Arriva “Cortili Aperti”...
Il Gruppo Giovani dell’ Associazione Dimore Storiche Italiane è orgoglioso di
poter proporre anche a Crema la giornata di “Cortili Aperti”. Dopo tante edizioni a Milano, Brescia, Bergamo e Pavia si è avvertita l’esigenza di coinvolgere anche la nostra città, forse più piccola e meno conosciuta ma sicuramente desiderosa di farsi scoprire e apprezzare.
Questa occasione permetterà a tutti di godere e di scoprire quelle bellezze
architettoniche e artistiche nascoste e custodite dalle famiglie che le posseggono e le abitano ma che rappresentano il cuore e l’anima della nostra città.
Le mura di questi palazzi sono state testimoni degli eventi che hanno caratterizzato la storia e le leggende di Crema.
In nessun luogo come in Italia le vicende delle famiglie si sono intrecciate con
i grandi avvenimenti della storia e questo è avvenuto anche nel nostro territorio. Penso a Evangelista Zurla, comandante della Galea San Vittorio di Crema
nella battaglia di Lepanto, oppure mi piace immaginare una Giulietta e Romeo
in chiave cremasca sapendo che nel ‘600 le famiglie Zurla e Benvenuti erano
protagoniste di una faida del tutto simile a quella dei Capuleti e Montecchi.
Questi sono solo due dei molti esempi che si potrebbero riportare.
E’ grazie a tali vicende e il poterle immaginare chiudendo gli occhi e respirando l’atmosfera di questi cortili misteriosi che fin da piccolo mi sono appassionato alla storia, alle famiglie e all’arte di Crema. Sono le stesse sensazioni
che spero possiate vivere anche voi passeggiando tra le vecchie vie della
nostra città e visitando i cortili dei palazzi aperti.
Finalmente abbiamo la possibilità di soddisfare in parte quella curiosità che
suscita in noi lo sbirciare il cortile di un palazzo quando camminiamo e passiamo di fronte al suo cancello.
Sono rimasto veramente colpito dall’ entusiasmo dimostrato dai proprietari
dei palazzi e da tutti coloro che sono stati chiamati a dare un contributo
all’organizzazione della manifestazione. Desidero in particolare ringraziare
l’Assessorato alla cultura di Crema per l’incondizionata disponibilità e contributo reso alla realizzazione di questa giornata che vede come grandi vincitori la città di Crema e i suoi abitanti.
Il Consigliere Gruppo Giovani – Sezione Lombardia
Francesco Daniel Donati
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ADSI
Associazione Dimore Storiche Italiane
Dal 1977 l’ADSI riunisce i proprietari di oltre 3000 immobili di interesse storicoartistico. L’Associazione Dimore Storiche Italiane non ha scopi di lucro e si propone
di supportare la conservazione, la valorizzazione e la gestione delle dimore storiche, contribuendo in tal modo alla tutela di un patrimonio culturale, la cui conservazione e conoscenza sono di interesse pubblico. Collabora con enti pubblici e privati, promuove importanti disegni di legge e sensibilizza l’opinione pubblica attraverso eventi, ricerche e pubblicazioni.
E’ un’associazione libera che si finanzia tramite le quote associative e alcune sponsorizzazioni ed è attiva soprattutto all’opera volontaria di soci.
L’ADSI, Ente Morale della Repubblica Italiana e membro della European Union of
Historic Houses Association, è il più importante sodalizio nazionale di proprietari di
beni culturali ed il più numeroso d’Europa: una grande associazione che si batte per
garantire il futuro di una ricchezza storica e culturale “che ci vede primi nel
mondo”.
Il patrimonio storico-artistico e architettonico di ogni Paese costituisce parte essenziale della sua identità culturale. La conservazione degli edifici e dei giardini storici,
la loro preservazione dal degrado e dalla distruzione, è vitale per evitare di perdere la memoria del passato.
Le dimore storiche non sono sempre dei musei, e presentano difficoltà conservative cospicue. Conservarle significa anche mantenerle attivamente senza congelarne
le funzioni, ma trovando loro destinazioni compatibili con la vocazione degli edifici
stessi. Nel 1977 un gruppo di cittadini attenti a questa alta problematica, sull’esempio di analoghe associazioni operanti in altri paesi europei, ha costituito la
“Associazione Dimore Storiche Italiane”.
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L’Associazione,
- favorisce la consulenza e l’assistenza giuridica, amministrativa, tributaria e tecnica a favore dei propri soci ai fini della salvaguardia, della conservazione, della
valorizzazione e della gestione delle dimore storiche;
- intrattiene rapporti con i competenti organi pubblici;
- collabora con analoghe associazioni nazionali, estere, internazionali, ed in particolare con quelle europee aventi scopi similari ed è membro della UEHHA ( Union
of European Historic Houses Associations) per un maggior scambio di informazioni sia sulle legislazioni che sulle reciproche esperienze di conservazione;
- promuove studi, ricerche ed iniziative dirette al conseguimento dei fini sociali; prospetta i mezzi per conseguire un più adeguato ordinamento legislativo nazionale
ed europeo.
L’Associazione al proprio interno consta di una Sede Nazionale sita in Roma, che
si occupa dell’assistenza giuridico-fiscale ai soci e di intrattenere i rapporti con le
varie istituzioni pubbliche, e delle varie sedi regionali, che svolgono attività di assistenza ai Soci a livello regionale, e sviluppano specifiche iniziative culturali nell’ambito delle dimore storiche della Regione.
Associazione Dimore Storiche Italiane
Ente Morale riconosciuto DPR 26/11/90
Membro della Union of European Historic Houses Associations
Sezione Lombardia – Gruppo Giovani
Via San Paolo, 10 – 20121 Milano –
Tel. 02.76318634 – Fax 02.76312266
www.cortiliaperti.it
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Indice
1) Palazzo Albergoni-Vimercati, via Vimercati 11
p. 6
2) Palazzo Benvenuti-Albergoni-Arrigoni, via Cavour 8
p. 10
3) Palazzo Benzoni-Donati, via Fino 29
p. 14
4) Palazzo Benzoni-Martini-Donati, via Marazzi 7
p. 18
5) Palazzo Bondenti-Terni de’ Gregorj, via Alighieri 22
p. 22
6) Palazzo Marazzi, via Marazzi 14
p. 26
7) Palazzo Patrini-Premoli-Pozzali, piazza Premoli 3
p. 30
8) Palazzo della Provincia, via Matteotti 39
p. 34
9) Palazzo Vimercati Sanseverino, via Benzoni 11
p. 38
10) Palazzo Zurla-Fadini, via Fino 20
p. 42
Concerto: programma
interpreti
compositori
p. 46
p. 47
p. 50
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Palazzo Albergoni-Vimercati
Via Vimercati 11
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Capitani di Rivoltella. Non si hanno notizie riguardo agli edifici che sorgevano in
questa zona fino al XVII secolo, quando il palazzo risulta di proprietà della famiglia Albergoni. Questa famiglia si era nobilitata nel 1519 quando Giovan Giacomo
Albergoni era stato ammesso a far parte del Consiglio Generale di Crema che
amministrava la città e il contado per conto della Repubblica di Venezia. Non si
conoscono altre notizie riguardo alla famiglia fino al 1663, quando il dottor Mario
Albergoni, medico, risulta abitare in questo palazzo. Egli morì nel 1684 e il palazzo passò in eredità a suo fratello, il canonico Camillo Albergoni, ultimo discendente
maschio della famiglia. Alla sua scomparsa il palazzo giunse per linea ereditaria
femminile a Cristoforo Zurla. Questi aggiunse al suo cognome quello della moglie,
ultima erede della famiglia Albergoni, dando origine alla famiglia Zurla Albergoni.
Questa a sua volta si estinse con Marc’Antonio Maria, figlio di Cristoforo Zurla
Albergoni, che morì nel 1757. Il palazzo divenne allora proprietà di Isabella
Vimercati Sanseverino, seconda moglie di Cristoforo Zurla Albergoni. Essa morì nel
1774 e lascio l’edificio al fratello, il conte Ferdinando Vimercati Sanseverino. Questi,
l’anno successivo, vendete lo stabile ad Antonio Bislieri. Dal 1781 al 1788 ne fu proprietario Giuseppe Vimercati che poi lo cedette a Bartolomeo Bettinzoli. A quest’ultima famiglia, originaria di Pieranica, appartenne fino al 1868. Quindi si susseguirono vari possessori che adibirono il palazzo sia ad abitazione che a uffici, fino a giungere all’attuale proprietà Donati.
L’edificio
Non si conoscono dati precisi relativi alla costruzione del palazzo né per quanto
riguarda i committenti né per quanto riguarda gli esecutori. Si può ipotizzare che
la parte più antica oggi conservata sia stata costruita nella prima metà del
Seicento, quando il palazzo apparteneva agli Albergoni.
L’edificio si articola in vari corpi strettamente connessi agli edifici circostanti con cui
forma un unico blocco che rende difficile stabilire i confini delle proprietà. Il corpo principale presenta una pianta rettangolare che si affaccia su via Vimercati, in antico detta
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‘Contrada del Sale vecchio’. La fronte estremamente semplice e lineare non presenta
alcuna decorazione.
Attraverso il portone si accede ad un androne con il soffitto ligneo. Curioso notare
la presenza di una macina di pietra inserita nella parete dell’androne, forse impiegata come materiale di riuso per la costruzione del muro o forse occultata per
nasconderla a qualche confisca e poi dimenticata.
Oltrepassato l’androne ci si trova sotto un portico che si apre sul cortile principale
attorno al quale si dispongono i principali corpi di fabbrica del palazzo. Le tre arcate a tutto sesto sono sorrette da quattro colonne ioniche poggianti su alti plinti in
pietra grigia. Il soffitto è in legno. Sopra il portico si trova un’elegante cornice marcapiano su cui poggiano tre semplici finestre.
Sul lato orientale del cortile si trova il corpo principale del palazzo, a due piani, a
cui si accede attraverso uno scalone d’onore a tre rampe. L’ambiente è ornato con
dipinti che simulano una decorazione in marmo. All’interno di ampi riquadri delimitati da paraste si trovano grottesche neoclassiche con elementi vegetali, animali
reali e fantastici e strumenti musicali. L’intero ciclo decorativo, recentemente ripristinato, risale forse, nella sua ideazione originaria, al XIX secolo, mentre è di recente realizzazione lo scorcio architettonico che si trova alla destra della porta d’ingresso. Illumina l’ambiente un’apertura elissoidale al centro della volta.
Un arco sul lato meridionale del cortile dà accesso al giardino, rettangolo di verde
incastonato fra gli edifici che compongono l’isolato.
Sul lato occidentale del cortile si trovano edifici d’uso di minore importanza.
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Palazzo Benvenuti-Albergoni-Arrigoni
Via Cavour 8
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
degli Alfieri. La prima menzione di case appartenenti alla famiglia Benvenuti in questo luogo risale al 1396, quando Giovannino Benvenuti ne acquista un’altra vicino
a quella che già possedeva in questo luogo. Nei secoli successivi i Benvenuti continuarono ad espandere le loro proprietà acquistando gli edifici vicini: nel 1456
Tommaso e Bellino Benvenuti comprarono un fabbricato e nel 1498 fu la volta di
Girolamo Benvenuti. L’anno successivo la “casa grande” -così viene definita da
Gerolamo e Fabrizio Panfilo Benvenuti- ha ormai raggiunto le dimensioni e la pianta dell’attuale palazzo.
La famiglia andò via via aumentando il proprio prestigio e la propria influenza fino
a quando nel 1695 l’imperatore Leopoldo I concesse il titolo di conte a Giovan
Battista Benvenuti in virtù del valore da lui dimostrato da durante l’assedio turco di
Vienna nel 1683 e nelle successive campagne contro gli Ottomani nei Balcani, dove
il condottiero cremasco trovò la morte nel 1695. Il palazzo rimase in possesso dei
Benvenuti fino al 1775 quando il conte Manfredo lo vendette al nobile Carlantonio
Monticelli. A questi successe il figlio Luigi Maria che visse nel palazzo fino al 1830.
La proprietà passò quindi a Fortunato Albergoni. Successivamente il palazzo divenne degli Arrigoni che ancora vi abitano.
L’edificio
Nel 1742 si avviarono i lavori di ricostruzione del palazzo in forme barocchette
sotto la guida dei capomastri Urbano Gerola e Andrea Nono. Quest’ultimo, originario di Muronico nella Val d’Intelvi, fu impegnato anche nella ricostruzione della chiesa della Santissima Trinità a Crema.
Il complesso presenta una pianta a U e si sviluppa attorno a un cortile-giardino. E’
completamente circondato da altri edifici appoggiati alle sue mura e pertanto è invisibile dell’esterno.Vi si accede attraverso un piccolo cortile chiuso da un portone che
si affaccia su via Cavour. Entrati nel cortiletto si scorge la fronte del palazzo attraverso un raffinato cancello di ferro battuto.
La fronte mostra un monumentale portico a tre fornici con archi mistilinei sorretti
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da coppie di colonne doriche. Sopra si aprono le tre finestre della galleria del piano
nobile, separate da coppie di lesene. La finestra centrale presenta un balconcino con
elaborata balaustra in pietra, mentre le due laterali hanno dei balconcini con ringhiera di ferro battuto.
Il corpo di fabbrica che cinge il cortile a nord presenta sette finestre al piano terra
e altrettante al piano superiore sottolineate da eleganti lesene.
L’edificio sul lato sud è, invece, meno curato nella finitura delle superfici che sono
ricoperte da piante rampicanti.
Al centro del portico si apre il portale che dà accesso al monumentale scalone che
conduce al piano nobile. E’ l’elemento di maggior pregio di tutto il palazzo, unico
per dimensioni e raffinatezza nel contesto cremasco. Nell’architettura del settecento lo scalone è spesso l’ambiente più monumentale e scenografico dell’intero palazzo, concepito come un vero e proprio palcoscenico di teatro dove il proprietario e il
visitatore si esibivano nell’arte di ricevere e di fare una visita.
La costruzione dello scalone del palazzo allora Benvenuti fu avviata nel 1756 e prevede una prima rampa centrale che poi si divide in due laterali che salgono abbracciando lo spettatore. Tutta la scalinata è cinta da una balaustra in pietra a volute
che crea un infinità di giochi di luce e ombra. Per esaltare ancor di più gli effetti
luministici il portale di accesso e le due finestre laterali sono aperte e non prevedono elementi di chiusura. Questo crea uno stretto legame fra il portico e lo scalone
da cui si possono vedere le coppie di colonne dell’esterno richiamate da quelle più
piccole all’interno della galleria. Nella volta si trova una decorazione a stucchi realizzata nel 1757 e un dipinto raffigurante Venere e Paride attribuito al pittore
milanese Federico Ferrari, attivo fra Lodi e Crema negli anni Cinquanta del
Settecento.
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Palazzo Benzoni-Donati
Via Alemanio Fino 29
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Fabbri. E’ uno dei palazzi più antichi della città, come dimostrano gli stemmi del
conte Giorgio Benzoni presenti sui capitelli delle colonne del portico. I Benzoni furono l’unica famiglia cremasca a ottenere la signoria della città: prima i fratelli
Bartolomeo e Paolo (1403-1405) e poi il nipote Giorgio il quale la mantenne per
ben 18 anni (1405-1423) anche se nel 1414, con accordo firmato nel castello di
Pandino, dovette cedere i propri territori al duca Filippo Maria Visconti, signore di
Milano, per poi vederseli restituiti come feudo a titolo di vassallaggio. Il conte Giorgio
durante la sua signoria impose pesanti balzelli ai Cremaschi, i quali si accordarono
per toglierlo di mezzo in un agguato notturno che avrebbe dovuto aver luogo il 25
gennaio 1423: egli, però, tempestivamente informato della congiura, riuscì a fuggire la notte precedente. Passò dalla parte della Repubblica di Venezia e combatté al
seguito del conte di Carmagnola. I suoi discendenti ebbero parte attiva nel passaggio di Crema dalla dominazione milanese a quella veneta avvenuta nel 1449. Il
palazzo rimase proprietà della famiglia fino al 1631 quando l’ultima erede, Chiara
Benzoni, andò in sposa a Coriolano Bernardi. Questo casato, molto antico, vanta fra
i suoi avi il pontefice Eugenio III (papa dal 1145 al 1153). Il palazzo rimase di proprietà dei Bernardi fino al 1822 quando divenne proprietà della famiglia Vailati.
L’ultima discendente di questo casato, Adelaide, morì nel 1915. In seguito il palazzo fu acquistato dal notaio Francesco Donati, alla cui famiglia ancora appartiene.
L’edificio
La facciata del palazzo, rivolta verso nord (via Alemanio Fino), è composta da due
livelli divisi da una semplice cornice marcapiano. Il portone, anch’esso segnato da
una sobria cornice, non si trova al centro della fronte, ma è più spostato verso
destra per affacciarsi sulla piazza antistante. Al piano terra, alla sinistra del portale, si aprono quattro finestre prive di decorazioni, mentre alla sua destra ve ne sono
soltanto due. Al piano nobile troviamo sette porte-finestre che si affacciano su
balaustre con colonnine in pietra o su un lungo balcone ottocentesco sorretto da sei
mensole. Anche il balcone è cinto da una balaustra a colonnine in pietra grigia.
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Al terzo livello della facciata troviamo le aperture del sottotetto.
La stessa scansione della fronte principale si ritrova anche sulla prima parte del
lato ovest del palazzo (via Donati). Segue un edificio notevolmente più basso,
aggiunto nel Settecento, che asseconda l’andamento digradante del terreno. Presso
l’angolo del palazzo fra via Donati e via Teresine è ancora visibile una tomba arcuata in cotto sotto cui passava la roggia Rino.
Entrando nell’androne con soffitto ligneo si giunge al portico a tre fornici retto da
due colonne ioniche che riportano due stemmi: uno dei Benzoni (uno scudo diviso
in quattro parti con un mastino su un campo vaiato e un leone rampante con
spada sguainata fra le branche) e l’altro degli Alfieri (un’ala trapassata da una freccia). Il soffitto è a cassettoni.
Sulla destra troviamo uno scalone settecentesco a due rampe. L’ambiente presenta un soffitto a volta, pavimento in seminato veneziano ed una elegante balaustra
in pietra arenaria.
Al corpo centrale della casa sono state aggiunte successivamente due ali laterali:
quella di destra, entrando nel cortile, è stata edificata probabilmente in concomitanza dello scalone, mentre quella di sinistra è tardo ottocentesca. Sulla facciata del
lato ovest del cortile sono ancora visibili degli archi in cotto che costituivano l’accesso alle scuderie.
Le terrazze sono state aggiunte ad inizio Novecento.
Il cortile è chiuso sul fondo da un muro merlato, oggi nascosto dall’edera.
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Palazzo Benzoni-Martini-Donati
Via Marazzi 7
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
di Piazza. L’edificio sorse fra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento per
volontà di Soncino Benzoni che già possedeva una casa in questa zona. Egli, per
avere accesso diretto alla piazza, chiese ed ottenne il permesso dalla Comunità di
demolire una parte delle mura che cingevano la piazza del Duomo. La costruzione
del palazzo iniziò nel 1504.
Soncino fu uno spregiudicato capitano di ventura: dopo la disfatta veneziana nella
battaglia di Agnadello del 1509, convinse la città di Crema ad arrendersi al re di
Francia Luigi XII senza opporre resistenza, tradendo la Repubblica di San Marco di
cui Crema era parte.
Il re, trionfalmente accolto in città, fu ospitato nel palazzo che Soncino aveva appena fatto costruire.
Non molto tempo dopo, però, il capitano di ventura fu catturato dai Veneziani a
Montagnana e impiccato a Padova per tradimento. Il palazzo passò in eredità a
suo figlio Fortunato che ebbe due figlie Laura e Paola. La prima andò in sposa a
Lucrezio Scotti ed ereditò la dimora cremasca. La seconda sposò Giovan Battista
Visconti di Brignano d’Adda e andò a vivere nel palazzo del marito. Dalla loro unione nacque Francesco Bernardino Visconti, il personaggio storico che ispirò a
Manzoni la figura dell’Innominato. Egli, bandito dal ducato di Milano per i suoi crimini, soggiornò a lungo nei possedimenti materni a Bagnolo, parte della Repubblica
di San Marco.
Tornando alle vicende del palazzo, esso passò per via ereditaria alla nobile famiglia
dei conti Scotti, originari di Piacenza e presenti a Crema dal Cinquecento. Essi abitarono nell’edificio fino al 1765 quando il gesuita padre Davide Scotti vendette la
residenza a Giuseppe Martini, esponente di una ricca famiglia di mercanti di bestiame desiderosa di nobilitarsi. Nel 1770 egli acquisì il titolo di conte di Pradello e
Cazzano, territori nel veronese. Infine nel 1932 il palazzo fu venduto dalla contessa Emilia Martini Giovio Della Torre al notaio Francesco Donati i cui eredi ancora
abitano l’edificio.
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L’edificio
Il palazzo presenta una pianta ad U aperta su piazza Trento e Trieste, ma l’ingresso principale è situato nell’appartata via Marazzi, sul lato opposto dell’edificio.
Il nucleo cinquecentesco dell’edificio aveva una pianta a L costituita dai lati nord e
ovest del fabbricato affacciati su via Marazzi. Essi non sono intonacati e mostrano
un semplice paramento con mattoni a vista. Il portale d’accesso è costituito da un
semplice arco sormontato da un balcone cinquecentesco retto da quattro mensole
in pietra. La porta-finestra che dà sul balcone è sormontata da un timpano curvilineo settecentesco. Superato l’androne e il cancello di ferro battuto ci si trova nel
cortile settecentesco. Infatti, quando i Martini entrarono in possesso dell’edificio,
attuarono una grandiosa trasformazione secondo il gusto barocchetto allora diffuso in tutta Europa. Innanzitutto aggiunsero l’ala est costituita da quattro piani: il
piano terra, il mezzanino, il piano nobile e il sottotetto. Il palazzo assunse così una
pianta a U. Sopraelevarono poi anche le ali est e nord fino a raggiungere l’altezza
della nuova costruzione, uniformando così il paramento esterno.
Nell’angolo nord-ovest del cortile si nota un virtuosismo architettonico volto a suscitare la meraviglia del visitatore: due archi sorretti da un capitello pensile. Da questo androne si accede allo scalone monumentale che conduce ai piani superiori.
Esso presenta una elaborata balaustra in pietra simile a quella di palazzo Albergoni
Arrigoni.
Alla base dell’ala nord si notano le colonne che sorreggevano il porticato cinquecentesco del primitivo palazzo, ora inglobate nella muratura. Nei capitelli di queste colonne è scolpito lo stemma dei Benzoni: un cane che procede su un tappeto di vaio.
Le finestre del piano terra presentano ricche cornici con timpani appuntiti e ovali
alternati. Quelle del piano nobile mostrano un’alternanza di timpani triangolari e
curvilinei.
Sul lato che dà verso la piazza il cortile è chiuso da un basso edificio costruito all’inizio del Novecento come sede della posta.
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Palazzo Bondenti-Terni de’ Gregorj
Via Dante Alighieri 22
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Conti di Offanengo. Fu iniziato per volontà del conte Nicolò Maria Bondenti nel
1698 per certificare il nuovo status nobiliare recentemente raggiunto dalla famiglia.
Venne innalzato su un’area in precedenza occupata da una grande casa appartenuta alla famiglia dei conti Premoli e da altri edifici minori. Il progetto e la realizzazione dei lavori furono affidati all’architetto piacentino Giuseppe Cozzi. Una prima
parte dell’edificio fu completata entro il 1704, perché in questa data il conte
Bondenti risulta già residente nel palazzo. I lavori si protrassero a lungo tanto che
nel 1723, alla morte del conte Nicolò Maria, non erano ancora terminati. Gli eredi
continuarono l’edificazione del palazzo fino al 1737 quando la costruzione fu definitivamente sospesa lasciando incompiuta la parte destra del corpo centrale, come
ancora oggi si può vedere.
La famiglia Bondenti aveva ottenuto il riconoscimento della propria importanza nel
1652 quando Giacomo era stato ammesso a far parte del Consiglio Generale di
Crema che amministrava la città e il contado per conto della Repubblica di Venezia.
Il titolo nobiliare di conte di Meduna fu concesso dalla Serenissima a Nicolò Maria
Bondenti, fondatore del palazzo, nel 1682. Il casato si estinse nel 1810 quando
morì l’ultimo discendente maschio, il conte Luigi. La proprietà del palazzo passò per
via ereditaria femminile ai nobili Porta Puglia, famiglia proveniente da Piacenza.
Quando anche questo casato si estinse il palazzo divenne proprietà, sempre per via
ereditaria femminile, della famiglia Terni de’ Gregorj a cui ancora oggi appartiene.
La famiglia de’ Gregorj, originaria di Terni, si trasferì a Crema alla fine del XII secolo
occupando un’intera vicinia, non lontana dal palazzo qui esaminato, che da essi
prese il nome. Fra gli appartenenti alla famiglia Terni de’ Gregorj si segnala la storica dell’arte Winifred Teylor (1879-1961), moglie del conte Luigi Terni de’ Gregorj,
autrice di studi per molti aspetti ancora insuperati dalla storiografia contemporanea.
L’edificio
Il complesso è il più significativo esempio di palazzo barocchetto presente a Crema.
E’ composto da due ali principali a sud e a nord, raccordate da un corpo centrale
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arretrato. Lo spazio delimitato dai tre blocchi è chiuso a est da un muro di cinta
ingentilito da finestre ellittiche sormontate da frontoncini curvilinei ai lati e triangolari per le tre centrali. Le cinque aperture sono separate da lesene che terminano
con quattro statue eseguite nel 1716 dagli scultori milanesi Giovan Battista
Dominone (la prima a sinistra) e Carlo Francesco Mellone (le altre tre). Esse sono
raffigurazioni allegoriche della Generosità (la donna con il bambino), della
Saggezza (la donna con il libro) e della Prosperità (la donna con la cornucopia da
cui escono fiori). L’ultima a destra, una donna che abbraccia una pecora, allude al
commercio dei panni di lana che è all’origine della fortuna della famiglia Bondenti.
I tre corpi di fabbrica in cui si articola il palazzo sono suddivisi in tre piani (terra,
piano nobile e sottotetto) scanditi da cornici marcapiano in cotto. Le finestre presentano elaborate cornici barocchette con decorazioni in cotto. Due portali con eleganti decorazioni in pietra si aprono nelle due ali. Quello principale, nell’ala sud, dà
accesso al cortile centrale attraverso un profondo androne con pregevoli volte di
mattoni a vista. Proseguendo lungo l’asse d’ingresso si giunge al giardino.
Il cortile delimitato dai tre corpi dell’edificio prevede un portico sorretto da colonne
binate che reggono archi ribassati. Alle pareti sono affisse delle iscrizioni che ricordano le famiglie a cui appartenne il palazzo e gli ospiti illustri che vi soggiornarono, tra cui il re Vittorio Emanuele II nel 1859 e il Principe di Piemonte nel 1924.
Al centro del portico si trova lo scalone d’onore a quattro rampe con ringhiera di
ferro battuto che conduce al piano nobile. La volta è ornata da un affresco raffigurante l’Apoteosi della famiglia Bondenti, opera del pittore ticinese Giovanni
Rusca, e da stucchi del luganese Pietro de’ Giorgi, eseguiti nel 1728.
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Palazzo Marazzi
Via Marazzi 14
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Fabbri. Le prime notizie riguardo a edifici presenti in questa zona risalgono al
1422, quando Giovan Tommaso Vimercati nel suo testamento decide di lasciare la
sua casa all’ordine dei frati agostiniani affinché vi costruiscano una chiesa e un
monastero. Egli desiderava in questo modo espiare le colpe del nonno Latino e del
padre Giovanni che avevano praticato il prestito a usura, allora ritenuto un grave
peccato. Dopo varie vicende legate all’eredità di Giovan Tommaso, gli agostiniani nel
1436 intrapresero l’erezione della chiesa e del monastero, non sul terreno lasciato
loro dal Vimercati, ma nel luogo dove ancora oggi si trova il Centro culturale
Sant’Agostino. Il cambio di luogo fu dovuto anche alle proteste dei padri predicatori che
non vollero la costruzione di un monastero così vicino alla loro chiesa di San Domenico.
Non conosciamo le successive vicende delle case che appartennero a Giovan Tommaso
Vimercati fino al 1526, quando le troviamo di proprietà dei Grifoni Sant’Angelo, famiglia originaria di Sant’Angelo in Vado che si era trasferita a Crema nel 1459.
Nel 1619 il conte Ferdinando Scotti di Piacenza entrò in possesso del palazzo dopo
aver sposato Leonarda Grifoni Sant’Angelo. Ultimo discendente della famiglia fu
Paolo Scotti che morì nel 1774. Da allora il palazzo cessò di essere una dimora
nobiliare e nel 1815 è documentato come osteria di proprietà di un certo Giacomo
Gervasoni. Successivamente fu trasformato nell’Albergo del Pozzo Nuovo da
Pietro Antonio Rampazzini e dal 1843 divenne sede della compagnia ferroviaria
che collegava Crema con Milano e Lodi. Nel 1863 era proprietario dell’Albergo e della
compagnia di trasporti Vincenzo Folcioni che fu anche un collezionista d’arte. Nel
1866 egli commissionò ai pittori Eugenio Malfassi e Luigi Manini la decorazione dello
scalone dell’albergo, oggi non più conservata. Morì nel 1883. L’Albergo rimase aperto fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e nel 1917 Carolina Luchini, vedova dell’ultimo proprietario, lo vendette al conte Fortunato Marazzi che ripristinò l’originaria funzione di palazzo residenziale. Egli fu deputato alla Camera e senatore del
Regno. Morì nel 1923 lasciando il palazzo ai suoi eredi che tuttora vi abitano.
Fra gli ospiti illustri dell’Albergo vi fu Giuseppe Garibaldi nel 1861, mentre nel 1924
il conte Marazzi ospitò nel palazzo il futuro ‘re di maggio’ Umberto II.
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L’edificio
Attualmente il palazzo presenta un aspetto molto sobrio ed elegante, soprattutto
per quel che riguarda la fronte su via Marazzi e il lato meridionale (via Lucini).
L’ingresso principale si apre su via XX Settembre e ha un aspetto molto dimesso.
L’interno è incentrato su un grande cortile rettangolare che prevede due lati porticati, quello settentrionale e quello meridionale. I portici sono delimitati da cinque
archi a tutto sesto su cui si impostano degli altri archi che contornano le bifore del
primo piano. L’aspetto di queste pareti risale probabilmente alla ristrutturazione di
inizio Novecento.
Sulla parete occidentale del cortile corre un lungo balcone che collega i lati settentrionale e meridionale. E’ sorretto da mensoloni in pietra ed ornato da una balaustra dello stesso materiale scandita da moduli di sei colonnine e due semicolonnine. La parete meridionale prevede quattro grandi porte-finestre delimitate da
balaustrine e da una piccola apertura elissoidale.Tutte le pareti del cortile sono ricoperte da piante rampicanti che conferiscono una nota pittoresca al luogo. Il soffitto dei due porticati è costituito da travi lignee.
Il palazzo si compone di due piani, quello superiore è raggiungibile attraverso uno
scalone a due rampe con balaustra in pietra. Il soffitto di questo ambiente è ornato da pitture di primo Novecento con gli stemmi delle famiglie che possedettero il
palazzo.
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Palazzo Patrini-Premoli-Pozzali
Piazza Premoli 3
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Bonsignori. L’attuale edificio sorse per volontà di Domenico Patrini a partire dai
primi anni del Settecento sul luogo dove si trovavano alcune case di proprietà di suo
padre Carlo. La famiglia Patrini, attestata a Crema dalla metà del Cinquecento, non
poteva vantare titoli nobiliari, ma dalla metà del Seicento i suoi membri erano stati
ammessi a far parte del Consiglio Generale di Crema che amministrava la città e
il contado per conto della Repubblica di Venezia. L’ultimo discendente della famiglia
fu Carlo, figlio di Domenico Patrini e di Lucrezia Benvenuti che nel 1755 lasciò tutti
i suoi beni al cugino Livio Benvenuti e si ritirò nel convento di San Bernardino in
Crema. Livio subito dopo cedette l’edificio al conte Giulio Premoli. La famiglia
Premoli è documentata in città dalla metà del XVI secolo. Nel 1642 Vincenzo aveva
ottenuto il titolo di conte palatino dall’imperatore Federico III, mentre Camillo
Premoli nel 1683 ottenne il titolo di marchese di Comazzo dal duca di Savoia. I
discendenti della famiglia abitarono nel palazzo fino a pochi anni or sono quando
subentrarono i Pozzali.
L’edificio
Il palazzo fu iniziato nei primi anni del XVIII secolo e già nel 1708 doveva essere
a buon punto se Domenico Patrini poteva chiedere il permesso di costruire un balcone sopra al portale principale. In ogni caso nel 1712 Domenico risulta già residente nel palazzo.
Il corpo principale dell’edificio presenta una pianta rettangolare particolarmente
allungata. Il prospetto principale sulla piazza, uno dei migliori esempi di barocchetto a Crema, è ripartito simmetricamente dal portale centrale. Il portale con stipiti
e architrave di marmo è sormontato da un balcone con balaustra in pietra su cui
si apre una porta-finestra. Sull’architrave si trova un’aquila di marmo con lo stemma dei Patrini sul petto. Ai due lati del portale si aprono cinque finestre per parte,
sormontate da altrettante aperture al piano nobile. I due livelli sono scanditi da una
cornice marcapiano. Tutto l’edificio si presenta in cotto a vista e non prevede intonacature. Le finestre hanno un’articolata incorniciatura con timpani curvilinei
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anch’essi in cotto. Solo la cornice della porta che dà sul balcone è in pietra per
richiamare il portale sottostante. Le aperture alle due estremità presentano una
maggiore elaborazione rispetto a quelle centrali.
Sul lato meridionale del palazzo si trova un giardino delimitato da un muro costruito all’inizio del Novecento. Prima in questo punto si trovava una casa. Affacciate sul
giardino si scorgono due logge sovrapposte, una chiusa da una vetrata, l’altra aperta. Sono affiancate da un’alta torretta in forme neogotiche. Si tratta di aggiunte
posteriori alla costruzione del palazzo settecentesco risalenti probabilmente alla
fine del XIX o all’inizio del XX secolo.
Sull’angolo sud-occidentale del complesso si trova un palazzetto a due piani di
forme seicentesche.
Entrando attraverso il portale ci si trova in un vasto porticato a cinque fornici separati da colonne in pietra con capitelli dorici. Il porticato è coperto da volte sorrette
da archi a sesto ribassato. Alle due estremità si trovano portali contornati da elaborate cornici in cotto con timpani spezzati e mistilinei. Oltre si apre un vasto cortile
su cui prospettano vari edifici.
Sul lato orientale, alle spalle di chi entra, si innalza il corpo principale del palazzo
che mostra sopra alle cinque finestre del piano nobile contornate da cornici in cotto,
le cinque piccole aperture del sottotetto.
Sul lato settentrionale e meridionale si trovano due ali a due piani connesse al
corpo principale, che mostrano rispettivamente due e cinque finestre.
Nell’angolo sud-ovest si trovano i resti di edifici precedenti al palazzo settecentesco
con finestre ad archi acuti. Sopra di essi si eleva la torretta di gusto neomedioevale già osservata all’esterno del palazzo.
Sugli altri lati del cortile prospettano edifici minori, anch’essi anteriori all’erezione
del grande complesso barocchetto.
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Palazzo della Provincia
Via Matteotti 39
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Gandini. Assai complessa è la vicenda storica degli edifici che sorsero in questa
zona e solo in parte chiarita dai documenti d’archivio. I primi dati ci vengono forniti dal restauro dell’edificio avvenuto alla fine degli anni Novanta del secolo scorso
che ha portato alla scoperta di due soffitti decorati quattrocenteschi in due saloni
al piano terra e al piano nobile del fabbricato. Questo fa cadere la precedente ipotesi secondo cui il palazzo era stato completamente demolito e ricostruito nel
Settecento. Al contrario in tale occasione l’edificio fu solo rinnovato, conservando
molti degli ambienti del XV secolo. Non si hanno certezze circa il committente del
palazzo quattrocentesco, riguardo al quale è stato ipotizzato anche il nome del
condottiero bergamasco Bartolomeo Colleoni.
I primi documenti relativi a questa zona risalenti al 1595, parlano di due case una
a settentrione e una a meridione abitate rispettivamente dalle famiglie Vimercati e
Premoli. La situazione risulta immutata fino al 1736. Segue un vuoto documentario fino al 1753 quando nei documenti compare la sola famiglia Vimercati. Questi
abitarono nel palazzo in esame fino al 1815 quando Giulia Vimercati, ultima discendente del casato, lo concesse in affitto a varie famiglie. L’edificio divenne quindi sede
di enti pubblici: dal 1859 al 1929 vi si stabilì la Sottoprefettura; subentrarono quindi il Partito Fascista fino al 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale, il Partito
della Democrazia Cristiana e infine, negli anni Novanta del Novecento, la Provincia.
L’edificio
La fronte principale su via Matteotti, ha un aspetto molto sobrio. Il portale di accesso non è al centro del prospetto, ma spostato verso sinistra perché l’androne è ricavato dal riutilizzo di un salone quattrocentesco situato al piano terra. Ai lati si aprono rispettivamente due e quattro finestre rettangolari con semplici cornici, sormontate da altrettante aperture al piano nobile.
La porta-finestra sopra il portale è provvista di un balcone con ringhiera di ferro
battuto. Al di sopra delle aperture del piano nobile vi sono delle piccole finestre cieche in corrispondenza del sottotetto.
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La fronte sud (via Goldaniga) presenta un aspetto simile a quello della fronte principale con finestre cieche alternate ad aperture vere e proprie.
Entrando nell’androne si nota il soffitto quattrocentesco ornato da tavolette dipinte
con stemmi nobiliari, ritratti e figure di animali.
Proseguendo ci si trova sotto ad un portico a tre fornici sorretto da coppie di colonne doriche. L’arco a tutto sesto affiancato da due coppie di colonne forma un particolare motivo architettonico denominato ‘serliana’ dal suo ideatore, l’architetto cinquecentesco Sebastiano Serlio.
Sull’altro lato del cortile si trova un porticato speculare a quello d’ingresso. Il soffitto è sorretto da travature di legno. I due prospetti sopra il portico prevedono tre
finestre con cornice e timpano triangolare separate da nicchie.
Sul lato sinistro del portico si trova lo scalone che dà accesso al piano nobile.
Salendo ci si trova in un vasto salone affacciato sul cortile interno, detto ‘Galleria
Neoclassica’ per via del ciclo pittorico di ispirazione neoclassica che orna le pareti:
in quattro grandi riquadri sono dipinti episodi delle Fatiche di Ercole. Nel fregio
monocromo che li sovrasta sono raffigurate scene della vita di Alessandro Magno.
Al di sopra delle porte si trovano delle tele con cornici di legno con ritratti monocromi di Giulio Cesare, Torquato Tasso, Omero, Marco Tullio Cicerone,
Alessandro Magno, Socrate e Virgilio.
Nel salone di fianco troviamo l’altro grande soffitto quattrocentesco ornato con
tavolette dipinte con stemmi nobiliari, in particolare di Bartolomeo Colleoni e delle
famiglie Benzoni, Capitani, Castelli, Berlendis, Benvenuti e Verdelli. Vi sono inoltre
ritratti e figure di animali reali e fantastici ispirati alle favole medioevali. In fondo
alla sala si trova una parete settecentesca con tre aperture dalle elaborate forme
barocchette.
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Palazzo Vimercati Sanseverino
Via Benzoni 11-13
La famiglia
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Fabbri.
Un primo nucleo del palazzo abitato da dei Vimercati doveva esistere già nel
Quattrocento come dimostra il soffitto con tavolette dipinte conservato in un salone del piano nobile. Famiglia di antica nobiltà, documentata a Milano fin dal XII
secolo, è presente a Crema almeno dalla metà del Quattrocento. Capostipite dei
Vimercati Sanseverino fu Sermone che nel 1520 sposò Ippolita Sanseverino,
aggiungendo il cognome della moglie al proprio. Di origine campana, la famiglia
Sanseverino aveva fatto fortuna attraverso i suoi capitani di ventura che si distinsero al servizio degli Sforza. Alcuni suoi membri ottennero anche la porpora cardinalizia. Sermone nel 1526 ospitò nella sua dimora il duca Francesco II Sforza all’indomani della sua fuga da Milano occupata delle truppe imperiali. A Sermone e alla
moglie Ippolita dedicò alcune delle sue novelle Matteo Bandello (1485-1561), frate
domenicano che nel 1523 fu priore del monastero di Crema. Marcantonio
Vimercati Sanseverino, figlio di Sermone e Ippolita, si distinse nella guerra di Cipro
contro i Turchi combattuta dalla Repubblica di San Marco nel 1577 e nel 1587
ottenne dalla Serenissima il titolo di Conte di Palazzo Pignano. Nel 1592, ormai
settantenne, intraprese la riedificazione del palazzo secondo le forme attuali. I
lavori furono portati a termine nel 1602 dai suoi figli Orazio e Ottaviano. Unico
caso fra le dimore nobiliari cremasche, il palazzo appartiene ancora oggi ai
discendenti della famiglia che lo fece erigere.
L’edificio
L’attuale palazzo ha la fronte principale rivolta su via Benzoni. E’ ripartita in due
ordini: le sei finestre del piano terra presentano un davanzale e un architrave di
marmo sorretti da mensole in pietra. Fra le mensole che reggono i davanzali sono
scolpiti festoni di fiori e frutti, mentre sopra l’architrave sono posti fastigi con gli
stemmi di famiglie cremasche.
Le sette finestre del piano nobile presentano un’ornamentazione ancora più complessa con semicolonne rudettate in marmo che reggono un timpano spezzato
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contenente busti di personaggi togati o in armatura antico romana. Il fregio sotto
il timpano è ornato da triglifi e metope con raffigurazioni allegoriche di difficile
interpretazione. I davanzali sono retti da mensole in pietra grigia scolpiti a volute.
Fra le finestre dei due ordini principali vi sono quattro piccole aperture che danno
luce al mezzanino.
L’imponente portale presenta gli stessi elementi delle finestre del piano nobile: due
grandi semicolonne rudettate reggono un architrave con fregio su cui poggia il timpano spezzato. Al centro del timpano è ospitato l’enorme stemma dei Vimercati
Sanseverino. Sotto lo stemma troviamo un volto grottesco di gusto manierista inserito in una conchiglia. Nelle metope del fregio che si alternano a triglifi sono scolpite delle armi classiche, mentre ai lati dell’arco troviamo panoplie di armi e armature sempre ispirate alla classicità romana.
La facciata è conclusa da un doppio cornicione sorretto da doppie mensole, il primo,
e da dentelli, il secondo.
La fronte del corpo principale, rivolta verso piazza Premoli, presenta le stesse caratteristiche di quella su via Benvenuti.
Varcato il portale d’ingresso ci si trova in un cortile circondato su tre lati da portici
a tre fornici sorretti da semplici colonne in pietra. Il soffitto è costituito da volte in
mattoni intonacate.
Sui lati est e sud corre un balcone sorretto da mensole in pietra e orlato da una
finissima ringhiera di ferro battuto. Le finestre del piano nobile presentano una cornice con timpani curvilinei, tranne quella di fronte all’ingresso che ha un timpano
spezzato, probabilmente per accogliere uno stemma.
Nell’angolo nord-est si trova un portale che ripropone gli stessi elementi di quello
d’ingresso: colonne, fregio e timpano curvilineo. Alla sua sinistra c’è lo scalone d’onore a due rampe che conduce al piano nobile. E’ contornato da una balaustra in pietra ornata con due putti settecenteschi.
Il portico sul lato ovest si apre verso il giardino, separato da una cancellata di ferro
battuto. Da qui si ammira una splendida prospettiva della rinascimentale ex chiesa di Santa Maddalena e Santo Spirito che nel 1830 fu acquistata dai Vimercati
Sanseverino insieme ai locali dell’adiacente ospedale.
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Palazzo Zurla-Fadini
Via Alemanio Fino 20
Le famiglie
Il palazzo, secondo l’antica partizione medioevale della città, si trovava nella vicinia
dei Bonsignori. La prima testimonianza di edifici in questa zona della città risale alla
metà del Cinquecento quando è nota la presenza di una casa della famiglia
Gambazzocca. Questi avevano fatto affrescare la facciata dell’edificio dal pittore
manierista Aurelio Buso con l’episodio del Ratto delle Sabine.
Non si conosce esattamente quali passaggi di proprietà siano intervenuti, ma nel
1611 il palazzo risulta appartenere a Emilia Zurla Albergoni moglie di Onorio
Barbetta che lo lascia in eredità ai figli Sforza e Camillo con la clausola di non venderlo né affittarlo per cento anni.
La famiglia Zurla Albergoni è documentata a Crema dalla seconda metà del
Quattrocento, così come quella dei Barbetta. Nel 1685 il palazzo risulta appartenere a Paolo Camillo Barbetta figlio di Camillo, il cui unico figlio maschio Carlo, fu
ucciso nel 1694 causando l’estinzione del casato. Segue un altro vuoto documentario fino al 1731 quando il palazzo risulta appartenere a Francesco Rosaglio.
Questa famiglia, originaria di Genova, si era trasferita a Crema nel 1584 con un
certo Cesare. Solo nel Settecento si era nobilitata al punto che i suoi membri erano
stati ammessi a far parte del Consiglio Generale di Crema che amministrava la
città e il contado per conto della Repubblica di Venezia. Il palazzo rimase di proprietà dei Rosaglio fino al 1860, quando Maria Emilia Rosaglio sposò Massimiliano
Fadini. I discendenti di quest’ultima famiglia ancora abitano l’edificio.
L’edificio
Non sono noti documenti che ci dicano quando venne costruito l’attuale edificio, ma
almeno per il portale possiamo essere sicuri che fu realizzato prima del 1611:
infatti reca lo stemma degli Zurla (con tre merli). Dopo tale data, come abbiamo
visto, il palazzo divenne di proprietà dei Barbetta. Per lo stesso motivo possiamo
ritenere che sia stato costruito dopo la metà del Cinquecento quando passò dalla
famiglia Gambazzocca alla famiglia Zurla.
Una datazione verso la fine del XVI ben si adatta allo stile dell’edificio costituito da
un blocco compatto affacciato sulla salita un tempo detta ‘Piazzuola del Pozzo
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Bianco’ (oggi via Medaglie d’oro). La fronte è scandita in quattro parti da tre cornici marcapiano. Al livello inferiore troviamo una massiccia muratura in cui si apre il
bel portale con arco a tutto sesto decorato da una cornice di marmo a bugnato. Al
livello superiore troviamo quattro finestre protette da inferriate e contornate da
semplici cornici a bugnato. Al terzo livello ci sono altre quattro finestre con la medesima cornice e una porta-finestra che si affaccia su un balcone sorretto da mensole in pietra e cinto da una ringhiera di ferro battuto. Infine nell’ultimo livello troviamo un cornicione a due ordini con mensole binate alternate ad oculi elissoidali.
Sul lato ovest (via Galbignani) si ripropone lo stesso schema della fronte principale, però con le finestre maggiormente distanziate fra loro.
Il lato est (via Borletto), non presenta particolari ornamentazioni e si nota come
l’edificio si estenda per un breve tratto per poi lasciare il posto al muro di cinta
del cortile.
Entrando nell’androne con soffitto in travi lignee e oltrepassato il bel cancello di
ferro battuto ci si trova sotto ad un portico. Questo è sorretto da colonne doriche
in pietra su cui s’impostano tre archi a tutto sesto.
Il cortile, molto raccolto e appartato, è cinto da edifici ricoperti di piante rampicanti.
Sul lato settentrionale si trova un edificio più basso e modesto e un androne che
permette di raggiungere un altro piccolo cortile.
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Concerto in Palazzo Premoli Pozzali
alle ore 17.30
Programma
Francesco Cavalli (Crema, 1602 – Venezia, 1676)
“Son ancor pargoletta”
“Ardo, sospiro e piango”, aria di Diana dell’opera “La Calisto”
Giovanni Bottesini (Crema, 1821 – Parma, 1889)
“Tutto che il mondo serra”
“Une bouche aimée”
“Conchiglia rosea”, aria di Ero dell’opera “Ero e Leandro”
Franz Listz (Raiding, 1811- Bayreuth, 1886)
“Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen”, Praeludium nach J.S. Bach
Giuseppe Verdi (Roncole, 1813- Milano, 1901)
“Addio del passato”, aria di Violetta dell’opera “La Traviata”
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Interpreti
Véronique Mercier, soprano
Nata nel 1982 a Losanna (Svizzera) da padre svizzero e madre italiana,Véronique
Mercier studia musica nella sua città, parallelamente a studi classici. Nel 1995 inizia lo studio del canto con la contralto Carmen Gonzales, che le trasmette l’insegnamento belcantistico di Rodolfo Celletti di Milano. Nel 2000 si trasferisce in Italia
per continuare la sua formazione musicale. Nell’autunno 2006 si stabilisce a
Milano, dove viene ammessa all’Accademia Internazionale della Musica e in dicembre all’Accademia Harmonica di Modena. Attualmente si sta perfezionando con il
soprano Luisa Maragliano.
Vince numerosi premi: nel 2004, partecipa al I Concorso Internazionale di canto
organizzato dall’Accademia Musicale Umbra, ottenendo il primo premio; il Premio
Alasia (Svizzera); in 2005 riceve il Premio Fritz Bach della Fondazione Crescendo
(Svizzera).
Si esibisce in concerti, recitals e festivals internazionali: concerti al Lausanne-Palace
(Svizzera); recitals al Castello di Coppet (Ginevra); concerto alla Sala dei Notari di
Perugia, ritrasmesso dalla RAI; concerti al Castello della Pieve del Vescovo in occasione del Festival “Umbria Estate XIII Edizione”; concerto “A. Bernstein Tribute”
all’Auditorium San Domenico di Foligno, accompagnata dall’Orchestra Filarmonica
di Belfiore e diretta dal maestro M. Pontini; recitals organizzati dalla Fondazione
“Planète Enfants Malades” nella Sala A. Bailly dell’Opera di Losanna; concerto al
Teatro delle Erbe di Milano; concerto in occasione del Festival Musicale di
Castiglione del Lago, accompagnata dal Trio Paderewski; concerto sul Lago di Garda
e serie di recitals in Messico.
Oltre alla sua attività concertistica, sta anche collaborando per la registrazione di
alcuni cd: “Zaza” di R. Leoncavallo, inciso dalla Naxos; “Nora” di G. Luporini, inciso
dalla Dynamic; “Vanna” di L. Pavanelli, inciso da Bongiovanni e “Pinotta” di P.
Mascagni, inciso da Chicco.
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Luca Gorla, pianista
Nato a Milano, ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio Dell’Abaco di
Verona, laureandosi poi in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano.
Dopo aver vinto il Concorso Internazionale di Stresa nel 1981, ha iniziato un’intensa attività concertistica e didattica collaborando con artisti quali: C. Bergonzi, R.
Blake, M. Devia, M. Freni, L. Gencer, E. Nesterenko, M. Oliviero, R. Raimondi, L. Serra,
R. Vargas, G. Valdengo, R. Villazon.
Si è specializzato nel repertorio belcantitistico con Rodolfo Celletti, di cui è stato per
anni assistente e collaboratore, e Alberto Zedda, occupandosi, in particolare, di storia della vocalità, prassi esecutiva e didattica del repertorio. Si è esibito in teatri e
festivals italiani e stranieri, tra i quali: Opera di Roma, Regio di Torino, Carlo Felice
di Genova, Rossini Opera Festival di Pesaro, Festival della valle d’Itria,
Concertgebouw di Amsterdam, Tokyo, Nantes, Valencia.
Svolge attività didattica tenendo corsi di repertorio vocale, interpretazione e prassi
esecutiva, accompagnamento pianistico presso istituzioni quali: Accademia Verdiana
di Busseto, Accademia Rossiniana di Pesaro, Accademia Spontiniana, Accademiae di
Osimo, di Adria, di Cagli, Accademia Internazionale di Milano, Accademia
Iternazionale di Roma, AsLiCo di Milano, Scuola Musicale di Milano, Holland
Summer School, Conservatorio di Tillburg.
Ha inciso l’integrale dei Lieder di Spontini con Valeria Esposito, nonché opere di
Rossini e Donizetti. Ha svolto attività musicologica e critica collaborando con reti
radiofoniche e riviste. E’ stato tra i redattori del Dizionario dell’Opera lirica edito
da Baldini e Castoldi e relatore a convegni tra i quali il Convegno internazionale di Studi Donizattiani.
Dal 1993 è direttore artistico del Belcanto Festival Dordrecht in Olanda.
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Angelo Liziero, contrabbassista
Nato a Noale (VE) nel 1965, ha studiato contrabbasso presso il Conservatorio C.
Pollini di Padova diplomandosi col maestro Mario Pitzianti, poi con il maestro Franco
Petracchi all’Accademia W. Stauffer di Cremona, ed anche con il maestro Ubaldo
Fioravanti alle Estati Musicali di Portogruaro (VE).
Con il maestro Franco D’Andrea il Conservatorio di Trento F. A. Bomporti ha conseguito il diploma di musica Jazz.
Ha suonato con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo (in Belgio, Olanda), con
l’Orchestra del Teatro La Fenice a Venezia, i Virtuosi dell’Ensemble di Venezia
(in Turchia, Brasile), l’Orchestra Cantelli di A.Veronesi (in Francia).
Da anni suona principalmente con il gruppo Interpreti Veneziani presso la Chiesa
di San Vidal a Venezia ed in tourneè (in Austria, Grecia,Turchia, Svizzera,Venezuela,
Guatemala, Stati Uniti d’America, Messico, Giappone) e partecipa con loro a dieci
realizzazioni discografiche per la casa discografica Rivo Alto ed al dvd Vivaldi
Colours registrato dal vivo.
Suona anche come primo contrabbasso con l’Orchestra di Padova e del Veneto
(in Spagna, Slovenia, Germania, Brasile, Argentina) e nella registrazione del cd con
D. Nordio dedicato a Mendelsshon, così con l’Orchestra d’Archi Italiana fondata
e diretta da Mario Brunello (in Giappone, Vietnam, Corea del Sud, Hong Kong,
Singapore, Bangladesh, Austria) ed in dieci cd, tre dei quali per la JVC Victor di
Tokyo; con questa orchestra e Mario Brunello ha eseguito come solista il concerto
per violoncello, basso elettrico ed archi Absolut di Nicola Campogrande, con
Michael Flacksman, poi con Gautier Capucon a Marsiglia, ed anche con Robert
Cohen e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna insieme alla Filarmonica
Arturo Toscanini di Parma a Bologna il 2 agosto 2007 concerto trasmesso in diretta radiofonica e televisiva su RAI Tre, qui ha inoltre eseguito per il Premio Mozart
Electric Dies Irae di Stefano Guarnieri.
Suona un contrabbasso Giuseppe Dollenz (Trieste, 1920ca).
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Compositori
Pier Francesco Cavalli (Crema, 1602 – Venezia, 1676)
Pier Francesco Cavalli nacque a Crema nel 1602 da Giovan Battista Caletti detto il
Bruno, maestro di cappella preso la Cattedrale della città. Il cognome Cavalli gli fu
dato dal suo protettore, il nobile veneziano Federico Cavalli, che, dopo essere stato
governatore di Crema a partire dal 1614, fece ritorno a Venezia nel 1616, conducendo con sé il giovane Caletti, le cui disposizioni per l’arte musicale avevano suscitato il suo interesse. Nella città lagunare il giovane cremasco fu ammesso come
cantore alla Cappella di San Marco e fu allievo di Claudio Monteverdi, allora
Maestro di Cappella. Negli anni successivi fu ingaggiato come tenore, poi divenne
secondo organo, primo organo e infine nel 1668 maestro della Cappella Ducale,
ruolo che ricoprì fino alla sua morte nel 1676.
Scrisse trentanove opere per i più importanti teatri di Venezia e nel 1660 fu chiamato a Parigi in occasione del matrimonio di Luigi XIV. In questa circostanza venne
eseguita la sua opera Xerses. Scrisse, inoltre, numerosissime composizioni su testo
sacro.
Cavalli fu il primo a introdurre arie nelle opere, a partire dal Giasone che fu eseguito per la prima volta nel 1649. Infatti, prima di lui la musica teatrale consisteva
semplicemente in un recitativo grave in cui gli strumenti suonavano solo i ritornelli.
Il compositore cremasco ha il merito di aver dato alle arie una struttura maggiormente funzionale, una forma più elegante, più curata nei dettagli timbrici, più ricca
d’armonia, di modulazione e di strumentazione.
Tra le sue opere più importanti si ricordano: La Didone (1641), Il Giasone (1649),
La Statira, principessa di Persia (1655), Ipermnestra (1658) e L’Ercole amante
(1662).
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Giovanni Paolo Bottesini (Crema, 1821- Parma, 1889)
Giovanni Paolo Bottesini nacque a Crema nel 1821 e fu un contrabbassista, e direttore d’orchestra italiano.
Figlio del clarinettista e compositore Pietro, iniziò gli studi musicali all’età di cinque
anni. Si diplomò al Conservatorio di Milano nel 1839 e l’anno seguente iniziò una
straordinaria carriera come contrabbassista che lo portò ad esibirsi in Europa e in
America.
Di pari passo Bottesini si affermò come direttore d’orchestra e compositore di fama
internazionale. Il 24 dicembre 1871 diresse la prima dell’Aida di Verdi eseguita al
Cairo in Egitto. Poco prima di morire, grazie all’interessamento dello stesso Verdi, del
quale fu amico e consigliere, fu nominato direttore del Conservatorio di Parma.
Oggi è noto soprattutto per le sue composizioni per contrabbasso, ma fu anche
autore di sette opere, tra cui Ero e Leandro, su libretto di Arrigo Boito, che ebbe
grandissimo successo. Il suo Metodo per contrabbasso fu pubblicato dal prestigioso editore Ricordi. Giovanni Bottesini passò alla storia come “il Paganini del contrabbasso”.
Tra le sue opere liriche più importanti si ricordano: Colón en Cuba (1848, La
Habana,Teatro Tacón), L’assedio de Firenze (1856, Parigi,Theâtre des Italiens), Alì
Babà (1871, Londra, Lyceum Theatre), Ero e Leandro (1879, Torino, Teatro Regio)
e La regina del Nepal (1880, Torino, Teatro Regio).
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Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Roncole Verdi, – Milano, 1901)
Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nacque nelle campagne di Roncole, una frazione di Busseto, il 10 Ottobre 1813. Sviluppatasi in lui molto presto una vigorosa inclinazione musicale, egli ebbe come primo maestro l’organista di Roncole Pietro
Baistrocchi. A dodici anni si recò a Busseto per aiutare negli affari il suo futuro protettore Antonio Barezzi, e qui studiò musica con il maestro di banda Ferdinando
Provesi e latino con il canonico Seletti. Si trasferì in seguito a Milano con una borsa
di studio del Monte di Pietà e con un sussidio del Barezzi: a diciannove anni tentò
di entrare in Conservatorio, ma non vi fu ammesso e decise, perciò, di proseguire gli
studi con il maestro Vincenzo Lavigna, clavicembalista del Teatro alla Scala.
Tornato a Busseto, venne nominato maestro di musica del comune e direttore della
banda. Nel 1835 sposò la figlia del suo protettore Margherita Barezzi, da cui ebbe
due figli che morirono con la madre negli anni 1838-1840 a Milano.
La sua prima opera fu Oberto Conte di San Bonifacio (1839) rappresentata con
successo al Teatro alla Scala di Milano. Da allora iniziò la straordinaria produzione
di opere. La sua instancabile e prodigiosa attività non cedette nemmeno alla vecchiaia che trascorse prevalentemente nella villa di a pochi chilometri da Busseto
insieme a Giuseppina Strepponi che aveva sposato nel 1849. Morì a Milano il 27
gennaio 1901 ed è oggi sepolto nella Casa di Riposo dei Musicisti da lui fondata.
Tra le sue opere liriche più importanti si ricordano: Oberto, Conte di San Bonifacio
(Teatro alla Scala di Milano, 1839), Nabucco (Teatro alla Scala di Milano, 1842),
Giovanna d’Arco (Teatro alla Scala di Milano, 1845), Macbeth (Teatro della Pergola
di Firenze, 1847), Rigoletto (Teatro La Fenice di Venezia, 1851), Il trovatore (Teatro
Apollo di Roma, 1853), La traviata (Teatro La Fenice, 1853), Aida (Teatro dell’Opera
del Cairo, 1871), Otello (Teatro alla Scala di Milano, 1887) e Falstaff (Teatro alla
Scala di Milano, 1893).
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Franz von Liszt (Raiding, 1811 – Bayreuth, 1886),
Franz Liszt dopo aver iniziato precocissimo lo studio del pianoforte con il padre
Adam, funzionario del principe Esterházy, a undici anni Franz Liszt si trasferisce con
la famiglia a Vienna dove può seguire lezioni di composizione con Salieri e di pianoforte con Czerny, uno dei più rinomati virtuosi dell’epoca. Nel 1823 è a Parigi
dove studia teoria e composizione con Paer ma viene rifiutato al Conservatorio
della capitale da Cherubini.
Dal 1828 si stabilisce a Parigi dove vive insegnando musica. Nell’ ambiente stimolante Parigino entra in contatto con Victor Hugo, Alphonse de Lamartine, Hector
Berlioz, Fryderyk Chopin. Nel 1834 iniziò la relazione con M. de Flavigny, moglie del
conte d’Agoult, con la quale convisse fino al 1844 e dalla quale ebbe tre figli, tra cui
Cosima, la futura moglie di Bülow e di R. Wagner. Gli anni compresi tra il 1839 e il
1847 furono i più intensi e trionfali della sua carriera concertistica. Nel 1847 incontrò C. Iwanowska, moglie separata del principe russo di Sayn-Wittgenstein, e iniziò
con lei un legame sentimentale che durò a lungo. Nel 1848 Liszt assunse la carica
di direttore della cappella di corte a Weimar, dove svolse fino al 1858 una intensa
attività di direttore d’orchestra e organizzatore musicale, sostenendo musicisti come
Wagner e Berlioz e dando spazio ai maggiori fatti musicali del tempo. A Weimar
rimase fino al 1861, quindi si trasferì a Roma, dove nel 1865 prese gli ordini minori, rinunciando a sposare la Sayn-Wittgenstein. Nell’ultimo periodo della sua vita
divise l’attività tra Roma, Budapest e Weimar. Continuò a dirigere l’orchestra e
diede ancora concerti fino a poco tempo prima della morte.
Scrisse numerosissime composizioni per pianoforte. Tra le più importanti: Album
d’un voyageur; 3 Années de pèlerinage; 6 Studi d’esecuzione trascendentale
da Niccolò Paganini; Variazioni su «Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen» (Johann
Sebastian Bach); 2 Leggende (S. Francesco d’Assisi che predica agli uccelli; S.
Francesco da Paola che cammina sulle acque); Mazeppa da George Byron;
Totentanz. Tra i poemi sinfonici ricordiamo: Les Préludes (da Alphonse de
Lamartine); Mazeppa (da Victor Hugo).
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COMITATO ORGANIZZATORE
Giulia Acquaviva
Marcello Bassi Brugnatelli
Benedetta Lavagna di Gualdana
Gilberto Lavagna di Gualdana
Gregorio Cicogna Mozzoni
Alessandro Giorgio Colombini
Chiara Corte Rappis
Francesco Daniel Donati
Alfonso Litta Modignani Picozzi
Martino Lurani Cernuschi
Letizia Montani Farina
Cecilia Morelli di Popolo
Ludovico Paveri Fontana
Marco Giacomo Pontoglio-Bina
Stefano Ridulfo
Alvise Terzi
Gianandrea Tita
Pubblicazione:
a cura di Francesco Donati
testi di Matteo Facchi
acquarelli di Gregorio Zurla
Si informa che l’intero ammontare ricavato dalla vendita delle guide sarà
devoluto per lo sviluppo di progetti di restauro a beni di pubblica fruibilità.
L’ADSI ringrazia il prezioso contributo offerto dagli amici soci del
“Rotaract Terre Cremasche” per la gestione dei cortili.
Finito di stampare il 7 maggio 2008
presso la Tipografia Trezzi di Crema
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Palazzo Benzoni-Martini-Donati