Benedetta Napolitano
L’Esagono
GIORNALISTA - PUBBLICISTA
Tutti i diritti riservati
L’ Esagono
con il patrocinio del
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Benedetta Napolitano
A mio figlio Antonio
e alla memoria dei miei amati nonni.
“ Sii sempre leale
e gentile
con il prossimo tuo:
ogni persona che incontri
sta combattendo,
come te stesso,
una meravigliosa
ma dura battaglia! ”
(Benedetta Napolitano)
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L’Esagono
Presentazione
“L’Esagono” è la prima testimonianza autentica di come i sei Comuni del Baianese siano stati
da sempre una sola etnia malgrado i virtuali limiti territoriali che gli uomini hanno loro imposto.
Solo campanilismi sterili e mentalità retrograde hanno tentato di dividere questo nostro
popolo e tutt’ora ne rallentano uno sviluppo più moderno.
L’approfondimento della storia di ognuno dei sei comuni evidenzia tutti questi caratteri
unitari nell’ambito dell’area avellana anche se, per il Litto di Mugnano del Cardinale, permane
qualche dubbio dovuto alla sua origine sannita per la particolare ubicazione montana.
Tale discorso unitario è inequivocabile e si evidenzia specialmente nei caratteri folkloristici,
economici (agricolo, silvo-pastorali) e nelle attività commerciali. Per la prima volta abbiamo
la testimonianza vera di come sei popoli parlino una sola lingua, evidenziano una unica
origine, hanno una sola cronaca negli stessi momenti storici.
Benedetta Napolitano con una ricerca semplice, evidenziando per la prima volta
le abitudini più comuni, ha realizzato un pregevolissimo lavoro che deriva da un
serio impegno, diligente e certosino.
Altra qualità dell’opera è la facilità di fusione tra avvenimenti importanti della nostra storia ed
episodi comuni della nostra vita quotidiana, che vengono presentati con semplicità esemplare e
ricchezza di particolari come tutto ciò che appartiene al nostro patrimonio culturale.
Quante attività, mestieri, personaggi superati dal correre del tempo e dalla trasformazione
di una società moderna che ci erano sfuggiti ora ritornano nella loro integrità, nel loro essere
perché la nostra memoria li aveva solo accantonati.
Dopo la lettura dell’opera un entusiasmo di operosità nuova e di nuovo impegno generoso
invade gli amanti della Storia del territorio per realizzare una nostra società migliore e più
vivibile: “La Città del Baianese” da sempre teorizzata.
Tale idea-progetto si concretizza per la prima volta e sembra a portata di mano, diventa
un messaggio persuasivo per gli uomini forti e determinati della nostra area.
Storie talora già note, ricche di un insolito servizio fotografico, diventano un messaggio
nuovo specialmente per i più giovani e per ogni tipo di operatore pubblico.
Riferimenti concreti di questo progetto nell’ultimo arco di tempo risultano il Piano sociosanitario previsto dalla legge 328/2000 che vede Mugnano capofila; il P.I.T. (Piano Integrato
Territoriale) per lo sviluppo degli interessi archeologici monumentali che vede Avella come
capofila; l’unione dei Comuni per una migliore efficienza e funzionalità dei servizi che vede
il Comune di Baiano Comune trainante.
Sono questi i fatti e le promesse concrete per una nuova realtà intercomunale della nostra
area e per collaudare la nuova classe dirigente ai tempi moderni. E l’impegno politico con
tali obbiettivi diventa più serio e responsabile.
Prof. Giovanni Colucci
Sindaco di Mugnano del Cardinale
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Benedetta Napolitano
Introduzione
Finalità
Il presente libro si rivolge in particolar modo ai giovani: gli uomini di domani.
Essi dovranno misurarsi con problematiche complicatissime ma piene di stimoli. La
globalizzazione dell’economia, della politica e del terrorismo. La risoluzione dei
problemi ambientali e di quelli –etici e pratici- posti dall’avanzare delle biotecnologie.
Dovranno saper cavalcare il progresso tecnologico per la ricerca di nuove fonti
energetiche che rendano sostenibile -e compatibile con l’ambiente- l’indispensabile
aumento di produttività, necessario per fronteggiare le emergenze e le necessità dei
paesi meno sviluppati. Forse alcuni di loro andranno nello spazio. Altri dovranno
combattere con disoccupazione e disagi sociali.
In ogni caso, si troveranno a vivere in una civiltà dai mutamenti rapidi e
imprevedibili. In tale frenetica realtà c’è il concreto rischio di perdersi, perciò è
importante –soprattutto per chi non avesse la fortuna di avere un credo filosofico,
politico o religioso- di avere un punto di riferimento che possa fungere da àncora e al
quale approdare per riprendere fiato.
La riscoperta delle proprie radici, dell’ambiente naturale, delle proprie tradizioni
può –forse- servire a rigenerare le forze. Questo mio lavoro –senza troppe pretesevuole essere un piccolo, piccolissimo contributo mirante a far conoscere meglio le
nostre radici. Mi auguro, perciò, che questa mia “fatica” possa essere utile –anche
per le informazioni storiche, naturalistiche e statistiche che racchiude- a un discreto
numero di giovani e di studenti.
Esso, infine, vuole stimolare i politici di turno ad impegnarsi maggiormente per la
costituzione di una “Città del Baianese”, per poter affrontare in maniera più efficace
i vari problemi che ci attanagliano.
Argomenti trattati
La prima parte del libro è costituita da un rapido excursus storico, dalla preistoria fino
ai giorni nostri, che vuole mettere in evidenza “storia e il destino comuni” dei paesi che
costituiscono l’esagono. Indi, segue una dettagliata trattazione della storia dei singoli
comuni e delle loro principali espressioni folkloristiche, il tutto corredato con interessanti
foto, molte delle quali inedite.
E’ stata aggiunta, poi, una scheda dei dati salienti di ogni Comune e l’annotazione
delle sue principali risorse naturalistiche. Segue la sezione riguardante “l’ultimo secolo”,
in cui vengono descritti i modi di vita del secolo scorso, alcune credenze ed usanze, i
principali antichi mestieri ed alcuni dei giochi dell’epoca.
Per completezza di trattazione sono stati aggiunti alcuni cenni ambientali, con una
rapida disamina della flora e della fauna presenti nel nostro territorio, ed alcuni grafici e
tabelle statistiche riguardanti gli aspetti demografici e produttivi del nostro mandamento.
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L’Esagono
Metodologia
Raccogliendo l’esortazione di alcuni stimati amici, è stata aggiunta in appendice una
“bibliografia essenziale”, il cui scopo è quello di indicare al lettore alcune pubblicazioni che
hanno trattato argomenti di cui si è parlato nel presente libro: la loro citazione non deve,
pertanto, essere intesa come un elenco di fonti da cui si sarebbero attinte le informazioni.
Da dove provengono, quindi, le notizie riportate nella presente pubblicazione? La
risposta è che, in questo libro come nel precedente (“La Città del Baianese”), all’approccio
metodologico della cosiddetta “ricerca” (su vari testi e documenti, e loro citazione) è stato
preferito -tutte le volte che era possibile- quello dell’inchiesta di tipo giornalistico-divulgativo.
Per quanto concerne -ad esempio- la parte archeologica, pur avendo preso visione
delle pregevoli pubblicazioni del Gruppo Archeologico Avellano e della Cooperativa
Territorio-Ambiente di Avella, è stato dato maggiore peso alle osservazioni e ai sopralluoghi
effettuati in prima persona nei principali siti archeologici, in compagnia di persone esperte
del settore (tra le quali cito la mia figlioccia e amica Elisabetta Vitale, archeologa).
Per quanto riguarda la storiografia locale, ho attinto -prevalentemente- dall’imponente
archivio di mio zio, don Giovanni Picariello (curatore de “La Valle munianense” ed autore
di “Mugnano del Cardinale nel tempo”), oltre che -naturalmente- dagli scritti del
celeberrimo Antonio Iamalio, che fu insigne professore presso il Liceo-Ginnasio
Alessandro Manzoni di San Pietro a Cesarano, a Mugnano del Cardinale (e dal quale tutti
gli Storici locali -indistintamente- hanno attinto), cercando -comunque- di “leggere” gli
eventi locali tenendo conto del contesto storico generale.
Per la parte riguardante gli antichi mestieri e le tradizioni dell’area Baianese, ho preferito
effettuare interviste dirette alle persone più anziane (a cominciare dai parenti più vicini),
effettuando anche registrazioni digitali di varie testimonianze, “cunti” e filastrocche (che
potranno eventualmente essere utilizzate per la futura realizzazione di un cd-rom multimediale).
Per gli aspetti ambientali e naturalistici ho utilizzato il materiale fornitomi da mio
marito (dottore in Scienze e Tecnologie Agrarie) e le preziose indicazioni del geologo e
amico Stefano Lanziello, di Baiano.
Anche per i dati statistici e demografici, pur avendo preso visione di alcuni lavori
(come il “Piano di Sviluppo socio-economico” della nostra Comunità Montana), ho
preferito consultare direttamente le fonti primarie: annuari ISTAT, Informatore Statistico
Campano, Banca Dati Demografica Evolutiva, Camera di Commercio, Uffici Comunali e
del Ce.S.A. (Centro di Sviluppo Agricolo) di Baiano.
Le foto, a parte quelle scattate personalmente durante i vari sopralluoghi (quella dello
scheletro a pag.25 è stata addirittura scattata da mio figlio Antonio), provengono in gran
parte dalla fototeca de “La nuova Gazzetta”. Altre sono state fornite da alcuni amici e dai
vari fotografi della zona, alcune sono giunte in redazione via e-mail.
Ringraziamenti.
Oltre alle persone già citate, ringrazio per il materiale fornitomi: il carabiniere Renato Mone di
Avella, l’armiere Stefano D’Apolito di Sperone, il prof. Felice Colucci (ex Sindaco di Baiano), i
coniugi Rita Severo e dott. Vincenzo Marsella di Mugnano, la dott.ssa Caterina De Laurentis di
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Benedetta Napolitano
Baiano, il prof. Carmine Montella di Baiano. E, poi, i fotografi: Pierluigi Postiglione di Baiano
(che ci ha fornito anche alcune foto dell’archivio di don Pietro Foglia, di Baiano), Antonio
Montuori di Sirignano, Vincenzo D’Apolito di Mugnano, Mimmo Liguori di Avella.
Ricordo la grande gentilezza e disponibilità di Armando Sodano di Sperone, del prof.
Rino Conte di Avella, grafico e impaginatore de “Il Meridiano” e, insieme ad essi, di tutte le
persone che hanno “subìto” con pazienza , benevolenza e cortesia le mie “interviste”.
Esprimo, poi, la mia riconoscenza agli UTC dei sei Comuni del mandamento per il
materiale fornitomi (cartine e dati statistici).
Ringrazio, inoltre, il collega giornalista Enzo Pecorelli, il prof. Carmine Strocchia e
la dott.ssa Grazia D’Apolito per la cortese e preziosa lettura delle bozze.
Ringrazio, ancora, mio marito per il decisivo e paziente aiuto datomi nella fase di
impaginazione del testo, e l’Amministrazione Comunale del mio paese natìo che, ancora
una volta, ha ritenuto di ospitare la presentazione di una mia pubblicazione nel corso
dell’importante manifestazione culturale “Arte Sotto le Stelle”.
Un doveroso e sentito ringraziamento va -infine- al Prof. Giovanni Colucci, Sindaco
di Mugnano del Cardinale e illuminato uomo di cultura, per le belle parole usate nella
presentazione del presente libro.
A tutti i lettori auguro che gli argomenti trattati in questo libro possano, in qualche
modo, accrescere la loro conoscenza del nostro territorio, stimolando nei più giovani la
voglia di attivarsi socialmente e politicamente per realizzare, come simbolicamente
rappresentato in copertina, un moderno Esagono poggiante sui valori storici e culturali
delle nostre tradizioni.
L’autrice
Benedetta Napolitano
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L’Esagono
Paleolitico - Osci - Volsci - Sanniti- Etruschi - Hyria - Novla
Storia e destino comuni
La valle del Baianese, nonostante i “capricci” del complesso vulcanico VesuvioMonte Somma-Campi Flegrei, è stata abitata dall’uomo sin dalle epoche preprotostoriche. Interessanti tracce di insediamenti umani preistorici sono state
rinvenute nel territorio di Avella, prevalentemente lungo il corso del torrente
Clanio. Le testimonianze più antiche risalgono, addirittura, al Paleolitico Superiore
(VIII millennio a.C.), cioè a circa 10.000 anni fa. Esse si riferiscono, con ogni
probabilità, a gruppi tribali costituiti da pochi individui. Per la costituzione di un
primo vero agglomerato urbano, sempre ad Avella, bisognerà attendere il IX-VIII
secolo a.C.. Notizie antecedenti la fondazione di Roma (753 a.C.) sono, comunque,
incerte e avvolte dall’impenetrabile nebbia dei secoli.
Si ritiene che, già prima del V secolo a.C., questo territorio sia stato abitato da
antiche popolazioni, come gli Osci, i Volsci, i Sanniti, le cui origini sono
antecedenti agli stessi Etruschi (questi ultimi, secondo accreditati Studiosi, si
stanziarono più a Nord e non si sarebbero mai spinti sino ad Avella) e ai Romani,
e che interagirono, talora bellicosamente, talora pacificamente, tra di loro e con
le prime colonie Greche calcidiesi. Un presunto (non ufficiale) ritrovamento di
una pipa in bucchero di chiara foggia etrusca (cfr. il capitolo su Avella) farebbe
supporre, in disaccordo con quanto sopra riportato, che l’antica Avella abbia avuto
anche un’epoca etrusca. Ciò concorderebbe con quanto riferito da alcuni Studiosi
del XVII secolo a proposito del rinvenimento, sull’altura del Morricone (a
Mugnano del Cardinale), di alcuni reperti (poi scomparsi) attribuibili alla
misteriosa civiltà etrusca.
Poco plausibile, infine,
appare una “ermetica” teoria
presentata in una recente
pubblicazione, che confonde la
città osca di Hyria (o Yria) con
una “mitica Avella fondata da
Enea”. In realtà, a detta di
importanti Studiosi, è più
probabile che Hyria si debba
identificare con la vecchia
Nola. La produzione di alcune
monete (didrachme, vedi foto
a pagina seguente) emesse
attorno al IV secolo a.C., prima
Avella. Località Fontanelle
da Hyria e Novla (=Nola, città
Zona abitata fin dal Paleolitico
nuova) e poi solo da Novla,
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Storia e destino comuni
Campania Felix - Romani - Ville prediali - Abella romana
Benedetta Napolitano
farebbe pensare che si trattasse
della medesima città. Avella fu
alleata di Nola e, insieme ad essa,
si oppose a quelle popolazioni
sannitiche che, dagli appennini,
volevano espandersi verso la piana
campana.
Durante la seconda guerra
sannitica, Nola ed Avella si opposero
Monete coniate ad Hyria
ai Romani . Avella, poi, nel 339 a.C.
si pose sotto la protezione di Roma
come Civitas foederata.
Il nostro territorio pur facendo
parte della Campania felix (si veda
la mappa al termine dell’introduzione),
luogo di villeggiatura dei Romani
dell’epoca classica, non poteva
competere, com’è ovvio, con le bellezze naturali ed ambientali della costa e delle
isole campane, largamente preferitegli dagli antichi Romani. Ciononostante, come
si è ben compreso in queste poche righe, esso fu ugualmente importante dal punto
di vista militare, data la sua posizione strategica per il controllo della
direttrice di collegamento tra la pianura campana e la valle del Sabato.
Studiando gli eventi dei nostri luoghi ci si rende conto che, quantomeno nel
periodo più antico, la storia dei nostri paesi finisce per coincidere per grandi linee
con quella di Abella, l’antichissima città di Avella (al cui capitolo, per evitare
inutili ripetizioni, si rimanda). Da questa vetusta città, più antica della stessa
Roma, sono derivati, direttamente o indirettamente, gli altri cinque comuni.
Quadrelle e Sperone sarebbero coevi di Avella romana, della cui struttura
militare facevano parte integrante.
Quadrelle (Oppidum quadrellarum), doveva essere la fabbrica di grossi
giavellotti quadrangolari, detti appunto “quadrèlle”, che venivano incatramati,
incendiati e lanciati da apposite catapulte contro gli elefanti degli invasori.
Probabilmente, esse furono usate contro Pirro, re dell’Epiro (odierna Albania),
nella battaglia di Benevento del 275 a.C., e contro il generale cartaginese Annibale,
nella battaglia di Zama del 202 a.C..
Sperone, presumibilmente, costituiva l’avanguardia, la punta più avanzata del
territorio della città romana.
Baiano, Mugnano e Sirignano sarebbero sorti da antiche ville prediali, insieme
ad altri centri abitati poi scomparsi, come ad esempio Camillanum (che doveva
Storia e destino comuni
8
L’Esagono
Visigoti - Vandali - Turchi - Bizantini
trovarsi fra Mugnano ed il bosco di Arciano). Ciò concorda con gli studi del
Flechia, secondo cui nel napoletano tutti i nomi di località terminanti in –ano o
in –iano, deriverebbero dal nome del proprietario di una qualche villa prediale.
Nell’82 a.C., durante la guerra sociale, Abella e i suoi casali furono conquistati
da Silla, che li assegnò alla 47a Legione Romana (Tribù Galeria). Il dittatore
romano, dopo aver occupato Avella con le sue truppe, vi aveva stabilito una colonia
militare (oppidum), aveva sottratto i terreni ai vecchi proprietari e li aveva
distribuiti ai suoi veterani (dai quali proviene il cognome Vetrano, così diffuso
nei paesi del baianese). Nel 31 a.C., Augusto, dopo la vittoria di Anzio, intraprende
una politica di pacificazione sociale. A livello locale, egli concede una certa
autonomia alle popolazioni assoggettate e ridona la municipalità ad Avella. Inoltre,
cerca sia di favorire l’integrazione con le popolazioni locali sia di promuovere la
permanenza e la sussistenza dei suoi fedeli guerrieri, con la concessione di terreni.
Essi, perciò, richiamano le loro famiglie, ricercano le zone più salubri dell’ager
pubblicus e vi costruiscono le loro ville prediali. Queste, com’è noto, non erano
luoghi di villeggiatura ma fattorie, dove i nobili romani abitavano e si allenavano alle
armi, circondati dai loro schiavi e liberti. Esse erano costituite dalla casa padronale,
dalle dimore della servitù, dalle tettoie per il ricovero degli animali e dai magazzini
per le derrate alimentari. Di forma quadrangolare, con al centro un grosso spiazzale
(di due o tremila metri quadrati) e provviste di un pozzo o di una cisterna centrale.
Dopo la caduta di Roma -e quindi di Avella- le plebi, per sfuggire alle vessazioni
delle diverse popolazioni barbariche, trovarono rifugio nelle caverne dei monti
vicini (Summonte, Campimma, Litto, Montevergine, di San Michele, dei Santi,
del Monaco ed altre). Solo con l’avvento dei Normanni, nella seconda metà dell’XI
secolo d.C., essi ridiscesero a valle o in collina e, raccogliendosi attorno alle
antiche ville prediali, diedero origine a vari agglomerati urbani.
Le nostre zone furono invase prima dai Visigoti di Alarìco (410 d.C.) e poi dai
Vandali di Genserico (455 d.C.). Nel 589 d.C. entrarono a far parte del Ducato di
Benevento retto dal longobardo Autari.
Avella, facendo parte del gastaldato di Nola, con la Divisio Ducatus dell’849 tra
Radelchi e Siconolfo, fu assegnata al principato di Salerno, diventandone uno dei
punti strategici, essendo posizionata al confine tra i ducati di Napoli e di Capua ed il
principato di Benevento.
I territori dell’agro baianese furono, poi, conquistati dai Turchi (Saraceni)
nell’anno 884 e dai Bizantini di Napoli nell’887. In seguito, passarono prima al
Principato Normanno (1075) e, successivamente, agli Svevi di Federico II (si
vedano, ancora una volta, i capitoli su Avella e sugli altri singoli comuni).
Avella, Sperone e Baiano proseguirono insieme la loro storia. Mugnano del
Cardinale, Quadrelle e Sirignano legarono le loro sorti al feudo di Monteforte
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Storia e destino comuni
Bagliva - Via Regia delle Puglie - Cenobio di S. Pietro a Cesarano Benedetta Napolitano
(1272), per poi ritornare, grazie a Nicolò Orsini, Conte di Nola, nuovamente a far
parte della Baronia di Avella (insieme anche a Monteforte). Nel quattrocento,
Mugnano del Cardinale, chiamato allora Mugnano di Montevergine passa a far
parte della Commenda di Montevergine, separando nuovamente il proprio destino
da quello di Avella e godendo dei numerosi vantaggi che gli derivarono
dall’appartenere ad un’importante Istituzione Ecclesiastica (ciò fino al 1511,
quando passò alla Casa dell’Annunziata di Napoli). Nel 1510, Enrico Orsini,
conte di Nola, istituisce a Baiano, la Bagliva (o “Corte Baiulare”), che vi resterà
fino al 1861 (anno dell’Unità d’Italia). Questa istituzione, detta anche Baliva o
Baliato, comprendeva sia le funzioni giudiziarie sia quelle di imposizione e
riscossione dei tributi.
Il baricentro amministrativo da Avella veniva dunque a spostarsi a Baiano,
cui, da quel momento, tutti gli abitanti del comprensorio dovevano far capo per le
varie incombenze impositive e giudiziarie.
L’apertura (1757) della Via Regia delle Puglie (ex Strada di Terra di Lavoro,
attuale Strada Statale 7 bis), fatta costruire da Carlo III di Borbone, che aveva
lasciato Avella fuori dal suo tracciato,
diede a Baiano l’opportunità di accrescere
ulteriormente la sua importanza nei secoli
successivi.
E’ noto, infatti, che la rete viaria
precedente si sviluppava secondo due
direttrici. Un primo tracciato, quello più
importante, protetto da ben due castelli,
partiva da Roccarainola, passava davanti
Monteforte. Fontana Carlo-III
al castello medioevale di Avella, quindi
per l’antico borgo di Sirignano (località San Ciliesto) e per Quadrelle, per poi
inerpicarsi verso il castello svevo del Litto, di Mugnano del Cardinale, e proseguire
verso Montevergine. Un secondo tracciato, più a valle, collegava Nola con
Monteforte passando per Sperone (molto più all’interno, rispetto alla Nazionale)
e poi puntava verso la base di Arciano, passando per l’esterno di Baiano e tra gli
antichi abitati di Pontem Mianum (poi divenuta Mugnano del Cardinale) e
Camillanum (oggi scomparso).
Nel frattempo, nel 1641, a Mugnano del Cardinale, era stato fondato il Cenobio
di San Pietro a Cesarano che, nei secoli seguenti, rappresentò il centro morale e
culturale della valle del baianese.
Alcuni Cronisti dell’epoca ci raccontano che, durante i secoli XVII e XVIII,
le nostre contrade furono colpite da un’impressionante serie di eventi nefasti.
Epidemie di peste, nel 1635 (probabile “coda” della pestilenza del 1629 descritta
Storia e destino comuni
10
L’Esagono
Editto di Saint-Cloud - Epidemie
dal Manzoni ne “I promessi Sposi”) e nel 1656. Eruzioni vesuviane che ricoprirono
le nostre terre di ceneri e lapilli (e, nel 1631, anche di alghe e pesci cotti).
Nel 1640 un’invasione di cavallette distrusse i raccolti e provocò una grave
carestia, cui seguirono altre numerose eruzioni, inondazioni e morìe di persone e
di animali. L’impressionante sequenza di epidemie era dovuta, oltre che alla
malnutrizione, alle miserrime condizioni igieniche in cui versavano i centri
abitati in quell’epoca storica. Tornando al XVII secolo, conviene ricordare che,
all’epoca, vi era l’abitudine di seppellire i morti (almeno quelli appartenenti ai
ceti più elevati) all’interno di chiese, monasteri e cappelle cimiteriali. In queste
ultime, i corpi venivano tumulati, nella nuda terra, in semplici fosse poste sotto il
pavimento. Le chiese più grandi erano provviste di sotterranei, ai quali si accedeva
tramite un botularium
(una grossa lastra di
Scolatoi o cantarelle
marmo che fungeva da
chiusura). Le salme
venivano poste sedute in
nicchiette a forma di
sedili dette cantarelle.
Successivamente le ossa
venivano raccolte in
un
ossario
posto
generalmente dietro
l’abside.
Chiese e cappelle
cimiteriali
erano
provviste di sfiatatoi che, soprattutto nei periodi più caldi, esalavano pestiferi e
malsani effluvi che favorivano, insieme alle scorrerie dei topi, le frequenti
epidemie. Solo con l’editto napoleonico di Saint-Cloud (promulgato in Francia il
12 giugno 1804 ed esteso in Italia il 5 settembre 1806) si pose fine a questa
usanza e si cominciarono a costruire i primi cimiteri fuori dai centri abitati.
Facciamo, ora, un salto di qualche altro decennio e arriviamo alla Rivoluzione
Francese (1789), i cui princìpi, diffusi da Napoleone Bonaparte in tutta Europa,
localmente portarono alla disintegrazione della potente baronìa di Avella. Nel
1806, il regno di Napoli, tolto a Ferdinando IV di Borbone, fu dato, com’è noto,
prima a Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone (che emanò la legge
che aboliva la feudalità) e, più tardi, quando questi divenne re di Spagna (1808),
a Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore (che rese operativa tale legge).
Ogni feudo, perciò, veniva ad essere diviso in tre parti: un terzo andava al
vecchio feudatario; un terzo agli istituendi comuni; un terzo al demanio statale
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Storia e destino comuni
Brigantaggio - Giacobini e Sanfedisti
Benedetta Napolitano
per poter procedere alla lottizzazione e all’assegnazione a prezzi modici ai
contadini e ai privati. Spesso i poveri cafoni e i bifolchi, non avendo alcun potere
di acquisto, funsero da prestanomi per borghesi, mercanti ed altri galantuomini
che, con pochi spiccioli, costituirono o consolidarono le proprie fortune. Molte
delle famiglie agiate dei nostri paesi acquisirono in tale modo le proprie ricchezze.
I primi ad approfittare di questa
legge furono i cittadini di Avella
(1809), seguiti da quelli di Baiano
(1810), di Sirignano, di Mugnano,
di Quadrelle e, per ultimo (1836)
di Sperone. Furono assegnate ad
Avella le proprietà di Bosco di
Ciesco, del Castello, delle Lenze,
di Campo di Volpe e Sopraciesco.
A Baiano andarono Arciano,
Campimma, Carbonara, Santo e Briganti catturati dalla Guardia Nazionale
Torone. Mugnano ebbe il Litto. Sirignano ottenne il Tuoro e Sperone la Paradina.
La legge eversiva della feudalità, ottima nelle intenzioni, nella sua applicazione
pratica finì per ridurre alla fame le popolazioni rurali. La borghesia, come abbiamo
visto, aveva usurpato alle plebi le quote di terreni baronali loro spettanti. Inoltre,
queste ultime avevano perso, improvvisamente, il diritto degli usi civici (raccolta
di legna e castagne, uso di pascoli e di seminativi), giacché i terreni erano divenuti
di proprietà o dei comuni o della ricca borghesia (i galantuomini).
I popolani più deboli e timorosi si rassegnarono ad una vita miserevole ma i
più ribelli si organizzarono in bande armate (le “comitive”) e diedero vita al
fenomeno del brigantaggio (che poi doveva far sentire maggiormente i suoi effetti
nel 1848 e negli anni a cavallo dell’Unità d’Italia).
In questa prima fase (1817) l’agro baianese era controllato dalle bande di
Tuppillo (al secolo Giuseppe Caruso fu Antonio di Sirignano), Francesco
Napolitano (alias Romaniello) e Francesco Abbate di Domenico, di Avella.
Nella confusa situazione politica di quel periodo avvenne, a Mugnano del
Cardinale, un importante episodio storico: un sanguinoso scontro tra giacobini e
sanfedisti (1799). In quell’occasione i mugnanesi (presumibilmente appoggiati
dal Clero, solidale con i Borboni) si schierarono contro i repubblicani (ndr.
l’importante episodio sarà trattato, per evitare ripetizioni, nel capitolo di Mugnano).
In seguito al congresso di Vienna (1814-1815) che, dopo la caduta di Napoleone,
stabiliva il ripristino delle leggi e degli ordinamenti in vigore prima del 1789, il
Regno di Napoli fu restituito a Ferdinando IV di Borbone, che rinunciò al duplice
titolo di “Re di Napoli e di Sicilia”, per assumere quello di Ferdinando I, re delle
Due Sicilie, trasferendo la capitale da Palermo a Napoli. Il tentativo di restaurazione
Storia e destino comuni
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L’Esagono
Società segrete - Unità d’Italia
del vecchio ordinamento
comportò, ovunque, la ribellione
delle popolazioni e sorsero un po’
dappertutto le società segrete
(come la Carboneria).
Ai primi di luglio del 1820 le
guarnigioni di Nola e di Avellino,
per opera di due ufficiali di
cavalleria, Michele Morelli e
Giuseppe Silvati, e del prete Luigi
Minichini, inalberarono il vessillo
dei Carbonari (azzurro, rosso e
nero), e al grido “viva il Re e la
costituzione di Spagna” mossero
verso Napoli. A capo degli insorti
si mise il generale Guglielmo Pepe
(che aveva già militato con Murat)
con parte della guarnigione di
Napoli. Il 13 di luglio Ferdinando
di Borbone giurò sul Vangelo la
liberale costituzione di Spagna. I
Onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto
( prima guerra mondiale), concessa a
nostri compaesani, in quella
De Rosa Domenico di Sirignano
occasione, si dimostrarono imbelli
e timorosi e non si aggregarono all’esercito del Minichini, con la cocente delusione
di Nicola Luciano, di Avella, fervente carbonaro.
Facciamo un altro salto e arriviamo all’unificazione d’Italia. Il 18 febbraio
1861 si inaugurò a Torino il primo Parlamento italiano, e il 14 marzo Vittorio
Emanuele fu proclamato re d’Italia. Le condizioni delle popolazioni rurali,
però, non migliorarono in seguito a questo importante avvenimento politico.
Semplicemente i nuovi padroni (i liberali), presero il posto dei vecchi (i
galantuomini) e si appropriarono dei beni demaniali.
Quindi, mentre con i Borboni (Ferdinando II), in seguito ai moti del 1820
e del 1848 e con lo scopo di tenere sotto controllo il fenomeno del
brigantaggio, le affamate popolazioni rurali avevano riavuto parzialmente
gli usi civici (legnatico, erbatico, fogliatico, soccida e castagnatico), con
l’Unità d’Italia avevano visto peggiorare la loro condizione. Il nuovo governo,
infatti, per far fronte alle nuove spese necessarie per la ristrutturazione del
nascente Stato Unitario, non aveva trovato di meglio che svendere i beni
ecclesiastici. Ciò aveva determinato un ulteriore impoverimento delle classi
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Storia e destino comuni
Il brigantaggio nel Baianese
Benedetta Napolitano
più deboli (perdita dell’uso, tollerato, dei fondi ecclesiastici) e la reazione
(più o meno palese) di gran parte del Clero.
A livello locale, questo comportò la recrudescenza del brigantaggio (soprattutto
fra il 1861 e il 1865) che, questa volta, fu sfruttato dai Borboni (Franceschiello),
i quali, cavalcando il malcontento popolare, speravano in una insurrezione
dell’intero territorio di Terra di Lavoro, che ridesse loro il trono (magari a Caserta).
Questa seconda fase del fenomeno del brigantaggio ebbe, nell’agro baianese, i
suoi maggiori esponenti nei fratelli Giona e Cipriano La Gala (di Nola), che
avevano posto le loro basi sui Monti di Avella e sul Massiccio del Taburno.
Questi “scorridori” (come venivano anche chiamati), che giunsero a formare un
piccolo esercito di oltre trecento armati, non si limitarono solo a “togliere ai ricchi per
dare ai poveri” ma, come riportano alcuni atti ufficiali dell’epoca, commisero numerosi
misfatti ai danni delle popolazioni di Sirignano, Quadrelle, Avella e Moschiano non
disdegnando frequenti sortite nel Sannio e nella provincia di Terra di Lavoro. Questa
sanguinaria banda di briganti venne sgominata in una cruenta battaglia, il 18 dicembre
1861. I fratelli La Gala riuscirono, però, a mettersi in salvo e, quasi a voler confermare
i loro rapporti col clero, ripararono nello Stato Pontificio.
Più piccole, ma non meno feroci, furono le “comitive” di Antonio Manfra di
Monteforte, e quelle di Nicola Picciocchi di Baiano, di Francesco Abbate e di
Giuseppe Lauria.
La più temibile fu, probabilmente, quella di Angelo Bianco, detto Turri Turri,
di Mugnano del Cardinale, che si rese responsabile, tra l’altro, dell’uccisione del
patriota quadrellese Andrea Mattiis, e che terrorizzò la banda musicale di Avella
(per il solo fatto che i
suonatori, come i garibaldini,
portavano un berretto rosso).
Questa banda di delinquenti
sanguinari fu presto
sgominata dalla Guardia
Nazionale (cfr. capitolo su
Mugnano).
Baiano. Anni ‘50
Molti briganti nostrani,
secondo
quanto
ci
tramandano i cronisti
dell’epoca, godettero della
Baiano.21.04.1933. Cerimonia di
simpatia e della protezione
consegna del libretto di pensione
delle popolazioni locali. E’
noto, infatti, che le carbonaie (le donne che dai boschi di Campimma, Litto e
Tora, portavano a dorso di muli il carbone nei vari paesini) erano il tramite con il
quale i signorotti filoborbonici fornivano di provviste e di munizioni la banda di
Storia e destino comuni
14
L’Esagono
Emigrazione - Nascita del “mandamento” - Circumvesuviana - Fascismo
Nicola Picciocchi. E’ risaputo, inoltre, che essi ebbero anche il sostegno delle
suore del monastero di Santa Filomena: la madre superiora, suor Concetta
Attanasio (che aveva personali vincoli di amicizia con i borboni) fu addirittura
arrestata per questo. Vale la pena ricordare che un’altra conseguenza delle
condizioni miserevoli di quel periodo fu una prima ondata migratoria (1860-1886)
che interessò le nostre popolazioni fino al 1914 (prima guerra mondiale). Questo
primo flusso migratorio si diresse, prevalentemente, verso gli Stati Uniti
d’America.
I nostri paesi, già compresi nella provincia di Terra di Lavoro (l’attuale
provincia di Caserta), distretto di Nola (uno dei cinque in cui si divideva la
provincia), circondario di Bajano (uno degli otto in cui si divideva il distretto)
passano, dopo il 1861, con l’Unità d’Italia e con il conseguente nuovo assetto politico
e amministrativo, prima al Sannio e, poi, alla provincia di Principato Ulteriore (o
Principato Ultra), distretto (o circondario) di Avellino, mandamento di Bajano.
Da tale ripartizione amministrativa deriva, quindi, il termine
“mandamento” comunemente usato da tutti gli abitanti del baianese per
definire l’intero circondario, l’esagono dei sei comuni. Esso, infatti,
(Legge Rattazzi,1859) indicava una circoscrizione amministrativa
intermedia tra il circondario e il comune, in vigore fino al 1923.
L’11 luglio 1885 fu inaugurata la
ferrovia Napoli-Nola-Bajano,
mentre i collegamenti con Avellino
avvenivano tramite rocambolesche
“corse” di robuste diligenze trainate
da temerari cavalli.
Come già anticipato, la fine del
XIX secolo e l’inizio del XX (fino
alla prima guerra mondiale) videro
Baiano. Anni ‘50.
le prime emigrazioni di massa (a cui
poi dovevano seguire, mezzo secolo dopo, quelle del secondo dopoguerra).
Durante l’era fascista le nostre popolazioni, a detta dei nostri nonni,
videro migliorare per alcuni aspetti la loro situazione (maggiore ordine,
istruzione, prime pensioni, refettori dell’E.C.A.), ma dovettero anche
subire la tracotanza dei podestà e degli squadristi. I gruppi più esagitati
erano quelli di Mugnano del Cardinale che, in più di un’occasione, ebbero
dei violenti scontri con i loro compagni di partito di Baiano. In alcune
occasioni, ci furono anche delle revolverate.
Quando, il primo settembre 1939, l’esercito di Hitler aggredì la Polonia, molti
napoletani temettero, a ragione, l’inizio della seconda guerra mondiale. Circa
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Storia e destino comuni
Gli sfollati - Seconda guerra mondiale
Benedetta Napolitano
duecento famiglie, pari ad un migliaio di persone, giunsero a Baiano grazie alla
linea ferroviaria della circumvesuviana. Si trattava, quasi sempre, di famiglie di
commercianti o dell’alta e media
borghesia. Persone agiate e
professionisti che portarono una
ventata di innovazione nei piccoli
paesi del comprensorio baianese.
Rimasero per pochi mesi, fino a
gennaio del 1940. Poi, illusi dalla
politica di non belligeranza di
Mussolini, ritornarono a Napoli. Ma
quando, nel giugno del 1940, l’Italia
entrò in guerra a fianco della Germania, ci fu un nuovo e più consistente arrivo di
napoletani. Ma il fenomeno degli sfollati, come testimoniano i nostri compaesani
più anziani, assunse dimensioni drammatiche nell’autunno del 1942.
I frequenti bombardamenti di tedeschi ed americani sulla città partenopea
provocarono morte e distruzione, spingendo i nostri amici napoletani ad
abbandonare la città per rifugiarsi nei paesini di provincia, dove potevano sentirsi
più al sicuro e nelle cui campagne potevano trovare più facilmente di che sfamarsi.
La popolazione del mandamento di Baiano si triplicò. Intere famiglie, composte
spesso di otto o dieci persone, si rassegnarono a vivere in un’unica stanza.
La solidarietà dei nostri compaesani fu concreta e discreta e durò circa tre
anni. Ma, naturalmente, gli sfollati napoletani si diedero da fare per proprio conto
e s’ingegnarono nella coltivazione dei campi, nel commercio e nel contrabbando
(della pasta e del grano provenienti dalla provincia di Foggia; dei salumi nostrani
e delle sigarette -rispettivamente- verso e da Napoli).
Purtroppo, il sovraffollamento e le scarse condizioni igieniche che ne derivarono
provocarono l’insorgenza di gravi epidemie di vaiolo e di tifo, difficili da fronteggiare
per la carenza di medicinali.
Nel mese di settembre del 1943, il mandamento conobbe, in maniera ancora
più diretta, gli orrori della guerra. Il 18 di quel mese i cacciabombardieri americani,
nell’intento di scacciare i tedeschi, sganciarono alcune bombe su Baiano,
provocando 18 morti e numerosi feriti. Anche su Mugnano del Cardinale fu
sganciata qualche bomba che, per fortuna, o per intervento di Santa Filomena,
mancò l’obbiettivo. Seguì la mobilitazione generale della impaurita popolazione
che, ripetendo il percorso fatto dai loro antenati per sfuggire agli invasori medioevali,
si rifugiò sulle montagne circostanti. La gente fuggita sulle colline, non potendo portare
con sé tutti i suoi averi e volendoli proteggere dalle razzie dei tedeschi e dai numerosi
“sciacalli”, li nascondeva nei posti più impensati, li murava nei piccoli vani
(mandrilli) dei forni a legna o li calava nei pozzi e nelle cisterne.
Storia e destino comuni
16
L’Esagono
Dopoguerra - Voto alle donne - Primo sciopero del Baianese
I soldati tedeschi, allo scopo di rallentare l’avanzata dell’esercito degli Alleati,
fecerono saltare alcune abitazioni presso il “ponte” del Cardinale, a Mugnano.
Minarono la strada nazionale (nei pressi della curva ove ora si trova la clinica
“Villa Maria”) e posero la loro artiglieria nella zona del Fusaro di Avella: il nostro
comprensorio stava per diventare, suo malgrado, teatro di una violenta battaglia,
ma un provvidenziale e violento nubifragio, tra il 2 e il 3 ottobre 1943, spazzò
via gran parte dell’artiglieria della retroguardia teutonica, demoralizzando i
tedeschi che decisero di abbandonare le loro postazioni.
Ai primi di ottobre di quello stesso anno, due colonne di soldati americani,
una proveniente da Monteforte e l’altra da Summonte, scesero a “liberare” i nostri
paesi dai tedeschi occupando, a loro volta, i migliori palazzi di Mugnano del
Cardinale, Baiano e Avella. Qui posero la loro artiglieria, sullo stesso suolo che,
nel 1976, ci avrebbe restituito l’anfiteatro romano. Altri campi militari alleati
furono posti a Baiano, a Sperone (marocchini) e ad Avella (inglesi), ove costruirono
la piscina del Fusaro.
L’occupazione alleata si protrasse per circa un anno e i nostri intraprendenti
compaesani stabilirono proficui rapporti “commerciali” (contrabbando) con i soldati
alleati. Alcune vecchiette raccontano anche di alcuni casi di ragazze che
familiarizzarono eccessivamente con i soldati.
Nel dopoguerra cominciò l’emancipazione femminile nel baianese.
Com’è noto, le donne poterono votare
per la prima volta solo nelle amministrative della primavera del 1946
(D.L.luogotenenziale n.23 del 2 febbraio 1945) e, subito dopo, nel Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946. Il
18 aprile 1948 (prime elezioni politiSperone. Radio Lem. 1976.
che) a Sirignano, unico fra i paesi del
mandamento, vinsero le sinistre e le neovotanti donne, insieme agli uomini, presero parte
ad una rumorosa sfilata per tutto il circondario. Mugnano del Cardinale, in quei tempi, si
caratterizzò invece per una costante e netta prevalenza delle destre.
Ebbene, negli anni 1948-1950, vi fu il primo vero sciopero del mandamento di
Baiano. Protagoniste furono le operaie delle fabbriche di ciliegie ( ‘e cirasare), guidate dall’allora giovanissimo comunista Stefano Vetrano, che sarebbe poi diventato
deputato della Repubblica.
Un’altra tappa importante del nostro mandamento fu l’apertura, nel 1965,
del casello dell’autostrada di Baiano (A-16), che migliorò in maniera
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Storia e destino comuni
I gruppi musicali - Le radio private - Tele Baiano - I giornali locali Benedetta Napolitano
considerevole i nostri collegamenti con il resto del Paese. I mitici anni ‘60 e
il boom economico, sfiorarono appena i nostri paesini. Ci furono alcuni gruppi
musicali (The Florials, I Dolci Pensieri ed altri) e ci fu anche una certa ripresa
dell’economia, dovuta soprattutto alle rimesse degli emigranti (da Francia, Svizzera
e Germania) e degli operai che
Sirignano. 1981. Post-terremoto.
si erano trasferiti nel Nord
Proprietà Saveriano.Via Nazionale.
industrializzato.
Gli anni ‘70, gli “anni di
piombo”, videro -anche da
noi- qualche arresto di
persone appartenenti ai NAP
(nuclei armai proletari) o
vicini ad altri movimenti
terroristici (brigate rosse).
Ma si trattò solo di qualche
caso isolato.
Nacquero
numerose radio private (Radio Lem di Sperone, Radio Mandamento di Baiano,
ed altre). La prima ed unica televisione privata del comprensorio fu Telebaiano
(1982-1994) del “maresciallo” Peppe Esposito.
Ad un secolo di distanza dalla fondazione del primo periodico del baianese
( “La favilla” del 1882) videro finalmente la luce alcuni giornali locali (“l’Alba”,
“la Voce”) che ebbero vita molto breve (ad essi sono seguiti, in tempi più recenti
“Il Meridiano”, del Prof. Pierino Luciano di Avella, e “La nuova Gazzetta” del
dott. Pellegrino De Rosa, di Sirignano).
In seguito al terremoto del 23 novembre 1980, che funestò l’Alta Irpinia, e
a quello del 14 febbraio 1981 (con epicentro tra i Monti di Avella) i nostri
paesi subirono danni di media entità. Più dannosa delle stesse scosse telluriche
fu la gestione del post-terremoto che, se da un lato, con la ricostruzione offrì
un po’ di respiro alla anemica economia locale, dall’altro produsse, in nome
di una presunta rimodernizzazione, la scellerata distruzione di graziosissimi
centri storici e di importanti ed imponenti edifici, che avrebbero potuto essere
invece conservati e valorizzati.
Dal punto di vista ecclesiatico, i paesi del baianese, hanno fatto parte della
Diocesi di Avella (che comprendeva anche Roccarainola) fino a circa la metà del
XIII secolo. Poi passarono (tra il 1215 e il 1264) alla Diocesi di Nola (II decanato).
Il nostro mandamento, storicamente, culturalmente e, finanche,
linguisticamente, ha maggiori affinità col napoletano che con l’entroterra
irpino. Ciò, insieme ad altre considerazioni di ordine politico e
Storia e destino comuni
18
L’Esagono
Il Baianese oggi - Città del Baianese - Provincia di Nola - CDR
amministrativo, ha spinto negli ultimi anni alcuni politici locali a
caldeggiare la possibilità della istituzione di una “provincia di Nola”,
nella quale entrare a far parte -per avere maggior peso politico- non
come singoli comuni ma, tutti insieme, come “Città del Baianese”.
Le ultime vicende (costruzione del CDR al confine di Avella) hanno, infatti
messo in evidenza ancora una volta il fatto che i sei comuni divisi non godono,
attualmente, di alcuna considerazione sia da parte della Provincia sia della
Regione.
A proposito della mancanza di iniziativa dei nostri politici in sede
amministrativa, si tramanda il seguente divertente aneddoto:
Un nostro ex Consigliere Provinciale, uomo simpaticissimo e stimato
professionista, o perché privo di idee o per “educazione”, non aveva mai
osato prendere la parola durante le sedute del Consiglio Provinciale.
Naturalmente, per questo motivo era aspramente criticato dagli avversari politici.
Ma un bel giorno, nell’ultima seduta del Consiglio Provinciale, tra la sorpresa
generale, si alzò di scatto in piedi e, puntando minacciosamente l’indice contro
l’esterefatto e sorpreso Presidente Provinciale, urlò: «ma la volete chiudere o
no quella benedetta finestra dietro le spalle; non vedete che c’è corrente?».
Esistono (così si dice) la “Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese”, il
Parco Regionale del Partenio (che comprende Avella, Baiano, Quadrelle e
Sirignano) e i PIT (piani integrati territoriali) ma, al momento, non si apprezza
nessun loro effetto positivo sull’economia o sull’ambiente.
Nel 2002, il mandamento del Baianese non è più terra di emigranti. Esso, anzi,
accoglie -secondo alcune stime sicuramente più veritiere degli ultimi dati ISTATcirca trecento extracomunitari, provenienti in gran parte dalle sponde meridionali
del Mediterraneo e dai Paesi del vicino est europeo (Polonia, Ucraina, Romania).
Un consistente numero di persone provenienti dall’hinterland partenopeo si
sta trasferendo nei paesi del baianese, ove è possibile trovare abitazioni a prezzo
più conveniente e, soprattutto, un ambiente più tranquillo.
Ma la nostra non è un’economia ricca. I nostri problemi sono quelli tipici
delle zone interne non industrializzate e incapaci di valorizzare le loro risorse
ambientali che, tra l’altro, nel frattempo vanno degradandosi.
Periodicamente si ha notizia di rifiuti (più
2002. Il costruendo CDR
o meno tossici) interrati, più o meno
clandestinamente, in vari siti (vallone
Acquaserta di Quadrelle, Panoramica di
Avella, Fossa di Mugnano, Vasca tra
Avella e Sperone). Il fenomeno droga è in
preoccupante aumento. Urgono seri e
decisivi provvedimenti.
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Storia e destino comuni
Foto satellitare e coordinate geografiche del “mandamento”
Benedetta Napolitano
2
1
9
3
Rare foto satellitari del nostro territorio (sotto) e della piana campana (in alto)
1-Complesso vulcanico Monte Somma - Vesuvio; 2-Monti Lattari (Penisola Sorrentina);
3- Monti di Sarno; 4- Monti di Lauro; 5- Monti di Avella; 6- Massiccio del Taburno;
7- Avellino; 8- Cis di Nola; 9- Alenia di Pomigliano d’Arco; 10- Mandamento di Baiano.
Le coordinate del nostro mandamento (riferite a Baiano) sono:
40°57’00’’ latitudine Nord e 14° 37’ 00’’ longitudine Est
9
3
8
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10
5
7
Storia e destino comuni
6
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L’Esagono
Origini del nome Abella - La citazione nell’Eneide
Avella
Avella si chiamava, anticamente, Abella. Questo nome deriverebbe, secondo
alcuni Autori, da Aberula, termine osco che significherebbe “città del cinghiale”
(aper in latino). Tale ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che nell’attuale stemma
civico (detto dagli avellani più anziani affettuosamente ‘o puorco) si trova
raffigurato proprio un cinghiale con l’Appennino sullo sfondo. Secondo altri, il
nome della città proverrebbe da Abblona, città delle mele, toponimo indoeuropeo
derivante da Apfer o Apple. Altri, ancora, ritengono che esso derivi da Abel, campo
erboso, nella lingua di una popolazione anatolica di razza semitica che sarebbe
capitata dalle nostre parti fuggendo dai Caldei, dopo la guerrra di Troia. La stessa
popolazione si sarebbe spinta, successivamente, nell’entroterra irpino e vi avrebbe
fondato Abellinum, il primo nucleo della moderna Avellino. Alcuni Studiosi
ritengono -infine- che il nome Abella possa derivare da avellere, verbo latino che
significa sradicare, spazzare via; in riferimento al forte vento di tramontana che sferza
le nostre terre nelle stagioni invernali ed autunnali. L’ipotesi che Abella significasse
semplicemente poco incline alla guerra non viene generalmente accettata, anche in
considerazione dell’indole fiera dell’antico popolo avellano.
Secondo la leggenda, Avella sarebbe stata fondata da Èbalo, alleato di Turno
(re dei Rùtuli) che si opponeva ad Enea sbarcato sulla costa laziale. Virgilio, infatti,
nell’Eneide (libro VII, 733-743) racconta quanto segue:
«Nec tu carminibus nostris indictus abibis, (733)
Oebale, quem generasse Telon Sbethide nympha
Fertur, Teleboum Capreas cum regna teneret,
iam senior; patriis sed non et filius arvis
contentus late iam tum dicione tenebat
Sarrastis populos et quae rigat aequora Sarnus
quique Rufras Batulumque tenet atque arva Celemnae
et quos maliferae despectant moenia Abellae, (740)
Teutonico ritu soliti torquere cateias,
tegmina quis capitum raptus de subere corex,
aerataque micant peltae, micat aereus ensis.». (743)
«Né di te tacerò nel mio canto; Èbalo nato da Telon
unito ormai vecchio alla Ninfa Sebètide quando su Capri
regnava coi suoi Teleboi; ma il figlio non pago
dei campi paterni già dominava i Sarrasti
e i campi che il Sarno attraversa, le genti di Bàtulo,
di Rufra e Calemma e quelle che le mura di Abella
ricca di mele guardano in basso dall’alto;
usano lanciare catée al modo Teutonico
e copre il lor capo corteccia strappata dal sughero
e brillan gli scudi di bronzo, le spade di bronzo».
21
Avella
Gli insediamenti umani preistorici
Benedetta Napolitano
Da questa descrizione del sommo poeta si evince che gli antichi avellani
usavano lanciare le catèe, una sorta di sottili giavellotti legati da una fune che ne
consentiva il recupero, e che si coprivano il capo con corteccia di quercia da
sughero. Ma gli archeologi e i paleontologi ci rivelano che il territorio dell’odierna
Avella era abitato dall’uomo ancora prima. Fin dalle ere pre-protostoriche.
Numerosi ritrovamenti risalgono, infatti, al Paleolitico Superiore (VIII
millennio a.C.), al Tardo Neolitico (IV millennio a.C.) e all’Età del Bronzo (XIV
secolo a.C.). In particolare, il sito
Presunta pipa etrusca (in bucchero)
archeologico individuato in località
Mulino S.Antonio, alle sorgenti del
torrente Clanio, ha restituito una
serie di significativi reperti che
suggeriscono antichi rapporti delle
popolazioni indigene con altri
nuclei
preistorici,
anche
notevolmente distanti dalla valle
baianese. Infatti, accanto a
ceramica
figulina
con
decorazione dipinta databile a
circa seimila anni fa (Tardo
Neolitico), sono state rinvenute
alcune asce di selce importate dal
Gargano, asce in pietra verde
provenienti dalle regioni alpine e strumenti in ossidiana, originaria delle Eolie
(Lìpari) e dell’isola di Palmarola.
Lo studio della sequenza stratigrafica, effettuato in vari siti del territorio
avellano (lungo il Vallone Serroncello, località Fusaro, Fontanelle, Caravatta,
Campopiano, Mulino S.Antonio ed altre) ha posto in evidenza l’alternanza di
alcuni paleosuoli con eventi vulcanici vesuviani e flegrei.
Strati di materiale vulcanico (pomici, lapillo, ceneri) e strati di dilavamento si
alternano ad antichi suoli (paleosuoli) che ci hanno restituito resti di animali
(cervi, orsi, caprioli, tartarughe, cinghiali e così via) e primitivi manufatti.
Questi reperti rappresentano un’ulteriore conferma di come questo territorio
sia stato costantemente abitato dall’uomo, nonostante i numerosi e devastanti
eventi eruttivi subiti. Inoltre (secondo una notizia non confermata), alcuni
intraprendenti avellani avrebbero calato una telecamera con relativo faretto
all’interno di una fossa del terreno, riuscendo ad osservare, in tal modo, una grotta
con all’interno primitive pitture rupestri.
La persistenza dell’uomo in questo territorio è dovuta alla presenza di numerose
grotte, alla ricchezza di selvaggina e di vegetazione e, soprattutto, alla presenza
Avella
22
L’Esagono
Il torrente Clanio - I Sanniti - I Greci - La “Civitas foederata”
di un importante corso d’acqua: il Clanio. Questo torrente, a giudicare dalle
incisioni e dalle grotte che ha lasciato lungo il suo corso, alcune migliaia di anni
fa doveva avere una portata d’acqua ben più consistente di quella attuale e doveva
essere, presumibilmente, navigabile tramite zattere e canoe almeno in alcuni tratti.
Esso ha rappresentato
un’importante via naturale
di popolamento, di
comunicazione e di
interscambio dell’intera
area, mettendo in
comunicazione le coste
del Tirreno (ove termina il
suo corso, nei pressi della
foce del fiume Volturno)
con l’entroterra campano,
Alto Clanio
favorendo (come risulta
da recenti scavi nell’area a sud dei Regi Lagni) l’addensamento di insediamenti umani
lungo tutta la direttrice fluviale.
I primi villaggi sorsero sulle alture del Clanio circa mille anni prima di
Cristo. Ma il primo vero e proprio agglomerato urbano si fa risalire,
comunemente, a prima del secolo VIII a.C. (quindi, ad ancora prima della
fondazione di Roma, che la tradizione fa risalire al 21 aprile del 753 a.C.).
Avella fu, quindi, Greca Calcidiese, Osca, Etrusca, Sannita e Romana (oltre
che, in epoche successive, Normanna e Saracena). Greci ed Etruschi
provenivano dalla costa tirrenica, mentre i Sanniti provenivano dall’entroterra.
I primi, come testimonianza della loro presenza, lasciarono oggetti e manufatti
simili a quelli rinvenuti ad Ischia (Pithecusa) e a Cuma; i secondi lasciarono
alcune sepolture, cinturoni e vasi a vernice nera, sulle colline del Clanio.
Avella era diventata un luogo di incontro (e di scontri) tra le popolazioni
provenienti dalla valle del Sabato e quelle della piana campana. I Sanniti
Caudini la fortificarono con solide mura in opus incertum, cioè con blocchetti
irregolari di tufo. Essa fece, poi, parte della Lega Sannitica, insieme a Nola.
In seguito, apparvero i Romani, che vi si insediarono per la sua importante
posizione strategica. Nel 339 a.C. si pose sotto la protezione di Roma come
Civitas foederata. Nell’87 a.C. venne distrutta dai Sanniti. Fu, poi, municipio e,
più tardi, vi venne insediata una colonia da parte di Silla, dittatore romano (82 a.C.).
Avella riacquistò una rinnovata importanza tra la fine del periodo repubblicano
e l’inizio dell’età imperiale (circa 2000 anni fa). Fu, infatti, menzionata da
importanti Autori classici tra cui -come abbiamo visto- Virgilio, che la cita
nell’Eneide fra coloro che si allearono con Turno (re dei Rùtuli), contro Enea.
23
Avella
Invasioni barbariche - Abella romana
Benedetta Napolitano
Plinio la nomina per le nocciòle, “Nucae Abellanae”. Anche Diocleziano la
ricorda nel suo editto, sempre per gli stessi frutti (“Nucium Abellanorum”).
L’antica Abella subì le invasioni barbariche e fu saccheggiata dai Visigoti,
guidati da Alarico, nel 410 d.C., e da Genserico re dei Vandali e degli Alari, nel
455 d.C.. Successivamente fu devastata dalla guerra gotico-bizantina. Nel VII
secolo d.C., subì la dominazione prima dei Goti e poi dei Longobardi. Questi
ultimi vi costruirono il castello, non in legno, come facevano in altre parti d’Italia
ma in pietra, sfruttando evidentemente la manodopera locale già esperta in tali
costruzioni; essi diffusero la coltivazione dell’albero di tiglio, che adoravano.
Avella fu assalita dai Saraceni nell’884 d.C. e nell’887 d.C. fu presa dai
Bizantini di Napoli, guidati da Atanasio II.
Nel 937 d.C., secondo quanto riportato nella “Chronica Monasterii Casinensis”,
in seguito a una scorreria degli Ungari, Avella fu distrutta insieme con Cimiterium
(Cimitile) e Sarno. Con la caduta della longobardia minore, nell’XI secolo divenne
normanna. Fu feudo dei baroni normanni, e angioini, per poi passare ai conti Orsini,
Doria, Cattaneo, Spinelli Del Balzo, Janvilla, Caracciolo, Pellegrino, Loffredo, ad
Aspreno Colonna Doria del Carretto e ai Toledo, ultimi discendenti baronali.
Si ipotizza che nel XIV secolo, sotto Nicola Janvilla, sia stata coniata anche una
moneta: un tornese in rame
recante al dritto una croce patente
ed al rovescio il Castello con la
legenda “De Avelle do 2”.
Abella Romana
Abella romana era situata
nella zona di San Pietro e aveva
sei porte: Porta Casale, verso
Tufino; Porta di Corte nel territorio di Sperone; Porta Ventura
nei pressi di Via Carmignano;
Porta di Ponte, verso Est; Porta Riva nella zona di San Pietro; Porta Castello nei paraggi
della chiesa di San Giovanni.
La disposizione urbanistica
di Abella romana si può intuire
dalla disposizione delle strade
dell’attuale centro storico della
moderna Avella che, purtroppo,
Avella
Le due facciate del monolitico “Cippus Abellanus”
24
L’Esagono
La scacchiera ippodomea - Il cippus abellanus
è stata costruita in gran parte sulla città antica. E’ risaputo che i Romani
costruivano le loro città e i loro accampamenti militari in maniera molto
caratteristica.
Avella. Località San Nazzaro.
Vi era un asse principale,
Tomba romana con scheletro
sempre orientato da Est ad
Ovest, detto decumanus
major, affiancato da due
strade parallele secondarie,
una per lato (decumani minori). Dall’asse principale si
dipartivano, poi, i cardini,
disposti trasversalmente ai
primi e in numero variabile.
Questa particolare disposizione detta “a scacchiera
ippodomea”, derivava dal
modo in cui l’augure (l’indovino, interprete del volere degli dei ) delimitava
il templum celeste (uno spazio circoscritto della volta celeste in cui “leggere”
i presagi). Corso Vittorio Emanuele corrisponderebbe al decumanus major.
I cardines, partendo da piazza Municipio, sarebbero, sulla sinistra: via
Roma, viale San Giovanni, via Santa Croce, via Foro Avellano, via Molino e
sulla destra: via Carmignano, via Cardinale D’Avanzo, Via A. Buongiovanni,
via San Nicola e via Cancelli. Probabilmente Piazza Municipio doveva essere lo stadio, mentre le necropoli erano poste fuori la città (Località S.Nazzaro
e S.Paolino).
Il Cippus Abellanus
E’, forse, il reperto archeologico più importante di Avella, per il contributo
determinante dato alla conoscenza della lingua osca. E’ costituito da una pietra calcarea
(larga m. 0,81 ed alta m. 1,83), risalente presumibilmente al II sec. a.C. e recante
un’iscrizione scolpita su due lati.
Questo reperto rappresenta uno dei più importanti documenti epigrafici in lingua
osca, dai più ritenuta un’emanazione della lingua etrusca, risalente al periodo successivo
alla seconda guerra punica; vi si trovano anche alcuni termini greci e latini.
Esso, secondo i primi archeologi che l’hanno studiato, era conficcato a terra
come confine, probabilmente all’altezza del ponte di Schiava (frazione di
Casamarciano e di Tufino). L’iscrizione, scolpita su entrambi i lati, risale probabilmente al II secolo a.C. e riporterebbe i termini dell’accordo tra Abella e Nola
per la regolarizzazione dell’uso comune del tempio di Ercole (non ancora riporta25
Avella
L’anfiteatro romano
Benedetta Napolitano
to alla luce) e delle aree circostanti, adibite a mercato. L’ipotetica esistenza di
questo tempio sarebbe avvalorata da un recente ritrovamento (in località
Montagnola, al confine tra
Monumenti Funerari (incustoditi)
Avella, Schiava e Visciano)
di due statuette bronzee raffigurante il forzuto dio.
Altri archeologi, recentemente, hanno messo in
dubbio sia l’originaria localizzazione del Cippus sia il
fatto che, ad Avella, sia mai
realmente esistito un tempio
dedicato ad Ercole.
Il Cippus Abellanus fu rinvenuto secondo alcuni Autori nel 1685 tra le
rovine del castello. Secondo altri, fu scoperto nel 1745 dal prete mugnanese
don Pasquale Bianco. Sembra, comunque, che fu il Remondini (ma non c’è
accordo neppure su questo) a portarlo, nel 1750, presso il Seminario Vescovile
di Nola, ove ancora si trova.
Nel 1984, durante uno scavo in località San Pietro, è stata rinvenuta una seconda iscrizione osca, composta da tre frammenti.
L’Anfiteatro romano
Fu portato alla luce solo
nel 1976. Si trova nella zona
detta di San Pietro, nell’immediata periferia della città. Ha un diametro massimo di 90 metri.
Per grandezza e periodo
di costruzione può paragonarsi a quello di Pompei. E’
tra i più antichi della
Campania, fu costruito tra il Struttura di un anfiteatro
I secolo a.C. ed il II secolo 1) arena. 2) fossa per la custodia di fiere e attrezzature.
d.C.. Venne edificato in se- 3) canale di deflusso delle acque. 4) podio.
guito alla guerra sociale e il 5) ingresso per animali. 6) vomitori. 7) corridoi anulari.
successivo insediamento di 8) meniani. 9) matroneo. 10) velario.
una colonia da parte di Silla. Esso sorgeva all’estremità orientale del decumanus
maior (attuale corso Vittorio Emanuele), all’altro capo del quale era il foro (nelle
Avella
26
L’Esagono
I mausolei
vicinanze dell’attuale piazza San Pietro). Realizzato in “opus reticulatum” di tufo,
ha forma ellittica, a doppia arcata. La struttura è appoggiata in parte alle mura
perimetrali dell’antica città, e in parte ad un pendio naturale. La cavea presenta
tre ordini di gradinate: l’ima, media e summa cavea; di quest’ultima rimane solo
qualche traccia. Contrariamente ad altri anfiteatri più recenti non presenta sotterranei o cunicoli. InolAnfiteatro
tre, l’asse maggiore si
presenta traslato rispetto allo schema
urbano con cui si sviluppò la città di
Abella.
L’anfiteatro presenta dei piccoli
tempietti dedicati ad
Ercole, davanti ai
quali si soffermavano
a pregare i gladiatori
prima dell’inizio dei combattimenti. All’arena si accedeva attraverso due porte
principali: la “porta triumphalis”, orientata in direzione della città, e dal lato opposto la “porta libitinensis”, dalla quale venivano portati via i gladiatori morti in
combattimento. Una terza porta, ad ovest, era riservata ai giudici di gara.
L’Anfiteatro venne distrutto dai Sanniti nell’87 a.C. e poi fu ricostruito. Era
sicuramente accessibile nel periodo medioevale, poiché all’interno del perimetro
della sua arena sono state trovate alcune tombe risalenti a tale epoca. Le pietre di
tufo che costituivano le gradinate, nei tempi passati, sono state asportate ed utilizzate per altre costruzioni. Presumibilmente, inoltre, l’anfiteatro veniva allagato
utilizzando le acque del vicino torrente Clanio in occasione di rappresentazioni di
battaglie navali (naumachìe).
Mausolei
I mausolei
Sono tombe romane (epigee) o “monumenti funerari” risalenti al periodo compreso fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.. Risultano posizionati sulle più importanti vie di
comunicazione che collegavano la città di
Abella con Suessola (Acerra) e Calatia
(Maddaloni), Abellinum (Avellino) e l’antica Nola, o nei pressi di ville rustiche.
27
Avella
Il castello medioevale
Benedetta Napolitano
Ad Avella, i mausolei sono sparsi un po’ dovunque quasi sempre incustoditi e
in rovina. Addirittura, alcuni di
essi venivano utilizzati dagli
agricoltori del posto, come cisterne o come case rurali: i meglio conservati sono quelli in
località Casale. I monumenti
sono costituiti da due corpi
sovrapposti, con pianta inferiore quadrangolare e superiore
circolare o poligonale, terminante in cuspide o sormontata
da un’edicola. Sono costruiti in
“opus incertum” e rivestiti con
stucco. All’interno è situata
una camera sepolcrale in cui
veniva collocata l’urna con le
ceneri del defunto.
I mausolei appartenevano,
naturalmente, ai ceti sociali più
elevati e al cosiddetto “ordo”.
Il
castello medioevale
( “Castello Longobardo”, Castello
Normanno” o “di San Michele”).
Pianta della fortificazione
A- Ingresso al borgo
B- Ponte elevatoio
C- Cinta muraria interna (longobarda)
D- Cinta muraria esterna (normanna)
E- Cisterna di raccolta d’acqua piovana
F- Cappella
G- Donjon normanno (castrum)
H- Torrione o Mastio angioino
I- Torretta aragonese
Secondo la tradizione (ma
non tutti concordano) esso sorgerebbe sulle rovine di un antichissimo tempio pagano consacrato ad Ercole. Nel suo genere, è tra i meglio conservati dell’Italia meridionale. Costruito in posizione strategica, a 320 metri sul livello del mare, su una collinetta a nord-ovest della città,
domina la valle sottostante e consente di godere del panorama fino al golfo di Napoli.
E’ raggiungibile grazie a una strada carrabile che, attraversato il torrente Clanio,
si inerpica per la collina fino al Piano della Calcara, ove s’incontrano i primi
ruderi. Caratteristica peculiare di questa fortezza sono la tecnica di costruzione
e i materiali usati. La manodopera locale dell’epoca, costituita da contadini abilissimi a costruire i muri a secco delle campagne, ma poco avvezzi a realizzare
grandi strutture, costrinse i costruttori ad utilizzare blocchi irregolari di pietra
Avella
28
L’Esagono
Le cinte murarie - Il mastio - Il donjon
calcarea locale tenuti insieme da malta, disposti secondo una tecnica costruttiva
che richiama, vagamente, l’opus incertum.
Attualmente restano due cinte murarie degradanti sul pendio della collina.
Quella esterna, normanna, di forma rettangolare, è costituita da solide mura (1,5
metri di spessore) intervallate
da otto torri quadrangolari.
Queste, a due
livelli, sono munite di strette fessure per la difesa
ed ornate con
merlature guelfe,
che ne favoriscono
la difesa dall’alto. Questa prima linea di difesa racchiude un’area di circa 4 ettari e
presenta, nella parte in basso a destra, un’apertura che consentiva l’ingresso al borgo.
La cinta muraria interna, più antica (VII sec d.C.), di forma ellittica, corrisponde al primo inseUn mosaico avellano
diamento longobardo e
racchiude un’area di circa 1,2 ettari.
Essa comprende dieci
torrette difensive (sei di
forma tondeggiante e
quattro di forma quadrata). Le torrette potevano ospitare, al massimo, due difensori.
Nella parte alta della
collina si elevano le strutture meglio conservate e più imponenti della
fortificazione: il torrione (mastio o maschio) svevo-angioino, alto venti metri, e il massiccio donjon normanno.
Nel lato est della fortificazione, tra il torrione e il donjon, si apriva l’ingresso principale del castello, costituito da un’apertura a sesto acuto, protetta
da un ponte elevatoio (di cui non vi è più traccia). Erano presenti anche una
cisterna di circa 10 x 8 metri per lato e una cappella.
Alcuni avellani più anziani sostengono, infine, che vi sia un cunicolo sotterraneo che condurrebbe fino all’altura delle Forestelle.
29
Avella
Il cippo onorario - L’aquedotto romano
Benedetta Napolitano
In un documento spagnolo del 1529 esso è descritto come “Forteleza
con una tierra iunta disabitata; sobre un monte sta el castillo, mal tratado
aunque antiguamente era bello y grande”.
Un altro documento del 1603, così parla del castello: “...sopra un monte
dalla parte di occidente (vi è) lo castello
con la cittadella e palazzo... nel quale vi
è una torre grande con cortiglio. Una
Tombe ipogee
sala con otto camere in piano e molta
altra comodità. Questa cittadella è murata con dodici altre torrette attorno dette
mure ... e dentro vi sono circa cento fochi
distrutti e disabitati. Vi è anco la Parrocchia e cisterna grandissima ... (e, inoltre) vi si ponevano i carcerati di mala
vita...”.
Il castello venne abbandonato nel 1371
ma, poi, fu fatto restaurare nel 1533 da
Pietro Spinelli.
A partire dal 1986, la struttura è stata
interessata da vari interventi di restauro.
Gli ultimissimi lavori hanno portato
alla luce alcuni ruderi che, a quanto sembra, rappresenterebbero ciò che rimane di
alcuni locali adibiti a stalle.
Il Cippo onorario L.E. Invento.
E’ un blocco di pietra calcarea databile attorno al 170 a.C. dedicato a Lucio
Egnazio Invento. Su di un lato, è visibile uno schema dell’anfiteatro (con ima,
media, summa cavea e la doppia arcata) e, sull’altro, due lottatori.
L’Acquedotto romano (o “di San Paolino”).
E’ un acquedotto a cielo aperto, le cui vestigia sono ancora visibili lungo il
torrente Clanio (in particolare in località “Capo di Ciesco”).
Esso comprendeva due diramazioni: una, posta più in alto, che andava verso
Roccarainola, e l’altra, più in basso, che forniva Avella e giungeva sino a Nola. L’acquedotto di San Paolino, fu costruito gratuitamente dagli Avellani (410 d.C.) su richiesta
di San Paolino, per approvvigionare Cimiterium (Cimitile). Successivamente è stato adibito
per la funzionalità dei quattro mulini lungo la strada che ora costeggia il fiume Clanio.
Avella
30
L’Esagono
Mosaici - Aree sacre - Ritrovamento fossili marini
Acquedotto romano (ponte)
Altri reperti
Delle Terme sono state rinvenute solo misere tracce in via Foro Avellano,
sempre nei pressi del fiume Clanio. Il Teatro non è ancora stato portato alla luce;
alcuni pensano che doveva trovarsi nel territorio divenuto ora del comune di Sperone.
Nessuna traccia è stata rinvenuta di Ginnasio, Pretorio e Piscina. Sono stati
invece riportati alla luce importanti mosaici, come quello di “Edipo che uccide
Laio” del I sec., (ora al Museo Nazionale di Napoli) ed altri rinvenuti (nel 1965)
in Vico Luciano e in Via Cancelli.
Tombe ipogee, sepolte, monumenti e interessanti corredi funerari sono stati
portati alla luce in località San Paolino (Circumvallazione, Via Fusaro), in località San Nazzaro e in altri numerosi siti.
Altri scavi hanno portato alla luce pezzi di antiche strade un po’ dovunque.
Ugualmente importanti sono i reperti archeologici riguardanti vasi di argilla
figulina (di influsso greco ed etrusco) e vari oggetti ornamentali: bracciali, fibule
e ventagli. Non mancano vasi dipinti e monete, come ben sanno i “tombaroli”
nostrani. Inoltre, due Aree Sacre sono state individuate in località ben precisate:
sul Colle del Seminario e a Campopiano.
La prima località, nota anche per il ritrovamento di fossili di organismi marini risalenti a ben 125 milioni di anni fa (cretacico), è una collinetta posta al limite
tra i comuni di Avella, Tufino e Roccarainola. La seconda località è rappresentata
31
Avella
Il misterioso santuario di Ercole e la presunta pipa etrusca
Benedetta Napolitano
da un bassopiano che si estende dalle colline di San Cataldo e delle Forestelle
fino a raggiungere i primi contrafforti
dell’appennino. In tali aree sono stati rinvenuti manufatti risalenti a varie epoche
storiche, a partire dall’VIII secolo a.C..
Nel 1996, al confine del Comune di
Tufino (nei pressi della località Schiava),
in seguito ai lavori di costruzione del
metanodotto italo-algerino, vennero alla
luce i resti di una villa romana. Si pensa
che in quella zona (ponte di Schiava) si
trovi, coperto da pochi metri di terra,
l’importante Santuario di Eracle (per i
greci) o Ercole (per i romani), a cui fa
riferimento il Cippus Abellanus.
E’ stato già detto che accreditati Studiosi Vaso Avellano. Regolarmente registrato.
sembrano dubitare dell’esistenza di tale santuario, Proveniente da una collezione privata.
ritenendo che il tesaurus per le offerte al dio potesse essere costituito anche da una semplice
urna di piccole dimensioni, non necessariamente collocata in un tempio. Ma insistenti voci
di paese, non confermate, riportate per pura cronaca, insistono nel ritenere che il “sottosuolo”
di Avella sia molto più interessante di quanto gli archeologi ufficiali sembrano o vogliano
lasciar credere. Ma non è dato sapere di più. Su questi argomenti permane un silenzio da
tomba (romana). Anzi, da “tombarolo”.
Non sono improbabili, infine, futuri (o passati, ma non ufficiali) ritrovamenti
di tombe dell’età sannitica, come quelle già portate alla luce nel vicino agro nolano.
Altre voci riferiscono, insistentemente, di ritrovamenti di un grossa pipa, forse
etrusca, in bucchero (si veda la foto ad inizio capitolo, pervenuta via e-mail alla
redazione de “La nuova Gazzetta”). Si tratta solo di uno scherzo o di un importante
ritrovamento? Ogni lettore potrà farsi una sua personale idea. Ma, nel caso che
il reperto sia originale e veramente proveniente da Avella, cosa mai potevano
fumare gli antichi avellani (etruschi o osci), visto che il tabacco è stato portato
in Europa dopo la scoperta dell’America (12 ottobre 1492)?
Forse la spiegazione deve essere ricercata in una certa raffigurazione su di un
misterioso e inafferrabile vaso (della cui reale esistenza non vi sono prove certe)
rappresentante un uomo intento a cogliere foglie di vite. E, se si fosse trattato non di
un disegno di una vite ma di una stilizzazione della cannabis? (*)
Al di là della fondatezza di tale ipotesi, resta certo che i ritrovamenti casuali (per lo
più in cantieri edili) e non, hanno alimentato un intenso e assai prospero commercio
clandestino di reperti di ogni tipo.
Avella
32
L’Esagono
Alcune vecchie foto di Avella
Chiesa della SS.ma Annunziata e
Convento dei frati minori
Chiesa di Santa Marina e Collegiata
di San Giovanni Battista
(si noti il ponte a tre arcate sul Clanio e
il “passaggio” in pietra)
Piazza municipio 1920
(*) non la Cannabis
indica, naturalmente,
che giunse in Europa
solo qualche millennio
dopo, ma la Cannabis
Sativa, da fibra e da
granella, che pur avendo una minore concentrazione di THC
risulta ugualmente
allucinogena, e che da
sempre è presente in
Europa.
33
Giardino Livia Colonna. Statua del Dio Nilo.
Avella
La sede del Vescovato - Il Papa di Avella - Alcune chiese
Benedetta Napolitano
Avella: i beni architettonici
La Chiesa di San Pietro, risalente al 1300, nell’antichità fu la cattedrale di
Avella e sede del suo antico vescovato, che comprendeva anche gli attuali comuni
di Baiano, Mugnano del Cardinale, Sperone, Quadrelle, Sirignano e Roccarainola.
La prima citazione nota è del 1308 (come risulta dal libro delle Decime
ecclesiastiche). A tre navate, fu costruita sulle rovine di un palazzo gentilizio
romano, nella zona dell’antico foro avellano. Lo stile della costruzione è romanico
con influenze arabo-normanne. La chiesa com’è oggi risale al XVII secolo.
Sull’ingresso è situato un bassorilievo marmoreo dell’età imperiale, proveniente
dal monumento sepolcrale di Lucio Sitrio Modesto. Una cappella annessa
custodisce un bell’altare in marmo con colonne in porfido di colore verde antico
e, alle spalle di questo, un sarcofago sul quale è incisa in esametri latini
un’appassionata e bella iscrizione a Prenestina, consorte di Veio, che testimonia
la fede dell’autore nell’immortalità dell’anima.
La Chiesa della SS.ma
Annunziata, ad una sola navata,
annessa al convento dei Frati
Minori Osservanti, inizialmente
fu dedicata alla Vergine degli
Angeli e, nel 1725, fu intitolata
alla SS.ma Annunziata. Edificata
tra il 1580 e il 1589, presenta un
soffitto a cassettone e dipinti di
Giuseppe Castellano. Vi si
conserva gelosamente una
Convento dei Frati Minori. Porticato.
“deposizione” in legno che si dice
copia del Rubens, un Sant’Antonio da Padova della scuola Salernitana, un
bellissimo Crocefisso, un coro ligneo di G. Del Tito del 1625. Il suo chiostro è
sorretto da colonne monolitiche, alcune delle quali provengono da palazzi o
monumenti romani. Esso venne poi abbellito da A. Buongiovanni, artista avellano,
con scene raffiguranti la vita di San Francesco. Al centro del chiosco, nel 1653,
fu fatta scavare una cisterna da padre Giuseppe di Fontanarosa.
La Chiesa parrocchiale di S. Marina e Collegiata di San Giovanni Battista, fu
costruita nel 1798 su una preesistente basilica paleocristiana che era stata fatta
edificare dall’avellano Papa Silverio, nel VI secolo d.C.. Un documento del 1324
ricorda il titolo della chiesa di S.Marina, che sorgeva ad Ovest dell’attuale
campanile. Nello stesso sito vi erano anche l’antica Collegiata e la Cappella
Avella
34
L’Esagono
Palazzo Ducale - Giardino Livia Colonna
dell’Immacolata. Successivamente queste furono abbattute perché in pessimo stato
e al loro posto venne edificata l’attuale costruzione.
Di stile vanvitelliano, caratterizzata dal campanile isolato, con il particolare
castello campanario originario in legno. A croce latina, ad una sola navata, fu
abbellita da Papa Onorio e da San Gregorio. Notevoli l’altare maggiore in marmi
policromi e il sarcofago del cardinale Bartolomeo D’Avanzo. Nella sacrestia è
custodita una tavola di Cristo che versa sangue e su cui si legge l’iscrizione “Detius
Tramontos facebat” (1581). Custodisce alcune tele settecentesche di N.
Malinconico e O. Fischetti. La torre campanaria, restaurata nell’800, presenta i
resti di alcuni affreschi tardo-trecenteschi. Di notevole interesse sono le acquasantiere
del 1501, probabili resti dell’antica basilica fondata da Papa San Silverio.
Altre chiese
Tra le altre chiese, degna di menzione è senz’altro la Chiesa San Romano, che
conserva una tavola su fondo dorato del XV secolo e un quadro della Madonna di
scuola leonardesca. Sulla destra della sua facciata è situato il campanile sorretto
da un’arcata sotto cui passa la strada.
Da segnalare, ancora, la graziosa chiesetta detta “dei sette preti” (già nota
come Cappella di S. Maria delle Grazie e, poi, della SS.ma Visitazione di Maria),
la piccola chiesina di Santa Candida, e la Chiesa del Purgatorio (frazione di Avella),
ove si possono ammirare una scultura in marmo con un angelo benedicente,
un’edicola sacra rappresentante l’Annunciazione e il soffitto dipinto raffigurante
la SS.ma Trinità, la Vergine e le anime purganti (oltre al ritratto del canonico
Domenico Viola, che nel 1745 prese possesso della Chiesa e la ingrandì).
Complesso Palazzo Ducale-Giardino Colonna.
Giardino
Di
notevole
interesse
Livia Colonna.
architettonico è il Palazzo Ducale
Alvarez De Toledo e il retrostante
bel giardino vanvitelliano, detto di
Livia Colonna. Il palazzo, oggi di
proprietà del comune di Avella, è
situato al centro della cittadina. Fu
sede del Museo Archeologico di
Avella, realizzato nel 1969. E’ un
esempio di rara bellezza
architettonica della prima metà del XVI secolo. Ha pianta longitudinale e presenta
ai lati due torrette. Nel giardino, all’italiana, è presente una fontana marmorea
35
Avella
Grotta di San Michele - Avella moderna
Benedetta Napolitano
rappresentante il dio Nilo
Palazzo Ducale
(secondo altri, il fiume
Clanio). Vi sono anche due
peschiere a forma di
rettangolo lobato, in mezzo
al quale era presente un
gigantesco platano secolare
di cui oggi non rimane che il tronco rinsecchito. Siepi di bosso delimitano i quattro
viali ortogonali e le gradevoli aiuole. Il palazzo
appartenne agli Spinelli, ai Cattaneo, agli Orsini
e ai Colonna. Conservato egregiamente fino alla
morte del suo ultimo proprietario, conte Alvaro
Alvarez De Toledo, fu danneggiato dal sisma
dell’80 e dall’incuria. E’ stato da poco
completato un accurato restauro dell’intero
complesso architettonico.
La Grotta di San Michele
E’una chiesa rupestre risalente al medioevo
(VIII sec. d.C.). Un tempo era abitata da monaci
eremiti. Fu ricavata in una grotta naturale di
Grotta di San Michele
origine carsica, internamente risulta divisa in
tre cavità fra loro comunicanti, dette dell’Immacolata, del Salvatore e di San
Michele. In quest’ultima è presente un baldacchino barocco (1816) e, sopra l’altare,
la statua dell’ Arcangelo. Vi sono, inoltre, numerosi affreschi di argomento
religioso di chiaro influsso greco-bizantino (IX-XIV secolo d. C.).
Oggi è chiusa ai visitatori ma, pare, che stiano per partire i lavori di
restauro (nell’ambito dei P.I.T., Piani Integrati Territoriali), grazie anche
all’interessamento della Curia Vescovile di Nola, proprietaria dell’antro.
Anni addietro vi si svolgevano suggestive cerimonie nella notte di Natale.
Avella moderna
E’ nata dalla fusione di almeno quattro piccole borgate, presenti già
nel XIII secolo: Cortalùpini, Farrìa, San Pietro e Cortabucci. Infatti,
almeno fino ai primi anni ‘20, questi quattro agglomerati erano
chiaramente individuabili sulle piantine catastali dell’epoca. Solo
successivamente sono andati a confluire, lentamente, in un unico grosso
agglomerato urbano.
Avella
36
L’Esagono
‘O laccio d’ammore
Avella: il folklore
La rappresentazione de“e’ misi”, la farsa de “’A zeza”, i balli e le musiche de
“’O laccio d’ammore”, erano spettacoli itineranti legati ai festeggiamenti del
carnevale. Queste manifestazioni folkloristiche -ad esclusione di qualche lodevole
eccezione- non vengono più rinnovate ormai da molti anni.
Della Zeza e dei misi verrà riferito nel capitolo di Sirignano, ove si è assistito
ad un recupero di queste tradizionali rappresentazioni.
‘O laccio d’ammore è ricomparso, in termini piuttosto semplificati e
rimaneggiati, in alcune sfilate di Carnevale tenutesi negli anni scorsi a Baiano.
Ma la tradizione del “laccio (o palo) d’ammore” era particolarmente viva ad Avella,
almeno fino agli anni ‘70 (foto sopra).
A memoria dei più anziani, il ballo “del laccio” vero e proprio era preceduto,
di norma, da altri tre balli: il primo di questi rappresentava l’incontro tra i ragazzi
e le ragazze e mimava alcuni cenni di corteggiamento; il secondo, un ballo in
cerchio con un passamano, simboleggiava la ritrosia della ragazza; il terzo, in cui
lo spasimante -fattosi coraggio con un buon fiasco
di vino- porta la serenata alla sua bella che accetta
il corteggiamento, è costituito da una vivace polka.
L’intreccio del “laccio d’ammore”, infine,
rappresentava l’epilogo del matrimonio.
In altri anni, ‘O laccio d’ammore veniva
rappresentato solo limitatamente all’ultimo
“movimento”: l’intreccio, vero e proprio.
Questa ballata popolare rappresenterebbe,
secondo gli Autori più eruditi, un antico rito
propiziatorio degli antichi popoli di agricoltori e di
pastori del mediterraneo.
Si tratta di una danza popolare attorno a un palo,
dominato dal segno del “sole nuovo”, dal quale
37
Avella
‘O Fucarone - Il maio - I battenti
Benedetta Napolitano
pendono 24 nastri policromi che -nel corso della danza- vengono incrociati,
formando varie figure geometriche.
Il “Fucarone” di San Sebastiano si tiene il 20 gennaio, in occasione dei
festeggiamenti del Santo Patrono. In tale occasione, normalmente, vengono anche
tagliati e messi in vendita degli alberi (maio), ma quest’ultima tradizione ha
un’importanza piuttosto secondaria e non raggiunge gli apici del maio baianese.
Semplicemente, l’albero più alto viene eretto in piazza e attorno ad esso viene
acceso un falò.
In occasione dei festeggiamenti di San Pellegrino (25 agosto), si organizzano
delle sfilate di battenti che si portano (a piedi) fino ad Altavilla Irpina.
In passato, come già ricordato altrove, la notte di Natale si svolgevano delle
suggestive cerimonie nella Grotta di San Michele.
Avella, così come gli altri paesi del mandamento, ha
subìto negli ultimi anni gli influssi della “globalizzazione
del folklore”. Ormai (ad Avella e altrove) si organizzano
sagre prive di qualsiasi tradizione e di qualsiasi
collegamento con le potenzialità del territorio. Di tali
manifestazioni, che esulano dagli scopi di questo libro,
non verrà dato alcun cenno.
La modella Lucia Barba, di
Avella. Ha partecipato alle fasi
finali del concorso di Miss-Italia
Edizione 2001, classificandosi
fra le più belle ragazze d’Italia.
Clanio
Avella
38
L’Esagono
Dati essenziali
AVELLA
Abitanti: 7.674 Avellani (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 3.038 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 126/1.591 m
Altitudine sito casa comunale: 207 m slm
Scuole:
Asilo nido (statale)
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari (statali e non statali)
Scuole Medie Inferiori (statali)
Scuola Media Superiore: Istituto Professionale
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.
Informazione e cultura:
-
“Il Meridiano” -Periodico fondato dal prof. Pierino Luciano (con sede a Nola);
“Clanion” edito dal Gruppo Archeologico Avellano;
Biblioteca Comunale, curata dal prof. Nicola Montanile;
Biblioteca dei Frati Minori, ubicata nel Convento «SS.ma Annunziata» con
vari manoscritti e testi di rilievo.
Antiquarium- Museo paleontologico ed archeologico (reperti locali).
Cittadini illustri:
* Papa Silverio, nato ad Avella e fatto morire di fame, nel giugno del 538 d.C., dal
generale bizantino Bellisario, nell’ isola di Ponza ;
* Cardinale Bartolomeo D’Avanzo (1835), già Vescovo di Castellaneta, di Calvi e di
Teano;
* Frate Giovanni Trottola, celebre matematico del XVII secolo nonché insigne musicista;
* Maria Giovanna Teresa Doria del Carretto, duchessa di Tursi e principessa di Avella
(1745), edificò un edificio carcerario in cui stabilì la divisione degli uomini dalle
donne.
Attività economiche:
-
Industrie boschive (produzione legna da ardere);
Industrie trasformazioni alimentari (cherry, maraschino);
Aziende zootecniche: apicoltura - allevamento di bufali, ovini e caprini;
Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;
Turismo: ristorazione - alberghi (uno);
Industria produzioni elettroniche;
Industrie metalmeccaniche artigianali (tornitori);
Terziario: piccoli negozi - nessun supermercato;
Produzione orafa;
Edilizia.
-
Misericordia del Baianese;
Expo Città di Avella: fiera dell’ industria, commercio, agricoltura e servizi
(l’ultima edizione non ha avuto luogo per problemi organizzativi).
- Scouts
- Stazione dei C.C.
Per altri dati demografici e statistici
consultare il capitolo “aspetti demografici”
39
Avella
Iinerari naturalistici
Benedetta Napolitano
Avella: risorse ambientali
Bosco del Ciglio
Grazioso bosco di faggi e cerri, di circa 50 ettari di superficie. A circa 12 Km dall’abitato.
Vi si accede tramite la strada sterrata Castellone.
Cerreto Serra-Palumbo
Castagneto da frutto, con estensione di circa 15 ettari. Ideale per la raccolta dei funghi.
Sito nella località omonima. E’ raggiungibile tramite la strada Percicati-Cucciarda, a circa
7 Km dall’abitato.
Cognulo
Area di circa 6 ettari di estensione, ad un’altitudine di 600 metri slm, comprendente sia
conifere che latifoglie e tratti rocciosi di un’aspra bellezza E’ raggiungibile tramite la
strada asfaltata Panoramica, a circa 5 Km dall’abitato.
Forestella
Bosco ceduo di castagni, comprendente un’intera collinetta di circa 60 ettari. Vi si accede
tramite la strada per Campopiano, a circa 2 Km dall’abitato.
Pianura
Faggeto di circa 50 ettari di estensione, posto ad un’altitudine di circa 800 metri slm. Vi si
accede tramite la strada asfaltata Panoramica, a circa 12 Km dall’abitato.
Pineta del Fusaro
Sita nella località omonima. E’ costituita da un’area adibita a verde attrezzato dell’estensione
di circa 3 ettari. Ideale per pic-nic. A circa 1,5 Km dal centro abitato.
Salmola
Circa 10 ettari di conifere e latifoglie, con ampi tratti rocciosi e soleggiati. A 600 metri
slm, vi si accede tramite la strada Patricciano, a 6 Km dal centro abitato.
Vallone Serroncello-Fontanelle e torrente Clanio
Vallone dalla bellezza selvaggia con scoscesi rupi rocciose ai lati del torrente. Vi è una
caratteristica fonte di freschissima acqua. Sono stati realizzati di recente gradevoli spazi di
verde attrezzato. In questa zona sono venute alla luce tracce dei primi insediamenti umani.
Cascata di Acquapendente
Grotta di San Michele
Formazione carsica, costituita da tre cavità. Custodisce alcuni affreschi di epoca bizantina.
Grotta di Camerelle di Pianura
Vi si accede tramite una stretta buca del terreno. Si apre alla quota di 900 metri, sul fianco orientale
del Vallone S. Egidio, in prossimità della fontana di Pianura. Si estende per circa 150 metri.
Grotta degli Sportiglioni
Si estende per circa 120 metri. Nel corso dell’800 è stata depredata di gran parte delle sue
stalattiti e stalagmiti (note come “pietra di Avella”). Situata più a monte delle grotte di San
Michele, lungo il Vallone Serroncello. Importante dal punto di vista biologico perché in
essa vivono tre specie saprofaghe endemiche (un acaro, un collembolo e un coleottero).
Avella
40
L’Esagono
Itinerari turistici
Acquapendente
Monti Avella
Grotta di Camerelle di Pianura
Grotte di S. Michele
sezione
pianta
Il castello negli anni ‘50
Il castello sullo sfondo del Vesuvio-Monte Somma
sezione
Grotta degli Sportiglioni
pianta
41
Avella
Le origini del nome
Benedetta Napolitano
Baiano
Secondo alcuni Studiosi il nome di Baiano deriverebbe da praedium Vallejanum
(Villa di Valleo) oppure da praedium Badianum (Villa di Badio), da cui per “corruzione fonetica” si giunse a Vallejanum, Bajetaum ed infine a Baianum.
Poichè nello stemma del comune c’è una lettera V che inquadra un cervo, si
può ipotizzare che Baiano sia derivato dal nome di Valleo, uno dei più insigni
cittadini della vicina
urbs Abella, vissuto ai
1911
tempi del basso Impero e discendente da una
nobile e potente famiglia romana.
Ma non è escluso
che Baiano, come riportato in una precedente pubblicazione
(“La
Città
del
Baianese”,
di
Napolitano e De
Rosa) possa derivare semplicemente da Baianum, ovvero da Baia, la famosa località flegrea, costantemente presentata -nelle fonti antiche- come un luogo di delizie, a caratterizzare il quale si uniscono le bellezze naturali, la presenza di sontuose ville e di grandiosi impianti termali e la “dolce vita” che vi si svolgeva.
Si potrebbe ipotizzare, quindi, che Baiano fosse un “luogo di delizie” per gli
antichi avellani o che la villa prediale, da cui esso prese origine, derivasse da un
qualche importante personaggio originario o proveniente da Baia, l’impero dei
vizi. Della località flegrea, Varrone nelle sue “Satire” dice: “Lì non solo le vergini divengono un bene comune, ma molti vecchi ringiovaniscono e numerosi
fanciulli si effeminano”. Marziale cita la località termale ammonendo che: “A
Baia una donna arriva come una Penelope e ne riparte come un’Elena”, a sottolineare come neanche la più virtuosa delle donne riuscisse a sottrarsi alle lusinghe della costa flegrea.
Secondo questa ipotesi, quindi, Baiano doveva essere ben più di un semplice
casale di Avella. Ricco, un tempo, di importanti rovine. Infatti, secondo quanto
riportato da Gianstefano Remondini, in alcune opere datate 1785-1797, Baiano
viene indicato come: “…vetusta e popolata terra (2273 ab.), in cui si veggono
anche delle vestigia di antichi monumenti, infrante colonne, tronchi busti, e sminuzzate lapidi di marmo…”. La lettera “V” presente nello stemma di Baiano, di
per sé non costituisce alcuna prova in nessun senso, in quanto potrebbe essere,
Baiano
42
L’Esagono
Insediamenti preistorici - Invasioni barbariche - Bagliva
semplicemente, il numero cinque in latino e stare a significare che Baiano era, in
ordine di tempo, il quinto possedimento di Avella, o il quinto “casale” che si era
venuto a costituire.
Di origini antichissime, questa cittadina presenta tracce di insediamenti umani
risalenti all’età neolitica. Databile all’età del Ferro (VIII-VII secolo a.C.) è una
necropoli, con tombe a fossa, rinvenuta all’altezza della località Cava, al confine
col comune di Avella.
Durante la guerra sociale, questo casale fu conquistato da Silla che lo
assegnò alla 47° Legione Romana (82 a.C.). Nell’anno 79 a.C. fu saccheggiato
dall’esercito di Spartaco. Sotto l’imperatore Augusto, nella divisione
amministrativa della penisola italiana, venne assegnato alla tribù Galeria.
Seguì, poi, le vicende della vicina Avella.
Caduto l’Impero Romano, questo nucleo abitato andò soggetto a numerose
incursioni barbariche (Alarico nel 410 d.C. e Genserico nel 455 d.C.). Insieme
ad Avella nel 589 d.C. entrò a far parte del Ducato di Benevento, retto dal
longobardo Autari. Dopo nuove invasioni barbariche (prima i Saraceni e poi
gli Ungari) il casale passò al principato di Salerno e nel 1075 fu aggregato al
Principato Normanno.
Considerato ancora “de pertinentiis Avellarum” nel XIII secolo, il casale di
Baiano viene citato in “privilegi” di Papa Celestino nel 1197, di Papa Innocenzo
III nel 1203, in quelli
1981
dell’Imperatore Federico II di
Svevia nel 1250 e di Papa
Urbano IV nel 1264. Già nel
1210, comunque, cessa di essere
casale di Avella e comincia ad
essere tassato a parte. Dopo la
dominazione normanna passò
sotto il controllo degli Svevi di
Federico II. Nel 1371 la Regina
Giovanna I donò il territorio di
Baiano, insieme a quello di Avella, a Nicola Jamnvilla, conte di S. Angelo dei
Lombardi, la cui famiglia ne ebbe il possesso fino al 1427 allorché il feudo fu
tolto a Marino Jamvilla dalla Regina Giovanna II che nel 1431 ne fece dono a Ser
Giovanni Caracciolo. Quest’ultimo lo concesse alla sorella Isabella dalla quale
passò, per matrimonio, a Raimondo Orsini.
Nel 1510 Enrico Orsini, conte di Nola, vi istituisce la Bagliva o “Corte Baiulare”
e la dona, per compensarne i servigi, a Tommaso Mastrilli, nobile nolano, la cui
famiglia l’amministra fino al 1594, anno in cui essa viene ceduta ad Ottavio
43
Baiano
Epidemie - Il suicidio delle suore - Affrancamento da Avella
Benedetta Napolitano
Cattaneo. Poi, con decreto reale del 9.9.1605, fu assegnato alla Baronia di Avella,
retta da Don Giovanni Andrea Doria. Il XVII secolo fu per Baiano (come per gli
altri borghi della zona) particolarmente funesto a causa di un’epidemia diffusasi
nel 1635 e per la peste del 1656 che ne
decimò la popolazione. Il successivo e
consistente incremento demografico si ebbe
soprattutto grazie all’accoglimento di
numerosi fuoriusciti dal Regno napoletano,
alla fine dello stesso secolo.
Sembra che, nel corso del XVII sec., in
un monastero di Baiano, si sia verificato
un misterioso suicidio di massa, in cui
furono coinvolte alcune decine di suore (La
Carità di Giulia, di Fabio Romano - Ed.
Intra Moenia, Napoli. pag.368).
Alla fine del XVIII secolo Baiano
risultava appartenere ancora ai Doria, con
Maria Giovanna moglie di Francesco Sforza
Visconti marchese di Caravaggio, che esercitò il proprio potere fino all’abolizione
della feudalità. Il territorio di Baiano acquistò l’autonomia da Avella tra la fine
del XVII e il principio del XVIII sec., ad ogni modo prima del 1726 quando ottenne,
con decreto reale, l’uso civico del bosco di Arciano. Nel 1757, il passaggio della
Via Regia delle Puglie (fatta costruire da Carlo III di Borbone) costituì per Baiano
un altro piccolo passo verso l’emancipazione da Avella, rimasta fuori dal tracciato
dell’importante via di comunicazione.
La definitiva autonomia fu raggiunta agli inizi dell’Ottocento. In quel periodo,
con l’emanazione della legge eversiva della feudalità da parte di Giuseppe
Bonaparte (1806) e a seguito della ripartizione dei beni baronali da assegnare in
proprietà ai singoli comuni, si originarono, tra questi, aspre contese.
La commissione feudale fu molto benevola con Baiano, attribuendogli le
proprietà di Arciano, Santo, Campimma, Carbonara e Torone. Questa situazione
demaniale finì per privilegiare il paese, favorendone la successiva e continua
crescita d’importanza.
Come avvenne per gli altri comuni vicini, esso fu incluso nella provincia di
Terra di Lavoro (l’attuale provincia di Caserta) e compreso nel distretto di Nola
(uno dei cinque in cui si divideva la provincia), circondario di Bajano (uno degli
otto in cui si divideva il distretto).
Dopo il 1861, con l’Unità d’Italia e il conseguente nuovo assetto politico e
amministrativo, passa alla provincia di Principato Ulteriore (o Principato Ultra),
Baiano
44
L’Esagono
Brigantaggio - Ferrovia - Il quartiere ‘e Vesuni
distretto (o circondario) di Avellino,
mandamento di Bajano.
In quel periodo (come abbiamo già visto
nel capitolo “Storia e destino comuni”, e al
quale si rimanda) il territorio fu interessato dal
fenomeno del brigantaggio.
Nel 1888, il Principe di Sirignano,
Giuseppe Caravita, vi fonda la Cassa Popolare
Agricola di Baiano (primo istituto di credito
in provincia di Avellino).
Nel corso del XIX secolo Baiano andò
incontro ad un forte incremento demografico,
divenendo il centro più popoloso della zona.
L’11 luglio 1885 fu inaugurata la ferrovia
Napoli-Nola-Bajano. Il paese fu interessato da
un consistente fenomeno migratorio, nei
periodi tra il 1860 e il 1866 e, più tardi, tra il
1887 e il 1914, quando si verificò il grosso
dell’emigrazione italiana. Durante la seconda guerra mondiale, nei mesi di
settembre ed ottobre 1943, Baiano subì alcuni bombardamenti aerei, cui seguì una
mobilitazione generale della popolazione che, ripetendo il percorso fatto dai suoi
antenati per sfuggire agli invasori medioevali, si rifugiò sulle montagne circostanti.
In seguito ai terremoti del 23 novembre 1980 e del 14 febbraio 1981 subì danni
abbastanza seri. Più grave ancora fu la gestione del post-terremoto. Molti centri
storici ed edifici importanti furono distrutti, come -ad esempio- il solidissimo
edificio scolastico (posto a sinistra, nella foto sopra, e nella foto a pag.48).
Monumento dei caduti in guerra
Caratteristico è il quartiere antico di Baiano detto di ‘e Vesuni (i Visoni).
Di sicuro, questo nome non ha nulla a che vedere con i simpatici animali da
pelliccia. Alcuni Autori sostengono che esso possa derivare dai volti non
proprio da fotomodelli dei villici che vi abitavano nei secoli scorsi, deformati
dagli stenti e dalle malattie. Questa fantasiosa versione non appare del tutto
condivisibile. Più plausibile si può ritenere la versione del prof. Galante
Colucci, secondo cui il nome proverrebbe da una divinità osca, chiamata
Vesuna o Venusia, alla quale -forse- era stato eretto un tempio nel caratteristico
e antico quartiere. Questa affascinante ipotesi non è, però, suffragata da prove
documentarie né da rinvenimenti di ruderi.
Pare più probabile, invece (cfr. Napolitano-De Rosa, op.cit.), che in questo
antico agglomerato urbano ci fosse un tempio dedicato a Giano bifronte. Come
del resto appare probabile che ve ne fosse uno più importante sulla montagna
45
Baiano
La lastricatura del corso - Il miracolo del 1700
Benedetta Napolitano
di Arciano (=Arx Janui,
1930
altura di Giano). Questa
divinità viene solitamente
rappresentata con due
grossi “faccioni”, da cui,
appunto, Vesuni.
Tale ipotesi se mbra
essere avvalorata dal
fatto che, secondo quanto
riferiscono i più anziani,
molti antichi portali del
quartiere dei Vesuni, presentavano in corrispondenza della “ chiave di
volta” (la parte superiore dell’arco), l’effige di grossi “capoccioni”,
scolpiti nella bianca pietra calcarea o nel più friabile e nero piperno.
Diversi elementi fanno ritenere che Baiano, in passato, dovesse essere
particolarmente soggetto agli eventi alluvionali. Lo stesso Corso, doveva essere
stato, in tempi remoti, poco più che un lagno. Infatti, durante i lavori del 1930,
con cui si costruì una parziale rete fognaria e si provvide alla lastricatura delle
strade principali, con “basolato” di pietra vulcanica (basalto), furono rinvenute
sotto il piano stradale dell’attuale Corso le cosiddette “catene”: lastre di pietra
calcarea usate per imbrigliare il deflusso delle acque. Inoltre, antichi cronisti
riportano che Baiano: «... situato in luogo piano, (era) soggetto a continue alluvioni,
per le grandi acque che calano da Summonte, dalla montagna della Tora, e dalle
altre di Quadrelle e Monteforte...». I più anziani, a tale proposito, raccontano che
il tratto di strada che si trova fra la casa comunale e il monumento ai caduti veniva
chiamata ‘o malepasso, proprio per indicarne la pericolosità durante le piogge.
E’ noto, infine, che fino alla metà del secolo scorso durante la stagione invernale
gli studenti che uscivano dal vecchio edificio scolastico (demolito dopo il terremoto
del 1980) venivano aiutati a “guadare” la strada tramite un piccolo carretto.
Secondo una leggenda, fu proprio a causa di un miracolo occorso durante
un’alluvione che venne eretto il Santuario di Santo Stefano Protomartire.
Il titolo della suddetta chiesa viene ricordato fin dal 1308, nel libro delle Decime
Ecclesiastiche. Essa sorge su una vecchia Cappella cimiteriale, ad un’unica navata,
successivamente ampliata ed elevata al rango di Chiesa Madre, in seguito ad un
miracolo avvenuto nei primi decenni del 1700.
Si tramanda che, mentre i fedeli erano riuniti nella vecchia Chiesa Madre di
Santa Croce per una funzione religiosa, si scatenasse un temporale così violento
da trasformare in una vera e propria fiumana la strada antistante la chiesa e in
Baiano
46
L’Esagono
Le varie chiese - L’eremo di Gesù e Maria - I Sabbah
palude i terreni retrostanti. Ebbene, sembra che, mentre i fedeli intrappolati si
preparavano al peggio, un provvidenziale raggio di luce penetrato attraverso
una vetrata dell’abside, illuminasse un quadro di Santo Stefano e, riflettendosi su
di esso, indicasse ai presenti la via della salvezza. I Baianesi gridarono al miracolo e
vollero che a Santo Stefano, divenuto protettore del paese, fosse edificata una chiesa.
Così, l’antica Cappella cimiteriale, ampliata a tre navate e ristrutturata, divenne la
nuova Chiesa Madre dedicata a Santo Stefano Protomartire.
Il quadro del Santo finì, poi, a Sirignano dove probabilmente ancora si trova.
Da alcuni documenti storici, conservati nella Curia nolana, si apprende che questa
chiesa funzionava da Parrocchiale già alla fine del 1586 (anno della visita pastorale
di Mons. Scarampi). La statua di Santo Stefano risale al 1750. Il Santuario fu
restaurato nel 1920.
La Chiesa della Confraternita di Santa Croce, dalla pregevole facciata in stile
gotico, conserva un dipinto su tavola raffigurante l’Invenzione della Santa Croce,
del 1610, realizzato da Pompeus Landolfus e pregevoli stucchi seicenteschi.
La Chiesa dei SS. Apostoli Giacomo e Filippo viene citata per la prima volta
nel 1324. Presenta il caratteristico portone d’ingresso rivestito di lastre metalliche,
risalente al 1794. All’interno si può apprezzare il pulpito in legno, con un affresco
raffigurante la Madonna delle Grazie e la pala dell’altare maggiore con un dipinto
su tela siglato Galasso, raffigurante la Vergine col Bambino tra i SS. Apostoli
Filippo e Giacomo e le anime purganti.
La Cappella della SS.ma Annunziata, del Seicento, è caratterizzata dalla
notevole e pregiata struttura architettonica esterna, in piperno (pietra lavica).
Nel quartiere dei Vesuni è possibile ammirare la graziosa Chiesa di San
Giacomo, recentemente restaurata.
Ancora più recententemente (marzo 2002) sono stati riaperti, dopo un certosino
restauro, anche l’eremo e la
chiesetta di Gesù e Maria,
che verranno gestiti per 99
anni dalla Curia Vescovile
di Nola.
Su questo colle, dal
1400 al 1700, prima ancora che si chiamasse Gesù
e Maria, si dice che furbi
accattoni esercitassero la
stregoneria e messe sataL’eremo prima del restauro
niche (sabbah), per ap47
Baiano
Sant’Alfonso dei Liguori
Benedetta Napolitano
profittarsi degli ingenui contadini e pastori. Riti magici, vino, orge e qualche erba medicinale consentivano a stregoni e fattucchiere di plagiare e di
sfruttare i poveri villici. Il fenomeno era diffuso in forma e misura diverse in
tutti i paesi vicini, in particolare a Quadrelle e ad Avella.
Sant’Alfonso dei Liguori (che fu, tra l’altro, l’autore di “Tu scendi dalle stelle”, la
celeberrima canzoncina di Natale) combatteva tenacemente queste pratiche sataniche. Perciò, trovandosi in missione a Nola nel dicembre del 1756, venne in carrozza
ad Avella e poi a Baiano. Qui, dopo aver predicato nella Chiesa di Santa Croce, chiese
ed ottenne che sul menzionato colle venisse edificata una chiesetta da dedicare a Gesù
e Maria. Questa fu costruita tra il 1756 e il 1759 sui vecchi ruderi di un precedente
eremo (risalente al IV sec. d. C.). In seguito all’Unità d’Italia (1861) e alle leggi che
prevedevano la vendita dei beni ec1918-19
clesiastici, la piccola chiesetta venne abbandonata, fu imposto il divieto di culto e le due statue di Santa
Lucia e di Sant’Aniello furono portate in paese nella parrocchia di
Santo Stefano.
Si noti la fontana davanti all’edificio scolastico. Essa fu successivamente spostata nella piazza IV novembre e
sostituita dal monumento ai caduti.
1937
Baiano
48
L’Esagono
Alcune foto di Baiano
Chiesa di Santa Croce
‘e Vesuni
anni ‘30
‘e Vesuni
49
Baiano
Il maio - Il mito di Cibele - Le passiate a Montevergine
Benedetta Napolitano
Il folklore baianese
Le manifestazioni popolari più tipicamente baianesi sono concentrate nel
periodo natalizio. Esse si fondano su tradizioni ataviche e pagane, successivamente
cristianizzate dalla “lungimirante” politica del clero.
Il periodo natalizio, infatti, coincide -grosso modo- con il solstizio d’inverno (21
dicembre), quando il sole sembra fermarsi nel cielo (da cui il nome “solstizio”) e le ore
di luce giungono al minimo. Le antiche religioni, più sensibili ai ritmi della natura,
festeggiavano in questo periodo la ripresa del ciclo astronomico. I romani, ad esempio,
celebravano il Natalis Solis in onore del dio Mitra (personificazione del sole).
In tali credenze pagane, inoltre, affondano presumibilmente anche le radici dei
“focaroni”, con cui gli antichi cercavano -ritualmente- di contrastare l’avanzare delle
tenebre.
La festività del maio baianese si svolge nel giorno di Natale e consiste,
essenzialmente, nell’offerta a Santo Stefano Protomartire, protettore di Baiano,
dell’albero più maestoso (maius=più grande) del bosco di Arciano.
Si tratta (analogamente alla festa dei gigli di Nola) della
trasposizione religiosa di un’antica festa pagana dedicata a
Cibele; divinità della Frigia, il cui culto si diffuse prima in Grecia,
poi, fra il IV e il III secolo a.C., nella Magna Grecia e,
successivamente, nella nostra regione.
Sul Monte Partenio (Montevergine) sorse un tempio
dedicato alla “grande madre” Cibele, che venne chiamato
Parthenios (da “vergine”) dai greci e Cibellinus dai romani. I
festeggiamenti della dea si celebravano in primavera con riti
orgiastici ed erano intrecciati con il culto di Attis, il giovane
tanto amato dalla dea e da questa trasformato poi in pino. Per
ricordare questo giovane nume, il 22 marzo ( giorno successivo
all’equinoziodi primavera), si portava in processione un grande
pino che, essendo sempreverde, simboleggiava l’immortalità
(o, più precisamente, la morte e la rinascita) di Attis.
I giorni successivi erano dedicati a festeggiamenti dal rituale
spiccatamente orgiastico e lascivo, con cui le plebi partecipavano
alla ripresa vegetativa (primavera) della Natura e al rinnovo di
tutto il Creato. Nei secoli seguenti il culto di Cibele si indebolì
sino a sparire del tutto. Sulle rovine dell’antico tempio, sembra
tra il VI e il XII secolo d.C., si insediò e si consolidò una comunità cristiana e venne edificata una cappella
dedicata alla Vergine, da cui prese origine l’attuale Santuario di Montevergine. La festa pagana, però, sopravvisse
ed il vecchio albero di pino venne sostituito da grossi alberi, dalla indiscutibile simbologia fallica, che fino al
1700 venivano portati per le strade di Nola, prima di essere “cristianizzati” ed essere trasformati nei più famosi
e pittoreschi gigli dedicati a San Paolino. A Baiano la festa del maio venne traslata dall’inizio della primavera
al mese di dicembre, a Natale.
La tradizione pagana legata ai riti orgiastici e gaudenti di Cibele sembra però riemergere, in maniera
presumibilmente più casta e in chiave più ecologica, nelle antelucane “passiate a Montevergine”, che
hanno luogo nei mesi di maggio e di settembre, in cui schiere di ragazzi e ragazze dei centri del Baianese
s’incamminano, nottetempo, per i sentieri montani, alla volta del Santuario di Montevergine in allegra,
rumorosa e goliardica compagnia.
Baiano
50
L’Esagono
‘E messe ‘e notte - Processione del Bambin Gesù
I preparativi della grande festa collettiva del maio iniziano con la Novena di
Natale, consistente nelle cosiddette messe ‘e notte, che si celebrano alle cinque
di mattina, dal 13 dicembre -giorno di Santa Lucia- fino alla vigilia di Natale.
Gruppi di ragazzi e ragazze, una volta finita la messa, fanno il giro del paese
cantando- oltre alle classiche canzoni natalizie- la più tipica ‘Oi Stefanì (vedi a
pag. seguente)
La sera della vigilia, dopo il tradizionale cenone, dal centro storico di Baiano
(quartiere Vesuni), ove è allestito un piccolo presepe, parte la processione del
Bambin Gesù. Una folta folla di fedeli segue la processione (senza prete)
‘E mascarielli erano costituiti da una
chiave femmina e da un chiodo tenuti insieme
da uno spago. Nel foro della chiave veniva
messa della polvere da sparo e poi il chiodo.
La percussione del “mascariello” contro
un muro, dal lato del chiodo, provocava il
botto.
per le strade del paese, tra musiche e spari di tradizionali fucili ad
avancarica (schioppi, o “scuppette”, e archibugi) impropriamente
denominati carabine, di tracchi e (una volta) di “mascarielli”.
La processione si conclude nella Chiesa di Santa Croce, dove il parroco
accoglie i fedeli e celebra la Santa Messa.
Alle cinque del mattino successivo (giorno di Natale), nella Chiesa di Santo
Stefano Protomartire, si celebra la Messa che si conclude con la benedizione di
attrezzi, carabine e delle squadre di persone (una volta quasi tutti boscaioli) che
si recheranno a tagliare il maio nel bosco di Arciano. Qui giunti (a bordo di
camionette, e poi a piedi) gli uomini scelgono l’albero di castagno più bello e più
grande e vi incidono le lettere S.S.(iniziali di Santo Stefano) ed esplodono alcuni
colpi in segno di festa.
Fattosi ormai giorno, il maio viene abbattuto e sfrondato (lasciando -però- la
frasca apicale) per poi essere trasportato fino a valle, insieme a tutti i rami ed alle
sàrcine e sarcinelle (fascine) raccolte sul posto. Giunti al paese, fra un
51
Baiano
Spartito di Oi Stefanì
Benedetta Napolitano
3) Sott’o braccio, a ccore a ccore ‘mbri-
acat ‘ e passione, nce ne jamme ‘o fucarone chesta sera Stefa-
nì. E là ‘nnanz’ ‘a chellu fuoco, ie te giuro tutt’o bbene, tut-
t’ammore che me vene d’’a stu core mio, pe’ tte. E... viene, sì --
--- ecc..
Questa canzone , composta nel 1928 per una donna (Stefanina), diventò poi l’inno di Santo Stefano.
Baiano
52
L’Esagono
Carabine
indescrivibile tripudio di spari e botti di ogni genere, uniti ai canti dedicati al
Santo, si unisce al corteo l’Antico Gruppo Avancarica Baianese (fondato nel
1993). I proprietari delle
“carabine” (alcune delle
quali sono vere e propri
pezzi d’antiquariato)
danno vita, quindi, ad una
spettacolare gara di
abilità.
Le vecchie carabine
borboniche
vengono
caricate (anteriormente)
con polvere nera (di tipo
Antico Gruppo Avancarica Baianese
rinculante e non esplosiva,
come ci assicura l’armiere Stefano Lippiello). Per ovvii motivi di sicurezza, la
carica viene effettuata solo con polvere da sparo, senza aggiungere le palle di
piombo. Lo sparo produce una vera spettacolare fiammata, seguita da una vera e
propria nuvola di fumo.
Moschetto
Il forte rinculo dell’arma
viene attenuato da un sapiente
Moschettone degli ussari
movimento rotatorio delle
braccia, talora un tantino
Trombone della marina
esagerato dalla estrosità e dalla
sensibilità coreografica dello
“sparatore”.
Il maio, portato con un Alcune repliche di armi borboniche ad avancarica,
carro trainato da cavalli, sul realizzate dall’armeria Lippiello Stefano di Sperone
piazzale antistante il Santuario, viene innalzato -a mo’ di obelisco- con una
complessa e spettacolare operazione. La base del maio viene fatta scivolare dal
carro direttamente nell’apposita
buca al centro della piazza, mentre
robuste funi vengono calate dalla
sommità della facciata della
Chiesa e legate all’estremità del
lungo tronco. Altre due funi (che
lo tengono dritto) vengono tirate
lateralmente. Indi, il grande albero
viene issato a forza di braccia e con
una tecnica collaudata per decenni.
Secondo una tradizione che si
53
Baiano
La raccolta delle sàrcine
Benedetta Napolitano
tramanda da padre in figlio, un agile e temerario giovanotto si arrampica -poifino in cima al maio per liberarlo dalle funi.
Fino ad una decina di anni fa, a questo punto seguiva un enorme fragore
prodotto dagli spari di fucili e doppiette caricati a pallini, diretti contro la cima
del maio. Lo scopo era quello di colpire alcuni barattoli che venivano appesi alla
frasca apicale. In seguito questa tradizione venne abbandonata e si cominciò a
sparare solo verso i rami. Oggi, non viene più consentita né l’una né l’altra
usanza, per comprensibili motivi di sicurezza. Ma ciò non impedisce ai “focosi”
baianesi di far esplodere le “trecce” di fuochi pirotecnici appese precedentemente
all’imponente albero di castagno.
A circa un’ora di distanza dall’innalzamento del maio, un centinaio di ragazzi
e ragazze (ancora praticamente a digiuno) cominciano a girare per tutta Baiano
per fare incetta di fascine, pezzi di vecchi mobili e di quant’altro possa fungere
Foto dei primi del ‘900
Fontana Vecchia
Baiano
54
L’Esagono
Il fucarone - I battenti - Fontana Vecchia - Gesù e Maria - Carri
da “combustibile” per il fucarone (falò) che sarà acceso in serata. Il tutto viene
portato, in varie riprese, nello spiazzale antistante il Santuario. Ma al gruppo dei
giovani “raccogli-legna” non viene consegnata solo della legna: al loro festoso
passaggio, tra canti, balli e spari di tracchi, la gente cala dai balconi decine di
panettoni e di bottiglie di spumante, ai quali la squadra di raccoglitori non manca
di rendere onore. Allegramente rifocillati, i giovani continuano il loro giro fino
ad incontrarsi, nella piazza del municipio, con gli “sparatori” di carabine. Questi
gli impediscono scherzosamente il passaggio, dando vita ad una pittoresca
esibizione di spari con la carabina. I “raccoglitori”, per farsi strada, rispondono
con scariche di tracchi e di rauti. E’ una vera e propria battaglia fino all’ultimo
granello di polvere pirica!
In serata, sempre nello spiazzale del Santuario di Santo Stefano, viene
finalmente acceso un suggestivo “fucarone”, tutt’intorno al maio (ma a una certa
distanza). I Baianesi, naturalmente, non si lasciano sfuggire questa occasione per
dare vita ad un nuovo tripudio di spari e tracchi. Anticamente le donne usavano
portare a case un pò di brace del focarone, poiché ritenevano che il fuoco del
“fucarone” fosse sacro.
Il giorno seguente (26 dicembre) è il giorno di Santo Stefano e i festeggiamenti
proseguono con la processione e, al pomeriggio, con la vendita del maio.
La caratteristica principale del maio baianese resta, comunque, la sentita e
totale partecipazione popolare all’evento folkloristico-religioso pari, per intensità,
solo alla manifestazione dei battenti di Santa Filomena, di Mugnano del Cardinale.
Altre tradizioni da segnalare sono: la sfilata dei battenti, che si tiene il 3 di
agosto; le scampagnate del mercoledì in Albis a Fontana Vecchia e le gite fuori
porta del martedì in Albis all’ameno eremo di Gesù e Maria.
In passato si svolgeva a Baiano anche un’importante Festa del vino. Nell’ultimo
decennio, infine, si tengono a Baiano delle manifestazioni carnevalesche di buon
livello, comprendenti sfilate di carri allegorici e balli (vi sono stati anche dei
tentativi di riproposizione del “laccio d’ammore”).
55
Baiano
Manifestazioni folkloristiche
Baiano
Benedetta Napolitano
56
L’Esagono
Altri contributi fotografici
FESTA DEL VINO
1921
Sopra. 1910.’E Stefanini. Fanfaretta di Santo Stefano:
suonava delle marcette durante il maio.
Sotto. La Villa Comunale di Baiano
La Casa Comunale
Il monumento dei caduti
57
Baiano
Benedetta Napolitano
Dati essenziali
BAIANO
Abitanti: 4.658 Baianesi (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 1.225 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 174/796 m
Altitudine sito casa comunale: 191 m slm
Scuole:
Asilo nido (non statale)
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari (statali)
Scuole Medie Inferiori (statali)
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.
Moderno Palazzetto dello Sport.
Informazione e cultura:
-
Biblioteca Comunale
Cittadini illustri:
* Mons. Agnello Renzullo, Vescovo di Nola e poi di Filadelfia;
* Prof. Vincenzo Bocciero, avvocato e parlamentare, direttore archivio di Stato di AV;
* Dott. Giuseppe Lembo, finanziere, uomo politico e medico;
* Avv. Giuseppe Lippiello, amministratore comunale e provinciale;
* Canonico Don Stefano Boccieri, professore al Seminario Vescovile di Nola, parroco
di Santo Stefano, cameriere segreto soprannumerario di Sua Santità presso il Vaticano,
autore di un saggio agiografico su Santo Stefano e di due raccolte di novelle.
Attività economiche:
-
Industrie boschive (produzione legna da ardere);
segheria legno tropicale
Industria trasformazioni del nocciolo (clamorosamente “sfuggita” alle rilevazioni
del Piano di Sviluppo della Comunità Montana)
Aziende zootecniche: bovini, ovini e caprini;
Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;
Turismo: ristorazione ;
Industrie metalmeccaniche artigianali (tornitori);
Terziario: piccoli negozi e supermercato;
Produzione componenti elettriche ed elettroniche;
Artigianato: produzione di “sporte”
Edilizia.
Varie:
-
Per altri dati demografici e statistici
Comando di Compagnia dei Carabinieri;
consultare
il capitolo “aspetti demografici”
Casa di Cura “Villa Maria”;
Guardia medica, medico condotto ASL;
Caserma Guardia di Finanza;
Uffici del Corpo Forestale dello Stato;
Sede del Ce.S.A. (Centro di Sviluppo Agricolo, ex-Ispettorato Agrario, già Ce.Zi.Ca);
Sede della Comunità Montana (la sede operativa è stata trasferita a Quadrelle);
Capolinea della Circumvesuviana (1885) - Casello Autostrada A-16 (1965).
Baiano
58
L’Esagono
Itinerari naturalistici
Baiano: risorse ambientali
Bosco di Arciano
Sito nella località omonima, a circa 400 m slm, bosco di ceduo castanile di circa
200 ettari. Accesso dalla strada Carcara e dalla via omonima, a circa 3 km
dall’abitato. Vi crescono ottimi funghi. Questo bosco, a lungo conteso fra Mugnano
e Baiano ha più volte, con i suoi castagni, sottratto alla morsa della fame e del
freddo i nostri avi. Inoltre, è famoso fra i fitopatologi di tutto il mondo perché
proprio qui, per la prima volta in Italia fu rinvenuto un pericoloso fungo
(microscopico) parassita: l’agente del cancro della corteccia del castagno, ora
sotto controllo.
Casone-Arciano
Boschetto di conifere di circa 3 ettari.
Piano della Cisterna
Vasto altopiano di circa 20 ettari di castagneto da frutto. Ideale per funghi, a circa
8 km dall’abitato.
Foto aerea del 1996
59
Baiano
Le origini del nome - Il castello del Litto - La Villa Caesarana
Benedetta Napolitano
Mugnano del Cardinale
Il toponimo Mugnano deriverebbe, secondo alcuni Autori, dalla divinità Giove
Ammone di cui, anticamente, doveva sorgere un tempio alle falde del colle del
Litto (Lyctus). Secondo altri, invece, esso proverrebbe da Munianus, una villa
prediale appartenuta ad un romano di nome Munio.
E’ certo, comunque, che Mugnano abbia origini molto antiche. Infatti (cfr.
Napolitano e De Rosa, op. cit.), antichi Studiosi riferiscono che, ai loro tempi (fine
‘700), era ancora possibile
osservare i ruderi delle
«…torri con gli spalti e le
torricelle avanzate sulla
scoscesa del burrone di
Pontemiano detta “la difesa”,
e le mura di cinta ed alcuni
tratti di un cunicolo».
E, riferendosi alla
località Litto, ci tramandano
che: «veggonsi… i ruderi di
molte fabbriche (fabbricati)
Castello Svevo del Litto. Ruderi.
…vestigi di antica gran
torre, di alcuni molini ad acqua … e poco distante una sorgente di acque
leggere, salubri e limpidissime».
Si ritiene che il castello svevo del Litto (ora ridotto ad un misero ammasso di
ruderi), sia stato edificato su una più antica fortificazione di epoca romana, a sua
volta eretta sui resti di una precedente fortezza fatta costruire dai Greci Calcidiesi
(provenienti dalla città cretese di Lyctos e che avevano stabilito una potente colonia a
Cuma), i quali fra il V e il IV secolo a.C. colonizzarono i territori di Nola, Avella,
Avellino e Benevento. Quasi sicuramente Mugnano ebbe anche un’era Sannitica.
Esistono, poi, incontestabili evidenze di una “Villa Caesarana”, di epoca
romana, che sorgeva sull’altura del Morricone, sul sito che poi sarebbe stato
utilizzato per la costruzione della chiesa dei SS. Pietro e Paolo, prima, e del
Cenobio di San Pietro a Cesarano, poi.
Secondo quanto tramandano antichi Studiosi, durante i lavori di costruzione
di questo monastero (1641) furono rinvenute alcune tubature in piombo che
dovevano far parte, evidentemente, dell’impianto termale della villa gentilizia.
Nel corso degli stessi lavori sarebbe stata rinvenuta anche una statua in marmo,
raffigurante un vitello, prontamente distrutta perché ritenuta l’effige di un idolo
pagano. Fu ritrovato anche un bassorilievo rappresentante “il prosperoso seno
delle dea Cerere e i numerosi serpenti che lo circondavano”.
Mugnano del Cardinale
60
L’Esagono
Pontem Mianum - Camillanum - Rione Archi - Pupianum
Nel 1749, dallo stesso sito archeologico emersero altre importanti tracce
dell’antica Villa romana. Nel giardino del convento furono rinvenuti un mosaico
e alcune fondamenta di mura. Ci si accorse, inoltre, che i pilastri laterizi che
reggevano le volte dell’antichissima chiesa dei SS. Pietro e Paolo (risalente al VI
secolo d.C.) altro non erano che i resti dell’antica Villa Caesarana.
S. Pietro a Cesarano
Infine, antiche ed autorevoli fonti documentarie assicurano che, a Mugnano del
Cardinale, siano stati : “... in ogni tempo scoverti e poi distrutti per ignavia o ignoranza,
sepolcri laterizi, con entro scheletri e monete e vasi fittili e idoletti e fibule e anelli, e
tanti altri oggetti di non dubbia antichità osca, etrusca, greca e romana”.
Viene comunemente accettata la tesi che l’attuale Mugnano del Cardinale derivi
dalla confluenza di più nuclei abitati, di origine ed età diverse: Litto, rione Cardinale,
rione Archi, Pontem Mianum (o Pontem Mignanum) e Camillanum. Quest’ultimo
nucleo abitato si trovava tra l’attuale Mugnano del Cardinale e il bosco di Arciano
(zona della Circumvallazione o Via San Silvestro). Di esso è fatta menzione in un
“privilegio” di Papa Urbano IV del 1264 (cfr. capitolo su Quadrelle).
Ponte Miano era posto oltre il cimitero del paese, andando verso Monteforte,
nella zona della prima grande curva (‘o ponte ‘e vascio), dall’altra parte del vallone
della Difesa. Esso, in antico, costituiva il confine tra i possedimenti di Avella e quelli
del santuario di Cibele (nda. futura Montevergine) e, nel medioevo, tra il feudo avellano
e quello di Monteforte. Sembra che da qui, nei primi anni del 1200, quaranta famiglie
si trasferissero a Mugnano (il cui nucleo primitivo probabilmente già esisteva).
Tra Pontem Mianum e rione Archi, doveva esistere un altro piccolo agglomerato
detto Pucciano (Pupianum). Esso era situato nella zona dell’odierno cimitero,
61
Mugnano del Cardinale
Le origini
Benedetta Napolitano
fatto costruire nel 1856. Il rione Archi che tanto ha fatto discutere (e,
inspiegabilmente, finanche litigare) gli Storici locali, deve presumibilmente il
suo nome al fatto che si trova su una piccola salita (Arx = altura).
La prima notizia documentata (pergamena n. 219 dell’ Archivio di
Montevergine) dell’esistenza di Mugnano del Cardinale, risale al 1135.
Altre pergamene, di
Pontem Mianum
epoche diverse -conservate
nel medesimo Monastero
Verginiano- sembrano far
riferimento a Mugnano del
Cardinale, definendolo
Fundum mammulleianum.
Litto e Ponte Mignano (o
Ponte Miano) furono di
proprietà di Riccardo I
Scillato, sotto l’alta signoria
del feudatario di Monteforte, perlomeno dal 1272. Nel 1312 il feudo fu ceduto
all’Abbazia di Montevergine in cambio di altre terre che i monaci possedevano a
San Marzano (San Mauro). Per la precisione lo scambio avvenne con “San Mauro
e i molini di Nocera”. Questa permuta fu voluta dal monastero di Montevergine
per gestire direttamente le lucrose entrate delle taverne, delle bettole e dei luoghi
di ristoro posti lungo la strada che passava per Mugnano e Monteforte, e lungo
quella che passava per il Litto, che -dopo nove miglia di sentiero tra i boschigiungeva sino a Montevergine.
Nicolò Orsini, conte di Nola, ottenne in fitto le terre di Litto, Pontemiano
e Quadrelle, ed alla fine del trecento le incorporò nella baronia di Avella,
unitamente a Monteforte.
Le sorti di Mugnano, frattanto organizzato a Universitas (ndr. una sorta di
comune), si intrecciano con quelle di Raimondo Orsini, marito di Isabella
Caracciolo ed alleato di Marino della Leonessa in una guerra alla Badìa di
Montevergine. Il Papa Martino V scomunicò gli usurpatori e fece restituire tutti
i possedimenti alla Badìa.
Allora Mugnano, chiamato Mugnano di Montevergine, divenne un feudo
dell’Abbazia di Montevergine e fu indicato nei documenti con la dicitura: “homines
casalis Mugnani”.
Nel quattrocento, l’Abate feudatario Palamides lo cedette al Cardinale Ugone
Lusignano, cognato della regina Giovanna II, e Mugnano entrò a far parte della
Commenda di Montevergine.
La “Commenda” era un istituto ecclesiastico grazie al quale una chiesa o un beneficio
privi di titolare venivano affidati, “raccomandati”, ad un importante personaggio.
Mugnano del Cardinale
62
L’Esagono
Procaccia - San Gennaro
Il Cardinale Commendatario governava Mugnano tramite i suoi delegati,
monaci anch’essi, e Giovanni d’Aragona commendatario tra il 1466 e il 1485,
figlio del re Ferdinando D’Aragona, fece costruire il palazzo del Cardinale.
Il centro abitato assunse, così, il nome di Mugnano del Cardinale.
Successivamente il palazzo cardinalizio venne trasformato in una grande
foresteria, denominata il Procaccia. (In tempi a noi più vicini esso fu utilizzato,
prima come deposito di carbone e, poi, come sala cinematografica, denominata
Cinema Partenio).
Procaccia
Storici dell’epoca narrano che, prima che fosse costruita la Via Regia delle
Puglie, « … qui (davanti al “Procaccia”) terminava la strada rotabile in piano, e
cominciava la mulattiera, che, ripida e sassosa, ma confortata da svariati
spettacoli naturali e bellissimi paesaggi, si inerpicava su per le balze e per le
forre del celebre Partenio. Qui si lasciava la vettura per la cavalcatura, e
viceversa…».
Di qui «...nel verno del 1497 … (passò) una nobile schiera di Cavalieri
napoletani, per venire incontro e scortare il cardinale Alessandro Carafa,
arcivescovo di Napoli, il quale reduce dal Santuario (di Montevergine), recava
seco le preziose reliquie di San Gennaro, guadagnate a quei monaci riluttanti.
Era il 13 gennaio, e nel rigido e sereno meriggio invernale fu visto dai monti di
Mugnano, bianchi di neve, discendere (per la mulattiera) in lungo ordine
63
Mugnano del Cardinale
San Pietro a Cesarano
Benedetta Napolitano
serpeggiante il sontuoso corteo…». La notte del 13 gennaio del 1497, le sacre
spoglie di San Gennaro, sostarono nel menzionato palazzo d’Aragona del rione
Cardinale. Nel 1511 la commenda di Montevergine passò alla Casa dell’Annunziata
di Napoli (A.G.P., Ave Grazia Plena) per circa 300 ducati.
Nel 1641 -come già accennato- venne fondato (dal prete missionario Michele
Trabucco) il Cenobio di San Pietro a Cesarano, dei Padri Pii Operai. Questo
Istituto esercitò una funzione altamente morale sulle popolazioni di queste
contrade, tra il Seicento ed il Settecento, quando epidemie e carestie funestavano
queste terre.
L’apertura della Via Regia delle Puglie (1757), costituì un decisivo fattore di
crescita economica per Mugnano del Cardinale, che divenne un importante
crocevia commerciale tra le Puglie e Napoli. Da Mugnano venivano esportati i
salumi in Puglia e da qui giungevano formaggi, olio e bovini. Risalgono a
quell’epoca i primissimi salumifici
artigianali, mentre per le prime vere
industrie bisognerà aspettare i
primi del Novecento. Altre attività
di una certa importanza erano,
come nei paesi limitrofi, la
sericoltura (allevamento del baco
da seta), la coltivazione della
canapa da fibra, l’allevamento del
bestiame e lo sfruttamento dei
boschi per legnami, carbone e
castagne.
Nel Palazzo d’Aragona (o del
Cardinale) venne istituito un
ufficio postale e una delle più
importanti barriere daziali del
Regno, che raccoglieva dazi, tasse
e balzelli di tutte le provincie
dell’entroterra. Perciò, tale palazzo venne da quel momento chiamato “del
Procaccia”. Bettole, osterie, industrie e attività di ogni tipo sorsero lungo
l’importante arteria stradale e molte case gentilizie furono costruite in quell’epoca
di vero e proprio “boom economico”.
Nel 1799 al passo del Gaudo (tra Mugnano e Monteforte) e al ponticello del
rione Cardinale si svolse un’importante e cruenta battaglia tra giacobini
repubblicani e sanfedisti realisti, di cui è opportuno dare qualche cenno.
Mugnano del Cardinale
64
L’Esagono
1799: scontro tra Giacobini e Sanfedisti
Nel convento di San Pietro a Cesarano era stato confinato, fin dal 1793, il
sacerdote calabrese Don Antonio Jerocades (uno dei maggiori esponenti del
movimento massonico e giacobino meridionale), che con il suo indiscutibile
carisma aveva raccolto proseliti in tutti i paesi della valle.
Quando, il 23 gennaio 1799, in seguito agli eventi della Rivoluzione Francese,
l’esercito Francese entrò a Napoli e vi proclamò la Repubblica, i patrioti
mugnanesi, guidati da Jerocades, furono i primi in Irpinia ad istituire il Municipio
repubblicano e le milizie civiche, e a piantare (nel rione Archi) l’Albero della
Libertà (simbolo della repubblica partenopea). Come sempre succede nelle
rivoluzioni, vi furono anche violenze e saccheggi incontrollati.
Nel nostro mandamento erano presenti, comunque, anche numerosi realisti
filoborbonici. Tra questi è opportuno menzionare Michele Mario Bisesti di
Mugnano del Cardinale; Pietro Foglia di Baiano; i sacerdoti Michele d’Acierno
e Biagio Cassese (a Sirignano) e don Saverio Bisesti (del Cardinale), che,
segretamente, si preparavano alla restaurazione della monarchia.
Avvenne che il 7 maggio i francesi ritirarono da Napoli gran parte delle loro
truppe per mandarle al Nord a soccorrere i soldati impegnati contro gli austrorussi, abbandonando la
repubblica partenopea (mai
richiesta né eletta dal popolo).
Vi furono insurrezioni un po’
dovunque, spesso, soffocate
nel sangue.
Il generale repubblicano
Agamennone Spanò (il giorno
20 o 21 maggio) passò una
prima volta per Mugnano (ove
venne accolto con grandi onori)
per raggiungere le Puglie e
ricongiungersi con la colonna
del generale Federici. Ma,
giunto ad Avellino, ebbe notizia
che Foggia era stata presa
dall’esercito sanfedista del
cardinale Ruffo, perciò decise di
ritornare a Napoli.
La notizia della sconfitta dei
Repubblicani a Foggia, giunta
a Mugnano la sera del 27
Via Casa Canonico. 1918.
maggio, mise in azione tutti i
65
Mugnano del Cardinale
Il Santuario di Santa Filomena
Benedetta Napolitano
reazionari filoborbonici, che discesero armati a Sirignano, Avella, Baiano,
Sirignano, Sperone (allora ancora casale di Avella), dando una caccia spietata
ai repubblicani e abbattendo ovunque l’Albero della Libertà per sostituirlo
con la Croce della Santa Fede.
La plebe tutta e gran parte dei repubblicani si affrettarono a cambiare bandiera
e a ridiventare filoborbonici.
Il giorno seguente (28 maggio), il generale Spanò, ignaro di quanto accaduto,
ritornò verso Mugnano ma fu attaccato
all’altezza del Maisone e subì ingenti
perdite. Riuscì ad entrare a Mugnano e
ad operare una rappresaglia. Ma una
moltitudine di profughi proveniente da
Montoro, Sanseverino e Mercogliano,
giunse in soccorso ai Mugnanesi e li
rifornì di armi e munizioni. Costoro si
riorganizzarono e scacciarono i
repubblicani di Spanò. Inoltre, una parte
di essi (raggiunti dai realisti di Baiano e
di Sirignano) si andarono ad appostare
sul ponticello del Cardinale e qui
prepararono un’altra micidiale
imboscata ai giacobini.
Rione Cardinale
Secondo le fonti storiche, la battaglia
primi del ‘900
durò circa cinque ore e non meno di
cinquecento uomini rimasero sul campo, numerosi furono anche i feriti. Il
generale Spanò riuscì, travestito, a mettersi in salvo ma la “colonna
campana” da lui comandata, composta da circa ottocento soldati, era stata
completamente annientata. Nel combattimento si distinse, tra i realisti, il
mugnanese Camillo Speltra.
Non tutti i mugnanesi cambiarono bandiera. Si tramanda, infatti, che quando
il 10 giugno giunse, diretto a Napoli, il cardinale Ruffo, un certo Antonio
Napolitano, di indubbia fede repubblicana, dall’alto della sua abitazione
all’altezza del ponte Figlioline (nel rione Archi), ebbe l’audacia di sparare un
colpo di schioppo in direzione del menzionato cardinale, senza però colpirlo, e di
riuscire a fuggire verso il bosco di Arciano, per riapparire solo nel 1806, quando
ritornarono i francesi.
Famosissimo è il Santuario di Santa Filomena, la cui storia inizia alla fine del
secolo XVI, quando la comunità mugnanese, con il ricavato del taglio della selva
demaniale delle Vallicelle, diede inizio alla costruzione della chiesa di Maria Santissima
Mugnano del Cardinale
66
L’Esagono
Santa Filomena
delle Grazie che, circa due secoli
dopo, sarebbe divenuta il Santuario
della giovane Martire, onorata e
venerata in tutto il mondo.
In origine, l’edificio religioso
aveva un solo bellissimo campanile,
posto sul lato est. Alto più di 58 metri,
a terrazze quadrate fino a circa la metà
dell’altezza, la parte superiore di
forma ottagonale, terminante con una
cupoletta a pera, portante in cima una palla di bronzo dorato, a sua volta sormontata
da una banderuola e dalla croce. Il 30 maggio 1673 il campanile fu danneggiato
gravemente da un fulmine, ma fu prontamente ricostruito. Ma ciò che non
riuscirono a fare gli eventi naturali (come spesso è accaduto nella storia di Mugnano
e dell’intero mandamento) lo fecero gli uomini. Infatti, tra il 1850 e il 1860, per
volere del marchese d’Avalos, la chiesa della Madonna delle Grazie fu restaurata
e il bellissimo campanile fu abbattuto non per essere ricostruito com’era, ma per
essere sostituito dalle due, modestissime, torri campanarie che ancora oggi si vedono.
Il 25 maggio 1802, durante gli scavi nelle catacombe di Priscilla, a Roma, fu
rinvenuto il corpo di una giovanissima martire, di circa dodici o tredici anni:
Santa Filomena. Don Francesco De Lucia (1772-1847), sacerdote pio e colto di
Mugnano, trovandosi a Roma l’8 luglio 1805, chiese e (grazie alla mediazione
del suo amico Mons. Bartolomeo De Cesare, Vescovo di Potenza), ottenne, dal
Papa Pio IX, il corpo della Santa bambina.
Il 10 agosto 1805 le reliquie della Santa fecero il loro ingresso trionfale e
miracoloso nella città di Mugnano del Cardinale. Le cronache raccontano che
«...all’arrivo delle Sacre reliquie, al Cardinale di
Mugnano, un avvenimento straordinario sconvolse
l’entusiasmo della folla: un vento impetuoso si scatenò
all’improvviso per placarsi di colpo quando il pio
sacerdote Don Francesco De Lucia esortò la folla a non
aver paura perché si trattava del vano tentativo delle
forze del male che tentavano, inutilmente, di ostacolare
l’arrivo della Santa. Con la meraviglia di tutti, le candele
ardenti davanti all’urna della Martire non furono spente
dal forte vento».
Numerosi altri miracoli, verificatisi successivamente,
contribuirono alla repentina diffusione del culto della
Maria Cristina di Savoia Santa in tutto il mondo.
67
Mugnano del Cardinale
Maria Cristina di Savoia - Papa Pio IX - Post-terremoto del 1980 Benedetta Napolitano
Giunsero a Mugnano, per adorare la Santa, vescovi, arcivescovi e, il 7 novembre
1849, lo stesso Pontefice Pio IX, per essere stato guarito da una grave malattia.
Vi vennero, inoltre, l’imperatrice del Brasile Maria Teresa; la regina Maria Isabella
moglie di Francesco I; la regina di Francia Amalia Borbone moglie di Luigi Filippo;
la regina Maria Cristina di Sardegna vedova di Carlo Felice, l’infante di Spagna; il re
Ferdinando II e la sua prima moglie Maria Cristina di Savoia (poi diventata beata),
che volle farvi costruire un’educandato.
Grazie alla devozione per Santa Filomena, Mugnano fu citato da alcuni
grandi scrittori come Alessandro Dumas e Marino Moretti (la cui madre,
di nome Filomena, era devota della giovane Martire).
Nel 1838 venne costruito “lo stradone”, in terra battuta. Nel 1847 il re delle
Due Sicilie, Ferdinando II, devotissimo di Santa Filomena (si narra che venne a
Mugnano non meno di una settantina di volte) fece allargare e pavimentare questo
grande viale, abbellendolo da due filari di alberi di tiglio. Fu allargata la piazza,
che all’epoca era occupata da “rurali casamenti” e fu costruito un imponente edificio
che ospitò per alcuni anni le suore della Carità (e che poi divenne Palazzo Rega).
Questo edificio occupava l’angolo formato dal lato est della parte alta dello
stradone e dal lato sud della piazza. Il 7 novembre1849, il papa Pio IX, da un
balcone di questo edificio benedisse la folla acclamante.
L’11 gennaio 1853, sorse, attiguo al Santuario, il maestoso edificio a tre piani
che poi ospitò l’Istituto Maria Cristina di Savoia (e, negli anni ’70 del XX secolo,
il Liceo Scientifico “P.S. Mancini”, sezione distaccata di Avellino).
Le suore della Carità vi si trasferirono immediatamente, abbandonando il
vecchio edificio che, verso il 1870, fu acquistato “con tenue pecunia” dal Senatore
Giuseppe Rega.
Quest’ultimo edificio avrebbe poi avuto una lenta decadenza, fino ad essere
completamente distrutto “dagli eventi postsismici del terremoto del 1980”.
Palazzo Rega
Mugnano del Cardinale
68
L’Esagono
Un prodotto da valorizzare: il “salame tipo Napoli”
Il salame di Mugnano
A Mugnano del Cardinale si producono salumi da tempo immemorabile,
quantomeno fin dall’epoca romana. E’ risaputo, infatti, che i Romani (che colonizzarono anche questo territorio) conoscevano bene le tecniche di conservazione
delle carni tramite essiccamento, salagione e affumicamento. In passato, si producevano salumi, a livello casalingo, in tutti i paesi del
mandamento. Antichi Cronisti ci informano di un fiorente
commercio di salumi mugnanesi con le lontane Puglie, già
nel corso del XVI° secolo. I primi veri e propri salumifici
sorsero, però, solo agli inizi del XX° secolo, a Quadrelle.
Mugnano del Cardinale divenne l’indiscussa patria dei
salumi nostrani solo nel corso del secondo dopoguerra.
Vi operano, attualmente, circa una dozzina di aziende a
carattere prevalentemente artigianale. Parte di esse stanno tentando, con gli auspici dell’amministrazione comunale, di riunirsi in un consorzio che possa tutelare la
Logo del Consorzio
tipicità del prodotto, favorire la realizzazione di impianti di dimensioni più adeguate alle mutate esigenze produttive e mettere in atto
tutte le politiche (economiche e di marketing) necessarie per dare un nuovo impulso a questo importante settore produttivo.
Si stima che il fatturato annuo del comparto si aggiri attorno agli 80 miliardi di
vecchie lire (circa 40 milioni di euro). Nel comprensorio non esiste una suinicoltura
locale, per cui la materia prima deve essere acquistata altrove.
Alcuni salumifici adoperano ancora carne
fresca, altri solo mezzene congelate. Attualmente, vengono lavorate circa 3000 tonnellate di carne suina, acquistata al nord Italia o all’estero
(Francia, Germania, Austria, Inghilterra e Spagna), al prezzo di circa 2,50 euro al chilogrammo. I prezzi di vendita all’ingrosso si aggirano
attorno ai 4,50 euro al chilo mentre quelli al consumo variano tra i 7,50 e i 9,50 euro al chilo.
Qualche salumificio adopera, nell’impasto,
anche carne proveniente da tagli “più nobili”
(coscia e longissimus dorsi) che solitamente
vengono utilizzati per la produzione, rispettivamente, di prosciutto e di coppa (o capocollo).
In questo caso, la consistenza del salame si avaffumicamento
vicina a quella della “soppressata”.
69
Mugnano del Cardinale
La tipicità del salame di Mugnano del Cardinale
Benedetta Napolitano
Normalmente, per l’insaccaggio
‘e suppressatare
viene utilizzato l’intestino tenue di
bovino (raramente quello di suino),
in nessun caso vengono adoperati
budelli artificiali.
A Mugnano del Cardinale si producono vari tipi di salumi (pancetta, salsicce, capicolli, salami,
soppressate e prosciutti) ma il prodotto principe è, senz’altro, il cosiddetto “salame di Mugnano” o “salame tipo Napoli”, dalle particolari caratteristiche organolettiche e gastronomiche.
La tipicità del prodotto deriva dai tagli di carne impiegati, dalla specificità delle
formulazioni (rapporto tagli magri/tagli adiposi, quantità di cloruro di sodio, nitrato di
potassio o salnitro, spezie, tipo e quantità di zuccheri), dall’impiego di microrganismi
autoctoni (lattobacilli, micrococcae, lieviti, enterobatteri non patogeni), dalla tradizionale tecnica di asciugamento con fumo e, soprattutto, dalla particolare lavorazione
artigianale, eseguita dalle espertissime insaccatrici o “suppressatare”.
A proposito della presunta “loquacità” delle simpaticissime suppressatare, i mugnanesi hanno
coniato il proverbio: «’E suppressatare: comme taglian’ ‘e suppressat’, accussì taglian’ pure ‘e
cristian’» che -tradotto lliberamente- sta a significare: «così come tagliano i salami, così “tagliano”
(con la loro affilatisima lingua) pure le persone.
«Un possibile sviluppo del comparto salumiero potrebbe essere quello di creare ex novo altri
prodotti che, in futuro, diventeranno tipici. Ad esempio, si potrebbero allevare razze suine più rustiche
(come la Casertana, la Cinta Senese, la Siciliana ed altre), che possano pascolare e “grufolare”
liberamente, castagne, radici ed altro. Con la macellazione di tali animali si possono ottenere prodotti
dal gusto particolare che possono trovare una loro collocazione negli agriturismi e in una cucina
rurale orientata al soddisfacimento di un turismo di nicchia.
Il tradizionale salame di Mugnano, pur con l’indispensabile adeguamento delle strutture, dovrebbe
continuare ad essere prodotto e stagionato in maniera tradizionale: modernizzare troppo la produzione
potrebbe condurre alla perdita delle caratteristiche organolettiche del prodotto.».
(dagli appunti del dott. agr. Pellegrino De Rosa)
quann’ s’accirev’ ‘o puorco
Mugnano del Cardinale
70
L’Esagono
La sfilata dei battenti
Il folklore mugnanese
La tradizionale sfilata de
« ‘ E Va t t i e n t i ‘ e S a n t a
Filumena», risalente al 1934,
rappresenta la manifestazione
folkloristica più importante di
Mugnano del Cardinale.
I battenti sono vestiti con maglia e pantaloni bianchi adornati
con una fascia rossa (vedi foto) e
rigorosamente a piedi scalzi. Ma,
contrariamente a quanto farebbe pensare il nome, i “battenti” nostrani (intelligentemente) non si flagellano affatto, come invece fanno i “flagellanti” o “’e fuienti”
di altre zone del meridione d’Italia. Le manifestazioni di Mugnano del Cardinale (e degli altri centri del mandamento) sono molto più solari e allegre.
Ciononostante, l’evento è molto sentito dai fedeli.
Questa tradizionale marcia si tiene la seconda domenica di agosto, in occasione dei festeggiamenti di Santa Filomena (amatissima dai mugnanesi, almeno quanto
la Madonna delle Grazie, che è la Patrona di Mugnano del Cardinale).
Si tratta di un miscuglio tra sacro e profano che, talora, assume interessanti aspetti sociologici e antropologici che andrebbero meglio analizzati.
71
Mugnano del Cardinale
I battenti: la prima squadra
Benedetta Napolitano
Prendono parte a questa manifestazione persone di ogni età e di ogni estrazione sociale; lo studente, l’operaio, il politico, il collaboratore ecologico e anche «…qualche piccolo delinquente che –mentre prepara un’altra malefattaspera, con questa performance “atletico-religiosa” di farsi perdonare di quelle
precedenti». Vi partecipano anche alcuni vecchietti, che nei giorni normali si
aiutano col bastone, ragazzi e ragazze nel pieno del loro vigore fisico e –solo per
qualche metro- minuscoli bambini, anche di pochi mesi- portati teneramente in
braccio dai loro sudatissimi papà.
Lo spettacolo è veramente suggestivo. Un vero e proprio sciame
di persone parte da Cimitile e -a
piedi scalzi sull’asfalto roventeavanza per chilometri, sotto il sole
cocente e senza interrompere mai il
passo, per giungere dopo circa tre
ore di marcia al Santuario della Santa. A Mugnano vi sono due squadre
di battenti.
La “prima squadra”, più numerosa, è composta da quasi un migliaio di
fedeli. Prima di giungere al Cardinale si unisce, in coda al corteo, la cosiddetta “barca” (un quadro di Santa Filomena posto su una piattaforma abbellita da
colonne e nastri), portata a spalla da alcuni battenti (che, a differenza di tutti
gli altri, indossano fasce azzurre).
Quando i primi battenti giungono al ponticello del Cardinale, viene sparata
una prima scarica di fuochi pirotecnici a cui fa seguito una seconda salva di colpi
allorquando essi
giungono ai piedi
Santa Filomena
dello scalone del
Santuario.
Qui i battenti si
inginocchiano per
alcuni minuti, in
segno di devozione.
Poi –sempre in ginocchio- salgono lo
scalone e strisciano
fino all’urna della
Martire ove depongono dei ceri (alcuni dei quali di diMugnano del Cardinale
72
L’Esagono
La Seconda squadra - Il gemellaggio con Altavilla Irpina
mensioni veramente ragguardevoli). A distanza di circa mezz’ora, giunge la “seconda squadra” composta da circa trecento battenti. La sfilata si conclude verso
mezzogiorno e ad essa segue la celebrazione della Santa Messa.
Già in mattinata, verso le nove, erano giunti i battenti di San Pellegrino da
Altavilla Irpina. E, dopo di loro, quelli di Bitonto (Bari).
Negli ultimi anni, i battenti di Altavilla hanno arricchito la coreografia,
portando sulle spalle -per la salita dello “stradone”- una piattaforma con sopra una ragazzina di dodici-tredici anni, che rappresenta Santa Filomena (la
Santa Bambina).
I battenti di Santa Filomena, a loro volta, ricambiano la visita a San Pellegrino,
il 24 agosto.
Ad Altavilla Irpina, entrano prima i battenti Mugnano del Cardinale, poi le
due compagnie provenienti da Avella, seguite da quelle di Roccarainola, di
Manocalzati, e, per ultima, da quella di Altavilla.
73
Mugnano del Cardinale
Il maio
Benedetta Napolitano
A Mugnano del Cardinale, come in tutti i paesi del mandamento, si perpetua
anche la tradizione del maio.
Il 10 gennaio, verso le sei mattina, i membri del Comitato per i festeggiamenti
di Santa Filomena, partecipano alla Santa Messa e ricevono la benedizione del
Rettore di Santa Filomena, don
Giovanni Braschi, che –uscito dal
Santuario- benedice anche gli autocarri e le attrezzature.
La colonna di automezzi viene
“scortata” dalla banda musicale
fino al rione Cardinale, dopodiché
si porta in montagna (località Litto,
Cerreta, Faitiello) per andare a caricare i mai, già tagliati da qualche
giorno. Normalmente, vengono abbattuti circa una decina di alberi.
Essi non vengono innalzati, ma sono semplicemente venduti per contribuire
alle spese per la Festa di Santa Filomena. Dopo aver caricato i mai sui camion, gli
uomini si trattengono in montagna per partecipare ad un luculliano banchetto a base
degli ottimi e tipici salumi locali, innaffiati con generose quantità di buon vino.
Verso le cinque o le sei del pomeriggio, preceduta dal crepitìo di tracchi, rauti e
castagnole, e dallo strombazzare dei clacson, giunge in paese la colonna di camion
carichi di alberi che sporgono oltre la motrice, come canne di grossi cannoni.
Sul primo automezzo del corteo, generalmente, prendono posto alcuni musicanti,
muniti di tamburi, trombe e piatti che intonano ritmiche canzoni napoletane.
Gli altri uomini,
“armati” di sacchi a
tracolla pieni di
trik-trak, lanciano
fuochi artificiali
tutt’intorno.
Dopo aver attraversato la Nazionale,
la chiassosa e festante
colonna di automezzi
imbocca lo “stradone”
e giunge nella piazza
adiacente al Santuario, dove gli imponenti alberi vengono scaricati per poi essere venduti.
In certi anni (vedi foto sopra), alcuni mai vengono tirati a forza di
braccia, per brevi tratti.
Mugnano del Cardinale
74
L’Esagono
‘O fucarone - Gesù e Maria - Arte sotto le Stelle
Il fucarone a Mugnano del Cardinale viene acceso il 13 dicembre, giorno
di Santa Lucia. Per quanto riguarda le festività religiose è d’obbligo citare
quantomeno la festa di SS. Maria delle Grazie, la Patrona di Mugnano. A
questa Santa i mugnanesi sono così legati da fare il possibile -da qualsiasi
parte del mondo si trovino- per essere presenti a Mugnano nel giorno della
celebrazione della festa (2 luglio).
Una tradizione ancora viva è quella delle scampagnate a Gesù e Maria, una
chiesetta del XV secolo, situata in
collina. Il martedì in Albis intere
famigliole o comitive di giovani,
partecipano prima al rito religioso che
si celebra nella graziosa chiesetta da
poco restaurata e poi si trattengono a
prender parte a tavolate nelle campagne
circostanti o a romantiche ed ecologiche
escursioni alla pineta di San Pietro o,
più sopra, “all’acqua del Litto”.
Negli ultimi anni, al rione Cardinale, sta prendendo piede la simpatica
usanza di allestire -nel periodo natalizio- un grazioso presepe. Tutti si augurano
che questa bella iniziativa possa prendere piede e perpetuarsi di anno in anno,
migliorando sempre di più.
In occasione del Carnevale anche a Mugnano si svolge la farsesca celebrazione
del funerale del Re Carnevale.
A Mugnano del Cardinale questa tradizione risale agli inizi del secolo, quando
le “soppressatare”, le operaie addette alla lavorazione dei salumi, la organizzavano
come una sorta di rito propiziatorio di un futuro anno felice e laborioso. Esse
partecipavano al rito vestite di nero, piangendo, urlando e disperandosi naturalmente per finta- per la morte di Carnevale.
Negli ultimi anni, purtroppo, anche questa tradizione è andata affievolendosi,
come accade un pò ovunque nel mandamento, a beneficio delle tante sagre e delle
feste “d’importazione” (del tipo di “Halloween”, di origine celtica-statunitense,
che ricorre la notte tra il 31 ottobre e il primo novembre).
Da menzionare la rassegna culturale Arte Sotto le Stelle, che si svolge nei primi giorni di
settembre, nel caratteristico quartiere di Cordaràura. Questa suggestiva manifestazione, la
prima del genere nel mandamento di Baiano, è nata nel 1997, per volontà dell’Assessore Prof.
Stefano D’Apolito e del Sindaco Prof. Giovanni Colucci.
Durante i cinque giorni della manifestazione si tengono convegni, rappresentazioni teatrali,
mostre di opere d’arte, presentazioni di libri e incontri con importanti personaggi nazionali ed
internazionali (ad esempio il regista Ettore Scola, nel 2000, e il “presidente” Biagio Agnes,
nel 2001), grazie anche alla fattiva collaborazione del collega giornalista dott. Enzo Pecorelli.
Uno degli scopi di questa importante manifestazione è il recupero del centro storico e delle
tradizioni delle nostre terre.
75
Mugnano del Cardinale
Il brigante Turri Turri
Benedetta Napolitano
Il palazzo del Cognulo
Turri Turri
Angelo Bianco (Alias “Turri Turri”). «... Era stato condannato per un omicidio a scopo di furto, aveva passato una decina di anni in carcere, ed era stato liberato nel gennaio 1859. Era ancora sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di presentarsi ogni
giorno al capo-urbano di Mugnano; ma Turri Turri profittò dei disordini successivi
all’impresa garibaldina, e si dette alla macchia con altri mugnanesi. [...] Turri Turri,
che dai Borbone non aveva avuto che processo e carcere, improvvisatosi “campione
borbonico”, andava in giro impugnando una bandiera borbonica. Riuscì a formare una
banda di circa trecento briganti. In un giorno dell’agosto del 1862 fermò una carrozza
proveniente da Avellino, e chiese ai quattro viaggiatori atterriti: viva chi? Uno di essi
rispose “viva Vittorio Emanuele”. Turru Turri spianò la carabina e lo fulminò. Gli altri
tre, vista la fine del loro compagno di viaggio, si affrettarono a rispondere “viva Francesco”. Le milizie mandamentali di Baiano ed una compagnia di bersaglieri si misero
alla caccia dei briganti su per le montagne mugnanesi. Il generale Pinelli che comandava la divisione di Nola ed era rigido esecutore degli ordini di Cialdini, quando perlustrava la via delle Puglie, se incontrava una persona che non sapesse lì per lì dare
ragione della sua presenza, non esitava a comandare ai suoi soldati: “Fusilé, fusilé”.
La popolazione era stretta tra i briganti e la legge marziale. Un brigante della banda di
Turri Turri, incontrata una ragazza mugnanese che era stata fidanzata e che lo aveva
lasciato, non esitò a puntare contro di lei il suo schioppo e la stese a terra. Turri Turri
aveva un macabro capriccio, bruciare i baffi o la barba delle persone, perché barba e
pizzo potevano significare simpatia per Vittorio Emanuele. Altra sua impresa: s’imbatté
nella banda musicale di Avella; i bandisti avevano un’uniforme con berretto rosso; il
rosso garibaldino faceva infuriare Turri Turri, che sequestrò berretti e strumenti. Poi
la schiera si assottigliò ma il capo rapì Filomena di Pietro, una bella massarotta
mugnanese, la portò in montagna e la possedette, sotto gli occhi dei suoi fratelli, Raffaele e Filomeno della Mammana. La donna e i suoi fratelli per vendicare l’oltraggio
uccisero Turri Turri; gli segarono la testa mentre dormiva. Era la fine di dicembre
1862. I superstiti furono catturati e passati per le armi un mese dopo, il 31 gennaio
1863». (La presente nota è stata tratta da: G. De Matteo “Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia” A. Guida Editore, Napoli.2000)
Mugnano del Cardinale
76
L’Esagono
Dati essenziali
MUGNANO del Cardinale
Abitanti: 4.910 Mugnanesi (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 1.214 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 223/1.406 m
Altitudine sito casa comunale: 280 m slm
Scuole:
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari (statali)
Scuole Medie Inferiori (statali)
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole medie e scuole elementari.
Informazione e cultura:
-
Biblioteca Comunale
Centro Informagiovani
Cittadini illustri:
* Rev. don Paolo D’Ippolito, Superiore della congregazione dei Preti Missionari di San
Pietro a Cesarano, nel 1697; autore della biografia del rev. don Michele Trabucco;
* Senatore Giuseppe Rega, deputato e senatore del Regno, contribuì allo sterminio del
brigantaggio nel nolano. Dopo il 1860 fece istituire a Mugnano una Scuola Normale
femminile, annessa al Santuario di Santa Filomena;
* Don Francesco De Lucia, primo rettore del Santuario di Santa Filomena, portò a
Mugnano le sacre spoglie della Santa bambina;
* Avv. Camillo Renzi, Commissario di Pubblica Sicurezza ad Aosta, Comandante delle
guardie del corpo di Sua Altezza Reale Maria José. Patriota e partigiano;
* Michele Criscuolo (1881-1911), pittore.
Attività economiche:
-
Produzione salumi tipici (salame di Mugnano, salame tipo Napoli);
Industrie trasformazione alimentari (funghi, pomodori, ciliege, albicocche, sottaceti);
Industrie boschive (produzione legna da ardere);
Industria tessile;
Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;
Allevamenti ovini;
Per altri dati demografici e statistici
Turismo: ristorazione;
consultare il capitolo “aspetti demografici”
Terziario: piccoli negozi e supermercato;
Artigianato: produzione di ceramiche;
Edilizia.
Varie:
-Casa
per anziani
“Monete” fatte coniare nel
1869, dal mugnanese don
Santo Bellusci. Valevano
“una giornata di lavoro”.
La foto ci è stata fornita dal
-Festival
prof. Giovanni Colucci,
canoro
“voci nuove” Sindaco di Mugnano del
Cardinale.
77
Mugnano del Cardinale
Itinerari naturalistici
Benedetta Napolitano
Mugnano: risorse ambientali
Faio della Toppa
Grazioso bosco di faggi di circa 50 ettari situato a 1150 m slm. E’ raggiungibile
tramite la strada del Litto, a 12 Km dall’abitato.
Cerreta
Di circa 40 ettari, è situato nella località omonima a 650 m slm. Si accede dalla
strada del Litto, a 9 Km dall’abitato.
Morricone
Bosco di ceduo di castagno di circa 30 ettari di estensione. Vi si accede dalla
strada del Litto, a circa 4 km dal centro abitato.
Faitiello
Bosco di ceduo castanile di circa 20 ettari. In prossimità della “fossa”. Vi si accede
dalla strada del Litto.
Difesa
Ceduo castanile, posto alla quota di circa 500 metri slm, di circa 25 ettari di
superficie. Anche questo bosco si trova in prossimità della “fossa”.
Pineta di San Pietro
Situata in località San Pietro-Vallicelle-Morricone, ricca di conifere. Estesa circa
20 ettari. E’ raggiungibile tramite la strada del Litto, a 1,5 Km dall’abitato.
Fontana del Litto e faggeta
Ottima meta per scampagnate. Nei boschi circostanti, facendosi spazio tra le verdi
felci, è possibile trovare castagne, porcini e fragole. L’acqua è leggerissima e
fresca. Qui, ad appena 700m slm, si trovano robusti alberi di faggio, relittuali,
testimoni di un clima più freddo di quello attuale.
Valle fredda
Un’estesa faggeta e un’acqua buonissima e freddissima.
Fossa
Formazione carsica originatasi, presumibilmente, dal crollo della volta di una grotta
sotterranea a sua volta originatasi da una dolina. Purtroppo, oggigiorno, essa è
parzialmente riempita da ogni sorta di rifiuti. Vedi foto a pag. 139.
Mugnano del Cardinale
78
L’Esagono
Le origini del nome - Le prime citazioni
Quadrelle
Si ritiene che il paese di Quadrelle (così come anche Sperone) sia coevo di
Avella romana, in quanto costituiva una struttura finalizzata alla sua difesa. Il suo
nome deriverebbe, infatti, come è stato già detto altrove, da Oppidum quadrellarum,
dal nome di grossi giavellotti incendiari
che, avvolti in stoppa e pece, venivano
lanciati a mezzo di catapulte contro i
fianchi degli elefanti. Secondo tale ipotesi, a Quadrelle doveva esistere una
fucina per la forgiatura delle temibili
armi sopra descritte.
Secondo un’altra ipotesi il nome deriverebbe da un castello a forma quadrangolare, eretto dai Normanni sui resti dell’antica “fabbrica”. Questa ipotesi sembra trovare conferma nelle
quattro torri presenti nello stemma
civico. Ma il castello in esso rappresentato potrebbe essere anche il vecchio Castello svevo del Litto, nell’attuale territorio di Mugnano del Cardinale (di cui Quadrelle in epoca
normanna, sec. XI d.C., era un casale).
Il 26 ottobre del 1254, probabilmente,
a Quadrelle sostò il re
Giardino Pagano. Prospetto e pianta.
Manfredi di Svevia, reduce dall’incontro di Ceprano con il Papa Innocenzo IV.
Il nome di Quadrelle appare, per la prima volta, in un “privilegio” di Papa
Urbano IV del 1264 (Mastrullo, Monte Vergine sacro;Napoli, 1663; pag.459) che
testualmente recita: « In Diocesi nolana, homines redditus quo habetis in Casali,
quae Muniarum, Camillarum, Quadrellas et Siriniarum vulgariter nuncupantur..».
Successivamente, ritroviamo Quadrelle in un rogito del gennaio del 1282.
Secondo alcuni Autori, nel 1297, il casale fu concesso da Carlo II D’Angiò a
Tommaso Scillato, nobile salernitano cortigiano della Magna Curia.
Secondo altri Studiosi, Quadrelle sarebbe già stato in possesso di Riccardo I
Scillato (almeno dal 1272) sotto l’alta signoria del feudatario di Monteforte.
Comunque sia, alla morte di Tommaso, il suffeudo di Quadrelle andò al figlio
Riccardo II, il quale nel 1312 (come abbiamo visto a proposito di Mugnano) cedette all’Abbazia di Montevergine (distante solo nove miglia di sentiero monta79
Quadrelle
Da grancia a Comune
Benedetta Napolitano
no) Quadrelle e Mugnano (il Litto e Pontemiano), ricevendo in permuta altre
terre che questa possedeva nella zona dell’agro nocerino-sarnese.
I monaci qui stabilirono una grancia (ovvero una costruzione in cui essi lavoravano e custodivano le derrate alimentari), probabilmente sul fabbricato sorto
sull’antica fucina di quadrèlle. Fra i servizi feudali che si dovevano prestare ai
monaci, i vassalli del Casale di Quadrelle avevano l’obbligo di: consegnare il
legnatico a settembre di ogni anno; di portare al monastero le pale che dovevano
servire a raccogliere la neve, che poi
veniva pigiata e trasformata in ghiaccio,
conservato per i periodi estivi nelle fosse montane (nevane o neviere); di fornire i cerchi di legno per le botti ed i
tinacci sia di Montevergine che del
Loreto. L’Abate di Montevergine rimase feudatario di Quadrelle fino al 1431,
anno in cui i Cardinali Commendatari
spogliarono l’Abate dei suoi feudi e se
ne impossessarono. Inizialmente, essi vivevano a Napoli, ma successivamente (al
tempo del loro settimo rappresentante)
si stabilirono al rione Cardinale, a
Mugnano del Cardinale.
Nel secolo XIV, sui ruderi della
grancia (sorta, secondo alcuni Autori,
su una torre dell’ipotetico castello
Giardino Pagano. Esedra.
normanno, da non confondere con il castello svevo del Litto) fu costruito un Palazzo Baronale (oggi di proprietà della
famiglia Pagano).
Nel 1515 il feudo passa alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli, la quale
invia a Quadrelle, col compito di amministrare i suoi beni, una casata fedele e
blasonata alle sue dipendenze, concedendole in cambio titoli e terre.
Nel 1599 fu edificata la Chiesa dell’Annunziata, dagli artistici altari, e un imponente acquedotto in muratura per l’acqua potabile, in comune con Mugnano.
E’ in questa fase che nella storia di Quadrelle compaiono le prime famiglie nobili
residenti. Agli inizi del XVII sec., i Barile, nobile famiglia napoletana, acquistano in
Quadrelle “una casa con giardino” da identificarsi con l’antica sede di proprietà
abbaziale. Da sito agricolo legato a necessità produttive, il giardino comincia ad assumere il carattere di luogo di ornamenti e di delizie che conserva ed accresce con i
successivi proprietari: D. Paolo Braccio, barone di Cutignano, D. Francesco Emanuele Pinto, principe di Ischitella e, dal 1773 a tutt’oggi, la famiglia Pagano.
Quadrelle
80
L’Esagono
Il giardino Pagano
Il palazzo, a pianta quadrata con cortile centrale nella originale edizione
seicentesca, ha subìto nel tempo notevoli trasformazioni tra cui la demolizione
del volume sulla strada per la creazione di una piazzetta.
Il giardino, pur non avendo ricevuto l’ordinaria manutenzione (al punto che
oggi i manufatti architettonici mostrano un avanzato stato di degrado) ha però
conservato gli elementi dell’originaria edizione: la geometria, le fontane, il
confine murato,
gran parte delle
specie botaniche.
Esso ha una
estensione di 3500
mq frazionati in
quattro riquadri e in
un boschetto sul
lato nord. Tre fontane in grotte ed edicole sono collocate
in aderenza al muro
di fondo; una quarta circolare è all’incrocio dei due viali
mediani. Poggi e
Quadrelle. Proprietà Sebastiano Schettino. Ruota in pietra.
sedili punteggiano,
L’Autrice durante il sopralluogo ai resti del mulino ad acqua.
infine, le prospettive più significative dei viali. Gli elementi architettonici sono realizzati con strutture in pietrame calcareo e tufaceo, rivestiti di intonaco e piastrelle maiolicate.
L’apparato decorativo è ottenuto mediante stucchi, frammenti di schiuma di
lava, di alabastro, di corallo, di vetro, di conchiglie, tutti concorrenti a comporre
figure e spartiti architettonici. Il patrimonio botanico oggi esistente comprende
monumentali lecci plurisecolari accanto a bossi, mirti, lauri, pervinche, palme e
alberi da frutta. Gli impianti idraulici, oggi del tutto inattivi, sono tuttavia
presenti e potenzialmente efficienti per alcuni tratti. E’ presente un leccio
plurisecolare già esistente nel seicento.
Il simbolismo nel giardino è svelato da una piccola scultura marmorea. Essa
raffigura un mascherone (poi trafugato) dalla cui bocca sgorgava acqua, inscritto
in un ovale alla cui sommità appare la testa di un monaco incorniciata dal cappuccio del saio. Iconografia legata all’originale proprietà abbaziale del luogo.
Nel ‘500 il passaggio a famiglie nobiliari porta alla rimozione del simbolismo religioso e alla sostituzione con figurazioni naturalistiche, astronomiche e demoniache. Il polo della morte è riassunto visivamente dalla
81
Quadrelle
Benedetta Napolitano
I primi “fuochisti” - I primi salumifici
ricorrente figura del cipresso, ma il giardino è anche frutteto, dunque
elemento di vita; nel giardino, l’acqua compone giochi e spazi di frescura
per divenire poi una fonte per gli abitanti di Quadrelle. Un’antica fonte,
generata dal monte Campimma, ha alimentato dalle origini fino agli anni
’30 le fontane del giardino.
Nel cellaio del palazzo fino al ‘700 gli abitanti del paese attingevano l’acqua,
poi erogata da una fontana costruita nella piazzetta antistante dal principe di
Ischitella. Singolare e densa di significati è la tradizione popolare che assegna
all’acqua dell’antica fonte virtù terapeutiche, per cui la modesta fontanella evoca
un rapporto ancestrale e simbolico con questa acqua, quando essa era elemento di
gioco e di frescura, ma anche, in senso letterale, fonte di vita.
Quadrelle è stato, da sempre, terra di abilissimi artigiani pirotecnici. Già in
alcuni documenti del 1844, infatti, si legge che «…quelli che senza permesso
traggono in aria folgori o altri fuochi artificiali… saranno multati di 15 carlini e
di due giorni di prigionia».
Quadrelle, inoltre, è la vera patria del salame nostrano. Proprio qui infatti,
ancor prima di quelli più famosi di Mugnano del Cardinale, sorsero i primissimi
salumifici artigianali del nostro mandamento.
Mascherone, ora trafugato, una
volta situato nel “Giardino Pagano”
anni ‘50
Cappella Fiordelisi e resti Chiesa
di S. Giovanni Battista
1925. Piazzetta antistante il Palazzo Pagano
Quadrelle
82
L’Esagono
Maio - fucarone - “Vient’ ‘e terra” - “Cumanna patrò”
Il folklore quadrellese
La manifestazione folkloristica più importante di Quadrelle è il maio di
Sant’Antuono, Sant’Antonio
Abate, il protettore degli animali
e dei contadini. In questo giorno
(il 17 gennaio), una dozzina di
persone, autorizzate dal Comune,
si portano nei boschi circostanti
(Litto, Vallefredda) per tagliare
alcuni grossi alberi.
Vista la presenza, a Quadrelle,
di due famiglie di abilissimi
pirotecnici, ai partecipanti alla festa non mancano certo i botti di qualsiasi forma e grandezzza. E, considerata la
presenza di alcuni importanti salumifici, di sicuro non mancano “soppressate” e
salami. I mai giungono in paese verso le 17, trascinati da camion e da camionette
per essere lasciati ‘ncopp ‘o ponte, lo spiazzo che copre il torrente Rio secco. I
fusti non vengono innalzati ma sono semplicemente venduti per contribuire con il
ricavato alle spese dei festeggiamenti.
Esiste anche l’usanza d’‘o fucarone, che viene preparato il giorno prima dai
ragazzi che raccolgono la legna e le fascine, in paese e per le campagne.
Tra le fiamme del grande falò vengono lanciate petardi, botte a muro e grosse
“cipolle” esplosive.
I più anziani narrano di un certo vient’ ‘e terra (vento di terra), un personaggio un pò
sempliciotto e molto corpulento, che pare avesse delle capacità psicocinetiche.
Quando questi si arrabbiava, cominciava a soffiare e a roteare vorticosamente le
braccia fino a “richiamare” un fortissimo vento che sollevava le gonne delle donne e, a
volte, gli faceva cadere dalla testa le “conche” di rame piene d’acqua.
Si racconta, inoltre, un episodio che sarebbe accaduto nella prima metà del secolo
scorso. Una giovane donna di Quadrelle diventava ogni giorno sempre più triste e depressa perché gli mancava tantissimo il suo giovane marito, emigrato da alcuni anni in
America. Nelle lettere che gli giungevano il marito la invitava a farsi forza; alla fine i loro
sacrifici sarebbero serviti a migliorare la loro posizione economica: egli sarebbe tornato
e avrebbero potuto, finalmente, acquistare un “vascio” (nda “basso”: piccola casa a piano
terra) e un pezzetto di terra. Ma la donna voleva rivedere ad ogni costo il suo amato
marito. Una persona del luogo, notando la sofferenza della giovane sposa, la avvicinò e
-dopo essersi fatta giurare di mantenere il segreto- gli propose uno stupefacente metodo
per fargli rivedere il marito. Questa persona possedeva il libro cumanna padrò (Comanda Padrone); un libro di magia bianca e di magia nera. Fecero il rito, recitarono le “parole” e, mentre le compagne di lavoro della giovane donna la vedevano lavorare ai salami
(in uno dei primissimi salumifici casalinghi di Quadrelle), il suo corpo etereo, sul dorso
di un caprone, giunse in un batter d’occhio in America, dal marito. Questi (visto anche il
diverso fuso orario) stava dormendo profondamente. La donna lo toccò, lo accarezzò, gli
83
Quadrelle
Quadrelle ieri ed oggi
Benedetta Napolitano
diede un calcio per farlo svegliare ma riuscì solo a farlo muovere leggermente nel sonno. Delusa,
ritornò indietro. Ancora più amareggiata. Chissà quale fu il prezzo di questo servigio del demonio!
Di certo, i più vecchi raccontanno che -quando qualcuno gli chiedeva: «... mi racconti di come
andasti in America sulla capra?» la donna, ormai vecchia, mandava violentemente a quel paese il
malcapitato che aveva osato ricordargli quel grave sbaglio di gioventù.
Chiesa SS.ma Annunziata
Anni ‘70
Ponte dell’Acquaserta
Ponte dell’Acquaserta
Il maio tirato a forza di braccia
Giardino Pagano
Acqua della fica
Quadrelle
84
L’Esagono
Dati essenziali - Itinerari naturalistici
QUADRELLE
Abitanti: 1.574 Quadrellesi (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 692 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 270/1.368 m
Altitudine sito casa comunale: 300 m slm
Scuole:
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari (statali)
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestre: scuole elementari.
Informazione e cultura:
-
Biblioteca Comunale
Cittadini illustri:
* Andrea Mattis, fervente patriota, venne ucciso dalla banda di Turri Turri
* rev. don Beniamino Masucci, insigne professore di latino e greco
Attività economiche:
-
Produzione salumi tipici (salame tipo Napoli);
Industrie trasformazione alimentari (ciliege, cioccolato);
Industrie boschive (produzione legna da ardere);
Agricoltura: olivicoltura e corilicoltura;
Allevamenti ovini;
Per altri dati demografici e statistici
Terziario: piccoli negozi;
consultare il capitolo “aspetti demografici”
Artigianato: fabbriche di fuochi artificiali;
Edilizia.
Varie:
-
E’ l’unico paese del mandamento che non dispone di un’edicola;
Sede operativa della Comunità Montana “Vallo di Lauro e Baianese”;
Sede del GAL (gruppo di azione locale);
Sede volontari della Croce Rossa.
Risorse ambientali
Travertone-Rocche
Bosco di faggi di circa 25 ettari situato su un territorio scosceso ed irto, ideale per
funghi. E’ raggiungibile tramite la strada panoramica di Sirignano.
Vallicelle-Morricone
Circa 10 ettari di conifere e latifoglie. A circa 450m slm. Vi si accede dalla strada del
Litto di Mugnano del Cardinale.
Vallefredda
Bosco di castagni, aceri e cerri secolari. Estensione: circa 25 ettari. Ideale per campeggi
e pic-nic. Vi si accede dalla strada del Litto.
Chiaio
Circa 4 ettari di conifere. Vi si accede dalla strada “chiaio”.
85
Quadrelle
Le origini del nome
Benedetta Napolitano
Sirignano
Sirignano è situato all’estremo lembo di Campimma, un colle che raggiunge
i 673 m slm, alle falde dei monti di Avella. Nell’antichità il territorio di
Sirignano e i suoi sparuti abitanti gravitavano verosimilmente attorno all’antica
Avella e ne seguirono -presumibilmente- le vicende.
L’etimologia del toponimo Sirignano deriva, secondo l’ipotesi più accreditata,
da fundus Serenianus, ovvero, da una villa prediale appartenuta ad un nobile
romano di nome Serenio. In alcune antiche pergamene conservate nell’archivio
dell’Abbazia di Montevergine, viene citato un fondo denominato Serrallinianum,
da cui alcuni Studiosi farebbero discendere il nome di questo antico borgo.
Ma non tutti concordano con tale ipotesi. Probabilmente, in antico,
Sirignano era semplicemente uno dei tanti pagi (intesi come “case rurali sparse”)
Stemma in legno e stucco posto, un tempo, sulla facciata del Palazzo Caravita.
La foto, presumibilmente scattata nel 1981, è inedita. Essa potrà contribuire
alla riproduzione dei particolari araldici di cui si era persa memoria.
Sirignano
86
L’Esagono
San Celiesto - I primi riferimenti storici
della valle del baianese (o, come altri preferiscono dire, della valle avellana).
Successivamente, nel medioevo, seguì le vicende storiche di Avella, di
cui era un casale (frazione).
Le prime notizie accertate su Sirignano risalgono al 1130 e si riferiscono alla donazione di un terreno da parte di un certo Angelo, detto
Scambatus, al monastero di Montevergine. Altre notizie riguardano la
tassazione della comunità sirignanese per l’importo di otto once, all’epoca della dominazione angioina.
A quel tempo, Sirignano come tutti gli altri nuclei abitati, era situato
più in alto e nei pressi di una fonte d’acqua. Secondo la tradizione, infatti,
esso doveva trovarsi nella località ancora oggi chiamata “San Celiesto”, nella
zona collinare, in prossimità del luogo detto delle “quattro vie”, nelle immediate
adiacenze della sorgente della Fontana del Lago (o “Lavo”), appartenente ora al
territorio di Baiano. Qui era ubicata la chiesa di San Celeste, di cui, però, oggi
non si ha più traccia. I più anziani riferiscono che, in quei paraggi, erano presenti
anche dei ruderi somiglianti ai mausolei romani di Avella.
Nonostante l’Abbazia di Montevergine possedesse, fin dal 1130, alcuni beni
nelle pertinenze di Sirignano, provenienti da varie donazioni, il paesino non venne compreso fra i suoi possedimenti ma rimase, sino agli inizi del 1800, nella
giurisdizione feudale di Avella. Infatti, mentre esso non viene mai citato (per
quanto si conosce fin’ora) nei documenti del XIII e XIV secolo che riguardano
Piazza Principessa Rosa. La fontana com’era negli anni ‘50. In alto una delle
quattro rane in ghisa che l’abbellivano e dalla cui bocca sgorgava l’acqua.
87
Sirignano
Dal 1614 al 1799
Benedetta Napolitano
Litto e Ponte Miano e i loro rapporti con Montevergine, viene chiaramente menzionato in alcuni documenti riguardanti la baronìa di Avella.
Sirignano appartenne, poi,
ai Fellecchia, nobile e potente
famiglia nolana, che vi edificarono probabilmente un loro
palazzo padronale.
Nel 1614 il casale di Sirignano
ottenne un primo spiraglio di
autonomia con la stipula di una
convenzione con l’Università
( il comune) di Avella.
In base a tale accordo i
Anni ‘20. ‘ncopp capo casale
Sirignanesi iniziarono, finalmente, ad eleggere da sé i propri amministratori. Il suffeudo passò, poi, per matrimonio agli Albertini di Cimitile e, in seguito, ai Caracciolo della Gioiosa.
Nel 1700 il feudo divenne Principato. I De Gennaro furono i primi a potersi
fregiare del titolo di “Principe di Sirignano”. Nel 1772, tale titolo pervenne per
matrimonio al marchese Tommaso Saverio Caravita, napoletano, discendente da
una nobile famiglia spagnola.
Con la soppressione del feudalesimo da parte di Giuseppe Bonaparte (1806),
il borgo divenne comune autonomo (nel 1837).
Come avvenne anche per gli altri comuni vicini, esso fu incluso nella provincia di Terra di Lavoro (l’attuale provincia di Caserta) e compreso nel distretto di
Nola (uno dei cinque in cui si divideva la provincia), circondario di Bajano (uno
degli otto in cui si divideva il distretto). Nel 1861, con l’Unità d’Italia e il conseguente nuovo assetto politico, passò alla provincia di Principato Ulteriore (o
Principato Ultra), distretto (o circondario) di Avellino, mandamento di Bajano.
Nel 1799, Raimondo De
Gennaro dei Principi di
Sirignano venne eletto, a Napoli, tra i 25 rappresentanti
della Commissione legislativa
della
Repubblica
Partenopea. Ma alla caduta di
questa, venne rinchiuso nel
carcere di Castelnuovo e poi
condannato, dalla Giunta di
Stato, all’esilio perpetuo dal
Anni ‘20. Via Santa croce
Regno delle Due Sicilie.
Sirignano
88
L’Esagono
I Prìncipi di Sirignano e il castello - Memorie di un uomo inutile
Nel corso del 1800, intanto, il feudo passò a vari
proprietari, ma i Caravita,
formalmente, continuano a
mantenere il titolo nobiliare di “Prìncipi
di
Sirignano”, fin quando esso
giunge a Giuseppe Caravita
(1849-1920).
Questi ricomprò le proprietà che un tempo avevano costituito l’antico feudo di
Sirignano e fece costruire, intorno al 1885, sulle rovine del vecchio castello feudale, lo
splendido maniero in stile neogotico, conosciuto come il palazzo del Principe (nella foto).
Nella “belle èpoque” (tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento),
questa sfarzosa residenza fu meta di personaggi di levatura internazionale.
Tra questi è d’obbligo ricordare il poeta Salvatore Di Giacomo, il tenore Enrico Caruso e il pittore Eduardo Dalbono.
Nel 1891 il Principe Giuseppe Caravita, in contrapposizione al Barone
Girolamo Del Balzo, fu eletto Deputato del Parlamento del Regno d’Italia e partecipò alle prime sedute parlamentari. Tuttavia, il Del Balzo contestò il risultato
elettorale e riuscì a far annullare l’elezione del Principe Caravita (che, però, nel
1913 fu Senatore) e a far convalidare la propria.
Ultimo principe di Sirignano è stato don Francesco Caravita, detto pupetto,
(1908-1998), noto per i clamori della sua vita mondana, per le sue apparizioni
televisive e per il suo fortunato libro “Memorie di
un uomo inutile”, edito da Mondadori, nel 1981. In
questo piacevolissimo libro (ormai introvabile e di
cui, forse, sarebbe opportuna una ristampa) il Principe, narrando in prima persona, racconta tra l’altro che: «...la famiglia De Gennaro dalla quale il
mio antenato prese il titolo (di Principe di Sirignano)
discendeva dalla “Januaria gens”, lo stesso ceppo
al quale apparteneva San Gennaro, Patrono di
Napoli. E nella mia famiglia accade un fatto decisamente inspiegabile: nella prima decade di maggio e il 19 settembre di ogni anno, nel preciso istante
in cui nelle teche custodite nel Duomo di Napoli e
sulla pietra a Pozzuoli, dove il Santo fu decapitato,
Il Principe
Giuseppe Caravita
il sangue di San Gennaro miracolosamente si li89
Sirignano
Piazza Principessa Rosa
Benedetta Napolitano
quefa, sulla nuca del primogenito maschio dei Caravita, all’attaccatura dei capelli,
appare una striscia sanguigna che ricorda vagamente la cicatrice di una sciabolata e
scompare quando il sangue nelle teche e sulla pietra torna a coagularsi.» .
Il “Palazzo del Principe”, abitato dalla famiglia Caravita fino alla prima metà
del ‘900, fu progressivamente abbandonato e spogliato delle opere d’arte che
custodiva. Lo stupendo parco è stato prima abbandonato a sé stesso e poi
parzialmente espropriato dal Comune nel 1980. Nel 1992, infine, si è avuto il
crollo della parte destra della facciata e l’abbattimento della parte superiore delle
tre torri, con le caratteristiche merlature guelfe.
Il “Castello del Principe” rappresenta il cuore dell’antico borgo e buona parte
della stessa identità storica dei sirignanesi. Come tale, andrebbe recuperato e valorizzato.
Attualmente, l’antico maniero sta cadendo letteralmente a pezzi, ma sembra che si
stia lavorando ad un serio progetto di restauro.
Oltre al “Palazzo del Principe”, in piazza Principessa Rosa (dal nome della
prima moglie del Principe Giuseppe Caravita, la nobildonna cubana Rosa Plazaola
y Limonta) sono degne di menzione il palazzo del Municipio Vecchio costruito,
pare, su progetto di Carlo Vanvitelli e la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo Martire,
questa, risalente al 1500,
Interno del castello. Anni’70
secondo don Antonio
Sorbo, che fu parroco di
Sirignano “... fu fatta
ristrutturare dai Principi
di Sirignano, com’è
attestato dagli stemmi
presso l’altare maggiore.
I Principi avevano
anche il diritto di
nominarne il parroco.
Successivamente, questa
facoltà fu acquisita da Re Ferdinando II di Borbone, che la esercitò fino
all’Unificazione d’Italia. Sembra che Sua Maestà venisse spesso nell’ameno borgo
a trascorrere le sue vacanze. Successivamente il diritto di nomina passò al Vescovo
di Nola, della cui Diocesi Sirignano faceva già parte. Nel 1863, il nuovo parroco,
don Salvatore Napolitano, trovando la chiesa in stato di grave abbandono la
ricostruì con i fondi provenienti da Sua Maestà Vittorio Emanuale II di Savoia,
da poco diventato Re d’Italia. Rifece l’atrio e vi pose due pietre ... con la scritta
C.P.S.A. (chiesa parrocchiale San Andrea Apostolo)”.
La chiesa, ad una sola navata in stile barocco, profanata in passato da mani
vandaliche che ne asportarono parte del vecchio altare, custodisce le statue di
legno del protettore Sant’Andrea Apostolo, della Immacolata, della Madonna
Sirignano
90
L’Esagono
Genesi del soprannome “coreani”
delle Grazie e di San Pasquale. Al centro dell’abside venne costruito l’altare
maggiore, in marmi pregiati, cesellato con madreperla. Al centro dell’altare, un
bellissimo quadro in legno con sopra dipinto, in alto, la Madonna delle Grazie;
giù al centro, Sant’Andrea Apostolo; a destra San Giuseppe e a sinistra Santa
Lucia. Tutto l’insieme è incastonato in un trono di chiara fattura barocca.
In Piazza Croce è posta la
graziosa Chiesetta della Madonna
dell’Arco, fatta erigere dalla famiglia
Sgambati, nel 1609 (foto a lato).
Degno di menzione è il
Palazzetto Sgambati, risalente al
XVII secolo. Si riporta, per
curiosità, che il rione Sirignano,
nel quartiere Chiaia a Napoli, deve
il suo nome al fatto che là vi sono
palazzi della famiglia Caravita.
Sirignano fu, nell’ormai lontano 1948, il solo comune del “mandamento” in cui , alle
elezioni, vinsero le sinistre. In conseguenza di ciò, l’allora parroco di Sirignano, don Liberato
Gallicchio, evidentemente infastidito da quei risultati elettorali, in una veemente predica
affibbiò ai Sirignanesi il noto epìteto di coreani.
Vecchio municipio. Anni ‘70.
Via Santi. Anni ‘70
Cimitero di Sirignano.
Lapide di don Serafino De Lucia.
Collaboratore di Guglielmo Marconi.
91
Sirignano
Natale Piccirillo - Il maio
Benedetta Napolitano
Il folklore sirignanese
La tradizione sirignanese più tipica è senza dubbio quella del festeggiamento
del Natale piccirillo (piccolo Natale).
Questa usanza che, per la verità -come tante altre- si va perdendo, ha soprattutto risvolti culinari. Si fanno abbondanti pranzi a base degli stessi piatti che si
I mai sirignanesi, in Piazza Principessa Rosa
consumano in occasione delle feste natalizie (scarole, baccalà, “capitone”, frittura
di pesce, broccoli e così via). Si tratta, in realtà, della festa di Sant’Andrea
Apostolo, patrono di Sirignano, che cade il 30 novembre e che viene festeggiato
anche con “’o fucarone ‘e Sant’Andrea” e con il maio.
La domenica che precede la ricorrenza di Sant’Andrea, alcune
comitive di giovani, provvisti di
una ragguardevole scorta di
tracchi e petardi (e di un generoso
vinello), si portano nelle montagne
circostanti per tagliare tre grossi alberi, generalmente di pioppo.
Una volta effettuati il taglio e il
caricamento dei mai sui camion, i
Sirignano
92
L’Esagono
‘O fucarone - La Zeza - ‘E misi
giovani si concedono un lauto banchetto: un’ottima occasione per socializzare e
per divertirsi. A volte, alla comitiva si uniscono anche alcuni suonatori di fisarmonica e di mandolino. I mai vengono poi trasportati in paese, tra un tripudio di
tracchi e di clacson, e vengono lasciati nel rione “Capo Casale”.
La sera del 29 novembre (“vigilia” del “Natale Piccirillo”), si accende il
“fucarone ‘e Sant’Andrea”. In passato questa era una buona occasione, per i
giovani sirignanesi, di mettere in mostra le loro capacità atletiche e la loro prestanza fisica. Essi, infatti, si disponevano a cerchio intorno al falò tenendosi per
le braccia e reggevano sulle spalle -a mo’ di piramide- un altro cerchio di giovani.
Girando intorno al falò, intonavano canzoni improvvisate.
La mattina del 30 novembre, i mai vengono letteralmente trascinati fino alla
vecchia piazza, davanti alla chiesa.
Nell’ultimo lustro, a Sirignano, si sta assistendo ad un recupero delle antiche tradizioni, come la rappresentazione farsesca della “Zeza” e la cantata de “’e misi”.
Si tratta -com’è noto- di scenette carnevalesche cantate e recitate in vernacolo.
Quasi sempre le due rappresentazioni vengono presentate insieme, quasi fossero due
atti del medesimo spettacolo. Un tempo gli “attori” erano esclusivamente maschi ma,
attualmente (vedi foto sopra), vi partecipano -e con notevole successo- anche alcune
donne. Alla base di questi spettacoli itineranti vi è un canovaccio che è sempre lo
stesso, anche se la rappresentazione può variare di anno in anno ( e di luogo in luogo).
93
Sirignano
I battenti
Benedetta Napolitano
Lo spettacolo si svolge all’aperto e comincia con lo scambio di alcune battute tra
“Capuranno” e “Polecenella”. Segue la rappresentazione de “’e misi” e, dopo una
allegra quadriglia, quella della “Zeza”.
Nei misi ciascun personaggio, in ordine cronologico e senza interagire con gli
altri, recita una parte a sé stante costituita da una filastrocca in cui presenta sé stesso.
La Zeza (diminutivo di Lucrezia) narra delle contrastate nozze di Don Nicola,
studente calabrese, con Tolla (o Vicenzella), figlia dell’intrigante Zeza e del gelosissimo Pulcinella (quest’ultimo personaggio, nel baianese è sostituito da “Maretiello”).
A destra, la pubblicazione del Prof. Pasquale Colucci. Alla quale si rimanda per eventuali approfondimenti
I tradizionali festeggiamenti di Sant’Andrea, maio escluso, non si tengono peraltro alla data della festa liturgica (30 novembre), ma a fine agosto,
quando è lecito attendersi condizioni climatiche presumibilmente migliori.
In tale occasione si tiene anche la sfilata dei battenti, a cui partecipa
-di anno in anno- un numero di persone sempre maggiore, compresa una
folta rappresentanza femminile.
Sirignano
94
L’Esagono
Dati essenziali - itinerari naturalistici
SIRIGNANO
Abitanti: 2.366 Sirignanesi (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 625 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 225/1.368 m
Altitudine sito casa comunale: 270 m slm
Scuole: Asilo nido (non statale)
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari Statali
Scuole Medie Inferiori Statali
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Piscina olimpionica, Campo da Tennis/calcetto. Palestra scuole medie
Mezzi di informazione:
Stampa locale: “La nuova Gazzetta - Periodico fondato dal dott. Pellegrino De Rosa”
Portale Internet: http://www.tuttobaianese.it
Attività economiche:
Edilizia, Industria di trasformazione della frutta (ciliege solforate), commercio al minuto,
agricoltura part-time (olivicoltura, corilicoltura), allevamento bovini (una sola azienda).
Cittadini illustri:
* Giuseppe Caravita (1849-1920). Principe di Sirignano, Deputato e Senatore del Regno.
* Francesco Caravita, (1908-1998). Principe di Sirignano. Scrittore.
* Cav. Serafino De Lucia, maresciallo di marina, collaboratore di Guglielmo Marconi.
* Cav. Domenico De Rosa, Cavaliere di Vittorio Veneto. Decorato con croce di ferro.
* Dott. Carlo Fiordelisi, magistrato, procuratore del re, presso il Tribunale di Avellino.
* Prof. Sac. don Francesco Fiordelisi, rettore del Collegio Pareggiato «A.Manzoni».
* Dott. Giovanni Fiordelisi, medico pediatra, morto nel 1941 a bordo dell’incrociatore
Egeo, in azione di guerra.
* Cav. Pietro Fiordelisi, Sindaco di Sirignano per 20 anni (a cavallo tra l’800 e il ‘900)
Varie:
- Casa per anziani (in costruzione).
Per altri dati demografici e statistici
consultare il capitolo “aspetti demografici”
Risorse ambientali
Ciglio
Bosco di conifere che si estende su una supeficie di circa 6 ettari. Vi si accede tramite la
strada panoramica di Sirignano.
Faiabella
Faggeta di circa 22 ettari di superficie, con accesso dalla strada panoramica di Sirignano.
Ottimo sito per funghi.
Torritiello
Bosco di faggi di circa 6 ettari.
Fornino
Bosco ceduo castanile, di circa 12 ettari. Vi si accede dalla strada panoramica di Sirignano
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Sirignano
Sperone, un quartiere di Avella - Le antiche popolazioni
Benedetta Napolitano
Sperone
Il nome Sperone deriverebbe dal fatto che, in epoca romana, esso costituiva la punta più avanzata della fortificazione avellana: infatti, in origine, il
territorio speronese era compreso entro la cinta delle mura di Abella.
La storia di questo Comune perciò coincide -almeno per quanto riguarda gli eventi più remoti- con quella dell’antica Avella, alla quale per evitare inutili ripetizioni- si rimanda.
Qui vogliamo solo riportare che, comunemente, si ritiene che le popolazioni
locali appartenessero al ceppo irpino del gruppo etnico-linguistico osco-sannita.
Infatti, dopo le guerre sostenute vittoriosamente da Roma contro le popolazioni italiche degli Osci, Sanniti, Volsci, Equi ed Etruschi, un gruppo di sconfitti
osco-sanniti fu deporCircumvesuviana. Stazione Avella-Sperone. Anni ‘20.
tato dal proprio territorio, il Samnium (situato più a nord dell’attuale Sannio e vicino all’attuale Molise), nei
territori deserti e disabitati dell’Irpinia e
nella conca avellana.
Nell’80 a.C., come
è stato detto altrove,
Abella diventa “città
fortificata” romana
(oppidum): Sperone era uno dei suoi quattro quartieri e difendeva la più meridionale delle sei porte della cinta muraria di Avella, la Porta di Corte.
Alcuni Studiosi ritengono che, proprio nell’attuale territorio speronese, potesse essere ubicato il teatro di Abella romana.
Quando Avella fu distrutta dalle orde barbariche, gli abitanti del vecchio
quartiere “speronese” si rifugiarono sui monti circostanti. Qui costituirono nuovi
nuclei che furono a lungo uniti con Avella e da cui si distaccarono solo in tempi
successivi. Una parte di essi si insediò nella zona dove, già prima del XVI secolo,
sarebbe stata edificata la “Cappella vecchia di Sant’Elia” (sulla quale, nel 1888,
venne poi innalzata la Chiesa di Sant’Elia).
Si tramanda che, nel XIII secolo, un prete di Sperone abbia assassinato il
Vescovo di Avella. Ciò determinò la fine del Vescovato avellano e l’inclusione
dei borghi della valle baianese nella Diocesi di Nola.
Per la Porta di Corte passava l’antica Via Vecchia, costruita (pare) dagli
Angioini, fra il XIII e il XIV secolo d.C., che collegava Napoli con le Puglie.
Sperone
96
L’Esagono
Il distacco da Avella
Quando Carlo III di Borbone fece costruire, nel 1757, la via Regia
Puglie, la Via Vecchia non fu più frequentata e la popolazione speronese
si stabilì lungo la nuova strada, sulla quale successivamente venne costruita un’altra chiesa, dedicata alla SS. Annunziata.
Nel 1700, quando Avella era una fiorente Universitas (Comune), il quartiere di Sperone
esercitava il diritto di eleggere dieci decurioni che duravano in carica cinque anni.
L’autonomia amministrativa di Sperone fu sancita con Regio Decreto (borbonico)
Sperone. Anni ‘20. La squadra che realizzò del 10 ottobre 1836 e cominciò
il manto stradale della via Nazionale
il primo gennaio del 1837.
Con
l’avvento
dei
Napoleonidi sul trono di Napoli, Sperone venne incluso
(1806), insieme agli altri comuni del baianese, nella provincia di Terra di Lavoro
(Ce), Distretto di Nola, e vi
rimase fino al 1863.
In tale anno, in seguito al
nuovo assetto politico conseguente all’Unità d’Italia, Sperone venne incluso
nella provincia di Principato Ulteriore, Distretto o Circondario di Avellino,
ed elesse il suo primo Sindaco.
Da quell’anno cominciò a rivendicare il suo quinto dei beni ecclesiastici e demaniali.
Dopo estenuanti dispute coi tribunali ecclesiastici Sperone finalmente ottenne la
Cappellania del Salvatore e il diritto alla nomina di un Canonico nella Collegiata.
Il denitivo affrancamento da Avella cominciò soltanto nel maggio del 1871, per
concludersi il 5 febbraio 1880, quando l’ingegnere Gennaro Plantulli, assistito da due
agronomi, completò la divisione di tutto il demanio e stabilì i confini del nuovo paese.
I cittadini di Avella e Sperone, toccati negli interessi economici e nel loro
orgoglio campanilistico, conservarono per molto tempo una certa rivalità.
Gli speronesi chiamavano “cipullari” gli avellani, e questi controbattevano apostrofandoli “graunari” (carbonai). Non erano infrequenti “’e pietriàte”, bellicose tenzoni con lanci di pietre, tra squadre di ragazzi dei due comuni rivali.
Questa sorta di primitiva intifada (nda: “guerra con pietre”), che non mancava di lasciare qualche dolente bozzo sulle focose teste di alcuni dei contendenti,
era un’usanza comune anche agli altri paesi del mandamento, protrattasi fino agli
anni ‘60. “Epici” erano gli scontri tra Mugnanesi e Cardinalesi, quelli tra
Cardinalesi e Sirignanesi, e tra Baianesi ed Avellani. In genere alle “battaglie”
ponevano termine le urla di qualche casalinga che, avendo la sfortuna di abitare
sulla “linea del fronte”, subiva la rottura di uno o più vetri.
I rapporti ufficiali tra i due comuni erano, però, ottimi e civilissimi. Infatti, ancora nel 1899, a quasi dieci anni dalla separazione dei beni demaniali, la
97
Sperone
Il museo della Civiltà Contadina
Benedetta Napolitano
Contessa Livia Colonna, di Avella, fece riparare a sue spese la fontana di acqua magnesiaca
che si trova nella selva Paradina di Sperone (ora divenuta parco comunale).
Nel 1900 Sperone costruì sull’antica sua taverna, lungo la Via Nazionale delle
Puglie, la nuova casa comunale.
Si racconta che, durante la terribile pestilenza del 1656, una donna di Sperone
appestata si trascinasse davanti alla miracolosa effige di Sant’Elia e, untasi con
l’olio della lampada, subito si fosse risanata.
Attualmente, Sperone è una moderna e linda cittadina. Essa può vantare un
quartiere delle “case popolari”, insolitamente integrato, pulito e vivibile. Sperone vanta la vetta più alta dei Monti Avella (con 1.598 metri), sulla quale negli
anni ‘40, nell’immediato dopoguerra un aereo da carico militare andò a
“impattare” (a causa della fitta nebbia) per poi precipitare e sfracellarsi nel
Campo di Summonte. Su tali monti, Sperone possiede una seconda fontana, l’Acqua delle Monache, posta a 1.020 metri sul livello del mare, con una buona
portata d’acqua (1,50 litri al secondo).
Per iniziativa del parroco don Elia Ferone e di un lodevole gruppo di giovani della
Congregazione di Sant’Elia (antica associazione religiosa, risalente al 1888) è stato realizzato, nel dicembre 1999, un grazioso Museo della civiltà contadina (vedi foto in basso).
Sperone
98
, che
L’Esagono
Fototeca
Anni ‘60.Chiesa congrega di Sant’Elia (Edificata nel 1888)
Selva Paradina e fontana
Un vecchio cortile
Il vecchio municipio
99
Sperone
Il maio - L’opera di Sant’Elia
Benedetta Napolitano
Il folklore speronese
Anche a Sperone c’è la tradizione della festa del maio. Essa si tiene, il 20
febbraio, in concomitanza della festa patronale dedicata a S.Elia Profeta. Due
alberi vengono tagliati -la domenica
precedente- sui
monti dei paesi vicini, perché il Comune di Sperone
non possiede boschi accessibili. Gli
alberi tagliati vengono lasciati, poi,
in un luogo sicuro
sui monti.
La sera prima
dei festegiamenti,
un gruppo di giovani speronesi, armati di piatti, grancassa, tamburi ed altri strumenti musicali ravvivano il clima in vista dei festeggiamenti del giorno successivo.
La mattina successiva i mai vengono condotti in paese tra gli ormai canonici
spari di tracchi e rauti.
La tradizione più tipicamente speronese rimane, comunque, l’opera di
Sant’Elia (vedi foto sopra). Questa, notoriamente, è una rappresentazione teatrale della vita del santo profeta, articolata in quattro atti e della durata di circa
quattro ore. Essa viene recitata da attori dilettanti del posto, in occasione della
festa patronale “estiva”, del 20 luglio. Tutti i partecipanti ci tengono a fare bella
figura e a preparare bene la loro parte. In alcuni anni, addirittura, le prove iniziano
già nel mese di gennaio.
A proposito dell’Opera di Sant’Elia, si narra di un divertente episodio
occorso ad uno degli “attori”.
Tra gli altri “attori” vi era anche un giovane contadino che prese talmente
sul serio la parte da non andare più nemmeno a lavoro col padre. Perché, diceva , doveva «preparare l’opera di Sant’Elia».
Non si sa bene se fosse solo una scusa per non andare nei campi, oppure no.
Resta il fatto che egli, alla domanda della regina Gezabele che gli chiedeva chi
fosse, doveva semplicemente rispondere con sole tre parole: «io, sono Kaifas»
e nient’altro.
Ebbene, giunti al giorno della rappresentazione, successe che alla domanda
della regina: «.. e tu, chi sei?», il nostro compaesano fu preso dal panico, improvvisamente vide tutto bianco, e cominciò a balbettare: «.. io sono…… io
Sperone
100
L’Esagono
Alcuni spassosi anedotti
sono…… io sono …». Finché disse la famosa frase: «.. io sono … ie songo
nu strunzo!».
Gli organizzatori chiusero repentinamente il sipario fra l’ilarità generale, mista a fischi ed applausi.
Si narra, ancora, che agli inizi del secolo scorso, un burlone del
luogo facesse notare ad alcuni altri speronesi come la Chiesa di
Sant’Elia fosse ormai diventata troppo stretta per contenere i numerosi fedeli. Consigliò, quindi, di adoperare un metodo che -a suo
dire- aveva visto usare altrove. Occorreva insaponare il pavimento
e poi spingere contro le mura con la massima forza. Così facendo,
gli uomini -scivolando sul pavimento- ebbero l’impressione che le
solide mura della Chiesa si stessero effettivamente spostando per
cui corsero subito in piazza esultanti, esclamando: «Ce l’abbiamo
fatta. Abbiamo allargato la Chiesa col sapone!».
Si racconta, inoltre, di un contadino -devoto ma sempliciottoche, trovandosi a passare davanti alla Chiesa di Sant’Elia Profeta,
di ritorno dai campi, pensò bene di fare, a modo suo, un’offerta al
Santo. Presi dal “panaro” alcuni fichi, cominciò a lanciarli, nell’oscurità, verso la facciata della Chiesa. Naturalmente, i fichi più maturi
si spiaccicarono sul muro, mentre quelli acerbi, più sodi, rimbalzavano e tornavano indietro. «E’ bravo a Sant’Elia, osservò il contadino, ‘e buoni t’e pigli e ‘e tuosti m’e ttuorne». (Bravo S.Elia: i
maturi te li prendi e quelli acerbi me li rimandi indietro).
Un’altra storiella racconta di quando gli speronesi, per fare un dispetto agli avellani, misero un grosso lenzuolo lungo via Ferrovia, per
impedire che il sole giungesse ad Avella.
U’altra ancora, narra di quando gli speronesi legarono, al collo, un
“ciuccio” (asino) e lo tirarono -strozzandolo- fin sul campanile della
Chiesa per fargli mangiare l’erba che vi era cresciuta.
Una storia realmente accaduta merita di essere ricordata: uno
speronese, durante un comizio elettorale, anziché dire: «noi vogliamo
pane e lavoro», preso dall’emozione si confuse e disse: «noi vogliamo
pane e provolone». Inutile dire che, al malcapitato, venne affibbiato
-seduta stante- il nomignolo di “pruvulone”.
101
Sperone
Dati essenziali - Itinerari naturalistici
Benedetta Napolitano
SPERONE
Abitanti: 3.185 Speronesi (al 21.10.2001)
Superficie territoriale: 353 ettari
Altitudine sul livello del mare (min/max): 159/1.598 m
Altitudine sito casa comunale: 175 m slm
Scuole:
Scuole Materne (statali e non statali)
Scuole Elementari Statali
Scuole Medie Inferiori Statali
Strutture sportive:
Stadio Comunale, Campo da Tennis/calcetto. Palestra scuole medie e scuole elementari.
Mezzi di informazione:
Biblioteca comunale.
Attività economiche:
Edilizia, Industria di trasformazione della frutta (ciliege solforate), commercio al minuto,
agricoltura part-time (olivicoltura, corilicoltura), allevamento bovini (una sola azienda),
cioccolateria, fabbrica artigianale di antiche armi. P.I.P. con numerose aziende di recente
insediamento.
Cittadini illustri:
* Luigi Napolitano, docente di cattedra di latino e greco. Autore del libro “Memorie
storiche ed archeologiche di Avella”;
* Ignazio D’Anna, Autore del libro “Avella illustrata”, pubblicato nel 1782.
Varie:
Per altri dati demografici e statistici
P.I.P. moderna area di Insediamenti Produttivi. consultare il capitolo “aspetti demografici”
Risorse ambientali
Porcola Prima
Bellissima faggeta che si estende per circa 40 ettari, a 600m slm. Vi si accede tramite la
strada panoramica di Avella.
Serrone
Bosco ceduo di castagno, di circa 20 ettari. E’ raggiungibile dalla strada della fontana di
Sperone.
Le Fornine
Bosco di faggi di alto fusto, esteso circa 50 ettari, a 600m slm. Vi si accede dalla strada
panoramica di Avella.
Paradina
Castagneto ceduo di circa 20 ettari, situato nei pressi dell’omonima fontana.
Sperone
102
L’Esagono
L’emigrazione
L’ultimo secolo
“Che-mi-se-ri-e” lesse, a bassa voce, sillabando, il giovane emigrante italiano.
“Che-miserie?” ripeté confuso, il suo infreddolito e incredulo amico, aguzzando gli
occhi per leggere meglio la lontana insegna, a fosche lettere nere, posta sulla screpolata porta di quello che, a prima vista, sembrava essere un negozio.
Non vi era alcun dubbio: nonostante il rollio del traghetto che -sballottato dalle
onde- arrancava cercando di attraccare al porticciolo del piccolo paesino della
Corsica. Nonostante la fioca luce dell’alba e gli spruzzi freddi e salati del mare
straniero rendessero alquanto difficoltosa la lettura, la scritta era inequivocabile:
c’era proprio scritto “Chemiserie”.
«Anche in Corsica, quindi, c’era la miseria? Forse i francesi avevano messo quella scritta per avvertire gli immigrati di non farsi troppe illusioni?», pensarono i
quattro giovani provenienti dal mandamento di Baiano.
Per fortuna, il traghettatore -un vecchio marinaio côrso dalla faccia rósa dalla
salsedine- visto l’effetto che quella equivoca scritta aveva sortito sul quartetto di
italiani, si avvicinò al gruppetto con un sorriso e disse: «Non, non. Mes amis (No,
no, amici miei). Non “Chemiserie”, “che miseria” si legge, ma “scemiserì”. Come
dite voi? “Camiceria”, bien ?».
Un urlo di gioia si levò dal gruppetto di emigranti. Erano intirrizziti dal freddo e
bagnati fino al midollo, ma erano felici: lì non c’era la miseria! Si era trattato solo di
uno stupido equivoco.
Potevano, finalmente, lavorare e mandare i soldi a casa!
Con questo episodio, che il Cav. Antonio De Rosa di Sirignano afferma essere
realmente accaduto attorno agli anni ‘50, andiamo a dare uno sguardo alla storia
con la “s” minuscola. Quella storia che parla della gente comune, delle loro usanze, tradizioni e superstizioni. Accenneremo, anche, alla descrizione di alcuni mestieri del passato e -in generale- alle disagiate condizioni di vita delle popolazioni
locali nel corso della prima parte del XX secolo. Di tanto in tanto verrà messo in
risalto, tra le righe, l’importante ruolo svolto dalle donne sia all’interno della famiglia che nella misera economia dei nostri paesini.
L’emigrazione
E’ noto che le condizioni di vita nel mandamento del Baianese, come nel resto
dell’Italia, sono migliorate solo con il boom economico degli anni ‘60. Secondo il
parere di molti analisti, i maggiori progressi sono stati ottenuti grazie alle rimesse
dei nostri compaesani emigrati all’estero. Cioè grazie ai soldi guadagnati e risparmiati all’estero ed inviati periodicamente in Italia.
103
L’ultimo secolo
Il fondamentale ruolo della donna
Benedetta Napolitano
Il flusso migratorio del secondo dopoguerra era orientato, prevalentemente,
verso i paesi europei (Corsica e altre regioni della Francia, Svizzera, Germania,
Belgio e, in misura minore, Inghilterra).
Le ondate migratorie precedenti avevano interessato, invece, soprattutto i Paesi posti oltreoceano (Usa, Canada, Argentina, Venezuela ed Australia). Chi emigrava così lontano generalmente non tornava più in patria. Mentre, chi era diretto
verso le Nazioni europee, quasi sempre, tornava periodicamente al paese d’origine.
In quest’ultimo caso, poteva capitare che emigrasse o il solo capofamiglia o
l’intera famiglia, oltre che -naturalmente- i giovani (magari chiamati da amici o
parenti, già all’estero).
Frequenti -poi- erano i casi delle “vedove bianche”, cioè di quelle mogli che,
pur regolarmente sposate, essendo rimaste al paese, vedevano il marito solo quando
questi tornava dall’estero (generalmente una sola volta all’anno e per pochi giorni).
Queste donne dovevano mantenere il decoro e un comportamento integerrimo,
allevare i figli da sole e, in molti casi, far finta di non sapere che il proprio marito
aveva una qualche compagna all’estero.
In altri casi, come già detto, partiva l’intera famiglia che, in questo caso, faceva ritorno in Italia solo ogni due o tre anni. In tutti i casi, l’obbiettivo di tutti era
comprare un pezzo di terra (‘a chianta ‘e casa) e costruirsi un’abitazione con un
piccolo giardino. Molti di questi emigranti sono tornati dopo dieci o vent’anni.
Altri, non avendo una prospettiva sicura in Italia, hanno preferito aspettare all’estero l’età della pensione.
Ruolo della donna e condizione femminile
Nell’economia e nella società
preindustriale (ma anche in quella industriale
e postindustriale) il ruolo della donna è stato
sempre considerato, a torto, di secondo
ordine. In realtà, senza voler nulla togliere
all’importanza del capofamiglia e senza
dimenticare i veri e propri sacrifici (duro
lavoro, emigrazione, responsabilità) che esso
doveva sopportare, mi sembra giusto
valorizzare il ruolo della sua silenziosa e
devota compagna che con lui condivideva le
rare gioie e i più frequenti e numerosi
grattacapi.
E’ ampiamente noto che la nascita di una
femminuccia non veniva accolta,
L’ultimo secolo
Donna con sàrcina
104
L’Esagono
La dote - Raccolta delle fascine e del fieno
generalmente, con lo stesso entusiasmo della nascita di un maschietto. E ciò non
tanto, come a volte
superficialmente
si
sostiene, perché la donna
non fosse in grado di
reggere il duro lavoro dei
campi e dei boschi (poiché,
come vedremo in seguito,
essa aiutava gli uomini in
tutte queste attività), quanto
perché ella rappresentava
“quella che andava via”,
quella che -dopo essere
‘a ramma
stata allevata con tanti
sacrifici- quasi tradendo, andava a vivere (e a lavorare) in un altro gruppo familiare.
Non solo, ma perché ella si potesse maritare, occorreva anche fornirla di una
consistente dote (‘o curredo, ‘a ramma, ecc). Era pertanto consuetudine, fin
quasi agli inizi degli anni ‘60, che il capofamiglia, alla nascita di una femminuccia,
piantasse dei filari di noci o -laddove era possibile- di pioppi, che, con la loro
vendita, potessero contribuire a costituire la dote per la futura sposa.
Esistevano, comunque, delle attività tipicamente femminili, alle quali gli uomini partecipavano solo quando non vi erano alternative più “onorevoli”. Una di
queste era la raccolta delle fascine (uso civico del legnatico), vendute ai panettieri o alle fornaci calcaree. Con i proventi di questo lavoro, in alcuni casi, le
donne sostenevano intere famiglie.
Un’altra attività tipicamente femminile era la raccolta del fieno per l’alimentazione del bestiame. Le donne e le ragazzine partivano per i campi (ad esempio, per
“Fornino”, per la “Comuna di Sirignano”, per le “porche di Avella” e per il Campo di
Summonte) all’una di notte.
Dopo tre o quattro ore di marcia arrivavano al prato, impugnavano la “mussorra” (falce) e tagliavano il fieno che veniva lasciato sul posto a seccare. Raccoglievano, quindi, quello del
giorno precedente e lo portavano a valle, dove giungevano verso mezzogiorno o l’una, per proseguire con il governo degli animali e con i lavori di casa.
105
L’ultimo secolo
La frequentazione della montagna
Benedetta Napolitano
Le persone intervistate raccontano che, all’epoca, era più facile incontrare
gente in montagna che in paese, e tutti avevano grande familiarità con la montagna, a tal punto che alcuni luoghi venivano indicati facendo riferimento ad alcuni
episodi che si riferivano al vissuto quotidiano. Un certo strapiombo, ad esempio,
veniva indicato col “toponimo” (come dicono i dotti) di «’o butto ‘e Umberto»,
poiché in quel luogo il malcapitato Umberto fece un memorabile volo, dal quale
uscì miracolosamente illeso.
Altre mansioni tipicamente femminili erano la raccolta e la conservazione
della frutta e dei prodotti del bosco. In passato, le nostre campagne erano ricche
di piante da frutta e le forme di potatura rilevate in alcune vecchie piante (ad
esempio di albicocco) da poco seccate, dimostrano come i nostri contadini avessero sviluppato una buona tecnica agricola. Venivano coltivate mele, pere, ciliegie e la vite (a
Tipico elenco di un corredo
Baiano si faceva anche una importantissima festa del
vino). Grande importanza aveva la
raccolta o la coltivazione e la conservazione (generalmente
per essiccamento) di
castagne, nocciole,
origano, camomilla,
asparagi selvatici, fichi, pomodori, zucchine, funghi, granturco, farro e ghiande. Queste ultime,
dette “pipparelle”
venivano utilizzate,
oltre che per quella
dei maiali, anche per
l’alimentazione
umana o, una volta
tostate, come surrogato del caffè.
In alcuni periodi,
addirittura, veniva
mangiato, previa
L’ultimo secolo
106
L’Esagono
107
Elenco di un corredo
L’ultimo secolo
Bachi da seta - Arcolaio - Conserve
Benedetta Napolitano
bollitura e prima della fioritura, anche il papavero (Papaver rhoeas, o rosolaccio,
parente del più allucinogeno Papaver somniferum, o papavero da oppio).
Le donne si occupavano anche di allevare bachi da seta (e ciò fino alla fine
dell’800), che venivano posti in apposite mangiatoie (‘e tavote) insieme al loro
foraggio, costituito dalle foglie di gelso (‘e ceuze).
Successivamente elle ponevano i bozzoli in apposite pentole (‘e caurarelle)
per liberarli dalla crisalide del baco. A Mugnano del Cardinale ancora esiste una
via detta “delle caldarelle” (o “caurarelle”) perché, all’epoca, davanti a ogni casa
vi era un pentolone utilizzato a tale scopo. Alcune di loro, inoltre, erano dedite
alla filatura della lana, tramite arcolaio. Altra incombenza tipicamente femminile
era, in tempi a noi più vicini, quella di fare “’e buatte”, ovvero, le conserve di
pomodoro. Nel secondo dopoguerra, poi, con la nascita dei primi salumifici artigianali,
Quadrelle. Anni ‘50.
Macellazione degli asini
Baiano. Anni ‘70. Raccolta noci e nocciole
L’ultimo secolo
108
L’Esagono
Lavori di casa - Lavaggio stoviglie - ‘A culata
prima a Quadrelle e poi a Mugnano del
Cardinale, si diffuse largamente il mestiere
della suppressatara, nel quale le operaie si
specializzarono talmente che la loro
manualità (manodopera specializzata)
costituisce tuttora uno dei più importanti
fattori della tipicità del salame di Mugnano.
Con la nascita delle industrie di
trasformazione della frutta (ciliegie solforate,
frutta sciroppata) e di produzione di sottaceti
e sottolio (a Sirignano, Quadrelle, Mugnano ed Avella) molte donne del baianese
intrapresero il mestiere della ciliegiaia.
Oltre a coadiuvare i mariti nelle più svariate attività, le mogli erano dedite, in
particolare, alla cura dei figli, degli animali (da stalla e da cucina) e -naturalmentedella casa.
Il lavaggio delle stoviglie avveniva inumidendo un vecchio strofinaccio e
passandolo nella cenere, ripulita in precedenza dei pezzetti di carbonella.
Lo strofinaccio così intriso veniva passato sulle stoviglie, già immerse
nell’acqua -ancora calda- della cottura della pasta. Le sostanze chimiche della
cenere permettevano di sgrassare i piatti, quindi si procedeva al risciacquo.
Le pentole di rame e le “conche” per l’acqua erano stagnate al loro interno,
per evitare il prolungato contatto degli alimenti col tossico rame. Esse venivano
pulite mescolando al loro interno aceto e sale e sfregando leggermente, in tale
modo la “ramma” riacquistava il suo splendore. Era importante, tuttavia, fare in
fretta poiché la miscela impiegata era corrosiva e poteva danneggiare il recipiente.
Il paiolo (il pentolino o caurariello appeso al camino) dopo la pulizia veniva
nuovamente riempito d’acqua e riappeso nel camino.
Circa una volta al mese le donne di casa facevano la colata o culata. Riunitesi
nella cortina lavavano la biancheria in una sorta di lavatoio comune in pietra o in
muratura, oppure usavano alcune cupelle di legno. Si metteva a bollire una
rammaiola (pentola) d’acqua e cenere di carbone o di legna, aggiungendo qualche
foglia di lauro o qualche scorza secca di limone, per profumare. Nella cupella si
mettevano i panni già lavati con il sapone, i più piccoli sotto e le lenzuola sopra.
Il tutto veniva coperto con un panno molto resistente ma permeabile, il cinerino,
che aveva la funzione di trattenere la cenere lasciando passare solo la parte liquida.
La biancheria veniva lasciata in ammollo fino a sera, quando veniva aperto il
foro inferiore della cupella, dal quale veniva fuori un liquido denso e oleoso (‘a
lessìa), che veniva raccolto e utilizzato per lavarsi i capelli.
109
L’ultimo secolo
Lavori nell’orto - L’acconciapiatti
Benedetta Napolitano
Poi, veniva tolto il cinerino e si
sciacquava con acqua calda. Il
mattino successivo, dopo aver
svuotato (“spillato”) nuovamente la
cupella, i panni venivano risciacquati
e stesi ad asciugare.
Ad Avella e a Quadrelle, rispettivamente
lungo il Clanio e lungo il Rio Secco, le
donne lavavano i panni anche
direttamente nell’acqua dei torrenti.
L’igiene della persona veniva curata
anche usando il sapone di cóla (nda. di colatura), un sapone fatto in casa,
utilizzando gli scarti del maiale e la poza dell’olio. Per poter amalgamare queste
sostanze si usa oggi la soda caustica, nel sapone di cóla, invece, questa sostanza
chimica era sostituita da un liquido ottenuto filtrando l’acqua calda attraverso un
sacchetto di cenere accuratamente setacciata; cenere e sostanze grasse producevano
un rudimentale processo di saponificazione.
Un pezzetto di questo sapone era particolarmente prezioso; pare –infatti- che
fosse indicato per la cura di alcuni tipi di eczema. I panni, poi, andavano stirati
col ferro a carbone, e poteva capitare che qualche micciulo ‘e fuoco, uscito dai fori
ai lati del ferro da stiro, bruciasse le lenzuola di lino o di canapa, o che le mani
–distrattamente sporche di carbone- macchiassero la biancheria appena lavata.
Le persone che avevano la fortuna di possedere un piccolo appezzamento di
terra da coltivare, s’incamminavano di buon mattino per raggiungere il loro piccolo
orticello (‘o cienzo), posto generalmente in collina. Portavano con sé qualche
tozzo di pane e ‘o ummariello, di terracotta, pieno d’acqua da bere. Lungo il
percorso non disdegnavano di raccogliere gli escrementi di asini e muli, per usarli
come concime. Tornavano a casa all’imbrunire e davano da mangiare agli animali
(vacca, galline, maiale), mentre la
moglie preparava la cena.
Si poneva un grosso piatto di creta
al centro della tavola (‘a zuppiera) e
ogn’uno mangiava al proprio posto.
Da questa usanza sono nati, poi, i detti: «Erem’ frat’ quann’ magnavam’
r’int’ ‘o stess’ piatt’» (per dire: “eravamo fratelli quando mangiavamo
nello stesso piatto”) e, per mantenere
L’ultimo secolo
110
L’Esagono
Attività quotidiane
le distanze, «Ij e tté nun amm’ mai mangiat’ r’int ‘o stess’ piatt’» (per dire: “io e te non
abbiamo mai mangiato nello stesso piatto”).
Se un piatto o –peggio- una zuppiera si rompeva, non veniva buttata via, ma i
cocci venivano recuperati attentamente e si conservavano in attesa
dell’aggiustapiatti (‘o cconciapiatt’).
Costui, adoperando un trapano a mano, dopo aver praticato dei piccoli
fori, cuciva letteralmente il piatto con dei fili di ferro, i quali –pur non contribuendo in alcun modo a combattere un’eventuale anemia- conferivano un gusto
particolare alle pietanze.
Le posate -in casa- erano di stagno, ma i boscaioli -quando erano al lavoro- usavano per forchette degli spruoccoli (rametti) appuntiti e biforcuti e,
per cucchiaio, delle cortecce di albero o delle tacche di legno.Finito di mangiare si andava solitamente a letto senza nemmeno lavare i piatti o mettere un
po’ d’ordine nella casa.
Il letto, di ferro, aveva per reti delle tavole di legno. Il materasso (‘o saccone)
era fatto da foglie e guaine di granturco che, al minimo movimento, producevano
un enorme fracasso. Ma ciò non disturbava il “pesante” sonno dei nostri avi che,
stanchissimi per il duro lavoro fisico, non soffrivano certo d’insonnia.
All’alba, tutti svegli per cominciare una nuova giornata. Mentre la donna sparecchiava la tavola e lavava piatti e posate con l’acqua utilizzata la sera prima per
cucinare, l’uomo andava in stalla per “governare” (accudire e dare da mangiare)
gli animali. La brodaglia di lavaggio, con l’aggiunta dei residui della cena (briciole di patate, torsoli di frutta ed altri scarti),
più qualche patata e qualche ghianda venivano dati in pasto al porco.
Prima di andare a lavoro, tutti i membri
della famiglia –anche per svegliarsi- si lavavano le mani e la faccia. In un angolo della
casa, su un tripode di ferro, si trovava il catino (‘o vacill’), dove si versava dell’acqua che
doveva servire a più di una persona, perché
l’acqua corrente non l’aveva quasi nessuno:
quella da bere si andava a prendere alla fontana
pubblica; quella per lavarsi proveniva dalla cisterna, dal pozzo o da una botte di acqua piovana.
Dove si faceva il bagno? «Chissà quanta gente
non l’ha mai fatto», ci ha risposto qualche vecchietto. Comunque, di norma veniva utilizzata
la stessa cupella usata per il bucato.
111
L’ultimo secolo
Modi di vestire
Benedetta Napolitano
Per quanto riguarda l’abbigliamento (foto a pagina precedente), le donne
portavano, sopra la sottoveste, un’ampia gonna coperta da un grembiule (‘o mantesin’),
quest’ultimo generalmente di colore nero. Il
busto era coperto da una camicia a maniche
larghe, al di sopra della quale veniva indossato un rigido corpetto. Nei mesi più freddi l’abbigliamento prevedeva uno scialle di lana. Il
capo era generalmente coperto d’ ‘o
maccatur’, una stoffa di seta o di pezza, solitamente piegata a triangolo che giungeva fin
sopra le spalle. Le gambe erano coperte da
calze di lana e, quasi sempre, la pettinatura
era abbellita da una pettenessa. Nei primissimi anni del secolo molte donne non portavano né mutande né reggiseno. Gli uomini erano
vestiti con pantaloni lunghi (‘e cazuni) e una
giacca, generalmente di fustagno, su una camicia di lino, di cotone o di tela (canapa).
Era consuetudine “rivoltare” più volte gli stessi vestiti, mettendo all’esterno
la stoffa meno danneggiata dall’uso e dal tempo. Gli indumenti venivano frequentemente rattoppati, anche con pezze di colore diverso, e –nella stessa famiglia- passavano di padre in figlio e da fratello a fratello.
Per i neonati non erano disponibili i pannolini “usa-e-getta” e si usavano ‘e
fasciatur’ (le fasce). Mettere ‘e fasciatur’ a un neonato richiedeva una certa abilità: innanzitutto andava messo ‘o fasciatur’ vero e proprio. Questo era costituito
da un pezzo di stoffa rettangolare, piegato in due a mo’ di triangolo, posto sotto il
sederino del neonato, la punta –rivolta in basso- si faceva passare tra le gambe del
piccolo e, sull’ombelico, si allacciava con le altre due punte laterali. Poi si metteva ‘o sott’culill’, che rivestiva il sederino (da cui il nome) e le cosce del bimbo.
Poi si aggiungeva un altro “strato”, ‘o savaniello, più resistente e disposto come
il precedente. Poi si rivestiva il “malcapitato” con una fasciatura rigida che andava dal pancino fino alla punta dei piedi. Infine, l’inerme neonato veniva letteralmente “insaccato” dentro al sacchetiell’. La parte superiore del corpo veniva coperta dalla cammesella (camicia), a cui si sovrapponeva ‘o cacciamaniello (una
sorta di gilet, che lasciava fuori le braccine, da cui il nome). D’inverno veniva
aggiunta anche una maglietta. L’infasciatura dei neonati si praticava fino all’età
di dodici mesi. Successivamente, veniva messo con le gambine libere, e vestito
con pantaloncini e camicine.
L’ultimo secolo
112
L’Esagono
Capera - Vammana - Pia ricevitrice
Normalmente, sia i maschi che le femmine –quando non andavano scalziportavano ai piedi gli zoccoli (‘e zuoccul’) di legno o, più raramente, le pantofole
(‘e papusci). Per il lavoro si usavano robusti scarponi e, per evitare che si consumassero subito, le suole e i tacchi erano ricoperti di chiodi
dalla testa sporgente (‘e centrelle).
Queste talora si staccavano e, se venivano
inavvertitamente calpestate da qualche viandante
scalzo, penetravano nel piede con una facilità impressionante e devastante.
Le parrucchiere non c’erano ma, in compenso, c’erano le capere, che pettinavano le persone a domicilio, e
che rappresentavano (insieme ai barbieri) i mass-media dell’epoca: sapevano tutto di tutti, e di tutto parlavano; a volte anche di quello che non sapevano. Guai
ad inimicarsele: lo ‘nciucio non perdonava e poteva
rendere zitella la più virtuosa delle ragazze.
A volte queste avevano anche la funzione di
sartine
ruffiane e favorivano incontri amorosi e matrimoni.
Trucco, belletti e profumi non venivano usati e, chi avesse avuto i soldi e l’ardire
di adoperarli, veniva immediatamente etichettata come una “poco di buono”.
Un altro personaggio tipico era la vammana, la levatrice. Costei era una figura
molto temuta e rispettata: addirittura si sussurava, in segreto, che ella potesse
dare «la vita e la morte». “Stranamente”, infatti, i neonati deformi nascevano
sempre già morti! In realtà -quantomeno nel corso dell’800- essi venivano eliminati dalla vammana, non buttandoli da una rupe come nell’antica Sparta, ma soffocandoli appena dopo o durante il parto, spesso ad insaputa degli stessi genitori
e con il tacito consenso delle donne più anziane.
La vammana aveva anche la funzione di “presentare” il neonato agli uffici
comunali e di dichiarare da quale donna l’avesse “raccolto”, e se fosse noto o
meno il padre.
Per una disposizione del Concilio di Trento del 1563, le registrazioni di nascite, battesimi, matrimoni e morti, erano riportate nei Registri Parrocchiali. Successivamente, con
Real Decreto del Codice Napoleonico, del 29 ottobre 1808, vennero istituiti i Registri
dello Stato Civile comunale.
Un altro personaggio tipico dell’800 era la Pia Ricevitrice: una donna che ispezionava quotidianamente la “Ruota dei Proietti”, dove venivano abbandonati i neonati indesiderati o frutto di una “segreta colpa”. Questi bambini, detti ‘e figli r’a Maronna (figli
della Madonna), venivano portati al comune, registrati ed affidati a qualche famiglia di
buon cuore. Questa istituzione fu creata con Real Disposizione (napoleonica) del 10
giugno 1802.
113
L’ultimo secolo
Corteggiamento
Benedetta Napolitano
Le donne, fin da bambine, trascorrevano una vita piuttosto ritirata e si
occupavano dei fratelli più piccoli o andavano “alla maestra”(di cucito).
Per le giovinette, rare erano le occasioni per conoscere coetanei dell’altro
sesso. Fino agli anni ’60 erano pochissime le ragazze che andavano a scuola e le
poche occasioni di socializzazione erano costituite, quasi esclusivamente, dalle
feste patronali e dalle scampagnate in occasione della pasquetta e delle “passiate
a Montevergine” (cfr. capitolo su Baiano). Più recentemente, i giovani potevano
lanciarsi le prime occhiate anche in occasione della raccolta o della scucchiuliàtura
r’e nucelle (pulitura delle nocciole dalla “cupola” verde) che, spesso, si faceva
nella curtina insieme ai vicini.
Le ragazze potevano farsi notare (e, a loro volta, notare) quando, la domenica, si recavano
a messa o al cinematografo. A Sirignano già negli anni ’30 esisteva un cinematografo
all’aperto, nella cosiddetta “strada” (nelle adiacenze del Castello). A Mugnano vi erano due
sale cinematografiche (Cinema Partenio e Cinema Santa Filomena). A Baiano esisteva il
Cinema Colosseo e il Cinema Sarno (chiuso nel 1993) e, ad Avella, la Sala Azzurra.
Per una ragazza essere carina non bastava ad essere considerata un buon partito.
Anzi, la cosa poteva rivelarsi un grave handicap. La saggezza popolare, infatti,
raccomandava a chi volesse essere tranquillo: « né mugliera troppo bella, né
robba ‘nmiezz ‘a via », poiché sia l’una sia l’altra gli potevano essere portate via.
Meglio, perciò, una moglie robusta e
“lavoratrice” (con o senza baffi).
Inoltre, come consigliavano i vecchi
proverbi, era preferibile scegliere «donne e
buoi dei paesi tuoi», non trascurando di tener
anche conto che «pari cerca pari, e pari
prende».
Spesso, come ci confermano le persone più
anziane, i fidanzamenti e i matrimoni erano
combinati dalle famiglie. Altre volte la ragazza
riceveva ‘a ‘mmasciata (l’imbasciata) tramite
un’amica o una parente. I giovanotti più
intraprendenti “mandavano la serenata”.
La ragazza, per capire se avrebbe sposato
l’uomo che aveva pensato, prima di
addormentarsi (ma dopo aver recitato una
invocazione a “Sant’Elena Imperatrice”,
seguita da tre Pater Noster, Ave e Gloria),
L’ultimo secolo
114
L’Esagono
I costumi morigerati
tendendo l’udito ai rumori della notte, attendeva il “responso”: era considerato
positivo l’abbaiare dei cani e negativo il rumore di una porta che si chiudeva.
Anche quando il falò (così era anche chiamato, scherzosamente, il
fidanzato) era trasuto a casa (fidanzato in casa), ai due fidanzati non era
consentito incontrarsi da soli. E ciò fino alla metà degli anni ‘60, come è
testimoniato da una celeberrima canzone dell’indimenticato Renato Carosone
che recita: «...ije, màmmeta e tu ... màmmeta annanze e sòreta arréte», per
poi concludere, esasperato: « nun ci’a faccio cchiù ... iatevenne !»
Guai a “sgarrare”, comunque. A Mugnano del Cardinale, come riferito dallo Studioso
don Giovanni Picariello nel suo libro “La Valle munianense”: «… si tramanda ancora
oralmente che una gentildonna mugnanese, per non aver saputo resistere alle “seduzioni
dell’amore”, fu una notte svegliata dai suoi due fratelli e con un pretesto invitata a
discendere giù in cucina, dove già ardeva un gran forno, e ce la infornarono, purificando
così col fuoco l’onta arrecata al chiaro nome della famiglia. Il fatto, subito risaputosi,
produsse una orribile impressione in tutt’i paesi della valle; ma i fratricidi non furono
punto molestati dalla giustizia, forse in omaggio al nome medesimo».
115
L’ultimo secolo
Le prime fogne - Le “zoonosi”
Benedetta Napolitano
Le condizioni igieniche
Dalle nostre parti, alla caduta dell’impero romano seguì un lungo periodo buio
dal quale i paesini del mandamento non riemersero che verso la fine del XIX
secolo. Come è stato già detto altrove, solo dopo il 1806 -grazie alle leggi
napoleoniche- si cominciarono a costruire i primi cimiteri fuori dei centri abitati.
Le popolazioni rurali vivevano nella miseria più nera e in disagiatissime condizioni igieniche (cfr. il capitolo “Storia e destino comuni”) e solo agli inizi del XX secolo
si costruirono i primi rudimentali acquedotti a
cielo aperto e i primi abbozzi di reti fognarie.
Ogni comune, inoltre, aveva la sua piccola discarica, posta -di norma- al confine
con un altro comune (in alcuni casi, negli
stessi siti dove -negli ultimi anni- si assiste a
pericolosi cedimenti delle strade).
Le stradine, quasi sempre in terra battuta, presentavano una pendenza verso il centro ove si formava un rivolo maleodorante
nel quale venivano riversati liquidi (e non
solo liquidi) di ogni genere.
Ancora agli inizi degli anni ’70 qualche
“nostalgica” vecchietta, memore delle antiche usanze, usava svuotare i vasi di notte
(cantari o pisciaturi) in mezzo alla strada, Avella. Via Madonna delle Grazie.
costringendo il preoccupato viandante -desideroso di evitare maleodoranti
aspersioni- ad essere ben sveglio e vigile anche di buon mattino.
Normalmente, codesti recipienti venivano svuotati in apposite latrine o
cantarielli (asterisco nella foto sotto), o in “pozzi neri”, e successivamente gli escrementi venivano raccolti e portati nei campi, per essere utilizzati come concime.
Frequenti erano le epidemie (soprattutto di tifo e di colera) e numerose le zoonosi.
Con questo termine (dal greco zoon,
animale) si indicano quelle malattie che
possono essere trasmesse dagli animali all’uomo, come la tubercolosi, il tetano, la
brucellosi (febbre maltese), il carbonchio
*
ematico e numerose parassitosi.
L’agente del tetano si annidava soprattutto negli escrementi di cavalli,
asini e muli che, con le piogge, venivano sparsi uniformemente in tutto il paeL’ultimo secolo
116
L’Esagono
I rimedi terapeutici
se, e poteva facilmente infettare gli uomini, penetrando attraverso piccole ferite.
La tubercolosi aggrediva prevalentemente le mucche più debilitate. Il carbonchio
e la brucellosi colpivano soprattutto le pecore e le capre.
Non era raro che la gente, a valle, bevesse dallo stesso rivolo (l’acquedotto a
cielo aperto dal quale, a monte, si erano abbeverate le bestie). Le parassitosi erano
molto diffuse anche a causa dell’abitudine di concimare orti e campi con escrementi umani e animali.
La gente del popolo, che non poteva permettersi gli incerti rimedi della medicina dell’epoca, sopravviveva nonostante la mancata assistenza dei medici o come ancora sostiene qualche arguto vecchietto- grazie proprio ai loro mancati
interventi. La medicina, infatti, era ancora abbastanza empirica e dagli esiti incerti.
Cataplasmi (di semi di lino) e salassi (con sanguisughe) costituivano i principali rimedi allora praticati. Non erano ancora disponibili gli antibiotici, che giunsero in Italia insieme all’esercito americano, verso la fine della seconda guerra
mondiale, e la diagnostica era limitata all’intuito del medico.
In tale situazione, le arretrate popolazioni rurali non potevano fare altro che
ricorrere agli effetti placebo di guaritori e fattucchiere o ai rimedi erboristici.
Contro il mal di denti veniva
usato, soprattutto dai boscaioli,
il Solanum nigrum, detto “erba
morella” o “pummarulella
servateca” (nella foto).
Questa erba, dai bulbi commestibili e simili a piccole patate,
presenta fusto, foglie e bacche
velonose e dall’effetto sedativo
sulle terminazioni nervose.
Si schiacciavano le bacche su
un pezzo di ovatta avvolto su
uno “spruoccolo” (sottile
rametto di legno). Si dava fuoco a questa piccola torcia e, a
bocca aperta, si faceva in modo
che il fumo giungesse al dente
dolente o all’ascesso. A volte
funzionava.
Questa pianta, lasciata macerare nell’olio, forniva anche
pomate antidolorifiche.
117
L’ultimo secolo
La credulità del popolo
Benedetta Napolitano
Superstizioni e credenze popolari
La fede -allora come oggi- sosteneva i malati e gli oppressi ma, purtroppo, il
prete veniva considerato quasi alla stregua di uno stregone. La Santa Messa, celebrata in latino per persone che non conoscevano bene neppure l’italiano, incuteva
riverenza e rispetto.
Più che alla sostanza del messaggio evangelico si badava alla ritualità delle
cerimonie e frequenti erano, nella gente del popolo ma non solo, evidenti confusioni e sovrapposizioni tra sacro e profano.
La Chiesa lungi dal combattere le superstizioni, le alimentava. Antichi Autori
riportano un esilarante ma sintomatico episodio, in cui si intrecciano la miseria e
l’ignoranza del popolo con la fantasiosa “psicologia” del clero (solo di recente
soppiantata da quella dei politici): «… nel 1631 eruttò il vicino Vesuvio con tanta
violenza, da lanciare le sue ceneri fino in Dalmazia e nell’Arcipelago (Grecia), e
le sue acque bollenti, miste ad alghe e a pesci cotti, fino ad Avellino e Atripalda;
onde le campagne di questa valle ne furono così danneggiate, che per molto tempo non diedero frutto. Fu solo dopo cinque o sei anni che la vegetazione cominciò
a risorgere, e prometteva un’abbondante raccolta, quando nel 1640 si scatenò su
queste contrade una invasione di cavallette. La costernazione delle misere popolazioni rurali era al colmo. Per tutto [il circondaro .. vi furono] frequenti processioni penitenziali e scongiuri, tridui e pubbliche preghiere, inutili rimedi. La Curia vescovile di Nola, a calmare un po’ gli animi terrorizzati, escogitò di costituirsi solennemente, nel Duomo di quella città, innanzi ad un gran popolo in Alta
Corte di Giustizia, il Vescovo presidente, il suo Vicario accusatore e il Decano
difensore, allo scopo di fare il processo alle bestiole sterminatrici. L’accusatore,
dopo una tremenda requisitoria, chiese la pena di morte; il difensore invece l’esilio sulla montagna di Somma; il Vescovo, prudente, fu per l’esilio; ma le cavallette non se n’andarono se non quando ebbero distrutto ogni cosa».
Come è stato già detto nel capitolo di Baiano (a proposito dell’eremo di Gesù
e Maria e di Sant’Alfonso dei Liguori), le fattucchiere erano diffuse in tutti i
paesi del mandamento, in particolare ad Avella.
Alcune massaie, per evitare che le fattucchiere potessero penetrare in casa,
passando attraverso il buco della serratura, o sotto la porta, ponevano dietro l’uscio
una scopa o una scupetta (spazzola): la strega prima di poter entrare era obbligata
a contarne –senza sbagliare- tutti i fili, prima che arrivasse il mattino.
In passato non esistevano né la televisione, né la radio, né Internet. Non tutti
potevano permettersi di acquistare i libri. Inoltre, non tutti quelli che potevano
acquistare un libro erano anche in grado di leggerlo.
L’ultimo secolo
118
L’Esagono
I cunti e l’occulto
A questo proposito si narra di un padre che, avendo un figlio –ormai adolescente- che non si decideva a imparare alcun mestiere, decise di tenerlo chiuso in casa
fino a che non avesse deciso cosa fare della sua vita. La gente del posto, accostando
“discretamente” l’orecchio alla porta della loro abitazione sentiva l’uomo che –spazientito- intimava al figlio: «liéggie … liéggie», facendo seguire –taloral’inequivocabile schiocco di uno scapaccione ben assestato. Anche le più pettegole
del paese non potevano fare a meno di parlare bene di cotanto padre che esortava
continuamente il figlio a leggere. Ma le cose stavano in ben altro modo: non a leggere veniva esortato il giovane, ma a muoversi in maniera più leggera. Se, infatti, gli
ingenui villici avessero potuto vedere attraverso le pareti, avrebbero potuto osservare il padre che insegnava al figlio come rubare un portafoglio senza farsene accorgere,
raccomandandogli continuamente «…liéggie…».
Esisteva, perciò, la tradizione di tramandare oralmente i vari “cunti”. Nei paesini
del mandamento vi erano alcuni anziani che, come gli antichi cantastorie, conoscevano a memoria tutte le opere di Torquato Tasso. Essi affascinavano i nostri
padri, allora bambini, con le mirabolanti imprese di Orlando Furioso, Rinaldo e
compagnia. Ma essi non si limitavano a declamare la sola letteratura. Spesso,
davanti al fuoco del camino, si divertivano a terrorizzare i loro ascoltatori con
racconti di spiriti e di fantasmi, che con minime differenze si narravano anche in
paesi fuori del mandamento.
Un racconto classico era quello della
processione dei morti:
«Era la novena dei morti, Uelà si era alzata
prima dell’alba per andare alla messa. Uscita
di casa vide giungere una processione di persone
portanti ogn’una un cero acceso. Uelà si accorse
in breve che le persone che passavano davanti
ai suoi occhi pieni di stupore erano tutte persone
trapassate. Vide anche una sua amica, morta
da tempo, il cui cero si era spento: «dallo a me
che te lo accendo» disse, commossa,
rivolgendosi allo spirito dell’amica defunta.
«Non posso aspettare, non ci possiamo
trattenere», rispose mesta la defunta.
Uelà strappò con forza il cero dalla mano
dell’amica, entrò in casa e l’accese, ma quando
ritornò in strada la processione era ormai
scomparsa.
Tornata in casa, perplessa, si accorse che il
cero non era più un cero ma l’osso di un braccio.
La sera successiva, aspettò che ripassasse la
processione dei morti e, senza parlare, ridiede
il braccio al fantasma della sua amica defunta».
119
Formula contro il malocchio.
Farsi tre volte il segno della croce. Poi,
facendo continuamente col pollice il segno
della croce sulla fronte del malcapitato, si
recita il seguente scongiuro:
Uocchio e mal’uocchio
‘e perticell’ all’uocchio
schiatt’n ‘e nnemmici
e crépan ‘e mal’uocchi
‘a truvat p’a via
libbera Sant’Antunin’
‘a truvat p’a casa
libbera Sant Tummas’
afujite uocchie smarilitt
smaliric’ cu’ l’uocchie ‘e Gesù Crist’
afujite pe’ chillu vosc’ oscur’
addù stann’ sierp’ viper’ ‘e curzuni
a nomm’ ‘e Santa Lena,
chi t’’e fatt’ ‘o mal’ t’adda fa o bben’
a nomm’ ‘e Dio,
stu male ne trova a via.
sciò, sciò, sciò accompagnando con un
movimento della mano.
L’ultimo secolo
Fantasmi - Spiriti - ‘O munaciello
Benedetta Napolitano
Non era infrequente che la gente vedesse (o credesse di vedere) gli spiriti.
I racconti terrificanti e l’assenza della corrente elettrica facevano facilmente leva
sulle persone più suggestionabili.
Ed ecco che i boscaioli, in montagna, dicevano di aver incontrato ‘a Signora
r’’e piattini (il fantasma di una dama dal lungo vestito bianco e con l’ombrellino
da sole).
Altri raccontavano di essere stati vittima della malombra, un non meglio identificato spirito che confondeva i sensi e faceva in modo che il povero viandante si
smarrisse, inspiegabilmente, in luoghi che conosceva perfettamente fin dalla nascita.
E’ anche probabile che, in una civiltà più vicina ai ritmi e all’essenza della
natura, alcune persone –più sensibile delle altre- sviluppassero (o che non soffocassero) alcune capacità medianiche.
Si racconta (con nomi e cognomi ben precisi) che un certo ragazzino stava tornando
a casa dai boschi con l’asino carico di legna, messa su dai suoi compaesani più grandi.
Ad un certo punto l’asino finì con una zampa in una buca e si accasciò a terra. Occorreva
scaricare la legna, rimettere in sesto l’asinello e ricaricare la legna. Il ragazzino non ce
l’avrebbe mai fatta da solo. Per fortuna comparve suo padre, che lo rincuorò e lo trasse
rapidamente d’impaccio.
Niente di strano, se non per il fatto che il padre del giovane boscaiolo non fosse
appena morto in un ospedale di Napoli, ove era ricoverato per una grave polmonite.
Giunto al paese, dove nel frattempo era giunta la notizia del decesso, il ragazzino raccontò a tutti la sua storia, tra i pianti e l’incredulità delle comari, che si affrettarono a farsi più
volte il segno della croce.
Un personaggio che, a detta delle persone più anziane, frequentava le case dei
nostri avi era ‘o munaciello; cosiddetto perché era uno spirito -o un essere magicodi piccola statura, somigliante ad un bambino o a un nano, e vestito con un saio,
come un monaco.
‘O munaciello non è uno spiritello tipicamente nostrano. Ne parlava già la
scrittrice Matilde Serao nelle sue “Leggende napoletane”, pubblicate nel 1880.
Anche Carlo Levi ne parla nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, ove avverte che
il folletto mira più di ogni altra cosa a rientrare in possesso del copricapo sottrattogli:
«Per riavere il suo berretto rosso, senza cui non può vivere, il “monachicchio” ti
prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro; ma, appena riavrà il suo prezioso
copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e folli salti di gioia, e non
manterrà la sua promessa».
‘O munaciello, chiamato anche mazzamauriello (dallo spagnolo matamorillos)
compare anche nella “Vaiasseide” (poema eroicomico in cinque canti – Napoli
1612) con il nome di scazzamauriello.
Gli studiosi di fenomeni paranormali lo considerano affine ai fenomeni di
“poltergeist” (nda. dal tedesco: spiriti chiassosi) che si riscontrano nelle case
dove sia morto un bambino e dove si trovano adolescenti in crisi di crescita
che fungono da “catalizzatori”.
L’ultimo secolo
120
L’Esagono
Ancora sul munaciello
In passato, qui da noi, sembra che col munaciello ci giocassero, generalmente
in soffitta, lontano dagli sguardi indiscreti degli adulti, intere “nidiate” di bambini.
Si racconta pure che a Quadrelle, un certo “Pascalotto” aveva la sgradevole
abitudine di andare a fare i suoi bisogni nella Chiesa. Una sera qui gli apparve ‘o
munaciello che, evidentemente, vi abitava. Chiese a “Pascalotto” il favore di non
sporcargli più quella che egli considerava la sua casa, promettendogli in cambio
una moneta d’oro al giorno. A patto che non svelasse il segreto ad anima viva.
La moglie di “Pascalotto”, insospettita dal fatto che suo marito avesse tutto quel
denaro senza disporre di nessun lavoro, costrinse il reticente coniuge a svelargli il
segreto. Ebbene, quando “Pascalotto” la mattina successiva ritornò in Chiesa per
ricevere la sua moneta d’oro, invece del denaro trovò un puzzolente “pasticciotto”
di cacca di munaciello.
Macerazione della canapa da fibra in una “fusara”
121
L’ultimo secolo
Il carbonaio
Benedetta Napolitano
Gli antichi mestieri
Nei secoli XVIII e XIX le attività produttive più diffuse nei paesi del Baianese
erano quelle legate allo sfruttamento dei boschi, dei pascoli e delle campagne per
la produzione di quei beni richiesti dall’agricoltura, dalle industrie e dalle popolazioni (oggi diremmo dai consumatori) della metropoli partenopea e delle Puglie,
con cui esistevano intensi scambi commerciali.
Il carbonaio (‘o graunaro)
Notevolissima importanza aveva la produzione di carbone. Non esistevano ancora né l’elettricità (i cui primi timidi tentativi di un serio utilizzo risalgono ai
primi decenni del XX secolo)
né il motore a scoppio (quello
a benzina fu inventato solo nel
1882) e l’unica forza motrice
disponibile era quella fornita
dalle macchine a vapore, funzionanti a legna o a carbone.
Navi, treni e macchine industriali necessitavano,
perciò, di ingenti quantità
di questo combustibile.
Nessuna meraviglia, quindi, che sfogliando i vecchi registri dei vari comuni, quello del carbonaio risulti essere stato uno dei mestieri più diffusi del
mandamento. E ciò anche in considerazione dell’abbondanza della materia
prima, costituita dagli estesi boschi di ceduo.
I più anziani ci raccontano della dura vita dei carbonai e delle tecniche da essi
usate per produrre il carbone.
Generalmente, la squadra dei carbonai era costituita da almeno tre o quattro
persone. Talora erano presenti anche le mogli. Siccome l’intero lavoro (dalla costruzione della carbonaia al recupero del carbone) poteva richiedere anche una
quindicina di giorni, essi costruivano innanzitutto una baracca (capanna), la cui
porta era costituita da una fascina di rami o da frasche. Poi si costruivano i rastrelli in legno e le scarpe in legno di fico (che resiste alle alte temperature e isola dal
calore). Poi si spianava la piazzola su un terreno il più possibile pianeggiante. Se
il terreno era in pendenza si costruiva un’impalcatura (piattabanda). Si rimuovevano pietre, cespugli e “ceppe” di piante. Si appianavano i dislivelli con foglie
secche e rami sottili, ricoperti con uno strato di terra e poi si dava il via alla
costruzione della carbonaia vera e propria.
Gli antichi mestieri
122
L’Esagono
La costruzione del catuozzo
Si costruiva il castelletto centrale (vedi foto), che fungeva da “bocca” della
carbonaia. Attorno a questo si faceva la catasta di tronchi e rami, disponendo i più
piccoli in basso e i più grossi in alto. Poi si ricopriva il tutto con frasche (disposte
verso il basso), su cui si appoggiava uno strato di zolle d’erba (‘e tempe) e di terra,
in modo da non lasciar passare l’aria. Veniva lasciata aperta solo la parte superiore (bocca del castelletto), nella quale venivano posti due tronchetti disposti a croce (a mò di griglia). Sui tronchetti venivano accese delle frasche e, poi, della legna
sottile. Man mano che la legna in cima bruciava si formava della cenere che cadeva nel castelletto e che provocava la combustione della parte inferiore. Quando il
fuoco era ben avviato si lasciavano cadere i resti dei due tronchetti disposti a
croce e si cominciava ad alimentare la fiamma accesa alla base del castelletto. Si aggiungevano corti pezzi di legno fino a riempire
completamente il castelletto.
A questo punto veniva chiusa la bocca,
per essere riaperta ogni 12 ore per “dare da
mangiare” alla carbonaia, aggiungendo altra
legna nel castelletto. Il fuoco, all’interno del
castelletto
“catuozzo” (come veniva pure chiamata la
carbonaia), non si spegneva perché alimentato dall’ossigeno presente nella legna
fresca. Inoltre, venivano aperti dei fori di aerazione (a circa un metro dalla cima),
attraverso i quali usciva del fumo, bianco perché ricco di vapore acqueo.
Quando il fumo diventava acre e azzurrognolo i fori venivano richiusi e ne
venivano aperti altri un metro più in basso e così via.
Aerare troppo il “catuozzo” (cosa che poteva capitare a causa del vento o della
formazione di qualche crepa nella struttura) significava, letteralmente, mandare
in cenere tutta la legna.
La carbonaia, perciò, andava “governata” (curata, vigilata e “nutrita”) ininterrottamente, anche di notte. Le dimensioni delle carbonaie erano variabili. Quelle più piccole misuravano 3-4 metri di diametro per
un circa due metri di altezza. Ma, normalmente, erano molto più grandi.
La resa era attorno al 40%. Cioè, da
cento quintali di legna fresca si ottenevano circa 40 quintali di nero carbone.
Ma essa variava in relazione al tipo di
legna e del tipo di cottura subita.
Alla fine della cottura, cioè, quando
anche i fori alla base avevano smesso di
emettere fumo azzurrognolo, si aspetta123
Gli antichi mestieri
‘A carcara
Benedetta Napolitano
va il raffreddamento del “catuozzo” (e ciò era in relazione alle dimensione dello
stesso) e si rastrellava il carbone.
Nerissimo, lucente, leggero e di una sonorità metallica. Questo veniva messo
in appositi sacchi (più grandi del normale perché il carbone pesa di meno) e portati a valle, a dorso d’asino (tre per ogni animale).
Alla fine del lavoro tutto era di colore nero. Si vedevano brillare solo gli occhi
dei carbonai.
Presumibilmente, l’espressione “te ne vai p’’o fummo”, che tradotto liberamente, significa “vai ad intuito”, deriva proprio dal mestiere dei carbonai che,
come si è visto, in base al colore del fumo stabilivano se il catuozzo era cotto
oppure no.
Calcarea (‘o carcararo)
Nella “fornace calcarea” o “carcara”, per cottura della pietra calcarea o “pietra
viva”, veniva prodotta la calce viva, di aspetto e consistenza polverulenta. Questa,
com’è noto, a contatto con l’acqua reagisce violentemente e comincia a ribollire (reazione esotermica) producendo la calce spenta, usata in edilizia,
come legante della pietra e per gli intonaci, e
come ammendante
(correttore del Ph) e
anticrittogamico, in
agricoltura.
Tutte le nostre montagne sono costituite
da calcare, ad eccezione
di
qualche
1957
collinetta che presenta depositi di arenaria o di tufo. La materia prima, quindi, non mancava, e neppure
il combustibile, costituito da fascine (sàrcine e sarcinelle), gusci di nocciòle, segatura, pannelli dei frantoi oleari e materiali simili.
In molti casi, i proprietari delle carcare erano anche industriali boschivi.
Ogni paesino aveva le sue fornaci calcaree. Addirittura, nel secondo dopoguerra,
a Baiano, nel bosco di Arciano, vi era un cantiere-scuola del “Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale” (vedi foto sopra).
La fornace calcarea era costituita da due ambienti sovrapposti, comunicanti tra
loro attraverso un grosso foro centrale. Superiormente vi era la “fornace” vera e
Gli antichi mestieri
124
L’Esagono
Il duro lavoro del “carcararo”
propria e, sotto di essa, era posta la “camera di sgombero”, dalla quale
veniva estratta la cenere.
Attraverso il foro centrale cadeva la cenere e saliva l’aria. Su di esso veniva composta, ad ogni cottura, la “grata” costituita da grossi massi di pietra viva (che sarebbero stati cotti insieme a tutti gli
altri), disposti a cupola (per poter reggere il carico) e appoggiati tra di loro tramite gli spigoli (lasciando così dei fori attraverso i quali poteva cadere
la cenere e passare l’aria).
L’intera struttura della fornace era costituita dallo stesso
tipo di pietre che, cotte, si sarebbero trasformate in calce
Mugnano
viva. Per questo motivo, allo
scopo di evitare di rifare la fornace ad ogni cottura, il suo interno veniva rivestito da
una “fodera”, costituita da uno strato di calce e pietre di piccole dimensioni.
Le pietre da cuocere venivano poste in circolo attorno al foro centrale, che
rimane libero, e lasciando nel perimetro alcuni spazi (canne di tiraggio). Man
mano che si sale le pietre convergono sempre più verso il foro centrale, per cui
esse vengono ad assumere una conformazione a cono. Successivamente viene
riempita l’intercapedine tra l’anello di pietre centrale e la “fodera”. Riempita tutta
la fornace si versa sulla sommità un impasto di calce che ha la funzione di evitare
le dispersioni di calore, lasciando liberi il foro centrale e i fori delle canne.
Le fascine (o altro combustibile) vengono scaricate e accese nel cilindro centrale. Il lavoro di caricamento poteva durare anche un mese. La cottura delle pietre, ad una temperatura superiore agli 800 gradi centigradi, prosegue per circa 12
giorni. Nelle prime 24 ore la pietra diventa fragile come vetro. Successivamente,
per la perdita dell’acqua, il suo peso si riduce a quasi la metà e comincia a diminuire anche il volume, mentre appaiono le prime lesioni.
La cottura si considerava ultimata quando, spiando attraverso le “canne”, si
verificava che le pietre avevano assunto un caratteristico colore giallo-oro.
A detta dei vecchi carcarari, si trattava di un lavoro estremamente faticoso,
tanto è vero che si tramanda il modo di dire “’e fatt a carcara”, per indicare una
fatica sovrumana o come sfottò indirizzato verso qualche “sfaticato”.
Anche il lavoro di vigilanza e di “cura” della “carcara”, consistente nell’aggiunta di altro combustibile e nella sottrazione di cenere e carbonella, era particolarmente dannosa per la salute perché esponeva gli operai a continui sbalzi di
temperatura e, nei giorni più ventosi, a pericolosi ritorni di fiamma.
125
Gli antichi mestieri
Come si produceva il ghiaccio
Benedetta Napolitano
Neviera
Le neviere, in epoche in cui non esistevano frigoriferi, rappresentavano l’unica possibilità di ottenere, nei periodi caldi, bevande o cibi freddi o di poter refrigerare e quindi conservare più a lungo cibi deperibili.
Esse si trovavano sui monti Avella, a Summonte e al Campo di Montevergine.
Erano costituite da semplici buche nel terreno,
che giungevano fino a 510 metri di diametro e altrettanti di profondità.
Durante l’inverno venivano riempite con neve fresca, trasportata con carriole e ceste e pressata con
i piedi o con mazzuole e
neviera
piccoli tronchetti.
Quando la profondità
della neviera lo consentiva, si facevano più strati di ghiaccio, separati tra loro
da frasche e foglie secche, che avevano funzioni isolanti. Questo sistema consentiva di mantenere freddo lo strato più profondo anche quando si estraeva il
ghiaccio dagli strati più superficiali.
Oggi delle neviere rimangono solo poche tracce, costituite da un avvallamento del terreno o da qualche pozzanghera che si forma dopo le
piogge, in quanto, col trascorrere dei decenni sono state ricoperte dai
detriti trascinati dallo scorrere delle acque superficiali. Era un mestiere
prevalentemente femminile.
A Mugnano del Cardinale, proprietario di importanti neviere situate a Summonte
e al Campo di Montevergine, era un certo Santo Bellusci.
Il ghiaccio, coperto da sacchi, veniva trasportato a valle o a dorso di muli
oppure dalle donne, che lo tenevano in testa, portato in uno straordinario “equilibrio dinamico”, appoggiato al “curuogliolo” (una sorta di “turbante” di pezze).
I blocchi di ghiaccio venivano poi posti in veri e propri depositi (uno
di questi era situato nelle adiacenze del palazzotto Canonico, ora palazzo
Guerriero), in località Cognulo a Mugnano del Cardinale. Altre importanti neviere si trovavano a Monteforte Irpino. La neve veniva conservata e pressata nelle grotte ricavate dall’estrazione del tufo (situate praticamente sotto l’autostrada, poco più in basso della fontana Carlo-III).
Il ghiaccio, oltre che per la produzione di granite e gelati, veniva usato per
la conservazione degli alimenti (venivano a comprarlo anche da Napoli) e
negli ospedali.
Gli antichi mestieri
126
L’Esagono
Gli ultimi sportellari
Sportellaro
Quello dello “sportellaro” è stato uno dei mestieri più importanti del
mandamento baianese, che ha conservato una larga diffusione quantomeno fino ai
primi anni ’70, quando, a somiglianza di quanto stava capitando per i bottai, ha
conosciuto una rapida e inesorabile decadenza, a causa dell’avvento delle materie
plastiche. All’epoca, i nostri paesini erano piuttosto “ritmici”.
I principali “percussionisti” erano costituiti da ferracavalli, bottai, fabbri e sportellari
che con i loro “strumenti” (di lavoro) facevano riecheggiare la tranquilla e laboriosa
vallata di ritmici rintocchi -talora metallici e argentini, talora sordi e legnosi- intervallati, di tanto in tanto, dal raglio malinconico di qualche asinello o, nelle
assolate giornate
d’estate, dall’insistente canto delle cicale.
Non era raro incrociare per la strada
grossi carri (‘e traini),
tirati da flemmatici
cavalli, carichi fino all’inverosimile di traballanti file di “sporte”, a volte alte più di
tre metri. Per la lavorazione venivano
usati solo pochi strumenti (vedi foto a
pag. seguente) e un forno a due piani: nello scomparto inferiore veniva acceso il fuoco e in quello superiore i pali da ammorbidire.
Venivano usati pali di castagno con diametro da due (‘e vuccali) fino a
sette od otto centimetri (‘e vaccele): i primi servivano per rinforzare il bordo
superiore e per i manici, i secondi per ricavarne le strisce di legno da usare
nell’intreccio delle “sporte” o dei “panari”. Ai pali di castagno vengono tagliate le estremità inferiori (perché poco flessibili e non adatte all’intreccio)
e le punte. Poi vengono tenuti a bagnomaria per alcune settimane. Infine,
vengono messi ad “ammorbidire” nel forno, per circa mezz’ora.
Il legno ancora rovente viene, poi, spaccato longitudinalmente prima in due
parti e, successivamente, in tante strisce di legno sottili. Una volta questa operazione veniva fatta, letteralmente, con i denti.
Ciccio ‘e Limpiella di Mugnano, collaboratore di uno degli ultimi sportellari
rimasti (il Sig. Stefano Napoletano, che ha il suo laboratorio nel quartiere Vesuni
127
Gli antichi mestieri
Le fuscelle
Benedetta Napolitano
di Baiano), ci precisa che è molto importante che le strisce abbiano un giusto e
uniforme spessore: strisce troppo sottili sarebbero più facili da intrecciare ma le
sporte così ottenute risulterebbero troppo fragili.
Le mani, rese ruvide dal contatto con il legno rovente, e nere, per il tannino
contenuto nella corteccia e nel legno di castagno, testimoniano la dura fatica necessaria per produrre questi antichi ma ecologici contenitori.
Le donne, soprattutto ad Avella, intrecciavano anche i sottili rametti di vimini
(salix viminalis), di ginestre e di giunchi (spartium iunceum, altra specie di ginestra), per realizzare ceste per la frutta o “fuscelle” per contenere la ricotta.
Gli antichi mestieri
128
L’Esagono
Il lavoro nei boschi
Il boscaiolo (‘o mannese)
Mestiere diffusissimo nel Baianese, tra i nostri nonni e trisavoli. I boscaioli
tagliavano la legna da ardere, la legna per gli
sportellari, ‘e murcuni per fare le toghe delle botti, la
legna per i carbonai, per gli scalari, per i falegnami (o
masturasci, termine che proviene da “maestro
d’ascia”), per l’agricoltura (‘e pertiche), per le costruzioni (‘e trav’ per i soffitti), per le traversine delle ferrovie e per le segherie.
In passato il taglio degli alberi veniva effettuato con le accette e con le roncole (‘o runcino). Successivamente venne usato, per gli alberi di alto
fusto, il segone a mano (‘o strungone) sostituito,
solo attorno al 1960, dalla motosega.
Anche le donne partecipavano a questo lavoro.
Queste erano dedite ai lavori -si fa per dire- più leggeri, come la pulizia del
sottobosco e la sramatura delle piante di alto fusto. Quando non erano disponibili
i mulattieri (i proprietari dei muli), gli uomini, attaccate alcune funi ai grossi
tronchi di castagno, dovevano anche tirare ‘e trav’ fino a valle.
Quando i boscaioli andavano a lavorare fuori regione (Abruzzo, Lazio, Toscana, Lucania), poteva capitare che si dovesse spostare l’intera famiglia. In questo
caso il gruppo di boscaioli viveva in gruppi di capanne costruite da loro stessi.
Spesso il tetto era coperto dalle témpe (zolle di terra inerbite), altre volte da carta
catramata o dalle bandone (lamiere ondulate) di zinco.
Il boscaiolo costruiva anche una rudimentale stufa a legna, aprendo -in un
bidone metallico- una porticina per infilarci la legna e un foro per collegarci la
canna fumaria. Visto il tipo di lavoro, che richiedeva la collaborazione di tutti
quanti, e il forzato isolamento del gruppo –che poteva protrarsi anche per svariati
mesi- fra i boscaioli erano fortissimi i vincoli di solidarietà e di mutuo soccorso.
Quando si usavano ancora ‘e strungun’ ‘a man’ (i segoni a mano), ad adoperarli
erano le “paranze”, ovvero delle squadre costituite da due uomini.
Essi dovevano lavorare in perfetta sintonia: quando l’uno spingeva, l’altro doveva
tirare e viceversa. Inoltre, nessuno doveva fare il furbo e riposarsi facendo sforzare solo
l’altro. Poteva, naturalmente, capitare che i due boscaioli litigassero tra di loro, magari
per qualche banale motivo. Ebbene, anche in questo caso, i due amici (poiché in fondo
rimanevano sempre amici) dovevano continuare a lavorare insieme, anche se non si parlavano: l’uno era indispensabile all’altro.
Il già citato Cav. Antonio De Rosa, di Sirignano, narra il seguente episodio: «Due
boscaioli di una stessa “paranza”, che momentaneamente non si parlavano, avevano
perso ‘e zeppe. Queste sono dei cunei di ferro (ma ve ne erano anche di legno) che,
inseriti –con la mazzetta- nella fessura del taglio operato dal segone, hanno la duplice
funzione di orientare la caduta dell’albero e di impedire che il peso del fusto schiacciasse la lama della sega. Ritrovare le zeppe nello spesso strato di foglie era come cercare un
129
Gli antichi mestieri
Altri mestieri
Benedetta Napolitano
ago in un pagliaio e l’operazione poteva richiedere anche molto tempo. I due amicinemici, sempre senza parlarsi, si misero alla ricerca di buona lena. Quando uno di essi
ebbe ritrovate le zeppe, tenute insieme da uno spago, ebbe il problema di comunicarlo
all’altro, distante qualche decina di metri e –naturalmente- sempre senza parlare. Egli,
perciò, cominciò a sbattere l’una contro l’altra le zeppe che, con i loro rintocchi metallici avvertirono l’altro uomo dell’avvenuto ritrovamento. I due amici, guardandosi dritti
negli occhi e rendendosi finalmente conto di quanto fosse stato infantile il loro comportamento, scoppiarono in una sonora risata e fecero finalmente la pace».
Altri mestieri, che si ritrovano anche in alcuni soprannomi (stortanomme o
scungicanomme) erano quello del funaro (che intrecciava corde di canapa), dello
scalaro e tanti altri mestieri (come il sarto, il bottaio, lo zoccolaro ed altri) che,
non essendo tipici della nostra zona, non verranno trattati.
Una menzione particolare merita ‘o ferraro. Alcuni di essi, oltre a svolgere i
normali lavori in ferro battuto, avevano sviluppato notevoli capacità metallurgiche ed erano diventati veri e propri maestri nell’arte di temperare i metalli (acciarià,
ovvero rendere duro come l’acciaio).
Sirignano. Anni ‘50. Fabbrica di botti della famiglia Saveriano.
Gli antichi mestieri
130
L’Esagono
I giochi dei nostri nonni
I giochi di una volta
Oltre ai giochi praticati dai ragazzi ancora oggi, come la moscacieca, il nascondino, ‘a semmana, il tiro alla fune ed altri, vi erano alcuni giochi tipici della
prima metà del secolo scorso. Qui di seguito verranno elencati i principali.
Mazza e piùz’
Questo gioco aveva una certa somiglianza con il baseball americano. Si giocava
con due legnetti: una mazza di circa mezzo metro e un piùz’di una quindicina di
centimetri e con le estremità appuntite. L’attrezzo più corto veniva posto inclinato
in una piccola buca, con un’estremità sollevata. Il “battitore” colpiva, dall’alto
verso il basso, l’estremità sporgente del piùz’ che rimbalzava in aria. Subito dopo,
come si fa con la palla del baseball, doveva colpirlo di nuovo per lanciarlo il più
lontano possibile. Il “ricevitore”, una volta recuperato il piùz’, per conquistare la
mazza e diventare “battitore”, doveva far giungere il piùz’ in buca (con uno o più
lanci rasoterra) cercando di evitare che il “battitore” lo rilanciasse lontano prima
che esso toccasse il suolo. In questo gioco era importante non solo “conquistare la
buca” ma, com’è ovvio, anche evitare di essere colpiti in testa dal piùz’.
‘O carruocciol’
Ve ne erano di vari tipi. Il “modello” più antico (foto sotto) montava
due ruote di legno posteriori e due su un corto asse sterzante anteriore.
La versione più evoluta, in uso fino alla fine degli anni ‘60,
portava l’asse sterzante anteriore molto più lungo e sterzabile
anche con i piedi, che vi venivano appoggiati sopra. Le ruote
di legno erano state sostituite dai grossi cuscinetti a sfera dei
camion. Nei paesi più in pianura, come Sperone e Baiano,
si procedeva grazie alla spinta di un compagno di giochi.
Nei paesi con forti discese (Quadrelle, Sirignano e
Mugnano) si tenevano vere e proprie gare di velocità (e di
coraggio). Non sempre, infatti, era agevole frenare.
I freni, ottenuti con mazze improvvisate, a volte si
rompevano nel momento meno opportuno. I più abili, in caso
di guai, si lasciavano cadere rotolandosi su di un lato.
‘O strummul’ (dal greco, stròbilos)
Si trattava di una trottola di legno, a forma di cono rovesciato, con una punta di
ferro e con delle scanalature sulle quali veniva arrotolato uno spago. Si lanciava
tirando lo spago a sé, in maniera da conferire all’attrezzo un movimento rotatorio.
Vinceva chi riusciva a far girare la trottola più a lungo degli altri.
131
I giochi di una volta
I giochi dei nostri nonni
Benedetta Napolitano
‘O chìrchio (dal greco kìrkos)
I cerchi potevano essere di due tipi, o di legno o di ferro, entrambi usati nella
costruzione delle botti. Il cerchio si guidava con una bacchetta di legno, seguendo
un percorso dritto o con alcune curve. Vinceva chi arrivava prima al traguardo.
Baiano. 1926. Il bimbo al centro è Silvino Foglia
‘O sciscaro (da: sciscare=fischiare)
Era una sorta di flauto che,
soprattutto i pastori, intagliavano a
primavera dalla scorza di un rametto
di pioppo. Veniva usato come uno
zufolo.
Oltre a quelli menzionati,
esistevano anche alcuni giochi molto
pericolosi. Alcuni ragazzini erano abilissimi a costruire archi e frecce micidiali,
con le quali andavano a caccia di bisce, lucertole, topi e uccelli. L’arco era ricavato
da due fili di ferro degli ombrelli, tenuti insieme da fil di ferro o da una lenza (dei
muratori). La corda era costituita da una lenza e la freccia da un ferro di ombrello
appuntito. Era una vera e propria arma che, talora provocava ferite gravissime
(anche la perdita di un occhio).
Altri gioci pericolosi erano la “freccia” per lanciare le pietre (fatta con un ramo a
forma di Y e con le molle ricavate da camere d’aria) e la fionda.
Ma il gioco più diffuso era, forse, quello del calcio: il proprietario del pallone
giocava sempre (naturalmente) e sceglieva la squadra. Il più timido finiva sempre per
giocare in porta.
Campionato 1 divisione. Anno 1946/47. Napoli e Baiano in scuro. Vinse il Baiano 2-1
I giochi di una volta
132
L’Esagono
Filastrocche per nonni e bambini
Alcune filastrocche che ancora oggi si recitano
Tarantella tarantella
scinn ‘abbascia ‘a sta purtella
ch’ è venuto ‘o cusutore
e ‘a purtat’ la vunnella
tutta nocche e zigarelle
quann’ cammin’ par bell’
par bell’ e porta onore
pappavall’ rint’ ‘a caiola
sta caiola c’ ‘o fierro ‘o pèro
tira tira ca se ne vene
se ne vene ca puca r’ ‘o pesce
e che puzza ‘e baccalà
quann’ muglierema esce prena
cumm’ riavul’ amm ‘a fà
ce ne iamm’ ‘o mercatiello
e l’accattam’ nu pazziariello
e c’ ‘a ‘ncùnia e c’ ‘o martiello
ce mettimmo a pazzià.
Zi’ monaco, zi’preveto
ten’ ‘na figlia e nun m’a vò ra’
e ie m’ mett’ a iastummà.
Caruse, melluse
‘mpizze ‘a capa r’int’’o
pertuse;
‘mpizzancella chiane
chiane
e nu’ fa male ‘o
parrocchiane.
Sega sega, mastu Ciccio
‘na panella e ‘nu sasiccio.
‘A panella ci’ ‘a mangiammo
e ‘o sasiccio ci’ ‘o stipammo
ci’ ‘o stipammo pe’ natal’
quann venen’ ‘e zampugnari
ci facimm na veppet’ ‘e vin’
e gloria gloria r’ ‘o bambino.
Arri arri ‘a Nola
a truvà zi’ Nicole;
zi’Nicole nun ce steva,
‘ce steva la mugliera
ca cuceva li maccarun’
‘e diciett rammenne dui;
me ne riv’ nu piatt’
e o mettiva ‘ncoppo ‘o banco
iva ‘o sorice tang tang
e se mangiav tutti quant
l’v uttai na rattacasa
l’accuglietto na pacca e’ naso
l’ menai nu lavanaturo
l’accuglietto na pacca ‘e culo.
Sega sega, nun voglio segà
tenco na figlia ra ‘mmarità
e carrozz’ anna scuccà
chi tena ‘a mmiria
addà crepà.
Micia, micella,
vatta, vattelle
addò si gghiut?
-addò ze’ Rosa
che t’ha dato?
-‘o ppane e ‘o case.
fusta la casa,
fusta la casa.
133
I giochi di una volta
La formazione della “Valle Avellana” - Il Clanio - Idrologia
Benedetta Napolitano
L’ambiente naturale
La valle del Baianese è delimitata da due dorsali carbonatiche: a Nord dai
monti Avella, disposti secondo il tipico andamento appenninico (NordOvestSudEst) e a Sud dai Monti di Lauro (cfr. cartine a pag.20).
I rilievi sono costituiti prevalentemente da rocce calcaree, formatesi tra
Giurassico e il Cretacico, ma il ritrovamento -sui monti di Avella- di alcuni
fossili di organismi marini (gasteropodi, lamellibranchi e coralli) databili a circa
125 milioni di anni fa, indica chiaramente che in quelle ere geologiche la catena
montuosa delle “porche di Avella” ancora non esisteva e che, al suo posto, c’era
un fondale marino.
I primi rilievi cominciarono ad emergere, indicativamente, nel corso del
Plesistocene superiore (150.000- 10.000 a.C.). La vetta più alta dei Monti di
Avella si eleva fino a 1.598 metri; centocinque metri più in alto della stessa
Montevergine.
Sulla sommità dei rilievi spesso la roccia è affiorante ma, altrove, è ricoperta
da materiale piroclastico da caduta (cenere, lapilli, pomici) proveniente in massima parte dall’attività eruttiva del complesso vulcanico Somma-Vesuvio (ma anche
dai Campi Flegrei e da altri numerosi siti vulcanici).
Nel corso dell’ultima glaciazione (Wurm, 33.000 anni fa) vi fu una terrificante eruzione ignimbritica e un vero e proprio mare di tufo fuso si riversò nella
“depressione Campana”. Successivi accumuli di materiale erosivo e vulcanico
colmarono ulteriormente la valle nei millenni successivi.
Secondo i geologi, esisterebbero due “faglie inverse” (spaccature della crosta
terrestre) che collegherebbero il nostro mandamento con il Vesuvio: un loro eventuale movimento (terremoto) potrebbe essere causato dall’attività vesuviana o,
inversamente, contribuire a risvegliare il gigante di fuoco.
La valle del Baianese non presenta corsi d’acqua perenni. Essa è chiusa a Sud
dai torrenti Acqualonga e Gaudo-Sciminaro e a Nord dal torrente Clanio.
Quest’ultimo, con la sua acqua ha consentito i primi insediamenti di uomini
primitivi (si veda il capitolo “Storia e destino comuni”), ma ha anche contribuito
a rendere la Piana Campana un vero e proprio acquitrino, che ha facilitato l’insorgere della malaria e di altre epidemie fino a quando, nel 1539, le sue acque non
vennero finalmente regimentate con la costruzione dei “Regi Lagni”.
Essi, dopo un percorso di circa 60 Km, si dividono in due rami che sfociano
l’uno nel Mar Tirreno, presso Castelvolturno, e l’altro nel Lago di Patria.
Dal punto di vista idrologico, il nostro comprensorio può essere considerato
ben fornito di acqua. Esistono falde sospese che danno vita alle numerose piccole
sorgenti presenti nelle nostre montagne (vedi tabella a pag.140), e un’importante
idrostruttura profonda (comunicante, sembra, con l’acquifero di Sarno) che, sotL’ambiente naturale
134
L’Esagono
Clima - Flora
to i nostri piedi, a una profondità media di circa duecento metri, costituirebbe un
vero e proprio lago sotterraneo dello spessore di circa sessanta metri.
E’ lecito pensare che il nostro sottosuolo sia ricco di imponenti formazioni
carsiche ma, al momento, si conoscono solo le tre grotte di Avella (vedi foto a
pag.41), la “fossa” di Mugnano del Cardinale e alcune “bocche del vento”.
Il clima risente sia della relativa vicinanza dal mare (circa 25 Km) che della
presenza dei rilievi. Secondo la classificazione di Pavari e De Philippis, che
mette in relazione clima e flora, il nostro clima si trova a cavallo tra il Lauretum
(maggiore di 19°C) e il Fagetum (inferiore ai 10°C).
Sui rilievi la piovosità raggiunge punte di 2.200 mm di pioggia. Secondo misurazioni effettuate ad Avella, con una stazione posta a 198 metri slm, la media
degli ultimi trent’anni si aggira attorno ai 1.100 mm.
La più evidente caratteristica climatica del nostro ambiente rimane, in ogni
caso, il forte, secco e gelido vento di tramontana che non di rado giunge ad una
velocità di venti o trenta nodi, con punte di cinquanta nodi (per avere il valore in
Km/ora moltiplicare per 1,852).
La flora
La coltura che predomina alle quote più basse è il nocciòlo (Corylus avellana)
cui, salendo di quota, subentrano, nell’ordine, l’olivo (Olea europaea), il castagno (Castanea Sativa) e, oltre i 1000 metri, il faggio (Fagus Silvatica). Più sopra
ancora si trovano alcune specie di pino, tra cui ricordiamo il Pinus Laricio .
In passato, soprattutto in pianura ma anche in collina, si trovavano estesi
vigneti, ciliegi, pomacee (meli e peri), e piante di gelso (le ceuze, in dialetto) le
cui foglie costituivano il “foraggio” dei bachi da seta (Bombyx mori), un tempo
allevati nei nostri paesini da quasi tutte le famiglie.
Fra i 900 e i 1.500 metri, si trovano, fra i boschi di faggio, alcuni alberi di
tasso (Taxus baccata). Si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti per la
presenza di un alcaloide chiamato “tassina”.
Tra le altre specie diffuse sul territorio, sono presenti noci (Juglans regia),
òntani napoletani (Alnus cordata), olmi (Ulmus glabra, Ulmus minor), il kaki
(Diospyros Kaki), il sorbo (Sorbus aucuparia, Sorbus aria), le varie specie di
acero (Acer lobelii, Acer platanoides, Acer pseudoplatanus, A. negundo, A. campestre, A. obtusatum), il carpino (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus),
il carpino bianco (Carpinus orientalis). Sono presenti anche le querce (Quercus),
i lecci (Quercus ilex). Lungo le strade troviamo i platani (Platanus orientalis, P.
Occidentalis), il pioppo nero (Populus nigra), il tiglio (Tilia cordata), il
biancospino (Crataegus oxiacantha).
135
L’ambiente naturale
I funghi: “esseri” al limite tra il regno animale e il regno vegetale Benedetta Napolitano
Non tutti sanno che i nostri boschi sono ricchi di numerose specie di
orchidee, come la Orchis morio subsp. Picta, Orchis mascula, Orchis
pauciflora, presenti nelle località Piano del Pozzo e Piano Maggiore ai
confini dei territori di Avella e Roccarainola (600-900 m slm). Mentre
sulla collina delle Vallicelle (Mugnano del Cardinale e Quadrelle) sono
presenti Orchis papilionacea, Orchis x gennari, Orchis purpurea, Orchis
pauciflora ed altre.
Nel sottobosco troviamo: pungitopo (Ruscus aculeatus), edera (Hedera helix),
salvia (Salvia glutinosa), rosa selvatica (rosa sempervirens), fragola (Fragaria
vesca), asparago (Asparagus acutifolius), origano (Origanum vulgare), e vari tipi
di felci e di ginestre (Spartium iunceum, ecc.), graminacee da prato ed erbe
officinali. Sono state censite oltre 700 specie vegetali diverse.
I funghi
Da noi esiste una buona varietà di funghi. Si trovano i chiodini (Armillaria
mellea), detti ‘e semmentini, che si trovano vicino alle ceppaie di nocciòlo o di
alberi da frutto e nei boschi di faggio e di castagno.
Poi vi sono i porcini (Boletus edulis), detti comunemente amuniti, che si
trovano, di prevalenza, nei faggeti e nei castagneti (ma alcune specie si trovano
anche sotto le querce e nelle pinete).
Da menzionare i taurini, del gruppo dei porcini, ma velenosi, dal cappello più rossiccio e dalla “carne” (così si chiama il corpo dei funghi)
che, se tagliata, ossidandosi a contatto con l’aria, diventa subito rossiccia
o bluastra. Alcuni boscaioli di Monteforte Irpino li mangiano dopo averli
ben bolliti, infatti la tossina è termolabile, ovvero, si distrugge con il
calore. Sono presenti anche numerose specie di prataioli, spugnole, e
“conocchie” o “mazze di tamburo” (Lepiota, Macrolepiota, Agaricus
ecc..) che vivono sullo “strame” (materiale organico in decomposizione),
da non tutti conosciuti e apprezzati.
Se si è fortunati, è possibile trovare anche l’ Amanita cesarea (detta,
in dialetto, pirozzola ‘e uovo, tuorlo d’uovo). I parenti velenosi, anzi letali, di questa specie e cioè l’Amanita muscaria (con sparse macchie bianche sul cappello rosso), e l’Amanita phalloides (dal cappello verde), sembra che da noi non siano presenti: comunque è meglio fare attenzione,
non si sa mai.
Altre specie nostrane sono i “lattari” (detti ‘e piesciuli) e i Cantharellus cibarius
(detti ‘e gallinelle oppure‘e manolle). Infine, va menzionato il tartufo nero (Tuber
aestivum) che cresce sotto terra e che viene cercato con l’aiuto di cani o di maiali
addestrati allo scopo. Si trova nei faggeti, nei querceti e nei noccioleti.
L’ambiente naturale
136
L’Esagono
Rinvenimenti preistorici - Anfibi e rettili
La fauna
Da rinvenimenti effettuati lungo il Clanio, nel territorio di Avella, si è potuto
verificare che in epoca preistorica erano presenti l’orso (Ursus Arctos), il tasso
(Meles meles), la martora (Martes martes), la tartaruga terrestre, il capriolo e il
cervo (Cervius).
Numerose ed interessanti sono le specie animali attualmente presenti.
Tra gli anfibi appartenenti agli Urodeli (le specie provviste di coda anche da
adulti), troviamo la salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii) dalle
grandi macchie gialle nere, la salamandra dagli occhiali (Salamandra tergidata),
risalente all’era quaternaria, e alcune specie di tritoni il cui habitat è costituito
dalle acque stagnanti di cisterne e pozzi.
Tra gli anfibi Anuri (le specie sprovviste di coda da adulti), troviamo il rospo
comune (Bufo bufo spinosus) ed il rospo smeraldino (Bufo viridis). Nelle zone
più umide, come l’alto corso del Clanio, si possono incontrare anche alcune specie di rane, come la rana greca (Rana graeca italica), appartenente alle “rane
rosse”(lunga circa 6 cm e dalla caratteristica V capovolta sul dorso) e la Rana
ridibunda, verde, lunga fino a 15 cm.
Dei rettili ricordiamo la lucertola campestre (Podarcis sicula), presente ovunque, la lucertola muraiola (Podarcis muralis breviceps), comune in alta montagna, e il ramarro (Lacerta viridis). Negli abitati frequenti sono i gechi. M o l t o
particolare è la luscengola (Chalcides chalcides). Questo sauro, somigliante ad
un serpente, in realtà è una via di mezzo fra le lucertole e i serpenti. Lungo fino
a 40 cm, di colore verde scuro o bronzeo, presenta lunghe strisce dorsali chiare.
La sua caratteristica distintiva è che presenta piccole zampette provviste di tre
dita che, durante la fuga, vengono retratte in apposite cavità presenti lungo il
corpo. Inoltre è vivipara (non produce uova che poi si schiudono ma “partorisce”
come gli esseri umani).
Fra i serpenti ricordiamo il cervone (Elaphe quattuorlineata) che, come dice il
nome, presenta quattro linee longitudinali scure su corpo chiaro. Lungo fino a 2,60 m
è un serpente costrittore: soffoca la vittima fra le sue spire e poi la ingoia; riesce ad
ingoiare anche piccioni e conigli. E’ uno dei serpenti più timidi d’Europa. Esso, conosciuto dagli allevatori del Campo di Summonte col nome dialettale di “impastoiavacche”, è ghiotto di latte, come del resto tutti i serpenti. Esso si porta sotto le mammelle delle vacche e vi succhia il latte. La vacca, che prova sollievo perché si alleggerisce del latte, addirittura ritorna allo stesso posto dove è stata “munta” la prima volta
dal serpente e lo aspetta, ed esso, puntualmente, arriva.
Diffusi sul territorio sono altresì la biscia dal collare (Natrix natrix),
il colubro liscio (Coronella austriaca) e il biacco (Coluber viridiflavus).
Un discorso a parte merita l’aspide o vipera comune (Vipera aspis), l’unico
137
L’ambiente naturale
Uccelli - Mammiferi
Benedetta Napolitano
serpente velenoso presente nel nostro territorio. Si distingue dagli altri serpenti
locali, innocui, per avere testa triangolare, muso dall’apice rivolto verso l’alto e
pupilla verticale (come quella dei gatti). Il colore del corpo è variabile dal grigio,
al rosa, al bruno con quattro strisce scure più o meno estese ai lati del corpo, la
punta della coda è rosa, la parte addominale va dal giallo chiaro al rosso scuro. E’
lunga circa 70-80 cm.
Passando agli uccelli, segnaliamo oltre a quelli più comuni, presenti nelle
zone urbane e nelle campagne circostanti come le colombe, le tortore, i passeri, i
fringuelli, le rondini, le cince e i merli, anche quelli meno comuni come le beccacce, le quaglie, l’upupa, il pettirosso, l’usignolo, la poiana, il picchio, la civetta, il barbagianni, il gufo, la capinera, il cardellino, la gazza, la pica. In zone di
montagna, nella parte più alta dei Monti Avella, se si è fortunati, si possono
avvistare anche l’astore, il falco pellegrino, il corvo imperiale e, forse, anche lo
sparviere (più comune nell’altro versante dei Monti Avella, nei boschi di Pannarano
e Cervinara). I fagiani sono presenti -normalmente- solo per poche ore; dal momento del “lancio” da parte delle associazioni venatorie, al momento della loro
“fucilazione” da parte dei cacciatori: passano in poche ore dalla gabbia alla pentola.
I mammiferi, sono presenti con quasi 30 specie. Oltre ai vari tipi di
topi, ratti e arvicole, ricordiamo i pipistrelli o “chirotteri” (con otto specie diverse), le talpe (presenti con due specie), il ghiro ( Myoxus glis),
presente anche nelle faggete, e il moscardino (Muscardinus avellanarius).
E’ presente anche il riccio (Erinaceus europeanus), che è insettivoro.
Due specie di mammiferi, introdotte per scopi venatori dalle associazioni
di cacciatori, la lepre (Lepus capensis) e il cinghiale (Sus scrofa), si sono
ambientate molto bene e diffuse su tutto il territorio. I mammiferi carnivori sono rappresentati dalla volpe (Vulpes vulpes), dalla martora (Martes
martes) e dalla faina (Martes foina), che sono poco diffuse. Ancor meno
diffuso, ma presente, per “erratismo” (cioè, di passaggio) è il lupo (Canis
lupus italicus). Alcuni anni fa un esemplare femmina venne ucciso nel
territorio di Avella. In passato doveva essere molto più frequente (non a
caso Irpinia proviene dal termine latino hirpus, cioè lupo).
I carnivori più pericolosi sono rappresentati, comunque, da branchi di cani
randagi e rinselvatichiti. Non ce ne sono tantissimi, ma sono presenti, come
ci assicura chi maggiormente frequenta le campagne, i boschi e le montagne
vicine. Essi possono aggredire il viandante isolato e possono trasmettere (come
anche le volpi) pulci e rabbia silvestre.
Sulla presenza del gatto selvatico (Felis Silvestris), più grande del gatto
domestico, i pareri sono discordi. Alcuni giurano di averlo avvistato, altri ritengono che siano presenti solo gatti domestici rinselvatichiti.
Comunque, esso è sicuramente presente nella catena del Partenio.
L’ambiente naturale
138
L’Esagono
Insetti e molluschi - Notizie geologiche
Vi sono, poi, centinaia -se non migliaia- di specie di insetti, facenti parte dei
vari e complessi ecosistemi forestali, montani ed agricoli. Agli insetti autoctoni
si è aggiunta, secondo numerose segnalazioni, la temibile zanzara tigre, proveniente dal Nord Africa.
Ricordiamo, infine, i molluschi con alcune specie di lumache. Il nostro ambiente, come dimostrò anni fa una sperimentazione della Comunità Montana, è
particolarmente adatto al loro allevamento (elicicoltura).
disegno a sinistra
*
Le “faglie inverse” che collegano il mandamento di Baiano (*) con
il Vesuvio.
foto sotto
La “fossa” di Mugnano del Cardinale: una depressione provocata dal crollo della volta di una grotta sotterranea,
formatasi da una dolina.
1) fossa, 2) Gesù e Maria, 3) San Pietro
a Cesarano, 4) Cimitero, 5) Autostrada
A-16.
La foto è stata scattata (col zoom) da
6000 metri di altitudine, nel 1997.
139
L’ambiente naturale
Dati idrologici
Benedetta Napolitano
Principali sorgenti ricadenti nell’ Alveo Avella
I dati provengono da uno studio dei Prof. Pietro e Fulvio Celico e del geologo Sabino Aquino.
La Tabella è una rielaborazione dell’autrice.
1) Croce Puntone; 2) Ciesco Bianco; 3) Torretiello; 4) Toppola Grande; 5) Valle Fredda; 6) Acquaserta;
7) Ciesco Alto; 8) M. Spadafora; 9) Bosco di Arciano; 10) M. Campimma; 11) Montevergine.
L’ambiente naturale
140
L’Esagono
Popolazione di Avella e Baiano nell’anno 2000
Aspetti demografici
(E DATI STATISTICI)
Ave lla
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
3.555
3.170
7.265
nati vivi
55
39
94
de funti
27
27
54
s aldo naturale
28
12
40
is critti
69
76
145
cance llati
92
110
202
s aldo migratorio
-23
-34
-57
re s ide nti al 31-12-2000
3.560
3.688
7.248
famiglie anagrafiche
2.569
Fonte: ISTAT - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
B aiano
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
2.360
2.399
4.759
nati vivi
22
26
48
de funti
17
22
39
s aldo naturale
5
4
9
is critti
73
60
133
cance llati
-2
2
0
s aldo migratorio
38
21
59
re s ide nti al 31-12-2000
2.363
2.405
4.768
famiglie anagrafiche
1.858
Fonte ISTAT - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
141
Aspetti demografici
Popolazione di Mugnano e Quadrelle nell’anno 2000
Benedetta Napolitano
M ugnano
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
2.433
2.535
4.968
nati vivi
22
22
44
de funti
26
16
42
s aldo naturale
-4
6
2
is critti
99
83
182
cance llati
61
62
123
s aldo migratorio
38
21
59
re s ide nti al 31-12-2000
2.467
2.562
5.029
famiglie anagrafiche
1.727
Fonte: ISTAT - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
Qua dre lle
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
753
767
1.520
nati vivi
13
11
24
de funti
5
6
11
s aldo naturale
8
5
13
is critti
35
39
74
cance llati
38
41
79
s aldo migratorio
-3
-2
-5
re s ide nti al 31-12-2000
758
770
1.528
famiglie anagrafiche
500
Fonte: ISTAT - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
Aspetti demografici
142
L’Esagono
Popolazione di Sirignano e Sperone nell’anno 2000
S irig na no
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
1.122
1.138
2.260
nati vivi
15
19
34
de funti
14
9
23
s aldo naturale
1
10
11
is critti
93
77
170
cance llati
35
34
69
s aldo migratorio
58
43
101
re s ide nti al 31-12-2000
1.181
1.191
2.372
famiglie anagrafiche
760
Fonte: ISTAT - la tabella è una realizzazione dell'autrice.
S pe ro ne
M as chi
Fe mmine
Totale
re s ide nti al 1° ge nnaio 2000
1.631
1.634
3.274
nati vivi
18
19
37
de funti
9
9
18
s aldo naturale
9
10
19
is critti
68
64
132
cance llati
61
51
112
s aldo migratorio
7
13
20
re s ide nti al 31-12-2000
1.647
1.666
3.313
famiglie anagrafiche
1.043
Fonte: ISTAT - la tabella è una realizzazione dell'autrice.
143
Aspetti demografici
residenti residenti totale
femmine maschi residenti
e d ific i
industria
famiglie
abitazioni
abitativi
altro uso
commercio
servizi
istituzioni
vani
opifici
addetti
esercizi
addetti
attività
addetti
enti
addetti
Ave lla
3.872
3.790
7.662
2.599
1.679
161
2.579
9.261
36
186
99
176
132
277
27
878
Baiano
2.358
2.300
4.658
1.584
897
273
1.585
5.748
54
134
99
156
84
142
28
180
M ugnano
2.484
2.426
4.910
1.650
1.121
600
1.721
6.300
25
61
112
163
151
221
4
141
Quadre lle
793
781
1.574
522
342
92
522
1.774
15
42
14
17
28
37
4
147
Sirignano
1.173
1.193
2.366
740
400
57
738
2.868
8
12
19
25
19
21
6
73
Spe rone
1.616
1.569
3.185
1.029
520
55
1.020
3.492
21
195
72
105
53
88
8
33
F o n t e : U f f ic i c o mu n a li - L a t a b e lla è u n a r e a liz z a z io n e d e ll' a u t r ic e .
s e minativi
coltiv. le gnos e
orti familiari
prati pe rm.
pas coli
Comune
Azie nde
ha
ha
Azie nde
ha
Azie nde
ha
Azie nde
4
1,19
4
3,35
-----
286 753,69
-----
-----
-----
-----
-----
M ugnano
164 13,53
368 269,81
-----
-----
-----
-----
Quadre lle
-----
-----
119
36,77
-----
-----
-----
Sirignano
35
2,19
263
115,9
2
0,1
Spe rone
------
------
142
188,9
-----
-----
Baiano
-----
ha
ha
10 58,89 905,04
bos chi
Azie nde
ha
Arboric.
da le gno
utilizzata
ha
ha
non
altra
ha
41
1.147,8
5,64 210,36 28,42
----- 753,69
6
281,1
-----
1,7
-----
-----
----- 283,34
66
682,54
-----
0,52
3,48
-----
-----
-----
36,77
5
577,97
----
-----
-----
-----
-----
2
0,86
119,05
18
413,44
-----
15,34
0,3
-----
-----
-----
-----
188,9
8
43,3
-----
----- 11,19
144
Fonte: dott. Nicolangelo De Vita - Responsabile Centro di Sviluppo Agricolo di Baiano - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
Benedetta Napolitano
731 830,91
Ave lla
12 10,70
Azie nde
SAU
Gli ultimi dati statistici disponibili
Aspetti demografici
dati al
21.10.2001
L’Esagono
Alcuni indicatori socio-economici
D is tribuzione de lla popolazione ce ns ita (1991) pe r titolo di s tudio
Comune
Laureat i
D i pl omat i
Al fabet i zzat i
Li c. El emen.
e Medi a Inf.
senza t i t ol o
Anal fabet i
Ave lla
150
824
3.739
1.256
506
Baiano
173
747
2.613
719
175
M ugnano
120
713
2.645
729
212
Quadre lle
28
169
790
218
43
Sirignano
29
244
839
280
78
Spe rone
52
381
1.521
408
127
Fonte: DATI ISTAT. La tabella è una realizzazione del'autrice.
(1991) Popolazione attiva e non attiva e tas s i di occupazione
PO PO L A ZI O N E
Comune
Totale
Attiva
(>14 anni)
N on
attiva
TASSI
D is occupaz.
Occupaz.
Attività
Ave lla
7.134
2.521
4.613
39,71
21,31
35,34
Baiano
4.811
1.799
3.012
37,41
23,40
37,39
M ugnano
4.823
1.957
2.866
35,46
26,19
40,58
Quadre lle
1.396
578
818
39,27
25,14
41,40
Sirignano
1.700
682
1.018
32,70
27,00
40,12
Spe rone
2.760
979
1.781
34,32
23,30
35,47
Fonte: DATI ISTAT. La tabella è una realizzazione del'autrice.
Fonte: ISTAT- La tabella è una realizzazione dell’autrice
145
Aspetti demografici
Benedetta Napolitano
Dati finanziari
(1994) D e pos iti e d impie ghi bancari.
(valori monetari espressi in milioni di lire e di euro)
Comune
s porte lli
de pos iti bancari
pe r s porte llo
impie ghi
bancari
bancari
lire
e uro
lire
e uro
Ave lla
2
22.778
11,76
14.388
Baiano
1
29.577
15,28
9.751
7,43
5,04
M ugnano
3
22.782
11,77
31.770
16,41
Quadre lle
---
------
------
------
------
Sirignano
---
------
------
------
------
Spe rone
---
------
------
------
------
Fonte: ISTAT. La tabella è stata realizzata dall’autrice.
Fonte: DATI ISTAT. La tabella è una realizzazione del'autrice.
Fonte: ISTAT- La tabella sopra e il grafico sotto sono realizzazioni dell’autrice
40000
35000
30000
25000
20000
15000
10000
5000
0
Avella
Baiano
Mugnano
Quadrelle
Serie4
7318
7058
4544
1151
1927
Serie3
16053
12749
14038
3324
4978
Serie2
7160
4643
6605
1713
2044
Serie1
5650
4037
4180
1145
1277
Aspetti demografici
Sirignano
146
L’Esagono
Confronto tra varie serie di dati
Fonte: ISTAT- Le tabelle sono state realizzate dall’autrice
147
Aspetti demografici
Benedetta Napolitano
Confronto tra varie serie di dati
Fonte: ISTAT- Tabella e grafici sono realizzazioni dell’autrice
ESTENSIONE TERRITORIALE IN
ETTARI E IN PERCENTUALE DEI
SEI COMUNI DELL’ESAGONO
353
625
Sirignano
9%
Sperone
5%
692
Quadrelle
10%
1.214
3.038
Avella
42%
Mugnano
17%
1.255
Baiano
17%
9000
8000
ANDAMENTO DEMOGRAFICO NEI SEI COMUNI dal 1898 al 2001
7000
6000
5000
4000
3000
2000
1000
0
A v e lla
B a ia n o
M ugnano
1898
3745
2646
3153
934
883
1980
6562
4988
4994
1046
1149
1991
7134
4811
4823
1396
1700
2000
6837
4767
4992
1530
2301
2001
7662
4658
4910
1574
2366
.
Aspetti demografici
Q u a d re lle
S irig n a n o
148
L’Esagono
Interpretazione dei dati relativi al comparto agricolo
(2001) Stima de ll'e s te ns ione (ha) de lle principali coltivazioni arbore e
Comune
Ave lla
Olivo
Albicocco
112
19
Cilie gio
Cas tagno Nocciòlo
(da frutto)
10 ----------
750
Baiano
40 ----------
12
14
216
M ugnano
15 ----------
5
22
270
Quadre lle
48 ---------- ---------- ----------
25
Sirignano
35 ---------- ---------- ----------
42
Spe rone
4 ----------
3 ----------
170
Fonte: Ce.S.A. di Baiano - La tabella è una realizzazione dell'autrice.
L’agricoltura nel territorio del Baianese (cfr. anche la seconda tabella a pag. 144).
Secondo un’intervista rilasciataci dal dott. Nicolangelo De Vita, responsabile
del Ce.S.A. di Baiano: «I dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura (anno 2001),
nei sei Comuni del Baianese, confermano il permanere del fenomeno della
frammentazione e del basso livello della dimensione aziendale, che caratterizza
fortemente –e negativamente- questa zona. Infatti, su 2.284 ettari di SAU (Superficie Agricola Utilizzata), svolgono la loro attività ben 2.142 aziende agricole, con
una dimensione media aziendale di 1,07 ettari. Il 50% circa delle aziende ha una
base fisica inferiore ad un ettaro, mentre solo il 25% è costituito da superficie sino
a due ettari, speso con situazioni di spinta polverizzazione in più corpi. Prevale
nettamente la conduzione diretta del coltivatore, con tendenza al part-time, mentre
sono pressoché scomparse la mezzadria e la colonìa parziaria appoderata. L’ordinamento colturale prevalente è rappresentato dalla coltivazione del nocciolo. In
totale, nel Baianese, sono investiti a noccioleti ben 1.473 ettari, che occupano
circa il 64% della SAU complessiva. Segue la coltivazione dell’olivo con i suoi 254
ettari, quindi il castagno da frutto con 36 ettari, il ciliegio con 22 ettari e l’albicocco con 19 ettari.» Altre specie coltivate di una certa estensione, sono il noce, gli
agrumi e le pomacee (meli e peri). Per una più agevole lettura dei dati si veda la
tabella in alto, con l’avvertenza che i valori indicati sono valori derivati da stime,
cioè ottenuti mettendo insieme le superfici di piccole estensioni (anche di poche
piante). Per il castagno, infine, ci si riferisce ai soli castagneti da frutto, innestati su
selvatico. Non sono considerati i castagneti cedui, usati normalmente per ricavarne legna
da ardere e paletti. (Eventuali incongruenze riscontrate dipendono dalla diversa provenienza dei rilevamenti).
149
Aspetti demografici
Indagine sul campo: la situazione economica e sanitaria
Benedetta Napolitano
Considerazioni finali
Chi ha conoscenze di biologia ha sentito sicuramente parlare di un famoso esperimento
che ci consente di capire alcuni strani aspetti del comportamento umano. Se si mette una rana
prima in un recipiente di acqua fresca e poi in uno di acqua caldissima, si osserva che la rana
-con un balzo repentino- salta subito via. Ma se si riscalda il primo recipiente poco alla volta
la rana non avverte il pericoloso innalzamento della temperatura e finisce per morire lessa.
Metaforicamente, è quello che sta capitando nell’esagono dei sei comuni del
comprensorio Avellano-Baianese.
Una volta, vi erano delle fabbriche (Sud Forge, Vepi Sud), il Liceo Scientifico e il
Poliambulatorio a Mugnano del Cardinale. Avevamo un ambiente a misura d’uomo, ora
distrutto dalla cementificazione a dagli abusi edilizi. Le infrastrutture e la dotazione idrica
non sono più in grado di servire l’accresciuta popolazione. Non ci sono serie occasioni di
lavoro, a parte un incontrollato e ingiustificato proliferare di effimeri negozi.
L’imperativo era quello di valorizzare le nostre risorse gastronomiche, ambientali,
naturalistiche e archeologiche. Oggi esistono anche i mezzi per cimentarsi in questa impresa:
il P.I.T. (Piano Integrato Territoriale), di cui Avella è comune capofila.
Ma i politici hanno messo in evidenza un comportamento che in psicologia (o, meglio,
in psichiatria) viene definito “dissonanza cognitiva”. Ovvero, pur capendo che una cosa è
sbagliata si continua ugualmente a farla.
Come si può incentivare, infatti, la produzione e la realizzazione di prodotti tipici,
biologici, ogm free (nda. non geneticamente modificati) e macrobiotici se, a poca distanza
dall’ipotetico campo coltivato è stata consentita l’installazione di un CDR potenzialmente
pericoloso? Cosa si dovrebbe produre, pubblicizzare e commercializzare: la ricotta al
profumo di discarica? La verdura ai metalli pesanti? Inoltre, pare ormai accertato che la
nostra salute sia già abbastanza compromessa anche senza l’insediamendo del CDR.
Dalle interviste e dalle ricerche effettuate nella fase preliminare alla stesura del presente
libro, sono emersi -infatti- alcuni aspetti veramente inquietanti.
Non disponendo di dati ufficiali, ai quali non è stato possibile accedere, verrà usato
rigorosamente il condizionale. Sembra –comunque- che nel mandamento le neoplasie
(tumori) abbiano un’incidenza molto superiore alla media nazionale. Inoltre, come
precisano (in privato) alcuni medici interpellati su questa importante questione, potendo
avere accesso ai dati non bisogna confondere la causa di morte indicata nel referto medico
(che quasi sempre è un arresto cardio-respiratorio) con la patologia intermedia, vera causa
di morte, che sempre più spesso è una patologia neoplasica.
Qualcuno, sottovoce, suggerisce che la causa sia da ricercarsi nel presunto inquinamento
prodotto dalle tipiche “fabbriche” locali. Altri, ritengono che essa vada ricercata nei pesticidi
usati per decenni nella coltivazione del nocciòlo. Altri, ancora, puntano l’indice contro le
“discariche abusive”: siti più o meno nascosti e più o meno noti (alcuni anche in terreni
privati) dove sarebbero sotterrati rifiuti di ogni tipo (cfr pag. 19). Di certo un più accurato
monitoraggio ambientale non potrebbe che portare dei vantaggi.
Gli Enti locali dovrebbero occuparsi più seriamente di ambiente, sanità, lavoro e
cultura. I cittadini tutti dovrebbero esortare gli amministratori locali intal senso.
Altrimenti faremo tutti quanti la fine della rana.
Considerazioni finali
150
L’Esagono
L’Esagono visto dall’alto
Foto aerea di
Mugnano, Quadrelle
e parte di Sirignano
Bosco di Arciano e, in lontananza, i Monti di Lauro
151
Appendice fotografica
L’Esagono visto dall’alto
Benedetta Napolitano
Monti di Avella, Vallone Serroncello, Sperone, Avella e Baiano
La Valle del Baianese o Conca Avellana
Appendice fotografica
152
L’Esagono
L’arte e le tradizioni
A sinistra. Un quadro del Maestro mugnanese Michele Criscuoli (1881-1911)
A destra. Il Maestro mugnanese Salvatore De Iudicibus, che mostra una sua opera.
Gli artisti sono stati fatti conoscere al grande pubblico durante la manifestazione mugnanese
“Arte sotto le Stelle”, grazie soprattutto all’impegno del prof. Stefano D’Apolito.
Il Maestro Saverio Mercogliano, di Sirignano (a sinistra)
e il Mestro Fernando Masi, di Sperone (a destra)
Filatura della lana col fuso
Famiglia contadina
Baiano. Giugno 2002 - Vesuni in Festa: figuranti di antichi mestieri
153
Appendice fotografica
Il “mandamento” Baianese o comprensorio Avellano-Baianese
Benedetta Napolitano
Piano Territoriale Comprensoriale
Avellano-Baianese
1995. Da uno studio degli architetti Antonio Caruso e Domenico D’Avanzo
Nonostante il suesposto “PTC Avellano-Baianese” sia probabilmente da rivedere, alla luce
dei nuovi strumenti derivanti dalla recente legislazione sulle autonomie locali e dei vincoli
insorti nel frattempo (Parco del Partenio, vincoli idrogeologici), esso testimonia che l’idea e la
necessità di una più forte coesione tra i comuni dell’Esagono e di uno sviluppo sinergico e coordinato dei servizi, sono ormai argomenti che trovano concordi la maggior parte dei tecnici, dei cittadini e degli studiosi locali. Occorre che i politici ne prendano finalmente -e operativamente- atto.
Baianese
Avellino
Appendice fotografica
154
L’Esagono
155
A sinistra. Una delle tante sorgenti dei nostri monti.
A destra. Campo di
Summonte - San Giovanni.
Alcune bellezze nostrane
Appendice fotografica
Sopra. Foto Panoramica
della Piazza Umberto I di
Mugnano del Cardinale
(14 luglio 2002).
Bibliografia
(letture consigliate)
Benedetta Napolitano
BOCCIERO Orazio - VECCHIONE Antonio, “Il Maio di Baiano: la festa, la memoria, la gente...”
CARAVITA Francesco, “Memorie di un uomo inutile”, Mondadori (1981).
COLUCCI Galante, “I Mai del Baianese” (1998).
COLUCCI Pasquale, “Un’oscura pagina del brigantaggio mugnanese” (2000)
COLUCCI Pasquale, “I Mesi e la Zeza di Sirignano. Una tradizione carnevalesca da riscoprire e
salvaguardare” (2000).
COLUCCI Pasquale, “Il Feudo di Litto e Ponte Mignano fra XIII e XIV secolo” (1999).
COLUCCI Pasquale, “Notizie sul “palazzo del principe” di Sirignano” (1999).
Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, “Piano di sviluppo socio-economico” (2001).
CROCE Benedetto, “La Rivoluzione Napoletana del 1799” (1998).
D’ANDREA Domenico, “Mugnano del Cardinale nella Repubblica Napoletana del 1799” (1999).
D’ANNA Ignazio, “Avella illustrata - tomo primo e secondo” (1772).
DE FALCO Enrico, “Baiano. Origine-Sviluppo e Vicende di un Casale di Avella” (1983)
DE MATTEO G., “Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone e i
Savoia” (Guida Editore-NA-2000).
DE ROSA Pellegrino, “Caratteristiche reologiche del salame tipo Napoli ottenuto con
l’impiego di tipi genetici suini autoctoni” (1999).
DE ROSA Pellegrino, “Appunti sciolti: “Città del Baianese o Città di Avella?” (inedito).
IAMALIO Antonio, “Atti della Società Storica del Sannio” (1925-1931).
IAMALIO Antonio, “Su e giù per il Sannio Antico” (1911).
MONTANILE Nicola, “Spaccato di Storia Avellana” (Vol. I,II e III).
NAPOLITANO Benedetta - DE ROSA Pellegrino, “La Città del Baianese” (2000).
NAPOLITANO Luigi, “Memorie archeologiche e storiche di Avella” (1922).
PECORELLI ENZO, “Aforismi e racconti editi ed inediti” (1996).
PICARIELLO Giovanni, “La valle munianense”, (A cura di) (1986).
PICARIELLO Giovanni, “Mugnano del Cardinale nel tempo”, (1993).
PICARIELLO Giovanni, “Appunti per un libro...”, (inediti).
TERRITORIO-AMBIENTE (Avella), “Avella dalle origini al periodo romano”(1996).
156
L’Esagono
Indice
PRESENTAZIONE
3
INTRODUZIONE
4
STORIA E DESTINO COMUNI
7
Paleolitico - Osci - Volsci - Sanniti - Etruschi - Hyria - Novla - Campania Felix Romani - Ville Prediali - Abella romana - Visigoti - Vandali - Turchi - Bizantini Bagliva - Via Regia delle Puglie - Cenobio di San Pietro a Cesarano - Editto di
Saint-Cloud - Epidemie - Brigantaggio - Giacobini e Sanfedisti - Società segrete Il brigantaggio nel Bainese - Emigrazione - Nascita del “mandamento” Circumvesuviana - Fascismo - Gli sfollati - Seconda guerra mondiale - DopoguerraVoto alle donne - Primo sciopero del Baianese - I gruppi musicali - Le radio privateTele Baiano - I giornali locali - Il Baianese oggi - Città del Baianese - Provincia di
Nola - CDR.
AVELLA
21
Origine del nome - La citazione nell’Eneide - Gli insediamenti umani preistorici Il torrente Clanio - Gli antichi popoli - Abella romana - Il Cippus Abellanus L’anfiteatro romano - I mausolei - Il castello medioevale - Il cippo onorario L’acquedotto romano - Il santuario di Ercole - La pipa etrusca - Il vescovato di
Avella - Il Papa di Avella - I beni architettonici - Il folklore (‘O laccio d’ammore
- Il maio - Il fucarone - I battenti) - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerari
naturalistici (risorse ambientali).
BAIANO
42
Origine del nome - Insediamenti preistorici - Invasioni barbariche - Bagliva
- Epidemie - Suicidio delle suore - Affrancamento da Avella - Brigantaggio Circumvesuviana - ‘E Vesuni - Lastricatura del corso - Il miracolo del 1700 Le varie chiese -L’eremo di Gesù e Maria - Sant’Alfonso dei Liguori - Il folklore
(Il maio - ‘E passiate a Montevergine - ‘E messe ‘e notte - Lo spartito di Oi
Stefanì -Le carabine - ‘O fucarone - Battenti - Fontana Vecchia - Festa del vino carri - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).
MUGNANO DEL CARDINALE
Origine del nome - Il castello del Litto - La Villa Caesarana - Ponte Mianum Camillanum - Rione Archi - Pupianum - Il Procaccia - La sosta di San Gennaro 1799: scontro tra Giacobini e Sanfedisti - Il Santuario di Santa Filomena - Maria
Cristina di Savoia - Papa Pio IX - Il post-terremoto - Il salame di Mugnano - Il
folklore: (‘E vattient’ ‘e Santa Filumena - Il maio - ‘O fucarone - Gesù e Maria - Il
presepe - Arte Sotto le Stelle - Il brigante Turri Turri - Scheda riassuntiva (dati
essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).
157
60
QUADRELLE
Benedetta Napolitano
79
Le origini del nome - Le prime citazioni - Da grancia a Comune - Il Giardino
Pagano - I primi “fuochisti” - I primi salumifici - Il folklore (Maio - Vient’ ‘e terra
- ‘O fucarone - Cumanna patrò - Scheda riassuntiva (dati essenziali) - Itinerari
naturalistici (risorse ambientali).
SIRIGNANO
86
Le origini del nome - San Celiesto - I primi riferimenti storici - I Prìncipi di
Sirignano - “Memorie di un uomo inutile” - I coreani - Il folklore (Natale Piccirillo
- Il maio - ‘O fucarone - ‘A zeza - ‘E Misi - I battenti - Scheda riassuntiva (dati
essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).
SPERONE
96
Le origini del nome - Sperone: un quartiere di Avella - Le antiche popolazioni - Il
distacco da Avella - Il museo della civiltà contadina - La Paradina - il PIP - Il
folklore (L’opera di Sant’Elia - Il maio - I battenti) - Spassosi aneddoti - Scheda
riassuntiva (dati essenziali) - Itinerari naturalistici (risorse ambientali).
L’ULTIMO SECOLO
103
L’emigrazione - Il fondamentale ruolo della donna - La dote - Raccolta delle fascine
e del fieno - La frequentazione della montagna - Un “contratto” di un corredo Bachi da seta - Arcolaio - ‘E buatte - Lavori di casa - Culata - Lavoro negli orti L’acconciapiatti - La vita di tutti i giorni - I modi di vestire - ‘A capera - ‘A
vammana - La Pia Ricevitrice - Il corteggiamento - Le condizioni igieniche e i
“rimedi miracolosi” - I cunti e l’occulto - ‘O munaciello
GLI ANTICHI MESTIERI
122
Il carbonaio - La “carcara” - La neviera - Lo sportellaro - Il boscaiolo - ‘O ferraro
- ‘O vuttaro - ‘O funaro
I GIOCHI DI UNA VOLTA
131
Mazza e piùz - ‘O carruocciol’ - ‘O strummul’ - ‘O chirchio - ‘O sciscaro ‘E frecce - Le filastrocche per i bimbi e per i nonni.
L’AMBIENTE NATURALE
134
Formazione della valle - Il torrente Clanio - Le sorgenti - Le formazioni carsiche
- La flora - la fauna - i funghi - il clima
ASPETTI DEMOGRAFICI (e statististici)
141
CONSIDERAZIONI FINALI
APPENDICE FOTOGRAFICA
BIBLIOGRAFIA
150
151
156
158
L’Esagono
Della stessa autrice
«La Città del Baianese»
Una splendida
idea-regalo
Per chi studia
Per chi è all’estero
Per tenersi informati
352 Pagine
214 Foto B/N
85 Foto a colori
Citato in decine
di Tesi di Laurea,
è disponibile presso
le principali Biblioteche
Il libro può essere acquistato presso i negozi del Gruppo De Rosa a Sirignano-AV
«Questo libro, come una pietra miliare, segna il passaggio dal vecchio al nuovo. Lo consiglio a tutti: studenti, insegnanti e tecnici. Un testo di piacevole lettura e ricco di informazioni inedite». (Enzo Pecorelli. Giornalista)
Mugnano. Settembre
2000. Presentazione del
libro “La Città del
Baianese”. Da sinistra:
il dott. Pellegrino De
Rosa; la giornalistapubblicista Benedetta
Napolitano; il Sindaco
di Mugnano, prof. Giovanni Colucci; lo storico locale e scrittore don
Giovanni Picariello; il
giornalista
Enzo
Pecorelli.
Sirignano. Marzo 2002. Convegno sulle prospettive della
Città del Baianese. Da sinistra:
il Sindaco di Avella, dott. Salvatore Guerriero; il politico
speronese dott. Franco Vittoria; il Presidente della Comunità Montana “Vallo di Lauro
e Baianese”, prof. Salvatore
Isola; il Sindaco di Sirignano,
prof. Antonio Napolitano; i
due autori, insieme al piccolo
Antonio De Rosa.
Numerose altre foto del Baianese saranno
inserite in futuro sul Portale Internet
http://www.tuttobaianese.it
159
Benedetta Napolitano
Finito di stampare
nel mese di settembre 2002
dalla litotipografia Artemis
Casalnuovo - Napoli
Tel. 0818426000
Web Video Engineering del dott. Pellegrino De Rosa
Via G. Fiordelisi, 38 - 83020 - Sirignano-AV
160
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