LADOMENICA DOMENICA 28 APRILE 2013 NUMERO 425 DIREPUBBLICA CULT All’interno La copertina Troppi dati o troppo pochi? Perché i numeri non spiegano tutto DAVID BROOKS e MAURIZIO RICCI Il libro Abbandoni e cattiverie La riscoperta di Jean Rhys IRENE BIGNARDI Straparlando Lisetta Carmi “Con la musica si può sempre cambiare vita” ANTONIO GNOLI L’archivio delle DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Rivoluzioni C’è un palazzo a Mosca che custodisce memorie e segreti del mondo in rivolta E cheora rischia di scomparire L’attualità Twitterer d’Italia i perfetti sconosciuti fanno opinione EMILIO MARRESE L’inedito Harry Houdini, mi sonoliberato dalle catene ANGELO AQUARO HARRY HOUDINI e LORENZO JOVANOTTI Il festival GIANCARLO BOCCHI I VIKTOR EROFEEV MOSCA l Palazzo dei segreti è un edificio imponente, in pietra grigia, sulla Stolešnikov, una delle vie più alla moda del centro di Mosca. Ha un nome ufficiale, Rgaspi, Archivio della Storia politica e sociale, ma tra i moscoviti c’è chi lo chiama ancora Archivio del Comintern. Probabilmente è il solo luogo al mondo che per vastità di materiale e ricchezza di possibili interpretazioni si potrebbe paragonare alla Biblioteca infinita immaginata da Borges. Nell’invenzione letteraria dello scrittore argentino, il visitatore cerca il libro che contiene la Verità. Lo trova, ma scopre che ne esistono innumerevoli altri con altre verità, talvolta opposte. Nel Palazzo dei segreti sono i documenti storici a mostrare tante verità, talvolta l’una alle altre opposte. Dal primo piano un grande bassorilievo in bronzo di Lenin osserva severo le boutique di Vuitton, Fendi, Prada e il via vai delle macchine di lusso. (segue nelle pagine successive) I n una fredda sera del 25 dicembre 1991 fui casuale testimone di una cerimonia tutt’altro che solenne: al Cremlino si ammainava la bandiera rossa. Non credevo ai miei occhi: possibile che quel mostro fosse davvero morto? Ora mi sembra che la mia incredulità fosse in parte profetica. Si può far risorgere l’Unione Sovietica? O l’ipotesi appartiene a una cattiva metafisica politica che non poggia su alcuna base reale? Penso che fino a pochi anni fa giochetti del tipo “Facciamo risorgere l’Urss” sarebbero apparsi come una beffa. Ma i tempi cambiano, e nella coscienza del potere russo l’idea del ritorno ai valori sovietici sta diventando più dolce del miele. Cominciamo dal tentativo di restaurare il concetto arcaico di popolo. È questo lo scudo che oggi il potere innalza contro qualsiasi dissenso. (segue nelle pagine successive) Teatri di vetro una ricognizione sulla scena giovane che deve crescere ANNA BANDETTINI L’arte Il Museo del mondo Un Perseo “dark” di Burne-Jones MELANIA MAZZUCCO Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 LA DOMENICA ■ 30 La copertina Memorie dal sottosuolo Da Robespierre a Marx, dall’Urss a Cuba, passando per Garibaldi e guerra di Spagna Nei bunker di un severo palazzo moscovita sono conservati i documenti relativi a tutte le rivoluzioni e a tutti i rivoluzionari del mondo. Ecco cosa abbiamo trovato nei sotterranei dell’altra metà della Storia GARIBALDI E MAZZINI La Relazione Romm per la Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1792-95) A destra lettere di Garibaldi (1860) e Mazzini (1849) Tra gli scaffali e le barricate GIANCARLO BOCCHI (segue dalla copertina) er varcare l’ingresso dell’edificio, più esteso dell’atrio di una stazione ferroviaria, bisogna passare tra agenti con giubbotto antiproiettile e superare una statua di Lenin che guarda perplesso i poveri fiori di plastica lasciati ai suoi piedi da qualche estimatore. All’interno quattro piani di casseforti e armadi blindati gonfi di cartelle protetti da serrature elettroniche e piccole telecamere. Due milioni di fascicoli contenenti ciascuno una media di duecento documenti. I corridoi e gli uffici hanno un odore particolare. Non è quello acre delle carte ammuffite, semmai il profumo di documenti ben tenuti. Quello del Comintern è il più grande archivio della storia politica al mondo. Decine di milioni di fogli, su cui è scritta, e in parte è ancora da scrivere, la storia delle rivoluzioni e della politica dalla fine del Settecento a tutto il Novecento. Oltre ai documenti dei cento partiti comunisti aderenti all’Internazionale, oltre alle risoluzioni P del Politburo sovietico, agli atti e alle comunicazioni dell’Nkvd, la polizia segreta staliniana, i carteggi sulla lotta fratricida tra anarchici e comunisti nella guerra di Spagna, le carte private dei maggiori dirigenti del comunismo, l’Archivio contiene materiali di tutte le trame clandestine, di tutte le insurre- zioni e le rivoluzioni dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America latina. Carte molto invidiate dai cinesi, che ne vanno a caccia pagando fino a quindicimila euro a foglio. In queste stanze silenziose, lungo i corridoi che i funzionari percorrono con rispetto, quasi in punta di piedi, IL PALAZZO L’ingresso del palazzo che ospita l’Archivio con i volti di Marx, Engels e Lenin sempre parlando sottovoce, si aggira anche un fantasma benevolo. Ha un nome che tra gli archivisti russi incute rispetto e ammirazione, quello di David Borisovic Rjazanov, l’uomo che nel 1921 fondò l’Archivio chiamandolo Istituto Marx-Engels. Eccentrico, coltissimo, dotato di una memoria eccezionale e di una capacità illimitata di lavoro, passò gran parte della giovinezza in esilio e in prigione. Già negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’ottobre, criticò la linea bolscevica di soppressione dell’opposizione e della libera stampa («Le discussioni non danneggiano il partito, lo rafforzano!») e denunciò le posizioni autoritarie di Lenin e di Trotskij, sfidando infine anche il monolitismo degli anni bui del terrore staliniano. Inizialmente il suo Archivio fu aperto al mondo e alle testimonianze. Rjazanov creò una rete internazionale unica, quasi un suo personale “servizio segreto culturale” di corrispondenti autorizzati a scovare e acquistare libri rari e manoscritti dei grandi rivoluzionari nelle maggiori città europee, tanto che negli Anni Trenta l’Istituto divenne la Mecca per gli studiosi di tutto il mondo: Kautsky, Béla Kun, Maksim Gorkij. Quando l’Urss non aveva fondi per comprare in Occidente neppure un trattore, partivano dalle capitali europee decine di vagoni ferroviari pieni di carteggi che i segugi di Rjazanov erano riusciti ad acquistare dagli antiquari e nelle aste. Quando nel ’27 Stalin visitò l’Istituto e vide i ritratti di Marx, Engels e Lenin gli chiese: «Dov’è il mio?» lui rispose: «Marx e Engels sono stati i miei maestri, Lenin un mio compagno. Tu chi sei per me?». Un’altra volta lo irrise pubblicamente, interrompendolo mentre dissertava di questioni ideologiche durante un congresso: «Smettila, lo sanno tutti che la teoria scientifica non è esattamente il tuo campo!». Fu inviato in esilio, nel luglio del ’37 arrestato e l’anno successivo fucilato. Nessuno osò però distruggere il suo lavoro. Così, da allora, i preziosi scritti di Marx e Engels sono ancora conservati dentro il caveau sotterraneo fortificato, chiuso non solo al pubblico ma sovente anche agli studiosi e in cui vengo eccezionalmente accompagnato. Superare le sue enormi porte blindate, che sembrano uscite dalla fantasia di Jules Verne, è come accedere alla macchina Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 31 MARX E ENGELS Sulla pagina di sinistra la prima edizione francese de Il Capitale di Marx, qui sotto una pagina dello stesso volume con alcune note a margine di Jenny Marx A fianco, una lettera di Engels a Marx con caricature di amici comuni Quando la Russia sogna l’Unione Sovietica VIKTOR EROFEEV (segue dalla copertina) i civetta con il popolo, in particolare con la classe operaia, della quale chissà come negli ultimi vent’anni ci si era dimenticati. Il popolo è nuovamente chiamato a diventare eroe della storia, con il suo innato patriottismo, la sottomissione e la diffidenza per tutto ciò che è straniero. Agli eroi della storia odierna d’ora in poi sarà conferita, per iniziativa di Putin, la più alta onorificenza, quella di Eroe del Lavoro: simbolo assolutamente sovietico. Come può tutto ciò conciliarsi con l’economia della Russia, orientata verso il capitalismo? In nessun modo. Ma se così ordineranno, si concilierà. Il passo successivo sarà la riesumazione del bel distintivo Gto: Gotov k Trudu i Oborone, “Pronto al lavoro e alla difesa”. Lo assegneranno in massa, come in Unione Sovietica, a tutti quelli che sono bravi nella corsa e nel salto, e nel contempo a difendere il paese dal nemico. Parallelamente, è prevista l’introduzione dell’uniforme scolastica obbligatoria per tutti i bambini e le bambine della Russia — ancora una volta, come nell’Urss. Stiamo andando verso una generale caserma della felicità. Come reagisce a questo il nostro popolosemi-mitico, che nei vent’anni dopo la fine dell’Unione Sovietica si è trasformato in popolazione con un diverso livello di reddito e di bisogni, e con concezioni diverse circa i valori della vita? A dire la verità, il popolo reagisce fiaccamente. Fiaccamente perché è appunto semi-mitico e quindi semi-inventato. Rivolgendosi al popolo, il potere tenta di toccare le corde ideologiche, quelle dell’eterna anima russa e dell’ex Homo Sovieticus. Ma il popolo si è disgregato, diviso tra giovani che non sanno giocare all’Uomo Sovietico e anziani che guardano al potere attuale con indifferenza o sospetto. Per loro l’Unione Sovietica è proprio l’esempio di ciò che ora non vedono: dove sono le imprese spaziali? Dov’è l’assistenza medica gratuita? Dove sono gli alloggi a basso prezzo? Dove sono i nostri intellettuali? Mi capita spesso di parlare davanti a queste persone nelle biblioteche comunali: sono per lo più persone stanche, disilluse su tutto. Ma dubito che il potere russo nel suo giocare all’Unione Sovietica punti davvero su di loro. Punta in realtà sulle proprie ambizioni imperiali. Con la stessa instancabile consequenzialità con cui Stalin procedeva a riappropriarsi degli spazi dell’Impero russo perduti dopo la rivoluzione del 1917, il potere attuale aspira a riportare la Russia al rango di superpotenza. E questa è un’efficacissima arma nella disputa con ogni genere di opposizione politica, dai liberali ai nazionalisti: voi non fate che chiacchierare a vanvera, noi invece rimettiamo in piedi la Russia e la rendiamo invincibile. Il guaio di questo sogno è che Mosca parla con i vicini, fratelli ucraini in primis, in maniera brusca, perentoria, impaziente. Invece del sorriso e della seduzione, la voce brusca del fratello maggiore. Ecco, non riusciamo in nessun modo a sbarazzarci di questo tono da fratello maggiore, a cui ci siamo troppo abituati in epoca sovietica e addirittura zarista. Altrimenti forse li avremmo anche convinti. E adesso vivremmo tutti - russi, ucraini, georgiani - in una nuova Unione Sovietica, senza Lenin, ma con il rispetto per Stalin, senza kolchoz, ma in compenso con il gas e il petrolio. E della vecchia Unione Sovietica ricorderemmo solo il bene, il lato più gioioso ed eroico, mentre cancelleremmo dalla memoria tutto il resto, come una spiacevole inezia. E vivremmo felici, e voleremmo ogni giorno nello spazio — in barba a tutti voi! S LA COMUNE DI PARIGI In basso una lettera di Louis Rossel, Capo di stato maggiore della Comune di Parigi (1871) Sopra, una lettera di Antonio Labriola © RIPRODUZIONE RISERVATA del tempo. Nell’immenso caveau spettrali corridoi, rivestiti di piastrelle, portano a numerose porte blindate che proteggono grandi locali stipati di austeri armadietti grigi e anch’essi blindati. Il responsabile del settore è Valerij Fomichev, un sessantenne che ha trascorso molta parte della sua vita qui dentro. Ogni giorno, come facevano una volta i tre decrittatori ufficiali degli scritti di Marx, sfoglia pagine e pagine seguendone la scrittura minuta e le annotazioni veloci in cui saltava tutte le vocali, per svelarne poi l’ultimo segreto. Con aria divertita osserva dei documenti sul figlio che Marx ebbe dalla domestica Helene e che il padre del comunismo non volle mai riconoscere, e estrae poi un foglietto dove Stalin ha scritto: «È una cazzata. Lasciate sepolto questo materiale per sempre». Qui è custodito persino il fiocco rosso che Marx era solito indossare: «Era ricavato dalla stoffa di una bandiera dell’ultima barricata della Comune di Parigi», ci racconta con appena un filo d’emozione. Negli uffici dei piani superiori è conservata in perfetto ordine anche una preziosa collezione di manoscritti che spaziano dal ’700 al ’900 e che riguarda- no tutta l’Europa. Atti della Rivoluzione francese, lettere di Voltaire e di Rousseau, l’originale della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, lettere di Garibaldi e di Mazzini. «Ma il più grande segreto di tutti i segreti del Novecento sono i carteggi dell’Nkvd, la polizia segreta sovietica…» racconta il vice direttore dell’Archivio, Valerji Šciepeliov. Attraverso le carte del Politburo è possibile ricostruire molte trame ancora sconosciute, e per esempio si può scoprire che molti dei membri della dirigenza sovietica erano tenuti all’oscuro delle strategie di Stalin. «Non era affatto matto, giocava sempre d’anticipo…» commenta Šciepeliov, che conosce bene quelle carte. Con un semplice ma efficace sistema di numerazione dei dossier, ad esempio, Molotov veniva informato di un fatto che invece danov non doveva sapere. Anche il caveau di Lenin è uno dei grandi segreti custoditi in questo edificio. Sta sottoterra ma nella parte opposta dell’edificio, protetto da una serranda corazzata e, di nuovo, da enormi porte blindate fabbricate appositamente dai tedeschi della Krupp negli anni ’30: uno scudo d’acciaio in grado di resistere a una bomba di 500 chili. All’interno cas- seforti a tenuta stagna per permettere in caso d’incendio il completo allagamento dei locali. La mastodontica impresa letteraria di Lenin è fatta di trattati, tesi, proclami, risoluzioni, saggi di storia, filosofia, economia. «Come avrà trovato il tempo di scrivere tutto questo…» sfugge detto a Svetlana Kotova, l’esperta del reparto nonché curatrice dei due musei smantellati negli anni Novanta per far posto ai club della nuova aristocrazia russa, il Museo della Rivoluzione e il Museo di Marx e Engels. Un vero cruccio per gli archivisti, espertissimi e necessariamente poliglotti, è quello di non essere riusciti a fa- IL CAVEAU Una delle casseforti in cui sono custoditi i documenti di Vladimir Ilic Lenin re passi avanti con la decifrazione dei codici segreti che il Comintern usava nei messaggi più riservati. L’allora Kgb, ora Ffb, non ha mai dato la chiave di decodificazione: «Segreto di Stato». Ma anche il processo di desecretazione di molti altri documenti essenziali a comprendere la storia del Novecento è stato avviato solo in minima parte. L’archivio online, finanziato negli anni Novanta anche da istituzioni straniere, è solo una goccia nell’oceano delle carte dell’archivio reale. Ma del resto non è neppure questo il problema più impellente. Oggi questi custodi dei grandi segreti del Novecento guardano sconsolati dalle finestre l’assedio al loro fortilizio. Invece di essere tutelato dall’Unesco, come meriterebbe, è circondato dalle grandi firme della moda che puntano a questo grande spazio come all’ultima casella che ancora manca loro per poter aggiungere un’altra vetrina di lusso per lo shopping dei ricchi del post comunismo. Nella notte moscovita il rigido volto di Lenin, sulla facciata di pietra grigia del Palazzo, è un’ombra che pian piano scompare tra le insegne multicolori. © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale LA DOMENICA DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 32 L’attualità Follow me Si chiamano Bonnie La Cozza, Grande Lebowska o Insopportabile. Sono perfetti sconosciuti. Ingegneri, ragionieri, receptionist o insegnanti che, a colpi di battute in 140 caratteri, hanno conquistato fino a centomila fan. Ecco come. E soprattutto perché Il Twitterer della porta accanto EMILIO MARRESE acile essere Michelle Hunziker e sfamare i propri 750mila seguaci con concetti tipo «Un bacio a tutti gli amici di twitter!!!!! Muà Muà Muà» (mercoledì 25 aprile, ore 15.40). Meno facile, se sei la receptionist di un agriturismo o un ragioniere leccese, conquistare un pubblico di quindicimila utenti, fate conto un bel paesone come Ponsacco (o il triplo dei sostenitori di Rodotà sul web). Meno facile, altrettanto, attirare tra i propri followers addirittura Barack Obama, se ti chiami Marco Lupoi e ti occupi di fumetti, eppure i tuoi pensieri liofilizzati in 140 caratteri li leggono oltre centomila persone (e qui siamo già a una Bolzano virtuale). In principio furono i blogger poi venne YouTube a selezionare dall’anonimato autori, opinionisti e talenti comici (tipo Maccio Capatonda o Guglielmo Scilla, oggi deejay, attore e scrittore). Adesso è il momento di pescare su Twitter tra le centinaia di sconosciuti ingegneri, contabili, insegnanti, grafici, disoccupati eccetera, capaci di fare con- F @Comeprincipe correnza, quanto ad audience, ad artisti o personaggi già noti, ritagliandosi una popolarità sul web a colpi di battute, aforismi o invettive su politica, sesso, calcio, tv, gente e semplicemente sugli affaracci loro. In sintesi: il cazzeggio all’ennesima potenza. Di cui sono maestri al pari di chi ne aveva già fatto mestiere prima ancora dell’avvento di Twitter, come i seguitissimi Lia Celi, Johnny Palomba, Guia Soncini o Selvaggia Lucarelli. È satira dal basso. I più compulsivi sparano in media un tweet all’ora, dopocena poi è una santabarbara dal divano. Macchianera, all’anagrafe Gianluca Neri, 41enne ragioniere, ha escogitato anche gli awards per premiare ogni anno i twittatori non vip più divertenti e arguti. E per qualcuno di loro il gioco si sta tramutando in qualcosa di più, visto che arrivano proposte per scrivere libri, blog, testi televisivi, veline politiche o articoli sul giardinaggio. «Io continuo a fare la spesa con il mio vecchio stipendio 1.0, ma ho la possibilità di pettinarmi l’ego con i complimenti della gente, un bacino di pazzi sempre pronti a leggere qualsiasi cosa io scriva, cazzate, battute o cose più serie» dice Massimo Santamicone, pro- @azael Un uomo col coltello dalla parte del sadico. E una coscienza due punto Zeno gettista web abruzzese di 38 anni laureato in Filosofia, in arte Azael. È uno di quelli che si sono inventati il falso Casaleggio che sta spopolando con una raffica di assiomi assurdi (“Evitare sprechi. Aprire vongole chiuse” “Basta ingannare la gente. Vendere fusilli srotolati” o “Patrimoniale sui gattini”). «E il bello è che continuano ad arrivare risposte serie». Eh, il Popolo della Rete. Che poi non significa nulla: anche su Twitter, come in uno stadio o al supermercato, c’è di tutto, il meglio e il peggio. Quello degli influenceramatoriali è solo un aspetto, un ingrediente del pentolone. Nulla a che fare col grillismo o l’attivismo smanettone, altre piume dell’uccellino blu: tra questi anonimi di successo il comune denominatore è il senso dell’umorismo, pure esasperato, e un buon livello medio di istruzione. «La soddisfazione principale è proprio quella di arrivare per ciò che si pensa, senza la mediazione forte dell’immagine o del contesto sociale. È un modo di confrontarsi con un numero e una qualità di interlocutori altrimenti impensabile per me che sono timidissima» spiega egyzia, tipografa di Olbia appassionata di architettura. Ci crede un po’ me- @nataliacavalli massimo santamicone aka azael, 38 anni e spicci, scrivo cose per evitare che gesù pianga da qui a uffa Bivacco nella mente di @casalegglo Natàlia, l'accento è là Io, limonare duro, ce l'ho come soggetto sottinteso 21.728 20.438 17.653 Follower Follower Follower Nome: Matteo P. Nickname: Comeprincipe Nome: Massimo Santamicone Nickname: Azael Nome: Natalia Cavalli Nickname: Natalia Cavalli Età: 33 anni Professione: contabile Età: 38 anni Professione: progettista web Età: 36 anni Professione: redattrice Studi: ragioniere Città: Lecce Studi: laurea in Filosofia Città: Perugia Studi: lauree in Filosofia e Lettere Città: Milano Intese 22 APRILE 2013 Il vantaggio di un errore condiviso è che puoi spacciarlo per una scelta sensata Governi Premier 24 APRILE 2013 Enrico Letta è uno cui venderei volentieri un’auto usata 26 APRILE 2013 Governissimo si può dire anche “governo governo” o “molto governo” [La situazione è grammatica] Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 33 7 500 milioni 4,5 milioni 1,9 milioni 35,6 milioni 1,87 milioni Gli anni di vita di Twitter creato il 21 marzo 2006 a San Francisco Gli utenti iscritti nel mondo di cui 200 milioni attivi Gli utenti italiani La fascia più numerosa è tra i 16 e i 34 anni I tweet inviati ogni giorno in Italia. Nel mondo invece sono 400 milioni I followers della cantante Katy Perry, l’utente più seguito del mondo I followers di Valentino Rossi, l’utente italiano con maggior seguito I NUMERI @Iddio @mlupoi il Signore Iddio Onnipotente, fondatore e CEO dell'Universo Entra sempre nel bagno delle donne, perché c’è scritto Signore @insopportabile Comic book publisher, lapsed mathematician, wannabe Gestalt counsellor, radical geek Ne ho le scatole piene, ma con eleganza 125.292 104.606 57.743 Follower Follower Follower Nome:Alessandro Nickname: Iddio Nome:Marco Marcello Lupoi Nickname: Marco M. Lupoi Nome: - - - - - - Nickname: insopportabile Età: Professione: imprenditore Età: Professione: direttore publishing Età: Professione: ingegnere Città: Foligno Studi: maturità classica Città: Bologna Studi: laurea in Ingegneria 31 anni Studi: laurea in Filosofia 48 anni Illuminazione 22 APRILE 2013 45 anni Passi Il mese scorso ho sostituito le stelle con le lampade a led Colpa Le città sopravvivono ai passi degli uomini Ai nostri e a quelli di coloro che le hanno percorse con noi In questa vita e in cento vite fa 11 APRILE 2013 Città: Sassari e Cagliari 22 APRILE 2013 Comunque anche mia moglie dice che è colpa di Twitter Ma lei ha ragione VOCABOLARIO # TT TL FOLLOWER TWEET HASHTAG TREND TOPIC TIMELINE RETWEET chi segue un altro utente messaggio di massimo 140 caratteri parola chiave per identificare un argomento gli argomenti più discussi del momento pagina personale dove compaiono i tweet di chi segui messaggio di un altro utente rilanciato no Natalia Cavalli, violoncellista romana con due lauree che lavora a Milano in un’agenzia letteraria: «Riscuoto molto successo quando mi chiedo, per esempio, se l’analisi di Heidegger sulla dimenticanza dell’essere può essere iscritta nei termini di una storia della decadenza. Ma a onor del vero, credo che un buon uno per cento si debba attribuire alle tette nella foto». Fermi là: si vede più roba su un autobus. «Credo che Twitter sia il luogo per la meritocrazia sociale per eccellenza» esagera un tantino l’aretina Bonella C., alias Bonnie La Cozza, impiegata in un agriturismo, laurea in Lettere con indirizzo musica e spettacolo. E dunque cosa avrà mai da dire di così interessante Marco Marcello Lupoi, direttore publishing della Panini, da catturare anche la figurina di Obama? «Twitter ha un suo algoritmo per cui se hai tanti follower il sistema ti alimenta il numero, proponendoti come “persona da seguire”. Così è arrivato anche Obama, dio solo sa perché, e l’algoritmo si è ulteriormente rinvigorito. Ma a parte ciò, quando catturi l’esperienza o l’idea che vuoi ricordare, e la immetti in un tweet, e sono 140 caratteri che rollano sulla lingua come un vino perfetto, allora sì, hai una certa soddisfazione, anche creativa. Altri vantaggi zero: solo quello di essere ammesso in visita al quartier generale di Twitter a San Francisco come uno dei Vit (Very Important Twitterer) italiani e rimediare una T-shirt». Francesco Altomare, economista calabrese, è un altro dei pionieri, twitta dal 2007 quando si parlava in terza persona a quattro gatti: «È uno strumento che senza alcuna competenza ti permette di mettere online il tuo pensiero nel giro di pochi secondi, ti fa sentire parte di qualcosa di realmente grande. Per diventare un opinion leader bastano una connessione a Internet e un cervello (ben appuntito)». Non sono requisiti base, ma se volete sfondare su Twitter (a parte i vari decaloghi che circolano in Rete e i software dalle gambe corte per drogare di utenti fasulli il proprio pubblico) aiutano anche un po’ di esibizionismo, protagonismo e ossessività. E qualche buona regola di comportamento: «Non rispondere alle provocazioni. Fare attenzione alla grammatica. Retwittare poco, ma cose fondamentali» enumera Macchianera: «Non utilizzare Twitter esclusivamente come veicolo pubblici- tario o di promozione. Quando c’è un certo tipo di convenienza forse si è utili a se stessi, ma non agli altri, e credo che chi ti segue se ne accorga». «Sono uno che dice cose abbastanza ovvie e le dice in modo abbastanza ovvio. Mi sembra ovvio avere seguito in un mondo ovvio»: minimizza, ovviamente, Insopportabile, ingegnere sardo, 45 anni. «Poter lanciare un’idea, discuterla, vedere che prende strade inaspettate e sorprendenti, diventa fiume e scardina argini e dighe di supponenza o scema inesorabilmente nell’ansa dell’indifferenza: osservare questo spettacolo mi gratifica. Sono dentro un videogame di parole». Il confine con la dipendenza o l’alienazione è sempre sottile, l’autoironia l’unico antidoto. «Ora ogni cosa che faccio, vedo o sento, mi fa domandare “come posso raccontarla in 140 caratteri”. Finisco col ragionare per tweet... Ma tutti noi ci crogioliamo al pensiero di poter smettere quando vogliamo» si schernisce Bonnie. Comeprincipe ha una platea di oltre ventimila followers, si chiama Matteo ed è un contabile pugliese trentatreenne che si definisce ragioniere «a indirizzo classico»: «Uso @BonnieLaCozza RT Twitter, o a questo punto dovrei dire che lui usa me, dal 2009, ma è dal 2011 che ne ho fatto uno strumento di sopravvivenza intellettuale. Non è facile attrarre l’attenzione utilizzando solo l’alfabeto. Amo scrivere di quel che rende infelici i meschini come me: sentimenti, beghe morali e tutto il resto. Dedico a Twitter tutta la giornata, nel senso che da quando apro gli occhi la mia mente lavora costantemente su due livelli, quello concreto dell’occupazione che regolarmente porto a termine e quello dello “spettacolo” che amo regalare a chi mi legge e quindi a me stesso. Ma non lo nascondo: è l’unica parte della mia vita che mi renda la soddisfazione che ho sempre sognato. Mi rende vivo. Mi tiene dritto. In piedi. Dimentico tutto e mi sembra di avere un bel motivo per combattere. La regola è esserci. Sempre. Macinare continuamente notizie, luoghi, volti, nomi, emozioni. Twitter crea dipendenza. Assolutamente. Inevitabilmente. Ed è difficilmente guaribile. L’attenzione degli altri è l’ossigeno di una società effimera che però non giudico. Ne sono parte e non ho mai fatto niente per guarirla». C’è l’effetto autoterapeutico, a com- pensare: «Risparmio molto di psicologo» scherza Natalia Cavalli. «Twitter è un modo per sfogarsi e lo sfogo deve essere quotidiano e continuativo per una colata lavica come me. Penso di avere tanto seguito, sinceramente, perché sono una furba che sa abbinare il bell’aspetto all’ironia senza filtri» sorride la Grande Lebowska, cioè una professoressa (supplente) di fisica a San Benedetto del Tronto. «Essere Dio mi porta via un sacco di tempo, ma dato che ero disoccupato il tempo non mi mancava» si confessa dall’alto dei suoi 125 mila followersDioin persona, un trentunenne di Foligno che, grazie a questa trovata, sta rimediando varie collaborazioni come autore: «Twitter ha dato un senso alla mia laurea in Filosofia; mi ha fatto trovare lavoro, più di una volta, arricchire il curriculum, viaggiare, conoscere tanta gente e tanti amici (forse troppi), e se ho fatto bene i miei calcoli siamo solo all’inizio». Ecco: quanto durerà questo quarto d’ora di celebrità? «Fino al prossimo social network che riuscirà a stravolgere veramente, nuovamente, il modo di parlare e comunicare». Parola di Bonnie La Cozza. Anzi, tweet. © RIPRODUZIONE RISERVATA @sissetta80 @egyzia Lavoro come pagliaccio nel circo della vita. Poi mi strucco, mi guardo allo specchio: occhi grandi da bambina il corpo di donna, i denti al cuore Leggo, dunque sogno. Potenzialmente mi interessa tutto, dopo scelgo Custode della parola amplissimo Dimenticavo, sono sommelier 15.510 15.339 12.050 Follower Follower Follower Sono la terrorista di me stessa Sto sul ciglio di un baratro per sentirmi viva Nome:Bonella C. Nickname: Bonnie la Cozza Nome:Silvia Rosetti Nickname: Grande Lebowska Nome:Maria Teresa Deiana Nickname: egyzia Età: Professione: receptionist Età: Professione: insegnante Età: Professione: grafica Città: Arezzo Studi: laurea in Fisica Città: San Benedetto del Tronto Studi: maturità scientifica 33 anni Studi: laurea in Lettere 5 APRILE 2013 32 anni Recinti Uomini A forza di mettersi dei paletti, si rischia di finire soli dentro il recinto che ci siamo costruiti Sono seduta in autobus vicino al matto che parla da solo con la vocina del bimbo di Shining. C’ho un certa fortuna con gli uomini 16 APRILE 2013 36 anni Città: Olbia Ghigliottina 10 APRILE 2012 Le ultime, drammatiche parole di Maria Antonietta a Robespierre prima di salire sul patibolo: “Pensaci, Giacobino” Repubblica Nazionale LA DOMENICA DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 34 L’inedito Trucchi del mestiere Scappò dalle celle di sicurezza, sgusciò dalle casseforti, si divincolò da grovigli di lucchetti immerso nell’acqua Poi il più celebre illusionista di tutti i tempi svelò alcuni segreti in un libro pubblicato in Italia per la prima volta Mago, simbolo o superspia ANGELO AQUARO arry Houdini cominciò a liberarsi delle sue catene quando aveva dodici anni e si chiamava ancora Ehrich Weiss. Appleton, Illinois, non era neppure la più profonda delle province degli United States of America: un college prestigioso — Lawrence University — e un’Opera House ne avevano fatto una piccola capitale nel Midwest. Ma al figlio dell’immigrato ungherese riciclatosi rabbino sarebbero presto andate strette perfino le frontiere dell’America, che a fine Ottocento scopriva le gioie (economiche) e i dolori (sociali) della prima globalizzazione: e figuriamoci dunque i confini di quella cittadina che aveva accolto la sua famigliola in fuga dall’Europa. Racconta la leggenda che il piccolo Ehrich fu conquistato dall’arrivo di un circo. Provò a copiare nel giardino di casa i primi movimenti da trapezista, avventurandosi su una corda tirata tra due alberi. Passo dopo passo, show dopo show, si ritrovò già in fuga e da allora non si fermò più. Una vita in tournée col nome d’arte di Houdini. Sfidando la morte, da New York a Londra, con esercizi e trucchi di straordinaria intelligenza, e invidiabile fisicità. Fin qui la storia ingigantitasi a mito: che prima la pubblicistica del tempo e poi quella senza tempo di Hollywood (ricordate il film con Tony Curtis?) hanno rilanciato. Come ogni leggenda, anche questa è dovuta però passare al setaccio del revisionismo: per una volta uscendone, altra magia, ancora più rafforzata. Prendete le radici ebraiche che il Jewish Museum di New York ha dissotterrato in Houdini: Art & Magic, catalogo della mostra dedicatagli l’anno scorso: ci voleva tutta la forza dell’escatologia giudaica per liberare Houdini dalle catene da super Barnum che il successo gli aveva stretto intorno. “Houdini non solo seppe sfuggire alle costrizioni fisiche e alle situazioni potenzialmente mortali — si legge nella presentazione — ma fu lui stesso un modello dell’American Dream: sfuggendo al passato per affermarsi nel Nuovo Mondo”. Non per niente la celebrazione ha raccolto nel segno di Houdini progetti di artisti culturalmente in fuga da ogni regola: da Matthew Barney a Vick Muniz. Peccato che revisionismo troppo spesso faccia rima con dietrologismo. E qui neppure il re degli “escapisti” è riuscito a sfuggire all’accusa più infamante che sempre spiegherebbe i successi inspiegabili. Ci hanno provato William Kalush e Larry Sloman (The Secret Life of Houdini: The Making of America’s First Superhero) ad aprirci gli occhi e rivelarci il suo più grande trucco: farci credere cioè di essere un mago mentre — peek-a-boo! — in realtà non era altro che una superspia. Vero, falso o verosimile? Uno psicologo famoso e intellettualmente spregiudicato, Stanton Peele, ha sfidato il religiosamente corretto per sottolineare la tara ancora una volta jewish dell’ossessione materna. Proprio la morte dell’adorata mamma portò infatti il mago dei maghi a denunciare lo spiritismo allora imperante. Di più. Per sbugiardare i ciarlatani che promettevano contatti con i cari estinti, il grande Houdini arrivò addirittura a promettere diecimila dollari a chiunque gli avesse dimostrato l’esistenza di fenomeni paranormali. Ecco: e se alla fine fosse proprio questa la sua lezione più grande? Siamo tutti chiamati a liberarci delle nostre catene. Ma non contiamo sui miracoli. La vita è tutta un trucco. E ogni fuga un’illusione. H ‘‘ Per ingoiare una spada, e anche vetri o chiodi, iniziate inghiottendo patate intere... Come fuggire e vivere felici © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 35 BIG SHOW la sua superficie liscia facilita lo scivolamento oltre le anche. Si usano circa 15-18 metri, e quando direte che sono 23 meel cercare di conquistare il vostro pubblico, tri di corda da bucato nessuno avrà niente da ridire. Il segrericordate che “le buone maniere rendono to consiste nel fatto che, purché la legatura inizi con un caricchi”, quindi non siate insolenti. Un vecpo della corda e finisca con l’altra estremità, è quasi imposchio trucco ben realizzato è molto meglio di sibile legare un uomo in piedi con quella quantità di corda un nuovo trucco mal riuscito. Non dite mai in modo che, contorcendosi, non possa liberarsi con relatial pubblico quanto siete bravi; lo scopriranva facilità. All’inizio di questa sfida dovete tenere la corda arno presto da soli. Non tirate i trucchi per le lunghe, ma prorotolata in una mano e la prima mossa sarà srotolarla e farcedete il più spediti possibile, tenendo a mente il motto lala ispezionare dalla commissione. Darete ai membri della tino: Festina lente, affrettati lentamente. commissione «corda a volontà», lasciando che vi leghino nel modo che loro più aggrada. Durante questo discorso, riavCome incantare il pubblico volgete la corda, spiegando nel frattempo tranquillamente Se il vostro pubblico è molto lontano, una certa mimica alla commissione che così arrotolata sarà più maneggevosarà decisamente apprezzata. Qualche commento ben le, passerà meglio nei nodi eccetera; lo scopo è di “forzarli” scelto sui temi del momento va a iniziare a legarvi partendo da sempre bene. Preparatevi semun’estremità. I primissimi nodi pre una breve frase da dire nel cavengono fatti con molta attenzioso un trucco non vada nel verso ne, ma dopo un po’ chi sta legangiusto. La verità è che non è il trucdo si accorge che rimane ancora co in sé né come lo si esegue a fare molta corda e inizia a girarla attordi un numero un successo, ma il no al corpo facendo pochissimi discorso che accompagna il nunodi. Se vi capita una commissiomero stesso. ne particolarmente seria che iniLORENZO JOVANOTTI Tra le sfide da me realizzate ci zia a fare più nodi di quanto vi consono quelle di seguito elencate, alvenga, sarà bene gonfiare i mui sono maghi calciatori, maghi cune delle quali sono molto intescoli, espandere il torace, incurvaballerini, maghi scrittori, maghi ressanti: la fuga sotto gli occhi del re leggermente le spalle e tenere le meccanici, maghi elettricisti, pubblico da una camicia di forza braccia un po’ discoste dai fianchi. maghi ortopedici, maghi del sesso. Si usata per i pazzi omicidi; l’evasioNel sottoporvi a questa legatura, dice sempre: quello lì è un mago. Houne da una cassa inchiodata; da una dovreste sempre indossare una dini era un mago a fare le sue magie. Per cassa costruita sul palcoscenico; giacca, scoprirete che sarà un ulme avrebbe potuto anche fare il bagnida un sacchetto di carta; da una ceteriore aiuto per ottenere gioco. no, ascolterei molto volentieri quello sta di vimini; da una cesta appesa Da qualche parte dovrete nasconche ha da dirmi sul suo mestiere il più per aria; da un cesto o da una gabdere un coltello affilato con la labravo bagnino del mondo. Houdini è bia d’acciaio improvvisati; da una ma ricurva, potreste trovarlo utile pieno di buoni consigli per chiunque caldaia d’acciaio rivettata; appeso nel caso alcuni dei primi nodi, leabbia un “pubblico”, una platea, quala una scala a mezz’aria; inchiodagati con più attenzione, si rivelino cuno che giudicherà dalle apparenze, to a una porta; evasione da una teproblematici. Se taglierete un che non ingannano, si sa. Non c’è nienca di vetro improvvisata; da un pezzettino di corda a un’estrete di più profondo delle apparenze. enorme pallone da football; fuga mità, nessuno se ne accorgerà. Un giorno a Los Angeles ero in macda un grande sacco della posta; china con un mio amico esperto della Come ingoiare una spada evasione da una scrivania a ribalcittà. Passando vicino a una villa decata; evasione da un pianoforte zinPer eseguire il numero del mandente dalle parti di Laurel Canyon mi cato eccetera eccetera. giatore di spade è necessario solo colpì un certo magnetismo inquietante superare la nausea provocata dal che sprigionava da quei muri e venni a Come slegarsi metallo che tocca la membrana sapere che ci aveva vissuto il grande I numeri con le corde hanno un mucosa della faringe, perché per il Houdini. In quella casa i Red Hot Chili vantaggio notevole su tutte le altre resto dalla bocca al fondo dello Peppers negli anni Novanta ci hanno forme di fuga, ovvero che non è stomaco c’è un canale senza ostaregistrato Bloodsugarsexmagic, il loro possibile avanzare sospetti sulle coli abbastanza largo da contenealbum più bello. corde in quanto tali. Quando è re alcune delle sottili lame usate. Il Magie. Bisogna fare attenzione con possibile, in generale è meglio usacanale non è dritto, ma il passagquelli come Houdini. Essere un po’ re dei nastri, perché suscitano angio della spada lo raddrizza. E anHoudini, almeno provarci, a liberarsi che meno diffidenza delle corde… che se alcune gole sono più sensisempre, da qualsiasi catena. La fuga più antica che si conosca bili l’esercizio abituerà al passag© RIPRODUZIONE RISERVATA nel mondo dei prestigiatori è quelgio della lama. Quando viene usala nella quale si devono liberare le ta una spada molto appuntita, mani normalmente legate dietro l’artista fa scivolare di nascosto un la schiena. Si ottiene piegando il corpo in avanti e facendo cappuccio di gomma sulla punta, per evitare incidenti. scendere le braccia fino a superare le anche, portando le maDa un anziano giapponese della troupe di Kitchy Akimoni giusto dietro le ginocchia. La cosa potrà sembrarvi imto imparai il metodo per inghiottire oggetti abbastanza vopossibile al primo tentativo, ma continuate a provare e doluminosi e rigurgitarli a piacere. Per fare pratica all’inizio si po un po’ diventerete pratici. Quando le mani sono posiziousano delle patate molto piccole, così da prevenire incidennate dietro le ginocchia, sedetevi sul pavimento e incrociati; e, una volta padroneggiata l’arte di rigurgitarle, la misura te le gambe, la sinistra sopra la destra, poi portate il braccio viene aumentata gradualmente fino a che non si riesce a insinistro oltre il ginocchio sinistro e tirate indietro il piede sighiottire e rigurgitare oggetti grandi quanto la gola può sonistro e quindi il destro, facendoli passare per il cerchio forstenere. I mangiatori di vetro, chiodi, sassi e altro, ingoiano mato dalle braccia. Così avrete le braccia legate davanti al realmente questi oggetti, anche se sembra impossibile, vocorpo e a questo punto potrete sciogliere i nodi con i denti. mitandoli fuori una volta finita l’esibizione. Il fatto che con Per questa legatura si dovrebbe usare una corda nuova di il vomito non ottengano sempre l’effetto voluto è provato quelle che si usano per le finestre a saliscendi, per due radai registri degli ospedali, che riportano molte operazioni gioni: in primo luogo perché è impossibile fare dei nodi davchirurgiche su artisti di questo genere. vero stretti con quel tipo di corda e in secondo luogo perché © RIPRODUZIONE RISERVATA Harry Houdini (1874-1926) nel numero delle corde durante un suo show Al centro delle pagine la locandina di un suo spettacolo del 1895 HARRY HOUDINI N Liberiamoci dalle catene C IL LIBRO Il modo giusto di sbagliare (Add edizioni, 192 pagine, 14 euro) di Harry Houdini con una prefazione di Lorenzo Jovanotti, è un ritratto inedito (in Italia) del popolare illusionista, collezionista di libri, amante della scrittura Ma è anche il racconto dei trucchi usati da molti suoi colleghi e imitatori Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 LA DOMENICA ■ 36 Spettacoli Abbassa la cresta Il rabbioso movimento che, negli anni Settanta, rifiutò il sistema oggi sfila sulle passerelle dell’alta moda Una grande mostra a New York racconta questa strana storia di griffe e di anarchia “Perché nulla ha avuto un impatto così forte sull’estetica” SID VICIOUS CHANEL JOHNNY ROTTEN ALEXANDER MC QUEEN INGAR DIOR MALCOLM MC LARE Londra 1977 collezione p/e 2011 Londra 1976 collezione a/i 2008-9 Londra 1977 collezione a/i 2006-7 Londra 1976 ‘‘ Sid Vicious Mina la loro autorità pomposa, rifiuta i loro standard morali, fai dell’anarchia e del disordine i tuoi marchi di fabbrica Causa più caos e disagi che puoi ma soprattutto non lasciare che ti prendano da vivo ‘‘ Johnny Rotten Camminavo su e giù per King’s road pieno di rabbia C’era uno sciopero della spazzatura Ho pensato di mettermi quei rifiuti addosso Io mi vorrei avvolgere nella spazzatura ‘‘ Malcolm McLaren C’era questo tizio distrutto che sembrava appena uscito da una fogna, coperto di melma, con la faccia stravolta di chi non dorme da anni Era un meraviglioso, sudicio ragazzo con una t-shirt stracciata Repubblica Nazionale ALCOLM MCLAREN ndra 1976 DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 37 Se la ribellione diventa solo questione di stile Vivienne Westwood “Le nostre idee restano diverse” GIUSEPPE VIDETTI MASSIMO VINCENZI l veropunk, come assicura Mick Jones dei Clash, è durato cento giorni, poi nei successivi quarant’anni o giù di lì ha zigzagato tra cultura, musica e costume arrivando sino al red carpet del Metropolitan Museum di New York. Dove il 9 maggio si apre la mostra Punk: Chaos to Couture con Beyonce e la direttrice di Vogue, Anna Wintour, a fare da madrine. Per una generazione che si immaginava come un enorme dito medio levato al cielo non è certo un approdo indolore. Il New York Magazine dedica all’evento una lunga inchiesta chiedendosi: se un movimento creato sulla rabbia e sulla ribellione diventa il perno di un evento ultramondano è l’ultimo chiodo piantato sulla sua bara o è la prova della sua vita eterna? Alcuni dei protagonisti di quegli anni hanno meno dubbi. Legs McNeil animatore della rivista Punke storica figura della scena americana protesta nelle pagine del New York Times: «I ricchi provano sempre a cooptare tutto quello che non possono possedere. Catturano l’anima di quegli anni e la anestetizzano, la rendono noiosa. Cosa hanno a che fare tutti questi stilisti con noi? Non ne capisco il senso». E la sua compagna di avventura Debbie Harry, altra icona dei Settanta ribadisce: «Noi non volevamo essere trendy, volevamo solo trasgredire». Nel 1976 l’anno del primo Lp dei Ramones, l’anno in cui nelle cantine di New York e Londra le chitarre elettriche distorte graffiano gli spartiti facendo a pezzi la melodia e le canzoni insultano il “mondo pulito là fuori”, urlando “uccidimi per favore”, al Met va in scena una mostra dal titolo La gloria del costume russo. Nell’aria fluttuano litri di Chanel Cuir de Russie. «È come se un club di vegetariani finisse a festeggiare dentro una bisteccheria». Ma il tempo avvicina gli opposti. E in realtà lo straniamento è meno forte. È infatti innegabile che le grandi firme della moda si sono ispirate agli abiti strappati di quei ragazzi. Andrew Bolton è il curatore dell’esposizione, insieme all’italiano Riccardo Tisci (uomo dell’anno per il New York Times) e si racconta come un fan entusiasta: «Niente ha avuto un impatto così forte sull’estetica come il punk. Anzi c’è di più. La sua stessa essenza, quella voglia di autodeterminarsi, di creare uno stile mai visto prima ha dato grande energia a molti stilisti». Lo spettacolo, ché di questo si tratta con musiche e video, si snoda su sette sale, con oltre cento fotografie che giocano sul contrasto tra il modello originale e la creazione artistica. Da una parte i Sex Pistols, i Clash, i Ramones e tutti gli altri con le loro giacche nere di pelle, i pantaloni attillati, le magliette scucite, tenute insieme con le spille da balia. Le creste sulle teste rasate, i capelli colorati, le catene, le borchie, i corpi scheletrici per l’eroina e gli occhi cerchiati di nero insonnia. Dall’altra, come riflessi in uno specchio distorto, i modelli creati dai mostri sacri della moda, nessuno escluso. C’è una foto di Johnny Rotten dei Sex Pistols che fissa l’obiettivo, stralunato, le pupille dilatate sul niente. I Nell’immagine a fianco, una modella di Versace anno 1994, collezione primavera estate: stesso sguardo, stessa pettinatura, stesso modo di vestire. C’è la New York del 1974 e c’è la Londra dello stesso periodo. In America, i punk sono i figli della classe media stufi del rock dei padri e dell’iconografia degli hippie. Si trovano negli scantinati del CBGB, il locale su Bowery fondato da Hilly Kristal dove si esibiscono tutte le band del momento. Il suo bagno diventa una leggenda dall’odore inconfondibile e dalle mille scritte irriverenti: luogo talmente mitico che verrà riprodotto al Met. In Inghilterra la scena gira tutta attorno ad un negozietto di King’s Road, dove lavorano Malcolm McLaren e Vivienne Westwood: ovvero i veri anelli di congiunzione tra l’anarchia e il fashion. Coloro che hanno addomesticato, codificato la violenza, trasformandola in un marchio. A loro è dedicato, giustamente, il posto d’onore. «Il punk era caotico, irriverente, iconoclasta ma ha cambiato per sempre la natura della creatività. Sembra una contraddizione, ma in realtà c’è un filo comune che lega tutto questo», spiega il direttore del Met Thomas P. Campbell. Sui blog delle riviste underground newyorchesi, però, i lettori sono più arrabbiati che incuriositi. Arrabbiati con Johnny Rotten, che sognava di sconvolgere le strade di Londra e che ora è qualche pagina più in là nello stesso catalogo: «Venivamo dal popolo, eravamo genuini. Il guaio è che poi tutto è stato distorto dai media, le persone fanno fatica a scappare dai luoghi comuni. La situazione economica in Gran Bretagna è stata la fonte di ispirazione. C’era un senso di fallimento, mi sentivo come se l’intero paese stesse per crollare. C’era l’idiozia di Margaret Thatcher e noi volevamo spaccare tutto». Non è andata proprio così. Anche se per molti, il punk ha anticipato il futuro: i no global, gli squatter, la disillusione dei giovani disoccupati. «Lo spirito di quell’epoca dura ancora perché la nostra protesta è attuale. Non per le magliette colorate che sono diventate souvenir», argomenta Legs McNeil. E lo scrittore Jon Savage aggiunge: «Noi siamo ancora qui, perché io ancora adesso quando sono stanco, sfiduciato alla fine di una giornata metto su un disco dei Ramones e mi sento meglio». Ma la cultura radicale spesso non regge all’urto degli anni. Invecchia male. Il sangue scolora e la rabbia evapora. Il 64 per cento dei nuovi punk intervistati nel sondaggio del New York Magazine dice di non essere affatto “arrabbiato”. Lo definisce “uno stato d’animo, uno stile di vita” la politica non viene quasi menzionata. E un terzo di loro muore dalla voglia di andare alla mostra del Met. Si spera che almeno, essendo gli ultimi Mohicani, non abbiano il problema di alcune invitate che confessano di “essere molto stressate dal pensiero su cosa sia opportuno indossare”. La cosa più trasgressiva? «Metterò il collare del mio cane». Che razza è? «Yorkshire». Ecco, una trasgressione bonsai. l numero uno? Yves Saint Laurent; è lui il dio della moda. L’unico che abbia raggiunto la perfezione». Fa un certo effetto sentirlo dire da Vivienne Westwood, la sacerdotessa del punk che, su istigazione di Malcolm McLaren, entrò nel fashion business con la stessa prepotenza di una guerriglia armata nelle vie del centro. «Qualsiasi idea avessi all’epoca dell’apertura della prima boutique Sex, al 430 di King’s Road, oggi è cambiata al 180 per cento», dice la stilista pasionaria che ha risollevato le quotazioni del made in England. Divorata dal conformismo? «No, ribelle a oltranza. I conformisti semmai sono sempre stati Johnny Rotten e compagni, che hanno assolto il loro ruolo nella società. Non sei diverso perché hai i capelli verdi o grigi o blu. È il tuo modo di pensare che fa la differenza, l’attitudine nei confronti della vita». Ma prima di Rotten e Sid Vicious fu lei ad adottare quel look... «Al 430 di King’s Road io ci andavo anche da ragazza, è vero. Prima di Sex c’erano stati il Paradise Garage e Mr. Freedom, due negozi in perfetta sintonia col R&R anni Cinquanta. Adoravo lo stile Teddy Boy. Le prime cosa che comprai da cliente squattrinata furono un paio di pantaloni di velluto leopardati. Cose che non trovavi da nessun’altra parte a Londra. Avevo già i capelli pettinati a cresta, sembravo una principessa aliena». Come cambiò la sua vita quando incontrò McLaren? «Era un uomo alla continua ricerca di stimoli, molto interessante. Abbiamo vissuto insieme per tredici anni. Alla fine non la pensavamo più allo stesso modo, era assetato di gratificazioni, di successo. Io sono una che ama andare a fondo alle cose; lui utilizzava il suo talento solo per impressionare il pubblico». Proprio nel momento il cui il punk da fenomeno musicale iniziò a influenzare la moda lei ha messo il piede sul freno. «Già, perché per me con il punk non era successo niente d’importante, né culturalmente né politicamente, solo un’altra stagione entrata a far parte dell’iconografia della ribellione. Nient’altro che un’opportunità di marketing. Anche se ci furono persone, compreso Malcolm, che finirono sul piedistallo come portabandiera di una generazione che lottava per una società libera. I punk non facevano altro che scorrazzare per Londra a far casino. Non avevano idee. Io ne avevo, Malcolm ne aveva. All’epoca, in termini di design, mi consideravo una sua aiutante, davo corpo alle sue illuminazioni perché essendo più vecchia di cinque anni conoscevo meglio gli anni Cinquanta – tutto infatti partì da una riconsiderazione della prima generazione R&R». Quindi? Tutto merito, o colpa, di Malcolm? «No. Tutto merito mio se lo stile punk è dilagato nel fashion business. Ero io che creavo i modelli. Poi, è vero: lui aveva delle intuizioni commerciali formidabili, aveva sempre la ciliegina pronta da mettere sulla torta». «I VIVIENNE WESTWOOD VIVIENNE WESTWOOD collezione p/e 2009 Londra 1976 ‘‘ Joe Strummer Dovevamo adattarci a quello che trovavamo nei negozi dell’usato che era veramente orrendo Portavamo i giubbotti dal carrozziere e gli dicevamo: “Ok Pete, dacci tu una colorata con lo spray” © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale LA DOMENICA DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 38 Next Mission possible Sembra uno scherzo, ma non lo è: una società olandese cerca (e trova) partecipanti volontari per colonizzare Marte coprendo i costi con la pubblicità di uno show da realizzare lassù tra nove anni Unico problema: il viaggio è di sola andata... Reality senza ritorno sul Pianeta Rosso JAIME D’ALESSANDRO ra nove anni. Ad aprile del 2022 partiremo alla volta di Marte. E lo faremo grazie a un reality show planetario, il più grande evento televisivo della storia. Comincia quest’anno con selezioni alla X Factor e test di resistenza come ne L’isola dei famosi. Porterà alla formazione degli equipaggi che si imbarcheranno uno dopo l’altro per il Pianeta Rosso in mondovisone. Troupe televisiva compresa. Ecco Mars One, progetto olandese faraonico e così ambizioso da sembrare uno scherzo, una trovata pubblicitaria. Ma che in realtà nasconde un’intuizione giudicata da alcuni brillante: aver forse trovato il modo, attraverso la vendita di spazi pubblicitari, di superare l’enorme problema delle missioni spaziali su grande scala: quello dei fondi. Tanto da ricevere l’appoggio di Gerardus ‘t Hooft, dell’Università di Utrecht, premio Nobel per la fisica nel 1999. Tanto da raccogliere diecimila domande di aspiranti astronauti appena pervenute all’organizzazione. Anche se c’è un problemino: il biglietto è di sola andata. Chi andrà, ci resterà fino alla fine dei suoi giorni. «Se hai un miliardo di telespettatori, i sei miliardi di dollari necessari per la colonizzazione di Marte non sono poi così tanti», racconta Bas Lansdorp, la mente dietro l’iniziativa. Imprenditore con una laurea in ingegneria alle spalle, ne parla mentre guida per le strade di Los Angeles nel documentario One Way Astronaut, del quale è stato pubblicato cinque giorni fa un trailer di qualche minuto. È pieno di interviste ai candidati, un assaggio delle centinaia di video che già affollano il sito di Lansdorp & Co. Ragazze e ragazzi che hanno inviato la loro presentazione filmata dal Brasile e dalla Germania, dagli Stati Uniti e dal Giappone, dall’Italia e dalla Russia. Ma ci sono anche qua- T 2018 L’ESPLORAZIONE Decollo del primo rover per l’esplorazione della superficie di Marte e per iniziare ad attrezzare l’area dove sorgerà la base 2016 IL PRIMO LANCIO Tra tre anni partirà il primo cargo: pesante circa tre tonnellate, conterrà cibo, strumenti, utensili e materiali per allestire la base rantenni con moglie e figli, signori un po’ in là con l’età, gente di ogni estrazione e provenienza. Spaccato di un’umanità normale che ha un sogno comune ed è disposta a pagare un prezzo alto per realizzarlo. Quello di andare a morire su Marte. Anche questa più che una follia è il superamento di un limite tecnico. Arrivare infatti è relativamente facile, ripartire è il vero problema. La missione dell’Apollo 11 sulla Luna, a oltre quaranta anni di distanza, sembra ancora un miracolo e i miracoli in genere non si ripetono. Anzi, a volte si guardano con sospetto. Diventano il centro di teorie complottiste. In Capricorn One, il film del 1978 di Peter Hyams con Elliott Gould e O. J. Simpson, la Nasa era senza più fondi, grosso modo come accade ora. E per evitare rischi e insuccessi, metteva in scena una missione posticcia in uno studio televisivo perso nel deserto del Texas. Oggi, a poca distanza da quell’area, Sir Richard Branson sta costruendo la sua Virgin Galactic: viaggi oltre la stratosfera a partire dal prossimo anno e uno spazioporto firmato dall’architetto Norman Foster in costruzione nel grande nulla del New Mexico per “appena” 250 milioni di dollari. Le orme sono quelle di Juan Trippe, il fondatore della Pan Am che nel 1968 cominciò a raccogliere le prenotazioni per i primi voli per la Luna. Il biglietto sarebbe costato quattordicimila dollari. Centomila persone si misero in lista pensando di partire trenta anni dopo. La compagnia però fallì nel 1991. Branson invece potrebbe farcela. Ha le risorse e sta acquisendo le compagnie con il know-how tecnico necessario. Nel frattempo guarda oltre, alla colonizzazione di Marte, con l’intenzione di offrire anche lui biglietti one way come Bas Lansdorp. Ma non si è spinto fino ad immaginare uno show in tv. In realtà, non lo ha fatto nemmeno Lansdorp. «Nel 2011» spiega «dopo aver venduto la mia compagnia per la produzione di energia alternativa, stavo lavorando al progetto di Mars One. Ma non riuscivamo a trovare un modo per finanziare l’operazione. A quel punto Paul Romer, uno dei creatori del Grande fratello, mi consigliò di trasformarlo in un evento mediatico di portata mondiale vendendo gli spazi pubblicitari». Evento in se- guito modulato in sette tappe diverse, o forse dovremmo chiamarle “stagioni”, a partire da quella di quest’anno per la selezione dei quaranta astronauti e i test all’interno di una replica fedele di quella che sarà la base su Marte. Riedizione in chiave fantascientifica del format di Romer, che nel frattempo è diventato consulente del progetto Mars One. Nel 2016 verrà lanciato verso il pianeta rosso il primo cargo con tre tonnellate di viveri, parti di ricambio, strumenti, materiali. Due anni dopo sarà la volta del rover che dovrà iniziare a preparare il campo. In Olanda hanno calcolato che impiegherà tre anni a mettere in piedi la struttura della base, sei moduli. A quel punto il primo equipaggio formato da quattro persone sarà in procinto di partire. Data prevista del decollo 2022, per raggiungere Marte nel 2023. Da quel momento in poi ogni due anni prima e poi a intervalli sempre minori, verranno inviati altri equipaggi fino ad arrivare nel 2035 a una colonia di almeno trenta o quaranta persone. Sembra un copione scritto da uno sceneggiatore dotato di troppa fantasia. Ma in fondo tutto quel che è legato alla conquista dello spazio ha questo sapore. Dwight D. Eisenhower, quando nel 1958 ordinò la creazione della Nasa, dopo lo shock provocato dal satellite sovietico Sputnik, chiamò al suo fianco Neil McElroy. Classe 1904, nato in Ohio e laureatosi ad Harvard, era entrato da giovane alla Procter&Gamble, la multinazionale del sapone di Cincinnati. Da addetto all’apertura della corrispondenza a direttore del reparto pubblicità in dieci anni circa. Il sogno americano fatto persona. Non solo, la cosiddetta soap opera è un’idea sua. Quei drammi radiofonici, presto passati alla televisione e pensati per essere interrotti dalle pubblicità del sapone, stavano diventando parte della cultura popolare. Il motivo che spinse Eisenhower a chiamare un tipo del genere per ricoprire la carica di Segretario della Difesa è intuibile. Alla fine la corsa allo spazio era una guerra di comunicazione da combattere sul piano dell’immaginario. Cinquantacinque anni dopo si ricomincia, e guarda caso ancora una volta dalle soap opera. © RIPRODUZIONE RISERVATA 2013 I PREPARATIVI Cominciano selezione dei quaranta astronauti e simulazioni dello sbarco su Marte Il tutto viene trasmesso in tv IL CONFRONTO DURATA DELL’ANNO MARTE TERRA 686 GIORNI 365 GIORNI DURATA DEL GIORNO DIAMETRO 24 ORE E 37 MINUTI 24 ORE 6.780 CHILOMETRI 12.745 CHILOMETRI COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA 96% ANIDRIDE CARBONICA 21% OSSIGENO 2,5% AZOTO 78% AZOTO Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 39 GADGET SHOW LA TAZZA LA FELPA LA MAGLIETTA 2021 ‘‘ Se hai un miliardo di telespettatori i sei miliardi di dollari necessari per la colonizzazione non sono poi così tanti Bas Lansdorp Ideatore del progetto Mars One 2022 LA BASE Viene ultimata la base composta da sei differenti moduli. È stato calcolato infatti che siano necessari tre anni per approntarla I VOLONTARI Parte il primo equipaggio, quattro persone scelte anche dal pubblico nel corso degli show televisivi Il viaggio di sola andata durerà un anno 2023 L’ORTO I MODULI ABITATIVI Il primo equipaggio raggiunge Marte. I volontari si stabiliscono nei moduli abitativi. Ciascuno dei quali è composto da una cucina, un soggiorno con divani e super schermo, stanza da letto, magazzino e orto LA CUCINA IL SOGGIORNO MISSIONI RIUSCITE 1964 MARINER 4 Dopo cinque tentativi sovietici falliti quella Usa fu la prima sonda a sorvolare Marte 1971 LE STANZE DA LETTO MARINER 9 Dopo altre nove missioni fallite (sei dall’Urss) gli americani entrano nella sua orbita IL MAGAZZINO 1975 VIKING 1 Tappa storica: la sonda Usa invia le prime immagini del pianeta È ancora in orbita 1996 2025 NUOVI ARRIVI Parte la seconda missione, la colonia marziana inizia a ingrandirsi Entro il 2035 sarà abitata da quaranta parsone PATHFINDER Fu la prima a trasportare un rover per l’analisi del suolo e delle rocce 2012 CURIOSITY L’ultimo rover americano è stato lanciato per indagare se c’è vita su Marte TEMPERATURA MINIMA -128 GRADI CENTIGRADI -60 GRADI CENTIGRADI TEMPERATURA MASSIMA 30 GRADI CENTIGRADI 60 GRADI CENTIGRADI FORZA DI GRAVITÀ PESO DI UNA PERSONA 0.38 G 1G* 27,9 CHILOGRAMMI 75 CHILOGRAMMI * un “G” corrisponde a un’accelerazione di 9.8 m/s2 Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 LA DOMENICA ■ 40 I sapori Fatti in casa Generazioni di bambini cresciuti con le brioche confezionate Ma ora, tra crisi e consapevolezze alimentari, a metà pomeriggio rispuntano mele, crostate e focacce LICIA GRANELLO era una volta pane-burromarmellata, magico trio capace di scatenare l’acquolina in bocca e far abbandonare i giochi — tra un baffo zuccherato sul labbro e l’ineliminabile fastidio delle dita appiccicose — ultimo baluardo sanamente goloso, spazzato via da ondate successive di merendine confezionate. Una piccola rivoluzione alimentare su cui l’industria ha investito con successo crescente, fino all’eliminazione totale del fai-da-te di metà pomeriggio, in favore dei fagottini imprigionati nel cellophane. Naturalmente, non di solo pane-burro- C’ la Rivincita della Merenda A grande richiesta pane e marmellata zucchero vivevano gli intermezzi famelici dei bambini. Fin da piccini, la scelta tra dolce e salato schierava gli infanti in contrapposizione saporita fra i cultori del krapfen e gli ardimentosi di burro e acciughe. Generazioni di allievi di elementari e medie sono cresciuti sapendo che masticare la sofficezza burrosa di una brioche o la fragrante carnalità di un panino alla mortadella faceva una bella differenza, prolungata dalla scelta di cosa bere tra un morso e l’altro, cioccolata calda o aranciata, tè o gazzosa. Una sorta di comfort food in formato mignon che sapeva tacitare lo stomaco e far gongolare il palato, prima di finire i compiti e in attesa della cena. E in caso di temporaneo, scarso appetito, non c’era genitore che si sottraesse al fortunato sacrificio di finire la merenda in vece del figlio. Il rito è cambiato molto, costretto nei ritmi accelerati dei pomeriggi fatti di compiti e piscina, scuola d’inglese e lezioni di judo, con mamme e papà in fuga affannosa dagli uffici o incollati al cellulare per dare istruzioni a nonne e tate. Un elenco infinito di ingredienti, così vistosamente ardui da leggere nelle pieghe delle confezioni, ha sostituito i pochissimi di un tempo. Creazioni a prova di tabella nutrizionale per gli adulti di domani. Facili e comodi. Non necessariamente più economici, né più salutari. Così, tra il prolungarsi avvilente della crisi economica e gli allarmi ravvicinati sul numero crescente di preadolescenti supersize — l’ultimo è datato martedì — l’idea di recuperare le merende d’antàn ha cominciato ad animare piccoli locali dedicati e trasformare quelli che avevano da tempo abdicato al rito della focaccetta farcita. Complice l’inarrestabile diffusione del biologico, nicchia in controtendenza in tempi di taglio della spesa alimentare, mele e sandwich di pane scuro sono tornati a far capolino dagli zaini e sui banconi dei bar insieme al piacere di una fetta di crostata fatta come-dio-comanda, di un rettangolo di focaccia deliziosamente unta (lievito madre ed extravergine d’obbligo), di una fetta di buon prosciutto avviluppata su un grissino croccante. Più che la riproposizione di gusti retrò, il far di necessità virtù, tornando a scegliere il cibo invece che subirlo. Se trovate del buon pane (o fatelo in casa, le macchinette aiutano assai), spalmatelo con la crema di pistacchi di Corrado Assenza o con il bio stracchino delle Cascine Orsine, affondate i denti e chiudete gli occhi. I compiti, rimandateli a domani. © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 ■ 41 Pane e... Bruschetta Panino Bianco o integrale, il pane è il supporto perfetto per burro e zucchero, oppure olio, aceto e sale, passando per i fruttini Zuegg e l’estratto di carne Liebig Pane casareccio, un poco raffermo e ben abbrustolito, condito con extravergine e sale grosso, o strofinato con pomodoro Baguette, rosetta, bocconcino, meglio se ancora caldi, imbottiti con salame, mortadella, formaggio, frittata, verdure, fino alla poderosa cotoletta Salame di cioccolato Impasto irresistibile di biscotti sbriciolati, burro, zucchero, cacao e qualche goccia di rum, raffreddato e tagliato a fette Gli indirizzi La confettura di frutti rossi spalmata sul pane è la classica merenda casalinga da accompagnare a una bevanda calda o a una spremuta Torino M** Bun Via Rattazzi 4 Tel. 011-19704606 Firenze Ino via dei Georgofili 3 Tel. 055-219208 Milano Pavè Via Casati 27 Tel. 02-94392259 Roma La Santeria Via del Pigneto 213 Tel. 06-64801606 Arzignano (Vi) Damini Macelleria&Affini Via Cadorna 31 Tel. 0444-452914 Napoli Anhelo via Bisignano 3 Tel. 081-402432 Avellino Ghi Caffè Via Amabile 19/B Tel. 0825-1911605 Parma Pepen Borgo Sant'Ambrogio 2/C. Tel. 0521-282650 ILLUSTRAZIONE DI CARLO STANGA Classica Bologna Pane burro & wifi via Tiarini 1/C Tel. 366-3665855 Biscotto della Salute Dalla ricetta targata Wamar al Lagaccio di Genova, la sintesi di fetta biscottata e biscotto. Sopra, confettura o crema di nocciole Altamura (Ba) Panificio Ninivaggi Via Torino 36 Tel. 080-3115852 Tramezzino A tavola Io, la nonna e un vecchio potagé CARLO PETRINI e penso alla mia generazione, risulta fin troppo evidente che quand’erano le nonne a occuparsi delle nostre merende l’educazione alimentare e al gusto fosse una cosa naturale e automatica. Il che rendeva quasi superfluo il tema, oggi invece scottante, del suo essere affrontata nelle scuole o da soggetti terzi. Le nonne con amorevolezza e sensibilità aiutavano noi bambini a superare i piccoli pregiudizi alimentari, a fare le prime esperienze gustative importanti, a nutrirci in maniera sana. Cibo, gusto, memoria e affettività sono collegati profondamente e diventano un marchio indelebile per chi ha potuto godere dei suoi primi rudimenti gastronomici accompagnato dai gesti della propria grand-mère. Mi ritengo fortunato a essere passato da questa scuola, per merito di mia nonna paterna. Le dedico alcune pagine in un recente libretto, Zuppa di latte (Slow Food Editore), nelle quali non ho potuto dimenticare il pane — lusso ritrovato nel secondo dopoguerra — che nei giorni di festa a merenda si arricchiva di una spalmata di burro fresco e di una spolverata di zucchero. Capisco soltanto ora quale fosse il valore di quei prodotti per una generazione, come quella della madre di mio padre, che li aveva visti contingentati e che finiva con il sognarseli la notte. Un marchio nella mia memoria sensoriale, semplice e prezioso, il cui gusto, riprovato oggi, rimanda inevitabilmente alla cucina spartana in cui passavo i miei pomeriggi, accanto al potagé, la stufa a legna per cucinare, uno degli oggetti di design più riusciti del Ventesimo secolo. Non so quanta poesia si mescoli alla realtà di un ricordo, ma sta di fatto che il mio palato e la mia fame erano stati educati da una nonna: beati i bambini che oggi possono ancora contare sui gesti di una semplice preparazione come pane e burro, piuttosto che della consegna frettolosa di un pacchettino colorato da scartare e di cui ingurgitare il contenuto. Morbido pan carré tagliato a triangolo , farcito con tonno e carciofini, pomodoro e uova sode, burro e acciughe, insalata di pollo S © RIPRODUZIONE RISERVATA Focaccia Venduta a tranci in due versioni: alta e spugnosa o bassa e croccante Sottilissima con stracchino quella tipica di Recco Gelato Toast Brioche Crostatina È la scelta più sana - a patto che gli ingredienti siano latte, frutta, zucchero ma anche il trionfo di cornetti, mottarelli (antesignani del Magnum) e coppette Da addentare caldissimo Pan carré sbordato, fontina filante e prosciutto cotto senza polifosfati Il più croccante, lievemente spalmato di burro Il simbolo delle paste lievitate (bombolone, croissant...) cotte al forno oppure fritte Vuota o con una farcitura di crema, confettura, oppure cioccolato Versione mignon della classica frolla con marmellata Un guscio di pasta per farciture di ricotta, ganache di cioccolato, tocchetti di frutta Repubblica Nazionale DOMENICA 28 APRILE 2013 LA DOMENICA ■ 42 L’incontro Maestri Ha preso il posto che fu di Arturo Toscanini, ma non per questo il nuovo direttore d’orchestra del Metropolitan Opera di New York si è montato la testa. E appena può si rifugia nella casa di Camogli. Genovese di nascita, wagneriano di formazione, ha una sua ricetta: Fabio Luisi “Cerco di essere una persona normale difendendo dall’anormalità dell’arte la mia esistenza piccolo borghese” siste un direttore d’orchestra che non ha un ego smisurato, e io l’ho incontrato. Fabio Luisi, genovese di cinquantaquattro anni, occupa un posto di raro prestigio. È di fatto il direttore principale al Metropolitan Opera di New York. «Un teatro di leggenda» dice Luisi, e aggiunge di sentirsi «onorato di occupare un ruolo che fu di Arturo Toscanini un secolo fa». Che non si sia montato la testa, però, lo dimostrano gli elogi molto speciali che gli ha tributato il New York Times. Luisi si è guadagnato il rispetto di Anthony Tommasini, il gran sacerdote della critica musicale newyorchese, per l’impeccabile qualità del suo lavoro (solo in questa stagione, Luisi ha diretto al Met con grande successo Un ballo in maschera, Aida, Les Troyens e il ciclo wagneriano de L’Anello del Nibelungo). Ma del maestro italiano viene apprezzata anche un’altra dote, poco comune nel mondo della lirica: la diplomazia. Luisi è stato chiamato a New York per una vera e propria “mission impossible”. La sua nomina nel 2011 come direttore principale doveva riempire un vuoto creato dalla malattia del settantenne James Levine, il venerato direttore d’orchestra america- ‘‘ Per gli americani Luisi è un fenomeno singolare anche sotto il profilo linguistico e musicale. Italiano, ma con un curriculum germanico-wagneriano di primissimo ordine. Conducendo le prove d’orchestra al Met esordì nel 2005 e fece subito scalpore per un inglese perfetto, condito solo da una leggera intonazione… tedesca. Eppure i suoi legami con l’Italia sono solidi. Alla Scala ha già diretto Manon e tornerà a dirigere il Don Carlo. Soprattutto, sente il richiamo delle sue radici liguri. Di recente ha comprato un appartamento a Camogli. (Confessione per dovere di trasparenza: ci unisce un’antica fedeltà al ristorante “Rosa”, con terrazza panoramica sul porticciolo, caro anche a Piero Ottone). «Mia moglie e io siamo innamorati di Camogli In Wagner c’è l’anima tedesca, nel Simon Boccanegra di Verdi tutto lo spirito italiano Per farli andare d’accordo ci vorrebbe un francese: Berlioz FOTO BLOOMBERG E NEW YORK no la cui storia s’identifica con l’ascesa della fama mondiale del Met negli ultimi decenni. Un personaggio ingombrante, che malgrado i problemi di salute non si rassegna a dare l’addio finale. E infatti il compito assegnato a Luisi è delicato: sostituire Levine senza eliminarlo, lasciandogli la possibilità di tornare a dirigere di tanto in tanto, se e quando la salute glielo consente. Non molto conosciuto fuori dagli Stati Uniti, Levine è un mostro sacro nella sua casa madre newyorchese. Luisi gliene dà atto con fair play: «Levine va ammirato — dice il maestro italiano — per la dedizione a questo teatro, a cui ha consacrato tutta la sua vita. Fu nominato direttore musicale quarant’anni anni fa, da allora ha fatto un lavoro impressionante: ha rafforzato l’orchestra, ha reso meravigliosamente efficiente la macchina organizzativa delle prove, ha consolidato il repertorio verdiano e quello wagneriano». Un maestro che «non ha problemi di ego», come il New York Times ha definito Luisi, è un animale raro in questo ambiente. Lui si spiega così: «Ho un’altra vita, fuori dall’opera. Ho sempre cercato di non essere monomaniacale. La musica sarà sempre la mia grande passione, mi è difficile immaginare una vita senza di lei. Però per sentirmi completo ho bisogno di altre cose di grande valore: mia moglie, l’educazione dei miei figli, l’interesse per la società che mi circonda. Cerco di essere una persona normale, e così facendo oscillo, in bilico tra una vita piccolo borghese e un’arte che è l’antitesi di questa normalità». La vita familiare non ha mai voluto sacrificarla, o confinarla su un binario parallelo. Non è stato facile. Cresciuto musicalmente nel mondo germanico, Luisi è stato direttore principale dell’opera di Dresda e poi di Zurigo (lo è tuttora), nonché direttore dell’orchestra sinfonica a Vienna. Vanno aggiunti altri traslochi a Ginevra, Lipsia, infine New York (a più riprese): in tutto dodici sedi di lavoro diverse in quindici anni «e sempre con la famiglia al seguito, mai da solo». Sua moglie, bavarese, è violinista e fotografa. Dei tre figli, uno è un fisico, uno frequenta la facoltà di medicina, solo il terzo (quindici anni) studia pianoforte. — dice — eppure è difficile immaginare un luogo che sia più agli antipodi di Manhattan. Arrivarci da New York è uno shock culturale, ma benefico. Anche nella sua ristrettezza, nella sopravvivenza del dialetto, nella conservazione del paesaggio e dell’architettura, Camogli ci sembra un piccolo scrigno di valori solidi». Luisi per la sua storia italo-tedesca è un osservatore speciale del rapporto tra questi due paesi. Una relazione che raramente è stata così tormentata come in questi tempi. Perfino una breve vacanza pasquale di Angela Merkel a Ischia è stata trasformata in occasione di polemiche velenose tra noi e loro. (Non siamo gli unici: a Cipro dopo il controverso salvataggio bancario sono apparsi manifesti con la Merkel truccata da Hitler. Dalla Grecia alla Spagna, l’intera Europa mediterranea è percorsa da furori anti-tedeschi. Ben ricambiati). «Conosco bene — dice Luisi — la Germania della Merkel. Quella dell’Est, e quella dell’Ovest, ancora due paesi molto diversi: e forse ci vorranno venticinque anni perché la loro riunificazione sia compiuta. Per capire l’animo tedesco di oggi bisogna risalire agli anni Cinquanta, alla sconfitta, all’imposizione delle potenze alleate che dettarono alla Repubblica federale la sua Costituzione democratica e federale, insieme con il ruolo dei sindacati. Mio suocero aveva quindici anni quando finì la guerra, e ricorda una Germania in cui si faceva la fame. Quel che sono riusciti a fare è notevole: sono tornati a essere il numero uno europeo, e tra le prime potenze economiche mondiali. Di sacrifici, loro ne hanno fatti tanti. Canalizzando le loro virtù antiche come la tenacia e la precisione, hanno anche costruito uno Stato sociale avanzato, senza soffocare l’impresa e il libero mercato. Io mi levo tanto di cappello. Il lato negativo, è anch’esso tipico della storia tedesca: la fiducia in sé, la fede nei propri valori, può essere scambiata per arroganza». Ci sono dei demoni sempre in agguato, e Luisi li ha visti in faccia. Mi racconta un episodio che lo ferì profondamente qualche anno fa. A Dresda, era a spasso una domenica con sua moglie e il figlio piccolo, quando vide dei ragazzi che insultavano un mendicante. Intervenne in sua difesa, ma i ragazzi riconobbero un accento straniero, e poi l’intonazione da “meridionale” bavarese di sua moglie: gli insulti si moltiplicarono, stavolta contro di loro. «La xenofobia è una minaccia seria, forse più che in Italia o in Francia», dice. Lo provoco sul terreno che gli è più congeniale, la musica. Qual è l’opera che cattura meglio lo spirito tedesco? «I Maestri cantori di Norimberga di Wagner — risponde — perché condensa l’anima della Germania nella sua dimensione buona e meno buona. Heine e Heidegger, insomma: la spiritualità amorevole di Heine, la forza di Heidegger al servizio di un’ideologia malefica. Nei Maestri cantori c’è la testardaggine di chi vuole basare la società su una virtù assoluta, inconfutabile». Stessa domanda per noi: l’opera che meglio descrive l’Italia eterna? «Simon Boccanegra di Verdi: fazioni, litigi, intrighi…». E se dovesse provare a mettere d’accordo Germania e Italia, con quale musica lo farebbe? «La Sinfonia fantastica di Berlioz: c’è dentro qualcosa del romanticismo tedesco, e un po’ della gioia sfrenata di cui siamo capaci noi italiani». Ha scelto un compositore francese. Che vi dicevo: un gran diplomatico. © RIPRODUZIONE RISERVATA ‘‘ FEDERICO RAMPINI Repubblica Nazionale