa
delle prove, ha consolidato il repertorio verdiano e quello wagneriano».
Un maestro che «non ha problemi di
ego», come il New York Times ha definito Luisi, è un animale raro in questo
ambiente. Lui si spiega così: «Ho un’altra vita, fuori dall’opera. Ho sempre
cercato di non essere monomaniacale. La musica sarà sempre la mia grande passione, mi è difficile immaginare
una vita senza di lei. Però per sentirmi
completo ho bisogno di altre cose di
grande valore: mia moglie, l’educazione dei miei figli, l’interesse per la società che mi circonda. Cerco di essere
una persona normale, e così facendo
oscillo, in bilico tra una vita piccolo
borghese e un’arte che è l’antitesi di
questa normalità».
La vita familiare non ha mai voluto
sacrificarla, o confinarla su un binario
parallelo. Non è stato facile. Cresciuto
musicalmente nel mondo germanico,
Luisi è stato direttore principale dell’opera di Dresda e poi di Zurigo (lo è
tuttora), nonché direttore dell’orchestra sinfonica a Vienna. Vanno aggiunti altri traslochi a Ginevra, Lipsia, infine New York (a più riprese): in tutto dodici sedi di lavoro diverse in quindici
anni «e sempre con la famiglia al seguito, mai da solo». Sua moglie, bavarese, è violinista e fotografa. Dei tre figli, uno è un fisico, uno frequenta la facoltà di medicina, solo il terzo (quindici anni) studia pianoforte.
— dice — eppure è difficile immaginare un luogo che sia più agli antipodi di
Manhattan. Arrivarci da New York è
uno shock culturale, ma benefico. Anche nella sua ristrettezza, nella sopravvivenza del dialetto, nella conservazione del paesaggio e dell’architettura,
Camogli ci sembra un piccolo scrigno
di valori solidi».
Luisi per la sua storia italo-tedesca è
un osservatore speciale del rapporto
tra questi due paesi. Una relazione che
raramente è stata così tormentata come in questi tempi. Perfino una breve
vacanza pasquale di Angela Merkel a
Ischia è stata trasformata in occasione
di polemiche velenose tra noi e loro.
(Non siamo gli unici: a Cipro dopo il
controverso salvataggio bancario sono apparsi manifesti con la Merkel
truccata da Hitler. Dalla Grecia alla
Spagna, l’intera Europa mediterranea
è percorsa da furori anti-tedeschi. Ben
ricambiati).
«Conosco bene — dice Luisi — la
Germania della Merkel. Quella dell’Est, e quella dell’Ovest, ancora due
paesi molto diversi: e forse ci vorranno venticinque anni perché la loro
riunificazione sia compiuta. Per capire l’animo tedesco di oggi bisogna risalire agli anni Cinquanta, alla sconfitta, all’imposizione delle potenze alleate che dettarono alla Repubblica
federale la sua Costituzione democratica e federale, insieme con il ruolo dei sindacati. Mio suocero aveva
quindici anni quando finì la guerra, e
ricorda una Germania in cui si faceva
la fame. Quel che sono riusciti a fare è
notevole: sono tornati a essere il numero uno europeo, e tra le prime potenze economiche mondiali. Di sacrifici, loro ne hanno fatti tanti. Canalizzando le loro virtù antiche come la tenacia e la precisione, hanno anche costruito uno Stato sociale avanzato,
senza soffocare l’impresa e il libero
mercato. Io mi levo tanto di cappello.
Il lato negativo, è anch’esso tipico della storia tedesca: la fiducia in sé, la fede nei propri valori, può essere scambiata per arroganza».
Ci sono dei demoni sempre in agguato, e Luisi li ha visti in faccia. Mi
racconta un episodio che lo ferì
profondamente qualche anno fa. A
Dresda, era a spasso una domenica
con sua moglie e il figlio piccolo,
quando vide dei ragazzi che insultavano un mendicante. Intervenne in
sua difesa, ma i ragazzi riconobbero
un accento straniero, e poi l’intonazione da “meridionale” bavarese di
sua moglie: gli insulti si moltiplicarono, stavolta contro di loro. «La xenofobia è una minaccia seria, forse
più che in Italia o in Francia», dice.
Lo provoco sul terreno che gli è più
congeniale, la musica. Qual è l’opera
che cattura meglio lo spirito tedesco?
«I Maestri cantori di Norimberga di
Wagner — risponde — perché condensa l’anima della Germania nella
sua dimensione buona e meno buona.
Heine e Heidegger, insomma: la spiritualità amorevole di Heine, la forza di
Heidegger al servizio di un’ideologia
malefica. Nei Maestri cantori c’è la testardaggine di chi vuole basare la società su una virtù assoluta, inconfutabile». Stessa domanda per noi: l’opera
che meglio descrive l’Italia eterna? «Simon Boccanegra di Verdi: fazioni, litigi, intrighi…». E se dovesse provare a
mettere d’accordo Germania e Italia,
con quale musica lo farebbe? «La
Sinfonia fantastica di Berlioz: c’è dentro qualcosa del romanticismo tedesco, e un po’ della gioia sfrenata di cui
siamo capaci noi italiani». Ha scelto un
compositore francese. Che vi dicevo:
un gran diplomatico.
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‘‘
FEDERICO RAMPINI
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