SPETTACOLI
L’ECO DI BERGAMO
LUNEDÌ 13 OTTOBRE 2008
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«I Puritani», il soprano star della serata
La voce elegante dell’australiana Jessica Pratt ha caratterizzato tutte le tre ore di spettacolo: qualche fischio ingeneroso
Plauso prevalente sui dissensi per il ritorno dell’opera di Bellini al Donizetti dopo oltre trent’anni. Replica domani
■ Che sia stato per contagio dell’argomento messo in scena o altro, fatto sta che I Puritani visti ieri sera a Bergamo, dopo oltre trent’anni di assenza dal teatro Donizetti (l’ultima volta nel 1977), si
sono caratterizzati per le divisioni tra il pubblico.
Applausi e dissensi hanno contrassegnato un po’
tutto il percorso dell’ultimo capolavoro belliniano, che domani sera (alle 20,30) sarà replicato per
il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti.
Intendiamoci, il plauso e anche gli entusiasmi
sono stati prevalenti sui dissensi – ma una parte
degli spettatori non ha mancato di far sentire pesantemente (anche in modo greve) il suo scontento. Alla fine anche la star della serata, il soprano
australiano Jessica Pratt, non è riuscita ad evitare
qualche, sinceramente ingeneroso, fischio isolato. Eppure proprio lei, l’eroina romantica che Bellini porta dalla gioia alla follia e poi viceversa, ha
caratterizzato tutte le tre ore abbondanti di spettacolo. Voce elegante, colore molto bello e limpido, acuti sempre facili (abbiamo contato almeno
una mezza dozzina di mi bemolle sovracuti), agilità cristalline e ineccepibili, fraseggio scorrevole e mai forzato. E per giunta, cosa che non guasta, una bella presenza scenica. Insomma, una primadonna con le carte in regola per svolgere l’impervia parte.
Per altro ardue sono tutte le prime parti de I Puritani. E chi in effetti ha dimostrato di non reggere il ruolo è stato proprio il suo amato Arturo, alias
il tenore Giorgio Casciarri. Anche in questo caso la parte è di quelle che fan tremare i polsi: Casciarri – che è arrivato in corso d’opera meno di
una settimana fa per sostituire il collega designato, il sudcoreano Ji Miung Hoon – ha in sua dote gli acuti che brillano anche nella sua parte. Ma
il timbro chiaro della sua voce gioca molto su aggressività e forza, cosicché più di una volta ci sono stati cambi di colore bruschi e fraseggi poco aggraziati, non in linea con quello che
Il tenore Giorgio
dovrebbe esser un belcanto
Casciarri, dopo
suadente. Dopo alcuni inalcuni inciampi
ciampi verso la fine del I atto,
verso la fine del I Casciarri si è ripreso ammirevolmente nel III atto (nel seatto, si è ripreso
condo Arturo non compare),
ammirevolmente gestendo al meglio le sue risorse e limitando le pecche.
nel III. Bene il
Si sono mossi complessivabaritono Accurso mente bene gli altri due, il baritono Roberto Accurso, nei
e il basso Iori
panni di Riccardo, antagonista di Arturo: voce omogenea
ed elegante, timbro pastoso, ha proposto un fraseggio arioso e ben gestito. E poi il basso Enrico
Giuseppe Iori, nei panni di Giorgio Valton, all’inizio un po’ freddo, poi via via capace di coniugare fraseggi rotondi e credibile veemenza. Entrambi hanno trovato un plauso sostanziale da
parte degli spettatori. Buona la prova del secondo soprano Annalisa Carbonara, Enrichetta espressiva, e coerenti i contributi delle altre parti. Complessivamente discreta la parte del coro del Festival, preparato dal Fabio Tartari, e dell’orchestra –
una buona prova pur con alcuna distrazione – che
il direttore Marcello Rota ha guidato con puntualità ed energia ritmica. Anche a lui non sono mancati i fischi, probabilmente per un limite – qua e
là emerso – nel dosare le sonorità: a volte l’orchestra sovrastava il coro e anche il palcoscenico nell’insieme. Ma complessivamente si è trattato di
una guida di buon livello. E curiosamente qualche fischio è arrivato anche al regista Paolo Panizza. Curiosamente perché Panizza ha puntato, in
modo inequivocabile, su una regia tradizionale,
se non tradizionalista. Ed è noto come i melomani siano fondamentalmente legati alle tradizioni:
se contestano la regia è se mai per le novità. Panizza ha seguito molto fedelmente le indicazioni
di libretto, scegliendo un’Inghilterra gotica dai
paesaggi indubbiamente affascinanti. Forse qualcuno si sarà chiesto il significato dei rami spogli
su sfondo viola nel secondo atto, nel cuore della follia di Elvira, oppure la sua danza fuor di senno in fondo alla scena sulle note del preludio. Ma
è indubitabile che nella strada scelta Panizza abbia fatto le cose con cura e per bene: tutti si muovevano con cognizione e con pertinenza, anche
nelle scene di massa la vivacità appagava indubbiamente l’occhio, con un corredo di costumi (di
Simona Morresi) indubbiamente eleganti.
Bernardino Zappa
IIIII AL CONCA VERDE
L’omaggio a Olmi
Torna il primo film
Ultimo appuntamento questa sera (ore 21) con i film
per l’«Omaggio a Ermanno
Olmi» al cinema Conca Verde, un’iniziativa nata in coincidenza con l’assegnazione
al regista bergamasco del
Leone d’oro alla carriera a
Venezia. Sarà riproposto, a
grande richiesta, «Il tempo
si è fermato», già presentato il 16 settembre scorso. Girato da Olmi nel 1960, durante l’inverno, presso una
grande diga vicino all’Adamello, il film racconta le vicende quotidiane dei due
guardiani, uno anziano (Natale Rossi) l’altro giovanissimo (Roberto Seveso). I rapporti tra i due sono in principio caratterizzati da un
certo imbarazzo, anche per
via dell’età, ma a poco a poco troveranno un modus vivendi. È il primo lungometraggio di Olmi che, prima,
aveva girato una serie di documentari per la Edisonvolta, la società per la quale lavorava. È un racconto di
comportamenti, di impressioni, di sensazioni, e di emozioni (ad alta quota). Ingresso promozionale euro 3,50.
STAGIONE LIRICA Il soprano Jessica Pratt e il tenore Giorgio Casciarri (foto Rossetti)
«Doccia», l’orrore
Elena Vittoria nel disco per Amnesty dei campi nazisti
La giovane cantautrice bergamasca unica esordiente nella compilation
■ La giovane cantautrice bergamasca Elena Vittoria, già
vincitrice della XI edizione di
«Voci per la Libertà - Una canzone per Amnesty» lo scorso
luglio, sarà l’unica esordiente
inserita nella compilation di
Amnesty, 17x60, in uscita il
prossimo 31 ottobre, prodotta
e distribuita da Cni Music. La
raccolta conterrà una selezione di sedici brani firmati da
altrettanti big (Daniele Silvestri, Ivano Fossati, Modena
City Ramblers, Paola Turci,
Samuele Bersani, Sud Sound
System, Eugenio Bennato,
Niccolò Fabi, Mariella Nava,
Gianmaria Testa, Giorgio Canali, Enzo Avitabile, Antonella Ruggiero, Subsonica, Jovanotti, Max Gazzé) e raccolti da
Amnesty International in occasione del 60° anniversario
per la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il 10
dicembre 1948 l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite
proclamava trenta articoli che
riconoscono ad ogni persona
il diritto di vivere, la libertà
di movimento, di pensiero, di
culto, di opinione, di associazione. La Sezione italiana di
Amnesty International ha pensato di celebrare questo anniversario con una raccolta di
brani a tema sociale e umani-
La giovane cantautrice
bergamasca Elena Vittoria
tario, firmati negli ultimi quattro anni da diciassette artisti
italiani di grande fama e prestigio. Tra le canzoni contenute nel disco spicca Peacock,
piccola gemma folk rock che
Elena Vittoria dedica alla figura di Aung San Suu Kyi,
donna simbolo dell’opposizione democratica al regime militare in Myanmar e premio
Nobel per la pace nel 1991. La
cantante descrive la propria
composizione come «una poe-
sia surreale, nata dagli eventi occorsi in Myanmar lo scorso inverno e filtrati attraverso
la mia vena onirica. Spicca la
figura femminile di Aung San
Suu Kyi, che incarna il mantra e l’amore, gioiello di cui
parla la mia Peacock».
La partecipazione a questa
importante uscita discografica rappresenta un ulteriore
passo in avanti ed una conferma del talento di Elena Vittoria – classe 1980, laureata al-
l’Accadema di Belle Arti
«Giacomo Carrara» – che ha
esordito nel 2005 con l’album
intitolato Trip, contenente
dieci pezzi originali in lingua
inglese ispirati alle atmosfere dark, rock e folk. Segue
un’intensa attività live, come
supporter di gruppi storici
nazionali e internazionali, fra
cui Modena City Ramblers e
Fairport Convention, la vittoria del concorso Nuovi Suoni Live a Bergamo e la selezione (nel 2008) per i più prestigiosi festival del Nord Italia: ItaliaWave, Heineken
Jamming Festival Contest,
Senza Etichetta (presidente
di giuria Mogol), Premio Janis Joplin - Just like a woman.
Storia recente è il primo
posto a «Voci per la Libertà
2008» e al «Cornetto Free
Music Audition 2008», con
la conseguente apertura del
concerto di Zucchero al Velodromo di Palermo. Attualmente Elena Vittoria è impegnata sia in un programma di
concerti dal vivo, che la vedono protagonista alla chitarra e al pianoforte (anche accompagnata da una band), sia
nell’arrangiamento e produzione di un nuovo album in
italiano.
Fabio Rapizza
Il trio di Mirabassi applaudito ospite «alternativo» alla Greppi
Se jazz e classica sono in armonia
■ Curioso davvero il clarinettista
Gabriele Mirabassi. Ospite «alternativo» con il suo Trio – gli eccellenti Paolo Alfonsi alla chitarra e
Salvatore Maiore al contrabbasso
– ai Concerti d’Autunno in Sala
Greppi, Mirabassi, che già aveva
espresso il concetto in una intervista al nostro quotidiano, ha ribadito il concetto agli astanti. Il jazz
è un mondo che offre possibilità e
flessibilità non consentite alla musica «classica». Da un punto di vista materiale è vero, ma oggi tutti
sanno che i «mostri sacri», da Mozart a Beethoven, erano eccellenti
improvvisatori – si pensi ad esempio alle cadenze dei concerti pianistici – e che tale pratica era naturale ben prima dell’avvento della musica afroamericana, che è un
vero e proprio genere con caratteristiche definite.
Ma al di là di questioni di questo genere, è stata la proposta stes-
sa di Mirabassi a proporre indicazioni davvero originali e, se possibile, abbastanza divergenti dal
mondo del jazz in senso stretto. La
sequenza di brani del progetto
«Canto d’ebano» aveva tutta la
morbida cantabilità e la soffusa
persuasione di brani cantautorali,
poco inclini al più noto linguaggio armonico afroamericano. Del
resto, tutti e tre i musicisti sul palco della Greppi hanno una formazione schiettamente «classica», accademica. Spesso affiorano anime
nostalgiche, toni lenti e suadenti, sospesi in mezzetinte impalpabili. Musica che a volte parla di
jazz, ma sempre a mezza via con
altri percorsi. Certo non c’è l’ambizione della grande architettura, vedi la «classica», ma le stesse
valenze cameristiche e narrative
si trovano pari pari in tante musiche che ben potrebbero dirsi
tali.
La cosa che più colpisce, sorretta dall’infallibile sintonia e dall’affiatamento pressoché istintivo, è
il colore del suono.
Sì, c’era l’amplificazione, capace soprattutto di calibrare al livello degli altri due le sonorità della
chitarra, ma era davvero così ben
gestita che a fatica se ne percepiva la presenza: e il suono viaggiava pieno e avvolgente. Quello del
clarinetto su tutti: un colore morbidissimo ed elastico, ricco di armonici e pastoso, mai aggressivo
o percussivo. Insomma un suono
ideale per il repertorio classico, per
l’ultimo Brahms piuttosto che per
l’inarrivabile Concerto di Mozart.
Curioso allora rimarcare tanto le
differenze tra jazz e suddetta classica. Noi, se mai, abbiamo trovato,
felicemente, molti punti comuni,
condividendo il plauso del numeroso pubblico della Greppi.
B. Z.
Gabriele Mirabassi e Salvatore Maiore
in Sala Greppi per i Concerti d’Autunno
■ «Mai dimenticherò quella notte, la prima
notte nel campo, che ha fatto della mia vita
una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai
dimenticherò quel fumo. (…) Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a
vivere quanto Dio stesso». Questa citazione da
La notte di Elie Wiesel, insieme ad altri brevi testi di Primo Levi, dello storico dell’arte
Sandro Scarrocchia e dai libri biblici di Naum
e di Gioele, ricorre in Brausebad («Doccia»),
rappresentato giovedì e venerdì sera all’ex
scuola elementare Manzoni di via Cantù, al
Villaggio degli Sposi.
Ispirato al ciclo dell’artista Maurizio Bonfanti Brausebad: cinque porte in memoria della Shoah, lo spettacolo ha concluso il corso di
primo livello condotto da Pierluigi Castelli e
Samuele Farina di Àrhat Teatro: in questa occasione i dieci giovani attori del corso (nove
ragazze e un ragazzo) hanno evocato sulla scena l’abominio dei campi di sterminio nazisti, in cui, all’esterno delle camere a gas, compariva appunto la rassicurante quanto ingannevole scritta «docce». Opportunamente, considerati i tempi della rappresentazione,
il regista Castelli ha
scelto di non procedere in chiave narrativa o «storica», privilegiando invece
un aspetto peculiare
della Shoah, ovvero
il sistematico annullamento della personalità dei detenuti
nei Lager.
«Brausebad»
Questa dimensione è stata resa mediante i corpi degli attori, con una gestualità
a tratti frenetica e brutale, a tratti quasi bloccata, a richiamare – secondo la lezione di
Theodor W. Adorno e Imre Kertész – l’impossibilità di narrare secondo le categorie dell’umanesimo tradizionale l’orrore del genocidio.
Brausebad (che sarà ancora rappresentato
nel mese di novembre alla presenza di Hanna
Kugler Weiss, superstite di Auschwitz) costituiva in effetti lo spettacolo inaugurale di
«Essenze», una rassegna «fra teatro e musica»
proposta da Àrhat Teatro al pubblico di Bergamo: l’altra sera, dopo un concerto polistrumentale di Alessandro Verrecchia vi è stata la
prima assoluta nella nostra città di Fiori, studio/rapsodia drammatica ispirata a Les fleurs
du mal di Baudelaire e interpretata da Samuele Farina. Questo «studio», già presentato in
Italia e in Francia, ha ricevuto in occasione
della rassegna del teatro di strada «Mercantia» dello scorso luglio una lusinghiera recensione dal quotidiano La Nazione, che l’ha incluso tra i quattro migliori eventi sui duecento complessivi del festival. Ieri sera, infine, all’ex scuola elementare Manzoni, conferenza
sul tema «Di segni e di emozioni. La danza del
teatro e dello spettatore», con interventi di
Walter Fornasa (docente di Psicologia dello
sviluppo all’Università di Bergamo) e Roberto Pellerey (docente di Semiotica all’Università di Genova); è seguita un’ulteriore rappresentazione di Fiori.
Giulio Brotti
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