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ITA
Numero settantadue – Dicembre 2011
t
te.i
Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
INTERVISTA IMPOSSIBILE
Laudatio per
Nadia Fusini
Questo è il testo
della “laudatio”
per Nadia Fusini,
Premio Cesare Angelini 2011, letto
nell’Aula Foscoliana dell’Università
di Pavia venerdì 25
novembre nella cerimonia di consegna dei premi.
Sisto Capra
DA PAGINA 2 A PAGINA 9
Salvatore Veca
D
i vita si muore, lo
straordinario libro che Nadia Fusini
ha dedicato a Lo spettacolo delle passioni
nel teatro di Shakespeare, è un testo che
invita e coinvolge chi
legge in un‟avventura,
al tempo stesso, sorprendente e perturbante. In ogni caso,
appassionata.
L‟avventura consiste
propriamente in
un‟esplorazione dello
spazio infinito della
parola di Shakespeare.
Il lettore e la lettrice
sono quasi portati per
mano e, passo dopo
passo, sono indotti a
mettersi alla prova
con le grammatiche
della creazione drammaturgica di Shakespeare. Uno che – come amava dire il grande filosofo Ludwig
Wittgenstein - è letteralmente un creatore
di lingua. Uno Sprachschoepfer. Anzi,
meglio: un creatore di
nuove forme naturali
della lingua.
(Continua a pagina 10)
Initium
Studii
Papiensis
Pavia
sistema unico
Elogio
delle
badanti ucraine
Angiolino
Stella
Roberto
Schmid
Marta Ghezzi
PAGINE 12-13
PAGINE 14-15
PAGINE 16-17
SAN SIRO, DI ANGELO GRILLI
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
Quarant’anni
di scultura
NOVITA’
Franzen
Libertà
e no
I morti
sinceri
di Spoon
River
Luisa
Lavelli
Annalisa
Gimmi
PAGINE 18-19
PAGINE 20-21
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PAGINA 22
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di Pavia
A PAGINA 11
N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11
Pagina 2
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
IL SARCOFAGO DI SAN SIRO NELLA CHIESA DEI SANTI
GERVASIO E PROTASIO. SOTTO, L’ESTERNO DELLA STESSA
CHIESA. A LATO, IL PROTOVESCOVO.
Il fondatore
della Chiesa
pavese “ritorna”
nella basilica
da lui voluta
Sisto Capra
«
Dunque: 2 metri e
44 centimetri di
larghezza e 67 centimetri
di altezza. La profondità? Uhm, non riesco a
valutarla. Davvero preciso, il professor Prelini,
puntuale come … un geometra, voi dite così, no?
Come pure l‟ispettore
provinciale alle antichità
Brambilla, che convalidò
l‟antichità della pietra.
Esattamente come ho
letto, tutto combacia,
bene, bene». Se ne stava
assorto giocherellando
con il metro in mano
nella chiesa dei Santi
Gervasio e Protasio, in
via Boezio, la più antica
di Pavia, proprio di fronte all‟altare della seconda cappella a sinistra,
quella di San Siro. Altro
non era, questa cappella,
che un grande sarcofago
sepolcrale in sarizzo
bianco, comune pietra
da fabbricazione costantemente usata a Pavia
sin dai tempi più antichi,
nel bel mezzo del quale
appariva
incisa
l‟iscrizione SVRVS EPC,
Il giornale di Socrate al caffè
Direttore Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
Editore: Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”
(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia
0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected]
Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia
Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Comitato editoriale: Paolo Ammassari, Silvio Beretta, Franz Brunetti, Davide Bisi, Giorgio Boatti,
Angelo Bugatti, Claudio Bonvecchio, Roberto Borri, Roberto Calisti, Gian Michele Calvi, Mario Canevari,
Mario Cera, Franco Corona, Marco Galandra, Anna Giacalone, Massimo Giuliani, Massimiliano Koch,
Isa Maggi, Arturo Mapelli, Anna Modena, Alberto Moro, Federico Oliva, Davide Pasotti, Fausto Pellegrini,
Aldo Poli, Vittorio Poma, Paolo Ramat, Carlo Alberto Redi, Antonio Maria Ricci, Giovanna Ruberto,
Antonio Sacchi, Dario Scotti.
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
Ecco dove viene distribuito gratuitamente
“Il giornale di Socrate al caffè”
che evidentemente significava “vescovo Siro”.
Era il luogo della prima
sepoltura di San Siro.
Almeno così ritenevano
gli studiosi di cose eccle(Continua a pagina 3)
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
P a g i na 3
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
Si ferma davanti
al sarcofago che lo
accolse 1.600 anni
fa: «Sono storia,
non leggenda»
Severino Boezio, Adelaide Cairoli, Ada Negri,
Cesare Angelini e Giuliano Ravizza che erano
stati “intervistati”.
(Continua da pagina 2)
siastiche e così tramandava la tradizione cattolica locale.
ra un uomo sulla
settantina, evidentemente in buona salute,
barba folta, alto circa un
metro e sessanta e magro, vestito di un camice
sdrucito, che un tempo
doveva essere stato
bianco e ora appariva di
un colore indistinto, come consumato dai secoli. Sopra il camice aveva
una pianeta, il paramento da messa, dello stesso
colore, sulla quale era
cucita una grande croce.
L‟uomo si appoggiava a
un pastorale da vescovo,
alto poco meno di lui. E
sul capo portava una mitra, il tipico copricapo
episcopale, della medesima tinta, con sopra
applicata una piccola
croce.
rano le 9 di venerdì
9 dicembre, festività
di San Siro. Il popolo
della città e della diocesi
era
radunato
da
tutt‟altra parte, nella
cattedrale provvisoria,
Santa Maria del Carmine, per il solenne pontificale, al termine del
quale le autorità cittadine e le varie rappresentanze si sarebbero riunite per la consegna delle
benemerenze di San Siro, i riconoscimenti annuali che venivano conferiti alle persone che si
erano distinte nei vari
campi della società.
i tanto in tanto
l‟uomo si volgeva
verso la parete alla sua
sinistra, al centro della
quale spiccava una pala
cinquecentesca raffigurante un vescovo benedicente, affatto simile a
colui che la stava osservando e che lo raffigura-
E
C
om’è che Voi ve
ne state qui tutto
solo a chiacchierare
con me, mentre la
comunità diocesana
è riunita al Carmine
a festeggiare il Vostro compleanno?
N
E
D
IL TABERNACOLO DI SAN SIRO A PAVIA IN VIA FERRINI
ANGOLO VIA SAN PAOLO, DI ANGELO GRILLI. SOPRA,
L’ALTARE DELLA CHIESA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO.
va circondato dalle didascalie in latino di dieci
episodi salienti della sua
vita: i miracoli a Pavia,
Verona, Brescia e Lodi,
la conversione del popolo di Pavia, Genova, Asti
e Tortona, la sua consacrazione a vescovo a opera di San Pietro, il
conferimento dei sacri
ordini ai successori
Pompeo e Invenzio e agli
altri santi sepolti nella
chiesa. Osservava con
attenzione anche la scultura romanica murata
sulla parete di sinistra
raffigurante un vescovo,
come lui.
S
ignore santissimo! Ma Voi … Voi
siete … San Siro?
S
ono lieto che ti sia
giunto il mio messaggio, figliolo, e che tu
abbia trovato il tempo di
presentarti a questo appuntamento - rispose,
distogliendosi un poco
dall‟osservazione della
pala e del resto della
cappella - Sì, io sono Siro, fondatore della Chiesa pavese e primo evangelizzatore del suo popolo e Nostro Signore mi
ha concesso il privilegio
di tornare dal Paradiso
più di milleseicento anni
dopo la mia morte corporale, cioè la nascita
alla nuova vita in cielo,
avvenuta il 9 dicembre
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di un anno che non ricordo con esattezza, comunque nella seconda
metà del quarto secolo.
Ho voluto tornare nella
chiesa che ai miei tempi
avevo fondato e che,
successivamente alla
mia dipartita, era stata
intitolata ai santi martiri
milanesi Gervasio e Protasio. In questo avello il
mio corpo giacque sepolto per oltre cinque
secoli, dal giorno del mio trapasso fin verso la
metà del nono secolo,
quando i miei resti, mi
pare tra l‟831 e l‟840,
furono traslati dal vescovo Adeodato in un altro
luogo, che ai vostri tempi corrisponde al Duomo
e che allora era la basilica di Santo Stefano.
A
nche stavolta il personaggio storico - la
cui visita era stata annunciata a Salvatore Veca e alla redazione del
“Giornale di Socrate al
caffè” attraverso una lettera dell‟URPV, cioè
l‟Ufficio Ritorni Provvisori alla Vita, firmata da
Sant‟Ermagora per procura di San Pietro - si
era regolarmente presentato per l‟intervista
“impossibile”. Era già
accaduto nei mesi scorsi
in altre sette occasioni,
con Galeazzo II Visconti,
Leonardo da Vinci,
l‟imperatore Augusto,
on mi sono mai
piaciute le feste. In
vita mia ho convertito,
risanato le anime e i corpi, costruito comunità
ed edificato templi, ho
sofferto e tanto viaggiato, predicato, convertito
e impetrato miracoli da
Nostro Signore, ho girato l‟Italia settentrionale
in lungo e in largo. Tu
non immagini quanti
paesi ho visitato e quanti
pagani ho battezzato. E,
poi, a essere proprio sincero, avrei desiderato
che il mio ritorno a Pavia coincidesse con la
riapertura del Duomo,
che è chiuso al culto da
anni. Invece l‟URPV ha
scelto per me questa
stretta finestra di tempo.
Che potevo farci? Prendere o lasciare, con San
Pietro non si scherza.
Per cui preferisco restarmene in disparte e godermi in pace e silenzio
questa rimpatriata in
quella che fu la prima
dimora dopo la mia dipartita dal vostro mondo; voglio meditare sul
caro avello che per primo mi accolse.
C
ome è possibile
che Voi ricordiate perfettamente il
giorno della Vostra
morte e non l’anno e
(Continua a pagina 4)
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Pagina 4
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
LA VERGINE CON SAN
A
DE-
(Continua
da pagina
3)
nemmeno
il de-
cennio? Di Voi si sa
che siete vissuto nel
quarto secolo, ma gli
stessi storici cattolici
sono cauti a proposito della Vostra persona. Questa incertezza, scusatemi la franchezza, non mette in
dubbio la Vostra stessa esistenza come
fondatore della Chiesa pavese?
U
n conto è la ricostruzione storica e
un altro è la fede. Per la
storia sono un problema,
un punto interrogativo
cui gli studiosi non sono
mai riusciti a rispondere
una volta per tutte. La
mia figura, per gli storici,
è avvolta in un alone di
mistero. Per la fede e per
la tradizione, invece, sono il fondatore della
Chiesa locale, che mi onora come patrono. La
stessa diffusione del cristianesimo delle origini a
Ticinum – vedi, figliolo,
io preferisco chiamare
Pavia con il nome dei
miei tempi - è una questione aperta. Tutto ciò
che io posso dirti è che so
di essere il tuo Protovescovo, il primo vescovo,
ma non posso offrirti
prove storiche a suffragio
di questa mia affermazione, bensì solo un miscuglio di verità storica e
arbitrio interpretativo, di
narrazione favolistica e
volontà celebrativa che
cercherò di esporre. Poco
o nulla, nonostante minuziose e puntuali ricerche storiografiche, è stato
svelato delle mie origini,
delle mie vicende giovanili, della mia formazione
culturale e religiosa, della
mia crescita religiosa. Tu
quindi puoi credere o
non credere; tuttavia,
figliolo, ti consiglio di
avere fede. La ricostruzione della mia figura e
della mia opera, infatti, è
stata condotta sulla base
di coincidenze, concomitanze storiche e vicende
legate ad altre figure di
santi e non è obiettivamente possibile che tante
tradizioni convergenti
sulla mia persona siano
complessivamente tutte
infondate. Non ti pare?
N
on la farei così
facile, Siro … Voi
mi state ripetendo la
solfa
dell’ammaestrament
o impartitoci dalla
gerarchia ecclesiastica: devi credere perché devi credere. Ma
così i dubbi si alimentano da sé.
H
o capito, tu vuoi
ragionamenti scientifici. E li chiedi a un santo del Trecento che non
ha lasciato nulla di scritto e di cui nessuno ha
trasmesso una biografia
con i crismi della storicità. Una bella pretesa … E
va bene, mi sembri ben
LA STORIA DI SAN SIRO (MUSEI CIVICI DI PAVIA)
(Continua a pagina 5)
Salvatore Veca
Nerio Nesi
Francesco Novara
Lorenzo Rampa
Walter Ganapini
Luciano Valle
Laura Olivetti
Marco Di Marco
Sisto Capra
Antonio Sacchi
Il visionario che sapeva fare i conti
Gli Olivetti
Testimonianza sull’esperienza Olivetti
Comunità: utopia o razionalità
L’impresa come attore del cambiamento verso la sostenibilità
Adriano Olivetti: un originale Progetto neo-rinascimentale
La figura di mio padre
L’attualità di Adriano
La scrivania dell’Ingegner Adriano
Adriano Olivetti e la sfida culturale
N um e r o s e tt an t ad u e - D ic e m b re 2 0 11
P a g i na 5
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
IN ALTO A SINISTRA,
LO SLARGO DI VIA BOEZIO
DOVE SORGEVA LA CHIESA
DEI SANTI NAZARIO
E CELSO
A DESTRA, SAN SIRO
IN UN DISEGNO DI ANGELO
GRILLI.
QUI, LA CAPPELLA DI SAN
SIRO CON L’URNA
ALL’INTERNO DELLA CHIESA
DI SANTA MARIA
DEL CARMINE.
(Continua da pagina 4)
motivato. Ai miei tempi non
si usava … Ma attento, dovrai starmi a sentire a lungo.
Il primo testo nel quale si
parla di me è la “Cronaca di
San Siro”, attribuita agli inizi del nono secolo, composizione apologetica e leggendaria di autore ignoto
sull‟apostolicità della sede
vescovile ticinense ed esaltante la mia figura e quelle
dei miei due successori
Pompeo e Invenzio (detto
anche Evenzio), rispettivamente secondo e terzo vescovo. La parte sostanziale
di questa “Cronaca”, invero,
è stata decisamente confutata, mi riferisco alla tesi secondo cui io sarei vissuto nel
primo secolo e addirittura
sarei il fanciullo che offrì a
Gesù i cinque pani e i due
pesci per sfamare i cinquemila uomini più le donne e i
bambini nel miracolo della
moltiplicazione. Io, invece,
come hai ricordato, sono
vissuto nel quarto secolo e
venni a Ticinum intorno alla
metà di questo secolo.
I
n che anno, esattamente?
N
umerose fonti, a partire
dallo storico Antonio
Maria Spelta a cavallo tra il
sedicesimo e diciassettesimo
secolo,
hanno trasmesso
fino a voi il catalogo con la
lista dei più antichi vescovi
di Ticinum dalle origini al
1597. Questo catalogo mi
assegna il primo posto: 56
anni di episcopato e 112 anni
di vita. Francamente troppi,
cifre esagerate e artificiose!
Oggi posso finalmente chiarire. Fui vescovo di Ticinum
dal 343-344 al 355. Il 343344 è dunque l’anno in cui
fondai la Chiesa ticinense,
più o meno nello stesso periodo in cui Sant‟Eusebio fondò quella di Vercelli. Del resto, queste sono anche le
valutazioni dell‟autore di
un‟eminente storia della
Chiesa ticinense, il vescovo
Vittorio Lanzani, nel primo
volume della “Storia di Pavia” della Società Pavese di
Storia Patria, pubblicato nel
1984. L’insistenza con cui gli
storici hanno citato e commentato il catalogo lo rende
autorevole e, direi quasi, organo ufficiale della tradizione antica di Ticinum, tradizione anteriore alla stessa
composizione della “Cronaca
(Continua a pagina 6)
Prefazione di Salvatore Veca
Introduzione
Storia breve di Pavia dalle origini al secolo XI
Barbarossa, il Comune, il Broletto Vecchio e Nuovo nel 1198 e lo scontro con il
vescovo Lanfranco
Pavia e il Broletto dal XIII al XVIII secolo: da Rodobaldo II Cipolla a Napoleone
Pavia e il Broletto nei secoli XIX e XX: sventura e rinascita, Pavesi e Vaccari e il
restauro del 1928
Il Broletto nel secolo XXI
Postfazione di Renata Crotti
Le cartine - Le immagini
N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
Pagina 6
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
(Continua da pagina 5)
di San Siro”. Questa fonte, in definitiva, può essere considerata anche
da te, che non ritieni
sufficiente la fede e probabilmente nemmeno la
mia parola, la prova che
sono stato il fondatore
della vostra Chiesa.
IN ALTO A SINISTRA,
L’URNA DI SAN SIRO
CONSERVATA NELLA
CHIESA DI SANTA
MARIA
DEL CARMINE.
IN ALTO A DESTRA,
IL MARTIRIO DEI
SANTI GERVASIO E
PROTASIO IN UNA
MINIATURA DEL XIV
SECOLO.
QUI, LA PIÙ ANTICA
VEDUTA DI PAVIA
NELL’AFFRESCO DI
BERNARDINO
LANZANI (1524)
NELLA BASILICA DI
SAN TEODORO.
è una figuI nvenzio
ra storica?
C
ertamente sì. È la
prima figura di vescovo di Ticinum citata
in un documento storico, indicato tra i partecipanti al Concilio di Aquileia nel 381. Io ero
arrivato a Ticinum in
sua compagnia da Aquileia, con la missione di
evangelizzare tutta la
Lombardia
sudoccidentale. Ci aveva
inviato il vescovo Ermagora, che una tradizione
riportata dalla “Cronaca
di San Siro”, poi confutata come ho detto, voleva vissuto nel primo se-
colo e sarebbe stato discepolo diretto di San
Marco, uno dei Dodici
apostoli di Cristo, e che
invece io colloco intorno
al 250. Diceva questa
tradizione: «Gesù mandò Pietro, Pietro Marco,
Marco Ermagora, Ermagora Siro». Invenzio fu
contemporaneo del ve-
scovo di Milano Ambrogio, che nel 390 parlò di
lui come “sanctus episcopus”; secondo il catalogo, fu il terzo vescovo
dagli anni sessanta del
quarto secolo al 397,
morì probabilmente l‟8
febbraio e venne sepolto
nella chiesa dei Santi
Nazario e Celso. Il secondo vescovo dopo di
me fu Pompeo, che non
fu canonizzato e al quale
il catalogo assegna 14
anni di episcopato, dal
351 al 365, durante il
periodo della lotta contro gli ariani: i suoi resti
sono
conservati
nell‟altare maggiore di
questa chiesa, in un‟arca
insieme ad altri presbiteri e santi.
D
icevate che la
stessa diffusione del cristianesimo
a Pavia è una questione aperta.
L
a storia della Chiesa
dei primi quattro
secoli nel tuo territorio
effettivamente non è stata scritta. Ma qualcosa si
sa della vita dell‟antica
comunità cristiana. Lascia che torni un po‟ indietro, dunque, per farti
capire.
S
S
ono tutt’orecchi.
in dalla metà del primo secolo, i cristiani
erano sparsi nelle province dell‟Impero Romano e crescevano sempre
di più in ogni parte, in
Italia, specialmente grazie all‟impegno e alla
passione dei due grandi
apostoli, Pietro e Paolo.
La conquista cristiana,
però, riuscì a progredire
soltanto nei periodi di
tregua che intercorsero
tra le persecuzioni del
terzo secolo. All‟inizio
del secolo erano state
stabilite tre sedi episcopali tra le Alpi e la Sicilia: Roma, Milano e Ravenna. Il terzo secolo
vide quasi raddoppiare il
numero delle diocesi,
almeno nell‟Italia settentrionale. Aquileia nel
Friuli dei vostri tempi,
ad esempio, destinata a
diventare tanto importante quanto Milano e
Ravenna, ebbe il suo primo vescovo attorno al
250. I cataloghi ecclesiastici lo ricordano, come
ti dicevo, sotto il nome
di Ermagora. E la sua
presenza è documentata
proprio al Concilio di
Arles
del
314.
L‟evangelizzazione a Ticinum
non
ebbe
all‟origine alcun martire
proprio. Le due basiliche
sorte nell‟area cimiteriale a nord, al di fuori della cinta muraria, furono
così dedicate con le reliquie di martiri milanesi.
La prima, intitolata a
Gervasio e Protasio, fu
edificata da me e intitolata dal vescovo Invenzio
ai due martiri milanesi,
le cui spoglie egli ebbe in
dono da Ambrogio nel
386; la seconda, dedicata a Nazario e Celso, fu
costruita sempre da Invenzio nel 390: voi ticinensi del ventunesimo
secolo non potete più
vedere questa chiesa,
che si trovava in via Boezio, perché venne soppressa nel 1819 e abbattuta nel 1845.
C
he cosa dimostra
l’assenza di martiri locali?
È un indizio importante
per collocare storicamente la mia età. Dimostra che l‟organizzazione
cristiana di Ticinum è
successiva all‟Editto di
Costantino del 313, che
accentuò i privilegi della
Chiesa cristiana e ne fece uno dei pilastri
dell‟impero romano.
Questo sarcofago, questa
scritta SVRYS EPC, davanti al quale discorriamo, si impone comunque come prova archeologica di alta antichità,
che tramanda il mio nome e garantisce la continuità della mia memoria
e della custodia delle
mie reliquie. Io non so
esattamente ciò che realmente era accaduto negli
oltre trecento anni trascorsi dalla nascita della
religione cristiana al mio
arrivo a Ticinum. So solo
che quando vi giunsi,
una comunità cristiana
già esisteva, così come
era attiva una primordiale organizzazione ec(Continua a pagina 7)
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
P a g i na 7
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
studioso di storia pavese
Siro Severino Capsoni
(1735-1796), che respinse l‟ipotesi che io fossi
davvero il giovinetto del
miracolo della moltiplicazione. Egli, in una delle sue opere, “Origine e
privilegi della Chiesa
pavese”, dichiarò più
probabile che io fossi
originario di Aquileia e
considerò temeraria
l‟impresa di voler indicare l‟anno preciso della
mia venuta a Ticinum.
Sul primo punto aveva
ragione, sul secondo torto. Un altro storico ticinense, Giuseppe Robolini, osservò che, se si collocava la mia esistenza
nel primo o secondo o
terzo secolo, non si poteva ammettere che io avevo fondato questa chiesa
in cui ci troviamo oggi.
C
(Continua da pagina 6)
clesiale, animata da presbiteri o diaconi. I fedeli
di Ticinum avevano dei
luoghi di culto, ma non
vere e proprie chiese. E
ricevevano saltuariamente la visita di vescovi
che venivano a predicare
e battezzare, ma non ne
avevano uno stabilmente
residente in città. Fui io
a edificare la chiesa che
poi sarebbe stata dedicata a Gervasio e Protasio.
E a rinvigorire la fede
del popolo ottenendo da
Nostro Signore alcuni
miracoli. Tutto ciò in un
clima pacifico, dal momento che l‟epoca delle
grandi persecuzioni era
da tempo conclusa e
l‟ambiente religioso era
al sicuro da ogni forma
di imposizione e repressione. Ecco perché non
vi erano stati martiri locali alle origini della cristianizzazione. Ciò non
significa, però, che nei
primi decenni del quarto
secolo non ci fossero
tensioni: il mondo cristiano, infatti, viveva la
contrapposizione tra
l‟ortodossia romana e
l‟eresia ariana. In particolare a Milano la lotta
tra le due fazioni era
drammatica e i cristiani
avrebbero prevalso solo
nel 374 con l‟elezione a
vescovo di Ambrogio.
Anche a Ticinum lo
scontro tra noi cristiani
e gli ariani fu duro,
all‟epoca del mio successore, il vescovo Pompeo.
P
rima avete detto
che gli storici a
un certo punto confutarono la tesi che
Voi foste stato il fanciullo del miracolo
della moltiplicazione
dei pani e dei pesci.
Com’è che gli studiosi cambiarono idea?
I
l primo a scrivere
questa favola fu Opicino de Canistris nel
“Libro delle lodi della
città di Pavia” nel 1330.
Scrisse anche che sarei
morto a settant‟anni.
Anche Bernardo Sacco
nella “Storia di Pavia”
del 1565 riprese questa
versione. Per coprire i
secoli in più si adottò la
prassi di duplicare i vari
vescovi che si erano succeduti, aggiungendo I e
II al nome, o di accreditare lunghissime esistenze di alcuni presuli. Il
primo che rimeditò la
questione e giunse alle
conclusioni accolte ancora ai vostri tempi fu lo
i sono studiosi
che raccontano
una storia completamente diversa. Essi
negano che Voi abbiate mai guidato la
diocesi di Pavia, anche se poi in questa
città sareste morto e
sareste rimasto sepolto per dieci anni.
T
A
u ti riferisci a … ?.
Maria Pia Billanovich, una storica di Padova, che
nel 1986 scrisse un
saggio intitolato “San
Siro: falsificazioni,
mito, storia”.
D
obbiamo
proprio
parlare della Billanovich? La sua ricostruzione è errata.
P
erò è scientificamente molto circostanziata, piena di
dati e ricostruzioni.
E non mi pare di aver
letto una sua confutazione ad opera degli studiosi cattolici.
Sembra essere stata
accantonata come
un incidente di percorso. Eppure i rilievi oggettivi nel saggio
della Billanovich sono numerosi. Vale la
pena di darne conto,
non Vi pare?
LA PALA CINQUECENTESCA NELLA
CHIESA DEI SANTI GERVASIO
E PROTASIO RAFFIGURA SAN SIRO
BENEDICENTE CONTORNATO DAGLI
EPISODI SALIENTI DELLA SUA VITA
CHE SI SNODANO IN SENSO ORARIO,
PARTENDO DALL’ANGOLO INFERIORE
SINISTRO, E SONO ACCOMPAGNATI
DALLA RELATIVA DIDASCALIA
IN LATINO. MANCANO I TRE EPISODI
DELLA PARTE INFERIORE
(TESTIMONIATI DA ALCUNE
INCISIONI SECENTESCHE), CIOÈ
QUELLO INIZIALE IN CUI
SI IDENTIFICA SIRO CON IL
FANCIULLO CHE FORNÌ A CRISTO I
CINQUE PANI E I DUE PESCI PER IL
MIRACOLO DELLA MOLTIPLICAZIONE,
E GLI ULTIMI DUE.
S
e proprio vuoi ... La
professoressa Billanovich, in sostanza, ha
sostenuto che il primo
vescovo accertato di Ticinum sarebbe stato Invenzio, dal 358 al 396, e
che un certo Siro, che
sarei io, sarebbe stato
vescovo di Iulia Concordia, una diocesi nell‟area
corrispondente agli attuali Veneto e Friuli, dal
358 al 413. Nell’ultima
fase della mia vita, essendo stata abolita la
diocesi di Concordia, io
avrei peregrinato in Liguria e in altre zone
dell‟Italia settentrionale
e sarei poi morto a Ticinum il 6 aprile di
quell‟anno, ma non ne
sarei divenuto vescovo.
Per dieci anni sarei rimasto sepolto nella vo-
A SINISTRA, SAN SIRO CON
IL VANGELO NELLA MANO SINISTRA,
A INDICARE IL SUO RUOLO
DI EVANGELIZZATORE.
RILIEVO PROVENIENTE
DALLA FACCIATA ROMANICA.
(DA LE CHIESE DI PAVIA-SANTI
GERVASIO E PROTASIO, EDIZIONE
DELLA DIOCESI DI PAVIA).
IN ALTO A DESTRA, I VESCOVI PAVESI
(MUSEI CIVICI DI PAVIA)
stra città e quindi traslato ad Aquileia il 1° dicembre 423. Osservo che
la studiosa padovana
posticipa il periodo della
mia vita terrena di almeno settant‟anni e questo
inficia la sua versione
dei fatti. La Billanovich
parte dalla “Cronaca di
San Siro” e avalla la notizia leggendaria della
provenienza mia e di
Invenzio da Aquileia.
Osserva che la più antica
immagine mia a Ticinum mi rappresenta in
vesti vescovili e con in
testa il cappello detto
viatorio a falda larga,
«segno indubbio - nota che la più antica tradizione pavese venerava
Siro come protagonista
di una “peregrinatio”.
Sarei dunque un vescovo
itinerante. Tra la fine
degli anni sessanta e il
373-374 io mi sarei stabilito a Padova, non in
quanto vescovo ma come
metropolita d‟Italia. La
Billanovich arriva a dire
che forse ero una …
U
U
na?
na donna. Insomma, la studiosa padovana ricostruisce la
mia storia in modo affatto abnorme rispetto alle
fonti storiche ticinensi e
a quanto io stesso ti ho
prima narrato. Per carità, massima stima per il
suo lavoro, ma io ti posso assicurare che la verità è un‟altra, è quella che
ho raccontato in precedenza. Il problema è che
(Continua a pagina 8)
N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
Pagina 8
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
QUI, PARTICOLARE
DELL’ISCRIZIONE DEL
CONSORZIO
DI SAN SIRO (MUSEI
CIVICI DI PAVIA.
FOTO: PINCAMANIDI/PAVIA
FOTOGRAFIA).
A DESTRA,
ESTERNO
DELLA CHIESA
DI SANTA MARIA
DEL CARMINE.
perta, la forma paleografica delle lettere, la loro
dimensione, la particolarità della sigla EPC divennero argomento di
studi e furono formulate
numerose ipotesi.
U
n’iscrizione,
seppur suggestiva, non è una prova.
E
(Continua da pagina 7)
la mia presenza fu segnalata, oltre che a Ticinum, in molti altri luoghi dell‟Italia settentrionale e in Austria. In
qualche caso, forse, è
stata fatta confusione e
quel Siro non sono io».
Q uali?
N
el Norico, vicino a
Salisburgo. A Brescia e dintorni. A Lodi,
Milano, Bergamo, Como
e Cremona. A Vercelli e
Novara. A Borgo San
Siro in Lomellina. Dappertutto ho predicato e
fatto miracoli. Dappertutto vengo venerato e
ricordato con affreschi,
statue, cappelle.
C
hiudiamo questa
parentesi. Chi
trovò l’incisione
SYRUS EPC sul sarcofago nella chiesa
dei Santi Gervasio e
Protasio?
I
l sacerdote Cesare
Prelini, professore nel
Seminario diocesano,
che ha raccontato la sua
scoperta nei due volumi
intitolati “San Siro primo vescovo e patrono
della città e della diocesi
di Pavia”, pubblicati nel
1880. Don Prelini è diventato la fonte principale per conoscere la
mia figura e la mia opera, perché ha recuperato
e discusso criticamente
tutti gli studi storici pre-
cedenti. Devi sapere che
nel novembre del 1875 il
sacerdote era sul punto
di pubblicare un testo
sulla storia di questa
basilica e per questa ragione la perlustrò accuratamente, allo scopo di
rintracciarvi le epigrafi
esistenti. Ebbene, sul
pavimento della prima
cappella di destra, quella
là di fronte, intitolata
alla Santa Casa di Loreto, scorse alcune lettere
nel terreno, riconoscibili
a malapena a causa della
terra che le ricopriva.
Pulitele, lesse su un
blocco di pietra questa
iscrizione, SVRVS EPC,
che egli riferì immediatamente a un‟antica memoria riguardante me.
In seguito a questa sco-
ffettivamente don
Prelini non si fidava
delle apparenze e nella
sua indagine procedette
con grande cautela e
scientificità. Egli poteva
contare, del resto, sui
risultati di un lungo lavoro risalente all‟inizio
del Settecento. Tra il
1713 e il 1718, infatti, i
Francescani che avevano
in custodia la chiesa
l‟avevano ricostruita
spostando la facciata da
occidente a oriente. E
avevano ritrovato dei
lastroni che Prelini un
secolo e mezzo dopo riportò alla luce, scorgendovi la scritta. Tra le prime congetture, una è
attribuita a Camillo
Brambilla, ispettore provinciale degli scavi e dei
monumenti nell‟ultimo
ventennio del secolo diciottesimo secolo. Egli
riconobbe
subito
all‟iscrizione una grande
antichità. Prese le misure di questa pietra e poté
stabilire che era stata
usata come fianco o coperchio di un sepolcro.
Attestò che quel SVRVS
SPC non poteva che riferirsi a Surus Episcopus.
Nel 1876, il prefetto del
museo cristiano in Vaticano, Giovanni Battista
De
Rossi
compilò
un‟illustrazione storicoarcheologica del mio
sarcofago. È vero che
egli dapprima lo datò
agli inizi del secondo
secolo, cioè duecento
anni prima della mia
morte, ma studiò in maniera esauriente quelle
sei lettere fino a rimeditare la sua precedente
opinione e a concludere
che le lettere dovevano
essere state incise nel
quarto secolo. L‟analisi
del De Rossi fa presumere che il mio sarcofago
potrebbe essere di epoca
successiva alla mia morte, che cioè potrebbe ri-
salire a circa il 397
quando le mie spoglie
sarebbero state riposte
in un nuovo avello. Un
altro documento, lasciato alla città da Carlo Bonetta, cui ai vostri tempi
è intitolata la biblioteca,
consente di affermare
che il mio sarcofago ritrovato da Prelini nel
1875 esisteva nella basilica fin dal 1567, diviso
in due parti ed era servito come reliquiario di
alcuni santi e martiri
probabilmente già alcuni
secoli prima. Insomma,
una lunga storia.
C
ome avvenne la
traslazione delle
Vostre spoglie dalla
chiesa dei Santi Gervasio e Protasio alla
basilica di Santo Stefano, una delle due
cattedrali gemelle
che sorgevano sul
luogo dove oggi è il
Duomo?
I
l racconto è contenuto
in alcuni codici, due
dei quali appartengono
alla Chiesa di Novara e
almeno altri due a quella
di Piacenza. Siamo in un
anno
imprecisato
dall‟831 all‟840. San
Gervasio e Protasio era
fuori dalle mura e la visita alle mie reliquie non
era agevole. Dopo che le
spoglie furono composte
sul feretro, i sacerdoti se
lo caricarono a spalla. A
un certo punto del tragitto, però, il mio corpo
si faceva talmente pesante che il clero pensò
dovesse trattarsi di un
segno
divino.
Tutt‟intorno poi si diffuse una fragranza dolce e
soave. Passarono ventiquattro giorni prima che
la traslazione in Santo
Stefano si concludesse.
Una fanciulla incapace
di camminare cominciò
a correre. La gente accorreva da Ticinum e da
ogni dove. Una giovane
donna costretta sulla
lettiga balzò in piedi e
cominciò a lodare il
“beatissimo Siro”. Un
cieco cominciò a vedere.
Un servo con la mano
rattrappita fu risanato.
Le prime notizie della
venerazione della mia
persona risalgono a do-
cumenti datati tra la fine
del Novecento e il Mille.
Ad esempio, in un‟opera
di Liutprando, vescovo
di Cremona tra il 927 e il
972, o ancora in uno
scritto di San Simeone.
A
bbiamo già visto
che la fonte
principale riguardante le vicende della vostra figura e della Vostra vita è la
“Cronaca di San Siro”, un testo apologetico e leggendario
risalente all’inizio
del nono secolo. Conviene soffermarsi su
questo documento.
Innanzitutto, dove
venne ritrovato?
A
ll‟interno di antichi
manoscritti e in alcune opere a stampa.
Tra i primi ricordo un
codice membranaceo,
cioè costituito da una
sottile pelle di animale o
membrana, conservato
nella
Biblioteca
dell‟Università di Torino, già appartenuto al
monastero di Bobbio e
donato all‟ateneo torinese dal rettore del Collegio Ghislieri Domenico
Carbone. Si tratta di un
breviario che riporta la
vita di numerosi santi,
martiri e confessori e
risale al settimo secolo.
Fu probabilmente distribuito dopo il 612 ai monaci bobbiesi da San Colombano, che l‟aveva
ricevuto dalla città di
Pavia. Altri testi che
comprendono
la
“Cronaca di San Siro”
sono un codice membranaceo del decimo secolo
che si trova nella Biblioteca del Capitolo di Novara e un secondo codice
in pergamena custodito
sempre a Novara. Vi sono poi un codice più recente nella Biblioteca del
Capitolo di Piacenza, tre
codici del dodicesimo
secolo nella Biblioteca
Ambrosiana di Milano e
altri ancora nella Biblioteca Regia di Bruxelles.
La “Cronaca di San Siro”
venne stampata per la
prima volta a Milano nel
1480 e a Colonia in Germania nel 1518. Tutti
questi codici vennero
(Continua a pagina 9)
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
P a g i na 9
SAN SIRO
INTERVISTA “IMPOSSIBILE”
QUI, SAN SIRO NEL
PARTICOLARE DI
UNA STAMPA CONSERVATA NEI MUSEI CIVICI DI PAVIA
(FOTO: PINCAMANIDI / PAVIA
FOTOGRAFIA).
A DESTRA,
PARTICOLARE DI
UN’ALLEGORIA DEI
VESCOVI PAVESI
(MUSEI CIVICI DI
PAVIA. FOTO: PINCA-MANIDI / PAVIA
FOTOGRAFIA).
(Continua da pagina 8)
consultati e analizzati da
Cesare Prelini per comporre la sua opera in due
volumi “San Siro primo
vescovo e patrono”.
I
n che modo la
“Cronaca di San
Siro” racconta il viaggio Vostro e di Invenzio verso Pavia e
l’arrivo in città?
C
ominciammo la predicazione della fede
cristiana in una vasta
area compresa tra Bre-
scia, Lodi, Verona e Milano. A Verona una vedova ci supplicò di far
risorgere il figlio morto e
Nostro Signore ci concesse questa grazia: il
miracolo accese la fede
di centinaia e centinaia
di persone che si accalcarono intorno a noi e si
convertirono. Lungo il
tragitto verso Ticinum
era tutto un affollarsi di
schiere di popolo. Al
nostro ingresso in città
la gente si gettava letteralmente ai nostri piedi
gridando «Entra, o padre desiderato, richiama
chi erra, solleva i caduti,
ammaestra gli ignoranti,
libera che sono tenuti
schiavi, sollevaci e istruiscici». Era sufficiente che un malato mi
sfiorasse per riacquistare immediatamente la
salute. Proclamai la futura prosperità della città e mi rivolsi a tutti coloro che adoravano gli
idoli, inducendoli a convertirsi a Cristo. Devo
dire che la Ticinum che
incontrai in quei primi
giorni era ancora permeata di paganesimo e che
l‟arrivo di un vescovo
cristiano accese delle
speranze non solo di sal-
vezza eterna ma anche
di prosperità terrena …
Ma adesso, amico di Socrate, è ora che me
ne torni ai miei celesti lidi eterni. Il tempo concessomi è terminato e devo ancora assolvere alcuni
obblighi. Per cui mi
congedo.
San Siro si incamminò
lentamente verso l‟altare
maggiore e si fermò davanti all‟urna di cristallo
contenente le reliquie
del suo successore Pompeo e dei presbiteri Crisanto e Fortunato. Alzò
lo sguardo verso il grande dipinto ovale raffigurante la Vergine con i
santi Gervasio e Protasio
e la sua stessa figura. Poi
ammirò l‟affresco della
grande lunetta al di sopra dell‟arco trionfale
del presbiterio, raffigurante la crocifissione e a
lato martiri e vescovi
della Chiesa pavese.
Quindi si volse ancora
verso la seconda cappella a sinistra della chiesa,
quella dedicata a lui medesimo. Socchiuse gli
occhi nel rileggere quella
scritta SVRVS EPC.
Quindi lasciò la chiesa
Un Angelo
per San Siro
«Alla presentazione della pubblicazione
“Angeli in città
- Il Serafino
della Cattedrale“, ai primi di
ottobre, incontro Sisto Capra, che mi
chiede di pensare a un
angelo per San Siro.
Nasce così l’Angelo Pape, con una breve storia
illustrata».
Così l’artista Pupi
Perati spiega la genesi
della piccola opera che
pubblichiamo.
Laureata in lettere
(indirizzo artistico) a
Pavia, Pupi Perati ha
studiato arti figurative
presso la scuola
dell'Accademia Carrara. Interessata alle tecniche "a fuoco", lavora
a bottega presso il maestro ceramista Renato
Maddalena e nel 1984
apre un suo laboratorio
nel centro storico di
Pavia. Non smette di
sperimentare ed apprendere, accostandosi
anche alla smaltatura
su metallo, alla fusione
del vetro, alla modellazione "a cera persa" e
alla gioielleria.
Pagina 10
(Continua da pagina 1)
L
e pagine di Nadia Fusini
sono articolate in forma
drammaturgica. Prima, è allestita con cura la scena: la scena del teatro in cui scopriamo
che l‟azione tragica è propriamente la passione. La mia azione è la mia passione, scrive
Fusini. E questo è - almeno a
prima vista - il senso del pathos, come ha insegnato Aristotele nella sua Poetica. Ma
la passione degli eroi tragici di
Shakespeare, con tutta l’eco e
la memoria medievale della
passione di Cristo, il deriso, il
percosso, l‟umiliato, lo schernito, ci suggerisce nei tempi
inquieti dell‟incertezza, della
rottura dell‟universalismo cristiano e della nuova scienza,
agli albori della nostra modernità, il tema inedito della natura del soggetto, della natura
del sé. L‟enigma dell‟identità,
che risuona in ogni replica a
un qualche “ecce homo” con la
domanda: che cos‟è l‟essere
umano? L‟eroe è un paziente e
il teatro del suo sé ospita la
guerra civile del sé. Così, viene
da dire, l‟agente è propriamente e semplicemente
l‟attore, e il mondo è teatro.
“A scanso di equivoci, ci ricorda Fusini, il motto è scritto a
chiare lettere a mo‟ di stemma
araldico all‟entrata del Globe:
Totus mundus agit histrionem.” La scena è pronta, a
questo punto. E chi legge prova ora l‟esperienza della peripeteia aristotelica, scandita in
cinque atti. E assiste, in successione, nel primo atto, alla
passione di Bruto, alla passione della ragione nel Giulio Cesare, nel secondo a quella di
N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
GEORGE CATTERMOLE, LADY MACBETH, 1850
Amleto,
alla passione del dolore del principe di
Danimarca, nel terzo a quella
d‟amore e d‟odio di Otello con
la regia machiavellica di Iago,
nel quarto alla passione metafisica d‟ira e di pietà di re Lear, nel quinto - infine - alla
passione della paura categorica, della paura di sé
dell‟acrobatico Macbeth.
ei cinque atti del passionate speech di Nadia Fusini vi può accadere di imbattervi in immagini che difficilmente vi abbandoneranno.
L‟essere umano è una cosa che
immagina, una sorta di res
imaginans, come ci mostra
l‟esperienza fantasmatica di
Bruto, nell’intervallo,
nell‟interim fra il pensiero e
l‟azione. Un intervallo, un
tempo di mezzo, sullo sfondo
N
ANDREA CAMILLERI
LA SETTA
DEGLI ANGELI
SELLERIO
Tutto d’invenzione è
il rustico paesaggio:
il
paesaggio remoto, le otto chiese
(sette per gli abbienti, una per i contadini), il Circolo litigioso e scalmanato,
nel quale i soci di surreale e sgarbata
scimunitaggine siedono male sui propri
glutei come in una stampa di Hogarth;
le scivolose segretezze, le vacanterie
escandescenti di angusti e scaduti puntigli, le aggressioni sbagliate fatte in
nome dell’onore, la foia atroce di un
brigante dal nome biblico, l’astio e le
divisioni tra bassa aristocrazia di campagna, professionisti borghesi, massari,
campieri, nullatenenti. Assolutamente
vera è invece la faccenda, testimoniata
da Filippo Turati e da Don Luigi Sturzo.
E personaggio storico è il protagonista
Matteo Teresi, avvocato dei poveri e dei
deboli; e giornalista, che la sua animosa
attività di denuncia nutre di socialismo
umanitario. Un fremito, un rimbombo,
un intollerabile fracasso investe il villaggio. Si teme un’epidemia di colera. Corre l’anno 1901. Per un susseguirsi sbrigliato di equivoci, si crede al contagio. A
un’invasione del Maligno. Nelle chiese,
divenute eccezionalmente democratiche, si raccolgono e si mescolano le
classi sociali.
MARGARET MAZZANTINI
MARE AL MATTINO
EINAUDI
Farid e Jamila fuggono da una guerra
che corre più veloce di loro. Angelina
insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due
madri, due mondi. A guardarlo dalla
riva, il mare che li divide è un tappeto
volante, oppure una lastra di cristallo
più ampio dell‟epoca out of
joint, in cui Amleto prova che
cosa vuol dire vivere in una
immensa solitudine. Ecco Otello che affronta l’esperienza
dell‟amore nella dimensione
dell‟ignoranza di sé e
l‟immagine del Moro che procede nella sua odissea come
un guerriero cieco. E ancora lo
strip-tease, la svestizione di
Lear, il re che diventa nella
landa di bufera un essere umano come chiunque, e
l‟immagine di Lear che vuole
gattonare, come i bambini,
andando all‟indietro verso il
grembo. Infine, l‟immagine
notturna della paura di sé di
Macbeth, che “si impaurisce
di se stesso e se agisce è per
scaricare l‟angoscia che lo attanaglia, per trasferire
l‟angoscia fuori di sé, per scaricarla dal proprio cervello”.
l libro è un impressionante
vortice di immagini, e con
la sua lingua accurata e sapiente, e - come direi nel mio
gergo filosofico - con la sua
coltivazione di memorie e la
sua esplorazione di connessioni, ci offre prospettive inedite,
modi di guardare noi stessi e il
mondo più illuminanti e perspicui, mentre siamo ancora
una volta spettatori del teatro
del mondo shakespeariano.
Del gran teatro delle passioni.
Ora, per concludere la mia
laudatio dell’opera di Nadia
Fusini, mi sia consentito accennare a un punto che mi ha
colpito nella lettura. Il punto
riguarda ironicamente il terzo
termine della poetica aristote-
I
che si richiude sopra
le cose. Ma sulla terra
resta l’impronta di
ogni passaggio, partenza o ritorno - che
la scrittura, come argilla fresca, conserva
e restituisce. Un romanzo di promesse e
di abbandoni, forte e luminoso come
una favola. «Pensava soltanto a quello.
Riportare la sua vita a quel punto. Nel
punto dove si era interrotta. Si trattava
di unire due lembi di terra, due lembi di
tempo. In mezzo c’era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi.
Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato».
GIORGIO FALETTI
TRE ATTI E DUE TEMPI
EINAUDI
«Io mi chiamo Silvano ma la provincia è
sempre pronta a trovare un soprannome. E da Silvano a Silver la strada è
breve». Con la sua voce dimessa e magnetica, sottolineata da una nota sulfurea e intrisa di umorismo amaro, il protagonista ci porta dentro una storia che,
lette le prime righe, non riusciamo più
ad abbandonare. Con “Tre atti e due
tempi” Giorgio Faletti ci consegna un
romanzo perfetto come una partitura
musicale e teso come un thriller, che
toglie il fiato con il susseguirsi dei colpi
di scena mentre ad ogni pagina i personaggi acquistano umanità e verità. Un
romanzo che stringe in unità fili diversi:
la corruzione del calcio e della società,
la mancanza di futuro per chi è giovane,
la responsabilità individuale, la qualità
dell’amore e dei sentimenti in ogni momento della vita, il conflitto tra genitori
e figli. E intanto, davanti ai nostri occhi,
si disegnano i tratti affaticati e sorridenti di un personaggio indimenticabile.
Silver, l’antieroe in cui tutti ci riconosciamo e di cui tutti abbiamo bisogno.
1928-2011
lica (ironicamente, perché il
teatro di Shakespeare scardina l‟equilibrio aristotelico per
generare uno spazio di metamorfosi e di persistente disequilibrio, in cui non si dà catarsi). Il termine che si affianca a pathos e peripeteia. Si
tratta dell‟anagnorisis, del
riconoscimento,
dell‟agnizione. Fusini si interroga sul senso dell‟agnizione
nello spettacolo delle passioni,
come possibile scioglimento
del dramma. Se l‟enigma
dell‟identità è chiamato in
causa, la connessione con il
riconoscimento è inevitabile.
L‟eroe tragico è esposto al
tempo. Al tempo della propria
metamorfosi. E il tragico sembra consistere nel riconoscimento di sé di chi è soccombente. Ci dice Fusini: “V’è un
passaggio - ed è centrale - in
questa agnizione, che porta
l‟eroe a coesistere con la sua
colpa. Quanto allo spettatore,
compie anche lui
un‟agnizione: quel pathos tremendo che l‟eroe mette in scena lui riconosce di custodirlo
nella mente, e ora lo ritrova e
si ritrova Iago e Otello e Desdemona … Ce la farà? Perché
il vero eroe di questi drammi è
la mente di chi guarda, di chi
legge”. Così, come in un gioco
di specchi multipli, sullo sfondo di una luce che essenzialmente varia di intensità, noi
siamo indotti a prove incerte
d‟autoritratto. Questo effetto
generativo è proprio
dell‟offerta del poeta e del
drammaturgo. E della sua interprete appassionata, cui
vanno la nostra lode e la nostra gratitudine.
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
P a g i na 1 1
NOVITA’ : ECCO IL LIBRO IN EDIZIONE DI PREGIO E A TIRATURA LIMITATA CON CENTO IMMAGINI DEL MAESTRO
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L
’opera del grande
fotografo Guglielmo Chiolini è un magnifico patrimonio culturale, artistico e sentimentale per Pavia. Per
contribuire a custodirlo
e a trasmetterlo,
l’Associazione “Socrate
al Caffè per la cultura e
la conversazione civile”
e l’Associazione Culturale Pavia Fotografia
hanno pubblicato il volume dal titolo Guglielmo Chiolini: palazzi, scale e cortili
di Pavia stampato dalla Pime in 600 esemplari numerati e in edizione di pregio. Il volume,
che ha il patrocinio del
Comune e dei Musei Civici, è acquistabile fino
ad esaurimento delle
copie telefonando al
339.8672071 oppure
scrivendo a
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librerie. Il volume propone oltre cento scatti,
fino ad oggi in
gran parte inediti, dell’artista.
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circa quaranta
edifici, con cortili, scale e interni, illustrati
complessivamente da oltre
cento fotografie.
I diritti di pubblicazione delle
fotografie sono
stati da noi acquisiti appositamente per
questo libro presso i
Musei Civici di Pavia,
che custodiscono
l’Archivio Guglielmo
Chiolini, divenuto di
proprietà del Comune
grazie all’intervento finanziario della Fondazione Comunitaria della
Provincia di Pavia e dell’Unione
Industriali. La
realizzazione del
volume è stata
un’operazione
complessa, da
certosini. Infatti
ogni fotografia
pubblicata è
frutto della ricerca sui palazzi
di Pavia e sulle
loro pertinenze,
svolta dalla storica dell’arte Roberta Manara,
che, sotto la supervisione di
Susanna Zatti,
direttore dei
Musei Civici, lavora alla catalogazione e al recupero del Fondo Chiolini Ogni
fotografia è corredata da una
didascalia che
contribuisce a
dare corpo
all’immagine
riprodotta e a
inserirla nel contesto culturale
cittadino. E ogni didascalia è, a sua volta,
frutto di una ricerca
bibliografica, che ha
complessivamente richiesto mesi di lavoro.
Le immagini sono state
quindi scansionate, ottimizzate e predisposte
per la stampa dal direttore artistico del volume, il presidente
dell’Associazione Pavia
Fotografia, Antonio
Manidi, coadiuvato da
Barbara Pinca, che si è
occupata del coordinamento organizzativo.
Il volume, che si giova
anche della collaborazione con “Il giornale di
Socrate al caffè”, è introdotto da Sisto Capra,
presidente
dell’Associazione
“Socrate al Caffè per la
cultura e la conversazione civile”. Vi sono poi
un contributo di Susanna Zatti, che illustra il
ruolo meritorio del Comune nell’opera di catalogazione e conservazione dell’Archivio Guglielmo Chiolini, e
un secondo contributo
di Roberta Manara, che
spiega tecnicamente in
che cosa consista questa
complessa operazione.
Prefazione
di Salvatore Veca
L
a storia di una città può essere raccontata anche facendo rivivere i protagonisti del suo
passato. Li si può far rivivere raccontandoli attraverso le loro opere e le testimonianze di coloro
che ne scrissero, oppure immedesimandosi in loro fino a immaginarli vivi e reincarnati per un
giorno, tanto da poterli quasi
toccare, sentire, intervistare. È la
tecnica delle “interviste impossibili”. Sta per uscire nelle librerie
il volume di Sisto Capra “Le interviste impossibili”, pubblicato da Medea, una nuova editrice che debutta con questo titolo.
Il libro è arricchito dalle fotografie di Barbara Pinca e Antonio
Manidi di Pavia Fotografia. In
questo libro se ne raccolgono
sette, firmate da Capra per “Il
giornale di Socrate al caffè” e
pubblicate negli ultimi mesi.
L‟autore ha finto di trovarsi a
incontrare e intervistare illustri redivivi di un passato più
o meno antico che hanno
lasciato il segno della loro
presenza nella città: il Duca
Galeazzo II Visconti, fondatore dell‟Università di Pavia
nel 1361, catturato da un improbabile cronista “ socratico” nel 1371, durante gli immaginati festeggiamenti per
il decennale dello Studio Generale, primo nucleo del futuro ateneo; il genio
dell‟umanità Leonardo da
Vinci, protagonista di almeno sette soggiorni a Pavia
documentati tra il 1490 e il
1513, nei quali produsse immortali disegni e progetti,
conobbe e frequentò esimi
professori, letterati e artisti e
consultò i libri della famosissima
Biblioteca del Castello Visconteo;
l‟imperatore romano Cesare Augusto, che visitò l’allora Ticinum
nel 9 avanti Cristo e qui fu raggiunto dalla notizia della tragica
fine del figlio Druso nella guerra
contro i Germani; il filosofo Severino Boezio, che vi patì il supplizio per decisione del re dei
Goti Teodorico nel 524; Adelaide
Cairoli, la Madre d’Italia, che a
Pavia trascorse molti anni e qui
fu raggiunta dalle notizie della
tragica morte di quattro dei suoi
cinque figli martiri del Risorgimento; la poetessa Ada Negri,
che fu ospite del Collegio Boerchio di Pavia tra il 1931 e il 1943;
Cesare Angelini, prelato, critico
letterario, scrittore e rettore
dell‟Almo Collegio Borromeo
scomparso nel 1976.
O
gnuno di questi personaggi
è stato preso a prestito e,
per così dire, tirato per la giacchetta allo scopo di fargli
“raccontare” tanti pezzi della ricchissima storia di questa città. Il
contesto di queste interviste è
chiaramente di fantasia, non i
racconti che vengono messi loro
in bocca, tutti sostenuti da una
ricca e rigorosa documentazione.
Il genere delle “interviste impossibili” , che conobbe una certa
fortuna, fu proposto in Italia per
la prima volta dalla Radio nel
1972 e 1973 e successivamente
riproposto con uguale grande
successo da personaggi come
Umberto Eco, Carmelo Bene e
Alberto Arbasino. Abbiamo creduto di fare atto di immodestia e
ispirarci a questi maestri.
‟autore ringrazia Francesca
Paparella e la Medea Edizioni di Pavia per aver voluto inaugurare la propria attività con
questo libro; Salvatore Veca, direttore de “Il giornale di Socrate
al caffè”, per aver scritto la prefazione; Mirella Caponi, redattrice e impaginatrice del mensile;
la Tipografia Pime Editrice, che
da sei anni pubblica il mensile
contribuendovi con la propria
altissima qualità; Barbara Pinca
e Antonio Manidi di Pavia Fotografia per le loro immagini che
impreziosiscono i capitoli dedicati a Leonardo, Augusto, Boezio,
Adelaide Cairoli, Ada Negri e
Cesare Angelini; Marco Giusfredi, che ha illustrato con i suoi
disegni l‟ “intervista impossibile”
a Galeazzo II Visconti; Chiara
Maria Tardivello per la correzione delle bozze.
L
L
e interviste impossibili appartengono a un genere letterario che ha un illustre pedigree. Qualcuno ricorderà il
celebre ciclo dei primi anni settanta del secolo scorso, promosso da Rai due. A quel ciclo collaborarono autori del calibro di Umberto Eco e Giorgio Manganelli, Italo Calvino e
Guido Ceronetti, Alberto Arbasino e Andrea Camilleri. Nel
recente e aureo libretto di Cesare Segre, Dieci prove di fantasia, le ultime due prove consistono proprio in interviste
impossibili. La prima chiama in causa Giulio Cesare e la
seconda coinvolge l’elusiva amica di Montaigne, Marie Le
Jars de Gournay. Si parva licet, anche a me è capitato
l’anno scorso di mettermi alla prova con un’intervista a
Karl Marx, ben prima di Occupy Wall Street.
redo che alla base dell’idea di intervista impossibile vi
possano essere motivazioni differenti: il senso del passato, il divertissement intellettuale, la vocazione etica, il
desiderio di dare voce a punti di vista su noi e sul mondo
diversi e ironicamente inattuali, il gusto della sorpresa, il
piacere dello straniamento e, a volte, la cura per le memorie e le impronte di vite e di persone nel tempo alle nostre
spalle. Naturalmente, chi legge l’intervista impossibile non
si accorge dell’esigenza di un lavoro nascosto e che è bene
resti nascosto, per rendere la lettura più luminosa e fresca.
Il lavoro nascosto è quello della ricostruzione storica, della
documentazione, della ricerca delle fonti cui attingere per
dare la fisionomia più perspicua e nitida all’intervistato e
all’intervistata. Così, le interviste impossibili esemplificano,
al tempo stesso, l’esercizio dell’immaginazione e della fantasia e quello dell’indagine e del reportage, con un buon uso
della macchina del tempo.
uesto libro di Sisto Capra ha il passo giusto per affascinare chi legge, grazie alla prova di fantasia e
all’indagine accurata. E, soprattutto, alla voglia di restituire uno sguardo più ricco e attento sulle nostre questioni di
vita. Il cronista di Pavia riesce a catturare molte voci nel
tempo. Voci che ci parlano. Da Galeazzo II Visconti a Leonardo da Vinci, da Cesare Augusto a Severino Boezio, da
Adelaide Cairoli ad Ada Negri, sino a Cesare Angelini. Chi
legge queste pagine oscilla tra la sorpresa e la riflessione,
inseguendo nel giro delle domande e delle risposte, buone
ragioni per fare e farsi nuove domande. È un bel viaggio
delle idee di chi scrive e le idee di chi legge. Grazie di cuore,
caro Sisto. E buona lettura.
C
Q
Pagina 12
po del Paese nei prossimi decenni.
e celebrazioni dei 650 anni
ci hanno permesso di mettere in luce e di condividere con
tutta la società civile alcuni momenti salienti, che attestano la
centralità e la vitalità di questa
Università nei secoli e in particolare negli ultimi 150 anni.
Con la mostra “Le Università
erano Vulcani... Studenti e professori a Pavia nel Risorgimento”, abbiamo rivissuto il periodo in cui l‟Ateneo di Pavia, unico lombardo, è stato una fucina
di nuove idee, protagonista, coi
giovani e i professori, del cambiamento in atto, motore di
un‟adesione corale e sentita agli
ideali risorgimentali, difesi anche a costo della vita.
Allo stesso periodo è legata la
mostra “Raccontare l‟Italia unita: le carte del Fondo Manoscritti”, attualmente aperta, che
mette in luce l‟apporto che gli
scrittori hanno dato al sentimento unitario. I
centocinquant‟anni dell‟Unità
d‟Italia sono visti attraverso i
materiali d‟autore del Fondo
Manoscritti dell‟Università di
Pavia: dalle premesse poste da
Ugo Foscolo, che 200 anni fa
tenne in questo Ateneo
l‟orazione “Dell‟Origine e
dell‟ufficio della letteratura”,
fino a oggi, includendo anche il
nuovo progetto Pavia Archivi
Digitali.
l nostro presente affonda in
queste radici. E tutti noi siamo orgogliosi testimoni di questa eredità di ideali, conoscenze, progetti e valori che ci spronano ogni giorno ad allargare lo
sguardo e a confrontarci con un
mondo sempre più globale,
complesso e competitivo. È nostro preciso dovere far sì che il
presente e il futuro dell‟Ateneo
pavese siano degni eredi ed efficaci interpreti della nostra storia, adeguati alle esigenze della
società e del contesto socioeconomico, nazionale e internazionale. Anche se non possiamo nasconderci le crescenti difficoltà.
l Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2010,
redatto dall‟Istituto nazionale
di Statistica e presentato il 23
maggio scorso, evidenzia alcuni
dati molto preoccupanti per il
futuro del Paese. «Nel 2010 - si
legge - i giovani tra i 15 e i 29
anni che non lavorano e non
frequentano alcun corso di istruzione o formazione, i cosiddetti Neet (Not in education,
employment or training), sono
poco più di 2,1 milioni, circa
134 mila unità in più rispetto
all‟anno precedente (+6,8 per
cento). (…) la crisi ha peggiorato la già limitata capacità del
sistema di coinvolgere i giovani
dal punto di vista lavorativo,
cosicché la quota di quelli che si
trovano al di fuori del circuito
formazione lavoro sale dal 20,5
per cento del 2009 al 22,1 per
cento del 2010».
n questo contesto, proviamo
a soffermarci sui giovani laureati italiani e confrontiamo i
dati relativi alla Regione Lombardia, che lo scorso settembre
ha promosso il World Regions
Forum, con quelli delle principali regioni definite “motori
d‟Europa”.
L
O
ggi, 27 ottobre 2011, ricorrono i 650 anni
dall‟inaugurazione del primo
anno accademico dello Studium Generale di Pavia: una
data storica, che sono lieto di
poter celebrare insieme a voi in
questa giornata, che si caratterizza per l‟apertura internazionale, e che rende omaggio
all‟ateneo pavese, a Pavia come
città universitaria e al nostro
campus. Come sapete, le celebrazioni dei 650 anni sono state
onorate dall‟Alto Patronato del
Presidente della Repubblica; il
Presidente Napolitano ci ha fatto pervenire un messaggio di
augurio e di saluto, che desidero condividere con voi.
el corso di questo anno
intenso e coinvolgente,
abbiamo più volte messo in luce
la storia del nostro Ateneo, i
suoi momenti più significativi e
i Maestri più prestigiosi; abbiamo avuto modo di sottolineare
l‟apprezzamento e il sostegno
che, in epoche lontane dalla nostra, la componente politica ha
espresso nei confronti
dell‟attività di ricerca dei nostri
docenti; penso soprattutto
all‟apertura e al mecenatismo di
Maria Teresa d‟Austria e Napoleone Bonaparte; quest’ultimo
come testimonia lo stesso Volta
«propose all‟Istituto di decretarmi una medaglia d‟oro, ed
invitarmi a voler ancora continuare… le esperienze, con farle
in grande, e variarle a qualunque spesa».
ra pochi minuti il professor
Dario Mantovani, coordinatore scientifico delle celebrazioni dei 650 anni, rievocherà
l‟initium, quel 27 ottobre 1361
in cui Galeazzo II Visconti aprì
ufficialmente il primo anno accademico dell‟Università di Pavia, già allora frequentata da
studenti stranieri (cioè provenienti da altri territori e città
d‟Italia, oltre che dall‟estero).
Io voglio ora soffermarmi sul
presente, sottolineando alcuni
aspetti.
a rivista “Nature” ha scelto
proprio il Museo per la Storia dell‟Università di Pavia per
inaugurare nel 2008 la rubrica
“Hidden treasures” dedicata ai
musei universitari del mondo.
Mi domando se la nostra Università, insieme ad altre, i cui
meriti e risultati ho avuto modo
di illustrare in precedenti occasioni, dovrà continuare ad accettare di essere un “tesoro nascosto”, una nicchia preziosa,
oppure potrà - come da tempo
auspichiamo - avere un ruolo
veramente attivo nella valorizzazione dei giovani e, più in
generale, del capitale intellettuale, che è la nostra ricchezza
primaria, oltre a dare un contributo significativo per lo svilup-
N
T
L
Il discorso del Rettore il 27 ottobre
650° anniversario dell’apertura
ad opera di Galeazzo II Visconti
I
I
I
Angiolino Stella, Rettore
Anche in questo caso, dobbiamo rilevare che, nel confronto
Europeo, la percentuale di laureati della nostra regione, paragonata con l‟Europa, ci vede in
svantaggio:
in Lombardia i laureati tra i 25
e i 64 anni sono il 15%, contro il
28,6% nel territorio francese
Rhônes-Alpes, e il 29,3% del
Baden Wurtenberg.
Se limitiamo l‟analisi alla popolazione tra i 30 e i 34 anni, possiamo constatare che il 20,29%
di Laureati in Lombardia, è
molto lontano dall‟obiettivo del
40% di Europa 2020. Allargando lo sguardo all‟intera penisola, la fotografia che ci viene offerta da Almalaurea è molto
eloquente: nei quattro anni che
precedono quello attuale, il calo
delle matricole, a livello nazio-
nale, è stato del 9.2 %, mentre
dal 2007 al 2009 il tasso di disoccupazione a un anno dalla
laurea è aumentato dall‟8.6 % al
16.5%, per chi ha conseguito
una laurea specialistica a ciclo
unico; parallelamente è aumentato il numero dei nostri giovani che hanno trovato all‟estero
sbocchi adeguati alla loro formazione.
P a g i na 1 3
ribadire i nostri secolari principi fondativi: abbiamo la responsabilità di trasmettere alle generazioni future i valori e il patrimonio di conoscenza
dell‟Alma Ticinensis Universitas: un sapere interdisciplinare,
capace di affrontare le sfide più
difficili con nuovi approcci metodologici.
el 2011 il Massachussets
Institute of Technology –
MIT ha celebrato i 150 anni di
fondazione: desidero citare un
passaggio del discorso pronunciato dalla Presidente Susan
Hockfield, nel quale tutti noi
possiamo riconoscerci: «We
must also stay true to our passion for basic, curiosity-driven
research. We must stay hungry
for exploration, from the great
unsolved problems of mathematics, to the lyrical heights of
music, literature and art, to the
deepest recesses of nature and
outer space».
ono molto lieto di poter dare il benvenuto oggi alle delegazioni internazionali, alle
università più antiche
d‟Europa, alla European
University Association, e alla
più prestigiosa università americana, la Harvard University:
celebrare insieme a voi 650 anni di attività accademica significa rendere evidente a tutti che
l‟Universitas non ha confini,
che il confronto è per noi linfa
vitale e che, come recita il nostro motto “Il futuro ha radici
profonde”.
l 17 novembre 1801, Alessandro Volta scriveva al fratello
Luigi, a proposito delle sue scoperte e in particolare della scoperta della pila: «Ecco tutto
quello che ho fatto. Quanto al
nuovo apparato, a cui sono stato condotto man mano dalle
sovraccennate mie scoperte, ho
ben creduto che avrebbe fatto
dello strepito. Ma non mi sarei
mai immaginato che dovesse
farne tanto».
Rileggendo con emozione e ammirazione queste espressioni di
umiltà di uno dei più grandi
Maestri dell‟Università di Pavia,
le cui scoperte sono patrimonio
dell‟Umanità, mi sono domandato se Galeazzo II Visconti si
sarebbe mai immaginato che
quel suo ordine del 27 ottobre
1361 sarebbe giunto fino a noi.
“Mandamus vobis, quatenus
proclamari faciatis in Civitatibus vestris, in locis consuetis,
quod quilibet Scholaris debeat
ad Civitatem nostram Papiae
statim accedere” così Galeazzo
II ordinava il 27 ottobre 1361,
nell‟inaugurare il primo anno
accademico dello Studium Generale di Pavia e con le sue parole dichiaro oggi ufficialmente
aperto l‟anno accademico 20112012, 651° dalla fondazione dello Studium Generale, 1187°dal
N
IL RETTORE STELLA
ALL’INAUGURAZIONE
DELL’ANNO
ACCADEMICO
zo possibile per valorizzare i
giovani e le loro capacità, ma
non è impresa facile. Diventa
allora essenziale il significato
almeno simbolico (e
l‟incoraggiamento che ne può
derivare) di alcuni risultati. Mi
riferisco, per Pavia, al premio
Bellisario, la cui ultima edizione
ha premiato due ricercatrici del
nostro Ateneo - unico a ricevere
un doppio riconoscimento -, e
mi riferisco anche agli esiti del
primo bando del Programma
IDEAS del 7° Programma Quadro, che ha visto i giovani italiani al primo posto per percentuale di partecipazione, al secondo per percentuale di successo.
Per quanto riguarda ancora Pavia, nell‟ambito degli European
Research Council Starting
Grant 2010, del VII programma
quadro, ben due progetti - sui
tre presentati in Physical Engineering – sono stati finanziati,
su un totale di 11 progetti con
host institution italiane.
unque, come ben sappiamo, siamo in grado di formare ricercatori d‟eccellenza,
più che competitivi in campo
internazionale: la classifica QSTHE (topuniversities) vede più
di una università italiana, tra
cui Pavia, nelle prime 150 del
mondo, se ci si limita al parametro “citation faculty”, che
può considerarsi una misura
chiara ed esplicita della qualità
della produzione scientifica.
Anche sulla base di questi dati e
pensando al talento di tanti giovani, dobbiamo continuare a
nutrire la speranza di essere
competitivi, internazionali, e
incidere in modo significativo
sul futuro. Ogni segnale, come
la parziale ma significativa
compensazione dei tagli del
Fondo di Finanziamento Ordinario previsti per il 2012, recentemente annunciata, può rappresentare un aiuto e uno stimolo.
‟occasione di questa celebrazione, alla presenza della CRUI, dell‟EUA e del Gruppo
di Coimbra è per tutti noi
un‟occasione fondamentale per
D
dell’Università di Pavia
S
egnali che vanno inseriti nel
quadro generale che già ho
delineato in qualche occasione:
- In Italia la percentuale di PIL
dedicato a Università e ricerca
oscilla da anni intorno all‟1%
(meno della metà di Francia e
Germania);
- la percentuale di ricercatori
rispetto alla totalità dei lavoratori è inferiore allo 0.3% (meno
della metà di Gran Bretagna,
Francia e Germania);
- gli sbocchi professionali per
chi consegue il “dottorato di
ricerca”, sono decisamente inadeguati.
- Ormai il 35% dei 500 migliori
ricercatori italiani nei principali
settori di ricerca ha lasciato il
nostro Paese. La ricaduta complessiva di tale fenomeno sul
sistema socio-economico dei
Paesi ospitanti si misura in non
pochi miliardi di euro.
ono dati che si commentano
da soli e ci inducono a porre
a voce alta una domanda: il
nostro Paese intende riconoscere il ruolo delle Università nella
formazione dei giovani e nella
preparazione del futuro
dell‟Italia, come avviene nei Paesi più avanzati? Da parte nostra, confermiamo la volontà di
fare quotidianamente ogni sfor-
S
L
S
I
Pagina 14
N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
L’Istituto
Universitario
di Studi
Superiori:
la storia
dal 1997
e i programmi
per il futuro
S
e facciamo un piccolo passo indietro rispetto alla
data di oggi, che celebra i 650
anni di vita dell‟Università di
Pavia, e ritorniamo al 1996, ci
accorgiamo che il mosaico del
sistema universitario pavese
era già composto quasi per
intero e che questo sistema
poteva già allora considerarsi
un sistema di eccellenza: esisteva un‟Università storica
che aveva contribuito, come
poche altre, al progresso delle
scienze umane e del sapere
scientifico; esistevano i Colle-
ROBERTO SCHMID
P
avia non aveva una Scuola Superiore come la Scuola
Normale o la S.
Anna di Pisa o la
SISSA di Trieste,
nate per offrire ai
giovani di particolare talento la
possibilità di integrare il sapere acquisito frequentando i
corsi universitari proposti alla
generalità degli studenti con
insegnamenti aggiuntivi riservati a un piccolo numero di
Roberto Schmid, Direttore dello IUSS
zati, costringendoli a completare la loro formazione solo
dopo la laurea, il più delle volte all‟estero, con il rischio di
un non ritorno.
el 1996, a Pavia mancava
questa opportunità; a
Pavia non esisteva una Scuola
Superiore che si affiancasse
all‟Università per completare
la formazione dei suoi studenti migliori così come avveniva
a Pisa nel rapporto tra la Normale e S.Anna e Università.
Non esisteva a Pavia e non
esisteva in tutto il Nord Italia
perché la Scuola Superiore
SISSA di Trieste operava solo
a livello post-laurea con dottorati di ricerca internazionali.
el 1997 si apre per Pavia
una prospettiva nuova.
Con un Accordo di Programma firmato a Roma il 19 Febbraio con il Ministero
dell‟Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica
(MURST), le Università di
Catania, Lecce e Pavia si impegnavano a sperimentare
presso le proprie sedi, nuovi
modelli di Scuole Superiori
che arricchissero l‟offerta di
alta formazione nel nostro
Paese. Lo specifico Accordo
riguardante l‟Università di
Pavia venne firmato qualche
mese più tardi, nell‟Ottobre
1997 dal Ministro Luigi Berlinguer e dal sottoscritto nella
veste di Rettore
dell‟Università di Pavia.
L‟Accordo aveva la validità di
5 anni, al termine dei quali
potevano verificarsi tre possibilità a seconda del giudizio
espresso dal Comitato Nazionale di Valutazione sulla base
del rapporto redatto da una
sua commissione al termine
di una accurata visita a Pavia.
N
gi universitari che da secoli
interpretavano un fondamentale diritto dei giovani sancito
anche dalla nostra Costituzione repubblicana, ossia quello
di poter accedere ai più alti
gradi d‟istruzione, acquisendo
la capacità di esercitare qualsiasi professione, indipendentemente dalle condizioni economiche delle proprie famiglie. Attorno all‟Università e
ai Collegi si era sviluppata una città universitaria dove
l‟antica regola “Mens sana in
corpore sano”, trovava piena
espressione, senza quegli eccessi che oggi riempiono spesso le pagine della cronaca, e
se per caso non stavi bene ti
prestavano soccorso Centri di
ricovero e cura a carattere
scientifico di altissimo livello.
Sembrava che non mancasse
proprio nulla per dire che Pavia possedeva un sistema universitario da considerarsi unico. Eppure qualcosa mancava.
studenti rigorosamente selezionati in base al merito e ai
quali venissero offerte particolari condizioni di studio. A
mio avviso, il diritto allo studio universitario va inteso nel
senso che a ciascuno deve essere offerta la possibilità di
esprimere pienamente la propria capacità. Era quindi giusto articolare l‟offerta in corsi
di laurea triennali e corsi si
laurea magistrale in cinque
anni, con la possibilità di proseguire gli studi frequentando
corsi di master o di dottorato.
In questa interpretazione del
diritto allo studio universitario, era altrettanto giusto prevedere, per i giovani di particolare talento, ulteriori percorsi formativi adeguati alle
loro non comuni capacità, da
frequentare nel periodo prelaurea. Se così non fosse, sarebbero proprio questi studenti, che costituiscono un
capitale umano assolutamente prezioso, a essere penaliz-
N
S
e il giudizio fosse stato
positivo, la nuova struttura, che nel frattempo avevamo
chiamato Istituto Universitario di Studi Superiori, IUSS,
sarebbe stata riconosciuta come Scuola Superiore a ordinamento speciale, con propria
personalità giuridica e piena
autonomia didattica, scientifica, amministrativa e finanziaria; se il giudizio fosse stato
non completamente positivo,
il Ministero avrebbe richiesto
allo IUSS un ulteriore periodo
di sperimentazione; se il giudizio fosse stato negativo, la
sperimentazione sarebbe stata considerata terminata e lo
IUSS avrebbe chiuso i battenti. Nel tempo intercorso tra il
Decreto del 1997 e la visita
della Commissione del Comitato di Valutazione, allo IUSS
si è lavorato con grande impegno e incredibile entusiasmo,
perché era chiaro a tutti noi
quale valore la nascita di una
Scuola Superiore avrebbe avuto per il sistema universitario pavese.
bbiamo dovuto superare
non poche difficoltà. Per
verificare l‟effettivo interesse
per una nuova Scuola Superiore a Pavia, il Miur ci finanziava solo il 60% dei costi:
siamo riusciti a trovare, fuori
dall‟Università, il rimanente
40% e qui devo ringraziare in
modo particolare la Fondazione Cariplo. Non potevamo
costituire un organico docente
di ruolo e molti docenti
dell‟Università di Pavia e di
altre Università ci hanno aiutato facendosi carico di ulteriori impegni didattici pur di
consentire la copertura di tutte le esigenze dei corsi ordinari dello IUSS.
A
O
ccorreva avviare una
qualificata attività di ricerca e non essendoci la possibilità di bandire posti di
ruolo, abbiamo messo in gioco il nostro buon nome per
stipulare convenzioni con altre Istituzioni di ricerca, contribuendo alla realizzazione di
progetti con la messa a disposizione di borse di studio e
assegni di ricerca.
ovevamo procurarci una
sede e l‟Istituto per il Diritto allo Studio, ci ha risolto
provvisoriamente il problema.
Abbiamo superato mille ostacoli, ma ci siamo riusciti. Ottenuto un giudizio positivo
del Comitato Nazionale di Valutazione e superati i tempi
della burocrazia ministeriale,
l‟8 luglio 2005, il Miur riconobbe allo IUSS lo stato di
Scuola Superiore a ordinamento speciale. Anche
l‟ultima tessera del mosaico fu
collocato nella sua casella,
ottenendo un sistema universitario da considerarsi unico
per il nostro Paese.
a quella data storica, 8
luglio 2005, lo IUSS ha
fatto davvero tanta strada superando diffidenze e gelosie e
tutti quegli ostacoli che una
cronica insufficienza di finanziamenti ci poneva quotidianamente davanti. L‟attività
pre-laurea è stata articolata in
quattro classi: Scienze Umane, Scienze Sociali, Scienze
Biomediche e Scienze e Tecnologie. A livello post-laurea
sono stati attivati corsi di
master internazionali e corsi
di dottorato di ricerca. Sono
stati istituiti sette Centri di
Alta Formazione e Ricerca,
rapidamente inseriti in un
D
D
(Continua a pagina 15)
P a g i na 1 5
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
ROBERTO SCHMID CON SALVATORE VECA (AL MICROFONO) E ANDREA MORO.
SOTTO, LA FESTA PER L’ISTITUZIONE DELLO IUSS NEL LUGLIO 2005.
NELL’ALTRA PAGINA, SCHMID ALL’UNIVERSITÀ DELLA GIORDANIA E, PIÙ SOTTO,
IN COREA.
(Continua da pagina 14)
contesto scientifico internazionale di altissimo livello.
ono stati finalmente chiamati i primi docenti di
ruolo rivolgendoci a studiosi
di fama internazionale. Oggi
possiamo anche contare su
numerose convenzioni con
prestigiose istituzioni universitarie e Centri di Ricerca italiani e stranieri, convenzioni
tutte perfettamente attive. Mi
piace citare una delle più recenti: la convenzione con il
S
Collège de France, tempio della cultura e dell‟alta formazione francese, fondato a Parigi
nel 1530 da Francesco I con il
nome di Collège Royale. Sono
previsti: uno scambio di studenti di dottorato e di ricercatori e l‟istituzione presso lo
IUSS, con costi a carico del
Collège, di una Cattedra
“Collège de France”, dalla
quale insegneranno famosi
docenti del Collège.
gni anno, abbiamo visto
crescere il numero di studenti stranieri accolti nei nostri percorsi di master e di
dottorato. Anche qui un esempio per tutti: per frequentare
il programma “masterdottorato” in Riduzione del
rischio sismico, a fronte di
una quarantina di posti disponibili sono pervenute circa
O
800 domande da 150 paesi
diversi.
o IUSS ha avuto un ruolo
determinante nella realizzazione a Shanghai di un
Campus italo-cinese. Presso
l‟Università Tongji sono attivi
corsi di laurea e di laurea specialistica in alcuni settori
dell‟ingegneria e presso
l‟Università Fudan corsi nel
settore dell‟economia. I partners cinesi occupano i primi
posti nel ranking delle Università cinesi.
L
N
el Mediterraneo, lo IUSS
ha progettato e avviato
una rete di centri di Alta Formazione e Ricerca, dove potessero operare, assieme, docenti e ricercatori delle Università locali e docenti e ricercatori europei in particolare
italiani. Sono stati attivati
centri in Tunisia, Egitto, Palestina, Giordania, Creta e Turchia. I giovani che venivano
preparati in questi Centri avrebbero dovuto costituire la
classe dirigente del loro paese,
aperta alla collaborazione con
l‟Europa e con l‟Italia in particolare. Purtroppo questo magnifico progetto è stato lasciato cadere sotto il Ministero
Mussi, offrendo alla Francia e
alla Spagna la possibilità di
riprenderlo e svilupparlo per
affermare una loro leadership
nel Mediterraneo. Vorrei ancora ricordare il corso di
master in “Gestione integrata
dell‟ambiente urbano in grandi aree metropolitane” organizzate dallo IUSS assieme ad
altre Università italiane, tra
cui l‟Università di Pavia, in
occasione dell‟Esposizione
universale di Shanghai, il cui
tema era “Better city, better
life”. Ci proponiamo, per il
2012 di organizzare un secondo master internazionale legato al tema dell‟Esposizione
radossalmente lo IUSS è più
noto all‟estero che in Italia.
ggi stiamo vivendo tutti
un momento di grande
difficoltà, le Università e le
istituzioni di ricerca, in particolare. Mentre in altri paesi,
come la Francia e
l‟Inghilterra, si è affrontata la
crisi riducendo molti capitoli
della spesa pubblica, ma dedicando più risorse
all‟insegnamento superiore e
alla ricerca nella convinzione
che questo avrebbe portato a
Questo deve accadere anche
nel campo dell‟istruzione superiore e della ricerca. In questo quadro, l‟alleanza Università di Pavia - IUSS deve considerarsi assolutamente strategica per fare di Pavia un
centro di riferimento unico,
non solo in campo nazionale,
ma anche in campo internazionale. Si può e si deve.
L‟Università ha già affermato
il proprio primato in alcuni
settori e lo IUSS può solo concorrere formando il capitale
umano necessario per mantenere questo primato. Lo IUSS,
di dimensioni incomparabilmente più piccole, è obbligato
a fare la scelta di un numero
molto limitato di settori e
puntare tutto su questi. Ovviamente sono stati scelti settori nei quali lo IUSS è già noto in campo internazionale.
Gli organici dello IUSS non
permettono, però, di esplorare questi settori a tutto campo, come si richiede per diventare un centro di riferimento internazionale. Si sta
Internazionale di Yeosu, Corea, creando un ponte accademico che terminerà a Milano
(o Pavia) in occasione della
Expo del 2015.
an mano che lo IUSS
acquisiva notorietà, il
numero di domande d‟accesso
andava crescendo e a fronte di
70 posti disponibili abbiamo
ricevuto, con l‟ultimo bando,
più di 300 domande, da tutta
Italia. Abbiamo sempre lavorato senza troppo clamore,
privilegiando i fatti alle parole
e questo è stato forse un errore in un‟epoca con il culto della comunicazione, un‟epoca in
cui l‟apparire è talvolta più
importante dell‟essere. Lo
IUSS è ancora poco noto nella
stessa Pavia e molti ancora
ritengono che lo IUSS sia una
struttura dell‟Università. Pa-
maggiori capacità
d‟innovazione e quindi al consolidamento della propria
presenza su alcuni mercati e
alla conquista di nuovi mercati, in Italia, all‟inizio della crisi
sono stati ridotti i finanziamenti ad entrambi questi settori. È vero che prima di dare
nuove risorse, occorre verificare come vengano usate
quelle già disponibili e quindi
occorre innanzitutto insistere
sulla valutazione ed avere il
coraggio di troncare i rami
secchi per far crescere i rami
più verdi. I momenti di crisi
sono anche momenti in cui si
richiede di rivedere i propri
processi produttivi, evitando
di competere all‟interno e facendo invece forti alleanze o
aggregazioni per essere competitivi sul mercato esterno.
quindi costruendo una rete di
collaborazioni (dagli Stati Uniti, all‟Europa, alla Cina, alla
Nuova Zelanda), che abbia
come nodo di riferimento Pavia e copra l‟intero campo delle conoscenze necessarie.
Ovviamente non avrebbe neppure senso immaginare questa operazione senza il concorso dell‟Università di Pavia
e di altre Istituzioni di ricerca
e sviluppo presenti sul territorio.
nsieme è possibile e possiamo immaginare un futuro
in cui si possano incontrare
per le strade di Pavia studenti
e ricercatori provenienti da
ogni parte del mondo e vivere
a Pavia quell‟ambiente multietnico che si respira a Oxford
o a Cambridge, che di Pavia
hanno anche dimensioni con-
M
O
I
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N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
Viaggio - reportage dalla nuova Europa dell’Est che sta cambiando volto
LEOPOLI (L’VOV O L’VIV) È LA SECONDA CITTÀ
DELL’UCRAINA (DOPO LA CAPITALE KIEV).
SI TROVA NELLA GALIZIA, AL CONFINE CON LA
POLONIA; CONTA CIRCA 800 MILA ABITANTI
ED È IL CAPOLUOGO DELL’OMONIMA PROVINCIA.
QUI SOPRA, LA BANDIERA UCRAINA.
V
edova da un mese,
sono partita il 28
ottobre scorso per l'Ucraina, in compagnia di
Nadia, ucraina, che ha
assistito mio marito con
professionalità, empatia,
dedizione assoluta. Per
dimostrarle la mia riconoscenza, le ho pagato
un breve ritorno in patria, in occasione del
matrimonio di un nipote. Ospite a casa sua,
nella periferia di Lviv,
che noi chiamiamo Leopoli, ne ho approfittato
per rivedere l'Ucraina
trent‟anni dopo averla
percorsa tutta, in macchina e tenda, con quattro amici italiani.
n una settimana di
permanenza non sono
riuscita a vedere completamente la città, capitale della Galizia che è
stata una vera sorpresa,
emozionante e piena di
fascino. Non sapevo che
Lviv è stata riconosciuta
dall‟Unesco patrimonio
dell'Umanità e mi ha
sconcertato il fatto che a
torto non rientra nei circuiti turistici più gettonati. Penso che si rifarà
quando nel 2012 si svolgeranno i campionati
europei di calcio per i
quali stanno lavorando
alacremente per rifare
stadi, aeroporto e aggiustare le strade, con i soldi dell‟oligarca Akhmetov, l’uomo più ricco
dell‟Ucraina, appassionato di calcio, lo sport
più amato dagli ucraini.
augurabile che i tifosi che accorreranno
non si limitino agli stadi
dell‟Ucraina ma trovino
il tempo di scoprire il
centro della città che si
presenta come un gioiello sconosciuto, misterioso e dall‟architettura inaspettata. La città è
stata infatti costruita
come una ricca torta a
più strati, dove nei secoli
l‟architettura neoclassica
si sovrappone agli stili
rococò, barocco, rinascimentale, gotico e medievale. Ho apprezzato anzitutto la piazza centrale
del Municipio con una
torre altissima da cui, se
si ha il coraggio di fare
oltre 400 gradini, si gode un bellissimo panora-
Elogio delle badanti
ucraine
e della città di L’vov
Marta Ghezzi
PANORAMA DI LEOPOLI
I
È
si che hanno convissuto,
producendo oltre 300
tra chiese cristiane di
vari riti e sinagoghe. Oggi di sinagoghe ne sono
rimaste solo due, perlopiù chiuse mentre hanno
riaperto molte chiese
che i sovietici avevano
chiuso (una era diventata museo dell'ateismo) e
si nota ovunque un fervore religioso inaspettato. Tutti i giorni le chiese
sono affollate, piene di
gente, fiori, candele,
musica. E non si sa
quanto dovuto a genuina
devozione popolare o
contrapposizione, opposizione
politica
all‟evidente subordinazione dell‟attuale governo alla Russia di Putin.
n effetti la capitale
della Galizia ha giocato un ruolo fondamentale nel movimento che ha
portato all‟indipendenza
dell‟Ucraina nel 1991. È
qui che è riemerso il nazionalismo ucraino e la
Chiesa greco-cattolica ed
è qui che la gente elesse
all‟unanimità i politici
nazionalisti allestendo
dimostrazioni di massa.
Oggi la città guarda più
all‟Europa che alla Russia ed è stata un baluardo di politici orientati
verso occidente. Di fatto
capita di vedere in piazza banchetti propagandistici del governo filorusso
e
banchetti
dell‟opposizione che
protestano per la carcerazione della Timoscenko… Intanto Yanukovic
non è ricevuto dall‟UE
proprio per la questione
dei diritti civili.
urioso che sia i politici governativi che
quelli all‟opposizione
siano accusati di corruzione e in combutta con
le mafie locali e internazionali e l‟Ucraina si
trovi al 134 esimo posto
nell‟indice di percezione
della corruzione, accanto allo Zimbawe… In effetti i vincitori della rivoluzione arancione
hanno deluso e non sono
senza macchia e il popolo è generalmente scontento. Chi non vuole avere a che fare con le
varie mafie, conta solo
I
ma e da dove si possono
vedere
distintamente
tutti i 40 palazzi che segnano il perimetro della
piazza, tra cui spiccano
quelli rinascimentali dovuti a mercanti italiani,
greci, ungheresi, polacchi, ebrei. eccetera.
mperdibile la cappella
Boym, vicina alla Cattedrale, stupefacente
all‟interno. Imponente è
la Cattedrale cattolica
romana, piena di bandiere e di pesanti dorature barocche, oltre alla
Chiesa della Dormizione, ucraina ortodossa, e
alla Chiesa Armena, tra
le più antiche. Oltre alle
Chiese, numerosi sono i
Monasteri - Domenicani, Benedettini, Bernardini, Francescani, Studiti, Basiliti, eccetera.
nteressanti anche i
Musei dove si posso-
I
I
no vedere Rubens, Bruegel, Goya e Caravaggio e
altri pittori europei antichi e moderni. Bello anche il Museo di etnografia e artigianato, quello
della architettura e arte
polare, quello della birra, eccetera. Importante
è l‟Università, che ha
350 anni di storia, e il
Teatro dell‟Opera. Lviv
ha ricchi cartelloni non
solo di musica, balletto,
arte drammatica e sperimentale davvero sconcertante.
el Viale della Libertà(prospekt
Svobody), cuore della città,
si alternano monumenti
storici imponenti, composizioni floreali dedicate al poeta nazionale Taras Shevchenko, alla
Madonna di Medjugorye, ai futuri giochi olimpici, musicisti, statue
N
viventi, attivisti politici,
giocolieri, venditori di
merci varie. Per la sua
posizione geografica
Lviv è stata evidentemente un crocevia di
traffici e commerci vari.
ontrariamente alle
altre
città
dell‟Ucraina non si nota, almeno in centro,
nessun condominio in
cemento in stile sovietico. Lviv si fa vanto di
essere la città ucraina
meno sovietica e rivendica le sue origini nel
tredicesimo secolo. In
origine era Lev, dal nome del figlio del principe
Danilo Halytsky che fondò una fortezza e un castello sulla Collina alta.
Poi subentrarono i polacchi, che la chiamarono Lwvov. Nel 1700 fu
occupata dagli austriaci
che la chiamarono Lem-
C
berg. Più tardi i russi la
ribattezzarono Lvov
mantenendo il suo nome
storico. E ora gli ucraini,
che hanno conquistato
l‟autonomia
da
vent‟anni, la chiamano
Lviv. Tutti i toponimi
fanno comunque riferimento al leone, riprodotto in tantissimi modi,
anche ubriaco… In città
regna una vera cultura
dei caffè e delle taverne,
profondamente radicata,
ed è questo che fa tanto
mitteleuropea la città.
nazisti, che la occuparono per tre anni,
dal 1941 al 1945 fecero
morire 136 mila persone
nel ghetto ebraico e 350
mila nei campi di concentramento. La caratteristica storica di Lvov
era il perfetto equilibrio
numerico e culturale tra
cattolici, ebrei e ortodos-
I
C
(Continua a pagina 17)
P a g i na 1 7
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
Viaggio - reportage dalla nuova Europa dell’Est che sta cambiando volto
L’AMICA NADIA A LEOPOLI
MARTA GHEZZI A LEOPOLI
(Continua da pagina 16)
sulle rimesse delle donne
che
lavorano
all‟ovest, perlopiù come
badanti… La transizione
democratica era una
speranza, condivisa da
ucraini e polacchi (che
hanno fatto lo stesso
percorso ), ma in Ucraina, contrariamente
alla Polonia, le speranze
sono state cancellate.
Sotto certi aspetti gli
ucraini vivono meglio e
godono di maggiori libertà individuali, ma il
sistema politico ed economico resta invischiato
nella corruzione, nel
m a l a f f a r e
e
nell‟inefficienza.
a il popolo ucraino, che ha subito
tante disgrazie nella sua
storia, si dimostra orgoglioso, fiero, oltre che
paziente. Le donne soprattutto si dimostrano
molto forti, instancabili,
tenaci, oltre che esteticamente fiere, orgogliose, persino vanitose nel
vestirsi con accuratezza
M
ed eleganza, alla moda.
Sono stata ospite in un
matrimonio di campagna, con oltre duecento
invitati, cibarie, canti e
balli dalle 4 del pomeriggio alle 4 del mattino. I bambini erano deliziosi nei loro costumi
tradizionali. Le donne si
sono presentate con vestiti sgargianti, tacchi
altissimi, ma avevano
portato anche un cambio di scarpe per ballare
scatenate con l‟orchestra
che suonava musica popolare.
nserite nel contesto di
una società bisognosa, soprattutto nei primi
anni Novanta le donne,
che hanno peculiari caratteristiche come la leggendaria bellezza, la devozione coniugale, la
sensualità talvolta sfacciata nel vestire, hanno
fornito terreno fertile
per il proliferare di agenzie matrimoniali. E
anche per il turismo sessuale. La separazione
dei ruoli in base al sesso
IL MONUMENTO DEDICATO
AL POETA E PITTORE TARAS SHEVCHENKO
nali ed etiche. In particolare vorrei fare l‟elogio
delle badanti ucraine
avendone conosciute
tante e di varie provenienze. Intanto mi sembrano complessivamente affidabili, scrupolose,
attente non solo alla
persona ma anche alla
casa, alle cose, alla pulizia e all‟ordine. Sanno
unire dolcezza e fermezza, fierezza e pazienza,
scrupolosità e duttilità.
e ho un appunto da
fare è che il loro spirito di sacrificio le porta
a dimenticare se stesse, i
propri bisogni. Tutte
tese a soddisfare i bisogni dei loro famigliari in
patria, trascurano se
stesse, accontentandosi,
come evasione, di un
giro per i supermercati,
trascurando ogni altra
occasione di crescita
culturale. La massima
soddisfazione è spedire
quintali di roba a casa ,
dai
detersivi
all‟abbigliamento magari prodotto in Cina. Eppure nei mercati ucraini
si trova di tutto, per chi
ha i soldi. E siccome di
soldi nelle famiglie medie in Ucraina ne girano
pochi, sono fortunate
solo quelle che possono
contare sulle rimesse
delle parenti che lavorano all‟estero. Così è in
atto una forma di riscatto, di orgoglio da parte
delle donne ucraine, a
prezzo di grossi sacrifici,
sia materiali che affettivi.
oncludo con i versi
di una poetessa ucraina, Lesia Ukrainka,
di salute cagionevole,
che ha anche viaggiato
in Italia:
S
I
è ancora molto radicata
in una società paternalistica come quella ucraina, dove persino le tante
giovani in carriera danno al loro aspetto
un‟importanza maggiore
di quanto non facciano
le loro colleghe in Occidente. In realtà spesso
sono state escluse da
incarichi per cui erano
professionalmente qualificate e relegate nelle
posizioni più sottopagate sulla base di fattori
come l‟età, l'aspetto fisico e la situazione familiare. Il mercato del lavoro in Ucraina è un riflesso degli stereotipi
arcaici che ancora esistono circa le capacità
femminili .
nche per questo si
spiega il massiccio
fenomeno delle donne
ucraine che vengono in
Italia a fare le badanti,
alle quali vorrei fare un
elogio meritato come
quello per la città di
Lvov. Quando fu usato
questo termine in qualche norma giuridica o
circolare ministeriale
molti si indignarono, e
anch‟io. Apparve subito
come un termine dispregiativo. Sottolineava il
ruolo dequalificato, ancillare, di semplici custodi-osservatori di un
essere inferiore, fisicamente o psichicamente,
un badato appunto.
Qualcuno che non merita di più di un altro essere inferiore, dequalificato, emarginato, una donna casalinga e, se prezzolata, meglio straniera,
incapace di rivendicare
diritti.
A
L
e femministe giustamente hanno stigmatizzato il fatto che per
questo servizio le donne
bianche emancipate,
desiderose di un lavoro
qualificante, hanno delegato le straniere, sottopagate, sfruttate e obbligate a trascurare la propria famiglia, con orari
pesanti. E magari le
straniere sono laureate
e diplomate e, rifiutandosi di fare le prostitute,
accettano il pesante lavoro di accudire anziani,
invalidi, minori. Avendo
sperimentato anch‟io il
ruolo di badante, non ho
trovato un termine accettabile sostitutivo. Mica ci possiamo chiamare
care giver, come si nominano in inglese le
professioniste
dell‟assistenza. E allora
mi è venuta voglia di
esaltare questo ruolo di
badante che è un lavoro
di cura nobile come
quello dei notai che curano gli interessi dei
proprietari, come quello
degli spazzini che puliscono le strade e che
ora più dignitosamente
si chiamano operatori
ecologici. Esaltarlo non
solo per la sua indubbia
utilità (persino la Lega
l‟ha dovuto ammettere)
ma per le sue implicazioni affettive, relazio-
C
“…e io, pallida e tremante, andrò verso
l’oscurità con il mio altero, maestoso e misterioso genio.
Chi mi seguirà?
Qualcuno darà alle mie
labbra le sue parole,
svelerà tutte le meraviglie che conosce.
Allora voleranno versi e
N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1
Pagina 18
Lo scrittore americano Jonathan Franzen e gli anatemi della modernità
U
na zazzera di capelli brizzolati, 51 anni, giovanile e di
bell‟aspetto, nato a Chicago nell‟Illinois, ma
cresciuto a Webster Grove, un sobborgo di St.
Louis: “il Midwest è nel
mio Dna, gli odori e i
colori dell‟autunno nel
Minnesota, la qualità
della luce del mattino
sono particolarità che
non dimentichi, sono
queste le mie radici”.
Jonathan Franzen vive a
Manhattan, Upper East
Side, con la sua compagna Katrina Chetkovich;
trascorre le vacanze nella sua casa a Mass Landing, vicino a Santa
Cruz, California, dove
può praticare l‟attività
sportiva preferita di
“birdwatching”. Lavora
in un ufficio preso in
affitto, lontano da ogni
distrazione, scrive su un
PC portatile obsoleto,
sconnesso da Internet e
da ogni altro gadget tecnologico.
n un‟intervista rilasciata a Lev Grossman della rivista americana “Time”, in occasione della pubblicazione
del
suo
ro ma nzo
“Libertà” , cita il filosofo
Soeren Kierkegaard, uomo moderno più di
quant‟altri mai, e la sua
idea di “busyness”, quello stato di distrazione
costante che permette
alla gente di evitare le
realtà difficili e di mantenere le illusioni. È più
facile oggigiorno essere
“affaccendati”, nel senso
kierkegaardiano, con
cellulari, email, palmari,
videogiochi, che leggere
un libro nella quiete e
concentrazione profonda della mente. “Siamo
così distratti e
ingolfati dalle
tecnologie che
abbiamo creato e dal continuo ininterrotto bombardamento
della
cosiddetta informazione di
cui disponiamo, che è diventato per
me un imperativo scrivere libri che siano avvincenti e socialmente
utili per resistere al rumore assordante dei media. Il mio scopo sulla
terra sembra essere
quello di scrivere romanzi, mi sento davvero
più libero quando sono
incatenato a un progetto, più libero da colpe,
ansietà, noia, rabbia, da
una vita senza fine”. Le
sue parole
sembrano
riecheggiare quelle di
Rainer Maria Rilke, uno
scrittore amato da Franzen,
quando
nel
“Testamento”, 1921, scriveva: “Il principio del
mio
lavoro
è
I
LO SCRITTORE
E SAGGISTA
STATUNITENSE
JONATHAN FRANZEN
Luisa Lavelli
un‟appassionata sottomissione all‟oggetto che
mi tiene occupato, quello, in altre parole, cui
appartiene il mio amore”.
Un mondo dominato
dal consumismo tecnologico è una menzogna”, sostiene nel discorso pronunciato alla
cerimonia delle lauree al
Kenyon College, Ohio
(21.5.2011).
“L’ultimo
traguardo della tecnologia, il telos della technè,
è sostituire un mondo
naturale, un mondo di
uragani, difficoltà, cuori
infranti, con un altro
“
mondo slegato dalla realtà, disponibile ai nostri
desideri ... Il dolore nella
vita fa male ma non uccide. Vivere senza dolore
è come un non vivere ...
L‟alternativa è un mondo anestetizzato, autosufficiente, incoraggiato
dalla tecnologia”.
ranzen è accusato di
elitismo ma è una
critica mendace perché
lo scrittore è un alleato
formidabile del lettore
moderno, che, assediato
dai
media,
godrà
dell‟occhio
e
dell‟orecchio di Franzen.
Il suo nuovo romanzo
F
affiora
le
radici
nell‟esperienza umana;
chi legge trova i volti, le
relazioni, le passioni, le
situazioni, i compromessi, di cui aveva bisogno
per accrescere la propria
vita, rapportarsi, condividere la complessità
delle realtà che circondano noi uomini del XXI
secolo. I personaggi immaginati da Franzen sono così vivi da renderli
compagni del nostro
percorso temporale, grazie a una forza narrativa
magnetica, imbattibile,
in una cornice sociale
non solo americana ma
di tutti noi occidentali.
na giovane coppia,
Walter e Patty Berglund, laureati, appartenenti al ceto medio, orgogliosi degli sforzi compiuti in dieci anni per
ristrutturare una casa
vittoriana comperata
con quattro soldi nella
diroccata e decadente St.
Paul, Minnesota, si considerano “i giovani pionieri” di Ramsey Hill,
quartiere residenziale, o
meglio i discendenti dei
primi laboriosi fondatori
dell‟America piuttosto
che degli ingordi sac-
U
cheggiatori del territorio.
Patty, “una trasportatrice solare di polline sociologico, un‟ape affidabile” che ronza alla porta
dei vicini con un piatto
di dolcetti, un biglietto
della lotteria benefica,
qualche giunchiglia raccolta nella vallata che
colloca in un piccolo vaso comperato al centro
commerciale. Patty è
un‟atleta, una star del
basket con una carriera
promettente nella squadra dell‟Università del
Minnesota. Appartiene a
una famiglia ricca di elevata condizione sociale
del Westchester County,
New York City, seconda
sola a Manhattan per
ricchezza. La madre è
una “professional Democrat”, immersa nella politica dello Stato ; il padre, avvocato, eroe probono, con i soldi della
famiglia difende i poveracci, ispanici, gente di
colore e di altre etnie.
Patty è la maggiore di
quattro
figli
e
“notevolmente più stupida di ogni altra persona,
non effettivamente stupida ma relativamente
più stupida”. Non è una
“grande progressista” e
certamente non è una
femminista”; se scavi
sotto sotto la superficie
potresti scoprire egoismo, competizione e reaganismo.”
Si sentiva inferiore a
Walter in ogni categoria di conoscenza umana
eccetto lo sport, ed era
consapevole che la sua
carriera sarebbe stata
quella di allevare dei figli”. Provava una grande
gratitudine verso i suoi
genitori per non averla
mai incoraggiata a essere
una persona
creativa nelle
arti come le
due
sorelle;
alla fine è stato meglio essere stata cons i d er at a
“stupida”
e
“ottusa” che brillante e
straordinaria.
alter è cresciuto
nel rurale Minnesota, figlio di un ubriacone fannullone, veterano della guerra nel Pacifico, e di una madre che
gestiva il motel, lavorando come un mulo per
devozione e amore verso
il marito. Walter è un
modello di autodisciplina e abnegazione, di una
decenza talmente adamantina che il suo datore di lavoro, la 3M, società mineraria industriale, aveva ritenuto
utile parcheggiarlo nel
reparto ”assistenza e filantropia”, un posto
“
W
(Continua a pagina 19)
N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1
P a g i na 1 9
Lo scrittore americano Jonathan Franzen e gli anatemi della modernità
(Continua da pagina 18)
tranquillo e isolato, dove
la sua “gentilezza” sarebbe stata un “asset” per la
società. Ogni giorno fa il
pendolare in bicicletta,
manifestando così il suo
impegno per la causa
ambientale che perseguirà nel tempo con tono messianico e fervore
strampalato. La qualità
saliente di Walter, oltre
il suo amore per Patty,
era la sua capacità di
ascoltare gli altri, che
trovava sempre più brillanti e interessanti di lui
e di commiserarsi.
uando Patty viene
stuprata da uno studente del college, figlio
di attivisti politici molto
ricchi e influenti, i genitori si schierano dalla
parte del colpevole, quasi seccati e semplicemente imbarazzati di
fronte al dolore fisico e
psichico della figlia.
“Usare l‟io mi avrebbe
impedito di calarmi nei
panni dei miei personaggi” così Franzen affida a
Patty il compito di scrivere la sua autobiografia
su suggerimento della
sua terapista. Patty si
frattura un ginocchio e
l‟incidente doloroso pone termine alla sua carriera agonistica. Sposa
Walter, diventa una casalinga, educa una figlia,
Jessica, spaventosamente obbediente e saggia, e
Jocey, un ribelle, bello,
brillante. Giovane repubblicano universitario
sfida la sua famiglia andando a convivere con il
nemico della porta accanto, l‟arruffata famiglia di destra dove Carol,
ragazza madre, l‟unica
“che non aveva alzato il
tono signorile di Ramsey
Hill”, vive con la figlia
Connie, una teenager
paziente con “un metabolismo di un pesce
d‟inverno”, innamorata
di Jocey , e con il suo
compagno Blake, zotico,
rozzo, che si trascina nel
quartiere,
indossando
una maglietta dei Vikings, stivali da lavoro
slacciati, impugnando
una lattina di birra, sui
paraurti del suo pick-up
la scritta “Sono bianco e
voto”. Subito dopo il suo
arrivo inizia ad abbattere gli alberi del suo re-
Q
cinto che confina con la
casa dei Berglund, e a
scorrazzare selvaggiam e n t e
c o n
un‟escavatrice, presa a
noleggio, per fare spazio
alla costruzione di un
grande
“salone”
all‟aperto.
l perno cruciale del
triangolo dell‟amore è
l‟amico di Walter e compagno di stanza del
college universitario,
Richard Katz, musicista
rock, con una vaga somiglianza di Gheddafi, dal
quale Patty, come un
numero di altre donne, è
attratta, anche se Katz,
saturnino e sarcastico, è
strettamente legato per
qualche
ragione
“chimicamente profonda” al premuroso, zelante Walter. Una scena
vivida è quella che si
svolge nel cottage sul
lago, a nord del Minnesota, vicino alle” Grand
Rapids”, dove Patty, ora
sposata, e Richard, rigorosamente libero e scapolo “si aggirano come
una coppia di predatori.
Patty sta
leggendo
“Guerra e Pace”. Pietra
di
paragone
di
“Freedom” e ha appena
finito di leggere le pagine in cui Natasha Rostòv
si innamora del Principe
Andrei, pur essendo destinata al buon e babbeo
Pierre. Non aveva ancora letto quale sarebbe
stato il destino di Natasha e si tuffa nello stesso
errore nella pura brama
degli appetiti. Le sembrava di aver fatto sesso
per la prima volta”.
(Sam Tanenhaus, The
New
York
Times,
19.8.2010).
. Meyers nel suo articolo sulla rivista
americana “The Atlantic”, ottobre 2010, critica la prosa giovanile di
Franzen che “crea un
mondo dove niente
d‟importante accade”, e
il linguaggio scurrile, in
particolare l‟uso di
“fuck”, che trivializza
l‟atto d‟amore e connota
un sesso da bordello o,
nel migliore dei casi, impersonale. April Adamson, Minneapolis, “The
Atlantic”,
dicembre
2010: “… Franzen comprende la nostra alienazione perversa, la paura
I
R
esistenziale, l‟ipocrisia,
le vanità …. Più tragicamente Meyers non capisce che il romanzo è la
continuazione di una
lunga conversazione fra
Franzen e l’amico fraterno David Foster Wallace”. Compito del romanziere è impersonare ciò
che descrive, anche
quando è qualcosa di
svilito, volgare, noioso.
Non ci sorprendiamo
più se oggigiorno la
stampa, il palcoscenico,
i programmi televisivi, i
film in ogni forma d‟arte
sisti, i punk cocainomani, l‟ascesa dei neocon, i
giovani repubblicani delle università. È migliore,
però, quando torna a
parlare dei Berglund, dei
loro rapporti sempre più
incrinati, della loro separazione e del tentativo
dei figli di convincerli a
tornare insieme.
Berglund si trasferiscono a Washington,
dove Walter ha ottenuto
un lavoro lucrativo alla
Commissione Controllo
dell‟Ambiente e tutela
della natura. Vivono nel
I
denti di Jefferson, tutto
ciò per creare una riserva per un uccello canoro,
la dendroica cerulea,
nemmeno
inclusa
nell‟elenco federale delle
specie in via di estinzione. Questo divertente
stratagemma
o f fr e
l‟opportunità a Franzen
di dare piena voce alle
prediche estreme di
Walter su sovrappopolazione, consumismo, degrado ambientale, specie
in via di estinzione.
“Siamo un cancro sul
pianeta! È un perfetto
Jonathan Franzen
Freedom
Farrar, Strauss and
Giroux
New York, agosto 2010
pp. 562
Edizione italiana:
Libertà, Einaudi 2011
e la comunicazione di
massa in genere usano
un registro linguistico
billingsgate. È il linguaggio del mondo che
invade la nostra soggettività e intimità.
rancesco Piccolo, “Il
Sole 24 Ore”, 26 settembre 2010: “Il libro
parla al cuore tramite le
crisi e i sogni dei suoi
personaggi … parla anche ai cervelli di noi cittadini occidentali paralizzati dalla complessità,
rivelandoci gerghi, regole e meccanismi di tanti
sottomondi che hanno
un impatto indiretto sulla nostra vita”.
ranzen narra con
passione anche di
temi importanti in ordine sparso: la guerra in
Iraq, il basket universitario, l‟impegno civile e
la delusione dei progres-
F
F
quartiere
residenziale di
Georgetown con
giunchiglie
e
narcisi
nel giardino. È l‟occasione, dopo
la delusione di St. Paul,
di manifestare il loro
gusto eccellente e tono
signorile di “gente bene”
urbanizzata. Siamo ora
nel 2004, quando era
possibile
pensare
all‟America come a un
paese relativamente giovane
e
r icco ,
e
all‟avventura in Iraq come a una guerra strana
nella quale le uniche
perdite erano dalla parte
dell‟avversario, una cakewalk si diceva. Walter
greener than Greenpeace stranamente collude
con un ricco texano di
una compagnia petrolifera per spogliare la cima di una montagna nel
West Virginia, sebbene
ciò significhi sradicare
duecentomila famiglie
locali, la maggior parte
povere, tenaci discen-
maledetto mondo!” dichiara a un certo punto
del suo discorso, mentre
il suo sogno si dissolve
in una visione angosciosa di una terra dove i
vincitori possederanno il
futuro, calpesteranno i
morti, i morenti, i dimenticati, i disadattati.
er Franzen la libertà
è una cosa vuota,
pericolosamente entropica. Dopotutto le compagnie produttrici di energia sono libere di avvelenare l‟aria, inquinare
i mari, devastare il territorio. Vi è qualcosa oltre
la libertà di cui la gente
ha bisogno: il lavoro,
l‟amore, credere in qualcosa. La libertà non basta, non è sufficiente: ciò
che conta è che cosa tu
fai con la libertà, ciò cui
rinunci per la libertà.
Non dobbiamo quindi
sorprenderci - scrive
Franzen - se “la personalità sensibile al sogno di
libertà senza limiti sia
anche una personalità,
dovesse mai il sogno venire meno, incline e propensa alla misantropia e
rabbia” .
Sam Tannenhaus scrive: “L‟apocalisse quando
arriva apre la via a un
postludio ambientato
nel Minnesota, tanto
indimenticabile quanto
qualsiasi altra cosa scritta di recente da uno
scrittore americano.
Franzen ci fa vedere che
l‟unico sentiero verso la
libertà attraversa il dedalo della nostra vita
interiore “.
alter, ora un fanatico dalla barba
P
W
grigia e ispida sulle
guance, vive a Canterbridge Estate Lake, Itasca
State Park, e combatte la
guerra contro i gatti, che
invadono la sua proprietà, uccidono gli uccelli,
lasciando le carcasse nel
giardino. Dopo una serie
di litigi con Linda, indomita vicina di casa e
“tribuno” del quartiere,
pensa sia giunto il tempo per Bobby, il gatto di
Linda, di pagare personalmente per la sua sociopatia. Prese una trappola che collocò sul vialetto di casa, la riempì
come esca di fegatini di
pollo e bacon, e aspettò.
Dopo due ore sentì, dolce alle sue orecchie, il
miagolio straziante di
Bobby imprigionato che
tentava disperatamente
di uscire dalla trappola,
che Walter si affrettò a
gettare nel bagagliaio
della sua Prius e a depositare in una discarica di
Minneapolis. Di ritorno
al cottage, Walter cominciava a provare compassione per Bobby.
Trovò affisso a un tronco
di betulla all‟ingresso del
vialetto di casa un annuncio con la fotografia
di Bobby e la scritta “Mi
avete visto? Mi chiamo
Bobby e la mia famiglia
sente la mia mancanza”.
Non gli rincresceva di
aver eliminato una minaccia per gli uccelli, ma
la vulnerabilità che aveva visto sul musino di
Bobby lo rendeva consapevole di un “difetto fatale del suo carattere, il
difetto di provare compassione per gli esseri
che più odiava”: non un
difetto ma la qualità più
alta e umanizzante.
“ Voi , tutti, preziosi
vincitori, andate
insieme, partecipate
ad ognuno
la vostra esultanza, io,
vecchia tortora,
volerò su quale ramo
disseccato, e lì
lamenterò
il mio compagno (lui
non sarà
ritrovato) finché non
sarò perduta”.
[Traduzione di Agostino
Lombardo, “Il racconto
d‟inverno”, William Shakespeare (V,3)].
Sono le parole che Pauline esclama nella scena
finale del “Racconto
d‟inverno”, epigrafe di
Franzen al suo romanzo.
Patty, come Ermione
restituita a Leonte, si
riconcilia con Walter,
l‟unità famigliare si ricompone, nuovi matrimoni possono avvenire,
nuove vite nascere, si
rinsalda l‟amicizia fraterna fra Walter e Richard, quasi imitazione
di Leonte e Polissene,
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L’Antologia di Edgar Lee Masters pietra miliare della letteratura americana
Annalisa Gimmi
1915, sotto pseudonimo.
Quando però si rese conto del
successo che i suoi componimenti riscuotevano tra il pubblico, Masters decise di raccoglierli in volume e di firmarlo
con il suo vero nome.
a
pubblicazione
dell‟Antologia di Spoon
River è da considerarsi una
delle pietre miliari della letteratura americana. È, in poesia, quello che il Moby Dick di
Melville ha rappresentato per
la narrativa. Un archetipo a
cui tutti gli scrittori successivi
hanno guardato come imprescindibile modello, ma anche
un testo il cui senso travalica
quello letterale per giungere a
un‟interpretazione della vita e
del mondo. O meglio, della
vita e del mondo della provincia americana di un secolo fa.
esare Pavese disse di questo libro che è «la Divina
Commedia della letteratura
americana». Presa così,
l‟affermazione sembra
un‟iperbole. E fa quasi sorridere, di un orgoglio mal trattenuto, noi europei, noi italiani in particolare, depositari di
una cultura millenaria che ha
saputo creare opere che da
sole basterebbero a illuminare
l‟intera arte di un paese. Veri
e propri monumenti di
un‟epoca e di una mentalità.
Ma ecco, allora: anche Spoon
River è un monumento a
un‟epoca (quella puritana di
inizio „900 in New England) e
a una mentalità. E, come per
la Commedia, è un canto corale quello che le dà voce. Ed è
la voce dei morti.
i sa infatti che le 244 poesie che compongono la
raccolta sono ognuna pronunciata da un abitante di Spoon
River che ora dorme su La
collina (il componimento di
apertura, l‟unico che non sia
recitato da una delle persone
sepolte nel cimitero del paese). Si tratta di vere e proprie
confessioni in cui, senza pudori e senza ipocrisie, ognuno
racconta la propria visione
della vita, della sua e di chi lo
L
L
a provincia è sempre provincia. Un ambiente chiuso in cui tutti si conoscono e
in cui ognuno crede di conoscere tutto. Ma la verità si nasconde entro pieghe insondabili. Così ogni piccola comunità - possiamo pensare anche
alla nostra città, al suo fiume,
alla sua storia, alle sue persone - può diventare emblema
della vita intera. Cantore di
una piccola comunità e interprete delle sue verità più nascoste è stato all‟inizio del
„900 Edgar Lee Masters con il
suo Antologia di Spoon River,
uno dei testi più noti e più amati della letteratura americana. In Italia questa raccolta
di poesie ha ottenuto una notorietà speciale anche grazie
al cantautore Fabrizio De Andrè, che nel 1971 le ha dedicato uno degli album più belli,
“Non al denaro non all‟amore
né al cielo”, i cui testi sono
proprio ispirati alle poesie di
Edgar Lee Masters.
poon River esiste davvero.
Si chiama Lewistown e si
trova in Illinois, sulle rive del
fiume Spoon. È il paese dove
Edgar Lee Masters ha trascorso la sua infanzia, prima di
trasferirsi a Chicago dove ha
intrapreso la carriera di avvocato. Inizialmente, le poesie
della raccolta sono uscite alla
spicciolata sul “Mirror” di
Saint Louis tra il 1914 e il
S
C
S
ha accompagnato negli anni
terreni. Ed è qui la straordinarietà dell‟opera. 244 persone
svelano la propria esistenza, e
i suoi inganni, i suoi segreti
più inenarrabili, i sentimenti
potenti, gli odi, le passioni.
Perché sono sinceri, i morti.
Non devono più fingere in nome delle convenzioni, del perbenismo, del timore degli altri. E poi sono liberi, i morti, e
non temono di dare la propria
versione dei fatti, per scandalosa o impensabile possa apparire. Come per le anime incontrate da Dante: ora c’è
spazio, nell‟arco di pochi versi, per la Verità. Sia pure una
verità parziale, quella racchiusa nell‟animo di ognuno di
loro.
guidare la scrittura di
Masters è stata la lettura
dei classici greci e latini. Archetipo
indiscusso,
l‟Antologia Palatina, la raccolta approntata, nel X secolo,
di epigrammi greci che si articola in 15 libri, tra cui uno di
epitaffi. È qui che ad esempio
compare il testo di Meleagro a
cui si deve la frase “ti sia lieve
la terra”, diventata una sorta
di saluto funebre che spesso
compariva sulle lapidi di epoca romana e che verrà ripresa
dallo splendido epitaffio di
Marziale per Erotion, una
bambina morta a cinque anni,
forse il più toccante della letteratura di tutti i tempi:
“Mollia non rigidus caespes
tegat ossa, nec illi, / terra,
gravis fueris: non fuit illa tibi”. Sia lieve la terra, ai morti
di Spoon River. Alle loro parole che si innalzano nel silenzio della collina. Alle loro verità crudeli. Al vero senso della
loro vita.
l suo apparire in Italia,
l‟Antologia sollevò un
turbine da parte della censura
del tempo, proprio per
quell‟andare contro a ogni
convenzione, al perbenismo,
alla Chiesa, all‟autorità, a tutte le istituzioni su cui l‟Italia,
borghese e fascista, poneva i
suoi pilastri. Portato in Italia
A
A
da Cesare Pavese,
il testo fu letto da
un‟allora giovanissima
Fernanda
Pivano che ricorda
(nell’introduzione
all‟edizione italiana, Einaudi, Torino 1943) la commozione profonda
che un verso in
particolare suscitò
in lei: “mentre la
IN ALTO, LA COLLINA DI SPOON RIVER
baciavo con l'ani- (FOTO DI WILLIAM WILLINGHTON).
ma sulle labbra, / QUI SOPRA, FERNANDA PIVANO
l'anima d'improv- CON FABRIZIO DE ANDRÈ.
viso mi fuggì”. A A SINISTRA, LA COPERTINA DELLA PRIMA
parlare è Francis EDIZIONE DELL’ANTOLOGIA DI SPOON
Turner, un malato RIVER DI EDGAR LEE MASTERS.
di cuore che rinuncia alla vita in cambio dell‟emozione estrema di giornalista, l‟avvocato. Insomun bacio.
ma tutto “l‟inclito collegio poa Pivano iniziò così, per litico locale”. E poi ci sono le
un interesse puramente persone che non avevano un
personale, a tradurre alcune ruolo, se non quello di vivere
di quelle poesie, finché Pavese e di ricercare un‟impossibile
non ebbe occasione di leggerle felicità.
e decise che quei testi dovevae poesie si richiamano
no essere pubblicati.
spesso le une con le altre,
a, com‟è il paese di Spo- offrendo un lettura poliedrica
on River? Sappiamo che degli stessi fatti. Seguiamo
c‟è una chiesa, luogo di incon- alcune di queste vicende, cotro e di preghiera, ma anche me sono raccontate dai loro
una banca, una fabbrica di protagonisti. Uno scandalo di
scatolame che dà lavoro a cui ancora si sussurra in paese
gran parte degli abitanti, c‟è è stato quello che ha condotto
una ferrovia, e sappiamo che i alla morte Minerva Jones. Mipezzi grossi del paese voglio- nerva ci racconta di essere
no la costruzione di un acque- stata una giovane grossa e
dotto. Sono complessivamen- sgraziata, ma con uno spirito
te 248 i personaggi che com- lieve da poetessa (come non
paiono nell‟Antologia. I “pezzi pensare a Saffo …). Il “corpo
grossi” come Thomas Rodes, goffo, l'occhio guercio, e il
diacono e maggiore azionista passo largo” sono stati oggetdella banca, e suo figlio Ralph to delle risa di scherno dei
che, con investimenti sbaglia- giovani del luogo, finché un
ti, ha rovinato la banca del giorno uno di loro, “Butch”
padre (“io compravo grano Weldy, certo più per beffa che
anche per lui / che non pote- per desiderio, la profanò abva firmare i contratti a suo bandonandola al suo destino.
nome / per via dei suoi rap- Minerva, disperata, si presenporti con la Chiesa. / E men- tò al dottor Meyers, un uomo
tre George Reece scontò la sensibile e disposto a capire i
pena / io inseguii il fuoco fa- mali della gente, perché risoltuo del piacere / e l’inganno vesse nel silenzio un trauma
del vino a New York ”); il sin- che portava con sé un‟enorme
daco Boold; il giudice Slah vergogna. E lì, nello studio del
Lively; il procuratore legale medico, Minerva trovò la
Benjamin Pantier. E poi i me- morte. La sorte però ha le sue
(Continua a pagina 21)
dici, il farmacista, l‟ottico, il
L
M
L
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P a g i na 2 1
L’Antologia di Edgar Lee Masters pietra miliare della letteratura americana
A SINISTRA, LA
COLLINA DI SPOON RIVER (FOTO
DI WILLIAM
WILLINGHTON).
QUI, EDGAR LEE
MASTERS
A DESTRA,
CESARE PAVESE.
SOTTO,
LA COPERTINA
DEL DISCO
DI FABRIZIO
DE ANDRÈ “NON
AL DENARO NON
ALL’AMORE NÉ AL
CIELO”, DEL
1971, I CUI TESTI
ERANO ISPIRATI
ALLE POESIE DI
EDGAR LEE
MASTERS.
(Continua da pagina 20)
strane regole, ed ecco che
“Butch” Weldy, proprio quando pareva aver trovato un equilibrio (“Mi convertii e misi
la testa a partito”) saltò in
aria nella fabbrica di scatolame dove aveva trovato lavoro,
a causa di un‟esplosione e restò cieco e senza nessun risarcimento “Il Giudice distrettuale disse che chi lo aveva fatto
/ era un mio compagno di
lavoro, e dunque / il figlio del
vecchio Rhodes non mi doveva nulla”. Ma la seconda vera
vittima di questo scandalo,
insieme a Minerva, è il dottor
Meyers. Disponibile con chi-
unque avesse bisogno,
amato dai suoi pazienti,
serenamente sposato e
benestante, una sera vede arrivare da lui Minerva in lacrime che lo prega di aiutarla.
Lui ne ha pietà, e compie
un‟azione illegale. Ma Minerva muore, e la carriere e la
stessa vita del dottor Meyers
crollano di colpo. Non vale
un‟intera esistenza di onestà e
di dedizione, se un errore fatale si abbatte sul destino
dell‟uomo. La moglie di Meyers non riuscì mai a superare
questa vergogna e questo
shock. Nel puritanesimo del
New England certi errori non
possono essere perdonati. Anche il padre di Minerva parla,
il vecchio Jones “l’indignato”,
rimpiangendo il suo “buon
Giorgio
ceppo gallese” e il fatto di essere “stato a scuola” e aver
“letto dei libri”, perché
“Qualche volta la vita di un
uomo si trasforma in un cancro / a forza di venire continuamente ammaccata, / e
gonfia in una massa purpurea, / come escrescenza su uno
stelo di granturco”. E il ricordo della “povera Minerva, /
mia figlia, / che voi tormentaste e spingeste alla morte”
non è che uno dei tanti episodi che hanno distrutto la sua
vita.
‟è un altro medico a Spoon
River, amato da tutti per
la sua dedizione al prossimo,
per la sensibilità nei confronti
dei malati e dei sofferenti, per
C
la sua capacità di esserci semForni
pre quando c‟è bisogno di lui,
a ogni ora, in ogni giorno. Un
uomo considerato quasi un
santo o un eroe. Si tratta del
dottor Hill che nel suo epitaffio ci confessa: “Sapete perché? / Mia moglie mi odiava,
mio figlio andò in rovina; / e
io mi volsi alla gente e riversai su questa il mio amore”.
Solitudine e disperazione, nella vita dell‟amato dottore. Ma
solo quello? No: una donna lo
ha amato diversamente, in
silenzio, con discrezione e rispetto. E l‟ipocrisia della gente
non ha mai permesso che questo amore fosse onorato come
meritava, neppure nel momento dell‟addio. “Ma, Dio
mio, mi tremò l’anima - a
stento / capace di reggersi
davanti alla nuova vita /
quando vidi Em Stanton dietro la quercia / della tomba, /
che nascondeva se stessa, e il
suo dolore!”. Già, il matrimonio a volte può essere peggio
di una prigione. Soprattutto
quando non si riesce a parlare
e ad ascoltare, quando non ci
si capisce e si è inflessibili sui
propri principi. Come racconta Ollie McGee che si sente
rapinata “di giovinezza e bellezza” e che ora, da morta, ha
la sua vendetta: “sapete cos’è
che rode il cuore a mio marito? / L’aspetto che ero,
l’aspetto di ciò che mi ha reso!”.
a non sono tutte dolorose, le storie di Spoon
River. C‟è anche la gioia, la
pace, la capacità di vivere. La
felicità è una cosa strana che
si trova dove meno si pensa.
Willard Fluke muore disperato perché crede che la sua
bambina, Lois, nata cieca, sia
stata la giusta punizione per i
sui peccati, ma Lois è invece
totalmente felice: “fui la più
felice delle donne / come moglie, come madre e massaia /
M
[…] / perché giravo per le
stanze / e per il giardino /
con un istinto infallibile come
la vista, / quasi che avessi gli
occhi sulle punte delle dita - /
Gloria a Dio nei cieli”. È felicità anche ricordare i luoghi
della giovinezza, come fa Hare
Drummer: “Spesso ridendo
con ragazzi e ragazze / io
giocai nella strada e sulle colline / quando il sole era basso
e l’aria fresca, / fermandomi
a bastonare il noce / ritto,
senza una foglia, contro il
tramonto in fiamme”. (Come
non ricordare l‟orizzonte
fiammeggiante del finale del
primo tempo di Via col vento?
Quando Rossella, dopo aver
raspato la terra bruciata alla
ricerca di una radice che potesse placare il suo digiuno,
alza un pugno pieno di rabbia
verso il cielo al tramonto giurando che “non avrebbe mai
più sofferto la fame”). La brigata dei ragazzi arrivava fino a
casa di Siever, che sedeva sotto il suo melo, a bere il sidro
che lui ne traeva. E sotto quel
melo ora riposa lo stesso Siever: “Non in quel giardino
abbandonato / dove i corpi si
trasformano in erba / che
non nutre greggi, e in sempreverdi / che non portano
frutto / […] / ma qui sotto il
melo / che amavo, vegliavo e
sarchiavo / […] / e negli epitaffi viventi / di mele più rosse!”.
nfine c‟è il suonatore Jones,
amato da Fabrizio De André, che ha trascorso la vita a
cantare e a portare agli altri la
gioia e la voglia di danzare, e
che nella versione musicale
del cantautore genovese “finì
con i campi alle ortiche / finì
con un flauto spezzato / e un
ridere rauco / e ricordi tanti /
e nemmeno un rimpianto”,
padrone della propria vita,
senza debiti "non al denaro,
non all'amore né al cielo".
I
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Il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Pavia
H
a 151 anni e non li dimostra. Il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti della provincia di Pavia è una delle
istituzioni che hanno contraddistinto in
modo puntuale la crescita economica e
culturale del territorio. Fu fondato il 22
gennaio 1860 allorché, a seguito
dell’unione della Lombardia con il Piemonte, il nuovo governo riconosceva ai
tecnici lombardi abilitati la possibilità di
esercitare pure l’attività professionale
nell’antico Regno di Sardegna e
nell’anno seguente invitava le autorità
locali a predisporre un esatto elenco
dei tecnici, compresi i ragionieri, sulla
base delle patenti dichiarate dai singoli
interessati. È una storia, tuttavia, che è
possibile ricostruire sin dal 1399: il Codice Della Croce presso la Biblioteca
Ambrosiana del 25 marzo e 27 aprile di
quell’anno documenta le prestazioni
che il Duca di Milano richiedeva agli
ingegneri camerali riconosciuti idonei
ci, la società ripercorre la propria storia
e ne preconizza il futuro”. “Le iniziative
del Collegio - aggiungeva il presidente
dell’Ordine degli Architetti Aldo Lorini si sono sempre distinte per la particolare caratteristica di voler costantemente
individuare elementi unificanti e di progresso. È opportuno ricordare come le
professioni di ingegnere e di architetto,
pur avendo albi e ordini separati, hanno
invece un comune ordinamento”. “Il
riferimento alle finalità del 1860 - scriveva il presidente del Collegio Giovanni
Rigone – costituisce la chiave di lettura
dell’impegno che il Collegio ha svolto
per 150 anni sino a oggi: da un lato
l’azione che tende a far crescere la conoscenza scientifica e la cultura dei
soci, dall’altro il contribuire
all’evoluzione della comunità in termini
morali, culturali e sociali. Ne sono testimoni le prime attività con la costituzione, nel 1861, di una commissione per
I
l Collegio degli Ingegneri e degli Architetti ha avuto, nel corso della sua
storia, dei periodi di florida e prosperosa attività ma ha anche affrontato difficoltà, ha avuto disavventure; ha sofferto crisi, è stato sciolto e ricostituito con
diverse alternanze; è stato l’ultima volta ricomposto al termine della seconda
guerra mondiale e ha celebrato nel
1971 il cinquantesimo anniversario della sua dimensione federativa a livello
nazionale con un apposito convegno
dedicato alla difesa della natura. Per
oltre un ventennio è stato presidente
Luigi Canepari: durante questo periodo
si è svolto nel 1964 il Convegno di studio sul centro storico di Pavia, che ha
richiesto un impegno della durata di sei
anni e i cui atti sono stati pubblicati nel
1968. Nel dicembre 1985 il consiglio
direttivo deliberò di realizzare un’opera
che consentisse di conoscere le origini,
la storia e la cronaca del Collegio nel
L
e attività culturali e di ricerca 19852010 hanno prodotto una serie di
studi di altissimo livello: “Pavia e la provincia, prospettiva per gli anni 2000”
(maggio 1986); “I problemi della viabilità e dei parcheggi nel centro storico di
Voghera” (maggio 1988); “Ipotesi progettuali per la revisione del Piano regolatore di Vigevano” (luglio 1989);
“Mortara, proposte di riassetto della
viabilità e di isola pedonale” (gennaio
1991); “Miscellanea” (maggio 1991);
“Pavia, la variante generale al Piano
regolatore generale” (1993); “Pavia,
prezziario delle tipologie edilizie della
Provincia di Pavia” (giugno 1998);
“Pavia, prime considerazioni sul progetto di nuovo Piano regolatore generale” (22 novembre 1999); “Pavia, osservazioni al nuovo PRG” (4 aprile
2000).
na tappa miliare è stata
l’assemblea generale straordinaria
U
L’INTERVENTO DI GIOVANNI RIGONE AL CONVEGNO PER I 150 ANNI DEL COLLEGIO DEGLI INGEGNERI E DEGLI ARCHITETTI IN AULA FOSCOLO
per la realizzazione delle opere di interesse pubblico: la formazione delle mura a difesa della città, la rilevazione e la
descrizione del suo territorio, la livellazione e la costruzione dei navigli, la
fabbrica di grandi edifici per il culto, la
predisposizione di misure economiche
come la ripartizione dei cambi. L’atto
del 1399, in particolare, si riferiva alla
costruzione di un canale da Milano a
Binasco e da Milano al Po a completamento dell’opera. La storia è raccontata
nel volume “Il Collegio degli Ingegneri e
degli Architetti della provincia di Pavia 150 anni, eventi tra cronaca e storia”,
pubblicato nel 2010.
Forte è l’impegno - scriveva il presidente onorario del Collegio, Luigi
Canepari, che ha compiuto 104 anni a
ottobre - di stimolo e di qualificata propulsione per lo studio e la formulazione
di soluzioni ai molti problemi che suscitano preoccupanti riflessioni e pensieri
di rilevanza morale e culturale”. “Fin
dalle prime forme di incisioni rupestri affermava il presidente dell’Ordine degli
Ingegneri Giampiero Canevari - attraverso i pittogrammi, alle scritture nelle
loro svariate accezioni, alla pittura, alla
scultura, alla musica, alla danza, al teatro fino ai recenti mezzi di espressione
e formazione radiotelevisivi e telemati-
“
valutare l’interesse di Pavia per una
stazione ferroviaria a Milano tra Porta
Ticinese e Porta Romana e il 14 luglio
dello stesso anno con il rapporto della
commissione incaricata di indicare il
valico ferroviario preferibile attraverso
le Alpi elvetiche”.
ngegneri e architetti: un binomio la
cui origine quale risposta razionale
alle necessità della società è lontana
ma vigorosa nel tempo. Ne è un esemp i o , a M i l a n o , l a f o n d a zi o n e
dell’Università degli Ingegneri, Architetti
e Agrimensori che, nella metà del sedicesimo secolo sancisce l’interesse comunitario alla formazione dei tecnici; la
successiva evoluzione del Collegio la
cui struttura autonoma svincola
l’organismo da larvati ma persistenti
condizionamenti estranei, e la definitiva
regolamentazione pubblicistica teresiana degli organismi collegiali non sono
che aspetti funzionali dell’aderenza
attiva della categoria al volgere dei
tempi. A partire dal secolo scorso, il
rapido progredire della scienza e della
tecnica applicativa che vede la categoria protagonista, nei campi congruenti,
ne impone la diversificazione e la specializzazione, la cui spinta e capillarizzazione sono ormai fenomeni odierni.
I
125° della costituzione e nel 65° della
sua fondazione federativa. La persona
scelta per l’opera fu il professor ingegner Alberto Gabba. L’opera ripercorre
la continuità della professione
dell’ingegnere e dell’architetto, a partire
dalla Guida del 1399, quindi il primo
tentativo di costituire il Collegio nel
1654, l’impegno formativo e di produzione scientifica di Marco Antonio Andreoli tra la fine del 1600 e il 1730, la
Congregazione del 1810, gli statuti del
1887, per finire alle tappe del ventesimo secolo. Impossibile enumerare e
citare tutte le attività attraverso i secoli.
Conviene appuntare l’attenzione
sull’ultimo scorcio di iniziative del Collegio. Vi è stata la partecipazione al
Festival dei Saperi 2010, “Dialoghi sulle libertà tra possibilità e limiti”: il contributo presentato è consistito in un excursus sui 150 anni del Collegio. Si è
poi tenuto il Caffè Scientifico alla libreria Loft 10: gli ultimi incontri sono stati
“due chiacchiere e un happy hour” con
Antonio Barili (“Ingegnere mi faccia
capire”) il 28 ottobre, con Stefano Fornari (“Il funambolo dell’Open Source”) il
25 novembre e con Giorgio Rigone
(“Ingegnere, il muro sta male?”) con
Giorgio Rigone.
del 23 settembre 2009, che ha segnato
un punto di svolta perché il Collegio
potesse procedere nella propria attività
sulla scorta di una nuova organizzazione statutaria. Il traguardo è stato raggiunto nel dicembre con l’approvazione
del nuovo statuto. Un punto saliente è
la volontarietà dell’adesione al Collegio
e quindi l’assunzione di un atteggiamento di partecipazione attiva a seguito di una dichiarazione di disponibilità.
A oggi ben 260 soci costituiscono le
risorse umane del Collegio; sono lì a
sottolineare la condivisione delle finalità statutarie e la disponibilità ad operare. Un altro punto saliente è la sottolineatura, riprendendo un passo
dell’assemblea del 2 dicembre 2007,
della continuità storica con le “Guide
date alli Ingegneri per andare alle valli
e alle paludi del Po” del 23 gennaio
1399 e con l’opera del Collegio degli
Ingegneri di Pavia, fondato tra il dicembre 1859 e il gennaio 1860, nonché del
Collegio degli Ingegneri fondato il 29
gennaio 1921 quale sezione di Pavia
dell’ANIAI (Associazione nazionale
ingegnerie architetti italiani). Il Collegio
raccoglie pure l’eredità che proviene
dal 1859 con la rifondazione del Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di
Pavia avvenuta il 10 novembre 1945. Il
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FOTO DI CRISTIANO VASSALLI
GIORGIO FORNI
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
N
on par vero, ma da tanto
data il rapporto di dialogo interessato alla scultura,
persin prima della costituzione (1981) del Centro Studi
della Lomellina. Una sorta di
passione, curiosità e/o interesse, maturata dalle frequentazioni con un genius
loci dell’arte plastica quale
Alberto Ghinzani, che ha
sempre tenuto casa e studio
anche in quel di Valle Lomellina.
C
on lui e con Claudio Bertoluzzi, assessore alla
cultura della Provincia di Pavia già sul finire degli anni
Settanta, videro la luce le
prime mostre itineranti di
sculture, portate nelle piazze
di Voghera, Lomello, Scaldasole, Pavia e Vigevano con
l’intento di promuovere un
incontro diretto tra l’opera e
i cittadini. Con la nascita poi
del citato Centro Studi a Sartirana, braccio operativo culturale di una compagine di
giovani volonterosi che si
raccolsero intorno alle figure
del già citato scultore Alberto
Ghinzani e di due munifici
sostenitori quali furono il notaio Ugo Reitano e il
“cineasta” Conte Eriprando
Visconti di Modrone, iniziò
invece un’attività strutturata
in appuntamenti annuali. Dedicati alle mostre antologiche
delle opere di alcuni grandi
artisti, quali furono Fausto
Melotti, lo stesso Alberto
Ghinzani, Giacomo Benevelli,
Umberto Milani, Regina, Pietro Consagra e altri a seguire, anche giovanissimi, invitati tra gli allievi delle Accademie di Belle Arti, in alcune
fortunate edizioni di una
“Biennale giovani”.
a fu proprio già
l’autunno 1980 a vedere le prime sale restaurate
del sino allora abbandonato
Castello di Sartirana quale
sede espositiva di tre scultori
a rappresentare la ricerca
plastica in Lomellina tra il
volgere del XIX secolo e la
contemporaneità. Fu la mostra “100 anni di scultura in
Lomellina” che ripresentò le
opere dimenticate di Bialetti
M
e Regina
(Cassolo) in
dialogo con
quelle create in quegli anni
da Alberto Ghinzani.
Due importanti momenti
pubblici erano stati qualche
anno prima la collocazione
del “grande disco” concesso
da Arnaldo Pomodoro per la
piazza Ducale di Vigevano
(1975, nella foto), grazie
alla quale fu raggiunto
l’obiettivo di cacciare il parcheggio di autoveicoli a cui il
gioiello rinascimentale era
allora ridotto, per ridestinarlo in permanenza a salotto
buono della città. Il secondo
(1976) fu rappresentato
dall’intervento di Mauro
Staccioli nel Castello Visconteo Sforzesco appena riconsegnato alla Città Ducale,
dopo più di un decennio di
abbandono, seguito alla partenza del distaccamento dei
bersaglieri che lo aveva sino
ad allora occupato.
ue episodi significativi
grazie ai quali, come
fossero stati detonatori o catalizzatori di un processo,
prese avvio questa storia
singolare. A contrappuntarla
intervennero poi nuovi progetti, nati a Sartirana, quali
la collettiva “Scultura e Colore” che, riflessione sulla pratica degli antichi di colorare
le sculture, volle raccogliere
in una esposizione un gruppo
rilevante di opere plastiche
cui gli autori avevano aggiunto il fascino della policromia in alternativa alla semplice e usuale patina. Da
Sartirana la collezione arrivò
al Castello Visconteo di Pavia, dove fu ospitata nelle
D
Giorgio Forni
Sale del Romanico, per giungere infine al Museo di Gazzoldo sul bordo dei laghi di
Mantova. Con Rossana Bossaglia si allestirono poi spettacolari mostre di opere monumentali di Arnaldo Pomodoro, Augusto Perez e Pietro
Cascella negli spazi aperti,
nel Castello e nei cortili
dell’Università di Pavia, sino
a giungere (2000) alla mostra “Dialogo fra generazioni” allestita, sempre con
Rossana Bossaglia e la Provincia di Pavia, al Giardino
Malaspina e nelle Sale attigue del Convento
dell’Annunciata. Nel frattempo Arnaldo Pomodoro concedeva per il Parco del Castello
di Sartirana il grande bronzo
“Pietrarubbia”, sostituito dopo anni, alla sua partenza
per il Giappone, da una
grande opera di Angelo Bozzola.
asce in questo periodo il
progetto di un Centro di
Documentazione della scultura italiana del XX secolo,
con l’obiettivo di raccogliere,
insieme a quante più opere
possibili, anche tutti quei
materiali (cataloghi, pubblicazioni, video, eccetera) che
potessero contribuire a raccontare e divulgare una sorta di ruolo svolto dalla scultura, non solo per abbellire
piazze o arricchire collezioni
private, ma soprattutto per
diffondere, decodificato da
un opportuno vocabolario, il
senso e il valore dell’opera
plastica. Tale intenzione si
era maturata nel tempo, an-
N
che in seguito a una campagna di catalogazione e documentazione fotografica fatta
dai volontari del Centro Studi
nei primi anni Ottanta, con
Mariolina Olivari e Barbara
Fabian della Soprintendenza
dei Beni Artistici di Brera, di
tutte le “sculture”, essenzialmente figurative, collocate in
permanenza e ormai elementi consolidati del paesaggio urbano, nelle piazze di
centri grandi e piccoli del nostro territorio. Progetto questo fondamentalmente di ricognizione e di ricostruzione
di una storia di relazioni tra
artisti e cittadinanze, commesse e motivazioni; con
l’idea di disegnare una rete
anche capace di collegare i
pochi spazi pubblici strutturati con caratteristiche museali. Pavia e Vigevano, soltanto a quel tempo, ma già
con il progetto poi realizzato
del Museo Regina a Mede e
di quello in pectore per Sartirana. Dove nel frattempo
furono collocate nelle vie del
borgo opere concesse in comodato da Nado Canuti,
Marcello Pirro, Alberto Ghinzani, Carlo Mo, perché iniziassero a dialogare con i
rilievi bronzei di Leonardo
Bistolfi e la collezione che
iniziava a diventare importante negli archivi del Castello. Opere, di media e piccola
dimensione, raccolte da
quella che stava istituendosi
come Fondazione Sartirana
Arte, firmate da artisti del
calibro di: Fausto Melotti,
Pietro Consagra, Giacomo
Benevelli, Arnaldo e Giò Pomodoro, Umberto Milani, Carlo Mo, Marcello Pirro,
Alberto Ghinzani, Sergio Alberti, Angelo Rinaldi, Alex
Corno, Marco Lodola, Michele
Festa, Mauro Staccioli, Nicola
Carrino, Graziano Leonardelli, Paolo Cristiani, Angelo
Bozzola, Regina e molti altri,
soprattutto con opere premiate e acquistate nel corso
delle biennali riservate ai
giovani artisti.
na selezione di queste
opere, quelle di piccole
dimensioni unicamente per
facilità di trasporto, hanno
anticipato il progetto di un
museo allestito in permanenza, con una serie di mostre
“portabandiera” organizzate
negli ultimi 10 anni in molti
Paesi stranieri, in collaborazione con il Ministero per gli
Affari Esteri. Portabandiera
in senso stretto, a illustrare
a pubblici lontani le costanti
abilità dei nostri scultori,
portatrici di quel messaggio
di libertà intellettuale e valori
civili di cui la cultura, anche
quella plastica, è veicolo
simbolico efficace e comunicativo. La bellezza salverà il
“mondo” (diceva Dostoievski). Cos’altro se non la bellezza, soprattutto in questi
tempi di finanza selvaggia e
di deregulation globalizzata?
A questa domanda retorica il
progetto che presentiamo
vorrebbe contribuire a dare
una risposta. Un contributo
anche piccolissimo, una tessera intanto, che a livello
locale possa fungere quale
utile strumento per una riflessione collettiva.
U
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N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11
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