L’UOMO CHE UCCISE LIBERO VALLE
Un romanzo di Federico Conti
Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perché con questa spada vi uccido quando voglio.
Cirano
Francesco Guccini.
Chamonix Mont Blanc, 7 gennaio 2010.
Sono rimasto in casa, fuori nevica, il camino è acceso. Dicono che saper accendere il fuoco
sia come far l’amore.
Io da bambino, nella casa di campagna, usavo decine di fogli di carta e l’alcol, poi il camino
si accendeva. Adesso è una cosa che non faccio quasi mai, se capita e proprio devo, non
uso additivi, con pazienza mi siedo davanti e non mi alzo finchè la fiamma non è alta.
Sophie è in negozio con il padre. La madre è in ufficio. Stasera arrivano i bambini.
La cosa buffa è che i genitori hanno l'abitudine di chiamarli bambini anche quando
crescono, così come si continua a chiamare ragazzi i propri coetanei anche a cinquant’anni.
Qualcuno li chiama “cuccioli“, lo detesto, è un odioso termine che usa Monica. Ogni volta
che qualcuno la nomina, oppure io penso a lei, subisco quella reazione di catalessi che
aveva Roberto Benigni nell’edipico Johnny Stecchino quando nominava la madre.
Ogni qualvolta mi fermo a riflettere sul mio trascorso credo di aver vissuto due vite.
Guardando fuori dalla finestra di questa lussuosa baita, l'Aiguille du Midi sembra la punta
di un iceberg che le divide. E’ un muro di ghiaccio che separa le mie due esistenze terrene.
Gli eventi che mi hanno portato qui sono stati rapidi, ma imponenti quanto il Mer de Glace.
Vivere dall'altra parte del Bianco è come guardare tutto all'incontrario. Mi piace
ogni tanto andare sulla cima francese, è una sensazione strana. L'Italia la guardi all'ingiù o,
perlomeno, se non la guardi, la immagini rivoltata che sgambetta verso il vuoto diversa
dallo stivale sicuro che poggia nella cartina appesa nelle aule delle scuole elementari.
Ho sempre avuto questa abitudine di localizzarmi in un punto geografico preciso, come
fossi una trasmittente gps, forse questa sensazione di vivere dentro alla cartina geografica è
dovuta alle ore passate a guardare l'atlante De Agostini regalatomi alla prima comunione.
Lucrezia e Ludovica hanno sei anni, sono gemelle o meglio, come direbbero in
Spagna, sono mezillas, infatti sono nate da due ovuli differenti, però in Italia si chiamano
comunque gemelle, per sempre.
Edoardo ha undici anni. Arrivano in auto. La prima discussione ci sarà al
momento di salire nell’auto di mamma: chi dovrà sedere davanti, al posto del morto! Anche
se usare questo termine pensando che lì ci sieda una delle bimbe mi fa venire una morsa allo
stomaco.
Fin da bambino ho sempre avuto il terrore degli incidenti d’auto, ma non era una
paura diretta, adoravo e adoro viaggiare, quando sedevo al fianco di mio padre senza cinture
né seggiolini, mi sentivo come il protagonista di un film cui non può succedere nulla di
brutto.
L’ansia era solo per i viaggi dei miei cari, quando mi trovavo ad aspettarli a casa
guardando le lancette dell’orologio. Ricordo che stavo con mia sorella nel lettone con
mamma aspettando mio papà che frequentava le scuole serali a Carrara. Usciva dalla banca
e con il cinquino turchese,era l’epoca della non globalizzazione delle vernici per auto,
partiva alle cinque per ritornare dopo le dieci. Ricordo un film francese dove il protagonista
moriva in un incidente stradale. Lo stendevano vicino all'auto in un prato in bianco e nero e
gli mettevano una coperta addosso come se sentisse freddo. Quest’uomo immaginava di
nuotare vicino alla sua barca, a bordo c'erano i suoi familiari, lo chiamavano.Lui andava
sott'acqua in una sorta di apnea non voluta e tutto si ovattava. Era una sorta di flashback
onirico ampiamente usato nelle convenzionali regie. Si capiva poi che sarebbe morto
quando, con abile taglio di montaggio, i familiari comparivano davanti a qualcuno che
restituiva loro gli effetti personali.
Ero un precoce malato d’ansia, una malattia che generalmente colpisce le persone
adulte. Già all’età di nove anni temevo per l'incolumità del mio papà che, inscatolato nella
sua fiat turchina, slalomava fra i tir dell'A12. Adesso che tutti i miei parenti e vecchi amici
vivono al di là del confine è un’ansia di tipo differente. Ora poi ci sono i videotelefoni, i
portatili e le auto con mille dispositivi di sicurezza. Ora la mia ansia si è evoluta verso una
diligente patofobia per tutti quelli che mi circondano.
La cosa ridicola è che la madre dei bimbi quando c'è qualsiasi problema chiama in
Francia per chiedermi un parere. Sono sempre rimasto il “medico” di famiglia. Non è raro
che le notizie riguardanti la salute dei miei cari viaggino nell'etere: tra Parma,e Chamonix
facendo tappa alla Spezia per tornare a Chamonix dove viene rispedita di nuovo in quel di
Parma in forma di diagnosi. Tutto rigorosamente telefonico, preceduto da un dibattito fra
me e Gino su tumori, virus africani, sclerosi varie e tutte le malattie infantili mortali.
Il mio amico Gino abita in una casa colonica sull’Aurelia a pochi km da Spezia, i miei
bambini vivono felicemente nella villetta di Varano. Io vivo a Chamonix dal 2009. La
parentesi parigina è stata breve, non tanto da impedirmi di incontrare Sophie.
Vivevo ancora in albergo ed ero occupato ancora nel far perdere le mie tracce a
parenti e amici, l'hotel era in zona Bastiglia, Parigi era una città che avevo avuto occasione
di conoscere bene in gioventù, di sera uscivo e andavo a bere qualcosa nel solito locale buio
e fumoso in Rue de Rivoli. Fu lì che seduto al bancone vidi vicino a me una ragazza di
colore ma con lineamenti piuttosto delicati. Aveva le labbra carnose ma il naso era alla
francese. Ricordo ancora com'era vestita. L’abbigliamento è uno dei particolari a cui presto
attenzione mio malgrado, delle persone che per me contano qualcosa ricordo sempre i vestiti
indossati nel momento in cui le ho conosciute. E’ come se la mia memoria tendesse a
scartare informazioni importanti quale sguardi, sorrisi e dinamiche espressive per lasciar
posto a cose effimere e senza importanza.
Ricordo bene che aveva dei jeans stretti e degli stivali bassi o comunque erano
stivali che mi piacevano, perché mi diede l'impressione di essere un tipo alla moda o se non
altro catalogabile nel genere non troppo antico e non troppo francese. Ebbi la strana
convinzione che stesse parlando italiano con l'amica vicino. Le chiesi se fosse italiana
avvicinando la mia bocca verso il suo orecchio, la musica era a quel volume dove si legge
solo il labiale. Lei sorrise e scosse il capo, rispose qualcosa in francese, all'epoca di francese
sapevo poco e anche adesso stranamente non amo parlarlo e talvolta faccio pure finta di non
capire. In verità quando mi parlano velocemente non è una grande prova di recitazione.
Rispose sorridendo, le chiesi poi se avesse una sigaretta da offrirmi, mi porse il pacchetto di
Marlboro Light, uscimmo a fumare, e prima di avviarci verso la porta il barista le chiese "ca
va bien Sophie?" lei annui, per un attimo pensai che fosse il suo ragazzo. Non era così. Ad
ogni modo avevo capito che Sophie era una cliente abituale.
Scambiammo qualche parola in inglese, lei viveva a Parigi in zona hotel de ville, mi
domandò se fossi lì per turismo e risposi laconicamente di no. Mi piacque subito perché,
nonostante un evidente interesse, non fece altre domande, e nella mia situazione le
domande, erano piuttosto scomode. Rientrammo nel locale e la persi di vista. Erano giorni
difficili, ero solo, ma non una solitudine normale, dietro avevo come quella scia piatta che
lasciano gli open quando con i loro motori da 500 hp ti superano sul tuo gozzetto, quella
scia che presto si trasforma in onde anomale che devi giocoforza prendere di prua. L'unico
contatto personale lo avevo con un giornalista free lance specializzato in cronaca nera. Egli
non aveva creduto a nulla di quello che avevano scritto i giornali ed era riuscito a
contattarmi via e-mail dopo la rivendicazione avvenuta con degli indirizzi, a detta di
Giovanni, più che anonimi e non rintracciabili. Il rapporto con questo mio connazionale mi
aiutava a recidere il cordone ombelicale che mi legava ancora alla famiglia e all’Italia,
malgrado lui tentasse solo di capire meglio quello che era successo quel giorno di dicembre
a Brunico . Era l’unica persona con cui avevo un qualcosa che si possa chiamare dialogo.
I miei compagni di avventura, soci, se non semplicemente amici, erano non so dove,
e non so neppure se a quel punto erano o erano stati.
Del resto dopo l'operazione sapevamo di doverci separare e se ci fossimo rivisti
insieme, sarebbe stato dentro l'aula di un tribunale ingabbiati come i brigatisti negli anni
ottanta. Ma il nostro non fu mai neppure per un secondo un progetto politico, solo un
disperato gesto di rifiuto verso un'ingiustizia che, alla luce delle informazioni che a mano a
mano recuperavamo, non ci dava pace.
La settimana successiva tornai nel locale dove avevo conosciuto Sophie.Dopo la seconda
birra la vidi avvicinarsi verso di me, era sola, si sedette al mio fianco, ricordo ancora la
sensazione delle sue labbra morbide e carnose, è l'unica donna in vita mia che mi abbia mai
baciato di sua iniziativa.
Da quella sera non dormii più in albergo. Furono mesi trascorsi in un’atmosfera
rohmeriana, leggeri e insostenibili come l'essere di Kundera, pomeriggi passati al parco di
Monceau, nei locali a mangiare crepes con coltello e forchetta bagnati da una kronenburg da
20 cl.
Mi ritrovai in un’aula della Sorbona ad applaudire la tesi di laurea di Sophie, e dopo
due mesi ero il sommelier del negozio di enogastronomia più in voga a Chamonix. Il lavoro
era bellissimo, quanto la clientela. D’estate andavamo alla ricerca delle etichette più strane
nelle colline dello Champagne. Passavamo giorni in Borgogna alla ricerca del più perfetto
dei perfetti pinot neri che avrebbe riscaldato la cena degli sciatori parigini. Sembrava una
sorta di paradiso terreno, ma sapevo che era fasullo, perché le mie radici io le avevo
eccome, i bambini erano in Italia, tutta la mia vita passata era in Italia.
Ero una sorta di fantasma che campava alla giornata, con la sofferenza di avere
rinunciato alle persone che amava di più al mondo. La rinuncia ai sentimenti cari era una
frustrazione che conoscevo bene, vissuta nel corso degli anni in cui la mia amante lavorava
nel corridoio adiacente al mio... Monica e i baci rubati nell'antibagno dell'ufficio, Monica e
la fatica del fingere, del contenersi, nel recitare indifferenza.
Continua a nevicare, fra poco andrò in negozio, sorrido perché penso che tutto sia
assolutamente casuale. E’ ridicolo, se solo quella sera di luglio non avessi cambiato canale
adesso probabilmente sarei ancora a fare il funzionario alla provincia di Parma. Non riesco
proprio a capire come io possa essere qui, adesso, in questo momento, con il mio piumino
monastero di Clermont, i guanti e la voglia di raccontare perché il Bollinger Vieilles Vignes
Françoises sia l'unico champagne rimasto francese.
Capitolo 1.
La studentessa.
Mi piacerebbe conoscere qualcuno che stia studiando legge o scienze politiche, potrebbe
essere il punto di vista importante di una generazione differente dalla nostra. Mi piacerebbe
anche capire che atmosfera politica si respira negli atenei adesso. Voglio sapere se esiste
ancora qualcuno disposto a sacrificare tutto per un progetto come il nostro, sapere se e cosa
ricordano i giovani di oggi della strage. Potremo arruolare nel gruppo una persona che non
desti sospetto quando consulta certe cose, quando fa insistenti ricerche sul web su
determinati argomenti, nulla deve essere lasciato al caso. Bisogna usare la massima
precauzione , l’ideale sarebbe trovare una laureanda in fase di tesi , chissà perché immagino
sempre che sia di sesso femminile, e la tesi dovrebbe riguardare qualcosa che abbia a che
fare con i presidenti della repubblica, in modo da fare senza problemi ricerche sul primo
ministro dell'epoca.
Il Fugazza forse conosce qualche professore universitario o forse è in grado di
trovare un contatto utile. Certo se l’ingegnere fosse quello di qualche mese fa, sarebbe
molto più facile, ma se fosse ancora l'amministratore delegato di un’importante società non
starebbe con noi a giocare alla roulette russa facendo il finto terrorista. E’ già perché il
Fugazza non l'ha ancora capito che differenza c'è... gliel’ho spiegato subito: questo non è un
progetto politico, qui non si costruisce nulla, qui semmai si disfa.
11 luglio 2007
Ore 15.
Sms to Giuliano.
che fai? a che ora aprite?
Voglio capire cosa ne pensa lui riguardo alla possibilità di cercare adepti in una
facoltà universitaria. Ma di luglio alla Feltrinelli fanno orario continuato? Boh... forse no.
Non mi ricordo mai nulla. Il problema è che quando faccio le domande non sto mai
ad ascoltare la risposta, e mentre il mio interlocutore sta lì a spiegarmi questo e quello io
sono già partito per la mia tangente di pensieri su chissà cosa. Abitudine che fa sempre
andare in bestia il mio amico Pigi. Anche Chiara me lo dice sempre, anzi, mia moglie mi
dice spesso che le cose me le ha appena dette... secondo me ne trae pure vantaggio.
Conosce questo mio difetto del distrarmi in un batter d’occhio, quindi è facile che si
approfitti del fatto che io non ricordi assolutamente se le cose le abbia ascoltate o meno.
Mi servirebbero due o tre teste, una sorta di co-processori che siano in grado nello
stesso istante di...
Vibrazione.
Giuliano sms.
CHIAMAMI STASERA STO ANDANDO IN LIBERIA.
Ovviamente Giuli non sta partendo per il golfo di Guinea. Non sa usare il t9 e
adopera sempre il maiuscolo. Conoscendolo da quando eravamo bambini è già un miracolo
che sappia usare il cell, anzi, è un miracolo che lo abbia, il cell! La cosa bella è che almeno
gli sms li legge.
Non sopporto quelli che non leggono gli sms, che poi li dici “ti ho mandato un
sms” e questi rispondono sempre "ah... non li leggo mai... ". Si! E dove caspita vanno a
finire dico io.
Questi soggetti sono quasi allo stesso livello di quelli che non rispondono alle
chiamate... quelli veramente andrebbero fucilati… o attaccati al posto del cellulare in carica
alla presa elettrica di Randy Taguchi. E’ difficile capire se siano i 15 centesimi o un po’ di
ginnastica delle dita il problema.
Poi esistono quelli che rispondono tre ore dopo, quelli che se non conservi il
messaggio speditogli, non ti ricordi un beato nulla di quello che avevi chiesto loro... così le
risposte diventano una specie di esercizio enigmistico.
Sera.
Casa di Varano.
«Chiara vado di sopra a telefonare a Giuli».
Siamo a tavola. Edoardo sopporta con siddhartiana pazienza (aspettare... che finisca,
digiunare... perché fa schifo quello che c'è nel piatto... pensare... beatamente agli affari suoi)
il palinsesto di Disney Channel dove le gemelle stanno guardando qualcosa di colorato che
mi passa davanti agli occhi come se non ne sentissi l'audio. Sono sempre un po’ avulso
all'ambiente che mi circonda. Mia moglie sta leggendo un giornale, anzi, il giornale dei
programmi di Sky, come se poi avesse una reale possibilità di decidere cosa guardare...
Cell.
Squilli.
«Pronto»... quando risponde al telefono giuliano sembra sempre stia dormendo
(cosa di cui spesso anche io sono accusato).
«Giuli sono Fede»
«Allora?»
«A che ora avete chiuso?»
«Alle otto come tutte le sere»... sembra stia mangiando... ma pare non sia in casa,
forse è in fase aperitivo/buffet milanese.
«Ho pensato che ci volevo andare un po’, all'università»
«Ti vuoi ri-iscrivere?...Stai bene?»
«Vabbè dai ne parliamo di persona, vengo su a Milano in settimana. Ciao»
«Ah.... » pausa.
«Ho capito fede ... cioè, non ho capito un cazzo dell'università, ma ho capito che
se ne vuoi parlare di persona… riguarda…» ride.
«Ciao Fede... »
«Ci vediamo presto, ciao».
Quando riscendo le scale e vado in sala da pranzo la situazione è la medesima di prima:
forse sono stato vittima di una parentesi extratemporale perché giurerei che Chiara sia
sempre sulla stessa pagina e la tv trasmetta le solite immagini. Edoardo sembra guardare la
il televisore perduto nei suoi pensieri... e già mi somiglia… le gemelle masticano non so
cosa, ipnotizzate dallo schermo lcd da 28".....
Capitolo 2.
12 luglio. Giovedì.
Arrivo in ufficio, sono le nove. Chiudo la porta e mi appresto al solito rito:
appoggio occhiali da sole, portafoglio e chiavi... detesto marsupi e borselli vari, infilo tutto
in tasca senza ordini particolari, ma quando ci sono 30 gradi, come oggi, vorrei levarmi
anche i pantaloni.
Prendo la chiavetta gialla del distributore di bevande che qualche giorno fa mi ha
regalato Monica dopo la mia ennesima richiesta di spiccioli. Vado al distributore e quando
inserisco la di plastica cosetta vedo che il credito è insufficiente a comprare la mia
quotidiana e prima bottiglietta d’acqua da 50 cl. Lode al signore.
Torno in ufficio e guardo dentro il portafoglio ... ovviamente ho solo delle monete
di rame e dei pezzi da 50 euro. Come faccio a caricare questa maledetta chiavetta gialla di
marcia plastica? Ho l'impulso di andare da Monica e chiederle altri spiccioli, ma per
vergogna mi dirigo verso l'ufficio dell'economo che ha una bella cassettina di monete.
L’economo non è ancora arrivato. Apro la cassettiera dove c'è una chiavetta che apre un
altro cassetto. Lì c’è il "salvadanaio": trattasi di un contenitore di plastica non a forma di
porcellino. Prendo 50 centesimi. Scrivo su un post-it 0,50 Federico e lo caccio nel
porcellino a forma di contenitore di plastica. Breve riflessione su cosa contenesse quel di
recipiente in origine.
Il distributore, dotato come tutte le macchine d’intelligenza artificiale, è situato nei
pressi dell'ufficio di Monica... così ci scappa un salutino dal corridoio e uno sguardo che
dice "quando scopiamo? L'occhiata di rimando risponde "tesoro anche subito ma dove?".
Una volta presi da delirio sessuale mattutino ci stavamo chiudendo nella stanza del
server, e mentre stavamo per farlo entrarono dei colleghi... e… non se ne fece nulla.
Sono davanti all’Hal9000 delle colazioni prêt-à-porter... comincia la battaglia:
infilo la chiavetta (che sia una metafora? ...Monica è un genio!), butto giù la monetina con la
speranza che il display lcd incrementi il credito. Rumore metallico interrotto ( anche questa
una metafora sessuale?) credito sempre a 0,20: la bottiglietta è un lontano miraggio. Passo
alle maniere forti.
Trattasi di spostare inclinando a chissà quali gradi il parallelepipedo ostile,
lasciandolo poi cadere per inerzia secondo la forza di gravità. Bel tonfo. Scendono due
succhi di passion fruit e agrumi. Una sorta di ricetta infallibile per stimolare i succhi
gastrici.
L'acqua resta un miraggio. Torno all'ufficio con i due succhini in tetrapak, c'è stato
un guadagno… ma Hal ha vinto come sempre ed io non ho la mia bottiglietta d'acqua.
Apro Outlook. Un’e-mail della CartaSì all’interno un link che mi vorrebbe
trasportare su Explorer, ma non ho ancora aperto il collegamento ad internet così il proxy
server mi propone la richiesta password per dieci volte finché a colpi di escape torno sulla
posta da leggere. Nessun messaggio. Scrivo a Monica.
*****@provincia.pr.it to p******@provincia.pr.it
Oggetto: bg
Bg
Sei bellissima... almeno per la parte sopra la scrivania... beh anche i sandali non sono
male...
Alle 14 che fai?
Alle 10 ho una conferenza di servizi con il Direttore Generale, grandissimo rompi scatole.
Porterò il cell e starò a messaggiare quasi per tutta la durata.
Nella barra si è accesa la bustina di Outlook. Sicuramente è Monica.
Leggo.
Monica to Federico
Oggetto: re bg
Ciao bellissimo... che cos'è quell'aria corrucciata?
Hai fatto brutti sogni?
Tesoro alle 13,30 scappo e porto i bimbi a salso.
Ti voglio tanto... ieri sera ti ho "pensato"...
bacissimi
Moni
Anche oggi non si tromba.
Suona l'interno... segretaria del direttore generale...
“Tutti nella sala giunta”.
La nomina dei direttori generali, secondo la legge Bassanini, è diventata per le
amministrazioni pubbliche un favore di lusso.
La cosa triste è che i soldi che si spendono sono quelli dei cittadini, come si dice
spesso o meglio come dicono gli omofobi “son tutti finocchi con il culo degli altri”.
E’ un'ora che sono seduto con i miei colleghi, il dg e il presidente. Giocherello con il
cell.
Mi sovviene una riunione condominiale che si tenne al secondo piano del palazzo
dove abitano i miei genitori a Spezia.
Era qualche anno fa, ma eravamo già nell'epoca degli sms. Mio padre aveva
l'influenza e mi aveva pregato di andare all’assemblea delegandomi a partecipare al suo
posto. Morivo dalla felicità: da Varano a Spezia per una noiosissima riunione condominiale, sembrava una scusa per una sortita nei night club versiliani. Persino Chiara faceva
spallucce come se mi dicesse: “ E vai a divertirti, ma smettila di trovare patetiche scuse”.
Invece era la triste verità.
Fu un'assemblea molto più interessante delle conferenze dei servizi a cui sono
obbligato a partecipare in provincia: mentre facevo finta di ascoltare mi soffermavo ad
analizzare il campionario di cariatidi presenti al tavolo del geom.Felice Torinesi. Egli aveva
avuto il buon cuore di mettere a disposizione il suo salone arredato in perfetto stile anni
sessanta. In realtà il fatto di ospitare una riunione di quel genere mette un po’ a disagio i
partecipanti: chi si sente poi di contraddire il padrone di casa?
Il personaggio più interessante fu l'ingegnere che abitava all'ultimo piano il quale,
mentre relazionava come tecnico in previsione di modifiche e manutenzioni strutturali e
annuendo alle più improbabili osservazioni dei convenuti, continuava a mandare sms con
una maschera di inespressività che rivelava l'importanza degli short messagges.Quella
mancanza di dinamica facciale che nasconde il riverso di un sorriso mentale spacca labbra.
Io mi domandavo ”Strano che un ingegnere gaudente e cinquantenne mandi messaggi alla
moglie che sta tre piani sopra, strano pure che alle undici di sera messaggi per lavoro in
modo assiduo”.
Sentenziai che l'inge aveva una tresca.
Alla cena di famiglia per Santo Stefano, successiva alla riunione, seppi che il di
fatto gaudente ingegnere aveva sganciato moglie e prole per andare altrove... mi sentii una
sorta di Nostradamus.
sms to chiara.
oggi vado a milano con l'arch.fini.
ritorno per le otto.ci sentiamo
sms to giuliano.
alle 16 sono da te in negozio.beviamo qualcosa.organizzati.
bmw x5 3.0d,
df xxx mp
autostrada a1.casello di Parma.
Biiiip.
Non so perché ma non riesco mai a godermi pienamente il mio telepass: è un sorta
di telepass interruptus. Prima del beep iniziale ho un attimo in cui rallento e dopo aver
sentito il segnale di aggancio ho sempre l'impressione della barra che non si voglia aprire.
Invidio quello davanti che ci passa ai 60 km/h come ho sempre invidiato la capacità di
rottura che hanno i protagonisti dei romanzi di De Carlo.
Ho una lieve pulsazione alla tempia sinistra, segno che la conferenza dei servizi di
due ore fa ha lasciato il segno. Sono diventato un topo da riunione. C'è una specie di
decalogo che impari dopo anni,in realtà non so se i postulati siano dieci,però alcune regole
sono semplici.
Primo. La riunione è fissata con una mezz'ora di anticipo rispetto a quando
comincerà ad arrivare il primo malcapitato.
Secondo. I primi due che arrivano vanno a fumare sulla terrazza(uno dei due fuma
sicuramente)e cominciano una conversazione di forma, parlano del tempo: ci si lamenta
sempre, o è troppo caldo, o piove o c'è freddo o c'è nebbia… se c'è poca nebbia è troppo
che non piove. Si rimpiangono i tempi nebbiosi degli anni settanta come se fossero i Led
Zeppelin disciolti. Poi, arriva il terzo e se c’è la necessaria confidenza si comincia a parlare
di colleghe di bell’aspetto.
Io non arrivo né primo né secondo né terzo… niente podio sono troppo esperto.
Sono passati 45 minuti ed io sono sempre nel mio ufficio. Telefonano per chiedere
se arrivo. Risposta:
“Arrivo imme-di-a-ta-mente, ma ho una persona e non posso buttarla fuori
dall'ufficio”.
Terzo. Presentarsi quando già gran parte dei partecipanti è seduta al tavolo, scegli
dove stare e tatticamente è importante. Eviti quelli con l'alito cattivo. Nel frattempo gli
argomenti, visto la promiscuità di sesso, sono passati a: malattie dei bambini, se è autunno/
inverno, malattie dei bambini esantematiche, se è primavera, vacanze al mare o settimana
bianca, calcio e televisione o politica. Accoppiamenti rigorosi, i dispari per un po’ ascoltano
e annuiscono. Quando si accorgono, dopo qualche minuto, che sono tagliati fuori,
cominciano a far finta di mandare messaggi anche se nemmeno la loro moglie
risponderebbe.
Io arrivo per penultimo o terzultimo. Scusandomi dopo aver seguito i dettami
sopraesposti. L'ultimo è sempre qualcuno dell'ufficio tecnico. Viene comunque accolto con
simpatiche rimostranze, in pratica fa sempre la parte dell’idiota, però, visto che le
conversazioni sono piacevoli, tutto sommato non importa a nessuno. Si cominicia. Il
segreto è far finta di essere distratti, soprattutto funzionava quando facevo trattativa
sindacale, ora sono passato dall’altra parte della barricata. In realtà non guardando i
"commensali" ci si concentra su ciò che dicono e facendo finta di messaggiare con il cell, di
fare disegnini o di prendere appunti, si evita di distrarsi guardando l'improbabile
abbigliamento dei funzionari, l'occhio strabico della verbalizzante o le unghie sporche del
dirimpettaio. Peggio ancora se si guarda sotto il tavolo, dove vicino alle Hogan stazionano
dei mocassini da bancarella della fiera con i calzini corti in dicembre. Pochi interventi, ma al
punto giusto, per far capire ai convenuti che anche a testa china li ascolto e li posso fregare.
Nel caso della riunione di oggi devo ammettere che la mia testa era al progetto e non avrei
potuto nuocere davvero a nessuno.
Tempo di queste riflessioni e sono già a Melegnano. Tangenziale e uscita.
Lascio l'auto in garage e consegno le chiavi ad un uomo in tuta. Dieci minuti e sono
alla Feltrinelli Duomo. Giuliano sta parlando con una cliente. Muovo in aria il dito indice
come fosse un tergicristallo di un immaginario parabrezza mimando con le labbra un
fischiettio. Sorriso di Giuliano. Lo aspetto una decina di minuti passeggiando e curiosando
fra gli scaffali. Usciamo. Caffè in galleria.
“Lo sai che non fumo, ma mi offri una siga?".
Ho l'accendino e do l'impressione del malefico scroccatore, Sennonché con Giuli siamo
cresciuti insieme e di impressioni non ce ne diamo più, ci conosciamo e basta; lui sa bene
che per me comprare un pacchetto di siga è più una sconfitta morale che un esborso vero e
proprio. Del resto il papà di Chiara è il classico industrialotto del fornovese e i soldi è un
po’ che non so neppure cosa siano. Non che il vecchio foraggi direttamente i miei vizi, ma
fa fare alla sua bimba e ai nipoti una vita da principi monegaschi; per quanto mi riguarda il
mio stipendio è ampiamente sufficiente a coprire vizi e stravizi.
"Ti dicevo dell'università..."
"Mmm si, eh si " ...oddio il Giuli non è sintonizzato.
"Giuli abbiamo bisogno di qualcuno che faccia ricerche senza dare nell'occhio, non
mi pare il caso di avere la polizia postale che ci fa domande e...."
"Ho capito Fede..." il Giuli si è temporaneamente riavuto.
"Vai tu a Parma e vedi un po’... tanto con la tua aria da trentenne eterno, dai
nell'occhio il giusto"…il Giuli sogghigna.
"Si, avevo pensato in effetti di andare qualche mattina vestito in maschera… ma a
Parma rischio di incontrare figli di miei colleghi o comunque gente conosciuta… a ‘sto
punto vado direttamente a Bologna che è anche più attinente al progetto e politicamente più
interessante. Tieni presente che il Fugazza a Bologna conosce di fisso qualche pezzo
importante, mentre a Parma zero, buio assoluto."
"Mi sembra una cosa divertente e quasi quasi al lunedì vengo pure io..." ecco che il
Giuli si è già fatto il film di scoparsi qualche studentella.
"Giuli se parti da Spezia alla mattina e alle 15 devi essere in negozio… beh… lascia
stare va'" il Giuli lavora alla Feltrinelli in galleria duomo e abita sui navigli in una
casa che ha ereditato dai suoi parenti.
I grandissimi pezzi di merda erano anni che non avevano a che fare con lui e la sua
famiglia, però zio e cugino se ne sono dipartiti in un bel frontale sulla nebbia e la mamma
era già morta anni prima. Paradossalmente la casa l'ha ereditata la madre del Giuli...
punizione divina per degli esseri spregevoli e velenosi. Ora il Giuli se ne sta a Milano dal
lunedì al venerdì ben pagato dalla Feltrinelli con la sua casetta a la page sul naviglio. Torna
a Spezia il venerdì sera per odorare un po’ di salmastro e per portare fuori il suo cane Che
Guevara, spezzino doc.
Io Chiara e i bimbi torniamo a Spezia nei week end d'estate o comunque saltuariamente. Io
torno per quella forma che Kundera definisce nel suo romanzo L'Ignoranza, "nostalgia",
dal greco nostos "ritorno" e algos "sofferenza". Per quanto riguarda i bimbi, che hanno
pure la erre strascicata e sembrano una sorta di francesi della val di vara, la sofferenza è
nello stare inscatolati nella bmw per circa un'ora. La mia saudade si manifesta soprattutto
quando mi faccio 200 km per vedere tutte le partite dello Spezia e per questo non mi sento l'
Ulisse che torna a casa, anche perché grazie ai kw della x5 in pratica impiego a raggiungere
lo stadio Picco quanto ad andare al Tardini.
Il Giuli concorda che l'inviato sul set dell'ateneo bolognese sarò io… travestito da
studente lavoratore fuori corso, del resto con il mio capello lungo e con l'aria e lo sguardo
da tossicomane, sarò certo più credibile che nelle stanze del palazzo della provincia .
Capitolo 3
13 luglio venerdì ore 15.Sarzana (Sp).
Ho posteggiato la x5 davanti alla stazione, ovviamente è in divieto. Bisogna solo fare
attenzione che non sia in una zona rimozione . Le multe da divieto di sosta quando hai
poche spese te le puoi proprio permettere, viceversa, il tempo ha un prezzo difficilmente
quantificabile.
Entro nell'atrio del palazzo della psichiatra. Basta suonare il campanello a fianco di
un’anonima targhetta che recita un "studio medico" non meglio specificato.Un portone di
ferro si apre automaticamente con uno spettrale rumore-movimento.
Ovviamente al primo appuntamento la “doc” ti spiega tutto, è come se ci fosse una
parola d'ordine e ti senti l'eletto che partecipa ad un misterioso ed irraggiungibile rave party,
in realtà stai banalmente andando da un medico.
Questo dottore ti dovrebbe curare i nervi e la psiche e comunque aiutarti a fare una
vita normale. Anche questo ha a che fare con il tenore di vita come il cell o la 4x4… una
volta lo psichiatra era una prerogativa dei matti, adesso ci vanno pure quelli che si fanno le
cosiddette “seghe mentali”. Devo ammettere che la prima volta se non fosse stato per Gino
e mia moglie Chiara non sarei mai venuto da questa Barbara Chiesa psichiatra.
La diagnosi che attribuì al mio caso fu quella di “sofferente di attacchi di panico con
polarizzazioni ipocondriache” (il fatto di avere delle polarizzazioni già mi riempì di
orgoglio). Ad oggi vorrei tanto sapere cosa sono diventato, ormai ciclicamente ci vediamo e
io le vomito addosso i miei problemi. E tante volte più che di problemi mentali sono crucci
che in "osteria" verrebbero definiti problemi “di figa”.Comunque sia la Barbara mi aiuta, fra
un messaggio e una chiamata al suo cellulare. Praticamente la signora vive in simbiosi con il
suo cellulare, la cosa ridicola è che ne ha uno solo che fa da privato e da lavoro…
immaginatevi voi il ritmo: considerando che il numero lo hanno a loro disposizione gli
schizofrenici ,i lievemente depressi passando per le amiche arrivando al fidanzato(da tutti i
pazienti maschi e lesbiche invidiato).
L'ambiente è arredato con gran gusto e con cose economiche che talvolta ritrovi nel
catalogo Ikea. Una forma di educazione quasi imbarazzante e sofisticata ti fa trovare
portaceneri in ogni dove, quando è noto che la doc sia evidentemente non fumatrice. Mentre
te ne stai in sala d'aspetto una musica anonimissima jazz viene diffusa da due microscopiche
casse che se ne stanno tipo guardie svizzere davanti alla porta dello studio e ti fanno solo
percepire la presenza di un altro paziente.
La porta si apre ed esce lei che stringe la mano al "cliente" dell'ora prima. In modo
inquietante lei si divide tipo campo da tennis in precisissime ore, talvolta i più logorroici ti
strappano dieci minuti che la Barbara recupera abilmente per evitare di andare a casa fuori
orario.
La cosa buffa è che questa doc è abbastanza carina e più giovane di me ed io, per
quanto mi sia d'aiuto, non riesco a non assumere un atteggiamento da flirt o da
competizione. Talvolta la sfido, pure vincendo, raccontandole di patologie che per lei sono
solo una reminiscenza di studi pisani.
La ragazza mi cura sempre a suon di scatole di paroxetina, io mi impegno sempre a
spiegarle gli effetti collaterali sulla sfera sessuale, ma con delle parafrasi arzigogolate è
difficile far capire che la sostanza ritarda o meglio mi ritarda l'orgasmo in un modo atroce,
facendomi fare maratone sessuali pericolose per il cuore.
Quando esco dallo studio sono rinfrancato; ho pochi soldi in meno e una nuova
terapia, autorizzato a bere quel poco di vino in più e a farmi le canne.
Comunque sia e a parte tutto, quando mi trovavo sommerso nella melma delle miei
sinapsi la Barbara mi ha tirato fuori e per me resta sempre la “dottoressa” che tutti invidiano
e che mi tengo stretto.
Capitolo 4.
L’antefatto.
2 luglio lunedì 2007.
Nella vita di ciascuno di noi ci sono degli eventi esiziali. Sono sostanzialmente casuali.
Sono a volte piccole cose, a volte più grandi, ma sono quelle cose che determinano un
brusco cambiamento, un angolo di 90 gradi sul percorso che stiamo facendo. Nel mio caso,
probabilmente, qualcosa covava sotto. C’erano delle braci accese, una combustione lenta
che durava da chissà quando, sopita, aspettava dell’ossigeno per divampare in fiamme. O
forse l’esempio più calzante è quello del detonatore. Ero una sorta di tritolo biologico che
aspettava la scintilla per esplodere. E il paradosso fu che le immagini di un’esplosione reale
fecero da miccia ai miei pensieri sovversivi e cominciò tutto…
Stavamo a tavola come tutte le sere: Chiara con il suo immancabile giornale dei programmi
di Sky, le due gemelle con il loro Disney Channel mentre Edoardo leggeva un fumetto che,
mi vergogno ad ammetterlo, non saprei cosa fosse, ma di certo non “Lando”né “Il
Montatore” e né “L'oltretomba”, quei fumetti che hanno accompagnato la mia scoperta del
sesso negli anni settanta. Non era neppure un manga, altrimenti l'avrei poi letto io stesso.
Alle 21,30 accompagnai Lucrezia e Ludovica nella loro camera, le aiutai a mettersi
in pigiama e rimboccai loro il lenzuolo.
Le bimbe vogliono sempre, che racconti loro la favola dei tre porcellini.
Ovviamente la conoscono a memoria, ma io credo che si divertano a vedere ogni sera cosa
invento e cosa distorco rispetto alla sera precedente. Il gioco sta ovviamente nell'aggiungere
buffi particolari anacronistici tipo orologi o telefoni cellulari o cose e animali che per la loro
naturale origine non dovrebbero stare nel contesto fiabesco. In questo denotano un'
intelligenza ed uno spirito non proprio della loro giovane età e, sarò patetico, ma io mi
diverto moltissimo. Quando scendo nella sala da pranzo Chiara mi chiede sempre se si sono
addormentate facilmente o se abbiano faticato a prendere sonno. Io non le confesso mai che,
quando ritardo, è perché la favola mi ha portato chissà dove con la fantasia. Quella sera non
ricordo quali furono le variazioni al tema però tornai a tavola alle 10 e qualche minuto (ora
lo posso dire con precisione perché ricordo l'esatto punto del documentario che cominciava
alle dieci; non si sa perché, ma i format e i programmi di ogni genere del palinsesto
satellitare di Murdoch durano o mezz'ora o un'ora con una precisione svizzera, frutto di abili
tagli e pause pubblicitarie).
Visto l'assenza di Chiara ed Edoardo, assenza mentale che si palesava nell’ aver
lasciato la tv su Disney Channel, mi impadronii del telecomando e dopo una rapida occhiata
al menù mi fermai su History Channel.
Trasmettevano la prima del documentario girato da due giovani cameraman
dell'epoca, pochi minuti dopo lo scoppio della bomba alla stazione di Rimini. Era il luglio
1980… capii solo dopo che era il 27° anniversario della strage.
Il ricordo che ho di quella giornata era solo legato alla mia villeggiatura nella casa di
campagna di Fosdinovo, ricordo lo sdegno dei miei nonni e dei miei genitori e ricordo che
guardavo i telegiornali con quella curiosità morbosa che si ha davanti agli eventi nefasti, la
stessa strana forma di attenzione che tutti rivolgemmo, adulti e bambini, al dramma di
Alfredino e del pozzo artesiano di Vermicino, la stessa forma di innata curiosità che ci
spinge a fermarci quando vediamo un incidente, la stessa sensazione che genera noia
inconfessabile, dopo la partenza senza incidenti in una gara di formula uno.
Ricordo i servizi sui giornali dell'epoca, le foto dei sopravvissuti che rilasciavano
interviste sul settimanale Gente, qualcuno che al telegiornale diceva di aver sentito un
grande vento. I miei genitori che mi spiegavano che di una bomba uccide anche lo
spostamento d'aria. Io che non capivo come una ventata d'aria potesse uccidere 100
persone, ma quando sei un bambino è più probabile che tu rimanga impressionato dal
fantasma del Louvre che da una serie di corpi anonimi ricoperti da lenzuoli bianchi.
Il documentario attirò l'attenzione di Chiara ed Edoardo. Per un'ora nessuno fiatò, è
difficile descriverlo anche perché vi giuro che l'ho visto solo quella sera e malgrado tutto il
materiale che stiamo mettendo insieme noi del... “gruppo di studio” (ma si per adesso lo
chiameremo così) non abbiamo ancora avuto occasione di vederlo tutti insieme. Io so solo
che quella strage ogni tanto me la trovo davanti quando meno me l'aspetto: o citata nel film
del rocker diventato abile regista o inserita nel film sulla banda della Magliana.
Ogni volta mi provoca una sensazione strana. Ogni volta mi vergogno. Ma la sera
del 2 luglio è stata differente. C'è uno strano silenzio nel documentario, le interviste sono
fatte a persone di varie regioni, tutti dicono la loro, ma tutti capiscono subito che non si
tratta di un incidente. Il silenzio e la mancanza di una colonna sonora di sottofondo
conferiscono al documentario una sorta di realismo che ti riporta indietro negli anni e ti fa
sentire presente, vorresti entrare nel video, vorresti scavare le macerie con le tua mani.
Aiutare quei portantini vestiti di bianco con quelle improbabili ambulanze che sembrano
uscite da un film con Maurizio Merli.
Io mi sono emozionato come non succedeva da anni. Mi sono vergognato di essere
italiano Noi sappiamo bene che quella, allo stato attuale, fu una strage senza colpevoli. Alla
fine del filmato come in Schindler’s list, dove gli ebrei sopravvissuti portano una pietra
sulla tomba di Oskar, senza musica né rumore compare la lista dei nomi con a fianco l'età
delle vittime.
Avevo le lacrime agli occhi e ancora adesso a pensarci mi commuovo. Immagini le
famiglie in vacanza, l'unico sopravvissuto con la vita segnata per sempre, i genitori che non
hanno più il loro unico figlio , il bambino che non ha più i genitori, un paese colpito nel
cuore delle vacanze, nel cuore della famiglia in quell'attimo di felicità che precede il viaggio
delle sospirate ferie, la felicità e la serenità di un ritorno a casa… eh si, chi lo architettò fu
davvero un genio del terrorismo. Perché quello fu il gesto terroristico per antonomasia, fatto
da italiani contro italiani , fatto da chi sa dove colpire e come colpire nel cuore della gente.
Una cosa che genera terrore nella vita di tutti i giorni. Sorrido amaramente alla luce della
strage di Rimini quando sento parlare di terrorismo nel commentare le azioni della lotta
armata degli anni settanta o degli omicidi delle nuove o vecchie brigate rosse. Il terrorismo è
la politica del terrore e si genera colpendo le persone normali nella loro quotidianità. Forse è
terrorismo quello dei palestinesi e forse lo è quello dei musulmani di Al-Quaida, le radici
comunque sono differenti ci sono delle diversità di etnie e delle guerre religiose che
malgrado non giustifichino tali atti possono persino essere comprese, ma la strage di Rimini
e le altre stragi definite “di stato", sono un paradosso che difficilmente potrete trovare nei
paesi occidentali.
Mi vergognai di essere italiano. Avrei voluto prendere tutto e andarmene,
consapevole dell'impotenza di cambiare questo paese. Consapevole di essere in mano ad
una classe politica che, qualunque colore rappresenti, continua a comportarsi nel modo
medesimo da anni con il succedersi dei vari governi. Almeno negli anni settanta gli ideali
della sinistra politica erano davvero una specie di utopia forse realizzabile, erano un sogno
che si poteva perseguire e sostenere, si manifestava e si pensava che qualcosa potesse
cambiare, proprio attraverso una parte di classe politica. Oggi no. Oggi lo sappiamo. Oggi
siamo impotenti e ci hanno tolto anche i sogni di fantapolitichese.
Il giorno dopo chiamai Giuliano. Chiesi se ci potevamo vedere. Mandai una e-mail anche a
Giovanni.
Capitolo 5.
Giovanni.
Conobbi Giovanni durante il servizio militare di leva negli alpini a cavallo fra l'anno
91 e 92... non si può raccontare il servizio negli alpini, sarebbe come quando sottoponi alla
tortura del film delle vacanze i malcapitati ospiti di turno o quando fai vedere agli amici che
non c'erano il filmino del matrimonio che dura solo 90 minuti.
Forse parafrasando quel gioco che settimanalmente viene pubblicato nella settimana
enigmistica con una serie di parole concatenate, si possono generare delle sensazioni che
potrebbero far capire qualche stato d'animo dei malcapitati con il capello con su la penna.
Divisa-uniforme-regole-sveglia-mattino-paura-libera uscita- cena-rientro-silenzio.
Eravamo al poligono di Punta Tamerla e avevamo steso gli zaini tattici allineati come
fossero soldati in plotone, era un boschetto simpatico per andare a funghi, ma diventava
l'odiato boschetto del poligono nella fattispecie.
Vidi un ragazzo con la faccia simpatica, appartenente ad uno scaglione più anziano,
non che ci fosse scritto da qualche parte ma si percepiva da come si muoveva e dal fatto che
quelli del tuo scaglione li conosci già tutti.
Sfogliava nella pausa post pranzo un fumetto di Dylan Dog, il caso vuole che poco
prima di partire nella mia cerchia di amici intimi il giornaletto andava molto forte e si soleva
aspettare con ansia e trepidazione l'uscita del nuovo numero mensile commentando
nell'attesa i vecchi numeri.
Il solo fatto che avesse per le mani quelle familiari pagine, in un instante, faceva diventare lo
sconosciuto una specie di amico intimo in mezzo a quella accozzaglia di provenienze,
dialetti e storie di vita di differenti.
Mi avvicinai e cominciai a discutere dei vari disegnatori dell’indagatore dell’incubo.
Da quel giorno io e Giovanni fummo amici inseparabili.
Dopo il servizio, che lui fini alcuni mesi prima di me essendo, in gergo naja, più anziano,
continuammo a sentirci e,, qualche anno fa durante una sua gita alle Cinque Terre potemmo
riabbracciarci.
Alcuni giorni dopo andai insieme a lui ed alla sua compagna ad una conferenza di
Emergency e capii che avevamo una sintonia di fondo che andava oltre alle inevitabili
amicizie che si allacciano durante il servizio militare.
Ancora oggi ci scambiamo periodicamente e-mail ed è come se il discorso tra di noi
proseguisse senza soluzione di continuità anche se stiamo dei mesi senza sentirci.
La mattina del 3 luglio dopo il documentario gli scrissi una e-mail, il caso volle che
anche lui vide la medesima cosa alla stessa ora.. come migliaia di italiani. Ma il nostro
legame era particolare e....
3 luglio martedì.
ore 8:45
f***@provincia.parma.it to g******@datasystem.com
ciao g
ieri sera su hc ho visto un doc girato da dei cameramen poco più che ventenni accorsi
sul posto subito dopo la strage di Rimini dell'80.
se penso che degli italiani hanno fatto quello ad altri italiani...cioè io g mi sono
vergognato per la prima volta (o forse non per la prima) di essere italiano. Mi fa
schifo abitare in questo paese. Io me ne voglio andare.io nn voglio che i miei bimbi
crescano in un posto dove sono successe queste cose...io voglio capire meglio..fare
qualcosa....
ciao
f
ore 10:31
gio****@libero.it to f***@provincia.parma.it
ciao fede
ho visto pure io
no comment
senti ti va un aperitivo in centro da me?
ti chiamo
fammi sapere quando hai un po’ di tempo
ciau bello
Giovanni lavora come sistemista in una cooperativa di ristorazione di Reggio
Emilia. E’ di Torino, ma il lavoro ha portato pure lui in terra emiliana. Ha partecipato alle
terribili giornate genovesi del g8, e talvolta sembra essere un'attivista di Green Peace, nel
senso che non ho mai capito ne ho mai indagato a fondo se la sua è una posizione
partizan… nel senso di prendere le parti e sponsorizzare la causa facendo circolare per le
mailing list qualche messaggio o se ogni tanto, quatto quatto, partecipa ad azioni
"operative". Tutto sommato è la persona più schierata che conosco, ma è un bravo figliuolo
e ha davvero dei valori etici importanti. Si potrebbe definire uno che è di sinistra e si
comporta da tale.
La prima volta che venne a Spezia a trovarmi aveva la 127 scassata del
padre.Durante una missione di servizio da Cuneo a Torino, malgrado ci conoscessimo da
pochi giorni, mi portò in casa sua a mangiare (roba che in Liguria fai con il tuo amico
d'infanzia) e mi portò in casa di una sua amica (peraltro pure una bella ragazza) quando
eravamo vestiti con la divisa di ordinanza e io mi vergognavo come un cane. Malgrado ciò,
il calore della sua famiglia e dei suoi amici, fecero diventare quel giorno di naja un giorno
memorabile.
Giovanni è di Torino ma è di origine calabrese, del resto era difficile stringere dei
rapporti con i “gidri”, gli indigeni della provincia “granda” o con i torinesi doc...anche noi
liguri a Cuneo eravamo una specie di terroni del nord.
Capitolo 6.
6 luglio venerdì.
Seguendo un po’ l'istinto e vista la mia stima per Giovanni, pensai di far incontrare il mio
"amico del militare" con Giuliano.
Erano passati tre giorni dalla trasmissione del documentario, il Giuli come tutti i fine
settimana scendeva da Milano e passava da casa mia a Varano verso le 21,30. Io mettevo a
letto le gemelle e mi dileguavo salutando Chiara ed Edoardo per il solito venerdì in riviera.
Arrivavamo a Sarzana con le macchine incolonnate, dopodiché parcheggiavamo a
porta Parma e dopo la consueta birra più focaccina da Simon Boccanegra, era già quasi
mezzanotte, tempo di una cannetta e del solito puttangiro.
Rientravo verso le quattro, dopo il caffè all'autogrill Tugo, quando i cartelli dei
viadotti cominciavano ad animarsi con lo sbattere delle palpebre in forme improbabili di
folletti e gatti che volevano attraversare la carreggiata.
Il sabato non ero mai in ufficio prima delle dieci e spesso la bocca era asciutta e la
gola bruciava .
Uno di quei folletti autostradali mi martellava su una tempia come un picchio sul
leccio. Al pomeriggio dei giorni feriali approfittavo sempre di qualche riunione fra dirigenti
per recuperare le ore perdute al lavoro nei postumi del venerdì sera. Alcuni sabati non
andavo nemmeno e comunque, anche quando ero presente, dopo il mitico venerdì
rivierasco, non ero affatto in condizione, ma nessuno poteva sospettare che un dirigente
pubblico con prole felicemente sposato della “provinciadiparmabene” avesse tali vizi
malgrado il capello lungo e l'occhio inespressivo.
Quel venerdì il Giuli si presentò su mia insistenza all'ora dell'aperitivo. Le gemelle
rinunciarono ai tre porcellini e il mio migliore amico per essere a Varano alle sette prese un
pomeriggio di ferie… gli assicurai che ne sarebbe valsa la pena...
Invece che la solita galoppata sull'autocamionale Cisa, ci dirigemmo verso Reggio
Emilia. In pianura mi perdo facilmente, nello spezzino è facile trovare le strade perché ci
sono dei riferimenti certi e facilmente visibili: da una parte i monti , dall'altra il mare, o
comunque le splendide torri dell'enel (torre forse ne è rimasta solo una… ma prometto di
contarle la prossima volta che arrivo dall'autostrada) o le gru del porto che mi ricordano il
video dei Police “every little things she does is magic”. Purtroppo bastano le stradine
all'interno del lungomare versiliano, percorse per evitare le code ed i semafori, per metterci
in difficoltà… intendo di notte, perché di giorno la Versilia, con le Apuane sullo sfondo,
risulta facile quanto il territorio ligure.
In pianura, dove l'odore del salmastro è sostituito dal profumo del letame e quando
i raccoglitori d'acqua (quando mai capissimo a cosa servono e cosa sono) sembrano essere
tutti uguali; o c'è san navigatore o si continua a girare in tondo tipo i topi ballerini della fiera
di San Giuseppe. Per noi le frazioni e i panorami della padana sembrano tutti uguali come i
cinesi che vendono nei banchi del mercatino e i peruviani che suonano Careless Whisper al
flauto di pan.
Arriviamo a casa del Giovanni senza accendere il navigatore, dopo il panegirico
sulla difficoltà di orientamento nella bassa, va detto che il Giovanni abita a Reggio in centro,
precisamente vicino allo stadio Mirabello, beffardi spalti per un tifoso spezzino, per cui
avendo indirizzo e riferimenti da cittadino e non da contadino, ci si arriva in poco tempo.
Suono e Giov risponde che scende. Sale sulla x5, gli presento Giuliano. Si va in un
locale alternativo dove Giov sembra essere di casa.
Stranamente fuori c'è una specie di buttafuori. Il posto si chiama Tropico
Mediterraneo e sembra che, al contrario delle normali selezioni di clientela, qui il gigante
nero davanti all'entrata faccia entrare solo schioppati, freak, negri, lesbiche, finocchi e
comunque persone che all'apparenza hanno una certa allergia al sapone. Di per se il posto
mi è subito simpatico se nonché sono un po’ rabbuiato perché, per non dare nell'occhio,
sarebbe meglio un normalissimo pub stile irlandese tarocco.
Giuliano sembra un intellettuale finto povero, Giovanni sembra quello che è, ed è
davvero fantasticamente anonimo, io ho il capello lungo raccolto e la barba a macchia di
leopardo che vanno sempre bene. Basta qualche capo di abbigliamento giusto al posto
giusto e, visto che stasera ho dei jeans che non conoscono lavatrice da mesi e scarpe usate
per andare in moto da casa al circuito per decine di volte, il buttadentro apre il cordone.
La cosa buffa è che in un locale così il cordone stile serata degli oscar stona quanto
un informatore scientifico vestito da informatore scientifico ad un concerto dei Ramones.
Mentre stiamo in coda, una coda peraltro corta, penso alla canzone "Sexy" di Luca
Carboni e a "Freak" di Bersani... così entro distratto mentre canticchio "ciao ciao belle
tettine"… e in effetti di belle ragazze ce ne sono eccome e tutt’altro che freak.
Ci sediamo in un tavolino vicino ad un muro zebrato, le seggioline sono leopardate.
La musica è quella dei Clash e in pista la gente balla con stili diversi come si confà al tipo di
locale. Abbondano le Corona con il limone rigorosamente bevute alla bottiglia. C'è pure un
dehors dove si può fumare senza passare dalla frontiera dove ci sta il doganiere del look.
Credo che se il runner dei 49's selezionatore della clientela avesse come cane un
pastore dell'antidroga, il canide arriverebbe alla branda per il sonnellino, senza voce e con le
nari da trapiantare. Nel chiosco il fumo è denso come la nebbia dei mattini di gennaio e il
profumo che si sente è inconfondibilmente di resina. Le mie palle girano come le pale
dell'elicottero perché sono convinto che qui ci siano anche quei pulotti in borghese che
quando passano nell'auto civetta ti metti la mano al portafoglio.
Non abbiamo bisogno di pubblicità e in questa fase di progettazione meno persone
ci vedono insieme e meglio è, e comunque non ci devono vedere né in centri sociali né in
locali dove la clientela è monocorde. Credo che a differenza di delinquenti abituali e invasati
politici , noi potremo avere quella dose di furbizia, cultura, intelligenza e cinismo che ci
permetterà di fare le cose in modo da portare a termine il nostro studio.
Abbiamo tre birre davanti. Tre corona senza bicchiere e tutto sommato non diamo
nell'occhio.
"Giuli, ieri io e il Giov abbiamo visto una specie di documentario sulla strage di
Rimini".
Sorsetto alla Corona. Ma il limone sarà biologico? Non è che mi sto ciucciando quei cavolo
di anticrittogamici e antiparassitari che fanno venire gli agrumi da concorso fotografico per
etichetta di limoncello?
"Dove?"il Giuli guardando la bottiglia di Corona e studiando il limone.
"Su hc"..
"Ma siete usciti anche ieri sera?".
Giovanni mi guarda un po’ spaesato accenna un sorrisetto, ma intuisco che sta pensando:
"ma questo qui è sciroccato!!!!".., ha ragione, ma Giuliano è il mio migliore amico.
"Giuli, per una strana combinazione sia io che Giovanni abbiamo guardato history
channel alle dieci di sera, ognuno a casa propria e senza sapere che lo stavamo
vedendo in contemporanea"
"Ah…ho capito, brutta cosa la strage".
Giovanni esordisce "una vergogna che mi fa ancora e mi ha sempre fatto venire i brividi".
A questo punto devo cominciare ad esporre la mia idea…
"Sentite raga, io vorrei che ogni tanto ci trovassimo per fare delle ricerche su questo
avvenimento, che a parte essere il più sanguinolento attentato in termini di sacrifico
di vite umane, mi sembra anche la vergogna più grossa di questo paese in questo
secolo... perché fatta quasi sicuramente da italiani con complicità di italiani e in un
momento politico che comunque non era il ventennio fascista. Non so se mi
spiego".
Giovanni annuisce "io ci metterei pure Ustica e la funivia abbattuta dal caccia americano...".
Il Giuli sta guardando una tipa che balla da sola e che ha poco dell'acerba bellezza di Liv
Tyler nel film di Bertolucci. Annuisce, non so se per empatia di giudizio politico o per
l'approvazione dei movimenti e delle forme della ragazza.
"Ho pensato che al venerdì sera potremo vederci a casa mia nel mio studiolo, tanto
Chiara si fa beatamente i cazzi suoi e gli infanti della lunezia sono già nelle loro
stanze. Poi Giuli o ti fermi a dormire da me o vieni a dormire da Giov qui a Reggio.
Tanto le canne si fanno pure qui e il puttangiro qui è pure migliore. Manca il fascino
versiliano, ma dimmi la verità... quante volte ci siamo spinti più in giù di Marina?
(Marina di Carrara dove il Giuli aveva una casa, estirpata dai cugini cattivi)
"eh si... mi pare che qui non sia male… c'è del materiale".
Il Giuli continua a guardare la ballerina che adesso dai Clash è passata agli U2 di una
sanguinosa domenica.
"Guarda, Lory viene giù raramente… e in questo periodo… insomma… non è che
vada proprio...".
Ecco per unire Giuli e Giov ci mancano solo le beghe d'amore e poi sono più perfetti della
strana coppia.
"Insomma, a Chiara dico che giochiamo a subbuteo o a carte... tanto non entra nello
studiolo".
Quella è terra franca, poi probabilmente rovista quando non ci sono, ma in effetti ci sono
più io in casa da solo che lei che sta sempre in ufficio. Il famoso studiolo l'ho fatto arredare
dopo che sono nate le gemelle, è una sorta di stanza di decompressione.
“Poi mi piacerebbe farvi conoscere la mia amica Paola di Roma e un suo amico…
cioè… beh è il suo ex capo…”
“E cosa dovrebbero fare?”
Era inevitabile che aggiungendo componenti Giovanni cominciasse, empio di senso pratico,
a fare un’espressione stralunata.
“Chi è la tua amica Paola?”
Il giuli immerso nel suo amplesso mentale con la tipa in pista ritorna per un attimo in
conversazione, mi ricorda quella volta che me ne stavo con una tipa di Salso che avevo
conosciuto in ufficio. Faceva l’agente venditrice per una casa editoriale che si occupa
principalmente di pubblicazioni per burocrati, quelle ragazze tutte tirate che le aziende
mandano in giro come serial killer di funzionari distratti, che parlano parlano e dopo che
pensi agli affari tuoi e annuisci , la settimana successiva ti ritrovi pacchi di libri sulla
scrivania. Orbene questa tipa, eravamo in un motel di Fidenza, mi stava facendo un
pompino, aveva il cell sul comodino, all’improvvisosi sente una vibrazione, lei alza gli
occhi, leva la bocca e alza la testa, io strabuzzo gli occhi in senso interrogativo, lei prende il
cell, lo apre legge il messaggio lo ripone dicendo “un messaggio di Nerino” e imperterrita,
come se niente fosse, continua a fare il suo lavoro di fellatio. Infatti anche il Giuli, fa la sua
domanda e senz’ ascoltare risposta, se ne torna a sorseggiare birra ipnotizzato dalla
curvilinea danzatrice di musica rock.
“Paola, è una ragazza con la quale scrivo quasi tutte le mattine via e-mail, è un po’ la
mia consigliera confessora e… forse la segretaria che mi manca”.
“E il suo capo?... Cioè cosa c’entrano loro, insomma in che modo possono esserci
utili?” mi pare che Giovanni si stia innervosendo.
“Paola è una segretaria organizzativa con i controcazzi e una persona così serve
sempre e a chiunque, a prescindere da quello che si fa o meno… non so se mi
spiego… cosa ti posso dire? …Immagina una persona che in due giorni è in grado
di organizzarti un convegno a cui partecipano 100 persone che arrivano da mezzo
mondo”.
“Mmm…”.
Il Giovi annuisce con l’occhio semichiuso, la sua espressione è di quello che compatisce,
come se fossi innamorato della mia amica.
“No no, caro… mi spiego meglio, lei è una specie di Mr. Wolf al femminile, ricordi
Pulp Fiction, ricordi il personaggio interpretato da Harvey Keitel, quello che arriva
con lo smoking e in mezz’ora ripulisce l’auto dove Travolta e il socio hanno
spappolato il cranio di quello che stava dietro? Ecco, lei risolve i problemi proprio
come Wolf”
“E quale sarebbe il nostro problema?”
“Te ne accorgerai presto... il primo sarebbe far tornare sulla terra sto stronzo di
GIULIANO”
“Eh? Perché sarei stronzo io?”
“Adesso sta zoccola la chiamo e la faccio sedere qui…”
Sorrido e faccio il gesto di alzarmi, ma Giovanni mi ferma.
“O deficienti, guarda che quella qui viene sempre e se non erro è la donna del
mastino dell’ingresso, o teste di cazzo volete che ci facciano il culo subito?”
“Ocheiiiii dai stavo scherzando, ci sei Giuli? Sei fra noi?”
“E ma se non si può nemmeno guardare un po’ di figa…”
“Scusa Fede, ma tornando a cose pseudo-serie: l’amico di Paola che c’entra?”
“L’ingegnere Fugazza sarà molto prezioso, è uno che conosce … di tutto e di più, è
in un momento difficile ha bisogno di far qualcosa e sarà di grande aiuto”
“Va bene, vada per la magica cinquina… così adesso siamo in cinque”
Il Giuli alza il palmo della mano verso Giovanni, il quale poco convinto batte alla moda dei
giocatori di volley... è un gesto un po’ troppo american style per uno come lui... ma pare
compatire il nostro libraio di fiducia.
Capitolo 7.
7 luglio sabato.
Nella rete del palazzo provinciale non si possono usare messaggerie e chat sincrone a causa
di un sofisticato firewall, per cui l'e-mail viene usata quasi come dialogo in tempo reale sia
fra dipendenti e utenti della rete che fra la provincia e l'esterno. Mentre si lavora, è il modo
più facile di comunicare con privacy e delicatezza, senza dare troppo nell'occhio. Fermo
restando che gli amministratori e i manutentori del software si leggono tutto, e secondo me
sono una sorta di voyeur telematici soprattutto quando leggono le mie righe con Monica.
Non possono però divulgarle, altrimenti verrebbero denunciati. Potrebbe darsi che non le
leggano, ma ciò mi sembra piuttosto improbabile visto che non hanno fama di essere molto
impegnati e a farsi gli affari altrui il tempo vola, soprattutto quando si è pur discretamente
remunerati.
fconti@ to HYPERLINK "mailto:[email protected]"
[email protected] ; [email protected]
bg
sei a casa?
soliti casini in ufficio, l'aria condizionata è rotta. fortuna che nn è caldissimo.
con Moni tutto ok, moglie e pargols tutti bene.
scusa ma nn ricordo mai se tu e mauri avete sky, comunque per caso hai
visto il doc sulla strage di rimini?
ieri sera con giuli e giovi, l'amico ex-naja che lavora a parma.siamo stati in
un locale alternativo (secondo il giudizio di giovi), che poi ormai il locale
alternativo per lui sarebbe il mcdonalds.
ci siamo divertiti, abbiamo bevuto , non abbiamo conosciuto un cazzo di
nessuno e dopo abbiamo fatto il mitico puttangiro senza trombare.
ma se ti chiedo una cosa un po’ strana prometti di rispondere seriamente?
buon lavoro a dopo
b
fede
p.dg@ to fconti@
buon giorno
a parte che di sabato nn lavoro mai, però hai un sesto senso perché sono
venuta a mettere a posto alcune cose del fugazza
ieri sera o comunque succede già da un paio di sere siamo usciti e nn
abbiamo guardato la tv, nn abbiamo sky come ti ho già detto mille volte ma
solo il digitale terrestre.
soprassiedo sul vs puttangiro effettuato quasi sicuramente con la tua auto
e con giovanni seduto al posto delle gemelle.vergogna. :P
se si tratta di sesso non rispondo seriamente se si tratta di altro vorrebbe
dire che sta per nevicare in luglio
buon lavoro (si fa per dire eh?)
paola
fconti to pdg
re: bg
a parte gli scherzi, il tuo boss è già..come dire....partito o è ancora in
servizio?
poi ti spiego
b
f
re:re:bg
mi ha tel anche stamattina.
completamente fuori da questa società, anzi meglio non nominarlo
re:re:re:bg
ma...come sta?
re:re:re:rebg
ma sei fuori? cos'è sei in ansia per l'ingegnere ahahahha
te l’ho scritto mi ha chiamato poco fa..io dico che sta per sbroccare
re:re:re:re bg
passiamo sulla posta privata
[email protected] to [email protected]
o paolina, secondo te il fugazza potrebbe aiutarci in un progetto, diciamo una
cosa no profit dove però ci serve uno che sappia muoversi in certi ambienti
e con conoscenze un po’... come dire… altolocate?
pdg_rome to fconti
ma non sarebbe meglio che continui a scrivere e a frequentare le tue
zoccole? cosa ti interessa del fugazza?
Capitolo 8.
Breve storia dell’ing.Fugazza.
La mia fedelissima amica di penna, o meglio dire di tastiera, Paola lavora come segretaria
dell’amministratore delegato di una società che si occupa di impianti di telefonia.
Esattamente non so di cosa si occupino perché non sono un tecnico, tuttavia è certo che
abbiano un fatturato molto alto. Nell’ordine di milioni di euro s’intende.
Malgrado ciò la proprietà è ancora in mano ad una sola famiglia, quella del
presidente, ovviamente.
L’amministratore delegato nominato dal consiglio è di fatto scelto dal presidente in
base a conoscenza personale. L’ingegner Fugazza attuale amministratore delegato
dimissionario della Tecnoimpianti è stato negli ultimi sette anni il braccio destro,e anche
quello sinistro, del vecchio Narciso Bianchi, presidente della Tecno Impianti, poi i nipoti del
boss sono riusciti piano piano a screditarlo.
Francesco Fugazza è un manager di tutto rispetto e in poco tempo dalla nomina era
diventato il Richelieu dell’azienda. Fino ad un paio di anni fa il suo dominio e prestigio in
azienda erano inarrivabili. Tutti lo temevano, la maggior parte lo stimava e comunque
detrattori o ammiratori godevano dei benefici degli affari che concludeva, portando oro e
prestigio, in forma di contratti stellari, all’azienda della famiglia.
I giovani della famiglia Bianchi erano due ingegneri con laurea rigorosamente
comprata dallo zio, fratello della loro adorata mamma. Per descriverli bisognerebbe far
riferimento solo alla descrizione dell’abbigliamento a modo di Brett Eston Ellis in
“American Psycho”, partendo dalla cravatta per arrivare ai calzini ed alle scarpe Brooks
Brothers, già perché, sotto il vestito, e mi secca parafrasare il titolo di un film dei Vanzina,
c’era ben poco, e dentro la testa la scatola della cintura di Gucci le chiavi di una Bmw m3 e
il certificato di garanzia dell’Audemars Piguet al polso. Ma queste cose, quando si tratta con
i manager delle più importanti aziende telefoniche, le appendi come palle di vetro sull’albero
di Natale.
Il Fugazza aveva cominciato a portarli con lui, il vecchio voleva che imparassero,
ma il Fugazza, uno che dice una parola ogni dieci minuti, li compativa e appena poteva
cercava di sganciarli a qualcuno, anzi Paola mi diceva che malgrado non aprissero bocca in
riunioni e trattative i nipoti portavano pure sfiga.
Piano piano però i due coglioni firmati cominciarono a screditare il Fugazza e
cavalcarono alcune sue debacle, in realtà i fallimenti di trattativa poco avevano a che fare
con le capacità dell’ingegnere, erano solo legati ad un periodo probabilmente piuttosto
statico del mercato, fatto sta che ci volle poco per il gatto e la volpe a far cadere in disgrazia
colui che negli ultimi anni era stato il vero artefice della fortuna della Tecnoi. Ovviamente
ciò equivaleva a darsi delle martellate nei testicoli, ma loro i coglioni non li avevano, li
erano, è differente.
Il Fugazza, uomo di grande orgoglio, dopo l’ennesimo litigio con il Narciso
avvenuto in presenza dei consiglieri fraudolenti, rassegnò le dimissioni, che vennero
prontamente respinte. I due bastardi cercarono anche di convincerlo a rimanere, facendogli
capire subdolamente che poteva essere utile anche in altre fasi e processi della vita
aziendale. Fu proprio questa l’umiliazione più grande, in sostanza i due nipoti gli fecero
capire che se voleva rimanere lo avrebbero relegato ad un posto di second’ordine, ma dopo
che in un’azienda hai avuto il ruolo di amministratore delegato e factotum, non puoi
accettare un ruolo di dirigenza qualsiasi seppur discretamente pagato.
Così Francesco cominciò a preparare la valigia. Cominciò a dare a Paola le ultime
direttive. Nei mesi successivi la mitica segretaria passava le giornate a fissargli
appuntamenti con i suoi innumerevoli contatti. L’ingegnere stava facendo piazza pulita
chiudendo le trattative in sospeso e sostanzialmente minando le fondamenta dell’azienda,
vendicandosi con il suo potere e le sue conoscenze dei due sciacalli.
Egli nutriva un grosso dispiacere per il vecchio Narciso e per le sorti della “sua”
Tecnoi, però sapeva bene che, per quanto potesse campare fino a cent’anni, il quasi
ottantenne presidente aveva i mesi contati all’interno dell’azienda.
Il dramma fu che il Fugazza stentava a trovare una collocazione degna del suo
precedente ruolo e, detto fra noi, la remunerazione in questa affannosa e rapida ricerca
aveva la sua importanza. La moglie del Fugazza aveva un tenore di vita simile a quello dei
miei suoceri e sarebbero bastati un paio di mesi per polverizzare la buonuscita concessagli
dal Narciso. Per quanto, infatti, fosse stata generosa, non era abbastanza per mantenere la
Mercedes s500 con autista del Francesco, la classe m 500, la Mvagusta e la slk amg del
figlio, la villa con piscina al quarto miglio, il giardiniere e tutto il personale di servizio che
lavorava in villa.
Insomma,da un paio di settimane la moglie se ne era andata da casa non si sa bene
dove, seguita dal viziatissimo ed edipico figlio Piergiacomo. Riguardo alla sua “edipicità”
considerata la bellezza della signora Fugazza, tale Lavinia Bianchi, non gli si poteva dar
torto.
L’inge era rimasto solo nella sua villa in compagnia del giardiniere e più avanti
capimmo il perché l’onesto guardiapiante non l’aveva abbandonato insieme a tutti gli altri.
Capitolo 9.
Lo studiolo.
La mia casa di Varano è una villetta con qualche centinaia di metri quadrati di
giardino. Il prato verde è territorio di Savoiardo. Savoiardo è un alano nero di 5 anni. Io e il
Savo ci diamo del lei: potrei dire che è il cane di Chiara e dei bambini. A me ha sempre
messo un po’ in soggezione fin da quando si è trasformato, dal simpatico canino di 10 chili,
in una bestia da circo balestrata, con le potenzialità di un leone con le unghie tagliate, ma
con la mascella da coccodrillo.
Quando mi vede mi fa le feste, e secondo me finge, non di rado mi sbava sulle
maniche dell'unica giacca buona e mi caccia tranquillamente in terra, comunque sia, al
meglio, mi ritrovo le zampe sulle spalle e la testa sopra la mia e scusate, io gli animali li
adoro, ma con Savoiardo che mi sbava il suo gel biologico nei capelli non riesco ad essere a
mio agio.
Io sono cresciuto con Charlie, un barboncino nano bianco e mi ritrovo con questo
cane che sembra una sorta di nazista in divisa, pure nero lo ha comprato. Non so, ha
quell'aspetto terribile e a me sembra sempre una bomba ad orologeria. Con i bambini è di
una dolcezza e di una delicatezza misteriosa, probabilmente è un essere di intelligenza
superiore, sembra ottuso ma sbava a suo piacimento e talvolta sembra avere quel senso di
giustizia divina propria degli animali mitologici.
Quando arrivo al venerdì fumato e alticcio è sempre sveglio, non abbaia e mi viene
incontro trottando in modo asimmetrico,e quando i cani non abbaiano mi fanno paura. Poi
mi si para davanti, mi annusa come se fossi il postino sostituto e non si muove, allora devo
cominciare la pantomima:
"Dai Savo non rompere i coglioni e fammi andare a dormire che tu domani non devi
timbrare il cartellino…”
mi sovviene quel cartone anni settanta dove il cane pastore e il lupo timbrano il
cartellino alla fine della giornata... Savoiardo è come se avesse un fumetto sopra la
testa che mi dice:
"O testa di cazzo..arrivi fumato e sbronzo e poi lavori in provincia, domani vai alle
dieci non fai un cazzo fino alle due e mi trovi da dire a me che sopporto tua moglie e
i marmocchi che mi tirano le orecchie dalle 8 del sabato mattina?"
A volte penso che la mia coscienza prenda la forma di un alano da guardia.
Quando lo comprammo nel pedigree si chiamava Himmler (ecco perché mi da
sempre l'idea del maggiore delle ss). Poco tempo dopo si pappò una scatola di Savoiardi a
casa di mia suocera lasciando la famiglia senza tiramisù, con la disperazione del mio amato
industrialotto fornovese, per il quale il tiramisù è come il pane e salame che mangiavo con
mio nonno, la domenica, durante la sintesi della partita di serie a in bianco e nero. Riti
familiari che avevo dimenticato, tornati alla memoria proprio frequentando la casetta di mio
suocero a Fornovo .
Oltre alla vaga somiglianza con la reggia di Caserta per dimensione e sfarzosità,
nella villa il vecchio si è fatto costruire un bellissimo studio in stile pseudo vittoriano, quelle
stanze con tanto legno alle pareti zeppe di libri e con luce da studio legale softchic, credo
che lui l'abbia copiato da qualche boss della giurisprudenza parmense. Io l'ho copiato da
mio suocero perché è l'unica cosa che gli ho sempre invidiato, vedevo questa stanzetta a
sinistra dell'ingresso che sembrava sempre vuota, un misto tra lo studio di Ellery Queen e la
sala dove gioca a biliardo Sidney Pollack in Eyes Wide Shut. La cosa che mi mandava in
bestia era che si percepiva chiaramente che la stanza era poco usata e che il suocerone ci si
sarebbe trovato a suo agio come due testimoni di geova nel quartiere a luci rosse di
Amsterdam.
Anche nella mia umile dimora la stanzetta è posta vicino all'ingresso e talvolta
funziona da passaggio tra lo "stress" dell'ufficio e la "quiete" domestica. C'è un pc con tutti
gli optional possibili: microfono cam e le cose che servono per viaggiare in rete; la
collezione di squadre del subbuteo dipinte a mano degli anni settanta, libri libri e libri… il
pianoforte verticale, pochi cd . Tutta la musica ormai è nei files del pc o dell'ipod. La
scrivania in legno abbastanza grande con paralume verde si può benissimo usare come
tavolo da gioco e non destano sospetti i raduni che faccio con gli amici. E’ zona franca o off
limits per tutti e c'è anche un bello schermo lcd da 32 e tutto un impianto audiovideo che mi
ha installato un rivenditore di hi-fi di Parma.
Capitolo 10.
La telefonata con Gino.
Devo ancora cenare,sono nello studiolo,prendo il telecomando del Daikin e lo imposto su
24 gradi. C'è ancora la tata che aiuta Chiara a preparare la cena e a schierare la squadra che
da lì a poco, a guisa di plotone di formiche rosse divorerà e lascerà carcasse di pollo pesce e
quant'altro.
I bimbi sono magri ma mangiano abbastanza. Mi somigliano. Cioè somigliano a me
quando avevo vent’anni che mangiavo e rimanevo sempre uguale. Adesso ho cambiato il
metabolismo, e malgrado pranzi saltati con impressionante abitudine, la sera a cena recupero
tutto e ho sempre un po’ di pancetta adiposa. Per me la tartaruga è un rettile da compagnia e
non una fila di muscoli che fanno da cornice all'ombelico. Una volta nei giardini delle case
dei benestanti si trovavano ancora questi silenziosi animali, adesso vanno più di moda i
pitoni. Però se è vero che le tartarughe di terra campano cent'anni, quelle che vedevo negli
anni settanta a mangiare insalata sotto le piante dovevano essere dei primi del novecento o
forse è solo una leggenda la loro longevità o forse le hanno uccise tutte per farne scatoline
portagioie od occhiali.
Comunque sia per quanto mi riguarda, l'animale in questione è in estinzione.
L'ultima che ho visto era in una barriera corallina delle Maldive ed era di mare, oppure alla
fiera di San Giuseppe ed era di fiume. Per quelle di terra, di gran lunga le più simpatiche, mi
riprometto di stampare un adesivo tipo panda del wwf e di aprire un forum "amici delle
tartarughe di terra".
Prendo il cordless e faccio il numero di Gino. Qui comincia l'avventura telefonica: le
probabilità che risponda lui sono circa una su cinquanta. Il mio amico, chirurgo all'ospedale
di Spezia, per me vale quanto Madre Teresa di Calcutta per un cattolico perché, tanto per
cominciare non fa libera professione, lo trovi in corsia anche per 20 ore di seguito e ha
un'etica che poco risponde alla venalità media che contagia la maggior parte dei medici
specialisti.
Il Gino, invece che spillare soldi a sfigati e malati senza speranza, si diletta nella
coltivazione della vite e nella produzione di un vino che sa veramente di campagna e d'uva.
Non lo legga mai il Gino, il suo vino fa veramente schifo, ma quando apre con fare da
sommelier, le sue bottiglie riserva, e quando lo versa nei bicchieroni da degustazione, non
mi sento mai di dirgli che è più buono e privo di difetti il Tavernello. Conoscendo l'amore
che ci mette, lo tratto come lui si rivolge ai pazienti terminali: con dolcezza e facendo loro
credere anche all'ultimo giorno che probabilmente dopo una settimana saranno a casa loro.
Non so se sbaglia, però è pervaso di un senso di dolcezza ed umanità che raramente ho
riscontrato in chi lavora in mezzo all’immondizia della vita.
La casa del Gino, anche se chiamarla semplicemente casa è un insulto,è un’antica
costruzione colonica ripristinata secondo le ferree regole delle belle arti di Genova e intrisa
di vita, con quel sano disordine tipico degli intellettuali e dei musicisti. La squadra della
Famiglia Gino Strata è così composta: una moglie che ha rinunciato alla carriera di medico
per allevare marmocchi, quattro dico quattro figlie che vanno dai sedici ai venticinque, i cui
nomi faccio fatica a ricordare, in più abbiamo il vecchio padre di Gino e i suoi suoceri, una
coppia di settantenni che gestiva un baretto nel centro di Spezia.
Il patriarca è comunque sempre temuto e rispettato da tutti e malgrado sia su di una
seggiola a rotelle, ricorda il numero uno di Alan Ford , impartisce ordini e incute
soggezione a tutti gli abitanti ed ai malcapitati ospiti. Non bastassero tutti questi soggetti,
visto che quella è davvero una casa ostello, quasi sempre il Gino ospita tirocinanti e medici
precari in attesa di trasferimento.
Insomma, nella lunga tavola durante le cene, a parte il pessimo vino, c'è una sorta di
calore ed eclettismo generazionale che non riuscirebbe neppure a creare Maurizio Costanzo
nei suoi migliori show.
Il telefono ha già squillato per dieci volte ma, nella tenuta del "conte" professor Strata, è
matematicamente e statisticamente impossibile che non ci sia nessuno! In genere risponde la
suocera o comunque una donna, come se l'incombenza delle comunicazioni telefoniche
fosse affidata alle centraliniste gentil sesso di un call center.
"Pronto"... voce femminile anziana (la suocera)
"Buonasera sono Federico c'è Gino?"
"Ah… buonasera... aspetti un attimo che guardo se c'è "
... già a questo punto si può intuire che non si tratta di un monolocale.
"Si grazie"... fuori dalla cornetta si sente un grido...
"Gabriellaaaaaaaaaa, dov'è Gino????"… silenzio…
"Vany, tuo papà dov'è?"
... sento una voce femminile , la bellissima Vanessa che parla con qualcun altro,sicuramente
al cellulare come tutte le ventenni, e si ferma un attimo...
"Nonna papà è in cantina"...
"Scusi... ha detto Federicoooo?... ...ahhhhh buona sera Federico, scusi non l'avevo
riconosciuta, i bimbi come stanno?"
...e buonanotte… qui prima del Gino ci vuole tempo, ma per fortuna non è la solita chiamata
per l'ennesima diagnosi telefonica, ma è solo per un saluto… sapevo già in partenza che non
sarebbe stato facile...
"Buona sera signora, grazie, i bimbi stanno bene"
… cerco di telegrafare laconico per evitare qualsiasi discussione intermedia.
"E sua moglie? … Sarà stanca immagino? … Con le gemelle... "
Va precisato che Chiara si dedica molto ai bimbi, ma lavora dalle 8 alle 18 e ha una
tata fissa fuori dall'orario dell'asilo e pure sua mamma che stravede per i nipotini.
A parte il primo anno di Lucrezia e Ludovica, quando aveva le tette della mucca
carolina e dispensava latte a tutte le ore, adesso Chiara fa comunque una vita piuttosto
tranquilla...
"Eh si signora, sa tre figli sono impegnativi, ma del resto voi lo sapete bene eh?..."
"Ohhh ormai non lo ricordo neppure più... ormai le bimbe sono grandi.."
...e che bimbe, come uno scherzo della natura le quattro figlie di Gino sembrano le gemelle
siamesi della Lolita del film di Kubrick, non sono certo delle ragazzine vuote e stupide, ma
fisicamente sono da stupro selvaggio. Ogni volta che facciamo una cena torno a casa con
pensieri lascivi, pure Chiara riconosce la loro intrigante ed acerba bellezza.
"Eh si! Passano veloci gli anni e le ritrovi già grandi"
……………e non esistono più le mezze stagioni, non ci son più i negozi di una volta, e in
giro ci son tanti pedofili… eeee... una frase fatta spero tronchi qualsiasi tentativo di
conversazione.
"Ah guardi, non si preoccupi, diventano grandi in un batter d'occhio, pensi che... "
si sentono dei passi...
"O Lucia mi dia un po’ il telefono"...
"Gino, è il suo amico Federico" solito esordio...
"Cose ghè? (cosa c'è?)".
Un chirurgo enologo che parla in dialetto spezzino è impossibile non amarlo.
"O bastardo, hai finito di farti le seghe con i buchi delle botti?"
"Mmmmm, alora? come stanno i fantini (bimbi)?"...
Il bello è che Gino ormai non mi degna di attenzione e anche se gli dicessi che tossisco
sangue come Violetta nella Traviata o la Kidman in Moulin Rouge, formulerebbe la sua
mitica e famosa diagnosi "non c’hai un cazzo".
"O Gino stiamo tutti bene”.
Mano che si allunga a dare una grattatina in basso.
“Ho chiamato solo per salutare… "
"Ah grazie... e senti un po’, quand'è che venite? ...che dice il ghiro?"
Dopo cinque o sei debacle e rifiuti di cene a casa sua per colpa di Chiara ho spiegato la
scarsa propensione di mia moglie alle cene di società, soprattutto quelle che partono da una
mia iniziativa ed insieme l'abbiamo definita il ghiro, o meglio una volta l'ho definita così io e
lui ha successivamente cavalcato l'idea, visto che comunque un certo letargo invernale è
piuttosto tangibile.
Peraltro a proposito di cavalcare, l'ultimo inverno che l'ha visitata, il bastardo, non mi ha
risparmiato una battuta sulle sue tette, per non parlare di quella volta che gli ho mandato
Monica in corsia per una veloce visita, che veloce poi non è stata, visto che il Gino se la
ricorda ancora adesso.
"La Chiara sta bene, però lo sai che per muoversi... "
"Vabbè lo sai che qui è sempre aperto"
...mi viene da ridere perché penso che qualche volta le camere di Vanessa o Melissa (e ci
metto solo le maggiori ma la più eccentrica, disinibita e sfrontata è la penultima, Rebecca),
sono state sicuramente aperte da qualche tirocinante ospite dell'ostello conte Strata.
"Sisi lo so dai, a proposito come stanno le bimbe ihihihihihihi"
"Ma che cazzo ridi, vedrai quando le gemelle avranno diciott’anni... "
"O Gino, che diciotto? Le tue han cominciato a trombare a dodici ahahahahahaha"
Mi diverto un mondo perché il Gino è davvero geloso delle figlie, ma siccome non è scemo
e, vi assicuro, è il padre che vorrebbero avere tutti, ci soffre parecchio, ed io infierisco come
lui infierisce sui miei sintomi da ipocondriaco.
"O stronzo!!!! E il vaccino glielo hai fatto?"
"Si magari a settembre vediamo..."
"Ricordati che se non era per il vaccino..." e Gino comincia la solita solfa da
membro dell'oms..
"Lo so..lo so....ma lo shock anafilattico , lo sai che ho il terrore"
"Ma che shock del belino... anzi lo sai che esiste davvero una forma di reazione
all'organo genitale maschile..."
"Gino, ma le tue di bimbe giurerei che quel vaccino l'hanno superato no?"...
"Ma brutta testa di cazzo... non rompere i coglioni e fatti gli affari tuoi che le
bimbe......"
"O Ginooooo le bimbe “c’hanno” quarantacinque anni in due… ed io la prima che
mi sono scopato aveva sedici anni circa e ..."mi interrompe e cambia discorso.
La telefonata continua passando per i film scaricati su emule e un dibattito sulla differenza
del Mash versione telefilm rispetto al lungometraggio di Altman con la concorde decisione
e sentenza che Alan Alda sia un grande e basta.
E’ buffo come con Gino da un sospetto cancro al colon si arrivi a parlare di sesso
clandestino, cinema, vino buono e cattivo e politica. Comunque sia le cene a casa sua,
l'amenità del luogo e la brillantezza dei commensali, ne fanno uno degli eventi "mondani" da
me preferiti. Calore, intelligenza, cibo buono e ..ahimè vino del Gino.
Capitolo 11.
My personal pusher.
La ferramenta emiliana di Ernesto C.
È evidente che se al posto del caffè, la mattina, mi fumo la cannetta preparata nello
studiolo prima di andare a dormire, devo avere un fornitore ufficiale. Una volta alla
settimana, o al massimo una ogni quindici giorni, vado da un fornitore della provincia.
Ovviamente non è uno che rifornisce il palazzo di erba, ma è un tipo che ha una ferramenta
vicino al palazzo e da diversi anni è iscritto ufficialmente all’albo dei fornitori della
provincia di Parma.
Qualche anno fa mi piombò in ufficio indemoniato per via di qualche sospeso di
fatture. Il tutto nacque probabilmente con una battuta sul fumo o su qualche droga leggera,
sinceramente è passato tanto di quel tempo che non ricordo nemmeno. Fatto sta che dopo
quel pianto greco e con la minaccia che da lì a poco avrebbe chiuso i battenti, cominciammo
a pagarlo con una certa regolarità.
Purtroppo malgrado la nostra “macchina contabile” sia piuttosto efficiente la
burocrazia, talvolta, rallenta i processi, per cui è facile che passino alcuni mesi prima che i
creditori riscuotano quanto dovuto. Insomma che l’Ernesto, colto da improvviso amore per
il nostro ufficio, cominciò a venirci a trovare regolarmente, non solo per battere cassa. Offrì
pure una cena a tutto l‘ufficio finanziario che accettammo di malincuore, ma lui giurò che in
quel periodo le cose stavano girando per il meglio.
Visto che il ferramenta, un “ragazzo” piuttosto in carne con un’età presumibile di
una quarantina d’anni sembrava essere un single convinto, convinto s’intende di aver
bisogno di fare sesso, non perdemmo l’occasione di combinare un incontro con una tipa
discreta che lavorava all’ufficio tecnico come dipendente provvisoria. Dopo rapida consulta
ci sembrava, dalle caratteristiche fino allora emerse, una che “la dava via facile” e fu un
gioco da ragazzi cominciare a fare in modo che quando veniva l’Ernesto, con qualche
telefonata strategica, casualmente la Barbara geometra dell’ufficio tecnico capitasse alla
corte del ragionier Federico Conti. Essendo poi, la tipa propensa alla chiacchiera, si creava
un simpatico siparietto che dovevo ahimè troncare per evitare di far diventare l’ufficio una
succursale del bar dell’Emilia.
Dopo alcune minacce, l’Ernesto si convinse, pena la sospensione di qualsiasi ordine
di materiale da parte nostra, ad invitare la Barbara a prendere un caffè, e come succede
spesso, dal caffè si passa a fasi successive che precedono più o meno l’amplesso.
L’Ernesto e la Barbara si frequentarono per alcuni mesi poi a lei non venne
rinnovato il contratto e piano piano non ne sapemmo più nulla, salvo una mattina vedere il
nostro mitico ferramenta di umore veramente nefasto, capimmo e non domandammo più
nulla.
Dopo quel periodo, però, l’Ernesto rimase sempre nostro amico e devo dire che
l’erba è sempre ottima e il prezzo veramente da ferramenta. Ora che ci penso comincio
anche a capire perché la sua attività dopo un periodo di magra assoluta abbia ripreso a
veleggiare con un certo vigore.
E se fosse il fornitore di tutto il palazzo, presidente e assessori compresi?
Capitolo 12.
Divisione dei compiti. I compiti a casa.
Varano 13 luglio. Venerdì.
Questa settimana la donna di Giovanni non scende a Reggio. Facendo una
dissertazione fisico-geografica ho notato che si dice salire e scendere anche per la latitudine
a dispetto dell'altitudine sul livello del mare.
Mi spiego meglio. Se usando come esempio Loredana che da Torino deve recarsi a
Reggio, si adopera sempre il verbo scendere; poco importa se Torino e Reggio sono più o
meno alla stessa a.l.m. o comunque Torino è anche più in alto. Se viceversa un reggiano
torna a casa nel fine settimana a Castelnovo ne’ Monti non si può dire che scenda, anche se
in effetti come latitudine si reca a sud. Per cui potrebbe essere valido il teorema che: se ci si
reca ad un posto con la medesima a.l.m. si scenda o si salga in ragione dei gradi di
latitudine, mentre quando si sale o si scende di a.l.m. si debba necessariamente usare il
verbo scendere o salire come se si trattasse di una scala a pioli.
Abbiamo deciso di vederci da Giovanni visto che la casa è sgombra e Loredana se
ne sta alla sua latitudine. Lo studiolo lo sfrutteremo in seguito.
Sono quasi le nove e un quarto e Giuliano non è ancora arrivato. Al venerdì non
ceno mai a casa, mangio qualcosa con lui sul tardi. Il problema è che a pranzo non ho
mangiato quasi nulla al bar sotto il Palazzo.
Il caffè dell'Emilia è una specie di palcoscenico teatrale dove recitano vari
personaggi: assessori e politici di Parma, avvocati e commercialisti rampanti, ognuno con la
propria insalata light davanti e la segretaria o la collega di bell’aspetto al fianco. Raramente
mi siedo ai tavoli del dehors. Né di estate quando la temperatura è poco sopportabile, ne
d'inverno quando i mitici funghetti stufa riscaldante, cuociono le orecchie o creano
un'escursione termica corporea imbarazzante. In pratica con questi ombrelloni a gas la nuca
e le orecchie sono alla temperatura di Sharm e le articolazioni sono su una pista di Crans
Montana. Il risultato è questo, chi è posizionato con il fungone alle spalle, diventa paonazzo
e chi gli sta davanti batte i denti e di paonazzo ha solo le gote o il naso. Insomma c'è questo
contrasto cromatico e di temperature corporee persino artistico. Prima di sederti è difficile
dire se preferisci mangiare un'insalata al tonno lontano dal diffusore di calore o digerire il
tutto mentre le orecchie ti stanno prendendo fuoco.
Io il panino me lo faccio take-away su in ufficio, in barba a professionisti e bellezze
varie sedute ai tavolini dell'Emilia.
Sms fede to giuliano ore 21,20
ciccio dove sei?
giuliano to fede
casello.arrivo.
Ho una fame da lupo. Sono ovviamente nella zona franca del mitico studiolo, con la porta
socchiusa arriva solo un lontano brulichio dalla sala da pranzo. Bussano.
Entra Chiara.
"Ma esci stasera?"
"Si, aspetto il Giuli, anzi, se suonano è lui, sta arrivando, non aprire vado io"
"Ah... ma domani vai in ufficio?"...tira aria di sottile polemica.
"Credo di si, vedo un attimo a che ora torno"
"Beati voi che decidete al mattino se andare o meno"...perché continuano a
denigrarmi come dipendente pubblico quando sanno bene che loro nel privato (e sai che
privato avendo le spalle coperte da milioni di euro) a parte qualche ora di "lavoro" in più,
cazzeggiano beatamente davanti al pc per almeno mezza giornata?
Anche questa volta andiamo con due auto. Lui con la sua Punto color improbabile o come
diceva il verniciatore della carrozzeria di mio nonno "colorcanchescappa", il fatto è che
quando hai cinque anni l'ironia non ti raggiunge e per me il "colorcanchescappa" non faceva
molto ridere e il primo cane che mi veniva in mente era un certo Rio che abitava lì vicino.
Era beige sporco, per cui io bambino, immaginavo Rio che correva e perciò per me il colore
del cane che correva via era comunque un tono di marrone chiaro / beige. Rio era il cane di
un certo Cafiero che abitava vicino alla carrozzeria. Era longevo e di razza meticcia, il cane
non il Cafiero. La cosa che accomunava cane e padrone era un certo sguardo, per così dire,
privo di un quoziente intellettivo di particolare rilevanza. Del resto mi sembra stupido
definire uno sguardo semplicemente scemo.
Io prendo la Mini Cooper s di Chiara. Ovviamente con le cose a noleggio e che non
sono nostre è basilare avere verso di loro uno scarso rispetto. Quindi si parte con il Giuli a
singhiozzo come fosse un neo patentato e io, con la bara bicolore cromato, che, dopo una
sgommata, lo seguo a rigorosa mancata distanza di sicurezza.
Usciamo a Reggio. Il Giuli accosta dopo il casello. Lo affianco e tiro già il vetro
elettrico. Mi guarda e ha il solito risolino del Giuli.
"Allora?" sorrido pure io
"Allora?"...rilancia
"O Giuli ti sei rollato una canna fra Parma e Reggio? …cioè te la sei pure fumata?",
vedo che armeggia fra i sedili e sempre con il risolino sbandiera un pacchetto di Rizla king
size..
"Faccio strada seguimi... o Giuli, stasera il mio fornitore mi ha detto che la roba non
è spettacolare, quindi avverti le cartine che stanno per contenere del fumo depeche"… il
Giuli fa spallucce e dubito persino che abbia capito qualcosa. Secondo me se fanno delle
analisi tossicologiche al mio amico gli trovano qualcosa di buono anche quando è sobrio.
Parto sempre sgommando in barba alle gomme della Mini di Chiara. Rallento perché la
sfortunata Punto del Giuli è lenta, o è lento il Giuli, o sono lenti entrambi.
A Reggio vado raramente, anzi, se devo essere sincero, Reggio la conosco proprio
poco per uno che vive e lavora a Parma. Conosco meglio Bologna e l'appennino. La
vergogna totale è che a Modena non sono mai stato. Qualche volta ci sono passato, però a
causa di una curiosa combinazione astrale, di modenesi non me ne sono mai capitate e per
lavoro non ci sono mai stato.
Arrivo in zona stadio vecchio e faccio un paio di giri a vuoto intorno all'isolato
mentre con l'occhio nello specchietto controllo che il Giuli non si perda.
Ovviamente la mini non ha il navigatore. Comunque dopo un giro tortuoso individuo il
portone di Giovanni. Parcheggio sghembo senza andare troppo lontano, sperando che i
vigili di Reggio non siano extraterrestri e non vadano in giro al venerdì sera scrivendo
bollette sulle auto in sosta. L'essenziale è non parcheggiare mai davanti ai passi carrai. Il
Giuli attaccato al culo della Mini, segue la mia teoria.
Citofono a Giovanni.
"Chi è?"
"Siamo noi. Giovi ma chi cazzo aspettavi che rispondi chi è? ...io mi aspettavo di
sentire solo l'apriportone"
"Sali e non rompere i coglioni"…entriamo senza proferire verbo. La cosa bella fra
due amici come me e il Giuli è che non serve assolutamente parlare o fare commenti perché
sappiano esattamente cosa sta pensando l'uno o l'altro e, in ogni caso, basta un sorriso ed
uno sguardo che sappiamo già come agire di concerto. Per fare un parallelo sportivo,
somigliamo a quegli attaccanti che si trovano con passaggi millimetrici senza alzare la testa,
perché sanno esattamente come si muove il compagno di squadra e dove andrà nel
proseguo dell'azione.
Nel pianerottolo la porta è socchiusa. Siamo in un condominio di semi periferia, non
popolare ma neppure elegante. Quel che si dice una dimora normale.
Ci accomodiamo nel salotto. La tele è accesa su mtv.
"Cosa bevete?..birra....?"
"Giovi facci una camomilla oppure un bel the caldo… anzi una spremuta d'arancia e
vedi di andare affanculo... prendi tutto quello che hai di alcolico..." ...imposto il mio sorriso
amorevole con il Giovi.
"Occhei vi porto due spremute di arancia"
"Scusa, ma l'arancio mi fa bruciare lo stomaco… hai mica qualcos'altro?" il Giuli,
che si è incantato su un video di Beyonce, anzi si è fissato sull'interno coscia della tipa, non
ha ovviamente seguito la discussione....
"Giuli... la smetti di guardare la negra e torni fra noi????”
"Ah scusa..." ...ride e ci guarda con aria interrogativa.
"Giuliano, birra va bene?"...il Giovi è sempre educato e comunque non ha ancora la
confidenza necessaria per essere cattivo con il mio amico.
"Intanto che spremi le arance prepariamo una cannetta...". Tiro fuori la stagnola
dalla tasca dei jeans e la passo a Giuli, che dal suo borsello militare estrae le Rizla e
comincia le operazioni di rito.
Dopo aver lasciato diversi cadaveri di bottiglie di Padavena (ricordiamo sempre che
Giovanni è un no global convinto, uno che fa spesa con la lista nera in mano) e qualche
filtrino nel posacenere la discussione entra nel vivo.
"Sto leggendo un libro sulla strage di Rimini. Credo che valga la pena fare un'analisi
su i due condannati. Tanto per avere un quadro globale dei personaggi accusati. Avevo
pensato che potrebbe occuparsene il Giuli" parlo a Giovanni come se Giuliano non ci fosse
e comunque a lui non l'ho ancora detto. Giuliano ha una lieve espressione di sorpresa, ma
dopo la birra e le cannette, credo che se entrasse Naomi vestita da maggiore delle ss, le
nostre espressioni sarebbero più interrogative che di stupore.
"Si tratta di vedere da dove vengono Fiorenzo e Manuela (Fiorenzo Valeri e
Manuela Franchi) e di approfondire le cose scritte sul libro di cui vi parlavo. La bibliografia
c'è quasi tutta, poi se si trova qualcosa in più ben venga. Il top del top sarebbe riuscire a
strappare un'intervista. Un'altra cosa che mi viene in mente: da oggi niente sms né telefonate
e né e-mail ufficiali..." interviene Giovanni a proposito delle e-mail
"Ho pensato di creare alcuni indirizzi e-mail nuovi, sono in grado di criptare gli ip
address in modo da rendere anonima qualsiasi comunicazione fra gli indirizzi che useremo,
ci servono anche una mezza dozzina di notebook wireless"…qualcosa ci capisco, ma mi
rendo conto che Giuliano sta già perdendo contatto...
"Giovi ricordati che il Giuli non è un esperto di pc e anche io non ne so tanto,
comunque cerchiamo di limitare le comunicazione non verbali, stasera facciamo un primo
programmino di massima e poi ci vediamo venerdì prossimo. La prossima settimana ci
darai degli indirizzi e-mail sicuri e ci spiegherai come fare a comunicare senza lasciare
traccia di ip address. Avevo pensato che si potrebbe andare negli internet point, però adesso
chiedono il documento e mi sembra già troppo avanti cominciare a falsificare i documenti.
Del resto vorrei solo cominciare a studiare l'accaduto senza fare troppi progetti". Giuliano
annuisce dando un tiro alla quarta canna.
"Occhei per venerdì prossimo avremo gli indirizzi e vi spiegherò brevemente come
non lasciare traccia, si potrebbe anche usare un linguaggio criptato per evitare comunque di
attirare l'attenzione di qualcuno. E’ risaputo che ci siano dei software che controllano le
comunicazioni in base a determinate parole chiave, per cui sarà meglio non usare mai parole
del tipo bomba, omicidio, attentato, ecc ecc..", Giovanni sta entrando nella parte, credo sia
molto più coinvolto di quando giocava a fare l’ecoterrorista con green peace.
Prendo un calendarietto che tengo nel portafoglio.
“Venerdì prossimo sono in Sardegna in vacanza, rientro sabato 28”
“Va bene, ora poi facciamo un programmino di massima e vediamo come siamo
messi con le ferie” Giovanni con mentalità da elaborazione algoritmica cerca di risolvere i
primi problemi.
“Io la settimana di ferragosto non ci sono” ecco che Giuliano con gli occhi ormai
ridotti a fessure causa birretta e canne torna fra noi.
“Ma cazzo mi sembra di essere in ufficio quando facciamo il piano delle ferie, dai”
“Fede ma se vogliamo fare qualcosa di serio un minimo di programmazione…..
l’azienda chiude ovviamente ad agosto, però ci vuole qualcuno che controlli il sistema
quando tutto è fermo perché mica possiamo spegnere i server, mi sono offerto io e anticipo
le ferie al 20 di questo mese, starò credo fino al 7 o all’8 agosto”
“Bene Giovi, così avrai anche un po’ di autonomia e tempo libero, solo in ufficio”.
Ho l’immagine di Giovanni che con un portatile sulla scrivania si connette wireless
al loro server e comincia a navigare e craccare password di sistemi e caselle di posta.
L’anno scorso l’ho visto per la prima volta alle prese con un computer. Avevo un
problema sul pc dell’ufficio e non fidandomi affatto dello staff informatico della provincia,
che probabilmente fungono da delatori del direttore generale, chiamai Giovanni per far dare
un’occhiata al mio xp che sembrava avere qualche strana maledizione.
Sapevo che lui lavorava in ambito informatico, ma finché non lo vidi alle prese con
il mio pc non avevo capito affatto che avesse una specie di dono, un po’ come l’orecchio
assoluto per i musicisti. Si sedette con il suo portatile sulla mia scrivania. In dieci minuti
aveva già fatto entrare il suo notebook sulla rete del palazzo. Nel frattempo mi aveva
sistemato xp che adesso non mi dava più nessun problema. Le sue dita volavano sulla
tastiera, lo sguardo era fisso sul monitor e non proferiva parola, ogni tanto si grattava
qualcosa come se il mio pc gli avesse attaccato le pulci. L’espressione era assolutamente
misteriosa nel senso che non trapelava nulla né in positivo né in negativo.
Non sbuffava e si sentiva a malapena respirare. L’unica cosa di umano restavano le
grattatine ora in testa ora in un braccio, ora sul dorso della mano. Io mi allontanai per una
mezz’oretta dall’ufficio e lo chiusi dentro. Mi fido ciecamente di Giovanni. È una delle
persone più oneste che conosco.
Quando tornai il suo notebook era già dentro la sua borsa.
“Allora dottore qual’è la diagnosi?” glielo domandai sorridendo, ma ero piuttosto
preoccupato.
“Xp è a posto, gli amministratori vedono tutto e guardano pure le e-mail. Fai
attenzione anche alle hotmail, da quel poco che ho visto registrano davvero tutto.
Giovanni è un caro amico e oltre ad essere una persona speciale con delle idee in
assoluto nobili è una sorta di genio in ambito tele-informatico e quindi abbiamo con noi
qualcuno che ci sarà immensamente utile e che è davvero fuori dal comune.
“Va bene raga, facciamo così, tanto per dividerci un po’ i compiti… dunque…
Giuliano cerca in libreria tutto il materiale bibliografico sulla strage, la Paola, che poi
conosceremo più avanti, ci organizza l’incontro nella villa dell’ingegnere, già che prima me
lo deve far conoscere cazzo. Tu Giovanni, lo abbiamo già detto, ti occupi dei portatili, delle
connessioni wireless e di tutto ciò che ci consente uno scambio di epistole telematiche
anonime. Io cercherò di agganciare una studentessa per farle fare delle ricerche su internet
senza dare troppo nell’occhio alla polizia postale, spero che ci fornisca una fotografia
politica degli anni in cui avvenne la strage e principalmente l’istantanea politica di quel
giorno.”
“Beh per i libri non ci sono problemi, ma poi chi li legge?” sorrisino del Giuli.
Malgrado lui fosse una promessa della letteratura e un discreto lettore nella gioventù, il
Giuli da quando lavora in libreria esagera con canne alcool e quant’altro, sa tutto su cosa
viene pubblicato dalle varie case editrici, conosce trame, scrittori, personaggi letterari e
critici, però non legge un libro da secoli.
Giovanni rimane contemplativo, del resto ha già tanto da fare. Però ha come un
ripensamento.
“Fede, ma i pc con che soldi li compro?”
“Mmmm…”
“Fede, ma quel cazzo di ingegner Figazza cosa c’entra, cioè che cosa dovrebbe
fare?” pure il Giuli nella sua nebbia cerebrale comincia a parlare di cose pratiche. E’ bello
perché non lo sentivo domandare qualcosa da un lustro circa.
“Ooo e che cazzo, un attimo. Fugazza si chiama Fugazza la figa ce l’hai solo in testa
te. Cioè la figa piace a tutti, comunque sia si chiama Sergio Francesco Fugazza e porco
cazzo non mi ricordo mai se si fa chiamare solo Sergio, solo Francesco, o vuole tutte e due i
nomi. Ci metterà a disposizione la villa, spero, dovrebbe procurarci il malloppo di seicento
pagine della sentenza di primo grado degli accusati della strage e penso che sia pure in
grado di fornirci quattro pistole con matricola cancellata. Visto che nella Tecnoimpianti,
secondo Paola, si occupava anche della sicurezza.” Invento di sana pianta.
È la prima volta che parlo di armi, l’ho fatto apposta, l’ho buttata lì per vedere le
reazioni dei miei amici. Io il progetto ce l’ho chiaro da quella sera che vidi il filmato della
strage del 2 luglio 1980.
Io avevo una sete disperata di giustizia e l’avevo in modo ossessivo. Non era un progetto di
terrorismo o peggio ancora politico. Era solo una volontà di azione, di sollevare la testa
dalla sabbia.
“Pistole?”…Giovanni, che è relativamente sobrio, ha percepito, ha realizzato
qualcosa, o forse comincia a capire che qui non siamo in una riunione di green peace.
“O Fede, ma a che cazzo ci servono delle pistole, ma sei fuori di testa?”
“Hihihihi, si certo delle pistole giocattolo per racimolare un po’ di grana….”
Giuliano sembra avere un certo senso di sadico umorismo, ma temo che non realizzi affatto.
“Ma che cazzo hai in mente, una sorta di lotta armata nella macchina del tempo. Che
senso ha?”
“Senti Giovanni, io mi sono rotto il cazzo di stare a guardare ste cazzo di cariatidi in
senato che si fanno ancora intervistare adesso. Sono loro i responsabili della situazione
attuale, cioè non solo loro, ma non lo sopporto più…”
“Ma è un’utopia peggiore dei movimenti armati degli anni settanta, Fede, renditene
conto”
“Allora, premesso che sono perfettamente consapevole di quello che stiamo o sto
forse progettando, io non ho parlato di azioni armate o chissà cosa, è vero ho pensato alle
armi, ma perché in fondo ho paura e credo che non appena andremo intorno alle questioni
spinose e sostanzialmente irrisolte del passato, qualcuno venga fuori. E porcocazzo non
voglio finire come i militari di leva che erano nelle basi aeronautiche nella sera in cui venne
abbattuto il dc9 a Ponza”. Sto mentendo, è pur vero che sicuramente potremo avere dei
problemi, ma in realtà le pistole io so già contro chi usarle, perché la fase di studio è una
sorta di copertura, io ho già un’idea in mente e non mi importa chi sia il responsabile
materiale, non mi importa di chi abbia organizzato la strage e tutti gli efferati eventi della
fine degli anni settanta. Io so già che esiste una responsabilità politica e qualcuno se ne
dovrà far carico e dovrà pagare, come quando le persone comuni sbagliano nella vita di tutti
i giorni. E una responsabilità politica così grande come la morte di cento e più persone si
paga solo in un modo.
“Ti ripeto però una domanda: dove Cristo santo prendo i soldi per i pc?”
Il Giuli nel frattempo ci aveva lasciato, bene inteso che non aveva avuto una sincope, ne
aveva abbandonato materialmente il divano dell’Ikea, ma un lieve russare insieme all’occhio
chiuso palesava un certo stato che potremo definire di “ronfatamento”.
“Allora, bello il mio ecoterrorista, dimmi un posto dove potremo prendere dei soldi,
qualcosa modello Robin Hood”
“Ohhh ecco ci mancava la rapina, o Fede! Ma sei in preda a raptus anni settanta,
attentato, banda armata, rifugio politico?”
Giovanni cominciava a realizzare, era davvero quello che sognavo.In fondo noi nati nel
1968 abbiamo solo un bel numero che portiamo nella carta d’identità, ma abbiamo passato
troppo tempo a fare gli spettatori dei telegiornali dove c’erano le immagini dei ventenni con
la pistola e il passamontagna con la colonna sonora delle parole di sdegno dei nostri genitori
nati in un epoca precedente. Siamo una sorta di generazione a cavallo della rivolta culturale
più famosa del ventesimo secolo, non abbiamo mai fatto granchè di importante, non
abbiamo mai rischiato e non abbiamo mai avuto il coraggio per dire di no a nulla. Ci siamo
trovati con la frittata fatta, con la pappa pronta.
“Beh immagino che tu non sia in grado di fare qualche gioco telematico che
consenta il trasporto di fondi svizzeri nel conto arancio di mia nonna, vero?”
“Fede, guardi troppi film e leggi troppi libri”
“Infatti, prendiamoci sti cazzo di soldi da qualche parte e non da un ometto con la
tuta dell’Agip che respira benzene tutto il giorno”
“Bravo, andiamo io e te con una beretta e rapiniamo il Monte dei Paschi o il Credito
Emiliano e magari ci fa da autista sto piciu di ingegnere Figata, con la sua Mercedes s500”
Alla parola Mercedes il russatore ha una sorta di rantolo post apnea, come se Giovanni
l’avesse detta talmente grossa da farlo sobbalzare nel sonno.
“Giuliiiii, e svegliati coglionazzo!”
“Lascialo stare va’”
“Senti, lasciamo perdere questo discorso, andiamo avanti per gradi. I portatili me li
faccio dare dall’ingegnere, tu non ti preoccupare”.
Sto caricando di responsabilità e compiti uno che devo ancora conoscere, non so perché, ma
ho l’impressione che il Fugazza sia talmente alla frutta che cavalcherà qualsiasi animale gli
permetta solo di non pensare alla fine che sta facendo. Trombato dall’azienda, lasciato dalla
moglie con un sacco di debiti e con una villa che, dalla descrizione di Paola, non so come
farà a mantenere e che non vuole e non può vendere.
Capitolo 13.
Il circuito di Varano.
La FedericoContiHouse dista pochi km dal circuito di Varano.
Anni fa acquistai da un mio vicino di casa una Triumph Speed Triple color fucsia
metallizato.Una cosa pazzesca. Non andavo in moto da quando a sedici anni i miei mi
comprarono una Cagiva usata 125sst dopo una tesi orale, tenuta a pranzo, sulla sfiga di chi,
non avendo sotto il sedere un motore, non batteva un chiodo con le ragazze. Era l'epoca dei
simpaticissimi paninari, una sottocultura post sessantottina nata dell'edonismo reganiano
(per citare il critico di costume allora in voga Roberto D'Agostino)
Appena salii sulla bomba ad orologeria capii di avere tra le gambe un qualcosa che ti
portava a morte sicura con il solo movimento del polso visto i tempi di accelerazione del tre
cilindri inglese. Potrei scrivere un trattato sul rumore, sullo spunto e sul fascino del motore
di Hinkley.
Ogni tanto quando sono sulle due ruote penso all’amico Alessandro che il giorno
prima della morte di Lady D si rompeva l'osso del collo sulla strada del Buonviaggio… è si
un paradosso, buon viaggio…Resterà sempre nel mio cuore con il suo sorriso.
Dopo la nascita di Edoardo il consiglio di famiglia, tenutosi presso la umile dimora
dei miei suoceri, sentenziò che do-ve-vo venderla.
Acconsentii, visto che, quando piegavo nella curve degli appennini emiliani, mi veniva in
mente sempre l'immagine del mio funerale con Chiara che, tenendo in braccio il pargolo in
fasce, dava i pugni sulla bara che mi conteneva. Capirete bene che non è lo stato d'animo di
profondo godimento con il quale si prende il vento su due ruote.
Il mio amico Pierluigi, vulgo Pigi, che lavora all'Oto Melara di Spezia casualmente
era vicino di ufficio con un tal Lucchinelli, zio o cugino dell'unico campione mondiale di
qualche cosa che sia nato nella provincia di Spezia. Per la mia generazione il Lucky è stato
un mito e dopo le telecronache con Roberto Ungaro su Eurosport lo è diventato anche per i
più giovani.
Il “vecchio” Marco faceva i corsi di guida della Ducati nel circuito di Imola e per
me era quasi impossibile trovare il tempo di partecipare. Casualmente parlando con Pigi che
venni a sapere tramite lo zio/cugino del campione che uno dei corsisti aveva grattugiato una
ducati 999 nera, una monoposto bicilindrica che per fascino e prestazioni farebbe venire
l'acquolina in bocca a chiunque sia un amante dei motori.
Di nascosto la comprai, peraltro a buon prezzo, e la ospitai nel mio garage facendo finta che
fosse di un amico di amici, che l'avrebbe risistemata per fare qualche galoppata in pista.
Il giorno stesso che la nera opaca arrivò alla F.C.H. contattai un meccanico che
aveva lo studio (eh si non si può chiamare officina quella del Piero… è uno studio
ingegneristico delle bikes) nei pressi del circuito.
Il tecnico si presentò con una polo indossata sopra una tuta sporca di grasso. Fece
un giro intorno alla moto. Toccava e guardava senza sentenziare nulla. Era della specie
“meccanico non parlante” che si contrappone a quella degli elettrauti logorroici, che come
loro non ce ne sono più ecc ecc.
Prese il cellulare e compose un numero.
"Paolo, c’ho qui una novenovenove con qualche graffio… "
"Mmmmm"
"Non c’ha ossido sembra nuova… ma qualche coglione (ma chi ti ha detto che non
sono io il coglione?? Ho così l'aria del non motociclista?) l'ha cartavetrata"...
"C'è solo da dare una carteggiatina... e sembra nuova"… il tipo mi ignora e continua
a tastare la mia belvetta.
"Ok vedo quanto vuole"
"Scusa... ehmmm ma non la voglio vendere… volevo solo sapere quanto ci vuole
per metterla a nuovo"... non so perché ma mi sento sempre in condizioni di inferiorità con
questi che mangiano pane e moto a colazione.
"Ah... boh... ci vorranno duemila, però sarebbe meglio vedere se le forche e
insomma andrebbe provata per vedere se il motore è a posto" ...ha l’espressione del
venditore di auto quando gli porti l'usato che, quantunque fosse una Ferrari f40 avrebbe da
ridire che in fondo è difficile venderla e altre sciocchezze.
Allargo le mani e piego le labbra all'indentro e gli dico:
"Vabbè senti, portatela in clinica… poi mi fai un preventivo e mal che vada ti pago
il disturbo"
"La moto è buona, non ci saranno problemi, vediamo...”
Guarda nel vuoto come se guardasse un calendario olografico.
“Passa alla fine della prossima perché c’ho un paio di lavoretti da fare" ...si gira e
inforca la sua giapponese da 150cv...
"Vienimi dietro adesso…”che abbia tendenze strane? ...è uno dei Village people?
ma c'era quello vestito da meccanico o era vestito da bikers?
“Poi ti riaccompagno io... ma sei capace?".
Sono quasi al limite... sbuffo, metto il casco e lo seguo.
Capitolo 14 .
Il finanziatore.
Nelle traversate notturne verso le isole, mi piace andare sul ponte, è una delle poche
occasioni che hanno le persone normali per stare in mare aperto, al buio, con il salmastro
sulla pelle. Sul parapetto quella sensazione di umidità appiccicosa conosciuta da coloro che
navigano spesso.
Vado a poppa e guardo verso il basso, il buio pesto è leggermente mitigato dai
riflessi delle luci dell’imbarcazione. Tutte le volte che mi sono incantato ad osservare, in
solitudine, la scia di marosi lasciata dalla nave, mi sono immaginato da solo lì in mezzo alla
schiuma delle onde, protagonista di un’avventura alla capitani coraggiosi di Kipling o
vittima di un’ angosciante finale alla Martin Eden di London, o forse in un incubo alla
Edgar Allan Poe senza possibilità di scampo, resistendo alla forza dell’acqua, pur sapendo
di lottare contro una cosa troppo grande.
Mentre stavo divagando con lo sguardo perso nella spuma biancastra del Sardinia
Ferries, ripensavo al dialogo con Giovanni, al discorso delle rapine e come un fantasma
sulle onde ho incontrato il finanziatore dell’intero progetto.
Il signor suocero.
Ovviamente se gli parlassi di una cosa simile, faccio perfino fatica ad immaginare cosa mi
potrebbe dire. Malgrado pure lui, a volte, riconosca le tenebre che avvolgono la storia
politica del nostro paese e lo squallore della società attuale, il buon suocero, di fatto, ne è un
primo attore facendo parte di quella Confidustria parmense che non ha propriamente il peso
di un operaio della Fiat nel panorama economico italiano.
Finanzierà il tutto senza saperlo.
La mia signora moglie ha a disposizione, se non erro per difetto, un paio di conti correnti
bancari del signor suocero, li usa con l’home banking e sostanzialmente le servono non per
il bilancio familiare, inesistente, ma solo per qualche sortita di acquisti compulsivi dal suo
caro fornitore di vestiti o scarpe in Parma, oppure da Jean Louis a Milano Marittima. Non
devo commentare neppure il fatto che si sorbisca centocinquanta chilometri per andare dal
suo negoziante di fiducia. Il proprietario di Jean Louis, grandissimo finocchio, pare sia nato
a Parigi da padre italiano e madre francese cosa che, secondo lui, giustificherebbe la sua
erre moscia pseudo transalpina, controllando sull’archivio delle finanze risulta essere
Gianluigi Magnani, nato a Rimini il 24/6/1962, pure vecchiotto le gian luì.
Il tipo ha avuto una sorta di colpo di fulmine per Chiara dopo che un paio di estati fa
lei ha generosamente devoluto alla nobile causa dell’associazione per la diffusione della
moda ultimo grido e la protezione della fashion victim qualche migliaio di euro in un tempo
quantificabile intorno alla sessantina di minuti. Adesso le Jean oltre che fare gli auguri per il
compleanno, Natale e altre feste comandate, ogni tanto la chiama per dirle: “Chiarrrrretta è
arrivato questo o quello e quanto ti starebbe bene ecc ecc.”, il mitico Jean è un
professionista della moda, e non mi è nemmeno antipatico, perché è talmente prevedibile e
trasparente che in fondo ha questa sua linearità di comportamento. Non è ruffiano, gli viene
naturale. Del resto è il suo lavoro e lo ama , per cui se la Chiaretta passeggia per Parma
targata Jean Luois lui ne è orgoglioso a prescindere dagli euro intascati, è una macchina da
soldi, ma non fine al lucro ma davvero nutre grande piacere al vedere delle belle donne
vestite secondo il suo gusto. Innegabile gusto peraltro comune a tutti gli omossessuali.
Per quanto mi riguarda, il tipo compatisce i miei jeans sporchi e lisi e io ambisco
solo alle sue commesse, una delle quali, una specie di mulatta creola , è davvero da lasciar
senza respiro.
Sarà piuttosto facile recuperare la password; basterà installare un banale spyware
nel pc dell’ufficio di Chiara, poi dai suoi home banking provvederò a fare alcuni bonifici:
uno su un conto in Italia che ci servirà per le piccole spese: viaggi, note book e
armamentario vario; un altro, anzi tanti piccoli bonifici di importo medio basso, su un
conto all’estero, una specie di assicurazione per quando caso mai converrà trasferirsi
altrove.
La Chiara e il signor suocero non si accorgeranno mai di questi spostamenti di
capitale perché quei conti sono usati solo per carte di credito da piazzare su siti internet, per
lo shopping e per tutto quanto ritengono superfluo, e non hanno davvero tempo e voglia di
controllare né la movimentazione né tanto meno l’eventuale saldo.
Mi sentirò una sorta di Robin Hood telematico, vero è che mi piacerebbe derubare
il Credem o le Coop o tutto quello che è mastodonticamente ipermiliardario, però bisogna
ammettere che il lieve abbassamento del livello del liquido nei conti di signor suocero e
signora moglie sarà facile, indolore ed eticamente molto accettabile.
Non mi sogno neppure di sottrarre denaro ai miei amati bimbi per i miei nobili vizi
da pseudoterrorista, loro hanno un bel libretto che contiene il risparmio medio di una
famiglia basso borghese e tutti i giochi, accessori e vestiti che è normale avere per i figli
della neoborghesia parmigiana.
Come si sposa un quadro del genere con un padre che vorrebbe fare una
rivoluzione?
Non si sposa affatto e infatti per questo mi sono deciso ad impugnare la Beretta.
Basta finti comizi davanti a caviale e Dom Perignon. Si passa all’azione.
Capitolo 15.
Giuli, la Vanessa e gli AA.
18 luglio. Mercoledì.
Spiaggia. Capo d’orso.
Ore 11,30
Vibra il cell, non è un numero privato, tuttavia non è in rubrica ovvero scocciatura in arrivo.
Breve ricerca nell’hard disk cerebrale senza esito 338 (tim) xxxxxxxx non mi dice proprio
nulla, ovvero sempre più probabile scocciatura, condita da quel senso di fastidio che si
percepisce quando chi chiama non ha il tuo operatore di telefonia mobile, come se uno
tifasse per il Milan o votasse Forza Italia.
“Si?” la risposta è quanto più scocciata per disincentivare la seppure minima
richiesta di conversazione.
“Federico?”... non ha sbagliato numero.
“Si”…freddo senza interrogativo alcuno. Sono io e vedi di non disturbare sono in
ferie. Lavoro? Sindacato? Subbuteo? Calcioamatori? Circuito di Varano? Antidroga? Un
pastore tedesco della finanza con cellulare?
“Ciao sono Vanessa… mm la sorella del Giuli”
“Ciao Vany… è successo qualcosa????” credo di essere sbiancato, la conosco da
quando è una bimba ma non ricordo mi abbia mai chiamato e non so bene chi può averle
dato il mio cellulare, forse mia madre.
“No, scusa se ti disturbo, hai cinque minuti?”
Vanessa Vecchi è la sorella di Giuliano, lavora come indossatrice a Milano, è lei che gli ha
trovato il lavoro presso la Feltrinelli Duomo. Uno e settantacinque per cinquantacinque
chili, quel modello di donna anoressica che usano quasi tutti gli stilisti nelle sfilate salvo poi
dire che loro usano solo modelle stile Primavera del Botticelli.
Avendola vista nascere non mi fa quell’effetto che probabilmente produce su colore che la
vedono sulla passerella o la incontrano strafatta di coca alle feste della Milano bene.
Comunque sia, coca o no, è una dritta che sa il fatto suo ed è abbastanza cinica da non
cadere in dipendenze o giri di marchette varie. Se dovesse capitarle, lo farebbe sfruttando
chi crede di sfruttare lei. Bella, fredda, dotata di senso pratico e opportunista. Il genere di
donna della quale se ti innamori sei finito.
“Dimmi”
“Ieri mi ha telefonato il gestore della libreria dove lavora Giuli”
“Mmm”
“Mi ha detto che lunedì pomeriggio è arrivato in libreria ubriaco” penso una
bestemmia di tipo cinofilo.
“Ah, mmm”
“Mi ha detto che se continua così, lui per quanto si metta nei panni e eccetera
eccetera non può permettersi di avere una persona in negozio che è in evidente stato di
alterazione”…pausa e silenzio.
“Fede io non so davvero come fare…” Sento che comincia a piangere…
“Ok ho capito, il fatto è che io non so esattamente cosa dirgli, cioè lo sai che siamo
amici e in questo periodo lo vedo spesso ma…” che gli dico che io faccio il bilancio di
previsione della provincia mentre sono strafumato e… che posso dirgli io al Giuli?? Mica
sono suo padre.
“Non so se capisci Vany, io faccio fatica a comportarmi da padre con Giuliano…”
“Vabbè, ma così perde il lavoro... e lo sai quanto è importante adesso per lui”
continua fra un singhiozzo e l’altro, La Vanessa, sorella minore gli vuole molto bene, e da
quando il padre è mancato so che sono ancora più legati, purtroppo anche lei non è in grado
di poterlo aiutare con quella autorità e calore che avrebbe un padre o una madre un po’ più
prestante.
“Senti, oggi lo chiamo, però io sarò a Parma solo per il ventinove…”
“Grazie Fede, senti ti posso lasciare il mio cell?”
“Si ok lo memorizzo, è questo da dove viene la chiamata?”
“No, questo è di un mio amico” immagino che amico.
“Mandami un sms… appena lo sento poi ti faccio sapere. Tu sei a Milano?”
“No, sono a Fuerteventura per un servizio… comunque chiamami quando vuoi il
cell è sempre acceso”
“Si ok a presto, ciao”.
Milano, Fuerteventura, Sardegna, Milano. Ma che caspita di giro telefonico e il Giuli lì che
schianta dal caldo con un tasso alcolico da messicano dopo una bottiglia di mescal che
consiglia l’ultimo di Benni ad un lettore di Vimercate venuto in centro a fare shopping nel
torrido pomeriggio di luglio.
Una brutta situazione .
“Chi era?”. Chiara si rianima dal torpore del suo bagno di sole.
“Era Vanessa, la sorella del Giuli”.
“E’ morto Giuliano?”.
“Vai a cagare Chiara”.
Ore 14,50
Chiara dorme, le bimbe sono al miniclub e Edo è in spiaggia o dove non so con i figli della
tata.
Sms
Fede to giuli.
Come va?
Giuli to fede.
SONO NELLA MERDA.
La Vanessa non…vaneggia è tutto vero, quando il Giuli risponde così agli sms significa
che sono più di qualcosa sta andando per il verso sbagliato .
Fede to giuli.
Che succede?
Giuli to fede.
HO COMBINATO UN CASINO E IL CAPO SE NE E ACCORTO.
Fede to g.
Ti chiamo stasera e cerca di non fare cazzate perché altrimenti salta tutto.
Cerco di coinvolgere Giuliano almeno sotto l’aspetto del nostro progetto perché so che
anche lui ci tiene molto.
Fede to g.
Chiama la tua doc, e cerca di prendere tempo con i capi, ricordati che hai un lavoro
spettacolare ne abbiamo già parlato.
G to f.
OK GRAZIE CIAO
La sera, dopo la classica cena buffet stile grande abbuffata, e se non è un suicidio raffinato
come quello del film di Ferreri, perlomeno è l’omicidio del dopocena, che nei club si
conclude con lo spettacolino degli animatori e palpebra calante, mi decido di chiamare il
Giuli. Da qualche giorno beve, nel senso che di bere non ha mai smesso, ma quando lui
dice che beve vuol dire che da metà pomeriggio in avanti si regge a stento in posizione
eretta.
La telefonata si conclude in questo modo.
“Ma adesso il problema qual è?”
“Fede ho conosciuto una donna che mi fa andare fuori di testa”
“E quale sarebbe la novità?”
“L’ho conosciuta… cioè riceve… fede porcoxxx” bestemmia suina
“Cosa riceve?”
“Dei cazzi riceve. Federico, è una puttana!”
“Ma ti risulta ci siano donne che non lo siano?”
“Fede ci vai a cagare? …questa ogni giorno se la trombano in venti e oltretutto
quando me la trombo io per quanto sia brava e di mestiere… o insomma… appena chiudo
la porta probabilmente non sa neppure se ce l’ho storto a destra o a sinistra”
“Mmmm beh si ma in fondo anche Pepe Carvalho è fidanzato con Charo che riceve
in casa… del resto l’abbiamo sempre stimato per questo, o no?”
“Si, ma questo non è un romanzo e io non sono il suo fidanzato, sono solo un
cliente! Porcaputtana”
“E non sai che vita fa al di fuori?”…provo a spostare la conversazione su un tono
normale come se parlassimo di una cassiera del Mcdonald’s.
“Mah… viene a Milano periodicamente e soggiorna nell’appartamento dove in
genere vado per.”
“Si ho capito… ma avete parlato?”
“Si la tipa si chiama Elisabetta e abita a Treviso, pare non sia fidanzata e dice che
quando è a Milano si sente molto sola…” ora ho capito perché il Giuli si è interessato, crede
di aver trovato un’altra anima alla deriva.
“Senti Giuli, dille se una sera esce, magari al venerdì, per rendere la cosa più leggera
dille di uscire con noi, così è meno impegnativo, ok?”
“Si, la prossima volta, supposto ritorni, glielo chiederò”
“Ma non hai nemmeno il suo cell?”
“Ho quello di lavoro… ma non so se è il suo, cazzo!”
“Ok, senti domani o prima che puoi chiama la tua psichiatra e vediamo cosa ti dice e
stavolta fatti aiutare…”
“Si grazie”
“Ciao, ci sentiamo presto”
“Ciao Fede"
Capitolo 16.
28 luglio sabato sera. Ore 21,30. Varano de melegari.
Sono appena tornato da quindici giorni nel Ventaclub Capo d'orso in Sardegna. Mi
sono riposato e, non mi vergogno a dirlo, abbiamo portato pure la tata con coniuge e prole.
La tata ha due figli adolescenti che ci hanno dato un aiuto con i bimbi e comunque
sono stati simpatici. Non abbiamo pagato il servizio ma abbiamo offerto loro la vacanza.
Anche se è il mio lavoro controllare conti, non so se ci abbiamo perso o guadagnato, non
me interessa. La cosa importante è che io abbia fatto due settimane di mare cibo e riposo.
Con Chiara siamo stati bene e i bimbi erano sempre rilassati, anche per merito della
tatavalium, una signora che ha una serenità e calma esemplare, a volte mi fermo ad
ammirare per imparare come si tratta con i bambini.
Mi sono divertito con i ragazzetti e, oltre ad aver fatto sport di ogni genere con loro,
mi hanno fatto vedere le cose dal punto di vista dei teenagers degli anni duemila.
Il progetto è stato accantonato temporaneamente e ci ho pensato davvero poco.
Ero quasi riconciliato con il mio paese, ma la Sardegna è un'isola... mi è venuto in mente
però che LUI è nato in Sardegna e per poco non avrei fatto le valigie per passare il resto
della vacanza in Svizzera sul Lago di Lugano.
Il viaggio è stato massacrante e la tratta Livorno-Fornovo è stata la cosa più bella,
compreso il caffè al mitico Magra est.
Ho scaricato tutti i bagagli e mentre Chiara sistemava i bimbi sempre con l'ausilio di
tatavalium, ho chiamato Monica.
Squilla....
"Ehi ciaoooo"...il solito acchito da telefono erotico visto che ha già sul display il mio
nome.
"Ciao, allora.........che fai?"...accidenti comincio con una domanda… meno uno
"Mi sto preparando per uscire...come è andata?"...voce leggermente freddina e un
poco frettolosa. Ho un sensazione di vuoto allo stomaco come se stessi precipitando.
"Sei sola?"
"Si tesoro... però sto per uscire, sai in questa settimana sono uscita quasi tutte le
sere, mi sto divertendo un mondo " continuo a precipitare nel baratro.
"Ah... dove vai di bello?"…immane sforzo per non fare una scenata degna di
Otello.
"I ragazzi sono con il papà, stasera vado a Salsomaggiore a sentire un concerto di
un quartetto russo"
Sentire un concerto? …Sarà per caso con quello di Fidenza che si spaccia per pseudo
musicista intellettualoide e che ovviamente se la vuole scopare e basta o
scopare e qualcosa di più.
"Ok, senti devo scaricare le valigie sono stanco morto e..."
"Come stanno i cuccioli?" non sono cuccioli... non sono dei cani.
"I BIMBI stanno bene, sono davvero coloriti e si sono divertiti e... anche noi..." ma
perché non mi sono scopato la tata, le animatrici e le tardone? Sono un deficiente!
"Ah ok ci sentiamo lunedì... allora…ben...tornato?" il tono ha qualcosa che non
covince.. lascio perdere... ma lo stomaco è stretto come in una morsa. Non capisco perché
quando non dubtio sui sentimenti di Monica la sua voce dolce diventa scontata, quasi
banale, mentre quando comincia a prendere le distanze ( e dopo anni lo avverto subito) mi
crolla il mondo addosso.
"Va bene, ti chiamo da casa, probabilmente rientro in ufficio martedì... un bacio"
"Ciao a presto, sono in ritardo, scappo" e scopo, aggiungo mentalmente io.
sms to Monica
"mi hai dato l'impressione di non essere sola"
sms Monica to fede
"ti sbagli sono sola...."
sms f to m
"fallo aspettare..io ti ho aspettato per anni e anche se ti aspetta venti minuti una come te..si
deve sempre fare attendere.."
Nessuna risposta
Porto le valigie in casa.
Capitolo 17.
Sorpresa.
E’ domenica mattina ed essendo tornati solo ieri dalla Sardegna siamo ancora
vittima di quella sindrome da ritorno dalle vacanze che, nell’orribile pubblicità delle crociere
Costa, per essere superata, è oggetto di un gruppo di aiuto. Se fossi uno degli alcolisti
anonimi avrei già messo un bell'ordigno nella sede del gruppo turistico Costa Crociere, o
meglio, nell'agenzia che ha curato con molta sensibilità la campagna pubblicitaria.
Devo andare a fare una spesa di rifornimento all'Esselunga sulla via Emilia. In casa
dormono tutti e con una piccola scrollatina a Chiara, seguita da un dialogo con una
sonnambula, mi faccio una breve idea del parco viveri che devo acquistare.
Mi preparo il classico post-it dove, con calligrafia illeggibile, appunto la lista della
spesa.
Sto andando con la x5 verso il supermercato quando mi decido a fare un salutino alla
Monica.
Le ho mandato un sms appena alzato e mentre guido accendo il cell. Nessuna risposta.
Penso che la cosa sia abbastanza strana e facendo una piccola deviazione passo da casa di
Moni.
La sua auto è nel parcheggio interno del condominio. Ci sono due idioti con la
mountain bike davanti al portone d'ingresso. Le tapparelle dell'appartamento sito al piano
secondo sono tutte chiuse. La mia sensazione è che all’interno non ci sia nessuno. In un
attimo il terrore diventa realtà e capisco che anche suonando il citofono non avrò risposta.
L'unica possibilità favorevole è che Moni sia morta in casa o che sia rimasta vittima di un
mortale incidente con l'amico. Suono. I ciclisti mi guardano obliqui mentre continuano a
parlare. Ovviamente qui non sono conosciuto, anche se spesso, uscendo dal palazzo
provinciale prima di dirigermi verso la F.C.H. di Varano,faccio un piccolo salutino alla
amata collega. Suono ancora, ma non ricevo risposta.
Vado a far spesa, nel frattempo, mentre tengo in mano il post-it giallo, provo a chiamare.
Il cell di Moni suona. Lei non risponde e la cosa è rara. Capisco tutto. I quindici giorni in
Sardegna sono stati troppi e l'amico di Fidenza è andato a segno. Sono fuori di me, ma
altrettanto consapevole che il suo comportamento non fa una grinza. E’ sola. Non è
fidanzata. E’ divorziata. Ha 45 anni. Giusto così.
Le mando un telegrafico sms dove le scrivo semplicemente che è una zoccola.
Finisco di fare la spesa e torno verso Varano.
Arrivato in casa, per fortuna dormono ancora tutti. Mi rimetto in contatto con la
sonnambula Chiara e le dico che vado al circuito.
"Chiara???...su dai!"…la scrollo leggermente
"Chiaraaaaaaaa"…le do un bacino sulla guancia.
"Mmmmm?"
"Sono già stato a far spesa, senti... adesso prendo la moto e vado al circuito"…lo
dico come se dovessi andare alla messa della domenica.
"Fai attenzione, ci vediamo dopo...." si rigira dall'altra parte ed io esco dalla stanza
in punta di piedi. Passo dalle stanze dei bimbi. Malgrado siano le dieci le gemelle dormono
ancora e pure Edoardo. Il viaggio in traghetto è sempre una prova fisica.
Apro il garage. Accendo la nera.
Esco e mi dirigo verso il circuito.
La mia 999 non è targata, la uso solo in pista e mi sembra idiota comprare un
carrello da trasporto per fare due chilometri. Preferisco rischiare che mi fermino e la cosa è
impossibile, visto che conosco tutti gli agenti di Polizia Municipale, i colleghi della
provinciale, i carabinieri e pure alcuni della polstrada. Ogni volta che vado fino al circuito
rischio, ma del resto la velocità è quella di una bicicletta.
Quelli che lavorano al circuito li conosco bene, passo dal Gianni che sa già che mi deve
consegnare tuta e attrezzature varie.
Aspetto come il novellino della settimana bianca che mi consegnino sci (stivali da
circuito) e scarponi (la tuta e i guanti). Indosso il tutto in una specie di spogliatoio che sa di
pneumatici e di grasso d'olio. Qui a Varano la cosa che senti subito, oltre al rumore, è
l'odore di circuito. Un misto di asfalto, pneumatici, benzina e olio. In estate è ancora più
forte. Mi sento un po’ figo perché sono inguainato nella pelle nera della tuta Arlen Ness e
mi sento come Valentino nella griglia di partenza.
Salgo sulla nera e faccio un paio di giri per riscaldare i pneumatici .Mentre zigzago
a velocità moderata penso a Monica che sta facendo sesso orale con il fidentino, la cosa non
mi aiuta e comincio a tirare parecchio, se nonché ci sono i soliti rompi scatole con le moto
più improbabili. Malgrado la velocità non riesco a scaricarmi e arrivo a casa due ore dopo
con la testa sulle nuvole e con il film porno mentale che Monica sta girando con quello.
A parte tutto è un dolore grande perché da qualche mese avevo riaggiustato tutto con Moni.
Avevo pure rischiato un colpo di pistola dal suo ex.
Eh si perché un mese fa, una sera ,esco e mi dirigo con l’auto verso casa di Moni a Parma, i
suoi figli sono a Salsomaggiore dalla nonna e si preannuncia una seratina simpatica.
Purtroppo non le ho assicurato la mia presenza e forse ho sbagliato a non annunciarmi con
un banale sms, ma ogni tanto spero che una piccola sorpresa le faccia piacere e la scaldi
ancora più di quanto in genere non lo sia già. Arrivo sotto casa sua con due coppette di
gelato fumante quando la vedo davanti al portone. Sta parlando con un tipo... in un attimo
vedo la Porsche e capisco tutto.
Monica anni fa interruppe la relazione con me perché aveva conosciuto, a detta sua,
un ragazzo straordinario. Io non potevo offrirle nulla e con Edoardo piccolo non mi sentivo,
malgrado l'attrazione e l'affetto che provavo per lei, di lasciare Chiara al suo destino.
Dopo qualche mese la vedevo in ufficio abbastanza serena e piuttosto entusiasta.
La cosa mi faceva contorcere di gelosia lo stomaco. Un giorno questo fantomatico Giorgio,
mi aveva detto qual'era il suo nome in una burrascosa conversazione telefonica, venne a
prenderla fuori dal palazzo e uscendo in un attimo collegai il nome al volto. Un volto noto.
Monica stava da mesi frequentando uno dei più famosi pusher del parmense ed ero sicuro
che lei non ne sapesse nulla. Il mitico Giorgio pusher oltre ad essere un piantadebiti e un
contafrottole clamoroso è noto a chiunque si sia fatto anche solo una canna, e a tutte le forze
dell'ordine vigili del fuoco e forestale comprese. Mi si gelò il sangue, lo stesso sangue che
mi si sta gelando adesso quando vedo lei che con una minigonna di jeans da togliere il fiato
sta parlando a debita distanza con il Giorgiopusher.
Faccio un giro dell'isolato con l'auto e mi apposto a distanza di sicurezza. Parlano.
sms fede to Moni.
dove si prende il numero? e soprattutto che numero stai servendo?
sms fede to Moni.
mandalo via che si scioglie il gelato.
Rifaccio un giro del palazzo con l'auto perché i due continuano a parlare, non sembra un
litigio, ma per fortuna non vedo contatto fisico e neppure un'atmosfera di intimità.
Incrocio la Porsche che se ne va a forte velocità.
Il cell vibra.
sms Moni to fede.
mandato via!
Suono al citofono e sento aprire il portone, quando entro in casa lei è sempre di una bellezza
stratosferica e mi sembra impossibile che abbia potuto, pochi minuti prima, essere nel
raggio di azione del Giorgiopusher... mi fa quasi impressione e mi siedo a debita distanza.
Lei sul divano accavalla le gambe abbronzatissime e perfette. Mangia con la palettina il
gelato che le ho portato e mi racconta alcune cose del soggetto; io sono ancora adrenalinico
per il rischio corso, il Giorgio è meglio evitarlo! Ho una voglia matta di far l'amore con lei,
ma allo stesso tempo me ne andrei di corsa perché ho ancora la foto impressa nella memoria
di lei ed il Giorgiopusher che parlano ad un metro di distanza, una donna non può essere la
fidanzata per due anni di Giorgioilpusher, è un deficiente, è stato pure tossico da eroina e
forse lo è ancora e... racconta delle storie assurde! Certo è che con tutte le cose che prende
magari in serata di grazia se la pasticca o la coca sono buone scopa anche bene... questi
sono i pensieri che mi assillano mentre spaletto la fragola nella coppetta di cartoncino.
Alla fine del gelato mi avvicino e facciamo l'amore per due ore di seguito. Il rischio è stato
ripagato e ho fatto pure la figura dell'impavido amante.
Sto mettendo sui cavalletti la nera ancora calda, scioccato per non aver trovato Monica; è la
seconda volta dopo tanti anni, dopo Giorgioilpusher adesso abbiamo l'intellettuale fidentino.
Sono amareggiato, quasi sconvolto. Passo tutto il giorno sulle nuvole occupandomi della
mia famiglia, ma sono altrove, non penso neppure al progetto.
Capitolo 18.
Paola alias Mrs Wolf. La Segretaria organizzativa.
Anni fa su una messaggeria web conobbi Paola.
Paola è la segretaria di direzione di una importante società di impianti di telefonia.
Ogni mattina da circa 4 anni ci scriviamo una o più e-mail. Paradossalmente, malgrado
questa pluriennale amicizia, non ci siamo mai visti. Ci conosciamo come fratelli via foto e
webcam e per i milioni di caratteri che ci siamo scambiati, credo che il rapporto regga
proprio perché non ci piacciamo in senso stretto, non abbiamo mire alcune e la cosa è
perfettamente paritaria e reciproca.
Purtroppo Paola ha una morale molto rigida e talvolta non riesce a sopportare tutte
le mie confidenze, allora stacca per qualche giorno, ma poi, visto che io non sono capace di
lasciarla, rientro dalla porta di servizio in maniera molto delicata. Lei direbbe che sono in
fase di "pucci pucci" che, tradotto nel nostro linguaggio, identifica quei periodi in cui ti devi
far perdonare qualcosa e usi un linguaggio poco quotidiano e di arruffianamento.
Non senza qualche difficoltà, riesco sempre a ripristinare il rapporto e piano piano
lei torna la mia confidente. E’ vero senza ombra di dubbio che io, malgrado conosca bene le
sue vicende personali ed il complicato organigramma del suo parentame, la usi un po’ come
bidone dell'immondizia delle mie malefatte.Non mi sorprendo quando la pattumiera dei miei
comportamenti assurdi si rivolta e mi rigetta tutto indietro come un povero cassonetto che
prende a schiaffi chi non segue i dettami della raccolta differenziata.
Per me è una persona preziosa e, come dicevo a Giovanni, sarà la nostra segretaria
organizzativa dolente o nolente, eh già , non credo sarà d’accordo, anzi… però io sospetto
una cosa che non le ho mai rivelato, credo che fra lei e il Fugazza… beh dai… in fondo…
era la sua segretaria e da che mondo è mondo…
Capitolo 19.
Ecce Fugazza.
30 luglio 2007. Lunedì
HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] to HYPERLINK
"mailto:[email protected]"paola.digiannantonio@tecnoimpian
ti.com
Bg
Tutto bene?hai notizie dell’inge?
Perché stavo pensando che sarebbe giunto il momento di contattarlo,
soprattutto se è alla frutta.
Fammi sapere
b
f
paola.dig to fconti
buon giorno Federico
abbiamo passato un buon week end
solita spiaggia a sabaudia con un collega e la moglie. Ovviamente mi sono un
po’ incazzata perché Maurizio faceva lo scemo con la tipa.
Appena sento l’ingegnere gli chiedo se vi posso dare la sua email privata
Saluti
Paola
fconti to paola.dig
grazie.
b
f
paola.dig to fconti
ho sentito Francesco Sergio e mi ha detto di chiamarlo sul cell
ad ogni modo ti lascio posta e numero di tel
HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected]
338 ******
a presto
baci
Paola
ps chiamalo appena puoi perché mi sembra abb in crisi
Chiudo la porta dell’ufficio. Non uso il mio cell personale, ma credo sia meglio che la
telefonata finisca nel caos dei numeri del centralino, migliaia al giorno.
Al paradosso della telefonia aziendale assistetti direttamente quando l’architetto Fini,
il boss dell’ufficio tecnico, usò il cell di servizio per chiamare un interno del suo ufficio che
stava al piano inferiore. Gli dissi “O Fini, io mi faccio il culo per trovare due soldi in più in
mezzo ai capitoli del bilancio e tu manco per il cazzo usi il cell per chiamare un interno… e
ma che cazzo dai, alza il culo, dimmelo che ti passo la cornetta mica le paghiamo le
telefonate interne” .
Se all’azienda provincia ci fossero un paio di architetti Fini il dissesto sarebbe
assicurato solo per spese di missione e spese di telefonia fissa e mobile.
Un prefisso tim, già mi secca. Faccio il numero. Squilla.
“Pronto” ed ecco finalmente la voce del Fugazza, personaggio ormai mitico del
quale avevo sentito parlare per anni… un po’ come se si potesse telefonare ad un
protagonista di romanzi in serie, tipo Carvalho o il mitico alligatore del Carlotto.
“Salve sono Federico Conti, ingegner Fugazza?”
“Si sono io, salve” voce piatta, abbastanza grave, si sente che non è un teen ager.
“Si… salve, mi ha dato il suo numero Paola…” faccio una pausa per controllare che
sia tutto a posto…
“Si” …accidenti abbiamo il telegrafo dall’altro capo
“Non so se Paola le aveva accennato… mi farebbe piacere se potessimo vederci di
persona, quando e dove le fa comodo…”
“Si, non ci sono problemi, in questo giorni ho qualche problema, se per lei va bene
ci sentiamo prima di ferragosto e poi ci mettiamo d’accordo.”
“Perfetto, allora la chiamo io?”
“Si, mi chiami pure su questo numero, magari verso sera”
“Allora ci sentiamo nei giorni prima del quindici”
“Siamo d’accordo, buona sera”
“Arrivederci” che poi per telefono è un po’ maldestro.
Ora sappiamo che l’ingegnere non è di molte parole e soprattutto si considera sempre al di
sopra dell’interlocutore e, ci giurerei, ritiene lui, Roma e il suo mondo al centro
dell’universo.
Ma almeno Paola gli avrà detto che siamo tutti fuori di zucca?.
Roma caput mundi. Tipico atteggiamento da romani. Del resto sono belli anche per questo.
Capitolo 20.
1 agosto. Mercoledì.
L'agente ecologico.
Gli agenti ecologici provinciali non hanno nulla a che fare con gli operatori
ecologici. Si tratta della Polizia Provinciale in servizio con tuta verde, anfibi e pistola e
manette alla cintura. Mediamente sono anche piuttosto zelanti, sia sulla strada che quando se
ne vanno in giro per gli appennini a fare da sparring partners alla forestale.
Per rendere giustizia a Paola, che ormai comincia a pensare che io abbia battuto la
testa, ho ripreso nella mia attività di tombeur de femme. In realtà dopo lo sconquasso creato
da Monica al mio rientro dalla Sardegna, mi sento un po’ vulnerabile e se non fosse per il
nostro gruppo di studio sarei alquanto depresso. La psichiatra è in ferie e, comunque mi
sentirei persino in imbarazzo a pensare di raccontarle le mie sconfitte sentimentali.
Ho ripreso a fumare, cioè, ho ripreso a fumare sigarette.
Da quando sono responsabile del servizio finanziario della provincia e da quando
ho un po’ più di potere e voce in capitolo,che per un burocrate di contabilità pubblica è
davvero un colmo, mi sono occupato con assiduità al progetto del rifacimento dei bagni del
palazzo. La mattina mi scolo una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo, grazie al ricordo di
un bel calcoletto a forma di minuscolo asteroide urinato circa sei anni fa. Per cui sono in
costante pellegrinaggio dal mio ufficio allo splendido bagno, peraltro situato davanti
all'ufficio di Monica. I gabinetti pubblici del mio piano erano, fino a qualche anno fa, una
sorta di servizi degni della stazione ferroviaria di Istanbul, supposto Istanbul abbia una
stazione ferroviaria, così mi sono impegnato per stanziare la somma in bilancio necessaria
alla loro ristrutturazione. Visto i miei ottimi rapporti con il responsabile dell'ufficio
tecnico,al quale risolvo abitualmente i più svariati problemi contabili, sono riuscito a far
progettare da un ufficio interno una sorta di piccola beauty farm e dopo poco sono iniziati i
lavori.
Adesso abbiamo una sorta di cesso-centro benessere, persino imbarazzante per
design ed ampiezza, ma in considerazione del fatto che al medesimo piano ci sono uffici
degli assessori e del presidente della provincia la cosa è passata pressoché inosservata. Del
resto facendo davvero un lavoro da vecchio ragioniere di contabilità pubblica sono riuscito
a farmi fare un prezzo eccezionale da un'impresa che spesso da noi è stata aiutata in modo
legale intendo. Insomma con poca spesa, o comunque con una spesa ragionevole, abbiamo
adesso dei gabinetti paradisiaci in antitesi e contraddizione con gli uffici con arredamenti
giurassici e macchinari da guerre stellari. Una sorta di perpetuo e costante contrasto, come
quando gli interior designer mettono un pezzo dell'epoca vittoriana in un arredamento
minimal futuristico.
C'è un antibagno che si apre dal corridoio del piano con una porta scorrevole.
Nell'antibagno ci sono tre poltrone o comunque tre sedie a seduta comoda, da qui si passa
in un secondo antibagno dove sono presenti diversi lavabi in marmo con uno specchio
lungo la parete e dispenser di sapone in plastica cromata, la rubinetteria é di design come
tutto il resto, ai lati ci sono degli apparecchi per asciugare le mani efficientissimi. In realtà
mi ricordano i bagni dei migliori autogrill, sennonché i materiali sono da casa da rivista di
arredamento.
Nel secondo antibagno si aprono quattro porte con altrettanti bagni, ogni bagno
all'interno ha lavabo, bidet e specchio. Una metratura considerevole, ma quella c'era pure in
precedenza, come sapete in Emilia gli spazi abbondano. Fatto sta che quando viene
qualcuno da fuori, le nostre toilettes sono fonte di scherno e presa in giro per l'opulenza e la
spaziosità.
Da qualche mese, per motivi contabili, il comandante della polizia provinciale si
avvale di un agente per le pratiche amministrative e contabili, cosicché la povera ragazza si
trova a dover fare numeri da trapezista all'interno delle somme che sono stanziate per il
mantenimento del corpo di guardia ecologica. Il comandante è un tipo piuttosto pratico per
quanto riguarda la gestione del corpo degli agenti, ma purtroppo, lo dico per me e per la
malcapitata che si occupa del vil denaro a loro destinato, il buon Omar Bedini ha le tasche
bucate, nel senso che tende a scialare da gran signore i soldi dell'ente.
Io e la Lorenza passiamo molto tempo a fare in modo che il bilancio della Provincia di
Parma non crolli per la salvaguardia delle specie ornitologiche protette che, il buon Omar,
abile cacciatore, metterà nel carniere la stagione successiva. Insomma, il tipo combina casini
e noi cerchiamo di tappare i buchi.
L’agente Lorenza Finelli è piuttosto carina e con un look militareggiante operativo
che, rapportato ai suoi lineamenti dolci e interessanti, fa l'effetto dello schermo lcd 21 sulla
mia scrivania anni sessanta, non modello anni sessanta, ma proveniente direttamente dal
periodo, very vintage.
Una delle mattine successive al ritorno dalle vacanze,avendo ripreso a fumare per
delusione e nevrosi causa Monica mi ero rintanato in una delle stanze bagno del nostro
cesso-lusso. Uscendo mi trovai davanti Lorenza in divisa e stivali anfibi che stava entrando
nel bagno a fianco.
"Ehi ragioniere…buon giorno!!!!!!!!!"…pronuncia ragioniere con la consueta
ironia.
"Cia-oo"
"Mmm che nebbia.... non avevi smesso?"
"Bah… ormai fumo di nascosto come ai tempi della scuola, del resto è abbastanza
chiaro che a quarant’ anni comincia la regressione che si conclude con l'infantilismo
senile"…in effetti ho un po’ la bocca impastata.
"Ma bel ragioniere, sicuro che era una sigaretta? Mi sembri un po’… come dire...
arzigogolato?"
"Tesoro non c'è nulla di arzigogolato quanto il termine arzigogolato stesso"
"Federico, faccio pipi e ci vediamo nel tuo ufficio… puoi?"
"Possssssso"
Mi lavo le mani e mi dirigo verso la scrivania. Mi sento quasi scoperto perché in effetti
succede spesso che arrivando da casa al mattino io passi qualche minuto chiuso in bagno a
farmi una cannetta che, con il mitico svuotino, mi sono preparato la sera prima nello
studiolo, magari ascoltando gli Smiths con aperto skype, icq, msn e qualche chatroom
dedicata ai piaceri del sesso.
Lo svuotino è comodo perché le sigarette dopate passano più inosservate e nei bagni
si trovano solo normali mozziconi e un po’ di odor di resina, ma alla mattina ci sono pochi
avventori e i pochi deboli di prostata, per la maggioranza, non distinguono l'odore di una
canna da quello di un detergente per pulire la tazza dell'amico cesso.
Come faccia poi io a tenere un contegno dopo una bella fumatina a stomaco vuoto è
un mistero pari alla sparizione dei maya.
Mi siedo. La scrivania con varie lettere e pratiche sembra sorridermi, sono sereno
come il cielo d'agosto nel mar rosso. Non me ne importa nulla del mio lavoro, che
comunque riesco malgrado questi additivi dell'umore a svolgere diligentemente.
Arriva ‘sta Lorenza e con aria stanca mi dice che il suo bambino, che se non erro ha l'età
delle gemelle, continua a voler dormire nel loro lettone,immagino già l'impotenza del marito,
maggiore dei carabinieri, che viene tenuto in scacco da un frugoletto di quindici chili. C'è
una sorta di giustizia divina in questo che raggiungerebbe l'apogeo se riuscissi a scopare la
moglie del maggiore mentre indossa la divisa del marito.
"Allora ragioniere abbiamo ricominciato a sfumacchiare eh?"
"Tu resisti invece?", sono un po’ distratto perché sto pensando all'effetto che
farebbe
su Monica la mia presunta relazione con la bella agente ecologica.
"Mio caro, da quando è nato Matteo io non ho mai più fumato nemmeno una sola
sigaretta"
"Si anche io dopo le gemelle ho smesso di fumare... sigarette" faccio un risolino.
"Si si... ho visto, anzi... se-nti-to" segue una discussione di lavoro dove io annuisco
senza ascoltarla, lei sembra non accorgersene...
[email protected] to fconti@
ciao
scusa se mi permetto, ma vorrei farti una domanda...
ma l'odore che usciva dal tuo bagno non mi sembrava di..sigaretta
Lore
fconti to lfinelli
nn ti preoccupare, mi fa piacere se mi scrivi, giustappunto qualche g fa, una
mia corrispondente è virtualmente morta.
la mia era una semplice sigaretta con una lieve aggiuntina di resina
marrone.
saluti
effe
lfinelli to fconti
ehiiiiiiiii..ma non ci posso credere , il ragionier conti si è fatto una cannone
prima di sedersi alla scrivania?....
che sorpresa!!!!!
ciao Lore
fconti to lf
spero una sorpresa positiva... cmq sia ricorda che la cannabis viene usata
anche a fini medicamentali e terapeutici..sicura di non voler provare...?
ehi dimenticavo che tu sei anche agente di p.s.
mi denuncerai alla procura? o mi sputtanerai con quel falso perbene di
bedini?
lfinelli to fconti
tranquillo fede..anche io avrei bisogno di un po’ di addittivi..ma ci pensi la
moglie di un maggiore nonché agente provinciale fermata dalla polizia e
trovata in possesso di qualche grammo di marijuana?...vedo già la
locandina del gazzettino a caratteri cubitali.
confesso che mi piacerebbe
Dopo aver letto questa e-mail non può che venirmi in mente cosa farei io a questa ragazza
sui trent’anni, forse qualcosa in meno, un po’ repressa, con due tette assurde per
dimensione, magra e carina, mi sto chiedendo quali siano i suoi difetti, forse una leggera
mancanza di eleganza dovuto allo spiccato accento emiliano. Però la Lorenza è ben educata
e pensare di aprire quella sorta di mimetica e trovarci dentro un reggiseno bizzoso, sto
avendo una erezioe, rispondo subito alla sua e-mail.
fconti to lfinelli
senti cara agente di ps, se un pomeriggio vuoi venire a varano ti prometto
una fumatina di roba..se non ecologica almeno biologica.
poi dopo se vuoi puoi pure arrestarmi....
Tempo qualche minuto la bustina di outlook si accende nella barra degli strumenti che ho
perso di vista solo per pochi secondi, nel frattempo rispondo come un automa a telefonate
di colleghi assessori e politici vari.
lfinelli to fconti
senti fe-de-ri-co-ca-ro non mi provocare perché potrei accettare il tuo
accattivante invito..ma tua moglie al pomeriggio cosa fa? e la tua dolce
prole?
fconti to lfinelli
senti la-Lorenza ...tu dimmi quando hai un pomeriggio libero e ti organizzo un
droga party con i fiocchi..anzi con le manette (che porti tu)
:PPPP
Alzo un po’ la posta in gioco e la metto anche sul feticista sado maso. La fantasia delle
manette è peraltro comune quanto il desiderio di far l'amore con due donne insieme.
Si accende la bustina della posta in arrivo.
lfinelli to fconti
bene, quando torno dalla montagna sarò lieta di fumare qualcosina con
te..però ti avverto che dopo potrei fare delle pazzie....
Decido di porre fine alle e-mail senza rispondere tanto per darmi un po’ di tono, in modo
infantile preferisco sempre essere l'ultimo a non rispondere, banalmente per esperienza
diretta ho constatato che quando qualcuno ti interessa e manca quella reciprocità degli
innamoramenti in contemporanea, sei sempre l’idiota che aspetta la posta o la vibrazione del
cellulare che non arriva.
Capitolo 21.
Il contatto con il presidente familiari vittime.
Giovanni era riuscito a trovare in un sito l’indirizzo dell’associazione familiari delle
vittime della strage di Rimini. C’erano solo l’indicazione della sede che era nel centro di
Bologna e il nome del presidente e del vice presidente, Franco Casali e Paolo Mangoni.
Mi venne in mente di guardare l’elenco delle vittime che era stato pubblicato nel
libro che pareva essere il più esaustivo sull’argomento. Era uscito di recente e lo aveva
recuperato in libreria Giuliano. Sia io che Giovanni lo avevamo già letto un paio di volte, la
mia copia era piena zeppa di appunti e sottolineature.
A metà di questa triste lapide di carta, trovai una certa Morena Salvini di anni 29
seguita da Andrea Casali di anni 3. Un senso di freddo mi fece rabbrividire e capii subito il
motivo per il quale Franco Casali era diventato il presidente: lui quel giorno di luglio aveva
perduto probabilmente la moglie ed il figlio, non so perché ma la mia sensazione era che la
famiglia finisse lì, non c‘erano altri figli, per un attimo ebbi come la visione di un uomo con
lo sguardo perso nel vuoto, incredulo e riempito di benzodiazepine che ascoltava l’omelia
del vescovo di Rimini ai funerali di stato. Poi immaginai la reazione, lo sgomento e la voglia
di giustizia. E adesso a 27 anni di distanza, dopo processi e appelli vari, sentivo ancora la
stessa sete di giustizia condita dal desiderio di vendetta, lo sentivo anche solo dopo aver
letto il nome nel sito ed aver letto quello della moglie e del figlio nell’elenco delle vittime.
Telefonai al numero.
Rispose una voce femminile leggermente nasale, senza inflessioni dialettali.
“Risponde la segreteria dell’associazione, i nostri incaricati sono presenti in sede tutti i
mercoledì dalle ore 10 alle ore 12. Per informazioni telefonare al numero del dottor Casali
347 *********”
Notai subito che non si menzionava, quasi per rispetto, o per uno strano timore riguardo
all’evento stesso, di che associazione si trattasse. Composi il numero del cellulare.
Dopo tre squilli rispose.
“Pronto”
“Dottor Casali?”
“Si sono io”
“Buon giorno sono Federico Conti, non ci conosciamo, senta io avrei piacere di
incontrarla di persona, stiamo scrivendo un libro… .” mi interrompe.
“L’ennesimo libro sulla strage di Rimini… ” il suo tono è leggermente infastidito,
non so perché mi aspettavo una persona giovane, ma per lui gli anni sono andati avanti
mentre sua moglie e suo figlio sono rimasti fermi a quel maledetto 2 luglio 1980.
“Non è proprio così, comunque sempre che a lei faccia piacere, preferirei parlarne di
persona”
“Ah… beh…” Un attimo di silenzio… non so se è il solito ponteradio mancato o se
il dottor Casali non parla.
“Dottor Casali?” silenzio
“Mi sente?”
“Senta, il prossimo mercoledì mattina sono in sede a Bologna, se le può andare bene
ci vediamo lì alle dieci circa”
“Per me va benissimo, spero di non recarle troppo disturbo, le lascio il mio numero
nel caso ci fossero dei problemi… magari mi chiama così evito di venire a Bologna per
niente”
“Lei di dov’è?”
“Sono di Spezia, cioè sono nato alla Spezia, si in definitiva sono uno spezzino però
da anni ormai vivo a Parma”
“Ah, bella la riviera ligure, vicino alle Cinque Terre… comunque mi dia il numero”
una voce molto triste che mi fa domandare come sia possibile a quasi trent’anni di distanza
provare ancora un senso di dolore così vivo per la perdita dei propri cari, o forse si è
risposato ed ha altri figli e adesso aveva solo una banale emicrania. O forse è pure malato.
Forse ha il cancro…
“Ha da scrivere?”
“Mi dica, che lo memorizzo nel telefonino”
“340 *********, allora ci vediamo mercoledì, piacere di averla conosciuta,
arrivederci”
“A presto dottor Conti” sembrava pressoché rimbecillito mentre invece ricorda
anche il mio cognome, anche se lo ha sentito solo qualche minuto fa per la prima volta e mi
conferisce l’ennesima laurea ad honorem.
Mercoledì.
Bologna.
“Vede Federico, se mia moglie e mio figlio fossero stati uccisi da un ubriaco al
volante di un auto il dolore sarebbe stato lo stesso, è difficile esprimere la grandezza di un
dolore così forte. Non serve neppure che io stia qui a farle il pianto greco, se fosse stato
appunto un incidente… eh si… il dolore si, però essere vittime di questa strage è differente,
io ho smesso di vivere da trent’anni. Mi alzo, mangio, parlo, frequento persone, dormo, ma
non vivo più. Essendo il presidente ho conosciuto quasi tutti i familiari delle vittime e le
dico pochi, ma davvero pochi si sono ricostruiti una vita. Questo continuo non sapere o
peggio ancora il sapere che qualcuno e non pochi sapevano… avere la consapevolezza che
le persone che dovrebbero rappresentarci, le persone che abbiamo eletto sapevano. O che
addirittura sono stati gli autori… gli artefici. Abbiamo i colpevoli, forse, si. Sono stati
condannati. Ma non c’è stata giustizia e non poteva esserci una forma di giustizia per un
evento simile. Forse avrei dovuto partire, andare all’estero, allora forse avrei potuto
continuare a vivere. Qui no. Troppi processi, in trent’anni non c’è stato un solo giorno nel
quale abbia potuto dimenticare o non pensare a quel dannato giorno di luglio. Io sono
stanco sa?”
“Ha incontrato Valeri e la Franchi?”
“Si, ci siamo visti un paio di volte, in realtà sono stati loro a chiedermi di vederci”
“Si, mi pareva di averlo letto nel libro di Rocca”
“Mi hanno giurato che non sono stati loro… che hanno commesso crimini efferati
ma che non avrebbero mai fatto una cosa del genere… sentito e risentito visto e rivisto, non
so, hanno sempre avuto un atteggiamento contraddittorio, è fuor di dubbio che ci sia
qualcosa di strano, ma le loro versioni le hanno cambiate come tira il vento… e proprio per
quello i giudici li hanno condannati in appello”
“Già… anche noi, io e i miei collaboratori, non siamo affatto convinti che siano i
colpevoli”
“Lei Federico non scriverà un libro… vero?”
“Che intende?”
“Non è qui per farmi un’intervista vero?”
“Senta Federico, credo di aver capito, Non so bene cosa volete fare, comunque sia,
quando avrete deciso, perché mi pare di aver capito che lei non è da solo, mi chiami”
Capitolo 22.
La gita all'università.
31 luglio martedì 2007
Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo
sui colli....(F.Guccini)
Mio suocero la Porsche l'ha comprata da un suo amico che ha il concessionario a
Bologna. Visto che io in famiglia sono quello che ha tempo libero, ogni tanto mi prega di
portarla a fare il tagliando al concessionario.
Oggi siedo sulla Carrera del Piero. La cosa buffa è che per andare all'ateneo
bolognese mi sono travestito da studente fuori corso. Intendiamoci, non che io vada nel mio
ufficio al palazzo della provincia vestito da manager, però oggi, oltre ai jeans e alla giacca
senza cravatta, ho apportato alcune modifiche che comunque non mi sono del tutto
sconosciute quando sono in divisa da tempo libero.
Jeans sporchi, scarpe Tiger abbastanza distrutte e una specie di cartella o borsello militare
che mi ricorda quello che usavo in prima media per i libri; me lo ha prestato Giuliano che è
molto più freak di me. Io ho sempre questo look sinistreggiante da centro sociale con
qualche tocco fashion, reminescenza di un'infanzia trascorsa assieme alla cugina molto
fashion victim ancora prima che Armani fosse conosciuto in America. Non è una cosa
voluta anche se in realtà passa come molto studiata snob e chic. Lungi da me essere trendy,
non me ne importa affatto e a testimonianza di ciò basta annusare i jeans che in genere
stanno in piedi da soli tanto sono sporchi.
Dentro la Porsche lucida, giacchè i ricchi hanno sempre l'auto iper pulita, sembro
una specie di ladro di macchine di lusso.
Esco dall’autostrada. Vado verso la stazione. Parcheggio in un garage in via
Amendola, dietro lo Starhotel.
In modo molto ruffiano quando entri con la Porsche i garagisti sono sempre più
gentili che se arrivi con la Punto bianca aziendale. Probabilmente i proprietari di auto di
grossa cilindrata talvolta lasciano una considerevole mancia. Io purtroppo sono solo una
sorta di autista o, comunque sia, al massimo sembro un pusher. Malgrado ciò il tipo
continua a scodinzolare con la sua tuta blu in modo affettato.
Vado verso Piazza Maggiore percorrendo a piedi i portici di Via Amendola. Passo
sotto le due torri, Strada Maggiore, entro nella facoltà di Scienze Politiche.
Ovviamente , e questo lo scopro adesso guardando alcune bacheche, non ci sono esami,
ovviamente. E’ il 31 luglio e domani qui si chiude, è un po’ di tempo che non entro in
un’università, però la segreteria è aperta. Sto cercando, con aria di sapere cosa, fra le righe
dei fogli appesi dietro ai vetri. Ho un flashback di quando alle superiori dopo gli scrutini
uscivano i quadri dove vedevi se eri promosso o respinto o rimandato e in cosa,ho davanti
una ragazza vestita in modo abbastanza inequivocabilmente schierato, visto che indossa una
maglia di Emergency e un paio di jeans a vita bassa. E’ un po’ grassottella ma come tutte le
giovinastre di oggi non ha timore di mostrare la pancia, io da dietro vedo solo i fianchi che
sbordano leggermente dai pantaloni come un plum cake ben lievitato dalla teglia
rettangolare.
È abbronzata, ha i capelli lunghi e ai piedi porta delle all star rosse che riprendono il
colore della t shirt. Malgrado i senza tacchi è alta quasi quanto me, se fosse un uomo direi
bassa quasi quanto me che sono circa uno e settanta, ma come ragazza non è certo minuta.
Ha una borsa di quelle freak di stoffa, vedo un anello al pollice e nient’altro. Sta guardando
un calendario di esami.
“Vacca boia il dieci noooo” credo stia imprecando a voce alta riguardo ad una
presunta data ma non capisco cosa guarda.
“Ma vacca bo-i-a”ripete a voce un po’ più bassa.
“Disse la principessa” mi viene un po’ automatico senza nemmeno l’intenzione di
attaccare bottone. Fa un passo indietro e mi pesta un piede.
“Oh scusami” si gira ed è carinissima; indossa anche degli occhiali con montatura
rossa e mentre sorride ha qualcosa tipo un dental piercing e pure una bellissima frangetta al
limite delle sopracciglia
“Scusa per il vacca boia o per il pestone?”
“Beh… per entrambi no?” continua a sorridere, sembra davvero una ragazza
gioviale. Se dovessi essere sincero direi che sembra una di quelle che la sganciano
abbastanza velocemente, ma è un pensiero talmente rapido che non riesco neppure a
metterlo a fuoco.
“Nessun problema, a parte la microfrattura all’alluce, come turpiloquio ne ho sentiti
di peggio” mi guarda un po’ con aria sorpresa e poi sorride ancora.
“In effetti è bruttissimo quell’intercalare, ma per noi emiliani è un disastro riuscire a
togliere questi vocaboli” il fatto che sottolinei noi emiliani significa che ha già capito dal mio
accento che non faccio parte dei “noiemiliani”… in realtà ho pochissimo accento perché lo
spezzino sono riuscito a correggerlo in modo efficace vivendo a Parma e l’emiliano proprio
non mi si attacca.
“Posso chiederti un’informazione?”
“Certo, dimmi”
“Per caso sai dove posso vedere il calendario degli esami di diritto costituzionale o
una cosa simile?” mi guarda come se non capisse cosa sto dicendo…
“Ma sei di questa facoltà? Non ti ho mai visto” la parte dello studente lavoratore me
la sono studiata piuttosto bene, però non ho provato abbastanza e sento che sto arrossendo.
“Si, cioè io lavoro ma sono ancora iscritto però volevo solo assistere agli esami…”
non so che cavolo inventare e continuo a diventare sempre più rosso.
“Io ho dato costituzionale comparato ma non so se ti interessano sapere le date di
quell’esame…” sorride ancora però comincia ad avere un espressione di scetticismo e
socchiude gli occhi…
“Diritto costituzionale comparato va benissimo… si certo dove posso vedere le date
dei prossimi esami?”…ormai non so più dove guardare e la cosa positiva è che non sarà
possibile arrossire più di così.
“Aspetta do un’occhiata” si sposta lungo la bacheca e io goffamente non so se
seguirla… resto fermo poi mi avvicino a lei facendo qualche passo incerto.
“Guarda c’è una data per il 10 settembre, è esattamente il giorno in cui ho lo scritto
di Storia delle Dottrine Politiche, è segnato nell’aula tredici, però ti conviene riguardare la
mattina stessa perché talvolta cambiano” mi tratta, e non sbaglia, come se fossi uno che
passa per caso di lì o che comunque c’è per la prima volta in vita sua.
“Ah… grazie davvero, scusa ma è diverso tempo che non vengo in facoltà sono un
po’ spaesato”
“Capisco, infatti è cambiata un paio di volte negli ultimi trecento anni” assume
un’espressione seria.
“Dai scusa, non volevo darti del decrepito, anzi ho la massima stima per chi lavora e
studia”
“Mmm si in effetti non è facile… grazie” ormai sono un po’ imbarazzato fortuna
che la tipa sorride sempre con quel luccichio del piercing odontoiatrico.
“Allora ti saluto, io mi chiamo Elisa” e mi porge la mano
“Piacere… Federico, allora…” sto per dirle auguri per l’esame… quando mi
ricordo che sarebbe una bella gaffe… e in un flashback da studente anni novanta le dico
“In bocca al lupo per lo scritto di storia delle dottrine”
“Crepi il lupo… no?”
“Ciao, arrivederci” cerco di sfoderare il sorriso migliore che ho e anche lei sorride.
Mi giro e cerco l’uscita. Mi sto già mangiando le mani per non averla invitata a prendere un
caffè, è davvero carina e sembra simpatica e aperta e… in un attimo mi va il sangue al
cervello, mi gira quasi la testa e faccio dietrofront lei sta camminando in direzione opposta.
“Elisa, scusa…” si gira subito e sorride
“Lo so che è una stronzata ma poi non so quando e se avrò tempo per ritornare se
non solo per gli esami, poi lo so che altrimenti ci rimugino per tutto il giorno e magari
chissà quando… ” mi interrompe
“Si? Allora… dimmi” in quel momento le squilla il maledetto cellulare.
“Scusami un attimo” risponde al telefonino e io rimango lì davanti e non so
nemmeno dove guardare e che cosa fare, mi accenderei anche una sigaretta ma non le ho
dietro, sto pensando di prendere pure io il cell ma mi sembra una cosa patetica e mentre sto
pensando a cosa fare e a quale atteggiamento assumere lei chiude la conversazione con un
“ciao” e un sorriso che vorrei non vedere, ma che per fortuna non vede l’interlocutore
telefonico e che vorrei tanto fosse per me adesso.
“Mi stavi dicendo?” sorride sempre, ma è un sorriso diverso da quello di cinque
secondi prima.
“No, cioè… mi chiedevo se ti andava di prendere un caffè e…” sono di un
impacciato pazzesco e sento anche che sto arrossendo e come al solito quando sento che
arrossisco divento ancora più rosso perché mi accorgo del mio imbarazzo.
“Ti ringrazio, sei gentilissimo ma guarda, devo assolutamente scappare…” resta un
po’ li senza sapere cosa dire, si vede che è una ragazza molto aperta e gentilissima, tanto che
non osa mandarmi neppure al diavolo.
“Bene ok, sarà per un’altra volta” sorrido un po’ tirato.
“Vedrai che sarà facile che ci rivedremo qui in facoltà, alla prossima allora”
“Ciao”
“A presto, ciao”…si a presto un cavolo. Chissà quando ti rivedo e chissà se ti
ricorderai di me.
Resto dubbioso e con un po’ di malinconia legata al fatto che ormai la mia età da studente se
ne è volata via. Forse la tipa di poco fa era una specie di parallelo esistenziale: era la
gioventù da studente fattasi carne. Vabbè, cammino e guardo le vetrine di Via Indipendenza
senza vedere nulla, c’è ancora qualcosa di aperto, ma ormai il popolo bolognese si
trasferirà, come gran parte degli emiliani, nei luoghi di mare. O forse, meglio dire, gran
parte delle mogli degli emiliani, perché, calendario alla mano, credo che fabbrichette e
fabbricone chiudano il 6 quest’anno.
Arrivo al garage. Non c’è più il tipo di prima e dal gabbiotto un altro uomo in tuta
mi fa un cenno come dire “mi dica”…
“Devo ritirare l’auto”
“Si, qual è?”
“La Porsche lì” faccio segno con il dito. Il garagista mi guarda un po’ torvo come se avesse
timore che non sia il proprietario e in effetti per quello ci azzecca davvero, però oggi sono il
possessore, sorrido.
“Mi da la ricevuta?”
“Si, certo” mi frugo in tasca e tiro fuori la velina spiegazzata, la Porsche è mia.
Pago e mi infilo dentro alla scatola di metallo. Sto pensando che il Piero ogni volta che entra
deve fare una bella torsione, non è auto da pensionati o da sessantenni ‘sta Porsche, beh che
il suocerone, malgrado i suoi sessantacinque anni, è in discreta forma e gioca ancora
qualche volta a tennis. Ovviamente ha provato anche ad andare al golf, però non mi pare lo
diverta molto.
Mi avvio verso il concessionario Porsche di Bologna. Fortuna che è qui vicino
anche se al pomeriggio di un 31 luglio il traffico non è poi lo stesso della Bologna
invernale.
Parcheggio davanti al concessionario. Entro. La solita sfiga vuole che nessuno mi
abbia visto scendere dal bolide così sembro il solito idiota che va a far perder tempo ai
venditori. C’è una sorta di accettazione clienti.
“Buongiorno, senta, dovevo fare il tagliando all’auto”
“Buonasera, com’è il nome?”
“Manfredi, è una Carrera S.”
“Perfetto dottor Manfredi, l’auto dov’è?”
“No, mi chiamo Conti, l’auto è di mio suocero, è qui davanti” mi giro indicando con
il dito verso il parcheggio antistante la concessionaria.”
“Va benissimo signor Conti, la porti pure dentro all’officina uscendo sulla destra”,
noto che la perdita di possesso dell’auto mi fa perdere anche il titolo di laurea.
Entro nel garage dove ci sono diverse auto a “gambe” all’aria, sopra ai ponti. La
cosa buffa è che ‘ste auto da “signori” sono belle anche sotto.
Mi viene incontro un giovane in tuta con tanto di “marchietto” della casa di Stoccarda.
“Buonasera, lasci pure le chiavi dentro. Lì c’è la sala d’aspetto oppure se vuole può
andare a fare due passi, immagino sia solo giusto?”
Accidenti questo sa già che vengo da Parma e giurerei che sa anche dell’amicizia del Piero
con il proprietario nonché suo boss.
“Si certo, ma…”
“Se vuole possiamo darle un’auto sostitutiva, comunque sia in un’oretta è tutto
pronto”
Mi incuriosisce il fatto dell’auto sostitutiva, mica possono dare una Punto ai proprietari
delle Porsche.
“Ma forse per un’ora…”
“Guardi non ci sono davvero nessun tipo di problema” il ragazzetto bisticcia un po’
con l’italiano, ma in fondo è un meccanico o forse è solo il garzone.
“Grazie lo stesso, aspetto, mi rilasso un po’”
“Come vuole, si accomodi pure, lì appena si entra sulla destra, veniamo noi a
chiamarla”
La sala d’aspetto è fornita ovviamente di aria condizionata, macchina distributrice di
bevande, che, ad una prima disamina, non pare della società di quella posta nel corridoio del
mio ufficio. Non so perché ma mi sembra dall’aspetto più efficiente. Ci sono delle
poltroncine in pelle nera che ricordano vagamente i sedili delle auto sportive, nessuno
dentro. Ai lati delle file di sedili dei portariviste. Mi siedo. Il tutto ricorda più la sala
d’aspetto di un dentista. Quotidiani del giorno fra cui il sole 24 ore. Settimanali di motori e
“mattoni da edicola” come Quattroruote, Ruoteclassiche, Autocapital, mensili di viaggi e un
paio di AD, il tutto piuttosto recente e non come dal medico della mutua che avevo a Spezia
dove leggevo, dopo ore di attesa, gli articoli di un periodico femminile dell’anno precedente.
Dopo 53 minuti cronometrati entra, quello che suppongo essere il capo officina, non ha
infatti la tuta da lavoro. Mi consegna le chiavi della belva.
“Ecco qui, tutti i documenti sono insieme al libretto. Tutto perfettamente a posto.”
“Grazie, per il pag…” nemmeno mi fa finire la parola troppo prosaica che si
riferisce al vil denaro, qui è tutto troppo perfetto, non si parla mai di soldi.
“Tutto a posto, l’ingegner Biondi si metterà in contatto con suo suocero”
“Grazie, molto gentile” non so nemmeno cosa dire, in effetti non avevo chiesto nulla
al Piero riguardo al pagamento e al costo del tagliando, ma anche lui ritiene l’argomento
denaro piuttosto volgare.
“Ah, una cosa, stavamo guardano i tracciati registrati nella centralina e ci sono un
paio di fuori giri e due o tre volte si è attivato il limitatore di velocità massima. Può dire al
dottor Manfredi che se la usa in pista, volendo, possiamo riprogrammare la centralina” alla
fine il meccanico mi schiaccia l’occhio, è stato gentile, non poteva dirmi che ero una testa di
cazzo e che avevo tirato il collo alla donzella fino a farle venire le lacrime ai… fari.
“Grazie davvero, farò presente”
Certo è che le auto di lusso al giorno d’oggi hanno dei dispositivi che rompono un po’ le
uova nel paniere e che diamine, che ci venga da solo a fare il tagliando, che gusto c’è se non
posso nemmeno un po’ schiacciare il piede?!
Capitolo 23.
Padanian beauty.
Conobbi Chiara il primo anno di università. Eravamo alla facoltà di giurisprudenza
dell’università di Parma. Ci piacemmo quasi subito.
Dopo pochi mesi quando tornavo al venerdì sera a Spezia, lei mi seguiva e dormiva
a casa di una nostra amica. Purtroppo in casa mia non c’era posto e tutto sommato la cosa
mi andava bene così. Decisi di lasciare gli studi dopo un anno di scarsi risultati e di
frustrazioni economiche: io non avevo che lo stretto necessario mentre Chiara, essendo la
figlia di un ricco industriale della Val di Taro, faceva una vita simile ai Windsor, soprattutto
se paragonata alla mia. Per tutta la settimana mi scarrozzava nella sua Golf gti nera e,
malgrado nel week end si pagasse alla romana, quando apriva il portafoglio mi sentivo
sempre a disagio. Ciò nonostante non ho mai nutrito interesse per il suo denaro, ma
sicuramente il suo stato di agiatezza faceva parte del suo fascino, qualora non bastassero le
belle tette ed una vaga somiglianza con Brooke Shield.
All’inizio, grazie ad un mio collega di università che aveva trovato lavoro, riuscii ad
inserirmi nel mondo professionale facendo il programmatore presso una software house
(all’inizio degli anni novanta c’era ancora un mercato di piccoli software che da lì a poco
sarebbero stati in via di estinzione) , il lavoro non era male e lo stipendio buono per l’epoca,
anche in considerazione della mia giovane età. Poi partii per il servizio militare, perdetti il
lavoro che era con contratto a termine e al ritorno stetti qualche tempo senza far nulla e
ritornai a Spezia, facendo il pendolare verso Parma nei week end.
Nel frattempo la Chiara si era scocciata di aprire libri e far finta di studiare ed era
stata inserita non nell’azienda del padre come tutti si aspettavano, ma aveva trovato lavoro
senza nessun aiuto in un’azienda della Val di Taro. Al termine del suo primo colloquio per
cercare un impiego le chiesero: “ma lei è parente del Manfredi della Italiana Prefabbricati”,
lei rispose “sono la figlia” , il direttore del personale della Metalli Taro Spa si assentò un
attimo, andò nell’ufficio dei proprietari e sgranando gli occhi disse loro che nel suo ufficio
aveva niente di meno che Chiara Manfredi che cercava lavoro. Torno da lei, le strinse la
mano e le disse che il lunedì successivo avrebbe cominciato a lavorare nella loro azienda.
Questo perché, bisogna riconoscerlo al mio signor suocero, la stima che gode la
loro famiglia nel mondo del lavoro della Val di Taro è davvero enorme e di vecchia data.
Passammo alcuni anni di grande benessere economico: Chiara era indipendente,
guadagnava bene ed era pure sovvenzionata alla grande dal signor suocero ed io grazie a
lui, che insistette in modo sospetto per farmi partecipare, vinsi un concorso presso la
Provincia di Parma.
In realtà nessuno mi disse nulla, studiai come un matto e la commissione non fu
nemmeno tanto clemente, ma all’inizio degli anni novanta un posto nella pubblica
amministrazione nell’Emilia del benessere, non era poi così ambito.
Al concorso arrivai terzo su due posti disponibili e dopo qualche mese di
precariato, grazie alla rinuncia del secondo classificato che approdò verso lidi all’epoca
reputati migliori (la Parmalat ), venni assunto a titolo definitivo.
Dopo un po’ di anni di lavoro da manovale della contabilità riuscii grazie alla
fortuna, ad un paio di concorsi interni e forse, chissà, all’intercessione del signor suocero a
diventare un funzionario.
Fatto sta che vuoi per la villetta, la bella auto, i bei vestiti ed una vita all’apparenza
piena di frivolezze e benessere, in ufficio venni presto a sapere che mi si chiamava
“american beauty”, in omaggio al mio presunto stile di vita pseudo americano.
In realtà qualche anno fa avrei lasciato tutto per scappare con Monica, ma le
circostanze avverse e la successiva nascita di Edoardo mi fecero tornare sui miei passi.
Pochi lo sanno e per questo vengo giudicato venale e sposato per interesse. Viceversa in un
modo un po’ particolare amo Chiara e vivo con lei per scelta. Le cose belle che ci
circondano, che comunque sono sempre limitate rispetto al tenore di vita che potremmo
avere o al modo in cui vivono i signori suoceri, non mi fanno mai perdere di vista quali
sono i veri valori. Almeno così credo. Basti pensare che il commendatore Manfredi quando
mette piede in casa nostra si guarda intorno come se fosse nella baraccopoli del film “Brutti
sporchi e cattivi”.
Capitolo 24.
L’Alfetta.
22 agosto mercoledì.
Sono nello studiolo e Chiara e la tata stanno dando la cena ai demoni. Sento in lontananza la
musica di Lazy town, Disney channel, purtroppo ancora una volta Edoardo ha avuto la peggio e
sopporta con rassegnazione il palinsesto imposto dalle due iene Lucrezia e Ludovica. Non so se
siano peggio loro drogate di tv satellitare o il bambino che si estranea con i suoi fumetti giapponesi.
Chiudo la porta e l'ambiente resta insonorizzato e mi ricorda l'ufficio dei boss delle
discoteche che si vede nei film di terz'ordine. In realtà lo studiolo è davvero cool. Mi sto
apprestando a dare un'occhiata al pc quando squilla il mio cell. Sul display compare il nome Piero
Manfredi, è memorizzato con nome e cognome perché se avessi scritto suocero mi avrebbe
ricordato che ho solo una moglie,e per giunta discretamente stronza. Per un attimo ho l'impulso di
lasciare squillare, cosa che non faccio quasi mai, oppure mandare l'avviso di occupato, invece
schiaccio e accetto la chiamata.
"Federicooo?"... già non sopporto il fatto che dica il mio nome in quel tono interrogativo
quando sa bene che al cellulare, verosimilmente risponde il proprietario. Vero è che potrebbe
capitare che rispondano anche i carabinieri se ti sei ammazzato in strada oppure la moglie se sei
andato al bagno e stupidamente hai lasciato il cell acceso in casa, però…
Una regola che dovrebbero seguire tutti gli uomini (o forse anche le donne) è quella di
spegnere il cellulare non appena entrano in casa. Cosa che io faccio regolarmente. Ricordo che un
pomeriggio di anni fa eravamo io e Chiara seduti sul divano che guardavamo la tv, non so per quale
motivo eravamo in casa al pomeriggio e ancor più mi sfugge il motivo per il quale guardavamo
“l'Italia in diretta”. Era Ospite di Cucuzza la figlia di Tom Ponzi che parlava, ovviamente, di
investigazioni private. La tipa, abbastanza “sgamata”, ad una domanda dell’intervistatore che
chiedeva come fare a rendersi conto quando il partner ti sta tradendo, rispondeva che, innanzitutto,
era importante vedere se questi, appena rientrato in casa, spegneva il cell. Visto che era esattamente
la cosa che facevo io, avrei sparato direttamente a Cucuzza e alla sua di ospite con un Kalashnikov.
"Si?... mi dica"…ovviamente ho visto il nome sul display ma il suocero ignora.
"Ah senti, sono Piero...ti disturbo?"
No, mi rompi letteralmente le scatole, ma siccome sono educato non te lo posso dire...
"No, mi dica”(e due) cerco di usare un tono monocorde che mi è familiare nell'utilizzo dei
telefoni, tendente a disincentivare qualsiasi desiderio di comunicazione che vada aldilà del minuto.
"Senti ti volevo chiedere un favore..." ahi ahi qui c'è aria di grossa scocciatura.
"Mi dica” (e tre)… e tagli corto rompiballe (queste parole pensate e non dette sono la
famosa "colonna di destra" la cui esistenza è stata ampiamente dibattuta durante un corso sulla
teoria della comunicazione che ho fatto qualche anno fa per grazia della provincia).
"Senti Federico..." e sono già tre senti, ed io ci sento benissimo.
"Hai presente l'Alfetta che tengo nel garage?"
"Si certo… mi dica" (e quattro… ma forse sono peggio io di lui?)
"Mah… non lo so, penserai che sono stupido (l'ho sempre pensato), ma ho deciso di
venderla".
Il Piero, ha nel garage un'Alfetta che sembra uscita dal concessionario ieri: la tiene come una
reliquia, è un millesei blu del 1976 e ogni volta che la vedo mi fa ricordare quando da bambino ero
fissato con i contachilometri. Un giorno vidi dentro una Lancia Fulvia in riparazione da mio nonno
a Pegazzano (quartiere di Spezia quasi frazione), un contachilometri che arrivava fino a 220.
Da quel giorno non potei mai fare a meno di guardare dentro tutti i finestrini della auto che
non conoscevo. Elaborai pure delle teorie che volevano le macchine arrivare ad una velocità
massima che fosse venti chilometri in meno del valore più alto indicato nel tachimetro. Ancora
adesso se penso ad un modello comune degli anni settanta ottanta so ricordare con sicurezza la
forma e l'ultimo numero riportato sul quadrante. 500 l tachimetro rettangolare indicante 130.
Nuova cinquecento tachimetro tondo indicante 120... e da qui potrei continuare per pagine fino ad
arrivare all'Alfetta di mio suocero che porta scritto 220.
"Ah... è un peccato, è una gran bella macchina" sinceramente sono piuttosto sorpreso e mi
verrebbe da dirgli, sei il solito coglione e non capisci nulla nemmeno di automobili malgrado posi le
chiappe sulla Porsche tutti i giorni.
"Però Federico, perdona questa mia stranezza, ma mi piacerebbe riportarla al concessionario
dove la comprai..."gli è dato di volta il cervello al Piero.
"Non so è come se volessi che la vecchia tornasse a casa sua in Versilia…"la cosa strana è
che non capisco il motivo per cui il suocero se ne voglia disfare...
"Ti starai domandando perché ho deciso di venderla" o il vecchio mi sta leggendo nel
pensiero accidenti... ma è una lettura facile: che senso ha disfarsi di un'auto dopo averla tenuta con
accortezze che nemmeno ha avuto per la figlia per più di trent’anni?
"No, ci mancherebbe, sono affari suoi, è solo che è un peccato" questo vuole attaccare
bottone.
"Sai Federico, giorni fa sono venuto a sapere che una vecchia amica è venuta a mancare e
beh spero che terrai per te questa cosa... ma l'auto me la ricorda molto e preferisco pensarmi con lei
su quell'auto, mentre vaghiamo per le stradine interne del Cinquale, che vedere l'auto vuota in
garage o fra le curve della Cisa mentre la guido da solo…" è persino commuovente, se non fosse
che è un pezzo di merda di dimensioni galattiche.
"Capisco, capisco, non si preoccupi"...figuriamoci se mi va di sputtanare mio suocero con la
figlia, ci manca solo che si mettano a litigare il Piero e la Chiara per una sciocchezza di 30 anni fa.
"Volevo solo chiederti se puoi andare tu che hai un po’ più di tempo libero giù a Massa al
concessionario Alfa Romeo". Tanto come dire: “vacci tu che non hai un cavolo da fare”.
"Si, vediamo, cercherò di trovare un pomeriggio, ma è sicuro che la ritirino in conto
vendita?"
"No Federico, sono già d’accordo con il proprietario della concessionaria, me la scontano
con un'Alfa 159 sw… comunque sia un'alfa nel garage ci vuole, vero Federico?"...e figuriamoci
come si può dormire senza un'Alfa nel garage, come sarebbe possibile? Pezzo di idiota che non sei
altro.
"Beh, in effetti anche a me piacciono molto, purtroppo delle vecchie Alfa c'è ben poco." e
questo tanto per fargli capire il mio alfapensiero in antitesi con il suo.
Sono dentro l'Alfetta, c'è una specie di odore di nuovo, ma è un odore che mi riporta indietro nel
tempo quando con i miei zii e cugina facemmo una vacanza in Sardegna con la Giulia di mio zio.
Ovviamente la vecchia Alfetta nella Cisa si disimpegna ancora bene. Ho acceso l'autoradio e
ruotando la manopola (anche la radio è rigorosamente d'epoca) invece che i Led Zeppelin, ascolto
John Legend che crea una sorta di anacronismo musicale, ma non è un film, siamo nel 2007.
Dopo un'oretta di viaggio arrivo a Massa e la strada è facile visto che lo storico
concessionario è sull'Aurelia.
L'Alfapuana è di medio grandi dimensioni soprattutto per non essere un concessionario di
autovetture della Padana, dove le dimensioni sono sempre allargate rispetto a Liguria e Toscana o
Versilia. Parcheggio fuori l'Alfetta. Entro e dopo poco mi viene incontro un signore vestito con
giacca e cravatta. L'aria condizionata è a temperatura da banco frigo dell'Ipercoop, io sono sudato e
indosso una polo blu e dei bermuda, ai piedi delle Tiger scassate. Al polso però il Rolex che si vede
essere vero, per cui l'abile venditore mi cataloga sicuramente come possibile compratore.
"Buona sera, ha bisogno?"…stranamente non ha l'accento toscano, per ora almeno.
"Buona sera mi chiamo Federico Conti e ho portato quell'Alfetta lì fuori" indico in direzione
della vecchia auto.
"Dovevo ritirare una 159 station, mio suocero aveva parlato con il signorrrr..."e come
diavolo si chiama boh.
"Ah, si... si accomodi". Mi precede e mi apre una porta di un ufficio a vetri con vista
panoramica sul parco auto che fa bella mostra nello show room..
"Mi scusi un attimo, intanto che sbrighiamo le formalità di rito chiamo il capo officina per
prendere l'Alfetta" indica con il dito verso l'auto parcheggiata fuori e comincia a picchiettare sulla
tastiera del telefono, mette il vivavoce…
"Officina" risponde una voce femminile.
"Rita, c'è Bertoneri?" il modo con il quale si rivolge alla collega mi fa pensare ad una certa
intimità, per un attimo vedo questo venditore con giacca e cravatta e pantaloni abbassati ,
accartocciati sulle scarpe che, tenendo le caviglie di una Rita come sulle staffe del ginecologo,
ansima con la paura che entri un cliente o il proprietario della concessionaria...
"Era con un cliente, prova sul cordless, ciao"…anche questo ciao non fa altro che
confermare il mio sospetto della tresca fra i due, penso per un attimo che o delle fantasie deviate.
Il venditore riaggancia e ricompone il numero, io distratto guardo l'arredamento di questa gabbia da
animale venditore, ci sono delle foto di auto nuove e qualche poster di campagna pubblicitaria che
regala tagliandi a prezzi stracciati secondo il costruttore.
A differenza di quando ci si reca da un concessionario per mostrare la propria auto usata, sono
tranquillo, la transazione è già avvenuta.
I venditori di auto sono una categoria particolare, direi secondi come antipatia solo agli
informatori scientifici che quando ti trovi nella sala d'aspetto del tuo medico, con una freddezza da
cardiochirurgo, passano davanti a bambini, donne incinta e vecchi ingolfati di tosse. La cosa
migliore è comprare l'auto senza avere un usato da scontare; in quel caso tieni il coltello dalla parte
del manico e in teoria hai qualche carta in più da giocarti con il venditore. Questi cercherà di farti
capire che il modello che vuoi acquistare è quello che sta andando per la maggiore, in modo tale da
ridurre al minimo un eventuale sconto sul prezzo di listino. Se i tempi di consegna del modello sono
risaputamente biblici ti farà credere che ha la possibilità di rendere più breve l’attesa, quasi godesse
del fatto che tu, bastardo pieno di soldi e senza usato, dovrai aspettare lo stesso come gli operai
dell'arsenale militare, o che sarà lui e solo lui, se gli sei simpatico, a decidere quando avrai la
sospirata vettura.
Il dramma è quando arrivi con l'usato. La tua auto usata non vale niente, tu devi uscire dal
rivenditore convinto di avere una vasca da bagno su quattro ruote e quella è la sua ragione di vita di
venditore: scontare ad un prezzo basso la tua auto usata.
Se possiedi un diesel lui ti guarda e ti dice che in effetti il benzina è più facile da piazzare, se
hai un benzina ovviamente la richiesta del mercato adesso è rivolta più che altro ai modelli diesel;
se l'auto è iperaccessoriata nell'usato contano poco gli accessori. Se non hai il climatizzatore ti ride
in faccia. Se hai i cerchi in lega: si, sono belli, però a tanti non piacciono. Se per caso ha dei segni o
“diononvoglia” un colpetto da qualche parte, il venditore allarga le braccia indicando a mano aperta
il punto dove dovranno essere fatte riparazioni e verniciature.
Mentre penso a queste cose il venditore compone un altro numero dopo che il cordless del
fantomatico Bertoneri aveva suonato a vuoto"
"O Rita! Ma Bertoneri non risponde, l'hai mica visto?" a questo punto c'è un aggiornamento
sulla storia rita-venditore: o la storia dura da anni o c'è una certa acredine fra di loro Probabilmente,
visto che è troppo precisino per fare il tombeur de femme, la Rita , grande figa (da verificare), non
gli ha concesso le sue grazie… o magari le ha concesse al meccanico più giovane… o che ne abbia
beneficiato il famoso Bertoneri?
"Si, stava con un cliente e… "la interrompe maleducatamente, non l'ha nemmeno mai
sfiorata… anzi il venditore è per caso misogino?.
"Si, me lo hai già detto prima" il ph scende vertiginosamente, ora è acido.
"Io qui ho un cliente che deve ritirare un nuovo, però volevo che Bertoneri vedesse
l'usato..."non riesco tanto a capire che cosa debba vedere se la transazione l'ha già fatta a distanza
mio suocero. Probabilmente gliel'hanno scontata pochissimo, ma il venditore continua a
comportarsi da venditore e ignora probabilmente che a mio suocero non gliene importa un beato
nulla e che potrebbe comprarsi l'intero concessionario con Bertoneri, la Rita e ‘sto stronzo di
venditore compresi nel prezzo.
"Senti Sergio, prova sul cellulare, nel frattempo se lo vedo te lo mando". Il Sergio
incravattato e leggermente sudato malgrado l'aria polare, ricompone un altro numero.
Giocherella con un portachiavi. Ha le mani curate, la fede e un Rolex Submariner al polso.
Dopo aver visto che il Sergio è sposato mi immagino una donna dal nome Rita che passa ore ad
aspettare un sms o qualcuno che la porti via da quello squallore professionale dove si trova
invischiata fino al collo.
“Eccolo"...dal vetro vedo arrivare un tipo tarchiato. O la Rita è ninfomane o il Bertoneri,
supposto sia quello che sta arrivando, non se l’è scopata.
"Venga. Ecco il capo officina"…ci alziamo e andiamo fuori davanti all'Alfetta.
"Questo è il nostro capo officina, lui è il signor Manfredi"…ovviamente mi chiama con il
cognome di mio suocero.
"Salve Federico Conti"
"Manfredi è mio suocero"…rivolgendomi al Sergio Rolex e cravatta
"Ah si giusto me lo aveva detto il signor Neri"…presumo che Neri sia il proprietario, ecco
come si chiamava... ovviamente della proprietà non c'è nessun segno in concessionaria. Non si
sporcano le mani con le vendite.
Il Bertoneri si presenta con abiti direi quasi civili, per essere un capo officina, mani pulite, ma che
in passato hanno lavorato sui motori, un giubbotto senza maniche con il logo Alfa Romeo sopra una
polo grigia... forse che abbia freddo??? I capelli sono brizzolati, l'età verosimilmente appena sotto i
cinquanta, l'occhio appuntito, ma con un'espressione leggermente strabica ed asimmetrica che gli
conferisce uno sguardo caprino. Mentre è li che osserva me e l'Alfetta non capisco se è scemo o se
mi prende per il culo. Esattamente come potrebbe fare una capra dotata di senso dell'humour.
"Spostala da qui, magari dacci un'occhiata, poi mi dici". Sergio si rivolge al Bertoneri come
se fosse un sottoposto, ma io ho capito, in un quarto d'ora, che all'interno della concessionaria il
Bertoneri riveste un ruolo di primo piano.
Il capo officina sale sull'Alfetta e parte non sgommando ma abbastanza velocemente. Io rivolgo uno
sguardo interrogativo al venditore Sergio, come per chiedere “ e dove se ne va il buon Bertoneri con
l'Alfetta?” il venditore, in un lampo di acume intellettivo, capisce la mia espressione e mi dice:
"l'auto la porta su in officina"...su perché c'è una rampa che conduce al piano di sopra del
capannone, se nonché il capo officina farà qualche giro intorno al concessionario per testare
l'efficienza dell'Alfa anni settanta.
“Mi ricordo che, io ero un ragazzetto, l'Alfetta era una specie di mito, ce l'avevano i medici ,
i manager, e gli attori famosi" Sergio fa una specie di riflessione a voce alta. Non so perché ma
all'improvviso mi ricordo che Nino Castelnuovo in uno sceneggiato degli anni settanta guida
un'Alfetta con dei doppi fari strani, mi pare fosse "Ritratto di donna velata", che riempiva di terrore
parecchie mie serate.
Passa solo un minuto e riappare la mitica macchina ormai d'epoca e si ferma davanti a noi. Scende il
Bertoneri.
"Mmm... il motore è a bosto, il gambio è in gondizioni bbietose".
Nella mia mente la fonetica dell'accento massesse doc mi fa venire in mente boston, gambia,
gondone e bietola.
La capra travestita da meccanico in poco tempo ha sintetizzato quello che avevo verificato durante
il tragitto Fornovo-Massa. Il motore girava bene, ma tra la terza e la seconda bisognava fare la
mitica doppietta. Il cambio era come dire morbido, ma ogni tanto grattava in modo imbarazzante.
1
"Si, me ne sono accorto pure io, però se si pensa che ha trent’anni tutto sommato si guida
ancora bene"…esprimo le mie impressioni di guida al Bertoneri e al Sergio Rolex.
"Si, berò se si va indorno al gambio son grane serie… boi non si trovano i riggambi"…
sentenzia il Bertoneri.
"Va bene non c'è alcun problema, poi vediamo cosa possiamo fare" Sergio Rolex mi indica
di entrare di nuovo nel suo tempio.
Il capo officina risale sull'Alfetta e parte per l'officina.
Mentre entro di nuovo nel concessionario, seguito a ruota da Sergio, mi soffermo a guardare alcune
vetture in esposizione che prima non avevo avuto neppure il tempo di notare. C'è una Brera rossa
con quattro scarichi che davvero fa un egregia figura, poco più in là un duetto ultimo tipo nero con
interni in pelle rossa. Mi viene un'idea balzana. Io e il Piero non è che abbiano tanti punti di
possibile sintonizzazione, però se si parla di belle auto ogni tanto c'è una parvenza di dialogo.
Lo chiamo al cell.
"Si?"
"Buona sera sono Federico"
"Ah ciao… non mi dire che c'è qualche problema?"…non sembra comunque preoccupato, se
non divertito.
"No, non si preoccupi, a parte un curioso meccanico dovrebbe filare tutto liscio"…incalzo
senza farlo ribattere.
"Scusi Piero, sono qui nel salone e c'è una pazzesca Alfa Brera rossa... e vicino una
strepitosa spiderina nera… mi chiedevo se per la gita della domenica o per avere un'Alfa in casa
non le piacerebbe una di queste al posto della station..." a mio suocero le pazzie da ricco viziato
piacciono da morire.
"Ma la station non è già immatricolata?"…dalla domanda capisco chiaramente che la mia
proposta è allettante per lui.
"Senta Piero, vedo un po’ cosa si può fare... poi le so dire"
"Bravo Federico, in effetti anche mia moglie odia le giardinette"...
"A dopo, salve" chiudo la comunicazione....
Due ore dopo sono fermo a Tugo est, dopo aver parcheggiato la Brera rossa con targa prova davanti
all'autogrill...
Mi guardo bene i quattro scarichi cromati e penso che da bambino, oltre ai tachimetri, mi piacevano
le auto con più di una marmitta… eh si le chiamavamo marmitte… adesso sono scarichi, del resto
anche le figlie le chiamiamo Rebecca, Vanessa e Giorgia… mica Loredana, Patrizia o Marisa.
La parlata degli abitanti di Massa e comunque della zona compresa tra Massa e Querceta, è
molto particolare, la fonetica è pressoché impossibile da ridurre in regole, per quanto il buon
Edoardo Nesi, scrittore di Prato, la teorizzi quasi alla perfezione nel suo romanzo "Fughe da
fermo". Per il popolo basti pensare alla parlata della macchietta proposta spesso in tv da
Panariello "Mario il bagnino".
Anche su wikipedia si trova un esaustivo dizionario e un accenno di regola della pronuncia di tale
dialetto, che non va assolutamente confuso con il carrarino o carrarese che dir si voglia. Per
quello strano dialetto e per farsene un’idea potrete leggere la traduzione del king lear ad opera del
compianto Cesare Vico Lodovici, un letterato nativo di carrara , purtroppo misconosciuto anche
dai suoi concittadini, o almeno non famoso quanto meriterebbe a mio parere, il quale osa tradurre
un breve passo (atto quarto sesta scena pag.103 nell’edizione einaudi) usando un purissimo
dialetto di Carrara al posto del dialetto del Somershet Shire usato da Shakespeare. La mia
modestissima impressione è che il Cesare Vico Lodovici a volte esageri un po’ nella traduzione del
minimale inglese, però se devo essere sincero dopo aver letto Shakespeare tradotto da lui, le altre
sembrano un po’ troppo secche, insomma un po’ la differenza che c’è tra ascoltare un vinile con
una puntina Ortofon e un cd con un lettore della Sony.
1
Capitolo 25.
La villa del Fugazza. Incontro.
Lunedì 13 agosto.
Ufficio. Ore 11,45
Sono uno dei pochi di tutto il palazzo che non fa il ponte di ferragosto. Chiara e i bimbi
sono a Tellaro nella residenza estiva del signor suocero. In realtà, una delle residenze estive,
perché i vecchi vanno nella villa di Forte dei Marmi.
Chiara, essendo stata contaminata dalla mia spezzinità, ha preferito optare per un
immobile che i signori suoceri non consideravano abbastanza mondano e tenevano solo per
qualche sortita nei week end di mite inverno, quando il Forte non è poi così chic se non per
lo shopping domenicale. Anche quando vanno a passare il fine settimana a Tellaro, una
puntata da Gucci al Forte per “smerigliare” la carta di credito, la suocera, la vuole sempre
fare.
In casa a Varano, a parte l’aria condizionata che gira ventiquattrore su ventiquattro,
c’è Lidia, che mi fa l’ordinaria amministrazione, e Savoiardo che sovrintende alla sicurezza.
gli manca solo la coda (intesa come quella del primo Fiorello, perché la coda sopra il sedere
ce l’ha) l’abito elegante e l’auricolare, poi sarebbe un perfetto body guard anche per un
parlamentare di Roma. Se devo essere sincero Lidia l’ho tenuta più per badare a Savoiardo
che per altro. Anche perché pare fra i due ci sia un certo feeling. Probabilmente lei gli
allunga sempre generose porzioni di qualche cosa. Che sia una zoofila vorrei scartarlo. E
poi che il cane si diverta come vuole e la Lidia pure.
Ho bisogno di un po’ di tranquillità per riordinare le idee e coordinare alcune cose
per il nostro progetto. Il Giuli si è giocato quasi tutte le ferie alla Feltrinelli quando non
riusciva neppure ad uscire di casa senza rischiare di cascare diretto dentro ai navigli tanto
era ubriaco. La cosa ha finito per rallentare i nostri progetti e la possibilità di incontrarci tutti
insieme. Ma poi tutti chi? Paola per adesso si tiene ben fuori da questa cosa, io spero solo
di farla venire all’appuntamento con il Fugazza, Giovanni è rientrato dalle ferie e sta
lavorando per predisporre le nostre future comunicazioni in modo anonimo. Ritornando al
Giuli, la Vanessa rientrata da Fuerte Ventura o da dove fosse, l’ha trascinato a villa
Albertina per un tagliando generale e siccome ai dottori Giuliano è sembrato un
personaggio interessante ancora oggi se lo tengono, come dicono loro, in osservazione.
Spero che lo dimettano o gli diano qualche giorno di libera uscita per ferragosto.
Il Fugazza lo sto per chiamare adesso.
Tutte le volte che telefono devo sempre avere in mano una penna che servirà per
eventuali appunti, visto che ho una memoria volatile come la ram dei pc, o comunque sia mi
servirà per fare degli strani disegni geometrici che scarabocchio ogni qualvolta la
conversazione diventa un po’ più lunga ed impegnativa del solito.
Rubrica del cell. Fugazza.
Sto pensando che sarà opportuno eliminare dalla rubrica i numeri degli altri
componenti del progetto, ma allo stesso modo, mentre lo sto pensando, so già che tutto
verrà registrato e quindi se faranno i collegamenti fra le nostre persone, già questa telefonata
sarà di troppo. È l’ultima volta che lo chiamo.
Squilla.
“Si?”
“Salve sono Federico Conti”qualche secondo di silenzio come se il Fugazza non si
ricordasse.
“L’amico di Paola Di Giannantonio” rilancio per aiutarlo.
“Si certo, salve”
“Eravamo d’accordo che ci saremo risentiti prima del quindici”
“Si certo”… e basta! Mi sono stancato del telegrafo.
“Quando pensa ci potremo vedere? ...ingegnere” il titolo lo metto dopo un po’ di
silenzio per far capire una certa insofferenza per il suo modo di fare, sperando che diventi
leggermente più loquace.
“Fra due venerdì per me sarebbe perfetto, ne abbiamo ventiquattro”
“Bene, verrò con due amici… fidàti”
“Senta poi Paola, così vi spiega come fare per raggiungere la villa, purtroppo ci
vedremo dopo cena, la cuoca è in ferie e non ho tempo per organizzare…”
“Va benissimo, non si preoccupi, avrei piacere venisse anche Paola se non è un
problema per lei, così ci accompagnerà lei” sto cercando di restare serio, ma rischio di
scoppiare a ridere nella cornetta se penso alla cuoca del Fugazza. Anche perché so
benissimo che la cuoca se ne è andata via quando sua moglie lo ha scaricato. E ora come ora
il Fugazza non credo che abbia nemmeno la liquidità per permettersela e immagino che
pranzi con una “bonduelle agita e gusta” e ceni con dei tramezzini di quelli che si trovano
nei banchi frigo dei supermercati a coppie di due con i gamberetti e la salsa rosa.
“Per me non ci sono problemi, Paola è una persona che stimo molto”.
“Allora d’accordo ci vediamo venerdì ventiquattro verso le dieci da lei”
“Perfetto, a presto e buona giornata”
“Ah… ingegnere, preferirei che ci mantenessimo in contatto via e-mail se per lei
non è un problema”
“Assolutamente no, mi pare che dovrebbe già avergliela data Paola, dico bene?”
“Si, va bene se scrivo su fsfugazzachiocciolaliberopuntoit?”
“E’ quella, usi pure quella, a presto e buona giornata”
“Buona giornata anche a lei”.
L’ingegnere si sta davvero rivelando un buontempone, risponde pressoché a monosillabi,
ma avevo pochi dubbi a riguardo, dopo averne sentito parlare per anni.
Chiamo Giovanni.
“Giovi, sono Fede”
“Si ho visto, dimmi” rumori di stampanti in sottofondo e ronzio da ced aziendale.
“Ho sentito il Fugazza, ha fissato per… scusa mi dai un indirizzo e-mail tranquillo?”
“A proposito ti devo aggiornare sulla situazione… senti puoi accedere alle chat da
li?”
“No, c’è un firewall piuttosto di manica stretta… niente sessioni in sincrono e niente
siti strani… ultimamente anche youtube è nella lista nera per farti capire…”
“Hai il portatile?”
“Si, però non so se… boh provo a vedere se si aggancia a qualche wireless libera”
“Ecco bravo perfetto, senti ci vediamo su kwchat fra cinque minuti, il mio nick è
maialone”
“Ahahahahah geniale… geniale”
“Cerca di non prendere per il culo poi ti spiego, se non riesci richiamami”
“Ok provo”
Apro il notebook e nelle connessioni wireless ce ne sono un paio libere e per fortuna sono
subito connesso. Entro in chat come guest così non perdo neppure tempo a registrarmi.
Stanza di benvenuto, ci sono circa una ventina di nickname collegati.
Clicco su maialone per una sessione in privato.
Guest130825>maialone
mmm..bel maiaolone leccami tutta
Maialone>guest130825
fede?
Guest130825>maialone
E chi vuoi che lo clicchi un maialone a mezzogiorno del 13 agosto?
Maialone>guest130825
bravo coglione sei d buon umore oggi eh?
Guest130825>maialone
Ciao tutto bene?
Maialone>guest130825
Si certo, allora le email nn sono affatto sicure, ho pensato che quadno nn c si vede d
persona c si trova in chat, ma a parte oggi non c si può dare appuntamento x telefono
altrimenti nn serve a un cazzo. C daremo degli appuntamenti fissi sempre in chat, ho sentito
alcuni amici hacker e pare che i tracciati rimangano sui server x un po’ ma è una jungla, è
sicura..troppo casino x fare controlli.
Guest130825>maialone
Perfetto, allora ti dicevo che dal fugazza ci andiamo il venerdì ventiquattro, la sera
dopocena.
Maialone>guest130825
A roma?
Guest130825>maialone
Si certo andiamo io e te e il giuli e passiamo a prendere paola che ci farà strada
Maialone>guest130825
Come sta il giuli?
Guest130825>maialone
Meglio , fra qualche giorno credo sia pronto per rientrare a servizio 
Maialone>guest130825
E paola? Sicuro che voglia partecipare?
Guest130825>maialone
A cosa?
Maialone>guest130825
No dico, sicuro che viene anche lei il 24?
Guest130825>maialone
Non gliel’ho ancora detto
Maialone>guest130825
Ah beh….
Guest130825>maialone
Senti ti mando via email, gli indirizzi di tutti, vorrei che potessi controllare le caselle….
Maialone>guest130825
Uh alla faccia della privacy..ma che bastardo
Guest130825>maialone
Diciamo che mi interessa che controlli il fugazza le altre non importa
Maialone>guest130825
Vediamo cosa posso fare….
Guest130825>maialone
HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] che fantasia vero?
Maialone>guest130825
Speriamo che nn l’abbia usata tutta x la password..la fantasia
Guest130825>maialone
Ok, senti giov ci sentiamo in serata o doman mattina, io ci sono
Maialone>guest130825
Pure io, pensa che anche il 15 notte devo passare x controllare alcune cose…
Guest130825>maialone
Sarai iperpagato
Maialone>guest130825
Piciu dun piciu…ipopagato sono
Guest130825>maialone
Ok a presto
Maialone>guest130825
Ciau
Guest130825>maialone
Ciao
Capitolo 26.
Alla villa.
24 agosto ore 15.00
Sono appena uscito dall’ufficio del palazzo provinciale. Fuori mi aspettano
Giovanni e Giuliano.
Il Giuli sta meglio, ma dopo il problema di luglio non è ancora rientrato alla
Feltrinelli. Ha avuto giusto il tempo di prendere i libri che ci servivano e che più o meno in
qualche giorno abbiamo letto tutti. Paola e il Fugazza se lo sono comprati a loro spese.
Parlo di uno solo perché per avere un quadro abbastanza aggiornato sul processo e su tutta
la cronistoria degli eventi ad esso legati abbiamo comunemente ritenuto che il libro “Rimini
2 luglio 1980. L’altra strage” fosse davvero superlativo. Lo ha scritto un giornalista
dell’Espresso tal Renzo Rocca. Avevamo pensato pure di intervistarlo, ma ci è sembrato
stupido intervistare un giornalista. Ci limiteremo a dei semplici colloqui con le persone che
ci interessano: i cameraman del filmato trasmesso su hc, il presidente dell’associazione
familiari e beh, dopo aver letto il libro, mi sembra chiaro che dovremo incontrare anche i
due condannati e soprattutto il faccendiere, Alberto Costanza. Solo pronunciare il nome fa
venire i brividi. Fortuna vuole che, se non erro, sia nato o comunque viva nelle vicinanze di
Spezia e giuro di ricordare una frase di mio padre che diceva di averlo visto al bar e lo
aveva salutato, devono essere della medesima leva, credo fossero a scuola insieme.
Sarà più probabile raggiungerlo tramite il Fugazza. Non credo si ricordi di mio padre se
dovesse contattarlo e dubito fortemente ci sia il suo numero di telefono sull’elenco.
Ovviamente il Costanza non potrà dirci nulla di quello che già non è stato scritto sul libro.
Ma io ho bisogno solo di una risposta di due lettere da lui.
Entro in auto, l’Astra station di Giovanni, tanto per avere quell’aria da sfigati quali
del resto siamo.
C’è pure l’aria condizionata accesa. Adesso dovrò cominciare a finanziare l’operazione: un
paio di bonifici dal “conto moglie spese voluttuarie” al mio li ho già fatti, solo qualche
migliaia di euro che serviranno per le piccole spese, quali questa trasferta romana.
“Buon giorno ragazzi” abbiamo il Giuli al posto del morto con occhiale a specchio,
Giovi alla guida. Il Giuli non proferisce verbo ma si limita ad alzare il capo in segno di
saluto.
“Ciao ragioniere”
“Con questo cassone del cazzo quante ore ci mettiamo ad arrivare a Roma?”
“Non rompere i coglioni, potevamo prendere la tua bellissima e ipertrofica Bmw”
“Si, poi dovevamo parcheggiare questa in zona periferica, che tu non hai il pass di
Parma, scendere e prendere la mia, e magari si svegliava pure Giuliano nel frattempo”
“Hihihhi non sto dormendo, ma mi devo immedesimare nella parte di agente
speciale”
“A parte che con quell’occhiale e con la barba di due giorni sembri uno della digos,
comunque ricordati che noi dobbiamo fare degli studi e al massimo scrivere qualcosa a
riguardo…”
“…Del cazzo….” il Giuli è di buonumore.
“Vabbè Giovi metti su qualcosa e partiamo, sarà meglio mangiare qualcosa in un
grill perché il Fugazza pare stasera non abbia la cuoca… ahahahah”
“E la tua amica Paola?”…il Giovi domanda non tanto perché sia interessato al gentil
sesso in questa occasione, ma temo non sia sicuro di arrivare in orario con la bagnarola
dell’Opel.
“Vero, e la Paola?”
“O che cazzo avete da rompere con Paola, fra un po’ la chiamo” aggiungo poi….
“Che poi mica cucina lei, beh che era abituata a fargli anche il caffè all’ingegnere
quand’era in ufficio, però non sono nemmeno sicuro che stasera venga.
Ore 18 autogrill a1 Chianti ovest.
Parcheggiamo all’ombra, casualmente scendiamo sincronizzati. Sembriamo davvero tre
della digos.
“Si, ma stiamo cinque minuti sennò a che cazzo di ora ci arriviamo dal Fugazza?”
“Fede, hai rotto il cazzo… ora poi ti faccio vedere quanto tempo ci metto ad arrivare
a Roma”
Entriamo nel solito frigo per esseri umani. Fortuna che il condizionatore della Opel è
efficace.
Solo quei venti metri di asfalto a quaranta gradi non sono sufficienti per farci sudare.
“Caffè?”…Giuliano mette mano al portafoglio e si avvia alla cassa.
Agli autogrill c’è sempre un formicaio di gente a qualsiasi ora di qualsiasi giorno, per
fortuna abbiamo evitato i pullman. Non ce ne è traccia. Solita abitudine a vedere tante facce
sconosciute. L’unica occasione in cui entrando al grill sembra di essere ad un bar di
quartiere è quando si va in trasferta a vedere lo Spezia, allora di sicuro in qualsiasi autogrill
e a qualsiasi ora tu percorra la tratta “Spezia-luogo dove si giocherà la partita”, incontrerai
sempre qualcuno conosciuto e anche qualcuno che non avevi mai visto in una città di
nemmeno centomila abitanti con una maglia bianca scudettata o con la sciarpa delle “aquile”
al collo. Non si sa bene perché i tifosi siano dei fanatici dei grill. Una volta si rubava
parecchio, ma succedeva nelle trasferte in pullman, ma anche chi se ne va beato e con la
propria auto malgrado il tragitto possa essere di soli centocinquanta chilometri si fermerà
sempre e misteriosamente ad un famigerato di autogrill.
Entriamo in auto.
“Adesso vi faccio vedere quanto ci metto ad arrivare a Roma. E che cazzo povera
astra è sempre turbo diesel in fondo.”
“Eh si Giovi, davvero un bel ferro… me la fai provare qualche volta? Però a Varano
perché sai… fuori ho timore delle prestazioni…”
“Ma quante volte ti ho già mandato a cagare oggi Fede?”
“In effetti…”
“Marcane un’altra. Andate a cagare tu la tua Bmw e la Porsche di tuo suocero” in
realtà Giovanni sghignazza e tutti questi sfottò sono segno di grande euforia per la serata in
villa.
Ore 20.00
Chiamo Paola. Squilla il cell.
“Si”
“Ciaoooo”
“Ciao, dove siete?”
“Intanto è un miracolo che siamo vivi visto che qui abbiamo Nelson Piquet alla
guida di una tinozza senza nemmeno l’eèseppì…”
“Si vabbè, dove siete?”
“Oè, simpaticona, siamo appena entrati nel raccordo anulare” i deficienti intonano la
canzone di Guzzanti e non la smettono.
“Non sento niente avete la radio a palla”
“Noooo, magari! Sono sti due tanacca…”
“Due che?”
Il tanacca è un pesce che in senso figurativo si usa per apostrofare persone non proprio
brillanti, a me piace pensarlo scritto alla giapponese “tanaka”, mi son sempre chiesto se
dipenda dalla scena di Kill Bill vol.II, se non erro, dove Lucy Liu taglia la testa a tal Tanaka
durante una riunione, dove il tipo fa a dir poco la figura del tanacca pesce.
“Niente Paola, lascia perdere i tanaka, dove usciamo?”
“Uscite sull’Appia ci vediamo sotto il raccordo, appena scesi vi fermate. Ho una
punto blu, sarò li verso le 21.”
“Ma che numero è l’uscita?”
“Non importa c’è scritto Appia”
“Ok siamo lì fra… cioè dimmelo tu”
“Fra venti minuti credo boh… si ma prendete il verso giusto altrimenti fate notte”
“Ok, a dopo ciao”
“Raga, siamo addirittura in anticipo…” si leva un coro di improperi.
La punto blu arriva, siamo scesi da circa venti minuti dall’auto, comincia ad essere buio. Ci
siamo già fumati qualche sigaretta e abbiamo fatto qualche commento riguardo al clima di
Roma. Sostanzialmente c’è poco da dire, c’è un caldo equatoriale. Ma la serata è davvero
piacevole.
Scende Paola, che non ho mai visto dal vivo. L’ho vista solo in foto e cam. È alta,
ha dei sandali non male, jeans attillati e una maglia bianca scollata che lascia intravedere
qualcosa di …grosso.
I capelli sono voluminosi e scuri. Lineamenti duri. Ma il sorriso li rende molto
piacevoli.
Ci abbracciamo. E lei stringe la mano molto formale ai miei amici. Decidiamo per
proseguire con la station e di parcheggiare appena possibile la sua punto.
Dopo qualche indicazioni il buon Giovanni, devo dire fino ad ora autista
impeccabile, imbocca il viale dove ci sono una serie di villette a schiera, sembra un po’ la
classica strada dei quartieri residenziali delle città americane.
Arriviamo davanti ad una casa a due piani, sul bianco, davanti il solito giardinetto e
davanti al garage la s500. Sembra perfino fuori luogo un’auto così grande per questo
genere di case.
Parcheggiamo nella strada davanti al praticello. A piedi ci dirigiamo verso l’ingresso io e
Paola davanti e gli altri due dietro.
La porta si apre senza dover suonare e ci troviamo davanti finalmente il mitico
Fugazza, anche lui l’ho visto solo in foto. Veste uno spezzato giacca blu, pantaloni grigi,
sembra un ministro malgrado l’assenza della cravatta. In casa propria non ci si veste così
neppure per il funeral party della moglie che presumo adesso il Sergio vorrebbe avere
presenziato, visto gli splendidi rapporti in cui sono lui e sua la signora.
Presentazioni di rito. La casa è bella. Molto minimal, non per scelta architettonica
ma per il fatto che la zoccola pare si sia portata via quasi tutto il mobilio, malgrado ciò con
qualche pezzo al punto giusto il Fugazza, o chi per lui, è riuscito a dare un‘impronta di
arredo stilistico. Ci fa strada verso il giardino nel retro che da su una piscina nemmeno tanto
piccola illuminata, tutto il giardino è davvero curato in modo professionale e ci sono diverse
piante pregiate. È strano considerando la disgrazia in cui è caduto il nostro manager, ma
l’aneddoto pare sia questo: il giardiniere della zona tal Vladimiro, sposato con prole, ha una
tresca con una rumena che fa servizio in zona e aveva bisogno di una garconniere. Visto
che il Fugazza è sempre fuori casa , ultimamente per colloqui più che per lavoro, pare che ci
sia stato una specie di baratto: il Vladimiro gli tiene il giardino a posto e lui gli lascia le
chiavi per quando vuole fare le sue porcate con la bionda dell’est. Le malelingue, visto che
questa storia ha fatto il giro della Tecnoimpianti, dicono che l’ingegnere sia talmente
pervertito che faccia il guardone del giardiniere, non mentre pota le piante ovviamente. Ma
Paola mi ha assicurato che non è il tipo e, malgrado io lo conosca così poco, non ce lo vedo
proprio mentre spia da dietro una pachira l’amplesso dell’artigiano del verde.
Intorno alla piscina ci sono degli arredi da giardino: tavolo sedie e sdraio. Su di un
carrello qualcuno, ma forse lo stesso Fugazza, che ha un’aria da vero barman anni settanta,
ha posto e preparato bicchieri e quanto necessario per un cocktail post cena; ci offre dei
margherita egregiamente preparati con quel sale nel bordo del bicchiere che fa bruciare il
giusto le labbra arse dalla canicola di fine estate romana. C’è anche una caraffa con, un
cocktail alla frutta forse analcolico.
Siamo seduti in modo sparso, il Fugazza è sull’orlo di una di quelle sdraie da
amplesso “film porno americano bordo piscina casa Los Angeles”, e devo dire che il
contesto è talmente “deromanizzato” che non si potrebbe davvero dire dove ci si trovi o che
siamo a pochi chilometri dal cupolone. L’umidità mi pare degna della California del sud.
Il Giuli ha già bevuto mezzo margherita e siamo ancora ai convenevoli, io siedo
vicino a Paola.
“Bello il giardino e anche la piscina, insomma rispetto al vialetto si fa un bel salto in
un contesto molto tropicale” mentre lo dico mi viene in mente il video Club Tropicana degli
Wham. Però non c’è la poltrona materassino in piscina e mentre sono assorto nei miei
pensieri in un altro flashback cinematografico il geniale Mike Nichols mi riporta sottacqua
con maschera e pinne insieme a Dustin Hoffmann che sente le voci ovattate dei suoi
familiari.
“Si, per quanto a Roma ci sia tanto verde, mi piaceva averne un po’ di privato. La
piscina in realtà non è solo uno sfizio ma si usa parecchio”.
“Ci credo, immagino che per andare al mare, visto il traffico, ci voglia sempre un
po’ di tempo.”
“Si, infatti anche con Maurizio talvolta desistiamo e facciamo un giro ai castelli,
oppure se andiamo ci spostiamo verso Sabaudia, Ostia e Fregene sono impraticabili”
esordisce Paola con informazioni che io conosco già benissimo. So anche che talvolta
vanno al bagno Lilandà verso il Circeo. Sorrido. Sorride anche lei perché non può
sorprendermi con nulla.
“Dunque, come posso esservi di aiuto? Mi ha detto Paola che avete un progetto,
volete scrivere una sorta di resoconto… ”. Non so perché ma negli ultimi giorni siamo
diventati un pool di scrittori che vogliono redigere una sorta di resoconto a copia di quello
del giornalista dell’espresso, cosa che avrebbe davvero poco senso. Ma è bene cavalcare
l’idea in questa fase, ci da quella libertà di movimento che non avevamo neppure sperato. Il
mio desiderio sarebbe che Giovanni partecipasse più attivamente alla discussione, ma è
troppo abituato a lavorare con macchine e a scrivere al pc per trovarsi a proprio agio con
degli sconosciuti. Giuliano è già sdraiato nella poltrona materassino del video degli Wham.
Anzi, sono persuaso che sia, in questo momento, George Michael impersonificato.
“Beh, per adesso non sappiamo ancora bene che cosa riusciremo a scrivere, ci
sarebbero di aiuto alcune interviste, però se devo essere franco noi non siamo giornalisti e
come scrittori avremo poco credito dalle persone che ci interesserebbe incontrare.”
“Mah, io non sono inserito nell’ambiente dell’informazione in senso stretto, si,
conosco alcuni giornalisti della carta stampata e qualcuno della tv, però… non so dipende
da chi volete…”
“Guardi ingegnere, la persona che ci interesserebbe incontrare è paradossalmente
vicino a casa nostra come geografia, però so che si è sempre mosso in ambienti per così
dire particolari, non so se ha presente Alberto Costanza?”.
“Si certo, l’ho pure incontrato diverse volte ad alcune feste della Roma bene,
quando le frequentavo, me l’hanno pure presentato, è un massone ovviamente. Purtroppo
per voi e forse anche per me io non faccio parte di nessuna associazione di quel tipo,
frequentavo il Rotary e ne faccio ancora parte, il presidente dell’azienda dove lavoravo con
Paola è un componente autorevole della massoneria romana e si è guardato bene di fare in
modo che il suo amministratore delegato ne venisse a far parte”.
Alla parola Rotary Giovanni mi ha guardato, uno sguardo interrogativo come se l’inge
avesse detto di far parte del club del bridge. In realtà alcuni meccanismi che intercorrono tra
i soci del Rotary sono stati spesso accomunati alla massoneria, ma del resto
quell’assistenzialismo mutualistico tipico di queste sette o associazioni è sempre stata alla
base di qualsiasi corporazione, in fondo è un tipo di meccanismo che, se pur ad ingranaggi
macroscopici, funziona anche tra iscritti allo stesso sindacato. Peraltro nelle associazioni di
tipo massone il confine tra lecito e illecito è sempre stato lieve, tanto forse quanto il confine
tra politica e mafia in alcuni periodi ed in alcuni contesti sociali.
“Che il Costanza fosse iscritto alla massoneria lo dicevano un po’ tutti, anzi…”
“Beh, era il braccio destro del venerabile… capite, andiamo oltre, arriviamo di botto
alla loggia Propaganda.”
“E’ difficile facendo un’analisi dei retroscena politici al tempo della strage di Rimini
non ricorrere a riferimenti alla loggia Propaganda ed al venerabile… maestro Galli.”
“Mah, non mi sono mai interessato ai grandi misteri italiani, ho le mie idee, ma
credo sia sempre tutto molto più intricato di quanto si possa leggere nei libri o, al contrario.
a volte mi sembra tutto così banale e chiaro che non vale neppure la pena di parlarne, ma
capite bene nei salotti e nei ritrovi dei capitolini doc raramente si discerne su tali argomenti”.
Purtroppo il Fugazza mi sfugge, una cosa è certa: ha poco di comico. E non mi fa neppure
tristezza malgrado questo temporaneo o definitivo decadimento. Se l’è goduta alla grande.
Questa è l’impressione.
La discussione va avanti molto leggera e non si toccano temi politici. Mentre
sonnecchio in autostrada non saprei neppure come abbiamo fatto ad arrivare quasi a
mezzanotte. Ho sempre l’immagine di Paola che ho trovato molto differente dalle poche
fotografie in mio possesso. Mezz’ora l’ho passata studiando le sue dita dei piedi. Una
donna di indubbio fascino e classe, l’ideale per la segreteria direzionale di un’azienda che
gioca molte sue carte in pubbliche relazioni. In abbinamento all’ingegnere sarebbero stati
ancora una coppia splendida alla TecnoImpianti, per quanto anche immaginarli avvinghiati
in un letto, non stonano per nulla.
Non abbiamo fissato nuovi incontri, per adesso e via e-mail l’ingegnere mi farà
sapere se mi trova i contatti che gli abbiamo chiesto.
“Come t’è sembrata Paola?” mi rivolgo a Giovanni ma casualmente risponde
Giuliano.
“Una bella figa eh Giovi?”
“Secondo me se la trombava l’ingegnere, o se la tromba ancora, a volte mi davano
l’impressione di una coppia”
“Sai Giovi, sono stati talmente coppia a livello professionale, era la sua segretaria
personale e non si muoveva senza di lei, per cui hanno dei meccanismi oleati anche nelle
piccole cose proprio come marito e moglie, non mi ha mai parlato di una storia con lui anzi
a volte avevano un rapporto conflittuale”
“Bah… sarà”
“Una bella figa” il Giuli è abbastanza monotematico.
“E l’inge come vi è sembrato?”
“A me sembrava un politico, sarà stato il vestito ed il lieve accento romanesco”
“Io dico che tromba”
“O cazzo Giuli, fatti una sega al prossimo grill così l’ormone ti torna entro i limiti”
Abbiamo parlato con Fugazza dei servizi d’ordine della Tecnoimpianti, visto che lui seguiva
marginalmente, sulla carta, anche quella parte, conosce diverse guardie del corpo di politici
e uomini di spicco della borghesia romana. Se le cose vanno come penso, saranno amicizie
che potranno farci comodo. Nessuno mi toglie dalla testa che il Costanza risponderà eccome
alle nostre domande e soprattutto ad una, e sarà una risposta affermativa.
Capitolo 27.
You tube e il video di Stairway to heaven.
Alle quattro abbiamo scaricato il Giuli davanti a casa di sua mamma a Spezia, siamo
risaliti dall’Aurelia, non abbiamo ripreso l’A1.
Sulla Cisa io e Giovanni ci siamo messi a parlare di musica. Pare che i Led
Zeppelin si riuniscano e che insieme al figlio del batterista scomparso nel 1980 John
“bonzo” Bonham tengano un concerto a Londra.
I Led Zeppelin li conobbi nel 1984 quando erano già a pieno titolo una specie di
mostri sacri della storia del rock. Un mio amico mi fece leggere una sorta di biografia, io
avevo solo ascoltato il “numero due”, ricordo ancora che un mio compagno di scuola me lo
avevo registrato su di una cassetta maxwell rossa e grigia forse da 90 o forse da 60 minuti,
so solo che dopo ogni lato dei led c’erano alcuni pezzi di Southside Jhonny and the Asbury
Jukes, che ora come ora mi fa pensare a Nick Cave and the Bads Seeds, tanto è che
probabilmente senza il supporto dell’enciclopedia on line a bruciapelo avrei risposto
incrociando il buon Jhonny con i cattivi Seeds.
Del SSj ricordo la canzone Trash it up, tentativo maldestro di propinarmi qualcosa
che gradiva molto colui che mi registrò l’album Led Zeppelin Number two, tanto per
completare il nastro libero, una sorta di spot pubblicitario per diffondere una sorta di musica
all’epoca nicchiosa e particolare.
Il trapasso tra la storia del rock e una comparsa del rock per quanto riguardava
quell’album, uno dei periodi neri del buon South, era terrificante. Si passava dalla voce
implorante e commuovente di Robert Plant in Thank You al rithm and blues roccheggiante
di Trash it up. È difficile spiegare quell’attimo di silenzio, di pausa musicale che
intercorreva tra la fine di Thank you e l’attacco di South Side Jhonny, ma come mi disse
una volta un maestro di musica ad un colloquio, sono le pause che rendono grande
Beethoven. Forse il mio compagno di scuola , improvvisato direttore d’orchestra aveva con
la pausa enfatizzato e creato uno stacco geniale tra la musica anni settanta e quella dei primi
anni ottanta.
Sono le cinque e venti quando la porta dell’Astra sw si apre davanti alla mia villetta
di Varano.
“Ciao giovi, ci sentiamo in settimana”.
Entro nel cancello e la “morte nera” mi viene incontro camminando di traverso, c’è sempre
quell’attimo in cui ho un pensiero che mi dice, ecco è impazzito e mi azzanna alla gola, poi
sento il calore e l’umidità della bava di Savoiardo che mi lecca una mano, mi accompagna
fino all’ingresso e mi guarda sempre con il solito occhio nero da squalo bianco, quel poco
espressivo tanto da farmi capire..”sei un coglione…a che cazzo di ora rientri? Domani devi
andare a lavorare”.
Mica tutti hanno il cane che ti giudica come fosse Minosse.Ma la coda non lo cinge,
per fortuna agli alani la tagliano da piccoli.
Mentre penso ancora ai Led Zeppelin salgo nella camera, chiara dorme ovviamente.
Silenzio. Vado in bagno, mi lavo i denti. È difficile mentre ti passi lo spazzolino restare
concentrati sulle setole che puliscono lo smalto, in genere si riflette, e considerato l’ora i
margherita dell’ingegnere, le sigarette e le canne ai vari autogrill , i pensieri spaziano da
Jimmy Page alla serata romana. Domani mattina, oddio fra due ore , in ufficio cercherò su
youtube qualcosa di musicale, pare che si trovi qualsiasi cosa.
Mentre parcheggio la x5 che bippa impazzita con il suo park distance control
scongiurando impatti con auto di colleghi, mi rendo conto che non è possibile presentarsi in
ufficio con un bagaglio di 3 ore di sonno, una più o meno fra Grosseto e Livorno nell’auto
del Giovi e due con la testa sul cuscino che sembra un otto volante.
In bocca un gusto da “splendida giornata” di Vasco Rossi. Mi siedo alla scrivania e
accendo il pc.
Mi lancio subito in una ricerca affannosa su youtube, sperando che il proxy server
sia clemente. Basta digitare Led Zeppelin e le immagini dei video che si possono scaricare
sono decine.
Youtube è una cosa mirabolante, è come se negli anni settanta tutti avessimo portato
i nostri lp in vinile sulla piazza rossa di Mosca e alzando una mano e dicendo quale disco
vogliamo ascoltare, un maggiordomo ci avesse portato con il vassoio d’argento gli album
pronti da mettere sul piatto che gira.
Clicco su uno Stairway to Heaven. Dopo qualche secondo sul mio video lcd ho
Robert Plant che aggrappato al microfono comincia il suo…there’s a lady who sure……
un salto di trent’anni e più, ma lui è li con i suoi jeans a vita bassa, la fibbiona, la camicia
aperta lascia vedere una pancia senza addominali tartarugati, ma con un ventre da sballo,
sensuale , ammiccante e stratosferico, il capello anni settanta non è grottesco come quello
dei cugini di campagna ma è bellissimo , scalato, con i suoi riccioli biondi, dopo trent’anni
non è una macchietta ma è vivo e trasmette dal video tramite una sequenza di circuiti elettrici
delle emozioni che fanno rabbrividire. Non so bene se ho ancora in circolo qualcosa della
sera prima, nel frattempo entra l’assessore, rasato, capello corto la giacca malgrado l’agosto
e la cravatta lo strozzano, abbasso il volume , alzo la testa lo guardo , riguardo il video,
Robert continua con luci psichedeliche, l’assessore parla e diventa una specie di colonna
sonora stonata del video. Sorrido. Alzo il volume e comincia l’assolo di Page. Non sento
più il dottor ************* che mi guarda attonito.
Gli dico ,” Assessore, ti piacciono i Led Zeppelin?”
Mi guarda stupito, e io penso che fra un paio d’ore passa a prendermi Pigi con gli altri
amici dello stadio, si va a Bergamo perché la prima di campionato è Albinoleffe-Spezia.
Capitolo 28.
Chat room.
Incontro in chat.
Il Giovi ha creato una specie di utility in linguaggio c che va eseguita dal prompt del
dos.
In sostanza è una sorta di reindirizzamento che rende gli ip pressoché introvabili ,
così dice lui. È un modo per entrare in rete e restare anonimi. Giovanni è in fondo è una
sorta di hacker e non certo dei più scarsi. Neppure io so quale sia il luogo telematico di
ritrovo con la sua ghenga di amici virtuali. Il programmino ce lo siamo passati ed adesso lo
abbiamo installato nei nostri computer, nel notebook del Fugazza, nel pc dell’ufficio di
Paola, nel mio portatile e nel pc della libreria Feltrinelli della galleria duomo, da dove si
dovrebbe connettere il Giuli. L’appuntamento è per oggi alle 15 in una stanza della chat del
sito HYPERLINK "http://www.communityweb.it"www.communityweb.it precisamente la
stanza motori, una delle meno frequentate. Come è noto le chat si usano al novantanove per
cento per incontri a scopo sessuale, la cosa singolare è che nessuno lo ammette. Mai letto
che si parli di calcio in chat. Il che la dice lunga.
Chatroom.
Utenti stanza sport e motori.
Lista Utenti.
Romanodoc
Amatriciana
Crecher
Napoleone
Napoleone> ciao a tutti
Amatriciana> ciao
Romanodoc>salve
Crecher> ci siamo tutti?
Napoleone> lo sciroccato mi ha mandato una email
Crecher> spero nn abbia scritto nulla di strange
Napoleone> ha scritto solo che nn faceva in tempo
Amatriciana> sfigati
Napoleone> a zoccola!!!!!!
Amatriciana> puttaniere
Crecher> dateci un cut, meno ci stiamo better is
Napoleone> come cazzo scrivi?
Crecher> everibodi own style
Napoleone> ok
Napoleone> ci sei romano?
Napoleone> scusa ma qui è un ambiente informale e si scrive così
Romanodoc> ho visto, ho letto quello che scrivevano in un’altra stanza mentre aspettavo
Napoleone> ok
Romanodoc> scusate che vuol dire mp?
Crecher> 
Amatriciana> beh non saperlo ti rende onore, nn come questi sfigati qui che per trombare
devono chattare
Napoleone> sempre simpatica eh?
Napoleone> gli mp sono messaggi privati, poi ti faccio vedere dopo, notizie?
Romanodoc> allora, in pratica è già fissato
Crecher> come??????
Romanodoc> il tipo, non vuole dare ne cell ne email ne nulla, però è piuttosto abitudinario e
mi ha detto dove lo potete trovare, anzi dove lo puoi trovare, tu napoleone perché vedrà solo
te
Crecher> miticooooooo a romanodoc
Napoleone> seee asp un po’ spiega meglio va
Romanodoc> il tipo è come sapete aspetta è bene non scrivere certe cose
Crecher> fermooooooooooooooooooooo bravissimo cerca di parafrasare e di non usare
quelle parole che dicevamo, cioè quelle che come sai non vanno usate per telefono ne
inserite negli sms
Romanodoc> ? boh non mi pare ne avessimo parlato, ho capito in ogni caso
Romanodoc> il tipo è in villeggiatura presso la propria casa, due volte la settimana va in
versilia ad un ospedale per una terapia di non so cosa
Napoleone> mi devo travestire da infermiere?
Crecher> perché nn ci vai tu a fare l’infermiera amatriciana?
Amatriciana> manica di coglioni , e io che vi ho pure presentato gente seria
Romanodoc> no, pare che dopo la terapia il signore prenda l’aperitivo in un famoso bar di
forte dei marmi…
Napoleone> il principe
Romanodoc> esatto quello
Napoleone> e che gg va?
Romanodoc> lunedì e mercoledì, lui sta li circa dalle 12 alle 12,30, se non c’è provi un altro
giorno
Napoleone> si e come cazzo fa a sapere chi sono, devo nadare con una rosa in mano?
Amatriciana> la piantate di fare i coglioni?
Crecher> amatricià, guarda che qui è più normal una chat di questo tipo
Amatriciana> si vaabbbbbbè
Romanodoc> tu lo conosci di vista?
Napoleone> beh all’ingrosso si
Romanodoc> stai tranquillo non passa inosservato
Napoleone> ma ha dei gorilla?
Romanodoc> no
Romanodoc> tu vai da pinco pallino e gli dici buon giorno sono l’amico del..romanodoc
Napoleone> boh ..non so che dire
Romanodoc> se vuoi è così, altrimenti è così lo stesso o rinunciate al tipo
Napoleone> ma la terapia la fa a vita?
Romanodoc> pare che settembre e ottobre ci sia tutte le settimane e da quello che ho capito
comunque sia l’aperitivo li ce lo prendeva anche quando non andava in clinica solo che
adesso ha quelle ore libere per recarsi li e capito?
Napoleone> ma tu ci hai parlato di persona?
Romanodoc>no
Amatriciana> non fate troppe domande
Crecher> a romano..c’hai pure i bucatini che te fanno da avvocato
Amatriciana> ma vaffanculo 
Napoleone> beh per adesso grazie davvero romanodoc ti faccio sapere come è andata
Napoleone> io esco che fra poco viene da me uno che mi deve portare un fagiano
Amatriciana> io preferisco altri uccelli ahahahah
Crecher> la principessa sti cazzi
Romanodoc> salve a tutti
Romanodoc goes to sex-room
Crecher> ahahahah che cazzo di figura il tuo amico, non sapeva che veniva scritto dove
andava ihihi
Napoleone> altro che fagiani qui c’è qualcuno che va a caccia di ..passere
Amatriciana> e vabbè coyoni che nn siete altro chissà quanto pippe vi siete fatte voi
Napoleone> :P mi pare normal ahahaha ciao a tutti
Napoleone shutdown
Crecher> ciao amatri
Amatriciana> ciao coyo…tes
Crecher> :P
Amatriciana> ;)
Amatriciana shutdown
Crecher shutdown
Capitolo 29.
Il fagiano di Franco l’usciere.
Venerdì 31 agosto. Ufficio. Ore 13.
Alzo la cornetta e faccio il numero degli uscieri. Il bugigattolo degli uscieri è posto
all’entrata del palazzo della provincia.
In teoria dovrebbero fermare tutti quelli che entrano ed almeno chiedere dove
stanno andando perché da noi, e in quasi tutti gli uffici della pubblica amministrazione, non
ti danno un tesserino lasciapassare come in questura o nella caserme.
In realtà gli uscieri, che peraltro sono pure in divisa, fanno un po’ di tutto tranne
quello che dovrebbero fare: a parte chiacchierare allegramente tipo combricola da bar,ed in
quello non sono gli unici, vengono chiamati dai vari uffici per il disbrigo delle pratiche più
curiose, in genere vengono usati anche come messi notificatori,insomma hanno una
qualifica, per così dire dinamica, anche perché tutti non sono in grado né giuridicamente né
a livello pratico di provvedere ad atti di una certa rilevanza. Alcuni appartengono a categorie
protette, si occupano anche del centralino, le telefonate, infatti, arrivano alla postazione
qualora non vengano usati i numeri diretti.
Suona libero.
“PRONTO USCIERIIII”.
Ha risposto Giangiacomo un ragazzo pressoché sordo che, per ironia della sorte e per
cattiveria dei colleghi, viene occasionalmente usato come centralinista. Una volta usavano i
non vedenti, noi qui siamo geniali ed abbiamo pensato ad un centralinista parzialmente
udente, soprattutto se si dimentica di accendere l’apparecchio di ausilio all’udito.
“PRONTOOOOOO!!...O FRANCO MA STAMATTINA MI CONTINUANO
A CHIAMARE SENZA DIR NULLA, CI DEVE ESSERE QUALCHE PROBLEMA”
sta evidentemente parlando con un altro degli uscieri, il Franco che sto per l'appunto
cercando.
“Giangiacomo? Mi puoi passare Franco?”
“ACCENDI L’ORECCHIO O CAMBIA ORECCHIO”…sento fuori dalla
cornetta la voce di Franco.
“MA L’HO ACCESSO MA NON SI SENTE” si sente un improvviso ronzio,
come una specie di cellulare vicino alla cornetta.
“Pronto uscieri”
“Ciao Giangiacomo, sono Federico Conti, mi puoi chiamare Franco per cortesia?”
“Ah buon giorno dottore, glielo passo subito, scusi, ma stamattina sto telefono ha
qualche problema”
“Si, anche il mio non funziona bene, grazie ciao Giangiacomo”
“Franco è il dottor Conti!!!!”
“Pronto dottore?”
“Franco, la prossima volta che mi risponde Giangiacomo e non è solo in portineria
mi incazzo davvero. Ma dai, è possibile che non ci può stare uno di voi al centralino,
manica di bastardi, vi divertite eh?
“Ma no dottore, è solo che stavamo scaricando una cosa e...”
“E appunto: il Marchi non è zoppo e non ha l’ernia, ha solo il problema
dell’udito”…più o meno, penso io mentre affermo il concetto.
“Non potevate mandare lui a scaricare quella cosa?”
“Dottore non si preoccupi guardi, in tutta la mattina ci sarà stato cinque minuti”
“Si vabbè, senti Franco, ce la fai a salire dieci minuti che ti devo chiedere un
favore?”
“Si subito dottore” spiegare agli uscieri che non sono dottore è un’impresa che va
aldilà delle mie capacità, per loro se uno è responsabile di qualcosa è assolutamente laureato
e, quand’anche non lo fosse, acquisisce il titolo di dottore automaticamente.
“O Franco, il fagiano poi, quand’è che me lo porti?
“Dottore lo consideri già in pentola, ora salgo e le dico”
Franco l’usciere lo conosco da quando sono entrato in provincia, ma non è tanto tempo che
siamo entrati, per così dire, in confidenza, in realtà è successo grazie ad un simpatico
aneddoto che racconto sempre volentieri ai miei amici intimi.
Franco ha circa una cinquantina d’anni e vive con una vecchia zia, non ha più i
genitori e comunque ha un sacco di soldi, nel senso che è unico erede di un patrimonio
immobiliare di rilievo, un paio di appartamenti locati nel centro di Parma, una casa per
prendere un po’ di fresco ad agosto a Tarsogno e un bilocale a Lerici, probabilmente per
quello che guadagna potrebbe pure vivere con le sole rendite degli immobili, comunque sia
non è il tipo che rinuncia neppure a dieci euro.
Franco ha due passioni: la caccia ,e pensarlo in giro nel bosco con un fucile mi fa
venire i brividi e le donne, purtroppo però non è affatto un Don Giovanni, ma piuttosto una
specie di compagno di merende, come quelli diventati celebri con il processo al mostro di
Firenze.
Gli uscieri girano spesso in tutti gli uffici e hanno comunque le chiavi di tutti i
locali. Un giorno di qualche anno fa, ricordo solo che erano quasi le quindici e ormai nel
palazzo non c’erano che poche persone, dovevo andare dall’allora presidente ignorando
che, sia lui che la di allora segretaria, una femme fatale pazzesca assunta come collaboratrice
dallo stesso, fossero già usciti.
Aprendo la porta non vidi nessuno nell’anticamera e pure la scrivania della ragazza
era vuota, per un attimo pensai che fosse chiusa con il boss e mi stavo avvicinando alla
porta per origliare qualcosa, quando vidi Franco chinato sopra la sedia dietro alla scrivania
dell’affascinante donna, lì per lì non riuscii a capire, era una di quelle situazioni che non
quadrano, cioè, c’era qualcosa di strano. Sentendo la mia presenza si alzò di scatto,
probabilmente nell’estasi del momento non si era accorto che ero entrato, mi guardò e mi
disse:
”Ah dottore è lei… che spavento” in effetti pure io avevo sussultato per la sorpresa,
poi aggiunse:
“Sa dottore, sta tanto seduta che con la gonna e le autoreggenti nel tessuto della
sedia… sa… rimane il profumo… mmmm che bontà, vuol sentire anche lei dottore?”
Volevo morire dal ridere ma non potevo che sorridere, perché la cosa era allucinante: il
Franco stava sniffando il centro della seduta con la speranza che vi fosse rimasto
impregnato l’odore degli umori della segretaria. Devo dire un’idea pressoché geniale da
maniaco assoluto, però questo Franco di fantasia ne aveva da vendere.
“Per favore dottore, le chiedo solo la cortesia di non dirlo a nessuno”
“O Franco e come faccio a dirlo a qualcuno? Se lo racconto ci arrestano e ci
internano a tutti e due; a te perché sei fuori di testa e a me perché son qui che ti sto pure a
sentire. Dai scherzo Franco, non ti preoccupare, sei scusato perché la segretaria è davvero
una strafiga e giurerei che in effetti in mezzo alle gambe abbia davvero un profumo da
sballo”.
“Dottore le dico, venga a sentire…”
“Franco? Ti dico la verità, preferirei sentirlo direttamente in mezzo alle gambe della
signora ahahahaah”
“Non mi dica che l’ha sentito?”
“Ma dai!!! Sono sposato!!!”
“Dottor Conti lei non me la conta giusta”
“Non te la conto proprio, lascia stare, va e chiudi la porta, oggi ti è andata bene, se ti
capitava qui la dottoressa Antonelli adesso te la vedevi brutta” .
Il dialogo fu pressappoco questo e ogni tanto lo rammento per capire come sono entrato
nelle grazie di questo factotum di palazzo che comunque mi dimostra sempre fedeltà
assoluta.
Bussano alla porta.
“Avanti”
“Dottore…”
“Vieni Franco siediti pure”
“Allora il fagiano, beh appena riapre la stagione il primo che prendo, anzi andrò
apposta in una riserva in toscana”
“Non ti preoccupare Franco, è solo che è da quando sono bambino che me lo
cucinava mia nonna che mi è rimasta voglia del fagiano e Chiara e mia suocera se ne
guardano bene dal farmelo, forse costa troppo poco, sai, loro mangiano aragosta a
colazione, i nobili”
“Beh dica a sua moglie che il fagiano è un piatto che va forte pure alla corte dei
regnanti inglesi”
“Bravo bravo glielo dirò, così almeno il tuo fagiano avrà un funerale degno di
rilievo”
“Ti volevo chiedere una cortesia”
“Quello che vuole”
“Io e un paio di miei amici volevamo andare al tiro a segno”
“Mmmm”
“Però, cioè, a me non è che mi faccia impazzire, ma è un po’ che me la menano con
sto tiro a segno e siccome io a militare ero un cecchino provetto voglio farglielo vedere”
“Chi l’avrebbe mai detto, e il militare dove lo ha fatto?”
“Negli alpini vicino Cuneo”
“Ma non è di Spezia lei?”
“Si appunto, ma lasciamo perdere, e le pistole?”
“Eh si ci vogliono”
“Bravo, ma intendevo, si possono noleggiare? Quanto costa una pistola tipo quelle
berrette che usa la nostra polizia?”
“Mah, ce ne sono diversi modelli, ad esempio ce la 9 e 65 poi…” lo interrompo
“Nono, non mi stare a parlare di calibri e cose varie che non ci capisco un cazzo,
vorrei solo sparare ad un bersaglio di cartone io”
“Ah ok dottore”
“Ma per caso qualcuno del tuo giro ne ha di usate?”
“Le faccio una confidenza, pensi che io ne ho una che abbiamo trovato una volta in
un bosco sulla Cisa ed ha la matricola cancellata”
“Per l’amor del cielo Franco non lo voglio neppure sapere”
“Ma mica la uso dottore stia tranquillo”
“E ci mancherebbe pure”
“Ma per comprarne una per uso sportivo ci vuole il porto d’armi?”
“No, per uso sportivo è sufficiente una specie di documento che mi pare lo facciano
in questura”
“Comunque dottore le so dire, dovrei sentire stasera uno dei miei amici di battuta e
so che qualcuno di loro va spesso al tiro a segno, pensi che ce ne è uno che ha un terreno e
ogni tanto fanno una specie di gara sparando ad una sagoma” lo interrompo.
“Porca puttana Franco mi tappo le orecchie non voglio sentire, fate dei casini”
“Ma dottore non fanno nulla e comunque anche a me non piacciono quelle cose”
“Ok, comunque aspetto notizie per il tiro a segno”
“Le porto il fagiano e le notizie fresche fresche”
”Ah dottore, se vuole le vendo la mia pistola… ai suoi amici ahahah”
“Ci sentiamo Franco, vai giù, vai che se ti chiama la dottoressa Antonelli ti fa il culo
e poi mi tocca pure prendermi la colpa”.
Bussano.
“Avanti”
“Ah dottore”.
“Dimmi Franco”.
“Mi è venuto in mente una cosa: ho un amico che c’ha due p38 del dopoguerra,
siccome è un po’ come dire, in difficoltà di soldi, so che le voleva vendere”
“Ma la p38 non è quella a tamburo con la canna corta?”
“Seeee o dottore!!! Le p38 sono quelle che avevano i tedeschi nella guerra”
“Ah scusa ma non ci capisco una mazza di armi”
“Eh si dottore, me ne sono accorto, quelle le avevano prese, cioè, le aveva prese suo
padre che era un partigiano ad un ufficiale tedesco che avevano fatto fuori, ovviamente di
straforo”
“Boh Franco, sentirò i miei amici, chiedigli un po’ quanto vuole”
“Va bene glielo so dire poi”
“Ma funzionano?”
“Dottore la p38 è una delle pistole migliori mai prodotte e le assicuro che il Toni le
teneva come due reliquie, lucidate e oliate, però ha bisogno e ne ha altre più… come dire…
leggere… anche perché queste non le può far vedere a nessuno ed è uno di quelli che
quando ci vai a casa sua ci perde due ore a farti vedere la sua collezione di armi e ferri vari”
“Ok Franco fammi sapere il prezzo”
“Va bene dottore, stia tranquillo”
“Ah Franco, non te lo dico nemmeno di tenere la cosa per te vero?”
“Mi offende così eh.. lo sa bene e via dottore e che diavolo!”
“Ok ciao Franco”
Capitolo 30.
Il libro rosso.
5 settembre.
Non so perché ma il libro del giornalista dell’Espresso non lo avevo finito del tutto,
mi mancavano solo una decina di pagine, ma ormai quel che avevo letto credevo fosse
ampiamente sufficiente a fornire un quadro completo del nefasto avvenimento. Più che un
quadro, in realtà, direi una tela con delle pennellate messe assieme senza nessun nesso
logico e senza nessun desiderio artistico.
Un muro con una serie di graffiti sovrapposti che fornivano una massa informe di
colori e linee. Troppa confusione. Troppi processi, troppi imputati, troppa menzogna.
Me ne stavo nel bagno del piano di sopra. E il libro rosso sembrava osservarmi
poggiato su uno scaffale davanti al water. Chiara e i bimbi erano ancora a tavola, la tv era ad
un volume piuttosto alto tanto che dal piano di sopra sentivo la musica di Playhouse
Disney. Anche stasera Edoardo era condannato dalle gemelle a sentire i cartoni animati,
dico sentire perché ovviamente lui non alzava lo sguardo dal cibo, se per caso era una delle
sere in cui decideva di mangiare, o da quello che stava leggendo.
Passando dalla sala da pranzo dico a Chiara che vado nello studiolo, ho in mano il
libro rosso e noto con un certo orgoglio che Edoardo sta leggendo il Guerin Sportivo. Al
diavolo i manga e i fumetti. Mi siedo e accendo il pc con un gesto istintivo e comincio a
leggere le poche pagine che mi restano. Sono fremente perché c’è un’inaspettata intervista
dell’autore a Libero Valle.
All’epoca della sua Presidenza della Repubblica studiavo giurisprudenza a Pisa e il
Valle era piuttosto stimato dai professori ed assistenti di una certa area politica, ma di
questo me ne sono reso conto dopo. Ricordo solo che un viscido assistente durante un
esame di diritto pubblico faceva un raffronto tra il presidente partigiano Sandro Contini e
Libero Valle. Una cosa che, ricordandola adesso, mi fa solo brivido e raccapriccio.
La disamina non voleva essere un mero parallelo tecnico giuridico, in realtà
nascondeva una certa simpatia per l’allora presidente in carica e per le sue famose picconate.
Malgrado io frequentassi una facoltà di tipo umanistico e se vogliamo strettamente legata
alla politica, non avevo le idee molto chiare e non conoscevo nemmeno bene l’immediato
passato che vedeva il presidente Valle, sempre presente in posti chiave della Repubblica
Italiana allorché succedevano avvenimenti intrisi di misteri come bombe sui treni, alle
stazioni e aerei abbattuti.
Avevo una certa sudditanza nei confronti del pensiero degli insegnanti e ascoltai
l’orazione politica con un’ingenua attenzione tecnicistica-giuridica.
Cominciai a leggere l’intervista. L’atteggiamento dell’intervistato era quanto mai
supponente e arrogante, ma era il suo solito modo di fare. Dovetti rileggermi alcuni passi
perché non riuscivo a capacitarmi di cosa avesse dichiarato. In sostanza, con poche parole,
picchiava duro proprio contro Franco Casali, accusando l’associazione dei familiari di
essere solo interessata ai soldi, e bada bene che non si premurava neppure di parlare di
risarcimento, diceva soldi, come se fossero delle puttane o degli accattoni.
Per un attimo pensando al Casali mi vennero le lacrime agli occhi. Non era
possibile. Ma era vero. Era un libro pubblicato da un famoso e stimato giornalista e quella
era un’intervista registrata. Presi il cellulare, guardai un attimo l’orologio, erano ancora
poco più delle venti e mi sentivo di chiamarlo.
In rubrica selezionai Casali.
Squilli.
“Pronto”
“Buonasera dottor Casali, mi scusi l’ora sono Federico Conti, ricorda?” ci fu un
attimo di silenzio.
“Si, mi dica”
“Se la disturbo la richiamo domani”
“Non si preoccupi, mi dica”
“Le volevo chiedere se ha letto il libro pubblicato di recente del giornalista da Renzo
Rocca, quello sulla str...”mi interrompe
“Si, ho capito di cosa sta parlando, non l’ho letto perché qualcuno dell’associazione,
non ricordo neppure chi, mi ha pregato di non farlo, mi ha detto che c’erano scritte delle
cose sgradevoli e non è un buon periodo, non sto bene e sostanzialmente non sto facendo
affatto il presidente dell’associazione”.
“Senta dottor Casali, non serve che si legga tutto il libro perché comunque ci sono
sicuramente tante cose che ha seguito di persona e non le serve un resoconto dei processi e
delle supposizioni di un seppur brillante giornalista, le chiedo solo di leggere le ultime
pagine dove c’è l’intervista a Valle, se vuole gliele faxo.
“Non mi avevano detto che c’era un intervista a Valle”
“Lo ha mai incontrato?”
“Si , in alcune occasioni diciamo pubbliche. Ma so che non aveva un atteggiamento
di simpatia nei confronti della nostra associazione”
“Domani appena arrivo in ufficio gliele faxo. Ci risentiamo. Va bene?”
“Va bene, se crede che possa essere utile che io le legga…”
“La legga, ci sentiamo domani, buona serata”
“Arrivederci dottor Conti”.
Capitolo 31.
F.C. for Africa.
Chiara mi ha raccontato che a fianco del capannone dove lavora c’è una sterrata che
porta sul greto del Taro. Pare che ci posteggino i dipendenti quando non hanno voglia di
entrare dal cancello e comunque quando sono di fretta, in effetti qualche volta in cui sono
passato da Chiara di fretta mi pare di averla usata pure io.
Se nonché tutti assicurano che da qualche tempo bisogna far lo slalom tra i
preservativi usati e i fazzoletti di carta.
Sulla provinciale che passa lì davanti ho visto che in questi periodi ci sono diverse
ragazze di colore. Probabilmente una ha scelto come zona le adiacenze della Metalli Taro
come base di appoggio. Isolato ma non troppo, illuminato ma non troppo. L’ideale per non
finire rapinate o sgozzate da qualche nuovo discepolo di Donato Bilancia.
Un paio di volte sono passato lì davanti, era un periodo che uscivo con Giuliano
piuttosto spesso e talvolta ci siamo dilettati nel classico puttangiro. È una cosa che si fa
spesso in modo goliardico, personalmente non mi piace andare a puttane in compagnia, se
proprio mi devo scopare una della strada lo faccio quando sono solo. Ha un suo fascino, è
diverso che andare nelle case di appuntamento quando sai chi ti apre la porta.
Le puttane della strada sono un po’ come andar per funghi. È molto aleatorio
perché se ne cerchi una in particolare non è mai facile trovarla libera o sapere se quella sera
ci sia oppure no. Pare abbiano i turni, e il calendario non è pubblicato da nessuna parte.
La prima volta che siamo passati con il Giuli davanti alla Metalli Taro appena ho
visto la ragazza davanti al cancello ho immaginato che fosse la responsabile degli slalom dei
malcapitati di cui sopra. Ci siamo fermati. Avevamo bevuto e fumato. Giuliano stava
ovviamente dalla parte del morto e quella è la posizione del contrattatore, le puttane sono
sempre dalla parte del passeggero.
“Ciao” il Giuli esordisce dopo aver tirato giù il vetro elettrico della x5. Nota bene
che non si sa secondo quale teoria sillogica le puttane se hai il fuoristrada sono più
disponibili, non credo sia una semplice associazione di idee autocostosa/tantodenaro anche
perché in realtà più soldi hai e meno troie di strada ti scopi.
“Ciaooo”
La negretta è carina, vestita a modo e sembra pure pulita.
“Come stai?”
“Bene, andiamo?” ride divertita
“E mah… quanto prendi?” e qui ci aspettiamo il classico e principesco 30 bocafiga.
Una sera precedente, sempre fumati e bevuti, ne abbiamo fermata una, ma non era
in zona Fornovo, eravamo giù in riviera e alla domanda “quanto?” la povera malcapitata,
brutta da far paura rispose quasi urlando “Drendabogafiga”. Il Giuli fece giusto in tempo a
proferire un “Grazie ciao” che non appena il vetro saliva siamo scoppiati a ridere, credo una
delle risate più intense che mi sono fatto negli ultimi anni, miracolo di una canna ben rollata
e di quella povera ragazza che davvero poteva far di tutto tranne che la prostituta nei viali
tanto era orribile e sgraziata.
“Trenta” la tipa risponde in modo molto educato ed ha una bella voce nel frattempo
si avvicina.
“Ah… come ti chiami?”
“Piacere Sophia” allunga la mano, molto bella, unghie non smaltate ma pulite e
curate, dita affilate. Il Giuli un po’ titubante gliela stringe.
“Piacere Giuliano, lui è Federico”
“Ciao Sophia, da dove vieni?”
“Da Nigeria” ecco il primo errore di italiano, ride divertita, ma contrariamente a
quelle che dopo le prime presentazioni cacciano la mano nel pacco del Giuli, che come al
solito al gesto ridacchia, questa se ne sta lì ferma con una certa dignità, come se gli sfigati
fossimo noi, ed in questo senso ne ha ben donde.
“Sei carina Sophia” ecco il Giuli in versione adulatore, manco la dovesse
conquistare, animo gentile il Giuli.
“Grazie”
“Senti Sophia, ma tu lavori sempre qui?” intervengo io.
“Si al venerdì si, lunedì sono davanti al ponte”
“Ah…” non capisco dove intende ma non me ne importa nulla e incalzo.
“Ma scusa con i clienti dove vai? ...in quella strada lì?” indico con il dito la sterrata a
fianco della recinzione della piccola industria.
“Si, perché?” ride.
“Ehi, ma qui ci lavora mia moglie”.
“Ma adesso no, di giorno credo”.
“Nooo, non intendevo che lavora in strada, dico lì nel capannone, in quell’azienda”.
“Aahahahah capito capito, e allora?” la tipa se la ride di gusto.
“Pare che ci siano tutti i preservativi, si lamentano della sporcizia e del casino che
fate”.
“Ah ma io non butto in terra”.
“Si vabbè e chi ce li butta mia nonna?”.
“Non lo so io è poco che sto qui, forse mia collega?”
“Sei carina Sophia, fatti un po’ vedere” il Giuli le fa un segno con il dito come se la
tipa dovesse fare una giravolta per mostrare il posteriore. Lei fa una piroetta e le si alza la
gonnellina, è davvero carina, non solo di fisico ma come tutto, voce, modi e viso.
Si avvicina un’auto e ci saluta.
“Cazzo Giuli, sai che sta Sophia è davvero caruccia”
“Mbè si, non male” sentenzia l’esperto puttaniere.
Capitolo 32.
Primi di ottobre
F.C. for Africa II.
Sono reduce da una cena con quelli della regione di Bologna, ogni tanto vogliono
venire a mangiare il bollito a Parma: noi prenotiamo e loro si fanno una gitarella
enogastronomica.
Sono un gruppo di funzionari al quale piace la cucina macrobiotica, lingua lessa,
vitello e mostarda a volontà, il tutto condito da un bel lambrusco, come minimo una bottiglia
a testa. Sono tutti uomini sulla cinquantina e oltre, proprio simpatici, e la cena diventa
un’occasione per tenersi buoni dei colleghi, che professionalmente sono tanto disponibili
quanto utili. Una sera hanno portato pure un magistrato della Corte dei Conti della sezione
di Bologna.
Stasera siamo andati alla trattoria di Cafragna perché evidentemente volevano una
cosa più tranquilla visto che per l’occasione hanno portato pure le signore, quelli che ce
l’avevano si intende, sono stati tanto gentili da evitare di farci portare le nostre, sarebbe stata
una accozzaglia di persone male assortite. Chiara, poi, non avrebbe retto sicuramente. Io
dopo la prima bottiglia ho trovato le signore simpatiche quanto i mariti. Certo su quattro di
passabili ce ne era una, e a stento, per fortuna non era vicino a me, altrimenti mi sarei pure
distratto con pensieri lascivi. Miracoli dell’alcool.
Sto passando in auto davanti alla Metalli Taro per vedere se c’è quella Sophia che
avevamo conosciuto col Giuli che tutto sommato sarebbe davvero un bel fungo porcino. Ho
bevuto troppo. Ho su un bootleg dei Led Zeppelin. Kashmir. Qualità di registrazione
scarsa. Dubito sia stato un concerto memorabile questo, anzi, giurerei che Jones abbia pure
fatto un errore alla tastiera, un piccolo sbaffo che può sentire solo qualcuno che ha fatto o fa
musica, anche se solo suonando l’organo in chiesa come facevo io anni fa.
Al primo giro davanti all’azienda di Chiara non c’è anima viva, sono i primi di
ottobre e c’è un freddo improvviso anche se è circa l’una di notte. La temperatura è calata in
modo brusco. Poco distante, davanti al cancello di un’altra ditta, c’è una tipa che muove le
gambe infreddolita, è davvero con pochi cm di stoffa… andavano bene magari verso le otto,
ma adesso con questo clima polare pre autunnale si vede che soffre. Mi fermo un attimo e
accosto. Tiro giù il vetro.
“Ciao, cercavo una ragazza che lavora di là che si chiama Sophia” indico la parte
opposta della strada.
“Ciao, io Sonia”
“Ah, ciao Sonia, conosci una certa Sophia?” mentre glielo chiedo apre la portiera e
si siede incurante al posto del passeggero. Io sono davvero stupito, ma non le dico di
scendere. Da vicino non è poi così attraente e di certo lo è molto meno della famosa Sophia.
“No mio nome è Sonia”
“Si vabbè o capito, senti Sonia se vuoi stare ti posso pagare, ma ti offendi se non
facciamo niente?”
“No”
“Hai capito?”
“Si” ride e comincia a mettermi le mani nel pacco e infila la sua mano dentro i miei
jeans.
“Ehi stai calma, forse ho bevuto un po’ troppo” nel frattempo non so perché parto
con la negra a bordo. E nemmeno ne ho tanta voglia. Mi indica la strada e ci fermiamo in
una stradina non molto lontano.
“Bene qui?”
“Si che va bene, ma non mi interessa…” mi infila ancora la mano e comincia pure a
sbottonarmi , mi fa davvero pena. Comincia a prendermelo in mano e si vede che ci sa fare,
malgrado tutto il lambrusco mi viene inaspettatamente duro. Quando comincio ad essere un
po’ troppo eccitato mi chiede i soldi.
“Ho solo trenta euro”
“Bene” tempo di incassare e tira fuori un preservativo, apre la confezione e si sente
un odore di fragola.
“Ma che lingua parli oltre all’italiano?”
“Inglese”
“This is strawberry” dico indicando il preservativo. Me lo infila. Io mi sento un po’
ridicolo a pantaloni aperti con sta negretta sconosciuta, chinata sopra che mi succhia il cazzo
con un preservativo alla fragola. Impegnatissima nel suo lavoro di mani e bocca. Dopo
cinque minuti siamo sempre così. La tipa mi sembra imbarazzata.
“Cosa non va?”
“Senti Sophia… cioè Sonia o come cazzo ti chiami… tu sei una bella ragazza, ma io
ho bevuto troppo”
“No problema” e si rimette china a fare il suo lavoro. Non che sia scarsa, tutt’altro,
del resto lo fa di mestiere, però io ho bevuto troppo e rischio di vomitarle in testa. Provo un
po’ a toccarla e accidenti è soda come la scamorza affumicata. Elastica sembra quasi
gonfiata, per un attimo mi viene in mente il canottino delle bambine al mare.
Passano altri cinque minuti.
“Senti, ma scopare?”
“Vuoi scopare? Si bene, aspetta” tira giù il sedile apre le gambe e mi fa segno di
accomodarmi. E che cazzo ormai ce l’ho duro anche se fra la nausea e i pensieri strani non
so come posso riuscire ad avere un orgasmo, qualunque esso sia.
Mi appoggio su di lei e mi dice di stare giù, non so perché, se lo infila dentro, non so a che
cazzo penso ma dopo qualche colpo vengo senza gemere. È una specie di starnuto
liberatorio. Caccio una risata da demente. E sospiro.
“Cosa non va?” dice la tipa.
“Le dico ho bevuto e sono stanco”
“No, non è stanco…” Mi guarda sorridendo.
“Sai Sonia, sei una ragazza intelligente, sono io che sono un cesso” non so se
capisce o se il suo silenzio è del tipo silenzio-assenso.
Appena la scarico dove l’ho agganciata tempo di fare cento metri accosto e non riesco
neppure a scendere che tiro giù il vetro elettrico e vomito sulla strada e forse anche sulla
portiera. Riparto e cerco una piazzola. Scendo e sulla fiancata nera c’è una bella scia di
vomito.
Non sono nemmeno capace di andare a puttane.
Capitolo 33.
L’Isabella di Giuliano.
Ricordo che questa estate, qualche giorno dopo la telefonata della sorella del Giuli,
Chiara mi domandava da quanto il mio fraterno amico bevesse. Non so se il mio sia un
ricordo corretto, è un po’ sbiadito dagli anni, ma tutte le volte che mi figuro Giuliano solo
davanti alla bottiglia mi viene in mente la storia di Isabella.
Doveva essere il 91 o il 92 perché ero sceso a Spezia in licenza durante il mio
servizio militare. Ricordo anche com’ero vestito, è come se avessi davanti la fotografia.
Dagli abiti propendo per la primavera del 92, una primavera agli albori e non inoltrata. Nella
foto siamo seduti al tavolino di un bar del centro e stiamo prendendo l’aperitivo, è un sabato
verso le 12,30. Di fronte abbiamo due ragazze, una la conosco di vista perché è la figlia di
un’amica di mia mamma. Bruttina, porta gli occhiali ed è un po’ in carne, sostanzialmente fa
da comparsa e nella foto c’è come una specie di buco nero. Vedo il suo viso solo perché la
conosco e l’ho vista decine di volte. A fianco a lei Isabella Soldati.
Abitava nel quartiere dove ho vissuto l’infanzia, suo fratello era il ragazzo di mia
cugina. Sapevo che aveva una sorella di nome Isabella ma non l’avevo mai vista fino a che
un giorno, mentre uscivo di casa con mia madre, lei incontrò e salutò tal Fiorella, figlia di
una sua amica che a fianco aveva la ragazza più bella che avessi mai visto.
Con un po’ di imbarazzo chiesi a mia madre chi fosse l’amica di Fiorella e lei mi
rispose: “E’ Isabella Soldati, la sorella del ragazzino che anni fa stava con tua cugina
Greta”.
Questa Isabella la ritrovo adesso seduta nella foto al tavolino con Fiorella, la sua
inseparabile amica. La foto si trasforma in un filmato. Sto sorseggiando il prosecco quando
entrano le due ragazze e si siedono a fianco a noi, il bar è piccolo ed i tavolini sono
abbastanza vicini, si sente la scia di profumo francese. Io la associo ad Isabella, perchè
Fiorella è talmente brutta che non penso profumi neppure. A Giuliano faccio un segno con
la mano. Un gesto che significa “Stai bravo, dopo ti dico.”
Isabella è abbastanza alta, forse non arriva al metro e settanta, ma sembra più alta
perché è magra ed ha le gambe lunghe. Indossa una minigonna grigia, una specie di tailleur
forse. Ha i capelli neri, lunghi e lisci con la frangia bassa, gli occhi di un verde trasparente.
È strepitosa e chiunque le passa vicino non può fare a meno di voltarsi. Non tiene lo
sguardo basso, ma sfida consapevole della sua bellezza. Con il Giuli si parla del più o del
meno fino a che non si va alla cassa. Paga lui e paga anche per le ragazze, poi usciamo.
Il gesto è particolare perché, in fondo, non avranno neppure il modo di ringraziarci,
anzi, do pure del fesso al Giuli, perché all’epoca ero già fidanzato con Chiara e come
minimo pensai che Fiorella potesse dire a casa: “Sai mamma, il figlio di Giovanna ed il suo
amico ci hanno offerto l’aperitivo”. Una bella figura da tacchino patentato.
Da quel giorno, lo venni a sapere qualche settimana dopo, Giuliano non molla
l’osso e si intestardisce con Isabella. Scopre dove abita. La tempesta di rose, a casa,
sull’auto e in ufficio. La tipa lavora come segretaria in uno degli studi più famosi di Spezia.
Isabella è una sciupauomini disumana. Ma questo non lo sappiamo ancora.
La sfiga vuole, o la fortuna, dipende dai punti di vista, che in quel periodo Isabella
sia sola ed è davvero una sorta di congiunzione astrale, perché considerato tutti quelli che
s’è scopata, ci sono pochi giorni da single nel suo curriculum sentimentale. Altra sfiga, o
sempre fortuna , ma chiamiamola casualità, alla splendida ragazza che si avvicina ai
trent’anni, all’epoca, manca la relazione col pollastro di quasi dieci anni meno. Si intenerisce
e dopo qualche giorno di telefonate pazze a casa (non siamo all’epoca di internet o dei
cellulari), dove talvolta lei si fa negare, concede a Giuliano l’aperitivo. Con un salto di un
paio di mesi, siamo quasi a giugno, mi ritrovo nel solito bar e stavolta al tavolino ci sono
Giuliano e Isabella con me e Fiorella (ahimè). Fanno coppia da subito dopo il primo
incontro. Giuliano è fuori di testa, insieme mi ricordano la coppia Roger e Jessica Rabbit,
perché lui, per quanto non sia un brutto ragazzo, al cospetto di lei diventa una specie di
coniglio-cartone animato. Nei pochi momenti di quel periodo in cui mi vedo con il Giuli da
solo gli dico solo di fare attenzione, che la tipa è un pericolo a due zampe, lui mi guarda
inebetito e mi dice che forse presto andranno a stare da soli.
E’ andato.
Mi ritrovo un giorno al telefono con Isabella e le chiedo che intenzioni abbia,
avendola incontrata in auto con un tipo una sera, un tipo che non sembrava né suo fratello
né un parente. Mi dice di lasciar vivere a Giuliano questa storia e che lei lo ama. Lui mi
racconta che all’uscita del lavoro lei lo va a prendere (va pur detto che il Giuli poco più che
ventenne ha solo una vespa scassata) e lo scarrozza con la sua y10. Famosa auto da figa
primi anni novanta.
Lui si sente un dio e i colleghi del magazzino dove lavora lo ritengono una specie di
mito. A me continua a sembrare simile alla storia del coniglio con Bob Hoskins.
Passano alcuni mesi, nel frattempo ho terminato il servizio militare e spesso sono a
Parma da Chiara. Arriva la telefonata che non avrei mai voluto sentire, ma che sapevo
sarebbe arrivata presto. Il Giuli, con aria stranita, mi dice che Isabella gli ha detto che vuole
una pausa di riflessione, che non vuole lasciare sua madre da sola, è vedova da diversi anni,
che suo fratello ha problemi di droga e che insomma ha bisogno di stare un po’ più tempo
in famiglia…
Tempo che arrivino le feste di Natale e l’Isabella la vedo scendere da un Mercedes
Sl.
Il Giuli è stato licenziato dal magazzino di materiale elettrico e passa i suoi giorni
attaccato alla bottiglia. In tutti questi anni ha avuto qualche storia ma niente a che vedere con
il suo amato bicchiere che si scarica nello stomaco. Isabella non si può nemmeno nominare
per sbaglio e bisogna anche stare attenti a dire solo bella o Isa…. ho assistito a delle
reazioni strazianti.
Capitolo 34.
L’agente ecologico II.
27 settembre 2007
Alle quattro devo andare a prendere le gemelle alla scuola materna, completo il giro
passando per la scuola a tempo pieno che frequenta Edoardo.
Il bimbo è alla scuola statale di Fornovo in mezzo ai comuni mortali, le principesse
frequentano una scuola materna privata, non che sia l'equivalente dei collegi svizzeri
dell'Engadina, però a Chiara piaceva perché c'era tanto verde e tutto sommato, malgrado il
clima continentale del fornovese considerando gli autunni caldi e le primavere soleggiate, un
po’ di luce ed aria fresca per le bimbe non è davvero male.
Ho parcheggiato la x5 davanti alla villetta, non serviva rinchiuderla in garage visto
che in casa starò lo stretto necessario per ricevere… Lorenza.
Dopo i primi contatti di luglio e dopo il ritorno dalle vacanza di entrambi, sono
seguiti una serie di messaggi infuocati e qualche sigaretta fumata nel terrazzo della sala
consiliare. A fine settembre era il caso di cominciare la vendemmia.
Sono uscito un'oretta in anticipo e alle due sono già nello studiolo, ho dato una
rapida controllata al bagno del piano, ma al mercoledì mattina viene la domestica, cioè viene
quasi tutte le mattine, ma sicuramente al mercoledì viene. Il mercoledì è un giorno che ho
sempre ben presente, non perché scandisca la metà della settimana lavorativa, io peraltro
lavoro anche al sabato, ma mi è rimasto in testa fin da bambino quando le coppe europee di
calcio si giocavano solo quel giorno lì. Non potrei mai dimenticare il famoso mercoledì
sport dove un Galeazzi ancora di dimensioni accettabili commentava prima di trasmettere la
sintesi le partite giocate. Tentava sempre di omettere, per pudore agonistico, il risultato della
partita che da lì a poco avrebbe infranto i cuori dei malcapitati tifosi. Purtroppo il
Giampiero, uomo dal cuore tenero, difficilmente riusciva a simulare l'indifferenza di chi non
conosce l’epilogo dell'avvenimento sportivo, e gli spettatori andavano a vedere la partita
giocata un’ora prima come quando al lunedì su Teleliguriasud si vedevano le partite di uno
Spezia domenicalmente sconfitto.
All'epoca però non esistevano né televideo e né internet e la differita diventava una
vera e propria diretta con il solo infausto presagio del faccione del Giampiero piangente con
le lacrime agli occhi per l'eliminazione della Roma o della squadra italiana di turno.
Il mercoledì più bello che ricordo fu quello di un Ajax- Juve, la trasmissione era in
notevole ritardo e dopo alcuni spot pubblicitari il mitico Giampiero dovette comunicare il
risultato dicendo che di lì a poco avrebbero trasmesso i supplementari in diretta.La partita
finì ai rigori con la vittoria della Juve.
Dall'emozione faticai a prendere sonno.
sms Lorenza to Federico
posso parcheggiare vicino a casa tua o devo farmi un km a piedi?
sms Fede to Lore
hai l'auto di servizio?
Lore to Fede
secondo te vado a casa con la panda 4x4 con scritto polizia provinciale??????
Fede to Lore
parcheggia pure in zona..magari non davanti al mio garden
Lore to Fede
ok a...subito.
Mi alzo e vado dalla finestra dello studiolo che si affaccia sul giardino e sulla strada.
Guardo rapidamente l'orologio che segna le quattordici spaccate, facendo un rapido calcolo
mi resta circa un'ora e mezza. Considerando il tragitto Varano Fornovo come la prova
speciale di una tappa del Sanremo, e un fil rouge di giochi senza frontiere l'eliminazione di
prove schiaccianti e un lavaggio rapido per eliminare effluvi vari di sesso, preservativi e
chissà cosa. Per un attimo ho l'immagine che dopo il bacino rapido di saluto a Lorenza ci
siano Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri che a voce alta scandiscono il loro mitico “an do
truà....”
Arriva Lorenza con la mimetica verde, anfibi, pistola e manette alla cintura. Già mi
viene duro.
Suono del campanello. La vedo dalla finestra.
Vado ad aprire il cancello e apro la porta di casa.
"Cia-oo"
"Senta è qui che abita il signor Federico Conti?" con aria ispettiva da forze
dell'ordine sorride...
"Vieni dai...", le faccio strada nell'ingresso
"Mmm un'umile dimora da funzionario della p.a."
"Ci tengo a dire che è tutto della mia consorte, io sono solo una specie di inquilino"
"Si vabbè… lascia perdere veh"
"Perlappunto ti faccio accomodare nel mio studio..." …non so perché ma ho una
specie di pudore nello scoparmi le donne in mezzo ai pupazzi delle gemelle e a tutto ciò che
riguarda la mia famiglia, una sorta di ipocrita coscienza.
"Beh più che uno studio sembra un monolocale... mmmmm e poi io sarei la
reazionaria e tu il sinistroso"
"Lorenza, non cominciare a fare discorsi stupidi, non è una questione di apparenza è
come sei dentro che fa di te un uomo o una donna della sinistra ideologica o della
destra"...mi sovviene una canzone di Gaber,.piuttosto intelligente.
"Mi sembra che ti stai arrampicando sugli specchi, mister x5 Ducati villettavarano e
famigliola felice, Rolex e cazzi vari"
"Senti un po’ agente… io anni fa e pochi anni fa, per amore di una donna ho
lasciato tutto questo splendore per rintanarmi in un appartamentino con una tipa e due
figlioli di un altro..."
"Si vabbè… però sei ancora mister American Beauty..."
Lei sta guardando verso la finestra e la cingo da dietro... si irrigidisce leggermente, ma dal
respiro comincio a capire che il desiderio è forte.
"Senti Federico guarda che io..." comincio a baciarla sul collo spostandole i capelli
lunghi raccolti.
sospira...
"Guarda che io non sono abituata a questo genere di cose..."
"Lorenza… dicono tutte così non ti preoccupare"…si divincola e si gira verso di
me… ha un'aria arrabbiata ma anche divertita e sorride… oggi si tromba.
"Sei uno stupido!!!!! Senti un po’ donnaiolo da quattro soldi… guarda che io non la
do al primo che capita…"continua a sorridere.
"Ma certo… infatti sei in casa di un uomo sposato con tre figli, ma è solo un caso, è
che sei talmente innamorata.... sorrido anche io e cerco di essere provocante e la cingo
stavolta il mio viso è a pochi centimetri dal suo.
"Grandissimo presuntoso testa di cazzo... sono tanti anni che ti vedo e che mi piaci,
è che sembri così irraggiungibile.."
"Oh ma sei fuori????... io irraggiungibile???....ma se come minimo mi hanno
attribuito flirt anche con l'Emilia del bar dell'angolo?????”
Non so perché ma da quando, e sottolineo purtroppo, si è sparsa la voce che mi trombavo
Monica, di gran lunga la più ambita e figa del palazzo e non solo, le donne mi guardano con
un'aria diversa, a volte mi sento un po’ come Rocco Siffredi anche se non per le dimensioni
ma forse per una sillogica interpretazione secondo cui, se Monica mi tromba e Monica è
speciale, anche io devo essere fuori dalla norma.
Lorenza mentre sto pensando mi da un bacio rapidissimo sulle labbra… poi un altro...
a quel punto il dialogo si fa molto rarefatto.
Comincio a sbottonare la tuta e sotto al verde e alla ruvidità del tessuto c'è solo un reggiseno
da paura con due tette veramente belle e sode. Sembrano quasi rifatte ma al tatto sono molto
originali.
Faccio scivolare verso il basso la tuta verde. Lei rimane a mezzo busto con solo il reggiseno
nero. Spalle scoperte e capelli raccolti, la tuta si ferma sul giro vita ostruita dalla fondina e
dalle manette.
Mi sfila la polo e comincia a slacciarmi i jeans. Si mette in ginocchio davanti a me. Sempre
rimanendo con la tuta alla vita si slaccia il reggiseno e se lo sfila, le tette esplodono all'aria
aperta con i capezzoli turgidi. Mi abbassa i pantaloni e abbassa pure i boxer e me lo prende
in bocca...
se non fosse per quelle maledette o benedette pastiglie che prendo, probabilmente, verrei in
dieci secondi.
Mi sposta sulla mia poltrona girevole e io arranco con i jeans alle caviglie. Lei rimane
sempre con la tuta mimetica a seno nudo e succhia... succhia forte.
Prende le manette e mi lega i polsi dietro la spalliera della poltrona. Mani bloccate e caviglie
bloccate dai jeans. Mi guarda divertita.
"Ma sei sano di cuore?...mi sembri un po’… come dire ansimante.."
"Mmm senti furbetta aspetta che mi liberi da queste cazzo di manette e ti faccio
vedere io..."
"Non sarà!....caro il mio dottor Conti"
"Ma con tuo marito lo fate sempre così?...vabbè che siete dei militari…o pseudo
tali.."
"Che vorresti dire mio bel comunista?? ma dimmi… ti hanno mai scopato così le tue
amiche dei centri sociali?”
Il quadro è questo. Lorenza è a seno nudo mutandine tipo tanga nere e anfibi. Capelli
raccolti stile Lara Croft. Io a petto nudo con pantaloni e boxer accartocciati sulle caviglie
ammanettato alla mia poltrona girevole davanti alla scrivania del mio bel studiolo.
Mi monta sopra, si sposta le mutandine e si infila il cazzo dentro… comincia a muoversi.
Io tranquillo per via dei farmaci ritardanti loro malgrado, so già che la farò venire almeno
una volta.
Sento un rumore come di chiavi che aprono una porta, sono quei rumori familiari che senti
tutti i giorni diverse volte, i rumori che significano diverse cose ma tutte rassicuranti… in
questo caso dopo una frazione di secondo in cui il rumore sembra rilassante, il cervello
elabora e compara le informazioni che lo raggiungono... il cuore si ferma e il sangue si
gela... ci sono una serie di subitanee associazioni mentali… chiavi apertura porta… chiavi
Chiara... Chiara che rientra a casa voci dei bambini... io sono ammanettato praticamente
nudo con una figa in anfibi che si dimena sopra di me...
"Mmmmm che c'è fede....?" Lorenza sembra non capire neppure.
"Porca puttana levati subito sta entrando qualcuno"
"Ooooo ma cosa dici ....?????" comincia ad agitarsi e si leva subito da sopra di me.
Ora ha le mani che coprono il seno…sta davanti a me pallida con gli occhi sbarrati.
"Porca troia Lorenza ti vuoi vestire cazzoooooooooooooo"
Si siede e comincia a togliersi gli anfibi per mettersi la tuta....
Io sono sempre ammanettato. "Lore levami ste cazzo di merda di manette del cazzo"
Fruga dentro la mimetica ma ci sono un sacco di tasche e si agita vedo cadere in terra le
chiavi della Citroen c3, un accendino....
"Ma sei stordita???? dove cazzo ce le hai le chiavi????"
Bussano alla porta dello studio...
Faccio segno a Lorenza di spostarsi in una zona invisibile dal cono di apertura della porta
dello studiolo, si trascina tipo un granchio, e non si è ancora infilata quella cazzo di divisa
"Scusi dottore sono la Lidia… ho dimenticato il cellulare" sento da dietro la porta.
Purtroppo la colf apre la porta non tanto per curiosità quanto forse per… o che ne so... in
effetti la Lidia in questo caso non si fa proprio i cazzi suoi ma forse vuole qualcosa. Per
inciso andrebbe detto che la Lidia malgrado abbia superato i cinquanta è una bella donna e
tutto sommato non l'ho mai considerata non trombabile....
In pratica sono dietro la scrivania a petto nudo con le mani dietro alla poltrona. Non è
affatto una posizione normale, ma cerco di assumere un 'espressione naturale, come se non
mi avesse scoperto con le mani nella marmellata, ma come se il fatto che alle 14 del
pomeriggio di fine settembre sia normale stare a petto nudo con le braccia dietro la spalliera
a guardare il pc... che per pura fortuna ho lasciato acceso ed emette quel minimo di luce per
scagionarmi dalla stranezza del quadretto che vede Lidia... in pratica faccio la figura del
segaiolo da web. Ma so che lei è discreta. E poi diciamo la verità ogni tanto una bella
seghetta chi non se la fa?
"Salve Lidia... stavo lavorando al computer..."
"Si, non si preoccupi" e fa un risolino
"L'ho trovato, l'avevo dimenticato nel soggiorno..."
"Bene salve"
"Tutto bene... ha bisogno di qualcosa?"...eh si avrei bisogno che mi finisse di farmi
un pompino e che comunque sta testa di cazzo trovasse le chiavi delle manette.......
Capitolo 35.
6 settembre giovedì.
Fugazza Nabokov.
Sono in ufficio, sto cercando di ricordare dove avevo appuntato la data di
quell’esame, in realtà non credo sia più necessario coinvolgere una studentessa per farle
fare delle ricerche. Del resto gli avvenimenti che ci interessano sono talmente dibattuti e alla
luce del sole che non è difficile trovarli e se succederà qualcosa di grosso, dopo ci
troveremo tranquillamente nella merda fino al collo. Mi viene in mente una frase che ho
letto nel libro di Moretti sulle brigate rosse, lui diceva ai nuovi adepti, “devi sapere che se
va bene fra sei mesi sei in carcere, e se va male sei morto.”
Voglio andare lo stesso all’esame di quell’Elisa che ho conosciuto a luglio. Io mi
fisso con le donne. Però se non ci vado poi, magari non ho neppure il coraggio di
riparlarle , ma se devo restare con il dubbio che se ci fossi andato sarebbe nato qualcosa di
buono, allora prendo e vado e al diavolo tutto.
Ormai non sopporto più una serie di cose e nel podio dell’hit parade, c’è mia moglie
Chiara che è assente in tutte le sue funzioni e doveri di moglie, al secondo gradino un
lavoro che non reggo più e che mi sta soffocando, anche ieri o mi dimettevo come
responsabile del servizio, cosa che mi sarebbe costata una somma come dodicimila euro
annui e forse anche di più o firmavo degli atti che facevano venire il vomito tanto erano,
palesemente, marchette politiche. Ormai sono ai ferri corti anche con il mio assessore. E
questi politici da poco, questi amministratori dei propri interessi, anziché della collettività
che rappresentano, non li reggo più.
State tranquilli , ancora qualche mese e vi mando affanculo tutti. Ogni tanto mi
immagino come uno di quegli squilibrati , in genere statunitensi, che entrano nei palazzi del
potere con il mitra e le bombe si barricano e cominciano a far fuori gli ostaggi. Quante volte
ho sognato di arrivare con l’mg di Rambo in sala giunta e di cominciare a far fuoco mirando
prima al presidente della provincia e a seguire ai suoi leccaculo di assessori.
La cosa che mi rincuora è che è uno di quei sogni ad occhi aperti che, lavorando
nella pubblica amministrazione, si fanno spesso. È un po’ il frutto di quella dipendenza dal
potere politico in cui si trovano i poveri impiegati della p.a. che costituzionalmente
dovrebbero essere neutrali. Neutrali un accidente, qui appena sanno che hai delle idee
differenti dalla moda ti fregano appena possono. E io vi scarico tutti i 250 colpi del nastro
della maschinengewehr. Mentre lo penso mi spiace solo per gli schizzi di sangue che
sporcano gli affreschi del settecento. Ma credo poi si possano in qualche modo ripulire.
Mi squilla il cell. È Giovanni.
“Fede”
“Dimmi”
“Hai un minuto o ti rompo?”
“No, stavo cercando la data di quell’esame a Bologna…”
“Ah”
“Non ricordo dove cazzo l’ho scritto, ormai sono invaso di post it e dopo qualche
giorno mi trovo sulla scrivania appiccicati numeri di telefono, importi in euro nomi che
fatico a ricordare a cosa si riferiscano.”
“Senti un po’, stavo guardando la posta del Fugazza”
“Di grazia…e bravo il mio …crecher ahahahahah”
“Si infatti, era qualche giorno che aprivo quella chat, e trovavo sempre sto
romanodoc, pensavo fosse un omonimo del nick usato dal Fugazza”
“E invece?”
“Allora mi vado a vedere la posta, e porcaputtana il tipo sta corrispondendo a suon
di centinaia di caratteri con una ragazza che ha conosciuto giorni fa, direi quasi con assoluta
certezza dopo che noi siamo usciti”
“E vabbè dai son cazzi suoi”
“O fede quanti anni ha il Fugazza? Ce n’avrà una cinquantina no?”
“Eh si, forse anche qualcosa in più, ho guardato su anatel ma non ricordo”
“Eh beh fatto sta che la tipa ha diciotto anni scarsi”
“Santo cielo, bel colpo, ahahaha sto coglione, non vedo l’ora di dirlo a Paola”
“Sta calmo, qui son cazzi, non mi sembra uno tanto affidabile”
“Dimmi un po’ come si chiama la lolita”
“Mmmm aspè mi devo rileggere qualcosa, ti dico solo che si sono già dati il
numero di telefono”
“Scusa ma la lolita sa…come dire? di essere lolita?”
“Credo lui si sia un po’ abbassato l’età , comunque sa che lui è ricchissimo e che è
un manager, Probabilmente la lolita si credeva di chattare con Montezemolo e magari si
arranza con i vecchi, alla moda di “melissa p””
“Beh ricchissimo…ahaahahahahah”
“Si insomma, crede che lo sia, e comunque deve aver dato la percezione del
manager rampante”
“Decaduto”
“Quello immagino lo abbia omesso, si chiama Erika e ….”
“Mi serve data di nascita o almeno il segno zodiacale , e di dov’è”
“Aspè che faccio una ricerca di stringa nelle email”
“Sto cazzone, ma te le sei salvate tutte?”
“O Fede non volevo stare tanto collegato alla sua casella di posta”
“Ma quello non se ne accorge, ma lo hai inquadrato come tipo o no? Non toccava
davvero la tastiera sul lavoro , i manager di una volta avevano il pc sulla scrivania adesso
quelli che comandano davvero hanno si e no il cellulare, e sta sicuro che finchè lui stava alla
Tecnoi comandava eccome, nemmeno il caffè si prendeva da solo”
“Ecco fatto, ha diciotto anni o così dice, quindi è nata nel 1989 o al massimo 1990,
pare sia dei pesci”
“Ok, aspettami che apro anatel e metto dentro, i dati, proviamo con Roma, se siamo
fortunati…”
“In effetti sembra aver fatto riferimento ad un liceo che…aspè…ecco liceo classico
Plauto , appena fuori dal raccordo anulare”
“Son cazzi , ce l’ha pure vicina…tombola”
“Che c’è?”
“Erika Trinca roma 4 marzo 1990…il Fugazza è candidato alla galera per pedofilia”
“Poi mi dici che sono un cracker, e tu? Che in un minuto ti trovi la donzella?”
“Tanaca, se non mi davi tu quei dati non trovavo una seppia”
“Dabbene…senti Fede, non vorrei davvero combinasse dei pasticci”
“Ok Giovi, magari tienilo d’occhio, ci sentiamo poi per gli aggiornamenti del caso a
voce o per vie più ….discrete, ho una persona che aspetta fuori dall’ufficio ”
“Ciao Fede”
“Ciao”
sms to Paola
il tuo inge sta facendo sesso virtuale con una di sedici anni
sms Paola to Fede
invidioso
sms Fede to Paola
si, ma è di roma e di fisso si vedranno e lui andrà in galera ahahahah, e cazzo rido che perdo
il mio gancio
sms Paola to Fede
fatevi i cazzi vostri impiccioni
sms Fede to Paola
sisisi difendilo anche…a dopo, poi ti scrivo baci
sms Paola to Fede
baci
Capitolo 36.
Telefonata a Paola.
“Buonaseeera”..sono ancora in ufficio e sono le quattro circa, ho chiamato Paola al
telefono.
“Ciaoo”
“Allora hai capito l’ingegnere ahahahah”
“E smettetela, fa-te-vi gli affari vostri”
“Parte gli scherzi c’è da fidarsi? Mi sembra abbia preso una bella cotta per una
ragazzina conosciuta in chat”
“Ma che ne so….. te l’ho detto che è alla frutta, pensa che a volte mi chiama e mi da
gli ordini come se lavorasse ancora qui, ma forse te lo avevo già detto”
“A me è parso sempre uno tosto, un tipo determinato”
“Seeeeeeee, avresti dovuto vederlo qualche tempo fa, voi non avete visto che lo
scheletro di quello che era, e non in senso fisico , ma in quello mentale e psicologico, ora è
vulnerabile , prima era un pezzo di merda assoluto, e in definitiva lo rimane pure adesso,
non mi fa pena.”
“Una cosa che mi è venuta in mente mentre stavo lavorando poco fa”
“Lavori?”
“E non rompere i coglioni, guarda che i dipendenti delle pubbliche amministrazioni
non sono tutti come a Roma, che si imboscano da tutte le parti e sono specializzati in caffè e
cornetto a ripetizione”
“Si vabbè, come al solito lavorate solo voi milaneeeeeesi”
“Pigliali pure per il culo ma ti assicuro che a milàn l’han davvero un ritmo fuori dal
normale, qui in Emilia già siamo più gaudenti anche nell’approccio al lavoro”
“Eh si, trombate anche in ufficio”
“Beh po’ esse…e comunque non saremo nemmeno gli unici”
“Eeeee si vabbè, con te si finisce sempre per parlare di sesso”
“A romaaaaaa!!! Ma se l’hai tirato fuori tu”
“Nono sei tu che hai detto gaudente”
“Si ma era in un significato di godimento non sessuale ma di approccio alla
professione…vabbè ma vaffanculo eh? Non ricordo più cosa…ah si, ma chi si occupava
del servizio di sicurezza alla Tecnoi?”
“Beh c’è un contratto con una ditta di vigilanza”
“No, ma , cioè , ti spiego meglio, se serviva una specie di guardia del corpo, un
autista”
“Il presidente ed i nipotastri hanno l’autista, però non è un body guard”
“Ma non è mai capitato che lo chiedessero?”
“Ricordo in effetti che una volta il presidente chiese al Fugazza se conosceva uno di
quegli autisti che facevano anche un po’ da gorilla, non ricordo bene perché, forse doveva
andare da qualche parte dove c’era un po’ di casino, forse c’erano delle manifestazioni a
Roma, boh Fede non mi ricordo”
“Si ma perché al Fugazza? Perché lo chiese a lui?”
“Credo che il vecchio si ricordasse che lui aveva degli amici, qualcuno forse della
Roma bene che per far sfoggio e non credo davvero per reale necessità andava a far
shopping in via del Corso con uno o due di quei gorilloni con auricolare abito scuro e coda
di cavallo modello buttafuori da locale”
“Quindi glielo procurò?”
“Non ricordo”
“Ok, scriverò due righe al Fugazza”
“Ma che problema hai, qualche marito cornuto che ti vuole fare la festa?”
“Che rompiscatole che sei, poi mi fai sempre parlare come uno scaricatore accidenti
a te , poi vado in conferenza dei servizi con il direttore generale e davanti a tutti i funzionari
schierati parlo che sembro quello che si legge dal labiale di un calciatore dopo che si è
fumato un gol”
“Che manica de fighetti che siete”
“Ma rivaffancuolo eh?prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr”
“Dai tira fuori il vero Federico, quello della periferia nipote di un carrozziere
ihihihih”
“Dai vado che ormai esco dall’ufficio, mi aspetta una serata in casa in compagnia di
Chiara che mi rivolge a stento la parola e di tre figli incazzati che si menano di continuo”
“Vedrai, fra qualche anno te menano pure a te”
“Questo è sicuro, speriamo che menino un po’ anche la madre ahahahah”
“Ci sentiamo, buona serata Federico e non spaccare troppo le uova al Fugazza”
“Trenqui, un bacio ciao”
Mi stavo domandano se le scorte a tutti i personaggi della politica, anche le vecchie cariatidi
sono sempre fornite dal servizio pubblico o sono talvolta in mano a delle agenzie. Mi
sembra difficile. Dobbiamo riuscire a sapere chi sono gli uomini della scorta del Valle.
Capitolo 37.
Bologna. 10 settembre. Lunedì. Ore 15.
Non sono affatto sicuro che sia una buona idea coinvolgere qualcuno di nuovo,
anche se solo per effettuare le ricerche di tipo storico politico. Abbiamo poco tempo, e
l’idea romantica e sessantottina di cercare adepti per operazioni rischiose in una facoltà,
sembra sempre più una favola.
Quella studentessa mi è rimasta impressa e in mezzo alla mancanza di emozioni
degli ultimi mesi, nel post Monica e nella tirannide di mia moglie Chiara e dei marmocchi,
ho bisogno di un diversivo.Le mura del palazzo provinciale mi stanno strette, è stupido fare
l’infiltrato nell’ateneo ma non posso esimermi da un comportamento tanto idiota, ha troppo
fascino.
Questo è quello che sto pensando quando con la x5 entro nel solito Star garage.
Il tipo mi guarda con la solita espressione, si sta ovviamente domandando perché uno
sfigato con capelli lunghi e jeans, né tipo pusher né tipo figlio di papà, né tanto meno
modello manager rampante, sia appena sceso da un’auto che costa cinquantamila euro.
Immagino pensi che i soldi per comprare il fuoristrada non me li sia guadagnati, ed in parte
sta pensando una cosa giusta.
Sto già camminando sotto i portici di via Indipendenza diretto in facoltà.
Una cosa che so usare perfettamente è internet, e ho impiegato poco a trovare data e orari
dell’esame di quella ragazza. Difficile mi potessi ricordare a distanza di più di un mese di
che esame si trattasse, ma lo avevo appuntato in uno di quei maledettissimi post it che
tappezzano la mia scrivania, e come al solito sono impazzito a cercarlo. Era rosa, e c’era
scritto solo il titolo dell’esame, sotto due numeri di telefono sconosciuti e un 10/9 che ho
scoperto dopo aver consultato il sito della facoltà, essere la data dell’esame. Avevo un vago
ricordo che si trattava dei primi di settembre ma non ho collegato quella che aveva l’aspetto
di una frazione matematica con la data che avevo diligentemente appuntato a luglio.
Sono davanti all’aula che mi hanno indicato essere quella dello scritto di storia delle
dottrine politiche. Non ci capisco nulla, all’epoca che frequentavo la Sapienza a Pisa, non
ricordo nessuna prova scritta, forse adesso sono più simili a concorsi pubblici per titoli ed
esami, che ai saggi che si facevano a scuola. Sono talmente vecchio che ricordo meglio
l’esame di quinta elementare che l’ultimo dove mi hanno cacciato fuori, o forse sono quelli
gli unici due che ricordo.
Sono davanti alla porta chiusa e sono quasi le quattro, nessuno esce e mi vergogno
ad aprirla. Non so nemmeno se riesco a riconoscere quell’Elisa che mi era sembrata tanto
simpatica. Mi sfugge il suo viso, come succede quando qualcuna mi piace e non la vedo
spesso. Ricordo le sembianze ma il viso è come se avesse un buco trasparente, ricordo gli
occhiali , la frangetta, ma sotto il vuoto; ci vedo attraverso.
La porta si apre e mi ritrovo a fare una specie di sobbalzo, ma forse è solo una mia
sensazione, sta uscendo un ragazzo con uno zaino. Ha una faccia piuttosto sfigata, sto
pensando di chiedergli qualcosa quando gira subito l’angolo e l’ho irrimediabilmente perso,
anzi ho perso il tempo, se abbandono la postazione rischio di perdere la tipa per chiedere a
lui qualche informazione stupida. La porta si riapre e adesso ho una postazione migliore per
scorgere che all’interno ci sono circa una trentina di persone, almeno dallo spiraglio che mi
si presenta. Ovviamente in quei cinque o sei secondi non riesco a mettere a fuoco nessuno,
solo un insieme di visi sconosciuti. Sono appena uscite due ragazze, alte e dall’aspetto
piuttosto clonato, jeans a vita bassa, Superga, magliette leggere visto il caldo del pomeriggio
bolognese, borse di marche che non conosco. Una prende in mano il cellulare e l’altra
rimane per un attimo senza far nulla, guarda verso di me, mi avvicino e le chiedo in un
lampo di pazzia:
“Scusa conosci una ragazza che si chiama Elisa?”
Sguardo vuoto. Nel frattempo si sta accendendo una sigaretta.
“Elisa…..?”
“Credo che dovrebbe essere ancora dentro” aggiungo.
“No, guardi Elisa, proprio non mi dice nulla”
Per un attimo mi viene in mente una volta che stavo uscendo dalle scuole medie 2 giugno
della Spezia. C’erano forse un duecento alunni di almeno due o tre quartieri differenti, ad un
certo punto mi ferma un signore in giacca e cravatta e mi chiede: “scusa sai se è già uscito
Giancarlo?”, non conoscevo affatto quel tipo, e mi pareva talmente comico che mi chiedesse
se era uscito suo figlio chiamandolo solo con il nome di battesimo, come se ci fosse solo lui
con quel nome.In effetti era probabilmente l’unico Giancarlo della scuola, ma alle medie i
bambini scoprono l’utilizzo barbaro del cognome ed il nome di battesimo diventa un ricordo
della scuola elementare, la cosa ancora più buffa è che quel Giancarlo abitava nel mio
quartiere e per quanto poco lo conoscessi, il nome e cognome lo ricordavo bene , allora
risposi all’uomo, “Passalacqua?” collegando il nome del bambino al cognome come se
fossero due parole di una strofa musicale, il padre con occhi illuminati e quasi fieri mi
rispose “Si, certo” io gli dissi, “non è in classe mia , non so se è già uscito “ e guardai
indietro per vedere se in effetti fosse in arrivo.
In quell’esatto momento mi sentivo il signor Passalacqua, e risposi alla ragazza con in
bocca la sigaretta un laconico e triste,a causa del Passalacqua, “ok, grazie.”
Spero almeno che il lei sia dovuto al fatto che potrei essere un professore o un assistente e
non il padre di Elisa.
La porta si riapre, ora dallo spiraglio si notano meno studenti e c’è più movimento, stavolta
escono più di due persone e mi viene l’ansia di non riuscire a scorgere la ragazza.
Se fumassi mi accenderei una sigaretta, visto che siamo in una specie di chiostro,
ma ho smesso. Mi metto a giocherellare con il cellulare facendo finta di mandare sms, ogni
tanto alzo la testa, ormai ho perso il conto di quanti studenti siano usciti. Altre due ragazze
escono, ed ecco che il volto trasparente prende colore, è come un quadro che appare
velocemente come se l’avesse dipinto un pennello invisibile e qualcuno l’avesse filmato
mandandolo poi a velocità frenetica modello film muto Koyaanisqatsi.
Come mio solito, perdo il tempo giusto per fermarla e sembra diretta verso l’angolo
ma, questa volta il destino mi da un’altra possibilità, una delle ragazze ferme vicine
all’uscita dell’aula la chiama per nome, lei si gira, le sorride e congedando la collega a
fianco, ritorna verso di lei, e verso di me che sono pochi metri lì a fianco, ho come
l’impulso di andarmene dalla parte opposta e sto già arrossendo e lo sento, e più lo sento e
più arrossisco. Facendo un rapido calcolo essendo due anni che non prendo il sole come si
deve e visto il mio carnato chiaro simil-anglosassone, in questo momento devo essere
simile ad uno che si è addormentato due ore sotto la lampada raggi uva.
Le ragazze si scambiano un bacino, e cominciano a parlare, malgrado io sia vicino,
non sto a sentire perché continuo a far finta di mandare sms. Ogni tanto alzo la testa
sperando che mi veda e si ricordi. Ad un certo punto mentre parla ed è girata verso di me,
ho l’impressione che mi riconosca, allora le faccio un segno, un po’ goffo, una specie di
saluto con la mano. Non vuole essere il ciao dei bambini ma non è neppure un gesto molto
elegante. Forse ho imitato il cenno di saluto di Tom Cruise a Rebecca de Mornay che
conversa con un cliente nel film Risky business, quando la ritrova dopo che lei gli ha
elegantemente svaligiato la casa la notte prima. Ma mi sento molto poco Tom Cruise, anche
se in quel film l’attore è poco più che adolescente.
Resto sempre a trafficare con il cellulare che in questi casi è un bell’appoggio. La
conversazione con l’amica probabilmente dura solo due o tre minuti, ma per me è un tempo
eterno e mentre schiaccio i tasti del cellulare mi sembra che questo sia diventato di burro, e
il pollice affondi dentro e lo trapassi arrivando a toccare il dito medio. Sono nervoso e se
continuo così non avrò più un telefono mobile. C’è un minuscolo lasso di tempo durante il
quale non so ancora se, dopo aver salutato l’amica, Elisa si avvicinerà oppure se ne andrà
senza degnarmi del minimo sguardo. Alzo gli occhi la cerco è senza dubbio diretta verso di
me sorride.
“Ciao”
“Ciao”
Aggrotta le sopracciglia e alzando il dito indice dice:
“Dove ci siamo conosciuti? Fammi pensare”
“Qui in facoltà, io cercavo il calendario degli esami e tu mi hai pestato un piede”
“Ah è vero, quel vacca boia pensato a voce alta!”
“Si, fa lo stesso , per quello ti ho già perdonato”
“Ora ricordo dovevi dare un esame il giorno che io avevo lo scritto , vero?”
“Si, cioè no, cioè dovevo assistere agli esami di costituzionale, a proposito come è
andato lo scritto?”
“Questo?”dice indicando la porta.
“Mmm” annuisco con un elegante verso da bovino.
“Boh, spero bene”
“Allora è stato utile seguire gli esami?”
“Mah, a dire il vero non credo che lo darò più”
“Che intendi?”
“Ho deciso di smettere”
“Di fumare?” sorride.
“Si anche quello, no a parte gli scherzi, non credo di farcela più a studiare e lavorare
allo stesso tempo”
“Non è facile certo, fai un lavoro molto impegnativo?”
“E’ un lavoro abbastanza impegnativo ma ho diversi pomeriggi liberi”
“Ah, che fortuna!”
“Si, non voglio fare il misterioso, è che non è un lavoro interessante , mi occupo
perlopiù di numeri e scartoffie, insomma un lavoro da vecchio burocrate”
“Non sembri un impiegato del catasto”
“Eh si in effetti non lavoro al catasto” se continuo così rischio di chiudere io stesso
la conversazione, anche perché la ragazza sembra cominciare a muoversi.
“Ho uno zio che ci lavora” sorride.
“Ah che fortuna!” le faccio un po’ il verso e lei ride.
“E dunque scusa se sono sfacciata sei venuto a fare la rinuncia agli studi?”
“Vero, la farò poi, no, in realtà stavo cercando un’amica che doveva darmi delle
informazioni” sto inventando di sana pianta e arrampicandomi su una superficie vetrata con
pure l’olio sopra, e tirar fuori la fantomatica e inesistente amica è simile all’autogol per il
quale il difensore della Colombia Escobar fu ucciso dopo aver causato l’eliminazione della
nazionale ai mondiali del 94.
“Ah, ok”
“Ti chiedo un’informazione”
“Dimmi”
“Per caso conosci qualcuno che ha fatto delle tesi sui presidenti della repubblica?”
“Mah, a parte che non conosco tante persone che hanno fatto la tesi, direi di no, non
so, se vuoi posso chiedere”
“No, ti spiego, con degli amici stiamo scrivendo alcune cose sugli avvenimenti
politici dell’Italia passata, e ci serviva qualcuno veramente esperto su alcune fasi della storia
della repubblica, presidenti compresi”
“Interessante” anche se dal suo viso traspare tutto tranne che curiosità.
“Vabbè non è importante, senti io sto andando a prendere l’auto, ti posso offrire un
caffè?”
“Certo ti ringrazio, io pensavo di andare a casa a piedi, abito dopo la stazione e
scendo per via Indipendenza, tu dove hai parcheggiato?”
“Ho messo l’auto in garage, in via Amendola” appena ho pronunciato la parola
garage mi sarei dato una martellata nei testicoli. Uno studente che mette l’auto in garage,
comincio a diventare poco credibile, fortuna che con i jeans sporchi, una polo bianca per
fortuna Lacoste e non Ralph Lauren sembro abbastanza anonimo, e i capelli raccolti danno
un tono un po’ alternativo insieme alla barba incolta a macchia di leopardo. Ho questo
cavolo di Rolex ma potrebbe essere un falso o un regalo per l'appunto.
“In garage?” eccoci arrivati al punto.
“Si, ero in ritardassimo e sono un po’ imbranato con i parcheggi a Bologna”
“Ma tu di dove sei? Hai un accento che non riesco a mettere a fuoco”. Mentre
parliamo camminiamo a fianco e ci dirigiamo verso i portici di via Indipendenza.
“Io sono originario della Spezia, ma vivo a Parma da tanti anni”
“Ah, e a Bologna?” mi guarda un po’ sorpresa poi aggiunge “scusa se ti faccio tante
domande ma è così un po’ per conoscersi, no?”
“Figurati, anzi scusa se a volte ti sembro un po’ sintetico nelle risposte ma non sono
di tante parole” ridacchio un po’, e mi sento sempre più idiota. Questa ragazza mi piace
davvero. La sto guardando mentre camminiamo, oggi ha una maglia abbastanza scollata,
rossa, che lascia intravedere delle tette non grosse ma di quelle che non hanno bisogno di
reggiseno imbottito, il rosso richiama la montatura degli occhiali e le ballerine molto
scollate, jeans a vita bassa, mi da l’impressione di essere più magra rispetto all’altra volta ed
è alta quasi quanto me anche con le scarpe a livello suolo. Dai jeans escono dei boxer tipo
da uomo, per fortuna nessun perizoma.
“Sono venuto a Bologna perché le cose che stiamo scrivendo in un certo qual modo
ci riportano qui, poi magari se ti interessa ti spiego meglio, tu invece sei di Bologna”
concludo la frase in modo affermativo, tanto per dare l’impressione del tipo sicuro di se.
“No, non sono di Bologna, ho la casa qui ma sono di Modena”
“Pensavo facessero i pendolari quelli di Modena”
“Si ma io vivo nell’Appennino, a Pavullo, conosci?”
“Non ci sono mai stato, ma lo conosco, avevo una zia che era originaria di…. Mi
pare Soliera o insomma una frazione lì vicino, un paesino che si chiama Vesale ma non ci
giurerei”
“E’ vicino a casa mia! Che coincidenza! Ma non è vicino a Soliera, è verso Sestola”
“Si ecco, ricordo da bambino di essere stato a Sestola, non so perché mi è venuto in
mente Soliera , forse ci lavorava qualche altro parente”
“Si è possibile, che strano pensa che ho anche un paio di amici che abitano a
Vesale”
“Io ricordo una cugina che si chiamava Francesca, ma, beh, si insomma non ha
proprio la tua età “ rido.
“Perché quanti anni mi dai?”
“Sembri giovanissima e comunque non sembri davvero fuori corso”
“Dai su su spara…”
“Ventuno?”
“Quasi…ne ho ventidue, e tu?”
“Lasciamo perdere” per un attimo guardo se mi sono tolto la fede.
“Va bene provo ad indovinare, dunque lavori e studi e fatti guardare” si ferma e mi
fissa.
“Allora hai un orologio che costa un sacco di soldi quindi lavori già da un bel
pezzo, poi metti l’auto in garage anche se fai finta che sia casuale, e..”
“Ehi accidenti, piano piano, fai troppe congetture, il Rolex potrebbe essere falso”
“Ma tu non sembri il tipo da Rolex falso, non almeno uno che ha le Munich ai
piedi” e indica verso il basso guardando le mie scarpe”
“Ma sono false pure quelle” rido io.
“Noooo, non esistono le Munich false, sembri un po’ un tipo che ha tanti soldi e si
vergogna ad ammetterlo per paura che la gente lo giudichi…filo Berlusconi? “ e ride di gran
gusto. E in effetti mi fa ridere pure a me, ha fatto un’analisi sconcertante e nota molto i
particolari.
“Ne ho tanti…di anni”
“Io dico trentadue”
“Si più o meno”
“Più o menoooo?”
“Dai ne ho trentanove a ottobre e non fare commenti”
“Ma smettila!!!”
“Guarda non ti faccio vedere la patente perché mi vergogno della foto”
“Ti giuro che ne dimostri al massimo trentacinque”
“Ma nooo, sono i capelli lunghi”
“Vabbè come credi ma ti assicuro che se non era per l’orologio avrei detto pure
meno” sorride, nel frattempo siamo arrivati sotto i portici.
“Va bene se ci sediamo lì?” indico un tavolino di un bar
“Ok”
Ordiniamo un caffè, per vergogna non lo prendo decaffeinato, cosa che faccio sempre così
dopo aver bevuto sarò ancora più nervoso.
“Parlami del progetto a cui lavorate”
“Mah, è una cosa ancora così in cantiere…” mentre sto cominciando a parlare mi
chiedo come una ragazza così possa essere senza fidanzato, e poi mi domando anche come
mai penso che sia senza partner.
“Questa estate io e alcuni miei amici abbiamo visto un video inedito della strage di
Rimini, quella del 1980, hai presente?”
“Si certo, ehi ricorda che studio scienze politiche” sorride
“Hai visto anche tu il video?”
“No, ho visto dei filmati ma non so se sono quelli che dici tu”
“Quello che dico io è un video inedito girato da due cameramen di una tv locale di
Rimini girato subito dopo l’esplosione, un filmato inedito in forma integrale”
“No, quello non credo di averlo visto, si trova su youtube? È un sito di shareware”
“Lo so cos’è youtube, ho trentotto anni non ottantatre” lei ride.
“Scusa dai scherzavo” ride ancora.
“Non ho mai cercato su youtube, uno dei miei amici l’ha registrato, ma ci è bastato
vederlo una sola volta”
“Ma Bologna che c’entra con la strage?”
“L’associazione familiari delle vittime ha la sede qui vicino e , ho incontrato il
presidente”
“Ah, molto interessante, e voi cosa vorreste scrivere?”
“E’ una sorta di analisi dei fatti scritta trent’anni dopo e vista con l’ottica della nostra
generazione e se possibile anche con quelle di chi non era ancora nato” e la indico.
“Bello”
“Per questo cercavamo il supporto di qualche studente, e qualcuno che ci desse una
mano per la parte storico politica, purtroppo non abbiamo tutti il medesimo tempo da
dedicare alla cosa. E ormai siamo vecchi per fare ricerche e cose simili”
“E l’amica che dovevi incontrare vi avrebbe aiutato?” questa storia dell’amica fa
acqua da tutte le parti, ma non so come venirne fuori.
“Non è proprio una mia amica, è una persona che ha contattato uno dei miei amici,
ma quegli stronzi non hanno tempo per venire a Bologna”
“Ma tu sei iscritto o no?” arrossisco e sento che sto arrossendo come al solito. Opto
per la strada della sincerità, o almeno una mezza verità per adesso.
“A dire il vero no, cioè ero iscritto tanti anni fa a Pisa, ma a luglio ero qui per vedere
in effetti quando c’erano gli esami e comunque avrei voluto contattare un professore o
parlare con qualcuno che ci potesse dare un supporto tecnico, dal punto di vista
giurisprudenziale”
“Si , va bene, scusa se faccio tante domande è che mi sfugge qualcosa forse”
“No scusa tu hai pienamente ragione, magari poi posso spiegarti meglio, sempre che
ti interessi”
“Certo , ti ringrazio, magari poi ci scriviamo, se ti va ti lascio la mia email”
“Ti do il numero di cellulare se non ti crea problemi poi magari via sms ti mando la
mia email così se hai un po’ di tempo ti spiego meglio”
“Benissimo, dimmi, così ti chiamo subito e puoi memorizzare il mio”
“340**********”
“Vodafone?”
“Si perché”
“Aspè guarda” mi squilla il mio e compare un numero sconosciuto che comincia per
347
“Bene abbiamo il solito gestore telefonico, un segno del destino” dico la cosa con
una certa enfasi suscitando un bel risolino da parte sua.
“Senti non ti offendere ma ti devo confessare una cosa” le viene un tono serio e
comincio a preoccuparmi per davvero.
“Dimmi”
“Non ricordo affatto come ti chiami”
“Federico”
“Ok, piacere di nuovo, Elisa” si lo ricordavo
“Ecco, aspetta un attimo adesso so come memorizzare il numero” ride.
“Vero….altrimenti cosa avresti scritto? Ricco pentito?” e ride ancora.
Ci alziamo e ci salutiamo, mi porge la mano, sperare in un bacino era fuori luogo, e non mi
sarebbe neppure piaciuto.
Sono già sulla x5 con l’aria condizionata al massimo, contentissimo di avere il suo cellulare,
sono straconvinto che risponderà subito agli sms, ma non sono sicuro quando mandare il
primo, farò il viaggio pensando a cosa scrivere, dall’entusiasmo sto perfino perdendo di
vista cosa ci sono andato a fare a Bologna o meglio a cosa mi serve una studentessa di
ventiduenne.
Capitolo 38.
Sms Fede to Elisa
Se quando hai un po’ di tempo mi mandi il tuo indirizzo email ti scrivo con calma riguardo
al progetto di cui ti accennavo
Come al solito non riesco ad essere sintetico negli sms, è segno di vecchiaia una persona
giovane non scrive più di decina di parole.
Elisa to Fede
HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected]
a presto ciao
Ho pensato di non rispondere per non essere banale, rido da solo perché è talmente evidente
l’interesse per questa ragazza, mi faccio troppi problemi e non riesco ad essere naturale.
Capitolo 39.
11 Settembre Martedì .ore 14,15. Parma.
Un padre da poco.
Sto guardando il cellulare in attesa di una bustina con il nome Elisa, ma come
pensavo non scrive di sua iniziativa, aspetterà la mia email.
Sono in auto fermo al semaforo e sono appena uscito dall’ufficio, sto andando a
casa. Picchierello sul volante come se suonassi il bongo. Penso che questa cosa non sia un
segno di serenità, ma di inquietudine. Sono giorni che Chiara è strana, bene inteso che sono
mesi che il nostro rapporto non è quello che si potrebbe definire il rapporto tra moglie e
marito, sembriamo una specie di soci e neppure di quelli che vanno d’accordo.
Con i figli resto pochissimo, in pratica li vedo solo a cena, se ne occupa in parte
Chiara, per una parte molto piccola, e in gran parte la loro tata, anche la nonna materna si da
un gran da fare, i miei genitori abitano a Spezia e i bimbi li vedono ogni tanto e soprattutto li
vedono quando ci siamo anche noi, malgrado ciò devo dire che sono affezionati allo stesso
modo ai nonni materni che a quelli paterni.
Sto riflettendo che sono un padre che vale poco. Come marito le mie azioni sono in
ribasso, non che mi importi molto. Forse per questo cerco di fare qualcosa di grosso,
qualcosa che mi faccia salire l’autostima.
È verde e sono ancora fermo, fortuna che subito dopo pranzo c’è un momento in
cui le strade di Parma sono deserte, tanto è che il semaforo diventa rosso e devo ancora
partire, sempre impegnato nelle mie bongo-riflessioni.
Davanti a me ho una Volskwagen Touareg. Mi ricorda un preciso momento di uno
o due anni fa, mentre stavo tornando dalle vacanze in montagna.
Eravamo in auto con tutta la famiglia, fermi nell’ennesimo e immancabile
rallentamento-coda dell’autostrada del Brennero, fra Trento e Verona, ricordo il caldo
soffocante e le due serpentine di auto che nelle rispettive corsie si muovevano a singhiozzo,
prima la corsia normale poi quella di sorpasso. Sono quelle situazioni in cui dopo qualche
minuto cominci a conoscere i tuoi vicini di coda, soprattutto quelli dell’altra corsia, li vedi a
fianco , li studi, quelli con i bimbi hanno il dvd appeso ai sedili esattamente come il tuo…
Una cosa che mi rimase impressa in modo indelebile furono due auto tedesche,
forse targate Monaco, una Touareg, dove c‘erano un uomo sulla trentina, belloccio con
occhiali da sole e due bambini dell’età in cui diventano di compagnia anche nelle code più
terribili, sui dieci anni , quando qualsiasi cosa è fonte di curiosità e gioco, entrambi
visibilmente eccitati per la vacanza. L’altra auto era una Peugeot 307 cabrio, scoperta
malgrado i trenta gradi e il sole cocente, seduti a bordo c’erano una bellissima donna, ed
insieme a lei una bambina. Capii che erano una comitiva di due auto quando dalla cabrio la
bimba, sporgendosi dai sedili posteriori, passò un pacchetto di sigarette al bimbo del
touareg, era evidente che erano una sorta di famiglia spezzata, il papà si accese la sigaretta in
preda ad astinenza da ingorgo autostradale, tutti e cinque ridevano, e stavano andando verso
il mare italiano , pervasi dall’entusiasmo del viaggio che dà inizio al periodo di ferie. Io e
Chiara seri, frustrati dalla coda,i bimbi silenziosi che guardavano non so cosa nel car
entertainment, vacanza finita e felicità di coppia inesistente. Un forte sentimento di invidia
mi investì e cominciai a favoleggiare su quella coppia, forse erano una vera famiglia
benestante che aveva deciso di portare al mare le due auto, il fuoristrada per stivare i bagagli
e la cabrio per le gite durante la vacanza, ma chissà perché ebbi l’impressione dei due
amanti che finalmente liberatosi del peso dei rispettivi vecchi partner facevano finalmente
una vacanza insieme, ognuno con i propri figli, e in loro percepivo l’ansia e l’emozione di
ritrovarsi alla sera una volta addormentati i bimbi, nel letto insieme. Davanti a loro il futuro
e l’ebbrezza della novità, davanti a noi la noia della solita routine. Fu una sorta di parabola
esistenziale, il tutto solo per un passaggio di sigarette da un auto ad un'altra. Per un attimo
nella Volkswagen c’ero io con i miei figli e nell’altra Monica con i suoi.
Penso che Chiara abbia un altro uomo. Non è che io sia particolarmente geloso però
non sopporto di essere preso in giro. Ho voglia di andare a controllare il pc del suo ufficio,
potrei anche far craccare la password da Giovanni, ma mi secca particolarmente coinvolgere
i miei amici in queste cose, non ho vergogna però preferisco regolare i conti sentimentali
senza l’ausilio di nessuno.
Credo che Chiara abbia agito diversamente in passato, probabilmente sia lei che
mio suocero mi hanno messo alle costole diversi investigatori, quelli che ti fanno pure le
foto e te le consegnano in una busta aperta chiedendoti se le vuoi vedere e anticipandoti che
ti faranno male….ma chi direbbe: “le stracci pure”?
Nessuno ha mai osato dirmi nulla, se lo hanno fatto entrambi, padre e figlia, si sono
tenuti il segreto senza accusarmi di nulla. Ovvio però che Chiara si sia fatta gli affari propri.
Insomma una bella società dello squallore. In fondo i bimbi sono pure contenti, sono un po’
i classici bambini alienati da pubblicità e televisione ma in questo non sono poi dissimili dai
loro coetanei, eccezione fatta per i figli dei protagonisti dei romanzi di De Carlo.
Non sono bambini soli, hanno tanti affetti, magari manca loro l’amore fra il padre e
la madre. È difficile dire come andrà a finire questo progetto assurdo, ma è verosimile che
fra qualche mese non sarò più con la mia famiglia. Non so nemmeno se la cosa mi
dispiaccia, ormai mi sento soffocare. È un atto egoistico, ma è una sorta di bere o affogare,
non so cosa potranno ricordare del padre, forse non saranno neppure orgogliosi, forse si
vergogneranno, ma non si possono avere simili pensieri quando si vuol portare a termine
un progetto come il nostro, come il mio. Spero sia l’ultima volta che mi debba confrontare
con questi pensieri e queste sensazioni, voglio andare dritto alla meta.
Guardo l’orologio. Il datario segna 11. Una volta vedendo il filmato dei presunti
kamikaze delle torri gemelle mi chiedevo a cosa pensassero mentre mangiavano un
hamburger prima di imbarcarsi nel loro volo suicida…ma forse quelle persone nemmeno
sono esistite. Mi domando cosa possa servire andare a curiosare sul computer dell’ufficio
di Chiara, forse sto cercando un alibi per quello che sto facendo?
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