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ULTURA
OMMESTIBILE
IL NUOVO
corriere
“
I popoli si dilettano
dello spettacolo;
grazie ad esso
li teniamo mente e cuore
Luigi XIV
GALLERIE&PLATEE 70
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N.28
a Cura di SARA CHIARELLO
ALDO FRANGIONI
ROSACLELIA GANZERLI
SIMONE SILIANI
MICHELE MORROCCHI
Progetto grafico EMILIANO BACCI
[email protected]
[email protected]
a cura di Aldo Frangioni
[email protected]
el centenario della nascita di
Renato Guttuso (Bagheria,
1911 – Roma, 1987), Serravezza rende omaggio al pittore con la
mostra “Guttuso e gli amici di Corrente” mostra aperta fino all’11 settembre 2011 nel Palazzo Mediceo
organizzata dalla Fondazione Terre
Medicee e dal Comune di Seravezza.
Settanta dipinti e opere grafiche provenienti tutte da collezioni private in
maggioranza di Guttuso, dagli anni
‘40 agli anni ‘80. Insieme ai lavori del
grande pittore siciliano ci sono quelle
degli artisti di “Corrente” (Treccani,
Birolli, Sassu, Migneco, Morlotti, Vedova).
La figura dell’artista è stata riletta
partendo da alcuni documenti finora
inediti. Si tratta delle lettere che Guttuso scrisse a Berenson e a Longhi tra
gli anni ‘40 e ‘60. I rapporti tra Guttuso, Berenson e Longhi, noti , ma relegati ad un ruolo del tutto marginale
anche da Enrico Crispolti che di Guttuso è il maggior studioso. L’ideazione
e l’organizzazione tecnica della mostra è merito di Enrico Dei , per conto
dell’Amministrazione Comunale di
Seravezza e la Fondazione Terre Medicee. A Mauro Pratesi, presidente
della Fondazione, si deve l’attenta ricerca e il testo pubblicato nel catalogo,
dal quale abbiamo stralciato dei brevissimi brani riferiti al rapporto Guttuso-Berenson
N
di Mauro Pratesi
Quando sia iniziato il rapporto [con
Bernard Berenson] non è possibile
conoscere con esattezza: volendo
risalire ad una data precisa, la prima
missiva di Guttuso reca la data 30
aprile 1948, in una cartolina di saluti spedita da Varsavia distrutta
dalla guerra, firmata anche da Luigi
Einaudi...
Dopo appena un mese, con precisione in data 27 maggio 1948, Guttuso invia una lettera a Berenson,
seppure con la formula rispettosa di
apertura “Egregio Prof. Berenson”.
Quella lettera è comunque segno
tangibile di un rapporto ormai concretizzato tra i due, laddove l’artista
ringrazia lo studioso per le “gentili
parole”, ma soprattutto per averlo
“permesso di incontrarla” e di “farlo
ancora”: “non passerò mai da Firenze senza procurarmi la gioia (e
la ricchezza) di poterla salutare”.
Sono parole che denotano non
certo la volontà di un rapporto occasionale o interessato del pittore
con una delle personalità più prestigiose del panorama internazionale
del tempo...
L’incontro tra i due avviene [...] a
Venezia nell’occasione della Biennale del 1948, come aveva scritto
Guttuso e come testimonia la foto
Guttuso e Berenson
insieme a Venezia
e a Fiesole
A cento anni dalla nascita
Seravezza ricorda
il pittore siciliano
LE SORELLE MARX
L’ottava arte (italiana):
lo sgravio fiscale
1
3 luglio 2011, vigilia della ricorrenza della presa della Bastiglia.
Gli assessori regionali Scaletti e Nencini convocano una storica
conferenza stampa durante la quale annunciano la predisposizione di una legge per
poter fare volontarie dazioni di denaro per attività culturali in cambio di uno sconto
sull'Irap (la fastidiosa tassa che a Prato, scrive Edoardo Nesi, chiamano Iraq per le
sue nefande conseguenze sulla piccola industria). I famosi feedback su questa clamorosa
e lodevole legge regionale non si sono fatti sentire in nessun luogo. Di più, pur interessandocene, per pagare meno tasse, a favore della nostra Impresa Marx Sisters, che produce “intimo materialista”, non siamo stati in grado di leggere una bozza, un appunto,
un pizzino qualunque per capire come si fa, donando alla cultura, a risparmiar gabelle.
Il silenzio del mondo intellettuale e degli addetti è clamoroso. Ma si rendono conto teatranti, cineasti, archivisti, museologi, mostraioli etc. etc. che se sopravvivono fino al 2013,
dalla Regione può venir fuori un tesoro? Il Da Empoli e la Colombo, alla prese con gli
esuberi del Comunale avranno capito la splendida occasione? Nel frattempo se Riccardo e la Cristina pubblicano qualcosa: il modulo per fare la domanda, i requisiti
per partecipare alla lotteria ed altre informazioni, noi pensiamo ad accantonare denaro
per poter usufruire dell'occasione.
inedita che qui si pubblica.
Indubbiamente il rapporto che
viene ad instaurarsi tra Guttuso e
Berenson, come si evince dalle lettere dell’artista, è molto sincero e
forte, complementare oltre che
contemporaneo a quello con Longhi. [...] Appunto Longhi, nel presentare la mostra di disegni di
Guttuso presso la galleria fiorentina
“Il Fiore” nel marzo 1959, si chiede
“se la simpatia che il nestore Berenson ha sempre dichiarato per Guttuso non si spieghi dal fatto che,
proprio nei disegni, Guttuso sembra illustrare ancora una volta l’antico (1896) berensoniano principio
delle ideated sensations of movement”
********
[Sylvia Sprigge...]la prima biografa
ufficiale di Berenson, assidua ospite
e frequentatrice dei Tatti, [nella]
Berenson a Biography pubblicata a
Londra nel 1960 [...] si legge: “
Aveva un debole per Renato Guttuso, il pittore, e per lo storico dell’arte di Siena conte Ranuccio
Bianchi Bandinelli, entrambi
Compagni a pieno titolo” ritenuti,
però, “politicamente irresponsabili”. Anche nella successiva, pur discussa Biografia critica di B. B.
curata da Meryle Secrest, si fa
cenno a Guttuso indicandolo
come uno tra i molti frequentatori
dei Tatti, proprio tra l’estate del
1948, la primavera del 1949 e
quella del 1950, insieme ai nomi
più disparati e illustri, da W.H.
Auden, a Stephen Spender, da
Henry Moore, Jacqueline Kennedy, Alberto Moravia, fino, appunto, a Guttuso. A confermare
questo forte legame non occasionale di Guttuso con Berenson e
con il suo entourage è la scrittrice e
giornalista Clotilde Marghieri, [...]
viva presenza per circa trent’anni
nella vita di Berenson, la quale in
una lettera datata 28 giugno 1952
comunica all’ “amatissimo Bibi” di
avere messo a completa disposizione dell’artista la sua villa di
Torre del Greco”. E significativamente nello stesso 1952 Guttuso fa
dono a Berenson, con tanto di dedica, di una sua opera intitolata
Colloquio nel bosco. Anche Guttuso, già prima di questo dono, era
ormai passato alla forma del “
caro/carissimo Bibi” [e] non esita
a dichiararsi con infinita e disarmante sincerità “io sono comunista” (pur sapendo che B.B. non lo
era, anche se li accomunava il comune anti-fascismo). [...] A tale riguardo Berenson nei suoi diari non
esita a scrivere che Guttuso, pur essendo “membro attivo del partito
comunista”, era: “ persona colta e
anche umanista” [...] e nei suoi desideri, era quello di volerlo redimere dall’ideologia comunista nel
convincerlo dell’alto “valore della
produzione borghese” così come
era convinto l’eminente studioso.
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
2
LEGGERE LA CITTÀ
di Gaetano di Benedetto
e parti della città di formazione più recente sono
quasi sempre il risultato di
un processo decisionale esitante
e contraddittorio, che avrebbe
potuto dar luogo ad esiti molto
diversi. Le periferie, insomma,
sono le parti in cui la città si mostra con maggiore evidenza un’
“opera aperta”, secondo la fortunata locuzione di Umberto Eco,
felicemente sviluppata da Calvino nel suo famoso libro del
1979.
Prendiamo il caso dell’Isolotto.
L’osservatore disinformato potrebbe concludere che poche
altre periferie italiane mostrano
una così felice riuscita di un unico
programma fondativo, strenuamente voluto e attuato senza ripensamenti e in un tempo
brevissimo da un unico vero
committente (Giorgio La Pira),
privo di alterazioni successive di
qualsiasi livello, anzi benedetto
da un felicissimo sviluppo delle
due componenti che meno si
possono controllare in fase previsionale: l’apparato vegetazionale
(oggi l’Isolotto è davvero una
“città giardino”) e soprattutto il
corpo sociale (questa è la periferia fiorentina che prima di ogni
altra è diventata un quartiere
della città, con propria identità,
propria coesione, propria capacità di iniziativa, e ormai propria
storia e propria cultura).
Apparentemente una formazione
monolitica. Ma anche nel caso
dell’Isolotto, ciò che oggi abitiamo o frequentiamo è il frutto
di un’indecisione.
Nel febbraio 1865, quando Firenze è designata capitale del
Regno, Giuseppe Poggi elabora
un primo progetto di ampliamento della città. In questo progetto, carico di scelte lungimiranti
e coraggiose, il Campo di Marte,
una spianata di quaranta ettari
“per le evoluzioni militari, circondato da viali alberati per le carrozze e fronteggiato da una gran
Caserma per l’Artiglieria, Cavalleria ed Infanteria”, non era posto
al piede della collina fiesolana,
dove siamo abituati a saperlo collocato, ma proprio nel luogo dove
ottantanove anni più tardi sarebbe stata inaugurata la “città satellite” dell’Isolotto.
Possiamo intuire le ragioni progettuali che ispirarono al Poggi
questa soluzione: sposare la
nuova grande attrezzatura con le
Cascine, il maggior parco esistente in città, raddoppiandone
quasi la superficie; estendere al
nuovo spazio urbano il prestigio
promanante della residenza ex
granducale affacciata sulla riva
opposta dell’Arno; assicurargli
una possibilità di sviluppo non limitata da barriere di alcun genere.
L’ipotesi fu coltivata per pochi
L
Se l’Isolotto
fosse nato
a Campo
di Marte
mesi soltanto; il definitivo piano
del Poggi (novembre 1865) conteneva già la localizzazione “giusta” del Campo di Marte, e la
sponda sinistra del fiume rimase
esclusa dall’evoluzione urbana
per quasi un secolo.
Ma saremmo colti dalle vertigini
se provassimo a immaginare quali
avrebbero potuto essere gli sviluppi di questa parte di territorio
Sopra copertina del discorso pronunciato da Giorgio La Pira per la consegna delle
prime case dell’Isolotto (1954)”
Sotto il Campo di Marte all’Isolotto, particolare del primo progetto di Giuseppe
Poggi per l’ampliamento di Firenze Capitale, febbraio 1865”
In alto via dei Ligustri all’Isolotto ( foto
Elena Dal Monte). A fianco a destra Campo
di Marte: una strada “canocchiale” sulla
collina di Fiesole ( foto A.Frangioni)
se quella scelta non fosse stata abbandonata. La realizzazione qui
del Campo di Marte avrebbe anticipato di quasi un secolo lo sviluppo della città verso ovest, cioè
in condizioni spaziali, infrastrutturali, sociali assai meno asfittiche; avrebbe posto le premesse
per quel bilanciamento funzionale tra le due rive dell’Arno che
soltanto negli ultimi venti anni si
è cominciato a instaurare;
avrebbe permesso, in un tempo
successivo, di convertire l’attrezzatura militare in attrezzature
sportive in condizioni di accessibilità decisamente più felici. E potremmo continuare. E l’Isolotto?
Forse sarebbe sorto al piede della
collina fiesolana.
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
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VUOTI&PIENI
di Carlo Cuppini*
atrimonio, memoria, macerie,
celebriamo il matrimonio
mondiale dell’umanità, tutelato dall’Unesco, 800 meraviglie del
mondo a portata di mano, in mancanza di equità confidiamo nei voli
low-cost, potremo andare comunque a Petra nel weekend, postiamo
le foto su Facebook, dài tagghiamoci
un po’.Patrimemoria, matrimonumenti, toponomastica viaria. Militi
ignoti, parchi di rimembranze rimembranti il rimembrare – ma non
il suo oggetto. Memoria di vittoria,
di trattati, di stermini, di odio. Patrimodio, da tramandare per non scordare di sparare, perché è così si fa. Le
divisioni restino tali, la Divisione
della Gioia, perbacco, Auschwitz,
treni merci, mosaico balcanico con
tasselli minati, Muro di Berlino, Palestina, fratelli a tempo determinato,
frontiere tumorali, crescita incontrollata degli stati, Sudan Sudsudan
Sudsudsudan Padàn.
Monumento celebrativo, commemorativo, con piccione incorporato.
Memoria nella polis perdura finché
fa litigare. Wojtyla a Termini in
bronzo è campato tre mesi: oggi tra
i turisti c’è chi lo scambia per il Duce.
Comunque è controllato da due telecamere, che il barbone non ci vada
nell’incavo a soggiornare. Statuaria
cittadina non rivolta a poveracci;
beati i privi di memoria: la pioggia
acida non li corroderà.
Rinnegati i padri, noi, saccheggiate le
eredità, ci siamo fatti padri a lunga
conservazione, garantiti per 7000
anni, fin quando le ultime scorie nucleari si saranno spente, e i discen-
P
Patrimonio,
memorie e macerie
denti potranno finalmente obliarci,
e smetteremo di essere totem di una
passata civiltà, monumenti a perdere
di un’archeologia tossica, e avremo
finito di scontare la colpa di aver divorato il destino dei figli, per azionare i nostri luna-park, e torneremo
tabula rasa, pulviscolo cosmico immemorabile, e dimenticheranno i
nostri cognomi, e in pace concime-
remo gli orti degli alieni. Facciata di
San LoRenzi, Santa Maria del Fiore
e pure Santa Croce, insieme a una
dozzina di David posteriori: smontare il tutto e rimontarlo più in là, su
una collina del Chiantishire, portarci
i turisti a 10 euro, luogo ideale per
fare fotografie – e un attentato, virtuale – vero parco del Rinascimento
unilaterale.Infine frugare tra le bra-
*Carlo Cuppini ha partecipato, insieme a Carmen Andriani, Elena Pirazzoli, Stefano Catucci e Richard Ingersoll all'incontro dedicato al termine “Patrimonio”, parte del programma Pensare Spazi Contemporanei,
in corso alle Murate e a EX3 fino al prossimo 14 dicembre e dedicato
alla discussione di argomenti di cultura urbana. Il programma, curato da
SPIRITI DI MATERIA
Per chi ami la poesia, i nomi di Luciano Erba, Giovanni Raboni, Clemente Rebora, Vittorio Sereni e poi
Giorgio Gaber, Enzo Iannacci, Roberto Vecchioni, richiamano alla
mente una Lombardia cólta, europea, non chiusa in un perimetro etnico.
E in anni non lontanissimi la parola
“padana” faceva pensare solo ad
una”pianura” per la quale Attilio
Bertolucci cantava “Le gaggie della
mia fanciullezza/dalle fresche foglie
che suonano in bocca.”, e Corrado
Govoni coglieva la luce/ombra del
crepuscolo sul Po “Dove il fiume fa
un ansa e il sole cuoce/sopra gli
spini l’oro dei ramarri/è dolce quel
tremare dell’acqua buia…”
Questo il nord, un mito da visitare,
nel suo sfumato di nebbia, di terra e
di cielo e nelle sue geometrie di
città futura, vivificato dal mito mediterraneo di Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Leonardo
Sinisgalli, Raffaele Carrieri, Rocco
Scotellaro che lo sradicamento rendeva anche più sinergico, come ci
ricorda Quasimodo nella sua famosa “Lettera alla madre”.
Tuttavia erano anche anni nei quali
un oscuro personaggio, infiltrato
nei salotti letterari fingendosi poeta
dialettale per uscire dall’anonimato,
si preparava, come il tarlo, a distruggere tutto ciò e a esprimere
poi, col ”celodurismo” del dito
medio, lo “spirito” di un nuovo
stato, la Padania, chiuso in se stesso
come un feudo medievale.
Anche se la parola padania è solo
una parola (un nome simile a
quello degli staterelli da operetta
dei film di Stanlio e Ollio), magari
si potrebbe usare in risposta per la
frase “vai in Padania”, come dire
“vai a quel paese”.
Come toscano di adozione, noi abbiamo avuto un poeta e storico
dell’arte, Dino Carlesi, scomparso a
Pontedera lo scorso anno, che può
essere preso a modello della naturale apertura.
Nato a Milano nel 1919, nella sua
lunga vita ha fatto opera di promozione dell’arte del Novecento
quando ancora non era stata ufficializzata.
Ricordo le Biennali da lui organizzate a Pontedera dove, con spirito
lungimirante, evidenziava artisti e
movimenti in tempo reale come,
per dire, il neonaturalismo patrocinato da Francesco Arcangeli.
E non amava le faide municipali.
Quando Quasimodo vinse il premio Nobel e i poeti ermetici fiorentini, per contrasto, negarono al
ghe del padre, piene di escrementi
da mondare, per accorgersi che
avremmo avuto tante cose da dire,
se solo non fossimo nati Qui Quo e
Qua, abitanti di un mondo di zii di
amici di “mi piace” e di varia umanità, senza traccia di padre né madre,
senza passaggi di età.
[email protected]
[email protected]
Marco Brizzi, è promosso da Image e realizzato in collaborazione con il
Comune di Firenze, la Fondazione Professione Architetto e EX3. Le immagini pubblicate in questa pagina sono relative al video Sukkah (2001),
di Francisca Benitez, nel quale si documenta la città effimera che si realizza
a Brooklyn, New York, durante la commemorazione dell'Esodo.
di Franco Manescalchi
Dino Carlesi:
la memoria del Nord
“geometra” che aveva ricevuto un
così alto riconoscimento l’accesso
ai propri salotti, fu Dino
Carlesi ad accoglierlo nella
sua “terra di litorale”, come
narra in una sua poesia. A
Salvatore Quasimodo:
“Dopo Stoccolma/tu Giacomo ed io/guardavamo il
mare di Calafuria…”
Inoltre Carlesi pubblicava e inviava agli amici, come augurio di
buon anno, un libretto di poesia
e prosa a bassa tiratura a cui abbinava l’opera grafica di un artista .
Io, questi libretti li ho conservati
sia perché rappresentano una rarità
bibliografica, ma soprattutto come
prezioso ricordo di Carlesi, a cui
ero legato da grande amicizia.
La sua scrittura era caratterizzata da
uno stile in cui erano compresi dialogo ed elegia, intelligenza ed emozione, tipico della linea lombarda.
Egli sapeva che non si ha realtà
senza poesia, un esempio questi versi per la sua amata Pisa:
“La piazza dei Miracoli
vera/è quella di Viviani/l’altra è falsa:/è senza cani./Il
Battistero d’alabastro/una
mattina/gli fiorì dalle
mani.”
Fra i suoi testi, scelgo qui
non a caso Il nord racconta dove il poeta propone la Milano della sua
prima infanzia: “la memoria del nord”, con i
toni teneri che ricordano inoltre da vicino il
gusto impressionistico di Bertolucci e Govoni, e che conclude con
A destra Dino Carlesi un’immagine universale: “soltanto
con Mario Luzi
speranze/sul volto mite di mio
Sopra Incisione di
padre”.
Anna Sanesi per il
[email protected]
Quaderno n° 9
[email protected]
IL NORD RACCONTA
Il nord racconta piano alla vecchia memoria
perfino i tetti, le strade di Milano
sulla neve orme che sanno
i sentieri dei portoni,
scie calde di passanti
con storie di fiato narrate
alla luce dei lampioni.
Il nord ha scritto da tempo sere di silenzi
e fulmini e stupori,
gli occhi perduti nell’ansia delle vetrine
delle folle dei gridi delle sirene.
Morivano case e lamenti
sui canali di periferia, col vecchio cappotto,
il treno, un treno verde di latta.
Memoria di ruggiti
di circo di pennacchi da ragazzo,
di attese del pesce rosso
che ci salutasse in superficie: soltanto speranze
sul volto mite di mio padre.
Da Impronte digitali, Scheiwiller, Milano, 1981
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
SCENA RETROSCENA
di Simone Siliani
LETTRA Che preghiera, la
mia, agli dèi! Sarà religiosa?
CORO Di compensare chi ti
odia col male? Dubiti?
ELETTRA: Contro gli altri, i nemici,
io dico: che sorga il tuo giustiziere! Chi
diede la morte, sconti il giusto castigo:
la morte! Questo io metto al centro del
mio buono scongiuro, e contro di quelli
pronuncio il mio brutto scongiuro
Tragedia della vendetta e del dubbio,
Coefore di Eschilo, secondo atto
della trilogia dell'Orestea (458 a.C.,
l'unica trilogia del teatro greco pervenuta sino a noi), va in scena al cimitero militare germanico della Futa
ad opera di Archivio Zeta, la compagnia che da anni “abita” questo luogo
della memoria e questa marca di
confine fra Toscana ed Emilia Romagna, per la regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. Una
messa in scena straordinaria, come
ormai siamo abituati a vedere qui alla
Futa da quasi 10 anni a partire dal
Progetto Linea Gotica, con la splendida partitura sonora di Patrizio Barontini e un pregevole lavoro sul
testo compiuto insieme a studenti
bolognesi.
Ma è camminando fra le tombe dei
31.000 militari tedeschi che la tragedia di Eschilo assume tutto il suo attuale significato e si pone a noi come
opera contemporanea. Dove altro
dovremmo provare, pur annacquato
dal trascorrere dei decenni, un impulso di vendetta tradotto in giustizia
se non nel cimitero dell’esercito invasore i cui soldati, “i volenterosi carnefici di Hitler”, hanno distrutto
tante vite innocenti in queste zone?
Eppure prevale la pietas, il muto rispetto per quei tanti giovani, nemici
certamente, che lontano dalla loro
terra e dai loro affetti, hanno perso la
vita. E’ la nutrice del dramma di
Eschilo che qui prende il sopravvento: l’unica che prova il sincero
dolore della perdita alla notizia, falsa,
della morte di Oreste e che poi già
indovina il disastro esistenziale che,
compiuto la “giusta” vendetta, si abbatterà su Oreste. Nella incrollabile
certezza della responsabilità storica
dell’esercito nazista, in questa distesa
di tumuli tutti uguali, il dubbio non
può non prenderti circa i destini individuali, la possibilità di dire disobbedire agli ordini superiori che
avrebbero evitato tanto dolore durante il secondo conflitto mondiale.
E non è forse questo il dubbio che
assale Oreste dopo che ha compiuto
la sua vendetta e la giustizia degli
Dei? E’ qui la forza di quel ritornello,
“I morti uccidono i vivi”, che accompagna la tragedia: i morti, vittime
della giustizia, trascinano in un gorgo
di dolore e dubbio i vivi. Le Erinni
già tormentano Oreste che troverà
solo nel terzo atto della trilogia, le
Eumenidi, la pace del processo e
della giustizia umana. Ma Coefore
resta tragedia del nostro tempo, ancora così intriso del trionfo della vendetta che chiamiamo giustizia.
[email protected]
[email protected]
E
LETTERE
LETTERATI
Eschilo
nel Cimitero Militare
della Futa
A sinistra i partigiani in piazza Beccaria (Foto Istituto storico
della Resistenza Toscana), sotto il Cimitero militare al Passo
della Futa. Vi sono sepolti 31mila soldati tedeschi morti in
Toscana nella II Guerra Mondiale. In basso Partigiane fiorentine cantano sotto la pioggia alla cerimonia per la consegna delle armi (Firenze, 7 settembre 1944 (Foto Istituto
piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea 'Giorgio Agosti')
TEMPO PERSO
11 agosto 1944
La Liberazione
di Firenze
di Leandro Piantini
L’11 agosto 1944 avviene la liberazione di Firenze. Fascisti e
truppe tedesche cominciano a
ritirarsi a nord della città, da
quel giorno ormai quasi tutta
sotto il controllo dei partigiani
e degli alleati. Uno degli episodi più belli di Paisà, il film di
Rossellini che nel ’46 rievocava la resistenza e la guerra
civile in alcuni luoghi significativi della penisola, è proprio
quello che descrive la lotta che
si combatté strada per strada a
Firenze, e lo sceneggiò Vasco
Pratolini, da anni lontano da
Firenze ma presente in quel
momento cruciale.
La battaglia combattuta in
città fu assai cruenta per la
massiccia presenza dei cecchini fascisti che dai tetti contrastarono palmo a palmo
l’avanzata alleata. Li aveva organizzati, nella sua ultima visita a Firenze che fece in
giugno, Alessandro Pavolini,
assolutamente deciso a impedire che Firenze accogliesse i
“nemici” con l’entusiasmo con
cui a Roma erano stati ricevuti
dalla popolazione gli angloamericani. Aveva scorto Pavolini fermo davanti alla vetrina
di Seeber Alessandro Bonsanti
di Michele Morrocchi
Lo sbadiglio resistenziale
Di fronte all’ennesima, strumentale, avvizzita, polemica sul ruolo e
il contributo del Compagno Tizio
rispetto a Don Caio nella Resistenza la mia prima reazione è
quella di uno sbadiglio. Che noia,
che barba. Pensavamo superate e
inutili questo genere di polemiche
che nulla (o quasi) hanno di storiografico o di contributo alla conoscenza del fenomeno
resistenziale o del fascismo (soprattutto nella sua continuazione
post mussolini). Tutti fatti già noti,
studiati, archiviati che non vengono vivificati nel ricordo e nella
memoria ma ri-appicciati per un
uso pubblico della storia piccolo e
contingente. Così il gesto di chiamare un cardinale emerito a fare la
prolusione per la Liberazione di
Firenze viene forse spinto come se
fosse una provocazione d’artista in
chi lo pensa e vissuto come
(quasi) vilipendio dai depositari
della memoria parziale (che si è
però convinta via via di essere totale) della resistenza rossa.
Quando invece provocazione vera
sarebbe quella di un ex missino a
tenere la prolusione o vilipendio
vero è quello di un memoria che
ogni giorno è sempre meno conosciuta e condivisa o del silenzio su
come quella Resistenza ha taciuto
non sui suoi crimini (indagati e
studiati ben prima e ben meglio
dei copia incolla di Pansa) ma
sulla persistenza del regime fascista in tanti troppi gangli vitali della
Repubblica. E se è vero quel che
dice il nostro Sindaco con un frase
4
ad effetto (invero ultimamente un
po’ abusata dallo stesso) che la
storia non si rottama, è vero che la
si mantiene viva con lo studio e coi
contributi a chi, come gli Istituti
Storici, ha per compito la preser-
vazione e la narrazione di quella
storia, un impegno che dura molto
di più delle polemiche e dei miei
sbadigli conseguenti.
[email protected]
[email protected]
ma non gli si era fatto incontro, e poi se lo rimproverò
sempre. Chissà se sarebbe servito a qualcosa parlare con
l’amico di un tempo divenuto
il feroce condottiero di Salò.
Nel ’44 Firenze pullulava di
gente venuta da ogni parte
d’Italia, avventurieri e prostitute comprese, cinema sale da
ballo e ristoranti erano sempre
pieni, come in una macabra
festa che si celebrava “prima
del diluvio”. Negli scontri tra
cecchini e partigiani –nei
giorni in cui i tedeschi fecero
saltare tutti i ponti risparmiando solo il Ponte Vecchiotrovò la morte anche il pittore
Bruno Bécchi, fascista accanito ma forse ormai passato
nelle file della resistenza. Morì
anche Pietro Chiesi, modesto
ciclista che era diventato famoso per aver vinto da outsider una mitica Milano-San
Remo nel ’27, quando tutti
aspettavano la vittoria di
Binda o di Girardengo.
Ne La Pelle Malaparte racconta di avere assistito, arrivato insieme ai soldati
americani in piazza Santa
Maria Novella, alla fucilazione
di giovanissimi fascisti catturati dai partigiani e sottoposti
al giudizio di un “tribunale del
popolo” sul sagrato della
chiesa. Fu un’esecuzione sommaria e quando Malaparte era
arrivato nella piazza la montagna dei cadaveri era già alta.
Dopo l’11 agosto Firenze ritorna faticosamente alla normalità. La vita riprende tra
problemi e difficoltà d’ogni genere, mancano acqua e gas, il
cibo scarseggia per chi non
può permettersi di acquistare
alla borsanera. Ma la città è libera dopo vent’anni di dittatura. Furoreggiano i soldati
alleati, ai quali si aprono tutte
le porte, comprese quelle dei
locali, delle sale da ballo e dei
cinema. E pare che per allietarli, in uno spettacolo che si
tenne nel cinema più grande
di Firenze, Il Rex –poi ribattezzato Apollo- siano venuti
da oltreoceano addirittura
Frank Sinatra e Marylin Monroe…
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
LETTERE&LETTERATI
MENÙ
di Serena Cenni
Il 16 giugno, nella splendida
cornice della Sala delle Feste di
Palazzo Bastogi (Consiglio regionale della Toscana) si è aperto
un convegno dedicato a un folto
gruppo di artiste e di artisti angloamericani che, dall’unità d’Italia
allo scoppio della prima guerra
mondiale, soggiornarono a Firenze
attratti dalle bellezze naturali, dai
giardini e dalle dimore sontuose
sulle colline dove poterono vivere
con grandi agi, e da quell’allure culturale che la Toscana ha da sempre
offerto ai suoi ospiti italiani e stranieri.
In quegli anni Firenze vive un
momento unico e irripetibile: i più
bei nomi dell’intellighentsia europea e americana vi risiedono e si
incontrano sempre più frequentemente, avvicendandosi di villa in
villa tra raffinati ricevimenti, salotti
letterari ed erudite conversazioni.
Ma chi sono questi intellettuali infatuati, o queste eccentriche artiste, ribelli e appassionate, che
praticano l’anticonvenzionalità
(anche nei diversi orientamenti
erotici) rendendola originale
chiave di lettura del mondo?
Per ricordare solo qualche
nome;si pensi alla bellissima poetessa Mina Loy, autrice di aforismi
futuristi, legata a Filippo Tommaso
Marinetti, ma anche a Giovanni
Papini; alla danzatrice Isadora
Duncan che, proprio a Firenze,
viene influenzata nella sua arte
sperimentale dalla visione della
Primavera del Botticelli, al regista
e scenografo Gordon Craig
(amante di Isadora Duncan) che
fonda al Teatro Goldoni la “Scuola
d’Arte del Teatro”; alla poetessa
Gertrude Stein che, con la compagna Alice Toklas, soggiorna a Fiesole a Villa Bardi; a Vernon Lee,
che nella sua villa Il Palmerino riceve i più bei nomi della cultura
europea; agli aristocratici quanto
stravaganti fratelli Sitwells, che vivono per molti mesi all’anno nello
di Barbara, la cuoca di Pane e Vino
I
Una sconfinata
infatuazione
Il cortile del Castello di Montefugoni nel Chianti, sotto la maschera di Gino Severini
nella locandina del Convegno “Una sconfinata infatuazione”
straordinario scenario medievale
del Castello di Montegufoni (dalla
cui Sala delle Maschere, affrescata
da Gino Severini, proviene il volto
intrigante del “Pulcinella con piffero”, emblema del convegno).
LA STRISCIA DI PAM 21
E’ proprio sulle tracce lasciate da
questi e da molti altri artisti, per i
quali Firenze ha avuto un ruolo determinante, e che da Firenze
hanno poi irradiato la loro originalità anche in patria, che un gruppo
di studiosi si è confrontato due
giorni negli spazi privilegiati del
Gabinetto Vieusseux, del British
Institute e della Villa Il Palmerino,
per riportare alla luce - attraverso
carteggi ancora sconosciuti, autobiografie, memorie, scritti di poetica - i segni di quei percorsi
intellettuali che si caratterizzarono
tra i più intensi e innovativi del
pensiero premodernista e modernista.
[email protected] t
[email protected]
C
he cosa significa lavorare
in una cucina dove un
cuoco (toscano) fa il tifo
per la Fiorentina, e l'altro (giapponese) per il Siena? Ve lo racconto io, che non mi sono mai
occupata di calcio in vita mia,
(non me ne vanto, è solo la verità), e che vivo - cucino con loro
da diverso tempo. Povera
cheffa!!! anche le partite alla
radio!!!, e poi in sottofondo; ma
che ci capiranno mai? Invece loro
capiscono; lo vedo dalle piccole
smorfie, i versacci, i silenzi pesanti che accompagnano le sconfitte ma mai, mai una volta che
questa “passione” abbia influito
negativamente sul lavoro. Efficienti e professionisti anche nei
momenti più neri, ma se la partita va ai rigori… anche la maionese impazza, e mi son ritrovata
perfino a “fargli coraggio”. Figuratevi che ho frugato nella memoria per mettere insieme undici
giocatori per formare la “mia personale squadra di calcio” ed è venuto fuori: Burnich - Facchetti Pelè - Platini - Riva - Rivera Mazzola - Maradona - Baggi Zoff - “Trottolivo”, lo ammetto, la
panchina é sguarnita: Toldo e
Rummenigge,
aggiungendo
anche Oriali, ma per merito di Ligabue (una vita da mediano).
TUTTI ATTACCANTI?, ma
Barbara non funzionerà mai !!!
Beh, il portiere c’è, per il resto andare tutti all'attacco, visto i tempi,
mi sembra una buona idea. MAI
DIRE MAI e sotto coi fornelli, a
preparare cibo sgranocchiante, a
soddisfare impulsi compulsivi
per allentare la “tensione partita”.
I biscotti al parmigiano: per una
teglia di 30 x 35: 270 gr di farina
bianca 00 (meglio la manitoba) 120 gr di parmigiano grattugiato
-150 gr di burro morbido sale - 8
gr di lievito artificiale-latte q.b.
Lavoriamo tutti gli ingredienti,
ammorbidendo l'impasto con
poco latte per una 15 di minuti.
Dovreste ottenere una bella palla
abbastanza consistente ma morbida, da far riposare mezz'ora in
frigo, coperta con della pellicola.
Ora si stende su un rettangolo di
carta forno, col matterello per
5
un'altezza di 1/2 cm e si taglia
usando la rotella, a losanghe; infornate per 20 minuti a 170°. Ottimi anche per i non tifosi, potete
arricchirli di mandorle o noci,
messi sopra prima di infornare.
[email protected]
[email protected]
Tifo in cucina
e biscotti
al parmigiano
Cominciano ad arrivare gli invitati ai fantasmagorici festeggiamenti. I primi a varcare i cancelli di Hard-Core
sono i chierici e le loro organizzazioni laiche. Mentre nel piccolo abitacolo un brivido attraversa Pamela e l’eremita.
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
IPO TESI
GIALLO DAL VERO
di Giacomo Aloigi
ascere e vivere in Calabria.
Poi sposarsi ed andare a
Milano. Avere un figlio, affermarsi professionalmente come
avvocato, quindi separarsi e trasferirsi a Firenze per lavorare come impiegata in una ditta di lampadari a
Campi Bisenzio. Infine morire in un
agguato, una fredda mattina di febbraio. Il riassunto della vita di Giusy
Romeo, cinquant’anni ben portati,
ha qualcosa di tragicamente romanzesco. Il destino l’aspettava il 12 febbraio 2004, alle 7 e 20, a pochi passi
da casa, da cui era appena uscita per
recarsi a lavoro. Qualcuno era lì ad
aspettarla, in mano una pistola calibro 7,65. Le esplode addosso cinque
colpi. Uno solo va a vuoto. Uno la
raggiunge al fianco, due al petto, l’ultimo all’addome. Giusy forse non si
accorge di niente. L’assassino si allontana indisturbato portandosi via la
borsa della vittima ed i suoi due telefoni cellulari. Una rapina di inaudita
violenza? Qualche giorno dopo i documenti di Giusy verranno ritrovati
in una cassetta postale. Passano ancora pochi giorni e il suo portafogli
viene consegnato all’ufficio oggetti
smarriti da un uomo non identificato. Ma chi scarica un caricatore
contro una donna solo per rubarle la
borsa? Dagli esami balistici si dedusse che chi aveva sparato non era
molto alto. Un metro e sessanta circa.
Potrebbe trattarsi anche di una
donna. E però, come sembra quasi
d’obbligo in simili delitti, a essere
messo nel mirino dagli inquirenti è
l’ex marito, Pietro Aloisio. Movente:
l’abbandono da parte di Giusy. La
prova contro di lui: un testimone
oculare che avrebbe riconosciuto il
killer da una foto. L’uomo della foto
era collegato ad Aloisio. Questi, secondo l’accusa, avrebbe preso contatto con ambienti malavitosi
calabresi per commissionare l’omicidio della moglie. E così sarebbe partito l’ordine verso un uomo di fiducia
per compiere l’agguato mortale. Ma
a fine del 2009 il processo per rito
abbreviato a carico di Aloisio e dei
suoi presunti complici si chiude con
un’assoluzione per non aver commesso il fatto. Il testimone non ha
confermato il precedente riconoscimento di quello che secondo lui era
l’esecutore materiale dell’omicidio.
Ma allora chi ha ucciso Giusy
Romeo? Perché pochi giorni prima
di essere ammazzata aveva tolto il
proprio nome dalla targhetta del
portone di casa? C’era qualcuno che
la minacciava? E ancora, perché l’assassino si è preso un così alto rischio
uccidendo la donna in mezzo alla
strada, in città, anche se Via San Salvi
è un po’ defilata? La fortuna lo ha aiutato, è vero, ma un killer professionista non si affida solo alla buona sorte.
Con l’uscita di scena del marito, ogni
ipotesi è possibile. La rapina, la vendetta, il gesto di un folle… E dopo
sette anni l’assassino di Giusy, purtroppo, non ha ancora un volto.
[email protected]
[email protected]
N
Il delitto di S.Salvi
www.athenaeditoriale.it
Linda Torresin
e il suo Alksej Shaldin
Al compagno di un viaggio appassionato e insonne, allo scrittore che ha
vinto l’oblio, al grande, ultimo simbolista russo Aleksej Dmitrievič Skaldin,
questa la dedica che Linda Torresin
pone all’inizio della sua tesi, dal titolo
Nikodim il Vecchio: un romanzo dimenticato di A. Skaldin (titolo originale del romanzo Stranstvija i
priključenija Nikodima Staršego - Peregrinazioni e avventure di Nikodim
il Vecchio, 1917).
Laureatasi nel corso di laurea in Lingue e letterature europee, americane
e postcoloniali, sceglie la letteratura
russa per rendere omaggio e ricostruire, in prima battuta, la tragica vita
dell’ultimo simbolista russo, morto in
un lager nel 1943 all’età di 54 anni.
Torresin si serve dei contributi critici,
dei documenti, delle testimonianze
dei contemporanei, delle vive parole
dei parenti dell’autore come la figlia
M. Sitnikova e la nipote N. Grinberg.
La seconda sezione della ricerca concerne l’eredità letteraria di Skaldin.
Per la prima volta vengono prese in
esame tutte le opere a noi giunte della
poliedrica e immensa produzione
dello scrittore russo, purtroppo perduta per più del 90% nel corso dei tre
arresti subiti. L’individuazione delle
tematiche fondamentali sulle quali si
edifica il pensiero religioso, filosofico
ed estetico di Skaldin permette di
comprendere meglio il suo enigmatico capolavoro, il romanzo fantastico
Peregrinazioni e avventure e di Nikodim il Vecchio, di cui si analizzano la
composizione, le vicende legate alla
pubblicazione e alla ricezione da
parte del pubblico e della critica, per
dare poi un attento sguardo agli ante-
TRANCHE DE WEB
Capitan Crunch non è un super
eroe. Non ha bicipiti iper-sviluppati
e nessun potere trasmesso da antenati spaziali. Non veste di rosso e
non ama i mantelli. Capitan
Crunch non è un paladino del
bene, ma un vecchio studente del
MIT. Portava occhiali da vista ed
aveva il fisico smilzo del nerd americano, affascinato più dalla complessità della rete telefonica che dal
gentil sesso.
Il suo nome di battesimo era John
Draper; una mattina, in odor di
mezzogiorno, si svegliò, aprì il frigorifero e prese il latte. Afferrò una
tazza e, dalla dispensa, estrasse un
cartone colorato di cereali: “Capitan Crunch”, recitava la confezione.
Li aprì e cercò ciò che da sempre é
reputato uno dei capisaldi delle
confezioni di cereali: la sorpresa.
Destino volle che la sorpresa fosse
un fischietto, piccolo piccolo. Un fi-
6
L’autrice, Linda Torresin
cedenti e agli echi nel mondo letterario.
L’ultima sezione della tesi, che si configura come la parte più innovativa
del lavoro, svela i richiami più o meno
espliciti al romanzo di Skaldin ne Il
Maestro e Margherita di M. Bulgakov e sottolinea l’importanza del modello skaldiniano, in quanto vertice
dell’età d’argento e ponte tra simbolismo e avanguardia, nello sviluppo
dell’originale e profonda riflessione
bulgakoviana. Un nome dimenticato,
quello di Skaldin, che oggi rientra
nella storia grazie ad un romanzo
straordinario, definito dal professor
Vadim Krejd “compimento ed epilogo di tutta la prosa russa prerivoluzionaria”.
Per saperne di più su questa tesi e
sulla vita e la produzione di Skaldin,
scriveteci in redazione ad [email protected]. Ricordiamo che potete inviare le vostre tesi allo stesso
indirizzo: info su www.athenaeditoriale.it.
[email protected].
[email protected]
di Matteo Cammilli
Il numero verde di Capitan Crunch
schietto la cui frequenza sonora era
di 2600 Hertz, casualmente la
stessa tonalità usata negli Anni ‘70
negli USA per le telefonate gratuite
(o numeri verdi). Nacque così il
Phone Phreaking, la prima forma di
hacking telefonico.
Il sistema è semplice: attraverso
una scatola blu, chiamata, appunto,
Blue Box, che emette le frequenze
dei numeri verdi, si ha la possibilità
di camuffare qualsiasi telefonata in
chiamata gratuita. In breve tempo,
nei dormitori universitari, ogni
stanza possedeva uno di questi apparecchi.
Draper non era mosso da smanie di
ricchezza, era affascinato dal funzionamento del sistema telefonico;
tanto che non perdeva occasione
per spiegare, a chiunque si dimostrasse interessato, i segreti della
sua scoperta. Tra i curiosi, oltre
all’FBI, che lo spedì più volte dietro
le sbarre, c’era anche un giovane
Steve Wozniak, il quale, una volta
appreso il funzionamento della
Blue Box, decise di sperimentarlo
nella maniera che reputava più soddisfacente: alzò la cornetta, compose il numero e aspettò una
risposta. Dall’altro capo qualcuno
disse: “Pronto, Vaticano”, sorridendo Wozniak rispose: “Salve,
sono Henry Kissinger, vorrei parlare col Santo Padre”.
[email protected]
[email protected]
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Il Nuovo Corriere
Sabato 13 agosto 2011
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N.28
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MANIACI SERIALI
di Cristina Pucci
ilvio Longhi. Proseguiamo.
In una vetrina dell'ingreso
spuntano delle "statuine",
media altezza, molto belle, bislacchi personaggi in abiti
d'epoca, due rocche medievali
con mura, case e castello, colorate, come smaltate. Dimenticavo... il ceramista! Da ragazzo
frequentava botteghe di artigiani vari, conobbe così
"Oscare" fabbro abilissimo e
uomo di grande bontà, nel suo
antro infernale imparò a "fare il
filo" alle spade ad esempio e
molto altro. Studente di medicina non ricco, iniziò a plasmare ceramiche che vendeva,
bene, agli antiquari di via de'
Fossi che le piazzavano con facilità a raffinati turisti. Rappresentavano figure grottesche in
fantasiosi costumi d'epoca, in
uniformi normanne o napoleoniche, realizzate ovviamente
con la precisione e pignoleria tipiche del loro creatore. Paesotti
medievali, castelli, arcieri, un re
ubriaco con il suo scudiero... Per
realizzarle tre fuochi addirittura,
il primo cuoce la pasta, il secondo fissa il bianco, il terzo i
colori, dalle tre cotture l'aspetto
porcellanato. Le ultime parole
per i libri che Silvio Longhi ha
scritto. "Le spade di marra" è dedicato alla scoperta, a Cortona,
di due fiorettoni da scherma del
'500 e alla loro comparazione
con due spade gemelle, una al
Bardini e una al Bargello. Uno è
la trascrizione del fino ad allora
inedito Trattato di scherma del
Docciolini del 1601 ed è corredato da fantasiosi disegni di sua
mano che illustrano le diverse
posizioni di cui parla, un altro la
traduzione di quello del Manciolino (1531). Infine "Il Duello
d'onore del XVI secolo" interessante monografia dedicata al
duello affrescato dal Pomarancio nel palazzo dei Della Corgna a Castiglione del Lago e
alla figura e le gesta del suo vincitore e committente Ascanio,
straordinario personaggio che
conobbe Cervantes ed ispirò
tratti del suo Don Chisciotte.
L'affresco "racconta" il duello di
Pitigliano, fatto di cronaca che
fece accorrere pubblico e cavalieri. Ascanio Della Corgna
possedeva tutte le doti tipiche
del Cavaliere del '500, grande
cultura, era architetto ed
esperto di fortificazioni, competenza militare, era comandante, stratega navale, valente
ed imbattibile spadaccino, piacevole conversatore, amatore
indefesso... Morì di polmonite,
il suo funerale attraversò tutti i
paesi da Roma a Perugia in uno
scampanìo di cordoglio al suo
passaggio.
[email protected]
[email protected]
Silvio Longhi,
S
psichiatra, ceramista
e esperto in duelli
Al centro copertina del volume sul duello di Silvio Longhi, a destra schema della tecnica del
duello: le “controguardie” (disegni. S.Longhi). Sopra ceramiche di soldati medievali
TRANCHE DE WEB
di Simone Rebora
Nietzsche, Kafka e Ferruccio Masini
La rivista il Portolano ricorda il famoso germanista
A oltre vent’anni dalla scomparsa,
la memoria di questo intellettuale
polivalente, noto come germanista,
ma anche poeta, pittore e drammaturgo, rischia la sorte dell’oblio. E il
compito di una cultura davvero
“militante” non è più soltanto
quello di studiarne le opere (sempre meno reperibili), ma quello di
mantenerne vivo il ricco profilo critico e umano.
A questo appello ha risposto il
gruppo di intellettuali raccolto da
Francesco Gurrieri per il numero
monografico della rivista “il Portolano” (A. XVII, N. 64-65): per ricordare questo intellettuale
«coraggioso, spregiudicato, impavido, avventuroso perfino» (Gurrieri), tracciandone il vivido ritratto
di uomo che «sorrideva con gli
occhi prima che con la bocca», che
«sentiva la vita come un’eterna
lotta con la morte, ma […] anche
Ferruccio
Masini
Disegno
di Francesco
Gurrieri
una danza» (M. Specchio); un
pensatore sempre riluttante alle
omologazioni (anche quella della
morte, con la bara che «non passa
per la botola aperta nel fitto lastrico
tombale», ricorda G. Bevilacqua),
capace di lasciare tracce imprevedibili nei percorsi di molti – come le
marionette di Sergio Givone,
splendidamente “animate” da un
suo involontario suggerimento.
Il nome di Masini si lega a quello
degli autori studiati e tradotti: in
primo luogo Nietzsche e Kafka
(ma anche Benn – nella nota di L.
Zagari) avvicinati con salto logico
all’apparenza vertiginoso, personalissimo, ma diretto a toccare l’universalità della «condizione
dell’uomo nel mondo» (nota E. C.
Corriero). È questa la strada che
conduce al nichilismo di Kafka, per
il quale «non c’è speranza, ma c’è,
piuttosto, la rivelazione […] della
condanna» (dal colloquio con S.
Lanuzza), o al nichilismo “attivo”
di Nietzsche, «che trasforma […]
l’esistenza in un “edificio dello spirito”» (F. Piga). Ma questa coscienza non implica la resa (e
dell’impegno sociale di Masini
tratta R. Runcini): come il mondo
del possibile “rovesciato” da Kafka
«rende però anche possibile la
fuori-uscita dal sistema del significato come oggetto (e “soggetto”)
di possesso» (U. Fadini), così in
Masini «la poesia è la dinamica
dell’avventura come scoperta di ciò
che è Altro da sé, che sembra fuori
di noi stessi eppure è racchiuso all’interno» (G. Panella).
Del Masini poeta, “il Portolano” testimonia la voce ferma e sentita,
con due suggestivi inediti – accanto alla presentazione del
“Fondo Masini” nell’Archivio
Contemporaneo del Vieusseux.
Un invito alla lettura, che è anche
stimolo all’incontro, alla danza del
pensiero – in una parola: “all’avventura”.
[email protected] [email protected]
Scarica

Simone Siliani – Eschilo al Cimitero della Futa