_____________Mario Enrico Mauri
©2010
dedicato a chi, con amicizia, mi è stato accanto
a chi, con amore, mi è ancora accanto
a chi, con ignavia, mi ha ispirato
cap 01
Aveva la testa grossa e le scarpe fini.
La catena d'oro che aveva al collo poteva essere più che
sufficiente a trattenere un pitbull, in compenso il nero
pelame che traboccava dalla camicia, firmata ed aperta
sul torace, non poteva non farlo scambiare per un vero
cane da combattimento, quale egli era veramente.
Solo conoscendolo a fondo si poteva apprezzare quanto
un pitbull fosse molto, ma molto, più docile ed umano.
Nessuno è mai riuscito ad odiarlo; probabilmente perché
non si possono odiare gli animali.
Nessuno è mai, nemmeno, riuscito ad amarlo; probabilmente perché non si possono amare i fallocefali.
Nel suo giro era reputato un industriale; c'è da dire che
il "giro" era formato da suoi conoscenti che erano anche
più bestie di lui, se ciò fosse consentito dalle teorie dei
massimi e dei minimi.
La sua miglior dote era il saper spremere, da qualsiasi
essere umano ed in qualsiasi momento, ogni stilla di sudore che, puntualmente, pagava con ampie rassicurazioni verbali circa il fatto che qualora l'economia si fosse
stabilizzata, sicuramente, forse, lui stesso avrebbe provveduto a versare un cifra, per altro non meglio precisata,
ma senza dubbio simbolica, nelle mani del lavoratore.
Era sposato e, ahimè per l'umanità a venire, aveva figli.
La moglie era la mente pensante della famiglia e sapeva
fargli credere che lui era, da sempre, il più grande pensatore dell'universo.
Intendiamoci: l'universo di questo “essere” e del suo
"entourage" è da riproporzionarsi al suo modo di intendere le leggi dello spazio-tempo.
In termini di marketing la sua casa era il mercato dome-
stico; la casa del vicino era il territorio comunale; la città più prossima (5 km) era il mercato nazionale; il capoluogo di provincia era, inevitabilmente, l'estero; la regione attigua era il resto del mondo.
Nei suoi scambi commerciali era facilitato dalla padronanza delle lingue: conosceva poco il dialetto, in compenso parlava un po' peggio l'italiano e non capiva assolutamente alcuna delle lingue usate sul globo terracqueo.
Si chiedeva spesso, nei rari momenti in cui osava pensare in proprio, come facessero i tedeschi ad intendersi fra
di loro; cosi' come gli inglesi o i francesi; figuriamoci,
era già cosi' difficile capire l'italiano!
Cap 02
Il sole di settembre faceva fiammeggiare la carrozzeria
rosso fuoco della Ferrari Testarossa dal cui finestrino
anteriore, abbassato a filo cintura, sporgeva un irsuto
gomito, compreso tra una manica di camicia oxford arrotolata sino alla spalla e un Rolex da collezione mollemente adagiato sul grosso polso.
Lui scese con sbuffi e strane contorsioni, dettate dalla
non indifferente mole e chiuse la portiera con la stessa
determinazione e grazia di un macellaio allorché abbassa la serranda del negozio.
Il rumore della portiera sbattuta coincise con la ripresa
della copiosa sudorazione dell'ineffabile industriale che
non poteva più' fruire dei deliziosi 18 gradi assicurati
dal potente climatizzatore.
Dalla porticina che immetteva nel retro dell'ufficio di
rappresentanza apparve il fido Lucio attratto verso la
maestà del grande "padrone" e, soprattutto, dal rombo
della Ferrari.
Prostrandosi e tenendo il capo giustamente chino, Lucio
salutò' il grande Dario e si offri' di parcheggiare la vettura abbandonata proditoriamente in mezzo al piazzale.
Dario accondiscese ad essere servito e, congedandosi
con un poderoso peto, raccomandò al fido servo di sedersi sul prezioso sedile solo frapponendo tra questo ed
il suo deretano uno straccio pulito e morbido perché
"...costa quel sedile li'!"
Cap 03
Ineffabile gioia di vedere gli altri che lavorano!
E lui, Dario il grande, guardava ogni giorno il lavoro dei
suoi operai, li guardava con intensità tale da fargli quasi
uscire gli occhi dalle orbite.
Giunta la sera si sdraiava mollemente sulla poltrona in
vera fintapelle e, pensando alla mole di lavoro svolto dai
suoi dipendenti, si sentiva stanco, giustamente e assolutamente stanco.
Su di lui scendeva la fatica di chi aveva guardato lavorare: fatica improba alla quale solo lui e pochi altri eletti
possono sopravvivere.
Era così tanto abituato a far fatica con il sudore altrui
che riusciva ad essere spossato anche dopo un viaggio
in aereo fatto per trascorrere il week-end in Sardegna; la
fatica dei piloti e dell'equipaggio e dei controllori di
volo e dei portabagagli gli piombava addosso, preventivata, eppure ogni volta improvvisa.
Non sempre le due giornate trascorse in operoso ozio al
sole di Porto Cervo riuscivano a lenire le sue fatiche per
cui il viaggio di ritorno si rivelava essere un vero calvario.
L'afrore della sudorazione, a livelli fantozziani, era a
mala pena mitigata dalle preziose essenze con cui si vaporizzava e poteva durare anche per due - tre giorni
dopo il rientro in azienda.
Capitava che qualcuno, impietosito dallo stato di prostrazione in cui versava dopo siffatti viaggi, gli consigliasse di riposarsi.
L'errore, il malcapitato, lo avrebbe scoperto a sue spese.
Per non meno di due ore, il grande Dario, si lanciava in
un forbito monologo in cui, coniugando verbi abbastanza improbabili con tempi quantomeno sospetti, tentava
di dimostrare all'allibito interlocutore come un capitano
di azienda deve sempre "sentirsi" stanco per essere sicuro di aver fatto il proprio dovere.
Guai a coloro che non sono perennemente stanchi!
Guai e ri - guai a coloro che si sentono in forma e riposati!
Il vero industriale doveva e deve essere come lui, anzi,
senza il come: è lui, solo lui: Dario il grande imprenditore, il grande stratega aziendale, il grande organizzatore e coordinatore, insomma “il” grande!
Solo lui è in grado di intervenire con inopinato ed insospettato sense of humour (per altro assolutamente involontario) in un acceso dibattito tra il capo-officina e l'operaio a proposito di come fare un filetto, pronunciando
l'imperitura frase, da scolpirsi su marmo immortale:"alla
griglia, alla griglia ed al sangue!"
Cap 04
E venne il giorno! Venne il gran giorno!
Dario il grande, paludato come per le feste comandate e
con tanto di cravatta dotata di nodo scorsoio rimasto da
almeno tre feste prima, si presentò, in puntuale ritardo
di un'ora e cinquanta, nell'aula magna.
Entrò, ovviamente dalla porta sbagliata, e si diresse alla
prima sedia che vide libera.
Si accomodò, nel silenzio generale.
Estrasse il fazzoletto stropicciato dalla tasca sinistra dei
pantaloni blu mare; si deterse il coppino, la fronte e la
pappagorgia con una calma che poteva sembrare affettata, ma che derivava, invece, dalla sua perfetta inconsapevolezza di essere osservato da qualche centinaio di
persone.
Già, perché la sedia su cui si era adagiato era quella del
Magnifico Rettore che, giusto cinque minuti prima, si
era recato al bagno.
Un compito usciere gli si avvicinò e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio.
Il colore del faccione del grande Dario passò per tutte le
gradazioni del rosso, poi del bianco, infine si stabilizzò
su una tonalità blu/paonazza mentre le labbra si empivano di una schiuma candida dovuta ad un surplus di salivazione.
Con fatica si alzò e, biascicando qualcosa come: "...potevate mettere dei cartelli...avvisarmi prima .... le solite
cose fatte all'ultimo minuto ... disorganizzati che non
siete altro ..."
Si rassegnò a fendere la folla che lo osservava con divertito compatimento e, preso posto in alto, all'ultimo
banco di destra, sopraffatto dallo sforzo, si appisolò.
Venne svegliato dalla voce della moglie, la brillante,
mondana e onnipresente organizzatrice Lina, che gli
soffiava nell'orecchio destro: "... insomma ... ti stiamo
aspettando da due ore! Smettila di dormire, cerca di
ascoltare quello che sta dicendo a nostro figlio il rettore!
Senti! Gli sta dandoci la laurea!..."
Come trafitto da un fulmine il grande Dario scattò in
piedi e con impeto da stadio urlò: "Bene! Un brindisi!"
Gli astanti si scostarono un poco da lui e lo lasciarono,
in perfetto silenzio, a rimirarsi le unghie al fianco di una
sconsolata Lina.
Tre ore più tardi Morfeo stava ancora cullando nelle sue
braccia il grande Dario che, piuttosto discinto, si era
stravaccato su una poltrona dell'hotel a sette stelle, appositamente noleggiato per festeggiare l'erede e la sua
laurea, mentre tutti i convitati si prostravano, con malcelata invidia, al cospetto del piccolo, orgoglioso principe
ereditario.
Era, costui, di buon aspetto e di ristrette vedute, in compenso schifava anche la sola idea di dover in qualche
modo fare fatica per cui, sei anni prima, di fronte al pensiero che avrebbe dovuto studiare per laurearsi ebbe la
saggia idea di affittare un sosia, da inviare alle lezioni
universitarie, delegando ad uno zio povero, ma servizievole ed onesto, il compito di trattare con i docenti ed il
Rettore la giusta tariffa di laurea.
Ora, di fronte ai giusti e sperticati elogi per il diploma
ottenuto, che la sua piccola corte di invitati gli rivolgeva, con aria stanca e quasi afflitta commentava, distaccato:" Eh! Sì, è stato un corso di laurea duro, ma era necessario che lo facessi per il futuro dell'azienda".
Già, l'azienda....
Sarà il caso che ne parliamo in un capitolo a parte.
Cap 05
L'azienda diretta da Dario il grande, e la parola "diretta"
è una parola davvero esageratamente grossa, produceva,
oltre al malumore costante e continuo di tutti i dipendenti, ivi compresi gli azionisti del c.d.a., aerei supersonici con propulsione ad elica.
In effetti, all'origine, negli anni cinquanta, aveva iniziato
a produrre, sotto la guida di "nonno Claudio" cerchi in
legno per carrozze a cavalli.
Gli affari, stante la disgraziata ed inopinata congiuntura
che vedeva l'avanzare delle automobili e la inarrestabile
sparizione delle carrozze e dei cavalli, non andavano
propriamente a gonfie vele.
Nonno Claudio, però, era un tipo perseverante, perspicace e di ampie vedute; tradotto in parole povere diciamo
che giocava la schedina della sisal ogni domenica, spesso ci prendeva, incamerando ottime vincite e utilizzava i
proventi della schedina per ingrandire un capannoncino
dove tre o quattro ragazzotti si recavano ogni sera per
guadagnare un piccolo extra assemblando i cerchi in legno.
Questa produzione, chiaramente nata già obsoleta, permetteva al vecchio di occultare le sue vincite e di far
credere in giro che la villetta padronale lui l'aveva costruita con i proventi del suo lavoro per cui era rimasto
senza soldi e ogni guadagno dell'attività finiva, inesorabilmente, nelle tasche degli operai; a lui restavano solo
le briciole.
Con gli anni si acuì la propensione di nonno Claudio al
gioco d'azzardo e tanto si convinse intimamente di possedere il dono della preveggenza che decise di applicare
l'indubbia abilità del suo fondoschiena anche sul terreno
industriale.
In effetti la sua non fu una vera scelta, furono gli avvenimenti a dimostrare che quella era la strada predestinata.
Avvenne che una grande azienda aeronautica di respiro
mondiale necessitasse di aziende esterne per incrementare la produzione e di questa ricerca venne incaricato
un certo ing. Stanzone, giovane di belle speranze e di
fertile intelligenza, che, in una sera di fine novembre, si
imbatté in nonno Claudio.
Il giovane ingegnere era stanco; viaggiava da quattro
giorni su una Fiat topolino e non era ancora riuscito a
trovare un'azienda disposta ad accollarsi la commessa di
lavoro; la casa aeronautica lo pressava perché si desse
da fare; era veramente bollito quando, avendo perso la
strada perché sopraffatto dal nebbione lombardo, entrò
nel capannone di nonno Claudio per chiedere informazioni.
Com'è e come non è, nonno Claudio fece accomodare il
giovane, gli offrì un buon bicchiere di vino rosso e, saputo cosa stesse cercando gli disse:
" caro il mio ingeniere! Di ditte per fare quello che c'ha
bisogno lui, non se ne trovano più! Io medesimo ci verrei incontro con i miei operari, ma il lavoro che vuole è
difficile..."
L'ingegnere, furbetto, capì che aveva trovato la gallina
dalle uova d'oro.
Invitò a cena nonno Claudio, nella trattoria del paese,
l'unica, dove, dopo un'abbondante libagione, sottoscrisse e fece sottoscrivere al vecchietto un contratto in cui
nonno Claudio si impegnava ad assumere tot operai provenienti dalla casa aeronautica per poter addestrare i
suoi alle ardite lavorazioni richieste e che consistevano
nell'assemblaggio di velivoli per almeno venti anni.
In tutto questo l'ingegnerino si era riservato una quota
"premio" del 10 per cento su ogni aereo deliberato;
neanche a dirlo la clausola era su un foglio separato firmato da "gentiluomini" e prevedeva il pagamento rigorosamente in nero o, come si suol dire "esentasse".
Fu il decollo!
Con puntualità degna dei migliori treni svizzeri ogni
fine mese l'aziendina di nonno Claudio sfornava il suo
bell'aeroplano, montato in ogni particolare con una cura
artigianale invidiabile e ogni fine mese l'ingegner Stanzoni passava, deliberava, riscuoteva e si arricchiva.
Certo, di tanto in tanto c'era qualche disdicevole intoppo, ma la ruota era così magistralmente oliata che tutto
si aggiustava da sé.
Avvenne, ad esempio, che su un aeroplano la casa committente riscontrò il mancato montaggio degli strumenti
di bordo, ma nonno Claudio inviò il suo pupillo, Dario il
grande, a discutere con la casa aeronautica e qui, per la
prima volta, si svelò l'acume e la sagacia di Dario.
Egli, infatti, sostenne, di fronte al quadro strumenti costellato di buchi e negando anche la più lapalissiana delle evidenze, che la strumentazione sull'aereo in questione, non solo era montata , ma che funzionava benissimo
anche a motore spento!
Prova ne era che non si accendeva alcuna spia di allarme.
Di fronte a cotanta perspicacia la casa aeronautica stabilì, per evitare screzi, che, da allora in poi, la strumentazione di bordo sarebbe stata montata presso la casa madre.
Dario, il grande, fece notare che in tale modo non avrebbe potuto controllare la corretta esecuzione dei fori della
plancia strumenti per cui sarebbe stato opportuno che
anche tale particolare venisse allestito direttamente dalla
casa aeronautica.
Tutti furono d'accordo.
Qualcuno avanzò l'ipotesi di una riduzione dell'importo
da elargire all'aziendina di nonno Claudio, ma Dario, il
grande, dimostrò che l'assemblaggio del quadro strumenti con gli strumenti relativi era un'attività sino ad allora compiuta gratuitamente per amore di patria e degli
aerei.
Commossi da sì tanta abnegazione i committenti offrirono a Dario la possibilità di scegliere tra una erogazione
straordinaria "una tantum" ed una erogazione mensile
della medesima quota; egli dapprima declinò le proposte, schernendosi, poi decise di accettarle e di pretenderle tutte e due, possibilmente anticipate.
Saputo il risultato ottenuto dal figlio nonno Claudio
commentò:" è troppo buono quel ragazzo lì, fa sempre
sconti a tutti! ".
Dario sentì il commento e se ne convinse per tutti gli
anni a seguire.
Cap 06
Con il passare degli anni nonno Claudio capì di invecchiare.
Anche Dario invecchiava, ma dato che era ancora giovane, non si accorgeva del passare del tempo.
Del resto era perfettamente convinto che a lui fosse riservato il privilegio di essere bello, simpatico, modesto
ed immortale.
Ad ogni buon conto nonno Claudio convocò i due figli,
Dario il grande e Sandrino il piccolo, per decidere il futuro dell'azienda che, ormai, produceva in proprio i monomotori ad elica poiché la grande casa aeronautica con
cui aveva iniziato a collaborare si era dedicata alla realizzazione in proprio di missili ed aerei plurigetto ipersonici.
La riunione di quel primo abbozzo di consiglio di amministrazione programmatico sortì l'esito, dopo non poche urla e pacate vicendevoli percosse, di definire, una
volta per tutte, il nome dell'azienda: "Velivoli Italiani"
con acronimo: V.I.
Nella circostanza i tre titolari della V.I. stabilirono anche di trasformare la società in S.p.a. nel volgere di un
anno così da poter accedere ad una serie di privilegi fiscali che il governo stava varando a sostegno delle grandi industrie che lo avevano votato.
Puntualmente, dopo sei anni, la V.I. divenne V.I.S.P.A.
e non potè attingere alle agevolazioni fiscali poichè, nel
frattempo, i tre governi che si erano succeduti avevano
optato per un aumento della tassazione a carico delle
S.p.a.
Fecero il loro ingresso, nella V.I.S.P.A, nuovi soci accuratamente scelti fra i personaggi facoltosi della zona disposti ad investire soldi senza, però, aver tempo e voglia
di seguire le fasi operative aziendali in ciò disposti a delegare la loro massima fiducia ai due fratelli ed al loro
padre.
Amministratore unico venne nominato Dario (a.u.da);
presidente fu acclamato Sandrino(pres.sa) mentre nonno
Claudio si ritirò in un albergo di Montecarlo proprio di
fronte al celebre casinò.
Il primo atto di Dario il grande nella sua qualità di amministratore unico fu quello di installare, nel mega uffi-
cio direzionale, un divano extra size posizionato vicino
al potente gruppo di condizionamento.
Il secondo atto fu quello di far affiggere nei reparti di lavorazione una miriade di cartelli "ricorda che l'a.u.da ti
guarda!"
Il terzo fu la nomina di se stesso anche a “direttore immensamente onnipotente” accorciato in d.i.o. per l'uso
quotidiano da parte delle maestranze che, per altro, preferivano nominarlo come "Dario il glande".
Cap 07
La mattina di quel maggio si presentava come il biglietto da visita della primavera; il cielo era terso, dopo un
temporale notturno, l'aria limpida, frizzante ed odorosa
di fienagione e di rose; anche sulla V.I.S.P.A. il sole
splendeva ed entrava, prepotentemente, dai portoni lasciati aperti per aerare gli scuri capannoni.
Erano già le dieci quando una limousine di rappresentanza si fermò sul piazzale, fra carcasse di aerei ormai
da rottamare e pezzi di fuso-liera nuovi di pacca abbandonati in sapiente disordine per poter arrugginire alle intemperie.
Dall'automobile discesero quattro elegantissimi e distinti personaggi azzimati e acconciati come solo gli incaricati di affari ministeriali sanno essere.
Sconcertati dal dover zigzagare fra puntuti oggetti metallici di ogni genere per raggiungere quello che sembrava essere il portoncino di accesso agli uffici furono visibilmente ancor più sorpresi dalla voce stridula di donna
che, senza mostrarsi, sbraitava alle loro spalle:
"Ehi! Non si va di lì! Devono venire da questa parte qui
di qui di dietro al bidone della spazzatura!".
Rapido dietro-front, un'alzata di spalle e, ricomposto il
viso al-l'espressione "ministeriale" i quattro entrarono
nella penombra degli uffici della V.I.S.P.A.
"Buon giorno, abbiamo un appuntamento con l'amministratore unico, noi siamo il comitato di acquisto per l'aereo presidenziale".
Le loro parole caddero come silenziose piume in quell'ovattato ufficio dove un numero imprecisato di impiegati era intento a svolgere, con invidiabile impegno,
funzioni non propriamente individuabili nei mansionari
ufficiali.
A destra, vicino ad una finestra semichiusa, con la veneziana di tra-verso, sbilenca, acciaccata e polverosa, un
uomo, con jeans sfilacciati e tagliati all'altezza dei polpacci, camiciola in lino con disegni vaga-mente orientali
a vivaci colori, sorbiva, con assorta dignità, un succo di
frutta tropicale rovesciando la testa all'indietro, come se
volesse toccare i calcagni con la nuca mentre lo schermo del pc che gli stava di fronte lo illuminava di una
luce verdastra; l'arrivo dei quattro ospiti lo aveva lasciato totalmente indifferente.
Il suo vicino di scrivania, più attempato e con occhialini
d'oro sistemati a mo' di pince-nez, traguardava, da sopra
gli strumenti ottici, una vecchia calcolatrice degli anni
'70 che, rumorosamente, stampava cifre su cifre in pallido azzurro su una carta ingiallita dalla luce e dal tempo;
una rapida occhiata gli aveva fatto valutare i nuovi entrati come scocciatori per cui decise di non vederli e si
reimmerse nei suoi conteggi.
Al telefono di una scrivania, posta di traverso rispetto
alle due precedenti, una scialba segretaria dai capelli di
un biondo smunto e dagli occhi vacui di un ceruleo az-
zurro polveroso, stava attendendo di riprendere la conversazione con un interlocutore che, dalle smorfie e dagli sbuffi che emetteva, non doveva esserle molto simpatico; non degnò neppure di uno sguardo i "ministeriali".
Di fronte a lei un'altra segretaria era immersa in una
conversazione telefonica che, a giudicare dal tono bisbigliato e dalla posizione a "sto nascosta e non mi potete
vedere", doveva essere altamente e squisitamente personale; lo sguardo che gettò ai quattro ospiti le bastò per
valutarli come "spaccamarroni" per cui si celò ulteriormente alla vista di tutti ingobbendosi ulteriormente fra
le cataste di carta che ornavano una scrivania unta e bisunta.
Sulla porta di fronte a quella di ingresso sostava un capannello di tre uomini vestiti con abiti da lavoro tipici
dei meccanici e le loro risate sguaiate intercalate da divertenti motti calabro-pugliesi arrivavano stridule e fastidiose alle orecchie degli sbigottiti, dimenticati e trascurati ospiti che si accorsero, improvvisamente, di una
presenza femminile al centro della piramide formata dal
trio operaio; era, la donna che si intravvedeva, un tipino
minuscolo eppur vistoso nell'abito nero lungo con spacco laterale degno delle migliori soubrettes.
Nessuno parve accorgersi dei nuovi arrivati.
Improvvisamente, come all'approssimarsi dell'alta marea, si avanzò un bisbigliato mormorio che, montando di
tono ad ogni finir di frase, lasciò nell'aria come un'eco:"
arriva Dario, Dario, ario..."
In un attimo l'ufficio prese vita.
I tre operai parvero dileguarsi; la ragazza che era al centro delle loro attenzioni avanzò, con passo sicuro e dinoccolato, verso il comitato ministeriale e, aprendo le
labbra ad un sorriso domandò con voce che voleva essere cordiale: "chi siete?"
"Ehm... Noi siamo, cioè loro sono, io invece li accompagno, gli incaricati del ministero per l'acquisto dell'aereo presidenziale" rispose il più cicciottello dei quattro.
La ragazza, la cui statura era ormai misurabile con numeri negativi, guardando l'interlocutore dal basso verso
l'alto chiese:" E ... con chi vorreste parlare?"
"Noi avremmo dovuto incontrare, mezz'ora fa, il sig.
Dario..."
"Adesso vedo di andarlo a cercare. Restate pure qui ad
aspettare"
Si girò su se stessa e, in un turbinio di profumi new-age,
uscì dalla porta dove prima sostava con i tre meccanici.
Cap 08
Ed eccolo!
Tronfio e madido di sudore si stagliò in controluce, nel
vano della porta, lui, Dario il grande.
Con passo strascicato, leggermente claudicante, gli occhi spalancati in guisa di biglie vitree pronte a precipitare dalle occhiaie alle flaccide guanciotte, egli avanzò
verso i quattro visitatori; non li degnò più di tanto e domandò, con la solita aria strafottente, all'impiegato assorto nella contemplazione della calcolatrice:
"Allora? Chi è che mi vuole? Cerchiamo di muoverci!"
L'impiegato scattò in piedi e con fare ossequioso, avvicinando il suo volto segaligno a quello rubizzo del grande, disse:" sig. Dario, questi qui sono quelli di Roma
che c'avevano appuntamento..."
"Avevano appuntamento con chi?"
"Con lei, sig. Dario... Con lei"
Il grande sbuffò e, giratosi verso i quattro ospiti, bofonchiò qualcosa che suonava come " chi è che vi aveva
detto che dovevate parlare proprio con me? Fa niente
ormai mi avete disturbato per cui vediamo di fare una
cosa in fretta...."
Lo sconcerto era sufficientemente palpabile in tutto l'ufficio ed era palesemente dipinto sui volti dei componenti il comitato ministeriale.
L'impiegato più prossimo alla porta di ingresso, distaccando l'occhio bovino dallo schermo verdognolo del Pc,
fu preso da un attacco di anfitrionismo e, scattando in
piedi come punto da una vespa, mormorò, all'indirizzo
di tutti e di nessuno:" prendete pure le sedie che vi porto
un caffè caldo fatto con la macchinetta a gettoni che
stiamo provando..."
Lo sguardo di disappunto di Dario il grande fu talmente
rapido, violento e freddo che l'impiegato restò congelato
in bilico sulla sola gamba destra in una plastica posa da
partente per gli 800 metri.
"Lasci perdere il caffè e si facci il suo di lavoro! - voi
venitemi dietro che andiamo nel mio di ufficio"
Trot-trot, trot-trot il grande si avviò badando bene di
non accertarsi di essere seguito dai componenti della
commissione che, in verità, co-minciavano a pensare seriamente di fare un rapido dietro front e la-sciare da insalutati ospiti la V.I.S.P.A. e tutti i suoi dipendenti, ma
il ben noto zelo dei dipendenti statali prevalse su ogni
considerazione personale ed i quattro, in perfetta fila indiana, si lanciarono sulle peste di Dario.
Entrarono nell'ufficio del d.i.o. dove regnava il più inverosimile dei caos che fosse dato vedere sulla terra.
Sul muro di sinistra erano appese, in meraviglioso disor-
dine, insigni-ficanti stampe d'epoca frammiste a vecchi
calendari da dove le pin-up occhieggiavano con patinata
morbosità; tra una stampa ed un calendario l'intonaco
del muro si affacciava mostrando, anche al più disattento degli osservatori, la vetustà dell'ultima intonacatura
ormai completamente soppiantata da chiazze di muffa e
da macchie di caffè che si inseguivano in ordine sparso.
Alla destra dei visitatori faceva bella mostra di sé una
vecchia poltrona in stoffa gialla, sdrucita, impolverata,
lisa in più punti e con le rotelle rabberciate alla bell'e
meglio con nastro isolante di vari colori; poco più indietro un tavolino, di indubbia buona fattura, sembrava
flettere le gambe sotto il peso di una mole impressionante di macerie (così parevano a prima vista) frammiste a riviste femminili ed a fogli sparsi di ingialliti quotidiani mai letti.
Al centro del locale, proprio sotto ad una plafoniera al
neon con la tipica luce tremolante delle lampade pressoché esaurite, una bella scrivania in noce tentava di imporsi all'attenzione dei visitatori ad onta delle scartoffie
che, in rigoroso ordine sparso, coprivano, o meglio: tappezzavano, il polveroso ripiano.
Dario il grande si lasciò cadere sulla poltrona in vera similpelle e si accese, con un certo impaccio, un sigaro toscano stortignaccolo e maleodorante che aveva recuperato frugando in una scatoletta di latta estratta da un cassetto della scrivania.
I quattro visitatori si ritennero autorizzati ad accomodarsi e, in effetti, tre di loro trovarono posto su altrettante
sedie di diversa foggia e colore che ingombravano l'ufficio; il quarto, quello più alto e magro, assunse un'aria
indifferente e si appoggiò con la schiena alla colonna di
destra incrociando le ossute gambe.
"Allora...cosa volete?"
"Buongiorno, sig. Dario, io sono l'ingegner Cobalti ed
accompagno questi signori, il dottor Bastioni, il dottor
Chiaretto e l'architetto Casomai, che sono i componenti
della commissione ministeriale delegata all'acquisto del
nuovo aereo presidenziale."
"Va bene, ma... io cosa c'entro?" Rispose l'ineffabile
grande, grandissimo Dario.
"Beh...ecco...ci era sembrato che la sua azienda, la
V.I.S.P.A. producesse aerei, per cui vorremmo vedere
se fra i vostri modelli ce n'è uno che soddisfa le nostre
aspettative...per ... acquistarlo, comperarlo, insomma."
Fu una folgorazione!
Ad onta del bradipo che stazionava permanentemente
nella sua scatola cranica in luogo del cervello, Dario si
rese conto, alla velocità della luce, di essere di fronte,
incredibile a dirsi, a dei potenziali compratori!
L'ultima volta che la V.I.S.P.A. aveva visto entrare nei
suoi uffici dei potenziali compratori risaliva ad almeno
due anni prima ed era, quindi, abbastanza logico che ci
fosse una certa desuetudine, da parte di tutto il personale, a trattare con i clienti.Dario, no! Dario in tutto quel
tempo passato senza clienti, non si era mai rassegnato
ed ogni giorno, due ore al mattino e tre ore al pomeriggio, morbidamente sprofondato sul divano si era dedicato a rapporti onirici con altrettanto onirici clienti per cui,
trovandoseli, questa volta, vivi e veri di fronte, non ebbe
alcun problema a balbettare:
"Certo che facciamo gli aerei! Facciate pure un assegno
che poi ci mettiamo d'accordo per quando consegnarvelo!"
Ciò detto, congratulandosi con se stesso per l'accorta e
sottile trattativa condotta, il grande si alzò e, recatosi ne-
gli uffici chiamò a gran voce:" Alfonso! Portami un caffè, anzi un cappuccino, anzi no...una cioccolata, ma non
troppo calda e non troppo dolce...sono proprio stanco!"
Si volse, poi, verso l'ingegner Cobalti e, trattenendo a
stento uno sbadiglio da smascellamento, gli disse, con
tono confidenziale:" avete fatto bene a scegliere la mia
ditta, vi faremo l'aereo più bello del mondo e poi... lo
state pagando una stupidata!"
"Mi scusi signor Dario, ma ... ancora non abbiamo scelto l'aereo, tanto meno l'abbiamo acquistato e poi, prima
di parlare del prezzo, ne vorremmo vedere uno e conoscerne le caratteristiche tecniche..."
"Giusto. Più che giusto! Vi devo dare le caratteristiche
tecniche ed il prezzo....dunque partiamo dal prezzo.
Non costa tanto di più degli altri aerei per cui il prezzo
vi deve andare bene.... Le caratteristiche tecniche, suvvia! Non vorrete dirmi che non sapete che gli aerei volano!? Ovviamente i miei aerei volano anche loro e volano meglio di tutti gli altri messi insieme. Quindi, siamo
d'accordo: adesso faccio venire mio figlio con il contratto da farvi firmare."
Così dicendo premette un pulsante.
Lo sbigottimento dell'ingegner Cobalti raggiunse il culmine qualche secondo più tardi quando Dario, senza lasciare tempo di fiatare agli stupefatti clienti, alzò la cornetta del telefono ed iniziò un fitto discorso con un non
meglio precisato "Giangianni" con cui stava, palesemente, trattando i dettagli di una grigliata all'aperto da tenersi la sera stessa nel giardino della villa sul lago; il tutto
nella più assoluta indifferenza per la presenza degli
ospiti Romani.
Mentre Dario si intratteneva amabilmente con Giangianni comparve, sbattendo la porta d'ingresso dell'ufficio il
principe ereditario designato: il piccolo Darko.
Sul suo volto abbronzato erano ancora evidenti i postumi della serata precedente trascorsa nella discoteca più
“in” della metropoli; con la camminata elastica tipica
dei fancazzisti ed il telefonino di ultima generazione
mollemente appoggiato all'orecchio egli si diresse, sicuro, verso il divano e sedendosi urlò, in direzione dell'amato genitore:" Cosa c'è di così urgente? Lo sai che ho
anch'io i miei impegni, no?"
Dario lo guardò con la tenerezza del padre e rispose:" Ti
ho chiamato perché questi qui devono firmare un contratto e io non ho qui neanche la biro"
"E tienitela in tasca 'sta biro! Legatela al collo, non posso mica correrti sempre dietro, sai! Che contratto è che
devono firmare?"
L'architetto Casomai, a quel punto, si sentì in dovere di
intervenire e riassunse la storia del loro appuntamento
ad uso e consumo del nuovo arrivato che, mentre Casomai andava specificando anche i piccoli qui-pro-quo che
gli sembrava si fossero delineati nel corso dell'incontro,
iniziò una infinita serie di "bacini, bacini, bacini....ciccina bella, ciccina mia...coccolona.." All'indirizzo di un
secondo telefonino magicamente comparso nell'altra
mano.
Cap 09
Ad onta di tutti i malintesi e di tutti gli involontari maldestri tentativi messi in atto dalle massime cariche della
V.I.S.P.A. per sconcertare ed irritare la commissione di
acquisto, verso le 15 iniziò un turbinoso movimento di
mani che si stringevano, si aprivano in segno di scusa, si
ristringevano con rinnovato vigore mentre nell'aria immota echeggiavano, in ordine sparso parole come: "Certo, certo, dottore!"
"Ci si vede a Roma, allora...." "Faremo del nostro meglio, in geniere!" "Presenti i miei omaggi…" "Anche i
miei" "Aspettiamo il vostro progetto...." "Sicuramente!"
" Fate un prezzo equo...." " Fateci vincere la gara! Siamo poveri!" E così via.
La fase del commiato durò fin verso le 17:30 quando,
con aria decisa, il dottor Chiaretto esclamò:
"Dobbiamo andare! Non c'è più tempo per le trattative.
Ci resta giusto il tempo di rientrare in albergo per cena"
Parole così decise e significanti erano anni che non si
sentivano alla V.I.S.P.A. per cui Dario e Darko si fissarono ammutoliti negli occhi e, ossequienti, si fecero in
disparte per consentire alla commissione ministeriale di
salire sulla limousine e ripartire.
Non appena la vettura di rappresentanza fu uscita dallo
sbilenco cancello che delimitava il vasto piazzale, Dario
fissò il vuoto assoluto, praticamente come se guardasse
dentro di sé, ed esalò: " visto, Darko? Hai visto come si
fanno le trattative? Uhei, questi erano dei pezzi grossi,
mica come i tuoi clienterelli che comperano i monoposto usati!"
"Guarda che i miei clienterelli, come li chiami tu, ci
danno fior di soldi, invece i tuoi pezzi grossi non hanno
ancora tirato fuori un centesimo! E, poi, non è detto che
lo comperano da noi l'aereo per il presidente...."
"Non capisci niente. Se sono venuti fin qui è perché l'aereo lo devono prendere..."
"Eh! Certo che devono comperare un aereo, ma non devono per forza prenderne uno dei nostri"
" E va bene! Fai sempre il disfattista,tu! Nella vita oc-
corre essere propositivi, fare le cose, mica parlare e basta! Devi fare come me che mi sono attivato per incontrare tutta 'sta gente...."
Così detto Dario, il grande, sbadigliò e, recatosi vicino
alla fusoliera di un aereo da restaurare, si slacciò i pantaloni e diede corso ad una pisciata da guinness dei primati mentre sul rubizzo faccione veniva scendendo
un'espressione di soave beatitudine.
Gli ultimi raggi di sole lo trovavano ancora in piedi, intento ad espletare la sua funzione fisiologica, ma, a ben
guardare, i suoi occhi erano stati amorevolmente coperti
dalle palpebre ed il suo sommesso respiro si era trasformato in un sano e poderoso russare.
Darko aveva lasciato pressoché subito la compagnia del
genitore e si era rintanato nel suo ufficio personale da
dove poteva dominare tutti i possedimenti della
V.I.S.P.A.
Passò, infatti, fugacemente lo sguardo sui possedimenti
e, sopraffatto da sì tanto sforzo, optò per un breve riposo
sdraiandosi sulla sedia della sua scrivania con i piedi appoggiati ben alti sopra i giornali glamour che ricoprivano il ripiano del suo tavolo di lavoro.
Cap 10
I giorni seguenti alla visita degli incaricati ministeriali
furono frenetici per la V.I.S.P.A.
Come non faceva più da tempo immemorabile Dario, il
grande, si recava in ufficio di prima mattina, verso le
10, chiamando ogni giorno a consulto non meno di quattro o cinque collaboratori, esterni all'azienda e totalmente all'oscuro delle problematiche aeronautiche, cui dava,
immancabilmente e contemporaneamente, appuntamento per le 8 e 30.
Con loro si intratteneva fin verso mezzogiorno discorrendo amabilmente delle azioni di borsa e della necessità, per i poveri imprenditori, che il governo facesse una
legge che vietasse allo stato di percepire
soldi provenienti dai redditi aziendali.
Finalmente, verso mezzogiorno e un quarto, Dario rivolgeva, quotidianamente, ai suoi interlocutori la domanda
che si era studiato nella fase rem del sonno
notturno:"Secondo voi, l'aereo per il presidente, lo compreranno da me?"
Puntualmente, ogni giorno, alle 12 e 30 i consulenti, a
turno, dichiaravano:
"Grande Dario! Come è possibile pensare che il presidente possa muoversi se non con un tuo aereo? Io mi
chiedo come fa adesso che non te lo ha ancora comperato! Tutti noi sappiamo che i tuoi prodotti sono i migliori
per cui, se il Presidente dovesse acquistare un aereo della concorrenza vuol dire che c'è del marcio sotto, qualcuno è stato corrotto..."
Rinfrancato da queste oneste, disinteressate e sacrosante
affermazioni, Dario, congedati i convenuti e pagate le
loro parcelle di consulenza, si dedicava al frugale pasto:
Pagnotta di pane pugliese farcita con, in ordine di imbottitura:
due etti di prosciutto crudo di san Daniele,
un etto di fontina valdostana,
cinquanta grammi di tartufo d'alba,
tre fette di mortadella,
una spalmata di caviale,
mezzo salmone affumicato dei fiumi canadesi,
tre etti di pecorino sardo e un cucchiaio abbondante di
marmellata di mirtilli.
Per agevolare l'ingestione del pranzo, Dario, beveva, rigorosamente a canna e con rutto finale, champagne millesimato alternato a birra bavarese in lattina.
L'operazione di dover pasteggiare, inevitabilmente, prostrava il fisico del grande che, per recuperare energie, si
appisolava sul divano dell'ufficio ed ivi restava fino allo
scadere della giornata lavorativa della V.I.S.P.A.
Durante la frenetica attività aziendale di Dario, il grande, anche le maestranze sue sottomesse erano in pieno
fervore e le iniziative volte a far ben figurare l'azienda si
moltiplicavano man mano che si avvicinava il termine
ultimo valido per presentare l'offerta al ministero.
Cap 11
Fra i più attivi nel trovare soluzioni efficaci si distingueva, come sempre, il capo officina della V.I.S.P.A. l'ineffabile, arguto e vivace sig. Babaricò
Era, costui, un ometto dalla fronte così alta da congiungersi direttamente con la nuca senza passare per i capelli
ed aveva passato la sua vita a correre dietro alle sottane
di tutte le segretarie che, di volta in volta, gli si erano
parate davanti.
L'esperienza così acquisita era stata la molla che ne aveva fatto il predestinato ad occupare il posto di capo officina che occupava stabilmente da oltre 15 anni.
L'età pensionabile era già passata su di lui 10 anni prima
di approdare alla V.I.S.P.A. ma, sentendosi ancora giovane, pieno di forze e creatore dalla mente vulcanica si
era proposto a Dario, il grande, che lo valutò, subito,
come un "investimento sicuro per il futuro dell'azienda".
Nel momento del bisogno, e questo momento era arrivato con la richiesta del ministero per l'aereo presidenziale, il buon Babaricò sapeva sempre capire per primo le
esigenze aziendali e per primo sapeva trovare le giuste
risposte produttive.
Nel caso specifico si dedicò, autonomamente ed in ritiro
pressoché monastico, alla ricerca del massimo risparmio
aziendale per consentire al grande Dario di poter offrire
un prezzo basso al ministero ed acquisire , così, l'importante commessa.
Dopo quindici giorni indefessamente passati a tagliare,
piegare e saldare innumerevoli e grandi lastre di lamiera, per un valore di poco inferiore ai due milioni di
Euro, regolarmente finite fra i metalli da rottamare, ecco
il Babaricò entrare negli uffici "come impetuoso vento
entra in diroccati castelli".
"Diteci al signor Dario, sia benedetto il suo nome, che
c'ho bisogno di spiegarci come si fa a fare costare meno
i reoplani!"
Gli impiegati presenti, per nulla elettrizzati da cotal ciclone in umane sembianze, proseguirono, tranquillamente, nelle loro personalissime occupazioni scambiandosi, solo, una fugace occhiata che, riassumendo, voleva
significare:" è arrivato quell'imbecille che ci rompe i
marroni, che non capisce un beneamato belino, che pretende di essere ascoltato e venerato perché è il ruffiano
di sua maestà Dario il glande! Ma vaffà...."
Un pochino deluso dalla malcelata indifferenza suscitata
negli impiegati, il buon Babaricò, si sentì in dovere di
meglio spiegare il Babaricò-pensiero al più vicino degli
impiegati presenti.
Toccò ad Alfonso.
"veda, Alfonso, io, dopo aver provato in tutti i modi,
sono sicuro che anche il signor Dario sarà di d’accordo
con me che per fare dei risparmi serve che spendiamo di
meno!
Eh! Ciumbia! Sembrerà facile, a lei, di risparmiare su
quello che stiamo fando! Invece è di una certa difficilezza, ma io, che c'ho l'esperienza, mi sono fatto venire l'idea giusta.
Stii attento: i reoplani funzionano con due ali grandi davanti e due piccole di dietro; bene io ci faccio eliminare
le due ali piccole di dietro e così quei soldi lì per costruirle sono soldi risparmiati!"
"ma, scusi signor Babaricò, se gli aerei hanno due ali
piccole di dietro sarà perché a qualcosa servono, no? Se
lei me le elimina...."
"Ma cosa vuole che servono a cosa due alettine così! Ci
sono perché son fatte per finire in maniera estetica la
coda, ma servire... servono quasi a gnente, ce lo dico io,
mi dia retta! Sono soldi buttati che si possono risparmiare..."
In quel preciso istante si materializzò, alle spalle di Babaricò, il principe ereditario, il piccolo Darko, che,
avendo udito l'ultima frase del capo officina ed avendo
geneticamente acquisito l'idea che risparmio significa
maggior guadagno personale, pontificò:" Se c'è da risparmiare, risparmiamo, anzi.... Perché non abbiamo
pensato prima a fare queste modifiche? Chi è che voleva
portarmi via i miei soldi? Eh?"
Il discorso stava prendendo la solita brutta piega.
Ogni qual volta si parlava di soldi il piccolo, caro Darko, si inalberava e diventava una belva passando dalla
difesa più accanita dei suoi possedimenti all'attacco più
sconclusionato nei confronti dell'interlocutore che,
quando andava bene, veniva insultato come un mangia-
pane a tradimento.
Per fortuna, di solito, suonava uno dei tre-quattro telefonini con cui Darko si riempiva le tasche e la conversazione si interrompeva lasciando ogni cosa immutata nell'immutevole universo della V.I.S.P.A.
Dario,il grande, venne, comunque, a sapere della geniale pensata di Babaricò e lo fece convocare per la domenica mattina alle sei di fronte allo stabilimento.
Cap 12
Ore 6 e 05 di una piovosa domenica estiva.
Per le strade solo qualche disgraziato turnista in ritardo
che guidava come se si fosse trovato al Nurburgring; il
cielo riversava la pioggia, calda e rossastra, in quantità
industriale sulla piccola utilitaria di Babaricò che, prudente e ligio ad ogni regolamento si era fermato ad un
incrocio per lasciar passare il nessuno che arrivava alla
sua sinistra e pazientemente osservava il ritmico movimento del tergicristallo.
Nella sua testolina a boccia da bowling stava pensando
alle notizie meteorologiche provenienti dalla riviera ligure che la radio aveva appena finito di trasmettere e
malediceva il giorno in cui era entrato alla V.I.S.P.A.
"se non fossi venuto a lavorare qui, adesso sarebbi sulla
spiaggia di Imperia a prendere il sole ed, invece.... Qui
ad aspettare che venghino le 6 e mezza per parlare con il
Dario...ammesso che si ricorda e che venghia..."
Arrivarono le 6 e mezzo, arrivarono le sette, poi le 8 e
poi le 10; del grande Dario nemmeno l'ombra mentre
Babaricò iniziava ad agitarsi immaginando chissà quali
enormi problemi potevano aver costretto il grande ad es-
sere in così normale ritardo.
Ore 11 meno un quarto: di tra la foschia generata dalla
pioggia ecco due fari abbaglianti fendere la strada ed accostarsi all'utilitaria del capo officina; il finestrino a comando elettrico dell'ammiraglia si abbassò di quel tanto
da permettere a Dario, il grande, di farsi riconoscere da
Babaricò per fargli segno di seguirlo all'interno della
fabbrica.
Di domenica, sotto il grigio plumbeo del cielo imbronciato, la V.I.S.P.A. pareva, se possibile, ancor più spettrale nella completa immobilità degli edifici e dei vari
rottami sapientemente disseminati a fare da ricovero a
qualche decina di gatti randagi che, stante il tempo piovoso, dormivano il sonno dei giusti.
Dario e Babaricò scesero contemporaneamente dalle rispettive vetture e si avviarono di corsa, o quasi, vista l'età dei due , per portarsi in fretta di fronte al portoncino
di ingresso degli uffici che era anche l'unico posto in
corrispondenza del quale si interrompeva la tettoia cosicché chi fosse capitato, in un giorno di pioggia, alla
V.I.S.P.A. poteva essere certo di ammollarsi fino al midollo nell'attesa di poter aprire la magica porta che era
anche l'unica dotata di vetro non antieffrazione e di ben
5 serrature differenti a quattro e cinque mandate.
I due uomini si ammollarono fino al midollo e, superata
la soglia, si scrollarono così come fanno i cani uscendo
dallo stagno.
"Babaricò: mi hanno detto che lei ha trovato il modo di
far costare meno gli aerei..."
E qui Babaricò, orgoglioso e grato al padrone che gli
concedeva l'onore di relazionarlo in prima persona di
domenica mattina, si lanciò nella più veemente, appassionata e tragicomica relazione che la storia ricordi a
proposito di un progetto così sballato da rendere ogni altra alternativa che fosse stata presentata una perla del
genio umano.
Ma.... non alla V.I.S.P.A. e NON con Dario il grande!
"caro il mio Babaricò, buona idea la sua di eliminare le
alucce di dietro, ma io ho pensato a qualcosa di più economico ancora, non per niente sono anche d.i.o., perché
ho deciso,per risparmiare, di non costruire nemmeno le
ali davanti!"
cap 13
Il giorno seguente, lunedì, di primissima mattina e,
quindi, verso le 9 e mezzo, Dario convocò una estemporanea riunione informale, esattamente al centro dei reparti di produzione, cui decise di far partecipare tutto lo
staff che costituiva l'intellighenzia dellaV.I.S.P.A.
Impegnando non meno di una quindicina di operai, promossi sul campo al ruolo di messaggeri cerca-persone,
mandò la convocazione ai responsabili delle seguenti
funzioni aziendali:
Ufficio acquisti - dott. Casini
Ufficio tecnico - ing. Zauri
Ufficio qualità - ing. Terrini
Ufficio commerciale - p.e. (principe ereditario) dott.
Darko
Ufficio produzione - p.e. (principe ereditario) dott. Darko
Ufficio gestione patrimoni - p.e. (principe ereditario)
dott. Darko
U.c.a.s. (uff.complicazioni affari semplici)-sig. Babaricò
In men che non si dica, verso le 11, tutti erano presenti,
esclusion fatta per il piccolo Darko che risultava essere
ancora al tavolo della colazione di fronte ad una fragrante brioche con marmellata e che, perciò, venne dichiarato da Dario, il grande, assente giustificato - quasi
presente.
"signori, vediamo di fare le cose per bene, una volta tanto! Dobbiamo partecipare ad una gara a Roma per la
fornitura dell'aereo presidenziale e, ovviamente, per vincere la gara dobbiamo fare il prezzo più basso che, però,
non vuol dire che dobbiamo lavorare in perdita! Altrimenti chiudo tutto e voi andrete a piantare peperoni!
Qui servono idee per risparmiare.
Silenzio! L'idea ce l'ho già io, tocca sempre a me di tirarvi fuori dai problemi, vero?
Fa niente, dopo Babaricò vi dice come bisogna fare perché a lui ce l'ho già spiegato. Voi dovete dirmi, per domani mattina, quanto risparmiamo. Adesso andate a lavorare che io mica vi pago per star qui in piedi a fare
niente,dai!"
Dopo un discorso di così ampio respiro e così politicamente corretto, Dario, il grande, non riuscì a dissimulare, nemmeno a se stesso, la soddisfazione e l'intima gioia di aver saputo fare da solo sì tanto sforzo oratorio.
Per questo, accertatosi di non essere vicino ad alcun
operaio o impiegato, levò, con mirabile lento e studiato
movimento, la coscia destra verso il basso ventre e lasciò partire un prolungato, sonoro, sfiziosissimo e ricchissimo peto.
Soddisfatto tornò nel suo buio ufficio e si appisolò sul
divano delle pensate; la guardia notturna lo trovò ancora
in beata compagnia di Morfeo alle dieci di sera quando
prese servizio, ma, per passate esperienze simili, non lo
svegliò e, in punta di piedi, uscì sul piazzale a fumarsi
una sigaretta.
Cap 14
Seduti attorno a quello che, una volta, era stato un tavolo da cucina, ma che ora veniva spacciato per una scrivania post-ante-industrial-optical-design, i responsabili
della V.I.S.P.A. autoconvocatisi in riunione operativa,
stavano tentando di risolvere il problema del costo (o
meglio: del risparmio) desumibile dalla trovata del grande Dario.
Zauri e Terrini sembravano costituire un gruppo coeso e
dissidente che si confrontava con l'altrettanto coeso
gruppo formato da Babaricò e Casini che parevano aver
sposato la tesi del " se lo dice “Lui” che bisogna fare
così, facciamolo e basta."
Mentre i primi due erano su posizioni un pochino più
aperte al dubbio filosofico "senza ali, un aereo può ancora essere considerato un aereo?"
Era ormai palese che i due gruppi si avvicinavano sempre più alla sottile linea di demarcazione che da sempre
esiste fra l'andar d'accordo ed il litigare.
Il dott. Casini, in particolare si infervorava e si lanciava
contro i due che si spacciavano per tecnici ed andava affermando:
"non importa se un aereo senza ali non è più un aereo!
Facendolo così si risparmiano un mucchio di soldi, o,
meglio, li risparmia la V.I.S.P.A., per cui ha ragione Dario il grande! Io sono d'accordo con Lui perché, poi, essendoci meno pezzi devo fare meno lavoro per fare la
spesa dei pezzi che ci servono."
L'ing. Zauri, forte del fatto che, in un precedente periodo lavorativo aveva progettato aerorazzi, e quindi sapeva il fatto suo, sbottò: "o bestia di una bestia!.... Senza
ali gli aerei non volano proprio!"
"d'accordo, Zauri, ma guarda i razzi: non hanno mica le
ali!"
"senta, Babaricò: io rispetto la sua veneranda età, ma,
forse, qualcuno dovrebbe cominciare a spiegarle che sui
razzi non si montano motori ad elica! E noi, qui in questa azienda, stiamo usando ancora motori revisionati da
residuati della seconda guerra mondiale!"
"oh, ciumbia! Cosa vuol dire? Che i nostri motori non
vanno forte? Li controllo e li regolo tutti io uno per
uno!"
"appunto! Non vanno forte, come dice lei, e non so se
per loro inadeguatezza strutturale o se per le sue regolazioni! In ogni caso, come tecnico mi rifiuto di prestare il
mio nome alla nascita di questo insulso e strampalato
progetto di aero(forse)mobile!"
Ciò detto Zauri si alzò e si diresse verso il suo ufficio
dove si assise, ansimante e visibilmente alterato, di fronte allo schermo del c.a.d. su cui uno screen saver faceva
scorrere bellezze hawaiane sufficientemente discinte da
potersi considerare vestite di sola pelle.
Terrini, notoriamente considerato come il più conciliante dello staff tecnico, propose di calcolare un costo ribassato di circa il 37,25% rispetto al listino di un aereo
"normale" e poi di rimettersi all'accortezza progettativa
di tutte la forze operative della V.I.S.P.A. per riuscire a
fare un oggetto che potesse funzionare, nel fortuito caso
si fosse acquisita la commessa.
Babaricò e Casini plaudirono la proposta e, di comune
accordo aggiunsero, sulla relazione scritta di pugno pro-
prio da Babaricò su uno stropicciato foglio a quadretti:"
per i costi fatti qui sopra vedasi il consuntivo di quando
faremo l'aereo per vedere i confronti che, però, dovrebbero andare abbastanza d'accordi"
Alle 5 della sera...Garcia Lorca....Dario il grande.
Sì. Dario il grande, alle cinque di quella sera, ricevette
la relazione dei costi direttamente da Babaricò e, lettala
con molta attenzione, disse:
"secondo me si potrebbe risparmiare ancora....magari
eliminando la fusoliera...mah! Magari in fase di costruzione...."
Cap 15
Passarono i giorni, le settimane ed anche i mesi.
Le prime possenti nebbie di novembre scendevano, gelide e maleodoranti, ad avvolgere le carcasse degli aerei
sui piazzali della V.I.S.P.A. e, senza far distinzione tra
fusoliere nuove e fusoliere vecchie, trasformavano il
paesaggio in un ambiente surreale irto di guglie e masse
informi che, di tanto in tanto, venivano sorpassate da
ombre indistinte dal passo quasi furtivo che andavano e
venivano da un capo all'altro degli spiazzi.
Sotto la fioca luce di un lampione stradale, vicino al
muro di cinta sul lato sud dei piazzali, Babaricò, infagottato alla meno peggio in un vecchio e bisunto giubbotto trapuntato, dirigeva con alti strepiti e vocaboli coniati per l'occasione, ma subito dimenticati, lo spostamento di un vecchio aereo da ricognizione che era giunto il momento di mettere in lavorazione per il suo restauro.
La movimentazione del velivolo affidata alle sole brac-
cia di quattro operai infreddoliti si stava rivelando cosa
improba anche perché la fusoliera dell'aereo si era riempita di acqua piovana durante gli anni trascorsi sul piazzale ed il peso dell'acqua unito a quello proprio del velivolo rendevano evidente a tutti, tranne che a Babaricò,
che sarebbe stato necessario, quantomeno, un muletto
meccanico per smuovere quel rudere impiantato su ruote completamente sgonfie.
Passarono tre ore di urla e consigli, ma l'aereo ... Lì, se
ne stava lì come se fosse un tutt'uno con il terreno sottostante.
Vista l'impossibilità di smuovere l'aereo, Babaricò, facendo appello a tutto il suo ingegno ed alla sua creatività, fece portare dai quattro operai una saldatrice portatile, un piccolo paranco manuale, alcune lastre di acciaio
inox e, in quattro e quattr'otto, ecco che mise in piedi un
nuovo capannoncino che andava a ricoprire completamente l'aeroplano; se la montagna non va a Maometto ...
Maometto va al mare.
Certo, chiamarlo capannone poteva passare per esagerato, ma baracca, ecco, baracca poteva essere il termine
corretto per quello che il capo officina, ad opera conclusa, annunciò come:" in un attimo ho fatto su uno stabilimento che fatti così non se ne trovano da nessuna
parte!"
Che non se ne trovassero altri, grazie a Dio, era vero e,
soprattutto auspicabile.
Certo è che i rappresentanti sindacali, già all'indomani
della messa in funzione del fantomatico "stabilimento"
sollevarono alcuni dubbi sulla sicurezza dell'impianto
nonché alcune perplessità sul fatto che l'illuminazione,
essendo la baracca completamente senza finestre, dovesse essere assicurata dall'accensione di vecchi coper-
toni anche se, a dire il vero, questi assolvevano egregiamente anche alla non trascurabile funzione del riscaldamento.
Dario, il grande, radunò i facinorosi sindacalisti nel suo
ufficio da cui aveva fatto rimuovere, per l'occasione,
tutte le sedie tranne la sua e, qui, rimanendo lui bellamente semisdraiato, li lasciò in piedi dalle 11 di mattina
sino alle 5 del pomeriggio limitandosi, di tanto in tanto,
a soffiare verso i tre comunisti ampie boccate del pestilenziale fumo del suo toscano.
Cap 16
"e bravi! Bravi i miei tre operai che vogliono vedermi
fallire! Siete i tre operai che credevo i migliori, i più
comprensori (nel pensiero di Dario il grande significava
comprensivi) ed invece... Niente di tutto questo! Mi venite a chiedere di mettere le lampadine, il pavimento di
cemento, il riscaldamento e anche i respiratori (aspiratori, n.d.r.) per tirare via il fumo didentro al capannone
che ha fatto su con tanta buona volontà il Babaricò!
Quello sì che c'ha le palle! Mica voi! Se parlate ancora
vi prendo a pedate nelle palle per tre giorni di fila!"
Davanti all'impeto con cui, improvvisamente, alle 5 e 2
minuti del pomeriggio, Dario il grande li aveva assaliti,
i tre sindacalisti sentirono le ginocchia sciogliersi ed un
brivido profondo attraversò le loro schiene.
Nelle loro teste avevano abbastanza ben chiaro il concetto che dovevano richiedere al capo della V.I.S.P.A.
quello che i loro colleghi di lavoro, nell'assemblea segreta svoltasi la sera prima in un bar della periferia non
frequentato dalla gente "bene" , avevano definito, tout-
court " il minimo indispensabile per non lavorare in
condizioni inumane".
Il capo della squadra di manutenzione, in vena di incoraggiamenti, aveva anche aggiunto:" se non vi fate dare
almeno 'ste 4 cosette vi conviene non rientrare in ditta
perché vi faccio ingoiare il manico del martello da 10
kg. per via rettale!"
Ebbene, pur essendo avvezzi a soprusi di ogni genere da
parte sia dei colleghi sia da parte dei "padroni", i tre rappresentanti sindacali, questa volta, si sentirono in imbarazzo non intravvedendo, fra le due alternative, quella
che meglio poteva soddisfare i loro più intimi desideri.
Rimasero in riflessivo silenzio a testa china.
Dario, il grande, interpretò questo fiero gesto di sfida
come un insulto alla sua persona e decise, con intuizione
geniale, di voltar loro le spalle ed andarsene nel piazzale
a fare una liberatoria pisciata, lasciando i tre profondamente mortificati per aver osato osare l'inosabile.
All'interno dell'ufficio, dopo 10 minuti di silenzio acutissimo, il primo dei tre a parlare fu Capraio, il riconosciuto capo delegazione, che bisbigliò:" ... Eh, forse ha
ragione Lui... In ogni caso credo che non ci ascolterà,
per cui... Io adesso mi fermo in farmacia e mi compero
un po' di vasellina... Ne prendo anche per voi?"
Gli altri annuirono e, a passi grevi e strascicati, si dileguarono verso gli spogliatoi e poi verso casa.
L'indomani mattina, alle 11 e cinquanta, Dario, il grande, il vittorioso, il munifico, salì su una cassetta di legno
al centro dell'officina e gridò: " lazzaroni che non siete
altro! Non meritereste niente, ma, siccome mi fate pena,
vi permetterò, in via del tutto eccezionale, di usare delle
torce elettriche ... che potrete comprare a prezzi convenienti nel negozio di mio cognato."
Timidi, ma convinti applausi dei più fedeli v.i.s.p.i.a.n.i,
chiusero per sempre la vertenza sindacale.
Cap 17
Si avvicinavano le ferie; ad agosto mancavano poco più
di due settimane e, inspiegabilmente, le maestranze della V.I.S.P.A. richiesero alla direzione di esporre un comunicato ufficiale che li informasse del periodo di chiusura per ferie dell'azienda.
Ovviamente Dario,il grande, lesse questa inaudita richiesta per quello che effettivamente era e, cioè, un grave atto di disaffezione all'azienda e, perciò a lui stesso,
da parte di operai dal cervello riempito di massime comuniste;
di fronte a tanta mancanza di riconoscenza Dario pianse
calde lacrime e andò domandando per tutta la fabbrica,
uomo per uomo, donna per donna:
"davvero anche tu vuoi fare le ferie? Davvero invece di
lavorare pensi a fare festa?"
Sconsolato, depresso e sfiduciato il grande si appartò
nel bagno adiacente al suo ufficio ed ivi rimase ininterrottamente per tre giorni a pensare.
Quando se ne uscì aveva la testa sgombra; nella tazza
del wc galleggiava un enorme stronzo.
Dario si consultò con il fratello Sandrino che, contravvenendo alla regola del silenzio che si era autimposta,
sbottò in una fragrante frase meneghina: "o pirla! Perché tu le ferie in Sardegna non le fai anche tu? E allora
chiudi la fabbrica per tutto agosto così non c'è nessuno
che viene a rompere le balle con permessi aggiuntivi;
però fai,come sempre, come vuoi tu che almeno sarai
contento..."
Dopodicché tacque.
Dario fece esporre in bacheca un cartello firmato e sottoscritto (vale a dire firmato due volte):
"la direzione comunica agli interessati che ad agosto la
ditta sara' chiusa per ferie. Sono esclusi dalle ferie quelli
che la direzione decidera' che servirano per i lavori da
fare. Per gli altri non ci saranno permessi. Quelli che
vorranno lavorare lo faranno senza diritto di recupero.
La direzione si riserva di comunicare i nomi degli interessati prima del comincio delle ferie"
Le maestranze, felici per aver ottenuto una chiara e precisa risposta, applaudirono e si offrirono vicendevolmente caffè con doppio zucchero per festeggiare: avrebbero goduto le loro fe-rie!
Cap 18
A pochi giorni all'inizio di agosto arrivò alla V.I.S.P.A.
una lettera raccomandata R.R. proveniente dal ministero
degli acquisti di Roma; era indirizzata direttamente al
d.i.o. e all' a.u.d.a. per cui fu posta su un vassoio di acciaio inox e deposta in bella evidenza sulla scrivania di
Dario dal solerte Alfonso, l'impiegato con l'incenso.
Dopo quattro giorni di decantazione, la lettera venne finalmente vista dal grande Dario che l'aprì e, scorse velocissimamente le prime tre righe in alto a destra, esclamò ad alta voce:" è indirizzata a noi!"
Da lì al capire il contenuto della missiva non era cosa
proprio automatica, ma, dopo circa tre ore e venti minuti
trascorsi a sillabare tutto il contenuto, Dario fece chiamare l'amato figlio al quale, porgendo la lettera, disse:
"leggi qui. È del ministero di Roma, mi pare... Ci ordinano l'aereo per il presidente! Poi chiedono altre cose
che non capisco..."
Darko, forte della sua istruzione universitaria, lesse a
voce alta, quasi senza sillabare:
"oggetto: ordinativo per aereo presidenziale.
Protocollo...bla...bla..bla..., Per cui la commissione respingerà l'offerta economica di codesta spettabile azienda salvo che la stessa non provveda nel termine perentorio di mesi due a fornire allo scrivente ministero un progetto dettagliato che dimostri la validità tecnica della
proposta presentata. Distinti saluti, ecc."
Il silenzio calò,gelido e perfido, sulle due menti della
V.I.S.P.A. ed entrambi, padre e figlio, si guardarono negli occhi cercando, ognuno, di vedere nell'altro un'espressione di speranza o, quantomeno, un barlume per
risolvere quell'immenso problema in cui la missiva li
aveva gettati.
In fondo era stato facile ipotizzare un prezzo basso, ma
ora, 'sti dementi del ministero, si erano messi in testa
che l'aereo doveva pure essere progettato dal punto di
vista tecnico....
E venne notte.
E venne il giorno.
Nel pieno del proprio vigore fisico ed intellettuale, appena alzatosi dal letto, alle undici, appunto, ecco Darko,
giovane principe ereditario, esclamare a se stesso:" ma
certo! Come ho fatto a non pensarci subito! Manderemo
al ministero il progetto di un oggetto qualsiasi, tanto, a
Roma, non sanno nemmeno da che parte cominciare a
guardare un disegno, e poi, quando ci verrà affidato l'ap-
palto per la costruzione dell'aereo, vedremo cosa fare!"
Felice di aver ideato, dopo la finanza creativa, anche la
progettazione creativa, Darko compose il numero di telefono di Dario il grande e gli comunicò l'ideona
E, congedandosi, gli annunciò che sarebbe partito immediatamente per la Costa Azzurra a godersi un meritato periodo di ferie.
Cap 19
All'ora in cui si chiudevano i cancelli della fabbrica, al
termine della giornata lavorativa, era consuetudine che
il presidente della V.I.S.P.A. si recasse al "ristorante
pizzeria el tigre" per consumare un piccolo aperitivo
con tanto di pizzetta omaggio compresa nel prezzo.
A tale piacevole abitudine si erano adeguati anche due
dei più valenti e fidati meccanici della V.I.S.P.A. che,
facendo compagnia al loro presidente, ne avevano in
cambio l'aperitivo pagato.
Quella sera, al rientro dalle ferie ferragostane, i due
meccanici, Giulietto e Arnaldo, raggiunsero il pres.sa.
Mentre questi era già al terzo bicchiere ed alla relativa
terza pizzetta; in tale circostanza era normale che il
buon Sandrino cominciasse a narrare, a piena voce ed in
idioma italico/dialettale, dei suoi trascorsi giovanili a
beneficio di qualunque ascoltatore transitasse nel raggio
di 20 metri.
"...veniva giù un'acqua che Dio la mandava! Io sero in
bicicletta e vegnevo a casa da dove che ero andato a Milano per fare un mestiere che mi aveva detto il mio vecchio. Sotto a un ponte, vicino a un lampione, ancora vicino al centro di Milano e di fianco alle rotaie del tram-
vai ti vedo come un'ombra; aguzzo la vista e mi accorgo
che è una donna.
Al primo momento mi credo che si tratta di una di quelle... In quel tempo lì, subito dopo la guerra, ce n'erano in
giro tante che cercavano di tirare a casa un po' di danee
e io le aiutavo di spesso.
Infatti mi metto ormai vicino e comincio per fare il
prezzo, ma mi accorgo che invece .... È la mia morosa
senza dell'ombrello!
Faccio finta di gnente e ci domando che cosa fai lì sotto
il ponte, ma lei non mi riconosce subito e non mi risponde perché l'era una brava tusa.
Quando che si accorge che quell'uomo là ero io diventa
un po' rossa e mi dice che era andata in farmacia, ma il
temporale l’era ‘rivato prima che 'rivasse il tramvai e
stava spettando quello dopo.
Ci dico di saltare su sulla mia canna della mia bici di
marca Legnano, ma lei mi risponde che una brava figlia
di Maria non la deve andare in giro di quasi sera in bicicletta con un uomo se non è sposata, perché non stava
bene.
Giusto,dico,io, ma io sono il tuo moroso ufficiale
E di occasioni così per stare stretti non ce n'erano mica
tante...ma, in ogni modi che cercavo di convincerla, lei
mi diceva di no.
Proprio una brava donna; allora l'ho lasciata lì e sono
partito di da per me.
Dopo un quarto d'ora che pedalavo sotto l'acqua che
pioveva, sento il rumore di un motore di macchina che
mi viene vicino; guardo dentro alla macchina e vedo la
mia morosa seduta vicino da parte di un giovanotto.
Sulle prime mi credevo che mi aveva fatto i corni, ma
poi mi sono accorto che, invece, era un tipo economico
perché aveva preso il passaggio di quello lì perché così
non si bagnava e risparmiava i soldi del tramvai.
Proprio brava e bella e economica. È per quello che l'ho
sposata. E voi che non siete sposati dovresti provare la
mia miee che, poi, anche sotto i lenzuoli...."
A questo punto gli aperitivi alcoolici sorbiti iniziarono a
fare i loro effetto e, tra uno sbadiglio e l'altro, il presidente lasciò cadere il pesante testone sul banco bar mentre i due fidi meccanici gli sfilavano il portafogli per saldare i conti di tutti gli astanti che insieme gridavano:
"bravo, bis!".
Cap 20
Il viaggio Milano-Livorno si era svolto in maniera pressochè perfetta grazie alla accorta organizzazione della
Alfonso-tour che ne aveva predisposto, con largo anticipo, le tappe salienti.
Ore 10:00 - ritrovo dei membri e delle rispettive famiglie nel cortile della V.I.S.P.A.
Ore 11:00 - partenza delle 4 vetture costituenti la comitiva delle due famiglie
Ore 11:35 - tappa al primo Autogrill per fare colazione
Ore 12:50 - termine della colazione e pisciatina di gruppo
Ore 13:07 - partenza dall'Autogrill
Ore 14:36 - tappa all'Autogrill di Parma per acquisto sigarette e caramelle
Ore 14:55 - partenza dall'Autogrill
Ore 15:22 - tappa in una piazzola della Cisa per godere
del paesaggio e riposare le menti
Ore 16:00 - partenza dalla piazzola
Ore 18:00 - tappa all'hotel "il sogno di Angelo" per un
piccolo rinfresco
Ore 19:53 - partenza dall'hotel
Ore 21:00 - ingresso trionfale al porto di Livorno con
strombazzamento di claxons e di sirene ad aria compressa fino alla banchina dove era ormeggiato lo yacht "genio del mare" freschissimo acquisto di Dario il grande.
Ore 22:00 - tutti a bordo dello yacht per una cena informale di benvenuto offerta alla capitaneria di porto e con
la partecipazione di una quindicina di sovrani e principi
reali presenti nelle acque territoriali.
Ecco, a voler proprio cercare il pelo nell'uovo su questa
splendida organizzazione, bisogna ammettere che la Alfonso-tours non aveva tenuto nel debito conto i ritmi fisiologici di Dario e di Darko per cui la partenza avvenne
in leggero ritardo, solo nel momento in cui i due si svegliarono ed era l'alba delle 12:54.
Per questo motivo, a parte qualche piccolo mugugno di
coloro che si erano presentati in anticipo di qualche minuto sull'orario previsto, tutte le altre tappe subirono
uno slittamento in avanti e l'arrivo a bordo avvenne solo
a mezzanotte inoltrata.
Per fortuna non vi erano regnanti nei dintorni e così non
si ebbero incidenti diplomatici.
La faraonica cena preparata con tanta cura finì per soddisfare l'ottimo appetito di tutti i marinai del porto che
accolsero, un poco brilli e pieni di buonumore, Dario ed
il suo seguito, con canti partigiani inneggianti all'abolizione delle classi padronali.
Dall'alto della sua magnanimità e non comprendendo
una parola di quei canti in aspirato livornese stretto, Dario si unì ai cori gridando:
" ui are se cempion...!!"
Fra gli applausi di tutti.
L'indomani, di buon'ora, non erano ancora scoccate le
due del pomeriggio, svegliandosi dal sonno ristoratore
che ritempra gli spiriti ed i membri, Dario diede ordine
al nostromo, ingaggiato per l'occasione, di decollare
verso la Sardegna.
Il nostromo, vecchio marpione uso a trattare con i potenti, non si lasciò impressionare dalla confusione dei
termini marinareschi con quelli aviatori ed, anzi, sperando in una ricca mancia di fine crociera, gridò nel megafono:" equipaggio pronti al decollo in due minuti, turbine al massimo, mollate i freni, su i carrelli, si decolla!"
E il genio del mare divenne un puntino bianco sperso
nell'immensità del tirreno.
Cap 21
Vicino al pontile ove era attraccato ininterrottamente da
due settimane il genio del mare c'era una piccola osteria
dove passava, spesso e volentieri, le sue serate il Sandrino che, l'ultima sera di permanenza in Sardegna, decise
di festeggiarla con bottiglie di ottimo e robusto "cannonau".
Il risultato fu che verso mezzanotte, circondato da avventori di varia estrazione, Sandrino, in piedi sulla sedia, esprimette le sue teorie filosofiche:
"il mondo l'è proprio cambiato da quando che ero giovane io. La colpa è della politica che vuole fare i suoi interessi con l'appoggio dei sindacati che vogliono distruggere i padroni per rubarci i soldi che abbiamo messo insieme con i sacrifici dei nostri operai.
Anche gli operai non sono più come una volta…
Mi ricordo che quando era finita la guerra il mio papà,
buon'anima, ci diceva ai suoi operai di lavorare alla sera
fino alle undici per finire il lavoro che non avevano
avanzato il tempo di finire di giorno e tutti gli operai lavoravano… e… in silenzio perché capivano che il padrone aveva ragione di dirci che erano dei lazzaroni.
Adesso invece se dici agli operai di lavorare alla sera
vogliono che ci paghi gli straordinari, ma ... Siccome io
ho fatto la gavetta, invece di darci gli straordinari li
pago fuori busta così che loro sono più contenti che non
pagano le tasse e io finisce che spendo di meno perché
schivo anch'io i contributi anche se a non darci quei soldi lì sarebbe un maggior risparmio.
Nella mia fabbrica quello che comanda sono io ma il
mio fratello che ha studiato fino alla quinta intanto che
c'era la guerra è quello che fa le cose più difficili e parla
con i clienti e anche con i fornitori.
Qualche volta sono sicuro che mi vuole fregare il posto,
ma io ci sto attento e lo tengo curato.
Ho addestrato un operaio che c'abbiamo che mi dice tutte le cose che fa il mio fratello quando che io non ci
sono così se mi vuole fregare non può perché lo curo.
Una volta, tre o cinque mesi fa, mi hanno mandato a
fare un viaggio fino a Roma per premio che avevo fatto
guadagnare più tanto alla fabbrica.
Roma è più grande del mio paese perché deve tenere il
posto per mangiare e dormire anche ai giapponesi e ai
tedeschi e agli americani che sono in giro; mi hanno fatto anche un po' di pena a vedere che per passare il tempo intanto che aspettano di ritornare ai suoi paesi vanno
dentro tutti insieme nei musei a vedere i quadri e le statue che, poi, sono sempre uguali.
D'altra parte quando è finita la guerra si vede che non
avevano i soldi per andare ancora a casa sua e così si
sono arrangiati a stare a Roma ma io non riesco a capire
cosa fanno per guadagnare i soldi del mangiare.
Forse fanno i turni a prendere l'elemosina davanti alle
chiese o nelle piazze, in ogni modo bisognerebbe che il
governo li mettesse su un aereoplano a gratis, perché
soldi non ne hanno, e li mandasse nei suoi Paesi in
modo che Roma potrebbe diventare più piccola e ci sarebbero meno automobili che sono pericolose quando
'traversi le strade.
Quando che son tornato da Roma ci ho messo quasi una
settimana per farmi dire, dall'operaio che ho addestrato,
tutto quello che ha detto e fatto il mio fratello e così ho
scoperto che intanto che non c'ero lui ha comperato una
macchina nuova.
Ma siccome che il maggiore sono io allora sono andato
a ordinare anch'io una macchina più nuova e che costa
di più di quella di mio fratello per fargli capire che quello che comanda sono sempre io.
Solo che a starci dietro a tutti questi problemi del comandare finisce che spendo sempre di più così ho deciso che mi aumenterò il mio stipendio per modo di continuare ad avere i soldi da spendere quando vado a giocare al casinò.
L'ultima volta che sono andato al casinò ho portato via
quasi dieci milioni con il gioco delle carte da indovinare, ma poi una bella ragazza tutta bionda finta mi ha detto che era contenta che io avevo vinto e che voleva bere
un bicchiere di vino insieme.
Io sul momento credevo che pagava lei, ma invece dopo
avermi fatto ordinare tre bottiglie di champagne ha detto
che andava al gabinetto e non è più tornata indietro; io
sono stato lì ad aspettare fino alla fine, poi il cameriere
ha detto che doveva chiudere e mi ha fatto vedere il
conto che ho dovuto pagare:
Sei milioni!E' proprio vera che le donne sono fatte per
fregarci a noi uomini!
Però…anca i camerieri doveva essere che erano in d'accordo con quella bionda là perché se de no ci sarebbero
dovuto correrci dietro a quella là per farsi pagare da lei.!
Tant'è!..."
Le ultime frasi vennero pressochè mormorate perché il
sonno stava ormai discendendo a ristorare la geniale
mente che, di fatti, improvvisamente crollò come pera
matura crolla sotto l'impeto del vento.
E si addormentò.
Cap 22
Il mare di Sardegna è un vero spettacolo della natura:
cristallino e con i colori cangianti tra il bianco della spuma ed il blu cobalto passando per le gradazioni del verde, del celeste e dell'azzurro.
Nei porti, però, rimane di un bluastro uniforme con
chiazze iridescenti dovute ai versamenti di gasolio dei
panfili e dei fuori-bordo.
Per non essere sopraffatte dalla noia di questo monotono
colore le due first ladies della V.I.S.P.A. passavano le
loro giornate in giro per i tourist shops della cittadina artificiale creata dalla mente speculatrice del principe dei
palazzinari con l'appoggio di quei tre quarti del parlamento che, poi, godevano, vita natural durante, dell'opzione "posto barca gratuito per tutto l'anno".
Mentre si addentravano per i ben congegnati vicoli arti-
ficiali le due dame si lasciavano andare ad un fitto
chiacchiericcio tanto insulso da far passare per profondi
anche i pensieri riportati da Eva 3000 nella pagina : dillo a zia Betta.
Fortunatamente, a distanze sapientemente cadenzate, le
signore incappavano di volta in volta in un negozietto
"tipico" o in una "boutique" che era la copia conforme
di quella di via Condotti o di via Montenapoleone cosicché si arrestavano lasciandosi sfuggire, in completa armonia, la solita frase di stupore:"oooohhhhh, guardaaaaa! Tale e quale che a Milano! Che meraviglia!".
Detta la frase dello stupore entravano e, tra la prova di
una blusa e quella di una gonna, riuscivano a trascorrere
in perfetta serenità le calde ore pomeridiane consapevoli
di spendere, oltre che le blasonate carte di credito, il
tempo nel migliore dei modi possibili.
Un giorno le due cognatine si fecero venire la pensata di
separarsi e di andare in opposte direzioni per fare acquisti in autonomia; si sarebbero ritrovate sul genio del
mare a sera per confrontare le meraviglie trovate.
La cosa piacque a tutt'e due e così il giorno seguente ripeterono l'entusiasmante iniziativa a percorsi invertiti ed
ognuna con in tasca gli indirizzi "meritevoli di una visita" preparati dal'esperienza dell'altra.
Fu così che la moglie di Sandrino si trovò ad entrare
nell’incantevole e lussuoso negozio: “da Marina - la
boutique degli occhiali da sole" .
"buongiorno, io sono la moglie del presidente della
V.I.S.P.A. e siccome ieri è stata qui la mia cognata oggi
sono venuta per comperare anch'io gli occhiali come i
suoi, ma siccome che io sono più importante di quella
là, li volevo di un tipo con la firma più grande e che costano di più..."
La ragazza dietro il bancone parve trasalire e, d'un tratto, capì che il mondo non è fatto per i poveri, così, mentre faceva indossare a Caterina un occhiale dopo l'altro,
aggiungeva velocemente a tutti i cartellini dei già gonfiatissimi prezzi un paio di zeri per accondiscendere alla
gradita richiesta.
Venne sera e, a bordo del genio del mare che pigramente ed a fatica dondolava sulle poche onde del porto, venne allestita, in tutta fretta, una specie di succursale del
suk di Sharm con oggetti di ogni specie, ma tutti rigorosamente costosi e firmati, sparsi sul tavolo della dinette
per il godereccio piacere di poterli confrontare con quelli acquistati dall'altra.
I due mariti, stanchi, o forse anche esausti, per la faticosa giornata trascorsa nel sonnecchiamento continuo sulle amache di bordo, si guardarono come solo i fratelli
sanno guardarsi, in leggero cagnesco e, quasi all'unisono, esclamarono: "oh! Basta spendere! Sono tempi di
crisi questi!".
Poi, come per sottolineare la frase, stapparono due magnum millesimate e ne offrirono, con atto propiziatorio,
anche al mare.
Cap 23
Mezzogiorno era alle porte allorché il nostromo fece
salpare le ancore del genio del mare e, avviati i poderosi
diesel, iniziò le manovre per l'uscita dal porto.
Dopo oltre quindici giorni di inattività anche i motori
borbottavano e, di tanto in tanto, dagli scappamenti
uscivano piccoli spruzzi di morchia frammisti ai normali prodotti della combustione; il mare accoglieva questi
rifiuti sulle sue placide onde e lasciava che galleggiassero come neri petali di fiori della morte ecologica.
A bordo la vita stava per riprendere i ritmi che avrebbe
avuto dall'indomani al ritorno sulla terra ferma: sveglia
presto, alle 11, colazione continentale e via di seguito.
Dario,il grande, salendo in coperta con un tramezzino
fra i denti e con le mani impegnate da bicchieri in plastica contenenti champagne ghiacciato avanzato dalla sera
precedente, alzò uno sguardo smarrito al volto del serafico nostromo e gli chiese, a bruciapelo: " a che ora arriviamo a Milano?"
" ma 'osa la vuole 'e le di'a... Io penso d'essere a Livorno
fra 5 ore, di poi quanto tempo la impiega lei per arrivare
a Milano mi'a sono 'azzi miei..."
E, così detto, il nostromo diede la barra tutta a dritta
causando l'ovvio e voluto barcollamento con successiva
caduta del proprietario della barca.
Lo champagne versato sulla tolda, il tramezzino impiastrato sul volto, i pantaloni corti strappati al cavallo e le
mani in ansiosa annaspante e disperata ricerca di un sostegno Dario il grande stava tentando di riprendere la
posizione eretta, ma il mare, ormai formato, causava un
sensibile beccheggio allo yacht con conseguente difficoltà di deambulazione per i non esperti di navigazione.
"nostromo, mi sembra che questa burrasca stii diventando pericolosa, non è mica il caso di chiedere aiuto?"
"in vita mia non l'ho mai vista una burrasca 'on il sole
splendente, il vento morto e 'l mare 'on l'onda senza
o’hette! La mi stia in pace e s'addorma tranquillo"
Sentito il parere del nostromo Dario, il grande, pur non
persuaso che il nostromo ne sapesse più di lui, ma felice
di poter accogliere un consiglio sicuramente sensato,
scese nuovamente in cabina, accese il climatizzatore e si
sdraiò supino sulla cuccetta extra large; venti secondi
dopo russava.
Nella cabina accanto, infastidito dal rumore dei motori e
dal russare del padre, Darko si vide costretto a svegliarsi, ma, accertatosi che erano solo le tredici e trenta, volgendosi verso la porta gridò:" allora!???... C'è gente che
sta dormendo! Vogliamo finirla di fare casino?!!!"
Dopodichè si voltò sul fianco e riprese il sonno del giusto.
Anche Sandrino fu svegliato dal trambusto, ma, come
sempre, dimostrò a tutti, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che lui era il più brillante e sveglio della comitiva e così, in bermuda e canottiera blu, salì a fianco del
nostromo, lo salutò con buona educazione, poi, volgendosi a poppa, disse, a se stesso ed ai gabbiani:" eppure… vista dal mare …. anche un'isola sembra fatta come
l'Italia; sarà poi vero che la Sardegna l'è un'isola? Mah...
Meno male che domani si comincia a lavorare perché
sero stufo di fare tutte le cose delle vacanze."
Dedicato il tempo di questa profonda riflessione all'eternità, anche Sandrino tornò in cabina e cominciò a preparare la valigia per lo sbarco.
Ad aiutarlo giunse subito Caterina che, forte della sua
esperienza, prese in mano la situazione e, seduta sul
bordo del letto, dava ordini al marito:" prima metti dentro i pigiami, poi le salviette.....le mutande sono sporche
e le devi mettere nel sacchetto giallo, lì mettici sopra la
giacca, quella del mare e il golf della montagna...ma per
chiudere la borsa devi saltarci di sopra, no, di là, stringi
il cinghietto, dislaccia la cerniera, adesso chiudila ancora...uffa che fatica!"
Finalmente il porto di Livorno accolse nel suo grembo il
genio del mare ed i suoi proprietari che, straniti e con i
sorrisi ebeti, si erano schierati sul prendisole di prua,
ben aggrappati ai tientibene in acciaio inossidabile,
sventolando a turno la bandiera delle isole Cayman
come doveroso saluto nei confronti dei pescherecci battenti bandiera italiana che si stavano giustappunto staccando dalle banchine per avviarsi ad una faticosa nottata
di pesca.
Cap 24
Come ogni anno il rientro dalle ferie alla V.I.S.P.A.
venne vissuto da tutti i suoi dipendenti con l'esultanza
degli ignavi e, già alle sette e mezzo, sul piazzale, di
fronte al cancello di ingresso, una folla di vispasiani abbronzati e con i lineamenti dei volti rilassati, scherzava
a suon di amichevoli scapaccioni sulle spalle.
I più anziani, ovviamente, battevano con vigoria maschia e schietta le spalle dei più giovani che spesso cadevano sulle ginocchia dopo aver ricevuto le mazzate
amichevoli, soprattutto quelle dei compagni del reparto
di fucinatura (reparto in cui non erano ammessi uomini
con bicipiti di circonferenza inferiore ai 50 cm.), Ma subito si rialzavano con un piccolo rituale saltarello ed il
grido: "evviva!"
Alle otto meno dieci il cancello si aprì e la moltitudine
iniziò a varcarlo per raggiungere l'orologio della timbratura ed il posto di lavoro.
Come ogni anno si verificò il fatto che, man mano che i
dipendenti si allontanavano dalla soglia del cancello di
ingresso per addentrarsi nei cortili e nei capannoni della
fabbrica, i loro volti andavano perdendo il sorriso e piccole rughe di preoccupazione si formavano fra le so-
pracciglia; i toni gai delle conversazioni mattutine lasciavano il passo ad arrocchite voci gutturali e scortesi; i
passi da leggeri si trasformavano in pedate strascicate e
sui visi scendeva una patina stranita; tutto normale! Stavano riassumendo le loro più intrinseche connotazioni
di uomini da soma, ovvero diventavano quello per cui
Dario il grande li aveva assunti ed allevati: animali non
pensanti e assolutamente amorfi.
Come ogni anno, al rientro dalle ferie, Dario il grande
volle omaggiare quel suo popolo bue concedendogli oltre mezz'ora di presenza continua e per fare questo decise di stupire anche i più ottimisti: alle nove e venti di
quella radiosa mattina aveva già parcheggiato la sua ammiraglia e si era precipitato a salutare i suoi collaboratori rispettando la sua personalissima gerarchia che si era
costruito con anni di attente osservazioni.
Il primo a godere del suo saluto fu, quindi, uno degli ultimi arrivati che venne apostrofato con:"alora? Finito di
fare festa, eh!? Adesso smetti di far andare la lingua e
comincia a muovere le mani che è ora che cominci a
rendere, muoviti!" Subito dopo fu la volta del più noto
fancazzista imboscato della V.I.S.P.A. quel tale Turi 'o
scopaturi che veniva visto da tutti i compagni di lavoro
solo all'ingresso ed all'uscita della fabbrica; dove fosse e
cosa facesse durante la giornata di lavoro non era dato
di sapere a nessuno anche se qualcuno ipotizzava che
fosse un specie di robo-man dotato di telecamere nascoste e pilotato direttamente da Dario il grande.
Il massimo della cordialità di Dario il grande fu, al solito, per il suo pupillo: Giulietto che i suoi amici chiamavano cordialmente "vipera", al quale il d.i.o. disse: "bentornato! Intanto che sei riposato fa' in modo di recuperare il tempo perso durante le ferie; mi raccomando! Falli
lavorare questi lazzaroni"
"buongiorno, grazie, non dubiti, ci penso io a fare in
modo che il lavoro fili via liscio, anche se poi bisognerebbe che lei tenesse lontano dal mio reparto quelli invidiosi, il capo officina e quello dell'ufficio tecnico..."
"stai tranquillo, Giulietto! A loro ci penso io."
Giulietto si inchinò, arretrò di tre passi, si volse a sinistra e, raddrizzandosi, dall'alto del suo metro e cinquantanove scarso, gridò verso la sua squadra:" avanti, muoversi! Bastardi! Figli di cagne rognose, muovetevi a lavorare che siete pagati per questo..."
Accortosi che Dario il grande si era recato verso un altro
bersaglio umano, Giulietto si mosse velocemente verso
il suo armadietto personale, aprì un'antina protetta da
serratura di sicurezza e ne estrasse un bottiglione di
grappa fatta in casa da cui ingurgitò due grandi sorsate.
Babaricò non era riuscito ad intercettare il suo magnifico nume e si dispiaceva per non essere stato il primo a
salutarlo, del resto nemmeno lui poteva immaginare che
Dario, il grande, si presentasse ad ora antelucana....
Verso le dieci, però, il capo-officina scorse la sagoma
del grande che si stagliava con maschia postura contro
la fusoliera di un aereo sulla linea di finizione e collaudo; in un attimo gli fu al fianco e, dopo i normali salamelecchi rituali, gli disse, tutto d'un fiato:"buongiorno a
lei e a tutta la sua famiglia spero che abbi fatto buone
ferie io intanto ci dico che anche se mi dispiace di smettere ma con Natale smetto di lavorare e vado a stare in
Liguria nella mia casa nuova".
Dario lo osservò in silenzio per quasi tre minuti rimanendo fisso, immobile e statuario in tutta la sua beltà
sotto i raggi mattutini di un caldo sole settembrino; l'immobilismo si interruppe quando, con grande sforzo e so-
vrumano sprezzo del pericolo, si sporse sulla scaletta di
accesso al velivolo e sputò un fiotto di catarro a quasi
sette metri di distanza andando a centrare in pieno il parabrezza di un aereo in fase di montaggio.
"senta, Babaricò, non ho voglia di discutere di queste
stupidaggini. Mi faccia sapere quanto vuole di aumento
in nero e poi ci accordiamo"
"ma no! Non voglio aumenti, voglio andare in pensione…sono stanco di lavorare, c'ho i miei anni...."
"anch'io c'ho i miei di anni, ma vado avanti a lavorare...
Ha visto? Questa mattina alle nove e un quarto ero di
già qui a farvi vedere che anch'io lavoro!"
Dario fissò lo sconcertato Babaricò sull'ampia fronte e,
sceso dalla scaletta, si addentrò nel suo ufficio ove si lasciò cadere sul morbido divano per una sana, corroborante dormitina beneaugurante.
Cap 25
"signor Dario, signor Dario... Venga al telefono, c'è uno
di Roma che ci vuole parlare insieme..."
"chi è di Roma che mi vuole?"
"io non lo so, non me l'ha detto, ma sua moglie è in
ospedale..."
"mia moglie è in ospedale? Come mai?"
"no, non la sua di lei, la sua di quello di Roma che me
l'ha detto quando ha chiamato che doveva andare in
ospedale a trovarla e c'aveva fretta."
Dario,il grande, non ci aveva capito molto da questa
conversazione con la centralinista che era corsa a chiamarlo fino in fondo all'officina, ma era certo che una telefonata da Roma doveva per forza essere di capitale
importanza per cui, con tutta la velocità consentitagli
dall'età e dalla zoppia si avviò verso l'ufficio.
Durante il percorso, irto di ostacoli dovuti all'intreccio
di cavi che occupavano il pavimento in ogni zona di
passaggio, essendo quelle non di passaggio ostruite dalle fusoliere degli aerei e da scatoloni accatastati in sapiente disordine, l'industriale cominciò a chiedersi se
non fosse il caso, per risparmiarsi le fatiche di quelle
camminate, di dotarsi di un telefono portatile, uno di
quei "cordess" che aveva visto usare anche nei ristoranti, ma poi decise che la sua era un'azienda e non certo un
ristorante per cui quei cosi lì, essendo usati nei ristoranti, non sarebbero mai e poi mai andati bene in un'azienda.
Raggiunta nel suo intimo questa salda certezza e rasserenato al pensiero di essere riuscito, ancora una volta da
solo, a prendere una decisione oculata e perfettamente
in linea con il suo stesso pensiero, Dario si stravaccò
sulla sedia della scrivania padronale e, sollevato l'apparecchio telefonico vi biascicò dentro:
"che bottone devo schiacciare per parlare con quello di
Roma?"
"prema il 2, signor Dario, il 2"
"il 2? E che colore è che ha? Non si capisce più niente
con questi telefoni qui...ecco, pronto?..."
"no, signor Dario, ha schiacciato il 3...schiacci quello
prima, quello in mezzo... Schiacci l'unico acceso con su
scritto 2..."
"ah questo... Pronto?... Pronto?...perché non mi risponde?"
In quell'istante entrò nell'ufficio Zauri, dell'ufficio tecnico, che si precipitò all'apparecchio telefonico, premette
il fatidico pulsante numero 2 e passò, finalmente, la cor-
netta all'industriale sbigottito da tanta rapidità e quasi
sorpreso dal sentire una voce in chiaro Romanesco che
lo salutava: "sor Dario?! C'ho piacere de parlaje, so' er
dottor Bastioni ... Se semo visti l'altr'anno per la gara de
l'aereo der presidente, se ricorda?"
" e come no!? Mi ricordo, sì....abbiamo fatto un'offerta,
mi pare...."
"certo, certo! Je stavo a telefonà per dicce ch'avete vinto! Ve danno da fà l'aereo e la settimana ventura vengo
co' tutta la squadra de lavoro pe' definì ar mejo tutti li
dettagli."
"sì vi aspetto, poi ditemi in quanti siete che vi prenoto la
stanza di una pensione qui vicina..."
"no, no nun se disturbi, c'avemo a prenotazione già fatta
ar 4 stelle che non m'arricordo come che se chiama, ma
sta vicino pur'esso! Arrivederci"
La cornetta del telefono fu deposta da Dario, il grande,
con lentezza esasperante e, nel frattempo, il suo volto
prese un'espressione quasi estasiata, assente, totalmente
persa; Zauri conosceva quell'espressione ed era profondamente convinto che se si fosse potuto sollevare in
quell'istante le palpebre di Dario si sarebbero scoperti
gli occhi con le pupille a forma di dollaro, esattamente
come quando Paperon de' Paperoni conta i suoi gruzzoli.
Dario, a poco a poco, si riprese da quel suo stato di beatitudine e, accortosi della presenza del suo responsabile
tecnico gli si rivolse con tono stranamente pacato:
"come mai non riuscivo a prendere la linea? Avevo
schiacciato il bottone acceso..."
"lasci stare, signor Dario, lasci stare....aveva premuto il
bottone della chiamata di emergenza al 118, ma ho già
disdetto l'intervento"
"ha sentito? Ci siamo aggiudicati la costruzione dell'aereo del presidente! Adesso bisogna cominciare a pensare a come fare per farlo..."
"mah, mi sembra semplice: prendiamo il capitolato, sviluppiamo i disegni e poi iniziamo la costruzione..."
"Zauri! Per favore! Non cominci a tirar fuori idee strampalate.... I disegni, sì, questa è bella.... Ma la vuol capire
che non servono pezzi di carta per fare gli aerei? Mi lasci stare da solo che basta organizzarsi...adesso parlo
con mio figlio che mi darà una mano ...voi vi credete dei
tecnici perché avete studiato, ma io, senza istruzione ho
fatto i soldi! E voi siete solo invidiosi...lo so io come si
fa a fare i aerei..."
Zauri, scrollando la testa e le spalle, girò sui tacchi e,
borbottando invettive contro Dario e tutta la sua genia,
si recò alla sua scrivania dove si immerse in profonde riflessioni sullo stato di salute mentale del suo capo.
Dopo due ore di meditazione emise un sospiro ed il referto: matto suonato completo.
Cap 26
Il preannunciato arrivo della commissione per la pianificazione dei lavori di costruzione dell'aereo presidenziale
innescò, come era prevedibile, una serie di ordini da
parte di Dario, il grande, per tentare di dare un aspetto
quanto più positivo possibile dell'azienda.
Tanto per cominciare tutte le saldatrici, obsolete già all'acquisto (però erano costate poco più della metà di
quelle nuove e funzionanti....) vennero ridipinte di un
vivace color "vomito di ubriaco" frutto della sapiente
miscelazione, da parte del capo verniciatore, di una serie
non precisata di vernici stoccate e scadute.
Questo genio della pittura godeva, agli occhi di Dario il
grande, di un credito pressoché illimitato dal giorno in
cui, circa 35 anni prima, sfruttando uno dei pochi momenti in cui non era ebbro di Manduria, riuscì a far verniciare, a tempo di record, un intero aereo biposto imponendo ai verniciatori della sua squadra l'utilizzo contemporaneo di ambo le mani che, stringendo ciascuna un
pennello, si alternavano nell'intingere e nell'apportare
vernice in modo che i tempi risultarono pressoché dimezzati.
Il fatto che, nella foga, l'aereo venne dipinto con una
tinta sbagliata (rosso anziché mimetico) fu sempre fatto
passare, dal piccolo ometto, come un incidente di percorso messo in atto dai soliti invidiosi che non lo volevano come caposquadra; inutile dire che Dario il grande
fu il primo assertore di tale assoluta verità e che sempre,
da allora, pretese dai suoi verniciatori che dessero la
"seconda mano".
Un ulteriore ordine impartito dal d.i.o. alle sue devote
maestranze fu quello di provvedere alla pulizia di tutti i
pavimenti nei reparti con l'obbligo di "tirare a cera" ogni
singola mattonella di grés che, ad onor del vero, mai era
stata pulita dal giorno della posa.
Considerando la notevole estensione dei pavimenti della
V.I.S.P.A. ed il fatto che la pulizia doveva essere effettuata in orario post-produttivo senza alcuna retribuzione, si crearono, fra gli operai, alcuni piccoli focolai di timida disapprovazione, ma, il genio lo si vede nel momento del bisogno, il buon Babaricò riuscì a tranquillizzare tutti mostrando che, con un bidoncino di normalissimo gasolio versato sulle piastrelle, non era quasi necessario pulire: il pavimento luccicava come nuovo!
Tutti ammisero che, stavolta, Babaricò si era superato;
fu un'ovazione, quasi una hola ed il capo officina si autocostruì una corona di foglie di alloro abilmente ritagliate da una lastra di una specialissima e quasi introvabile lega in metallo aero-spaziale fatta sopraggiungere
dalla terra del fuoco a cura dell'ufficio tecnico per eseguire sofisticate prove di laboratorio.
Nel tripudio generale furono scambiati per goliardici petardi i 6 colpi di mortaio che l'ing. Zauri aveva indirizzato contro la vettura del fiero Babaricò che se ne usciva
dallo stabilimento con la corona del trionfo ben fissata
al portapacchi; le piccole ferite riportate dal capo officina furono rapidamente suturate con una graffatrice a
cura delle solerti impiegate tuttofare ancora estasiate
dall'aver visto i pavimenti lucidati a specchio e senza fatica.
Purtroppo il gasolio ha la pessima abitudine di incendiarsi al contatto della fiamma e quando, l'indomani,
alla ripresa delle attività produttive, i saldatori iniziarono a saldare le lamiere fu un fuggi fuggi generale per allontanarsi dalle fiamme che avanzavano da ogni dove
sfiorando le lucide piastrelle.
Pensare di domare i diversi e vigorosi focolai di incendio era assolutamente improponibile: gli estintori erano
tutti scarichi (la ricarica prevista dalle normative era costosa, per cui da almeno ventidue anni essi erano appesi
come impiccati nei posti più disparati, ma comunque in
posizioni inaccessibili ad esseri umani) e l'anello idrico
che avrebbe dovuto alimentare gli idranti era stato, da
tempo immemorabile, dirottato per fornire acqua all'impianto di irrigazione automatica impiantato nel giardino
di casa del presidente.
Anche la richiesta estemporanea di intervento ai vigili
del fuoco parve, agli occhi di Dario il grande, essere
cosa poco consona allo spirito aziendale in quanto
avrebbe inevitabilmente costretto i pompieri a domare
un incendio che sembrava promettere di essere remunerativo per cui optò per un ben impartito: "forza, bastardi! Pisciate!!! Muovetevi!"
Intanto, mentre impartiva il perentorio ordine e mentre
le fiamme andavano distruggendo un intero capannone,
Dario stava sottilmente calcolando che, detratti gli ammortamenti, detratto i premi assicurativi, detratte le attrezzature dichiarate in polizza come esistenti, ma mai
acquistate e calcolando il risarcimento assicurativo nonché il contributo a fondo perso per la ricostruzione delle
aziende bruciate annunciato dal ministero del
lavoro....sì, bisognava che le fiamme distruggessero tutto ed in fretta!
Fu buon vate! Nel giro di 30 minuti il capannone era in
cenere!
Era arrivato il momento di richiedere l'intervento dei
"pompieri" che avrebbero certificato, presso l'assicurazione, come il capannone fosse bruciato per una tragica
fatalità (certo che l'avrebbero certificato! Il comandante
era sul libro dei ricchi doni di ogni Natale! Ma vogliamo
scherzare? Bisogna tutelarsi ed essere previdenti!)
L'incendio, però, non mise fine alle attività produttive
della VISPA che andarono a concentrarsi nel secondo
capannone rimasto miracolosamente intatto e sede degli
impianti di verniciatura; unico piccolo, trascurabile dettaglio, fu il fatto che i saldatori, dovendo convivere con
le vernici del reparto verniciatura, dovettero acquistare,
ciascuno, un estintore da 15 kg. che, fissato sulla schiena, assicurava ad ogni lavoratore la possibilità di circoscrivere rapidamente ognuno dei micro incendi che si
innescavano al ritmo medio di due-tre fiammate ogni
ora.
Ovviamente gli estintori vennero acquistati dai saldatori
rivolgendosi al fornito emporio del cognato di Dario il
grande, emporio che si preoccupava anche delle ricariche quotidiane; sfortunatamente, per gli operai, proprio
in quel periodo, gli estintori avevano subito un rincaro
del trecento per cento, in compenso ogni tre ricariche il
titolare dell'emporio regalava una scatola di fiammiferi
antivento con combustione potenziata.
In tale situazione a dir poco precaria una mattina, alle
10:30 arrivò da Roma "la commissione".
Cap 27
La delegazione operativa ministeriale era composta da
un Generale, due sottosegretari (uno di maggioranza ed
uno di minoranza), due portaborse, due uscieri ed un ingegnere minerario.
Per la movimentazione di queste persone lo Stato fece
ricorso ad un Boeing 747, un aereo di linea appositamente noleggiato presso la compagnia Low-Cost di proprietà della moglie di un non meglio precisato vice primo ministro che per il viaggio Roma – Milano
V.I.S.P.A. si accontentò di 480.000 Euro e che, però, si
rifiutò categoricamente di atterrare sulla pista privata
della V.I.S.P.A. definendola “uno stretto sentiero di terra battuta pieno di buche e dossi, assolutamente inidoneo anche al solo atterraggio di emergenza di un ultraleggero”.
Conseguentemente Dario il grande dovette occuparsi
dell’inopinato trasferimento da Malpensa al proprio sta-
bilimento di questa delegazione di primaria importanza.
Ovvio che per sbrigare al meglio la faccenda venisse affidato all’Alfonso-tours il compito di organizzare il trasporto dei preziosi passeggeri ed altrettanto ovvio che
l’imperativo dell’Alfonso – tours (risparmiare anche sul
risparmio) ancora una volta ebbe modo di trionfare.
A ricevere la delegazione all’aeroporto della Malpensa
venne inviato il furgoncino della V.I.S.P.A. normalmente dedicato al trasporto di motori e fusti d’olio e appositamente attrezzato per l’occasione, con l’ausilio dei consigli e della mano d’opera di Babaricò ,mediante la saldatura di sedili divelti da vecchi aerei da rottamare ancora presenti nei piazzali aziendali e finestrini in plexiglass azzurrato ricavati da vecchie arrugginite carlinghe
di storica memoria.
Alla guida del traballante Autobus venne posto il portafortuna aziendale: tale Salvo Melo che madre natura,
non certo benigna, aveva fornito di una gobba di tipo assolutamente maiuscolo compensando tale abbondanza
con la totale scarsità di denti sani corroborando il tutto
con una dizione sputacchiata e originatasi nei bordelli
poi chiusi dalla legge Merlini.
Giunto ai piedi del 747, nei pressi della scaletta d’onore,
Salvo urlò ai suoi futuri passeggeri: “Ueh! Vediamo di
muoversi! Cazzo! Anche le borse c’avete da portare
via? C#*?^&*+ vengono da Roma e chissà chi si credono che sono? #*?^&*+ Porco boia! ? C#*?^&*+. Andiamo..”
Lo sconcerto era abbastanza palese sui volti dei delegati
presidenziali, ma … tant’è….. si arrampicarono e si accomodarono (forse meglio sarebbe : si adattarono) nel
minibus cercando di sporcarsi il meno possibile avendo
da subito compreso che il non sporcarsi era da escludere
nel modo più totale e, in uno spettrale silenzio interrotto
dai moccoli di Salvo, il viaggio ebbe inizio.
La distanza da coprire era inferiore ai 20 kilometri, ma
il traffico caotico e la non precisa conoscenza del percorso autostradale da parte di Salvo che prediligeva percorsi “animati” da osterie e banchi di mescita fecero sì
che il tragitto si protrasse per oltre un’ora e mezzo per
cui l’ingresso dei funzionari alla V.I.S.P.A. coincise con
il suono della sirena annunciante la pausa prandiale.
Gli otto funzionari vennero scaricati da Salvo in mezzo
al cortile principale con un cordiale: “Me io vado a
mangiare voi fate quel cazzo che volete” e così dicendo
si involò, per quel che gli permetteva il fisico, verso il
locale mensa.
Sbigottiti, stanchi per gli scossoni subiti sul succedaneo
dell’autobus, imbarazzati, anche e, soprattutto, disorientati non vedendo intorno a sé anima viva, i componenti
la commissione ebbero in un attimo la netta sensazione
di vivere un incubo ed il più lesto a cercare una conferma fu il Generale che diede un pizzicotto atomico al
piccolo ingegnere minerario al su fianco.
Costui emise un urlo che si costrinse a soffocare per un
innato senso di sottomissione di fronte ai potenti, ciononostante esclamò:” Con tutto il rispetto signor Generale,
ma la natica era la mia!”
“Su, su … coraggio, non è niente! In guerra sono ben altri i dolori che dobbiamo sopportare quando inviamo
all’assalto le nostre truppe!”
“Mi scusi, Generale, non sapevo che avesse preso parte
a qualche guerra” interloquì il sottosegretario della maggioranza.
“Ma certo che non ho preso parte alla guerra! Che diamine! Ma noi fanti siamo allenati sin dal primo giorno
di Accademia a pensare agli atti di eroismo di cui ci copriremo!”
Il sottosegretario di minoranza ritenne opportuno inserirsi nel discorso tentando di portarlo sul piano politico:”Caro Generale, mi lasci dire che, purtroppo, le nostre giuste ambizioni di eroismo non sono comprese
dall’attuale governo per cui anche Ella dovrà mordere il
freno fintantoché non saremo di nuovo al potere e, a tal
proposito, l’aereo che dovremmo far costruire non dovrebbe esser un aereo Presidenziale, ma, bensì, un aereo
trasporto truppe da dedicare alla futura invasione di San
Marino!”
cap 28
Gli otto uomini erano così immersi nella discussione accesasi dopo l’intervento politico del sottosegretario che
dopo mezz’ora non si accorsero dell’approssimarsi al
loro gruppetto di Dario il grande, reduce dal quotidiano
giro di ispezione delle proprietà.
Giunto ad una distanza di una decina di metri dal gruppo Dario gridò, tutto d’un fiato:
“Chi siete? Cosa fate nella mia Azienda? Chi vi ha fatto
entrare? Adesso chiamo i Carabinieri!”
“ No, no, no ci deve essere un malinteso! Noi siamo la
Commissione di Roma per la scelta del progetto dell’aereo Presidenziale… cerchiamo il signor Dario…”
“E chi mi dice che non siete zingari o extracomunitari
che cercano di rubarmi le mie cose?”
“Ecco, guardi! Questo è il mio distintivo di Generale
della Fanteria, mi chiamo Mino Sala e questi sono i miei
accompagnatori”
Tranquillizzato più dalla divisa che dal distintivo Dario
abbozzò un insieme sparso di parole sul tema del “mi
scusi, non sapevo…” ma, ovviamente, in ordine assolutamente casuale in modo da risultare del tutto incomprensibili a qualsiasi cittadino Italiano.
Per questo il più alto dei due portaborse, in uno sfoggio
di rara cultura, esordì con un volonteroso:” Nice to meet
you, do you speak English?”
L’altro portaborse, preso in contropiede dal collega, di
fronte al silenzio stralunato di Dario colse l’occasione di
un: “Bonjour! Nous sommes ici pour acheter un avion..”
La situazione si stava inevitabilmente avviando ad uno
stallo, ma … è nei momenti di bisogno che emergono i
cervelli fini …. Dario il grande sibilò:” se siete quelli di
Roma allora dobbiamo andare a mangiare insieme, ho
fatto prenotare, ma due di voi crescono….. mi avevano
detto che venivate in sei….; fa niente ci facciamo dare
due piatti in più e ci stringeremo…. Venitemi dietro, andiamo a piedi perché è qui girato l’angolo”.
Detto e fatto: Dario girò su se stesso con inopinata agilità e si diresse verso il cancello, lo superò e si diresse
verso l’Osteria – Trattoria – Lombardia Tipica di Mimmo e Carmela distante qualche centinaio di metri dalla
V.I.S.P.A. e nota in tutto il circondario per le violente
baruffe con accoltellamenti che vi succedevano ogni
sera durante i ritrovi goliardici degli spacciatori della
zona.
La tavola era apparecchiata come per le feste patronali:
tovaglia a quadretti bianchi e rossi, tovaglioli rosa in
carta, bicchieri in vetro con dimensioni tutte uguali e
dello stesso colore, ghirlande di anelli intrecciati gialli e
blu e, al centro tavola, un fiasco aperto di vino sfuso.
In un quasi battibaleno Mimmo e Carmela arrangiarono
altri due posti e proposero agli ospiti il menu della Casa:






Antipasto di salamelle fritte
Orecchiette con cime di rapa
Cotenne e orecchie di maiale stufate con verze
Macedonia di sole mele
Caffè
Ammazzacaffè
Dario ordinò subito “porzioni abbondanti” e si dilungò
su concetti a lui particolarmente cari a proposito di ristoranti che non devono per forza essere appariscenti
per essere scelti, che non è la spesa che fa , ma il piacere
della compagnia, le cose genuine non hanno prezzo al
giorno d’oggi, trovare posto in locali tipici è sempre più
difficile e via con altre simili amenità.
Nemmeno a dirlo i commissari non toccarono quasi le
vivande che, in compenso, passarono sul piatto dell’ineffabile industriale che più volte dovette ricorrere ad
abbondanti sorsate di vino per non rischiare il soffocamento.
Finito il lauto pasto Dario si fece portare il conto e,
dopo aver contrattato con Mimmo per quasi 20 minuti
riuscì ad ottenere l’arrotondamento di 63 centesimi;
soddisfatto e con un sorriso a trentadue denti estrasse il
portafoglio bisunto ed iniziò a saldare la consumazione
estraendo lentamente e studiatamente, uno alla volta, i
biglietti da cinque Euro.
“Bisogna contarglieli tutti bene uno a uno perché solo
così si convincono che li hai pagati, ‘sti terroni!”
Il disagio nella commissione perdurava.
Cap 29
Fu, per tutta la commissione, un sollievo immenso l’abbandonare il tugurio-taverna e ritornare a piedi entro i
recinti fatiscenti della V.I.S.P.A. dove, appena accomodatisi attorno ad un tavolo in rovere appositamente allestito per la bisogna, iniziarono ad estrarre dalle poderose
cartelle impressionanti pile di documenti.
“Caro signor Dario, lei ci vorrà scusare se non entriamo
subito nei dettagli costruttivi dell’aereo per dedicare
qualche minuto alla compilazione di questi semplici
moduli riguardanti la sicurezza sul lavoro e le procedure
di qualità in atto nella sua azienda…”
“Ma che si figuri dottor sottosegretario! (che strano cognome, questo qui) anzi1 è di meglio che prima scriviamo le cose inutili così dopo non dobbiamo più romperci
le balle…”
La commissione incassò senza battere ciglio le affermazioni di Dario e iniziò con le domande previste dal questionario in rigoroso ordine sparso per aiutare il già
spaesato imprenditore a non raccappezzarsi nell'intrico
dei moduli ministeriali.
<La sua azienda è sicuramente a norma con la legge
626….>
< a norma è a norma di sicuro! … se poi è la legge 626
è quella che ci vuole…vuol dire che siamo a posto anche con quella! >
<il lavoro straordinario è eseguito secondo i disciplinari
previsti dal CCNL?>
< no, io qui di lavoro straordinario non ne faccio fare
perché, vedino….nel nostro lavoro, che è difficile e faticoso, non si può chiedere ad un uomo che ha picchiato
per 12 ore la lamiera di ferro di fermarsi in ditta a fare le
3 ore di straordinario che servirebbero...>
<???…scusi, ma ci sta dicendo che lavorate 12 ore al
giorno? Vuol dire tutti i giorni 12 ore???>
< sì, lo so che qualche ora in più farebbe bene, ma alla
domenica ai miei operai ci faccio fare festa da mezzoggiorno così fanno in tempo a sentire la messa….>
<Quando un vostro aereo viene consegnato quanti controlli sono stati certificati?>
<eh….dipende….>
<come, dipende!???>
<dipende se bisogna fare la fattura allora c’è il documento della fattura, se invece pagate in nero….facciamo
un biglietto fra galantuomini e non serve la fattura…>
il generale Sala Mino, pur essendo generale di fanteria e
non della Guardia di Finanza ebbe come il sentore che,
probabilmente, alla V.I.S.P.A. non tutte le regole erano
rispettate per cui si sentì in dovere di intervenire: “signor Dario noi siamo qui per definire le caratteristiche
dell’aereo del Presidente, ma ho l’impressione che, prima, ci siano da chiarire alcuni punti … diciamo … di
gestione aziendale…”
“ Bravo! Bravo generale! Ha visto che ci siamo arrivati
subito! In fondo quando si è esperti ci si capisce subito!
Guardino: in questa borsetta della Standa ci sono dentro
100.000 euri che vi dividete come volete, poi, alla fine
dei lavori c’è pronta un’altra busta così per ognuno di
voi…”
L’aria divenne improvvisamente irrespirabile.
Il generale si accasciò su se stesso gemendo: “ mio Dio,
mio Dio….mi si vuole corrompere!”
L’ingegnere minerario si alzò di scatto, trasecolato e di
nuovo piombò seduto immoto con il viso sbiancato e di
tonalità cadaverica.
I due sottosegretari, invece, pur di schieramento politico
opposto, scattarono all’unisono per strappare ai portaborse il sacchetto di plastica che questi stavano abilmente e con consumata esperienza infilando in apposite sacche delle cartelle portadocumenti : “ e no! Questi soldi
sono requisiti da noi, in qualità di sottosegretari con delega….”
I due uscieri che si trovavavno alcuni metri più distanti
dal tavolo di lavoro non fecero caso più di tanto all’improvvisa animazione venutasi a creare e preferirono
continuare nella lettura congiunta di una copia di
“DONNE ED ELICHE” dove, in copertina, tra due tette
da Guinness dei primati una scritta proclamava: <in arrivo gli Airbag per i piloti di linea”
Dario, il grande, con l’occhio bovino un po’ strizzato di
dietro alle bisunte lenti da miope, capì che, forse, c’era
qualcosa di non perfettamente funzionante in quanto
stava accadendo e così, con improvviso guizzo, decise
di rendere partecipe anche il figliolo di tutto quanto stava inopinatamente succedendo per cui si abbarbicò al telefono biascicando:” Darko! Vieni subito nel mio ufficio!” ed appese.
Darko, bello come un purosangue ed ignorante come un
somaro (nella comune accezione del termine perché,
personalmente, reputo tale equino estremamente intelligente oltre che prezioso ed umile) apparve nel vano della porta dirigenziale vestito come un damerino che si era
dimenticato di cambiarsi dopo un capodanno a Rio.
“Cosa cazzo sta succedendo in questa ditta di merda?
Possibile che debba fare tutto io? Tu, papà, non fai un
tubo da mattina a sera e mi chiami sempre per delle
stronzate….” Accortosi della presenza della Commissione dal colore grigio–verde dell’uniforme del generale
il brillante, acuto rampollo si ricompose e sbottò:”
buongiorno, anzi, ormai, buona sera, vabbè facciamo
buon pomeriggio….con chi ho il piacere di parlare?…
ah! Scusate… devo fare una cosa urgentissima su di sopra….se potete aspettare un momentino….tanto non
credo che voi abbiate altre cose da fare….poi, appena
mi sono liberato, vengo da voi e vi sistemo…” passando
accanto al padre gli bisbigliò” ecchecazzo! Cos’era tutta
‘sta urgenza?! Tutto io devo fare, eh???” e se ne partì
per la scala da cui era venuto.
Il generale Mino Sala si riprese e, con un piglio da condottiero degno di miglior causa, esclamò:” Signori si
torna a Roma e si denunciano questi cialtroni – poi…
sulla mazzetta … sulla sua divisione, intendo….ci si accorda strada facendo…ora: via si rientra!”
Senza profferire altro verbo i membri della Commissione si alzarono, si diressero al piazzale, si inerpicarono
sullo pseudo-bus aziendale e, preso posto in assoluto
compassato silenzio sugli sgangherati sedili, attesero pazientemente che l’ineffabile chaffeur li riconducesse
all’aeroporto.
cap 30
Tutti, alla V.I.S.P.A., compresero che qualcosa doveva
essere andato storto là nell’ufficio del Glande quando
videro la Commissione allontanarsi a grandi passi dalle
mura dell’ufficio dirigenziale e tutti si convinsero
dell’esattezza dei loro sospetti quando, dopo circa un’ora dalla dipartita dei “romani”, videro Dario uscire ed
essere quasi inseguito da un alteratissimo Darko urlante:” …ti lascio solo 5 minutini e tu… tu….tu mi fai un
casino che neanche si può descrivere! Ma dico! Come si
fa ad offrire 100.000 euro ad una commissione presidenziale? Come si fa? Lo sanno anche i bambini dell’asilo delle suore orsoline della santa madre provvidenza
della carità divina che per una Commissione il minimo
tabellare è di 275.000 euro!!! Ecchecazzo!…non ci si
può più fidare di te! Al prossimo C.D.A. chiederò di toglierti l’incarico, sei un incapace! Adesso, come al solito dovrò fare tutto io, andare a Roma, versare la differenza, portare la commissione al ristorante … tutte spese inutili! Lo vedi il tempo che mi fai perdere?:::”
Queste scene, purtroppo, diventavano sempre più frequenti e alcuni operai avevano organizzato un giro di
scommesse sul tempo di permanenza alla guida (si fa
per dire, si fa per dire) dell’azienda da parte di Dario.
I sostenitori della tesi secondo cui Darko avrebbe relegato il padre ad un ruolo men che insignificante nel giro
di 7 – 8 mesi per prenderne il posto si scontravano con
coloro che, invece, ritenevano Dario in grado di rintuzzare ogni attacco, ma tutti, proprio tutti concordavano
sul fatto che, terminate le lavorazioni in corso (durata da
tutti stimata in 15 mesi al massimo) la V.I.S.P.A. avrebbe chiuso i battenti non essendo in grado di dotarsi delle
nuove conoscenze e tecnologie indispensabili per competere non solo sul mercato estero, ma anche, ormai, sul
mercato domestico dove la proprietà non poteva più
nemmeno contare sugli appoggi dei politici che nel frattempo erano passati a miglior vita senza lasciare eredi in
grado di traghettare l’azienda verso il nuovo millennio.
In questo panorama di latente depressione giunse la ferale notizia della scomparsa di Sandrino colto dalla “livella” mentre giocava a fare il Pirata con una non meglio precisata principessa rumena in un hotel della peri-
feria metropolitana.
La camera ardente venne allestita al centro del piazzale
utilizzando 4 colonne di polistirolo effetto granito che
sorreggevano svolazzanti tende in tulle nero e oro, residuati di una rappresentazione storica recuperati da un
amico di famiglia a poco prezzo nei sotterranei del teatro locale.
La bara era appoggiata su un’ala di aereo appositamente
staccata da un residuato bellico giacente in uno dei cento depositi di materiale da rottamare della V.I.S.P.A. e
faceva il suo bell’effetto, soprattutto da lontano, contrastando il suo nero legno con l’argenteo colore dell’ala.
Tutti i dipendenti passarono a rendere omaggio alla salma e, quando ormai più nessuno lo aspettava, giunse anche Dario il fratello unico.
Arrivò in auto sino a due metri dal catafalco.
Spense il motore.
Si tolse gli occhiali da sole.
S’asciugò il sudore con un candido fazzoletto di lino.
Abbassò il finestrino anteriore dell’auto.
Guardò il feretro; guardò la mesta gente e disse: “facciamo alla svelta che dobbiamo consegnare un trimotore
prima di sera!”
Avviò il motore, sgommò e si diresse al suo ufficio
dove si rintanò sull’amato divano per un sonno pacificatore.
cap 31
Non tutti i mali vengono per nuocere e la veridicità del
detto popolare venne confermata dai fatti che si originarono proprio alla fine delle esequie per il buon Sandrino.
Alla mesta cerimonia funebre, per altro conclusasi, su
espressa volontà del defunto, con uno splendido spettacolo pirotecnico organizzato in riva ad uno stagno nella
proprietà di famiglia su in Val Vigezzo, parteciparono,
ovviamente, diversi personaggi della finanza e del mondo industriale che avevano avuto in qualche modo rapporti con la V.I.S.P.A.
Fra questi personaggi ve n’era uno, in particolare, che
colpiva ogni altro astante per l’aspetto e per le movenze
furtive pur nello sfoggio e nell'imposizione della propria
presenza.
Era, l’omuncolo, di aspetto segaligno, con il volto di
foggia triangolare in cui gli occhi si riducevano a due
fessure indistinguibili, quasi, dalle numerose larghe rughe che donavano un aspetto incartapecorito alla sua
pelle già naturalmente pigmentata in colore terra di Siena bruciata e con tale colorito ulteriormente accentuato
dall’esposizione prolungata al sole.
Si chiamava Busoni ed era stato a capo di una azienda,
concorrente diretta della V.I.S.P.A. per le forniture aeree alle Compagnie High Cost, rivestendo, in tale azienda, per volontà della sagace proprietà, il tipico ruolo
della testa di legno destinata ad essere sacrificata qualora si fosse presentata la necessità “tecnica” di trovare un
colpevole per le numerose insolvenze di tipo amministrativo e normativo.
Purtroppo, per lui, la testa di Busoni fu fatta saltare dalla
stessa proprietà nel momento in cui questa si accorse
che la Testa di Legno passava più tempo sui campi del
Tennis Club che in fabbrica e che, soprattutto, pagava le
magnificenti feste dei Circoli Tennis di mezza Europa
con fondi stornati alle casse aziendali attraverso prelievi
effettuati a mezzo di note spese che definire pretestuose
e faraoniche sarebbe estremamente riduttivo.
Questo personaggio di dubbia fama ed ancor più dubbia
moralità era universalmente noto, nel mondo delle piccole aeroindustrie, come un “maneggione” intrallazzato
con potenti, o presunti tali, per cui era evitato come la
peste da chiunque avesse un minimo di cervello e responsabilità, ma egli, non capacitandosi dell'altrui spregio, non perdeva occasione per attaccar bottone a destra
ed a manca con chiunque potesse, anche solo lontanamente, essere raggirato o essergli utile per procacciarsi
in qualunque modo quel vil denaro che a lui mancava
sempre a causa dei suoi incredibili sperperi.
Busoni viveva una vita decisamente sopra le righe atteggiandosi a magnate quando, forse, egli era magnaccia,
spacciandosi per imprenditore quand'era, invece, spacciatore.
Orbene questo esseruccio, terminate le esequie di Sandrino, fu visto scivolare, con un sorriso a 97 denti, sin
dietro l'ineffabile Darko ed in molti sentirono le sue labbra profferire una frase che nel corso della storia avrebbe avuto la sua importanza capitale: “ Caro Darko non
preoccuparti! Se non c'è più tuo zio Sandrino sappi che,
volendo, potrai acquisire uno zio tutto nuovo come sono
io che ti posso portare in dote tutto il mercato aereo del
sud america....c'ho i contatti personali a costo zero!”
Parole magiche all'orecchio del piccolo principe! Costo
Zero! Costo zero!
Per quasi 10 giorni le parole “costo zero costo zero costo zero costo zero” risuonarono ininterrotte, ventiquattr'ore su ventiquattro, nella vuota cervice di Darko che
prese la grande decisione: Busoni DOVEVA essere della V.I.S.P.A.!
cap 32
Senza por tempo in mezzo Darko ricontattò Busoni ed
in men che non si dica i due trovarono un soddisfacente
accordo economico che, ognuno dei due ne era sicuro,
sarebbe stato foriero di inenarrabili guadagni esentasse.
L’accordo imponeva a Busoni di trasformarsi in uomo-immagine della V.I.S.P.A. e di mettere a disposizione incondizionata e totale di Darko indirizzi e numeri
di telefono riservati dei personaggi da lui conosciuti (in
particolare le belle ragazze dell’est e le brasiliane);
come pagamento dei servigi Darko si impegnava ad
elargire a Busoni un discreto stipendio mensile integrato
da fringe-benefits di cui il principale era costituito da un
tacito “placet” al pagamento, anche con denaro “personale” di ogni nota spesa presentatagli a qualsivoglia titolo dal Busoni.
Vi è da notare che in un ambiente qual era quello della
V.I.S.P.A. in cui un semi-analfabeta poteva passare per
un dottore dell’accademia della Crusca la capacità del
nuovo “acquisto” di conversare in ispanico con i “suoi”
contatti Sudamericani fu da tutti i dirigenti notata come
un piacevole e divertente diversivo alla noia quotidiana
della vita in azienda.
Significativa di tali asserzioni una conversazione telefonica che rimase, per puro caso, indelebilmente registrata
sull’hard disk di un Pc portatile “dimenticato acceso”
per un intero giorno sulla scrivania accanto a quella di
Busoni proprio mentre questi si intratteneva con un “suo
corrispondente” e che venne “per caso” ascoltata da tutte le maestranze riunite in una call-conference sindacale.
“hola! Carlos….soy yo….Busoni! como se vas lì in
Messicos?
Es mucho frieddo lì? Ah no?! Aquì es mucho caldo porquè es primaveras in Italia!
Te telefonos per dirtes que adiesso lavoro…trabaco,
come disete voyos,…in una nueva ditta, ies, una nueva
acienda!
Muy bellos! Tenemos aeroplanes muy veloces, muys
riccos de cose precioses!
Tu debe comperar esti aeroplanos da nos, non plus da
los concorrentis, eh no!
Mi te dago una bonas provigiones que spartimos a mezzos tu e yo! Non impuerta si tu non tiene dinero adessos,
es importantes que tu digas al primo ministero de comperar el mio aeroplanos e io te invios, subitos dopos,
tantes miliones que tu non te credis!
Ciaos! Te richiamos domanis per mettercis d’accordis!”
Di fronte ad un “padre-lingua” di siffatta improntitudine
tutti capirono come sarebbe finita la pluridecennale vita
dell’azienda fondata da nonno Claudio….tutti tranne
Dario e Darko che, entusiasti per l’ottimo acquisto operato sul mercato dei dirigenti, pensarono bene di concedersi un po’ di vacanza; del resto il Busoni aveva dichiarato più volte di poter, da solo, portare la V.I.S.P.A.
ai più alti traguardi di redditività e ciò era motivo più
che sufficiente per dormire, finalmente, ricchi, anzi! ricchissimi sonni tranquilli.
Inutile dire che la vacanza del Glande e del di lui figlio
fu accuratamente organizzata dalla Alfonso–tour in maniera egregia dosando mirabilmente il budget imposto
da Darko per trarre il massimo del comfort con il minimo della spesa.
La scelta del luogo di vacanza, essendo ormai estate, fu,
ovviamente, un posto fresco e poco frequentato: Riccione.
L’albergo, rigorosamente a 4 stelle declassate, si trovava a circa 2 Km. dalla spiaggia più vicina, ma, in compenso, si affacciava su una nuovissima discarica adibita
al compostaggio di tutto lo stallatico raccolto nell’Emilia Romagna per un progetto pilota finanziato dallo
Zimbabwe.
Per un congruo risparmio sulla tariffa di soggiorno la
Alfonso-tours pensò bene di cassare dalle richieste per
l’hotel l’attivazione dell’aria condizionata nelle camere
così che i due geniali imprenditori, perennemente accaldati, optarono, una volta giunti, per i divani della fresca
hall come luoghi deputati a conservare le loro membra
durante il riposo notturno suscitando le nemmeno tanto
velate proteste da parte degli altri ospiti.
Il tocco di classe, direi il genio del risparmio, della Alfonso-tour, però, si evidenziò nella contrattazione della
formula “pensione completa” che, alla fine delle 4 ore e
50 di estenuante telefonata tra V.I.S.P.A. e direzione
dell’Hotel Paradiso della Vista, comportò la riduzione
dello 0,2% sulle tariffe normalmente praticate dall’albergo in quanto il pranzo del mezzogiorno in terrazza
sarebbe stato sostituito dalla somministrazione di un pasto-equivalente (con calorie, carboidrati, vitamine, glucidi e quant’altro occorrente all’organismo umano) costituito da “sache du dejouner avec baguette, oeufs et salade de la maison” che si rivelò poi essere esattamente
ciò che doveva essere: un panino malamente farcito con
uova e maionese su foglia di lattuga.
Per i palati sopraffini del Glande e del Piccolo Principe
la delizia prandiale poteva essere riassunta nelle parole
esclamate da Dario al primo morso rivolgendosi al tenero rampollo:” Bravo, l’Alfonso! Con un bel risparmio ci
fa mangiare come neanche tua madre sa fare! Guarda
quei barboni là, invece, come si abbuffano di chissà
cosa intorno al tavolo delle aragoste!”
In fondo …. non occorre molto per essere felici….
Cap 33
La breve vacanza aveva corroborato le stanche menti
dei due capitani d’industria che, rientrati alla familiare
vita aziendale carichi di progetti e vogliosi di agire per
immortalarsi nella storia, passarono immantinentemente
nell’ufficio di Dario il grande per mollemente adagiarsi
sui divani da “pensata” e quivi rimasero per le canoniche 10 ore di lavoro a sonnecchiare in attesa di nuove
ispirazioni.
Incredibilmente le nuove ispirazioni arrivarono; arrivarono, ovviamente, a Dario in primis, ma una volta che
questi le ebbe esternate, in uno slang conosciuto solo
dagli intimi di famiglia e costituito più che altro da verbi
coniugati all’infinito per essere ben distintamente coerenti con il resto delle frasi in cui i soggetti erano abilmente camuffati da interiezioni, ecco che lo sviluppo
della “pensata” divenne motivo di orgoglio per il Piccolo Principe Laureato.
L’idea balenata a Dario aveva un che di semplice nella
sua formulazione: che qui “traduco” per una migliore
comprensione: “I soldi servono per essere ricchi. Essere
ricchi vuol dire poter comprare quello che si vuole.
Quello che si vuole spesso non può essere comperato
perché non si ha tempo da buttare. Quindi: occorre trovare cose da buttare per diventare ricco”
Lo sviluppo “tecnico-finanziario” di questa genialata
venne impostato da Darko secondo un business-plan as-
solutamente coerente con le tradizioni familiari consistente in 12 mattinate trascorse di fronte allo specchio
dell’ufficio ad automotivarsi con frasi tipo “vai che sei
bello, vai che sei solo, vai … e basta”; 12 pomeriggi
passati a dormicchiare sul divano di famiglia; pennichelle tutte seguite da cene a scrocco ottenute “imbucandosi” in ricevimenti di terzo e quarto ordine di cui
era puntualmente a conoscenza grazie al quotidiano
VIPS, TRIPS & GOSSIPS di proprietà di un amico editore.
Al sorgere del sole del 13° giorno Darko varò una iniziativa destinata a sconvolgere le abitudini di tutto l’entourage: la V.I.S.P.A. sarebbe diventata, dall’indomani,
capogruppo di una nuova Holding costituita da Finanziarie, Immobiliari, Aziende Manifatturiere, Aziende di
Servizi, Aziende e basta, tale da far tremare i mercati finanziari dell’intero globo terracqueo.
Nel delineare al Consiglio di Amministrazione, appositamente convocato all’alba delle ore 19:30, le innovative strategie di acquisizione, trasformazione, ricollocazione sul mercato e quant’altro si era inventato nei 12
giorni di “riflessione” il giovane erede si soffermò, per
ben 4 delle 4 ore e dieci dell’esposizione, su un punto
che giudicava, giustamente, fondamentale: “Signori, affinché il mio meraviglioso piano industriale riesca a
fruttare ciò che mi deve fruttare dovete fare di tutto e di
più per trovare un nome appropriato alla nuova impresa
di cui io sarò la parte pensante e voi la parte lavorante”.
L’esposizione del piano non poteva essere stata più
chiara; dopo nemmeno venti giorni sulla scrivania di
Darko c’erano non meno di due lettere a lui indirizzate
dai membri del C.d.A. ed in ognuna di esse ci doveva
essere un nome suggerito per la nuova Holding.
Con mano trepidante Darko aprì le buste e, mostrandone
il contenuto al padre, lesse ciò che sulle lettere era scritto:
Prima lettera: “Caro Darko e caro Dario, ma andate a
prenderlo…..non ce la facciamo più a sopportarvi. Firmato: 50% del Consiglio di amministrazione.
P.S. ridatece i nostri soldi”
Seconda lettera: “Caro Darko e caro Dario, ma riandate
a riprenderlo…..non ce la facciamo più a sopportarvi.
Firmato: l’altro 50% del Consiglio di amministrazione.
P.S. ridatece anche a noi i nostri soldi”
Padre e figlio si guardarono sgomenti.
Rilessero, ognuno con i propri tempi, e dopo due ore si
riguardarono sgomenti.
Non poteva essere vero! Sicuramente si trattava di uno
scherzo! Ma figuriamoci! Da quando in qua il CdA si
permetteva di non approvare all’unanimità ciò che la
Santa Proprietà aveva imposto? Ma, dico… che mondo
è diventato? E poi…. Rivolere i loro soldi…ma, andiamo! Non esiste che i Padroni della V.I.S.P.A. debbano
sottostare a…. a… a…. alla maggioranza! C’è un Presidente del Consiglio che fa quello che vuole con le leggi
degli altri e noi non possiamo fare quello che vogliamo
e che è giusto che facciamo con le nostre cose?
La rabbia montava e con essa il sonno che li prese con
repentina foga dopo solo venti minuti di riflessione; entrambi riversarono il capo sulle poltrone e….fragorosamente russarono.
Cap 34
Gli avvenimenti, spesso, accadono indipendentemente
dalla nostra volontà, guidati da oscure leggi che gli antichi, molto saggiamente, identificarono con il misterioso
fato che tutto muove.
Proprio il fato si scomodò quando, in occasione dell’annuale Fiera Internazionale dei velivoli da turismo a Parigi, fece incontrare a Dario il grande, nientepopodimenochè Sua Santità che, di ritorno da un pellegrinaggio a
Lourdes, decise di visitare l’aeroporto parigino sede della kermesse per portare una santa parola al popolo
dell’aria e per acquistare un piccolo elicotterino da
“amusement”.
Preceduto dal solito stuolo di bodyguards e fotografi ufficiali e contornato dalle più alte cariche politiche e religiose occasionalmente raccoltesi a Parigi, il Santo Padre
avanzava, a bordo della bianca papamobile, alto e benedicente con un sorriso a tutta faccia e candidamente vestito con preziose vesti mentre, tutt’intorno, festose banderuole bianco/gialle garrivano alla brezza agitate da
migliaia di mani che parevano protendersi verso l’uomo
più conosciuto del pianeta.
Quando la bianca vettura papale giunse alla fine del nastro d’asfalto che fendeva gli spazi espositivi dovette
fare manovra per rientrare e, nel compiere la retromar-
cia, finì per urtare, con il robusto paraurti posteriore, l’esile struttura lignea che sorreggeva la tettoia in lamiera
zincata costituente la copertura dello stand occupato e
attrezzato dalla V.I.S.P.A.
Il piccolo urto in un attimo sconvolse il precario equilibrio della fatiscente costruzione fieristica e, nel breve
volgere di una frazione di secondo, la tettoia si afflosciò
su se stessa, si accartocciò e, infine, precipitò sul piccolo aeroplanino che avrebbe dovuto proteggere e che costituiva quanto di meglio la brillante azienda italiana era
riuscita ad allestire nel corso di un intenso anno di lavoro.
Va da sé che Dario, il grande, venne subitaneamente
svegliato dal fragore dello sconquasso e, balzato in piedi
con una velocità assolutamente incredibile per la sua taglia, subito urlò all’indirizzo di tutti e di nessuno:” Fermi! Fermi tutti! Chi è che mi ha rotto il capannone?
Adesso me lo paga! E mi paga il aereoplano che costa
… costa….costa… tanto, ecco, sì, costa tanto!”
Il polverone sollevato dalle macerie andò dileguandosi e
di tra le lente volute di polvere e terra che si andava depositando apparve Sua Santità che, camminando, incedeva con radiosa semplicità verso Dario cui porse, sin
da almeno 5 metri di distanza, la paterna mano con l’anello pontificio.
Dario, strabuzzando gli assonnati occhi, vigorosamente
si avvicinò e:” Buon giorno! Io sono Dario, con chi ho il
piacere…?”
La prontezza di riflessi dell’ormai onnipresente Busoni
fece sì che la padronale gaffe passasse in secondo ordine perché con cipiglio sicuro si frappose tra Dario ed il
Pontefice per esclamare: “ Carissimo! Io ti do del tu perché sono un tipo democratico e non mi importa se anche
tu mi dai del tu; non preoccuparti per il piccolo incidente! Sono cose che capitano, ma…la prossima volta fai
un po’ più di attenzione, ecchediamine! A scuola guida
non ti hanno mai fatto fare manovra? Vabbè che con
quelle sottane lì capisco che si faccia fatica a guidare….in ogni caso, caro il mio bel sindaco vieni dentro
nel nostro mini-bar che facciamo un bel brindisi con lo
champagne e con queste belle gnocche!”
Non si sa perché, ma, Busoni, venne accalappiato da
due funzionari della Gendarmerie che lo caricarono a
forza su una vettura nera nera che partì a sirene spiegate
in direzione Parigi centro.
La folla si ricompose e, mentre i solerti bodyguards papalini si incaricavano di requisire tutte le macchine fotografiche e le telecamere che avevano ripreso la poco
edificante scena, Sua Santità tracciò la papale benedizione, risalì sulla papamobile e, in strettissimo dialetto
swahili, disse all’esterrefatto autista: ”Pezzo di merda!
Che cazzo di figure mi fai fare! Portami di corsa all’aereo papale che quando siamo a Roma facciamo i conti!”
Rivoltosi poi, sorridente, al Segretario di Stato affabilmente disse:” Disponi perché questo buon cristiano sia
risarcito del danno subito; ogni Euro che venisse richiesto oltre i mille ricordati di farlo pagare alle chiese di
Francia in quanto il fatto è accaduto sul loro suolo…..
vai figliolo, vai”.
Dario, il grande, si rivolse al figliolo:”Darko! Che cazzo
è successo? Chi era quello lì? Dov’è, adesso, Busoni?
Chi è che paga i danni?”
“tranquillo, pà! I danni li facciamo pagare all’assicurazione della manifestazione (ovviamente non diciamo
che l’aereo era senza motore e senza gli interni) Busoni,
mi sembra che sia andato con alcuni suoi amici di Parigi
per qualche affare sicuramente interessante e poi chi sia
quello lì vestito di bianco che ci è venuto addosso…
boh…non ho idea, ma tanto…che ce frega? Paga l’assicurazione!”
cap 35
Agosto si stava avvicinando, indipendentemente dal volere o dal parere di Dario il grande portando, con l’afa,
una sorta di apatia che avvolgeva, subdola epperciò benvenuta, pian piano tutte le maestranze della V.I.S.P.A.
Ognuno, in quei giorni in cui l’asfalto diviene rovente e
molliccio, confidava al compagno di lavoro più prossimo le proprie aspirazioni per le imminenti ferie annuali
decantando la magnificenza probabile, anzi sicura, dei
luoghi esotici che l’avrebbero accolto per il meritato riposo.
Fra le mete più gettonate (escludendo RIMINI che da
sola raccoglieva l’85% delle preferenze fra gli “under
21”) si distinguevano Bagheria e Soverato.
La cosa diventa ovvia qualora si pensi che di queste
due cittadine erano originarie, in parti pressoché identiche, almeno 60 delle 70 persone censite in V.I.S.P.A.
con la mansione di “operaio”.
L’esistenza, quindi, di questi due, diciamo così, ceppi
etnici portò, da subito, fin dalla metà del ‘900, alla costituzione di due gruppi di potere ben distinti all’interno
dell’azienda.
Il primo gruppo a costituirsi, in maniera soft e nel corso
di almeno un decennio, fu il gruppo siciliano di Bagheria che riuscì a piazzare uomini del suo clan nelle posizioni di “vertice” della nascente potenza manifatturiera;
così il cugino di tal Cinerella Pantaleo, detto “scannacristi” divenne responsabile del magazzino e, in tale incarico, aveva la possibilità di “fornire” a prezzo di favore
lastre in alluminio aeronautico ad un altro suo parente
che, giustappunto, commerciava, nella cittadina d’origine, in materiali metallici pregiati.
Un altro posto chiave, alla V.I.S.P.A. , era quello di portinaio ed il gruppo insulare riuscì a piazzarvi il fratello
“disabile” del genero di Don Ciccio, marito della sorella
del già citato Cinerella Pantaleo, con l’ovvio precipuo
compito di favorire il passaggio, nelle ore notturne, degli autocarri in transito con carico di lamiere di alluminio aeronautico destinato a certi paesi della Sicilia.
A capo della linea di costruzione degli aerei destinati
alle Forze Militari il clan riuscì a piazzare Giulietto, detto vipera, elemento considerato valente meccanico grazie al fatto di aver sposato, in seconde nozze, donna Rosalia, non piacente vedova di Pino Caligiuri che si dice
si fosse ucciso con quattro colpi di lupara, due al cuore
ed uno ad ogni occhio, per non tradire un “uomo di rispetto”.
Il gruppo di “vispasiani” originari della piccante Soverato si era, invece, ritagliato un proprio feudo che stendeva la sua ombra sui reparti verniciatura e montaggio.
Questi due reparti, per ovvi motivi produttivi, sono
quelli più prossimi alla fase finale di allestimento dei
velivoli e, spesso, coincidono con le fasi di ultimazione
vera e propria degli aeroplani con la presenza sul posto
anche dei rappresentanti dei Clienti che sono soliti passare l'ultima settimana sugli aeromobili in finizione per
poter seguire di persona le delicate fasi di test ed accettazione prodotto.
Per questo i “calabresi” avevano posto i loro domini su
tali reparti; essi potevano dialogare con i controllori dei
clienti da cui, con abili manfrine desunte da anni di attento praticantato, riuscivano a sfilare interessanti emolumenti sotto le sembianze di mance elargite per garantire la “perfetta” esecuzione di ogni lavoro commissionato.
A volte i tecnici mandati dai clienti si mostravano inflessibili e poco propensi ad elargire “bustarelle”, ma,
ed era un punto di principio inderogabile, Lucio ed i
suoi accoliti non si davano per vinti e con sottili allegorie riuscivano SEMPRE ad ottenere la sospirata mancia
che, negli uffici dirigenziali, qualcuno osò anche definire “tangente”.
Capitò, ad esempio che, dopo tre giorni di oculato pressing, alcuni incaricati tecnici ancora non avevano offerto la “tradizionale” cena a base di capretti speziati con
peperoncino di Soverato e, tanto meno, avevano accennato alla possibilità di mettere mano al portafogli.
Nessun problema! Riuniti in sala mensa, come cospiratori della Giovane Italia, i nostri indefessi lavoratori misero ai voti le proposte volte a “velocizzare” il naturale
evolversi della situazione e, per acclamazione, fu la so-
luzione avanzata da cotal Ciccio ad avere il beneplacito
da parte del nobile consesso.
Invero la soluzione accettata non era una novità assoluta
e, quando attuata, aveva sempre dato buoni frutti in tempi rapidi; si trattava, semplicemente, di un piccolo, innocente, atto intimidatorio con un suo curioso rituale ormai standardizzato.
All'uscita serale i due ingegneri “da ammorbidire” trovarono la vettura di servizio con tutti e quattro gli pneumatici misteriosamente sgonfi per delle strane aperture,
larghe come una lama di coltello, createsi sui loro fianchi proprio in corrispondenza dei bordi dei cerchioni.
Le loro esclamazioni di disappunto si placarono quando,
a non più di un metro da loro, transitò una motocicletta
da cui il passeggero esplose nove colpi nove di pistola
che centrarono, in guisa di un'aureola, il cartello stradale
posto giusto giusto dietro la testa dei due ingegneri.
A quel punto sopraggiunse Ciccio con una vettura più
che decennale, ma rigorosamente “truccata” in stile
FAST & FURIOUS che si offrì di trasportare i malcapitati al loro albergo a pochi chilometri dalla V.I.S.P.A.
Purtroppo, proprio ad un rondò, incontrarono un'altra
vettura più che decennale, ma anch'essa rigorosamente
“truccata” in stile FAST & FURIOUS il cui pilota con
soave gesto mostrò a Ciccio una mano placidamente
cornificante.
Va da sé che un'onta del genere andava lavata con una
corsa all'ultima sbandata per cui il breve tragitto si trasformò in una 12 ore notturna senza esclusione di colpi
ivi compreso il non voluto, ma sempre bene accetto, in-
tervento di una Volante della PS lanciatasi all'inseguimento, vano, delle due vetture in competizione.
I pochi colpi di kalashnikov esplosi da Ciccio per pareggiare il crepitio prodotto dalla pistola automatica dell'avversario aiutarono ad alzare l'adrenalina della comitiva e non fu una sorpresa per nessuno vedere i due tranquilli ingegneri svenire sul sedile posteriore già alla
quarta rotonda imboccata contromano.
Verso l'alba, in ogni caso, i due malcapitati vennero scaricati di fronte all'hotel ove alloggiavano e qui vennero
raggiunti da un cugino di terzo grado del capo clan che,
soccorrendoli, raccomandò loro ciò che il suo ruolo prevedeva: “Ingegneri miei! Qui vi conviene che fate finire
in fretta l'aereo vostro... secondo me, che sono un vecchio del posto, stanno per fare ancora a botte le bande
che vogliono “fare fuori” la V.I.S.P.A. per cui, se sarei
in voi, farebbi in fretta a finire per andarmene a casa
mia....ma fate come volete....se potrebbi... io, al posto
vostro, ci darebbi una mancia al capo dei collaudi per
farci finire in fretta, però...vedino loro”
Stranamente la mattina seguente si videro i due ingegneri conversare fitto fitto con Capo Lucio a cui, si disse,
porsero una busta “imbottita” di colore giallino con la
scritta:<PER FINIRE>.
L'aereo venne deliberato alle ore 13:00 e già alle 14:00
era fuori dallo spazio aereo della V.I.S.P.A. con a bordo
i rinfrancati ingegneri.
Cap 36
Fra le svariate attività non lavorative tipicamente intraprese dai dipendenti di Dario, il grande, una in particolare occupò un suo spazio-tempo ben definito e meritevole di sottolineatura: la porchetta cotta alla fiamma ossidrica.
Storicamente tale pratica venne introdotta, si dice, dal
suocero di Capo Lucio che ne determinò anche i rituali
e le funzioni specifiche da tramandarsi per strettissima
via nepotistica.
In buona sostanza si trattava di questo: nel capannone
della verniciatura più lontano dagli uffici dirigenziali
era stato eretto, con tutti i crismi di robustezza necessari, un muro tagliafuoco che divideva in due parti asimmetriche il forno di verniciatura.
Nella parte più ampia si verniciavano gli aerei, nella
parte più angusta, circa 100 metri quadri, gli addetti alla
preparazione realizzavano, ogni fine di ottobre, un perfetto tappeto di erbe odorose e legni adeguatamente stagionati mentre la squadra dei fuochisti si preoccupava di
infiammare tale tappeto in modo omogeneo per averne
una brace uniforme su cui il gruppo degli spiedisti poneva a rosolare la porchetta che le abili mani di provetti
macellai aveva disossato in sala mensa: lo chef, Capo
Lucio, logicamente, vigilava che il maialino venisse arrostito e rosolato omogeneamente e, allorchè la cottura
era assolutamente perfetta, faceva staccare dallo spiedo
la porchetta e, con pochi ed abili colpi di coltello, ne
serviva le abbondanti porzioni a tutti i convenuti che,
ovviamente, si distaccavano dal proprio posto di lavoro
per partecipare al grande rito.
Di questa usanza Dario, il grande, ebbe sentore quando
si accorse che da circa tre settimane nello stabilimento
non vedeva più i suoi operai, nemmeno i prediletti, nonostante i cartellini di presenza fossero regolarmente
timbrati ed al loro posto nella rastrelliera.
Un ulteriore indizio che ci fosse qualcosa di anomalo
nella sua azienda Dario l'ebbe nel momento in cui si avvide dell'ingresso, dal cancello principale, di un'autobotte con la scritta “CHATEAUVADAVIALCUL” che
campeggiava su tutta la fiancata mentre sotto, in piccolo, lesse “vino per intenditori” e, l'autobotte, si dirigeva
a tutta velocità verso i reparti di verniciatura da cui provenivano un sottile aroma di barbecue e melodiose voci
intonanti “Calavrisella mia”.
Dario non sapeva darsi pace: c'era qualcosa che non andava per il verso giusto...già, ma... cosa?
Il suo sesto senso di imprenditore d'assalto gli diceva di
seguire l'autobotte e raggiungere il luogo da cui arrivavano l'effluvio ed i canti, ma il suo settimo senso lo frenava e gli dava altri consigli.
Impiegò quasi un'ora, in piedi in mezzo al piazzale, per
prendere una decisione che, lo sapeva e lo capiva, sarebbe stata foriera di grandi eventi e, infine, decise.
Decise di assecondare il settimo senso, quello che non
lo aveva mai tradito, quello che lo aveva sempre visto
primeggiare: si voltò, alzò la gamba destra, si chinò leggermente in avanti, fece partire un soave, delizioso peto
e poi si diresse, stanco morto, al divano presidenziale
ove si assopì nel sonno del giusto.
Venne svegliato l'indomani sera dalla premurosa Lina
che, donna dalle cosce calde, accortasi di trovarsi nel
letto con persona diversa dal legittimo consorte si pose
alla ricerca dell'amato marito in un subitaneo impeto di
vero amore in quanto “momentaneamente” sprovvista di
denaro liquido da versare al gigolò di turno.
Cap 37
A dispetto di ogni logica comune, ma a conferma della
ferrea legge che regna da sempre sovrana su ogni azione
di Dario il grande e che è, ovviamente, quanto di più incredibile sia umanamente possibile credere, l'appalto per
la costruzione dell'aereo presidenziale venne aggiudicato alla V.I.S.P.A.
Per la verità non tutto filò perfettamente liscio nel corso
dei due anni che occorsero per definire la pratica a livello ministeriale, ma, guarda il caso, ogni intoppo incontrato o dubbio sollevato dalla Commissione, venne volto, dal destino, a favore dell'impresa di Dario.
Innanzitutto il Generale Mino Sala venne colpito da ictus nel corso del viaggio di rientro a Roma per cui la sua
probabile denuncia del tentativo di corruzione operato
dal prode industriale nei confronti dell'intera Commissione non ebbe modo di essere redatta e rimase un solo
tarlo muto nella mente del povero militare ridotto a
poco più di una larva umana.
Gli altri membri della commissione, in attesa di conoscere il sostituto di Sala Mino designato dal Parlamento,
pensarono bene di non muovere alcun documento e di
non produrne, in ogni caso, di nuovi in quanto, come di
fatto avvenne, il Paese fu chiamato, ad aprile, alle solite
“elezioni politiche anticipate” e la volontà popolare sovvertì in modo totale gli schieramenti politici e fu, di
conseguenza, necessario provvedere al reimpasto totale
di tutte le commissioni di lavoro.
Alla fine di un ulteriore anno di alacri incontri protrattisi
sin anche oltre le due di notte presso i più quotati ristoranti della capitale i partiti politici si accordarono per la
conferma “in toto” dei membri della commissione designata per la valutazione dell'acquisto dell'aereo presidenziale salvo il fatto di sostituire l'invalido Generale
Sala Mino con tre colonnelli da scegliersi fra le tre armi;
in tale occasione si stabilì, quindi, anche la nuova regola
di equivalenza: 1 generale=3 colonnelli così come giusto tributo alla regola, mai scritta e sempre messa in atto
sui campetti di calcio di periferia, secondo cui 3 corner
consecutivi=1 rigore.
Mentre aviazione, marina ed esercito provvedevano, con
propri esami a scegliere ciascuno il proprio candidato i
vecchi membri della Commissione trovarono il tempo di
incontrarsi in Sardegna per accordarsi sulla gestione futura della commissione stessa dando per scontato che la
presenza dei tre nuovi membri sarebbe stata di pura “apparizione”.
Circondati da belle ragazze in topless e con i flutes sempre traboccanti di champagne gentilmente offerto dal
proprietario dello stralussuoso yacht che li ospitava e
che attendeva dal parlamento la conferma di “fornitore
ufficiale dello Stato per quanto concerne le bevande
analcooliche nei pranzi organizzati dalle rappresentanze
diplomatiche italiane in Italia” i commissari ebbero un
duro scontro promosso dal dottor Chiaretto.
Costui insinuò che sarebbe stato opportuno restituire
alla V.I.S.P.A. il denaro versato da Dario, ma in questo
suo proposito venne stranamente avversato dagli altri
membri che appoggiarono la tesi sostenuta dall'Arch.
Casomai:” Noi non dobbiamo rendere niente perchè
niente abbiamo percepito; se pagamento venne eseguito
esso fu eseguito al Generale Mino Sala che, qualora resusciti dal coma, potrà rendere, se lo riterrà opportuno,
il denaro incamerato. Il fatto che il generale ci abbia
elargito dei soldi è da ascriversi alla sua ben nota abitudine di voler gratificare con un segno tangibile il duro
lavoro dei suoi integerrimi collaboratori. Io non posso
credere che egli ci abbia voluto corrompere né tantomeno credo che i soldi consegnatici non fossero di specchiata ed esemplare provenienza”.
Cap 38
Nel frattempo anche Darko, il piccolo principe ereditario, incredibile a dirsi, optò per un viaggio a Roma al
fine di “smuovere” l'impasse sull'acquisto dell'aereo e,
per l'occasione, reputò opportuno avvalersi di un accompagnatore in grado di sostenere un eventuale colloquio tecnico.
Scartò, per questo motivo, la presenza al suo fianco di
tale Rebecca sua abituale partner nelle serate estive trascorse alla discoteca “Sex & Kokaine” e scartò anche
l'ipotesi “Ing. Zauri” perchè ritenuta troppo poco indirizzabile ai propri voleri; scelse, perciò, di farsi accompagnare dall'uomo immagine: Busoni.
Il viaggio venne compiuto in auto con Busoni alla guida
e Darko sul sedile posteriore destro impegnato in una
estenuante gara motociclistica sul pc portatile appositamente “caricato” con i migliori games in occasione dell'importante trasferta.
Per tutta la durata del viaggio, a parte il sordo brontolio
del motore diesel, gli unici suoni nell'abitacolo furono
quelli delle sgommate e delle accelerate provenienti dal
videogame con gli intercalari di Darko che, nei momenti
topici, si rincuorava con mugugni indistinti da cui, di
tanto in tanto, faceva trasparire un” evvai! Sono grande!”
Giunti al Ministero, l'astuto Busoni, per non cercare un
improbabile parcheggio, puntò direttamente il muso dell'auto verso l'ingresso d'onore e, al militare che lo teneva
ben sotto tiro con la mitraglietta spianata, abbassando il
finestrino sussurrò:”abbiamo appuntamento con il Parlamento, si sposti!”
Preso in controppiede dall'assurda proposizione, il giovane soldato si volse alla sua sinistra ed invocò l'aiuto
operativo del maresciallo dei carabinieri che presiedeva
la guardia; questi, avvicinatosi esordì con il più classico:” libretto e patente!”
“ma, scusi... mi chiede i documenti e mi fa perdere tempo mentre che dobbiamo andare a parlare con il ministro?”
“mi dia patente e libretto, per favore!”
“ma... non ha capito?.... devo parlare con il Ministro!”
“mi dia patente e libretto, per favore!”
“senta... lei è giovane... ti posso dare del tu? ... ecco,
vedi mi ha chiamato il Primo Ministro”
“dammi patente e libretto e... muoviti!!!”
Poichè il maresciallo sembrava irremovibile, Busoni,
con un sospiro di delusione, consegnò i documenti richiesti e qui....
“Caro il mio caro amico del primo ministro! Abbiamo la
patente scaduta, eh? E la revisione all'auto quando la
vogliamo fare? Fra sette anni, con comodo???”
“no, guarda bene! Ci deve essere uno sbaglio..... e poi...
la macchina non è mica mia, è di quello lì di dietro!”
Quel vociare aveva distratto Darko che, proprio in quel
momento, stava per registrare il miglior tempo sul giro
e, ovviamente, si adombrò con quella gente lì che lo stava disturbando.
“Cosa c'è? Eh? Cosa state dicendo? Dai Busoni! Non
stare fermo che ho fretta!”
“Veramente è questo maresciallo che non vuole farci
passare...”
Buon sangue non mente ed il giovane Darko, afferrato
in un attimo che c'erano responsabilità da assumersi in
vista, optò per la pluriconsolidata strategia famigliare:
scese velocemente dall'auto, si voltò verso Busoni e con
tono altero esclamò: “Busoni, cazzo! Io vado avanti a
piedi. Vedi di sbrigarti con i tuoi casini e lei,
capitano,colonnello o quello che è.....dica a quest'altro
qui che mi faccia passare che ho fretta, i documenti glieli darà il mio autista!”
Ciò detto si diresse con passo elastico verso l'androne
del vetusto edificio nobiliare e scomparve nella penombra lasciando i militari e Busoni attoniti a cercare di raccogliere le poche, ma molto ben confuse, idee.
Cap 39
La vettura fu posta sotto sequestro sino alla data della
revisione, Busoni venne denunciato a piede libero per
guida senza patente e gli venne comminata un'ammenda
stratosferica in quanto risultò, da indagini un po' più
puntigliose, che l'omuncolo aveva scorazzato in lungo e
in largo per tutta la Lombardia a velocità più che doppie rispetto a quelle imposte dal codice della strada e di
tali prodezze erano testimoni pressochè tutti gli autovelox lombardi che lo avevano più e più volte immortalato
in criminali sorpassi; non venne arrestato per la mediazione all'ultimo momento del vicepresidente della commissione ministeriale Ing. Cobalti cui il Busoni aveva
assicurato le prestazioni di una Escort tailandese particolarmente esperta in massaggi orientali.
Passato il momento di defaillance al commissariato Busoni si fece portare in taxi al ministero dove riuscì a raggiungere Darko trovandolo appisolato su una panca posta nel corridoio di fronte alle macchinette del caffè e fu
proprio all'aroma di un espresso che il Busoni era riuscito ad estorcere ad un usciere con la frase” queste macchinette non accettano le carte di credito...” che il giovane virgulto della lombarda dinastia imprenditoriale si
svegliò biascicando: “ dove sono?... ma chi sono
questi?”
Riavutosi (ok! Si fa per dire!!! ecchediamine...) il giovanotto afferrò il bicchierino di caffè portogli dall'ossequiente Busoni e, trangugiatolo, si alzò deciso per farsi
ammettere all'udienza con il Ministro.
Con inenarrabile sorpresa Darko e Busoni si trovarono,
non appena varcato il pesante portoncino, al cospetto
del Ministro che si limitò a dire:” Signori, benvenuti.
Questo è il mio staff tecnico-scientifico-burocratico-amministrativo che vi valuterà. Buongiorno.”
Detto questo il ministro si dileguò nei meandri del grande ufficio lasciando i due visitatori in piedi dinanzi ad
un'enorme tavolo di riunione intorno al quale erano ac-
comodati non meno di trenta burocrati che parevano la
fotocopia l'uno dell'altro sia nell'abbigliamento grigio
polvere dimesso sia nei volti rigorosamente anonimi ed
uguali a se stessi anche nel tedio che si portavano dipinto negli occhi nascosti da occhiali in tartaruga.
Cap 40
Un brivido, un brivido profondo, percorse la schiena di
Darko facendolo restare anche più attonito del solito
quando una voce anonima, assolutamente neutra ed assolutamente avvolgente, sì da parere che giungesse contemporaneamente da ognuno dei signori assisi al tavolo,
propose la prima domanda.
Una sola piccola domanda.
La domanda sembrava riecheggiare nel vasto ufficio ed
ancor più rimbombava nelle orecchie del piccolo erede
al trono di Dario il grande; una sola piccola domanda
che non ammetteva né se né ma, una domanda che esigeva una ed una sola risposta secca, senza possibilità di
giocare sull'equivoco in terpretativo.
Oh! mio Dio! Come rispondere ad una domanda così diretta, così....inequivocabile? Una domanda che, anche
analizzata nella sua esegesi più profonda, non celava
trabocchetti o reconditi misteri limitandosi ad essere una
domanda, una sola domanda diretta e pertinente che
spiazzava totalmente Darko da sempre abituato ad evadere (domande e fisco) a glissare sui perchè e sui percome, abituato a non rispondere .... ma, adesso, la domanda.... la domanda era lì, lì che lo percuoteva con tutto il
vigore delle domande che non ammettono altro che una
sola risposta chiara ed inequivocabile.
Era trascorso un minuto nel gelido silenzio dell'ufficio
dei burocrati ministeriali e Darko si fece forza, strinse i
pugni e soppesò ancora una volta la domanda:”Lei, giovanotto, come si chiama?”
Poi, in barba alle ascelle pezzate con i rivoli di sudore
che copiosamente scorrevano giù anche per i pantaloni
in lino ecru macchiandoli in modo indegno proprio nei
punti più critici, Darko trovò, da vero genio dell'elusione e figlio di.. cotanto padre, la risposta:”io sono accompagnato da lui che si chiama Busoni”
Sentendosi nominare e non avendo ancora capito dove
si trovasse e a che fare, l'uomo–immagine della VISPA
si fece avanti e, distribuendo appassionate pacche sulle
spalle a tutti i presenti, con un sorriso da furetto assassino e con il passo strascicato della iena ridens, iniziò e
terminò la sua personalissima presentazione del progetto
“aereo senza ali”.
“il nostro aereo è più bello di tutti perchè così ha detto
anche il papà di Darko che di aerei se ne intende, eh...!
per volare adopera un sistema così nuovo che nemmeno
noi lo sappiamo di preciso. Tutti i sedili sono imbottiti e
se si vuole, con poco prezzo in più, si possono fare anche con la vostra pelle. I disegni del progetto non li facciamo vedere perchè sono segreti e poi, diciamolo francamente, cosa ce ne facciamo? A cosa mai potrebbero
servire dei disegni? Inutili pezzi di carta che li capisce
solo chi li ha fatti? Tanto l'aereo lo facciamo a occhio,
con le mani... se volete possono venire anche loro ad
aiutare... in ogni caso se non dovesse andare bene lo aggiustiamo in garanzia!”
Nel corso dello sproloquio così poco formale Busoni si
era fatto almeno due giri completi intorno al tavolo gesticolando e traendo dalle tasche del giubbino bisunto
un numero imprecisato di biglietti da visita, della
V.I.S.P.A. e anche di altre aziende di cui era a vario titolo procacciatore d'affari o socio occulto.
In tale turbinio frenetico ed in modo assolutamente non
voluto, del tutto casuale, dalla tasca sinistra cadde a terra una fotografia...incredibile.
Cap 41
A notare che la fotografia era, a dir poco, eccezionale fu
il quinto burocrate assiso alla sinistra della poltrona,
vuota, del ministro.
Egli raccolse la polaroid da terra e, mentre la stava per
riconsegnare al Busoni, gettando uno sguardo stanco a
ciò che vi era raffigurato trasalì nel riconoscere nitidamente ed inequivocabilmente la figura di Dario, il grande, accanto a Sua Santità il Papa che sembrava benedire
un classico aereo della V.I.S.P.A.
Si trattava dell'unica foto sfuggita, per puro caso, all'incetta iconografica eseguita dal Servizio d'ordine del Vaticano in occasione della Fiera Aeronautica di Parigi allorchè il Papa venne, suo malgrado, coinvolto in un deprecabilissimo incidente occorso proprio nello stand di
Dario.
La meraviglia del burocrate, tale dott. Ing. prof. Bollo
Franco, responsabile della spedizione dei plichi sigillati
delle commissioni già nei tre Governi precedenti, si manifestò con un gridolino:”Oh! Ma questo è fantastico!
Dovevate dircelo subito che Sua Santità è un vostro
cliente!”
Ancora nessuno si era accorto di nulla per cui l'improvvisa esclamazione ebbe l'effetto di svegliare la sonno-
lenta assemblea che si movimentò immediatamente in
un crescente innalzamento dei borbottii di fondo sino a
far distintamente udire frasi come:” c'hanno la raccomannazione der Papa” - “si'r Papa s'è preso 'sto aereo,
l'aereo è bbono” - “famme vede la foto... Sua Santità è
venuto un po' mosso, però” - “'mortacci sua! So' tre
mesi che stamo a faticà e nun c'avevate deto che 'r Papa
è amico vostro” - “vabbè chiudemo la pratica: se assegna l'appalto per le garanzie riscontrate...”
Darko e Busoni si trovarono all'improvviso a strigere le
mani di quell'esercito di funzionari ed occorsero loro
quasi due ore prima che fossero in grado di intendere
cosa fosse successo nella maestosa sala, o, almeno, di
intendere che, per motivi a loro oscuri, la gara per la
fornitura dell'aereo presidenziale era stata inopinatamente aggiudicata proprio alla V.I.S.P.A.
Cap 42
A causa del sequestro della vettura e del ritiro della patente di guida del Busoni fu giocoforza necessario provvedere al rientro in sede con un altro mezzo di trasporto;
in prima istanza Busoni aveva proposto il noleggio di un
jet, ma, alla fine, prevalse la soluzione ideata da Darko:
treno locale in seconda classe con tempo stimato di percorrenza del tragitto Roma – Milano di circa 16 ore salvo ritardi.
Stipati nello scompartimento putrido e maleodorante
dove campeggiava un cartello risalente a due anni prima
in cui le F.S. garantivano di aver provveduto anche alla
pulizia dei rivestimenti dei sedili, Darko e Busoni si immersero nei loro pensieri e, quando il treno giunse ad
Orte, Busoni fu il primo ad esternare il proprio parere
sulla missione compiuta.
“Certo che se non c'ero io che conoscevo tutti i commissari mica lo prendevi questo appalto!”
“Eh,no, Busoni! Tu non conoscevi proprio nessuno!
sono stato io che gli ho spiegato come la mia azienda sia
la migliore del mondo!”
“Sì, vabbè... ma sono stato io che gli ho fatto capire il
progetto!”
“Il progetto, se è per quello, l'ha fatto mio papà con Babaricò e se non c'ero io che decidevo di venire a Roma,
mica facevamo il contratto!”
“Però a Roma ti ho portato io..”
“Certo, ma a casa ti porto io perchè sei riuscito anche a
farmi sequestrare la mia macchina, imbecille!”
Con questo clima pacato la conversazione si protrasse,
monocorde e monotematica sino a Milano dove il treno
giunse in ritardo di solo quattro ore e tale evento raro fu
oggetto di un servizio speciale dei telegiornali legati a
filo doppio con i poteri politici.
Il giorno seguente poco prima delle dieci e trenta, quasi
all'alba, per le abitudini familiari, Dario e Darko si incontrarono, commossi, nell'ufficio del d.i.o. (direttore
immensamente onnipotente) per congratularsi vicendevolmente del buon risultato commerciale raggiunto grazie ai loro sforzi ed alle loro congiunte e convergenti direttive imprenditoriali di largo respiro e tese al miglioramento dei servizi e dei prodotti.
I brevi convenevoli e le poche parole profferite bastarono a far raggiungere l'orario della pausa pranzo che padre e figlio decisero di dedicare, all'unisono, ad un sano
rito a loro sempre caro: si sdraiarono ognuno sul proprio
divano e, sempre all'unisono, attaccarono a russare con
il sano vigore di chi è giustamente stanco per la giornata
di pesante lavoro.
Cap 43
La messa in cantiere dell'aereo presidenziale seguì il solito iter con le snelle procedure interne di una azienda
lombarda modernamente attrezzata.
Per prima cosa alle 10:19 il responsabile commerciale,
dott. Darko, convocò una riunione ufficiale con una perentoria comunicazione interna scritta di suo pugno:
<domani, giovedì,
riunione di tutti coloro che sono indicati di seguito presso il mio ufficio alle ore 11:25 per definire produzione
nuovo aeromobile.
Devono venire:
resp. Acquisti - dott. Casini
resp. Qualità - ing. Terrini
resp. Progettazione - ing. Zauri
resp. Commerciale - dott. Darko
resp. Produzione - dott. Darko
resp. Risorse Umane - dott. Darko
resp. Logistica - dott. Darko
resp. Sistemi Informatici – sig. Stamberga
resp. Amministrativo – rag. Cirione
Chi non sarà presente verrà iscritto sul registro degli assenti. Le decisioni saranno prese dalla maggioranza e
saranno democraticamente approvate dall'amministratore unico.>
La segretaria dagli occhi color polvere sporca venne incaricata di fotocopiare il raro documento manoscritto
alle ore 11:38 ed ella, proprio a cinque minuti dal suono
serotino della sirena di fine lavoro, riuscì nel difficile
compito dopo aver inceppato per non meno di 12 volte
la vetusta fotocopiatrice situata nello scantinato odoroso
di muffa stantia in virtù dell'assoluta mancanza di ventilazione.
La soddisfazione di essere riuscita a portare a compimento l'ardua impresa rese quasi euforica la ragazza
che, mentre sbatteva le sgualcite copie sulla scrivania di
Darko, esclamò: “ecco, dottore! Io sono riuscita a fare
tutte le fotocopie, ma... cazzo, che corsa che ho dovuto
fare! Pensi che culo: a mezzogiorno non sono neanche
andata a mangiare! Per riuscire a finire, porca troia,
non ho neanche risposto al telefono! Adesso, però, vado
via subito che mi scappa una pisciata... sono cinque ore
che non vado al cesso!>
Darko, per nulla sorpreso dallo sproloquio della segretaria e dal suo colorito nonché grazioso intercalare, degnò
di uno sguardo minimo il plico di fotocopie che veniva
malamente adagiato sulla scrivania, ma subito ebbe un
sussulto quando realizzò che il plico di fotocopie era costituito da fogli A4 in formato intero quando sarebbe
stato evidente ad ogni parsimoniosa persona che su ogni
foglio ci potevano stare almeno due comunicazioni con
l'evidente risparmio del 50% sul costo della carta per cui
sbraitò:<Cazzo un corno!!! ma lei si rende conto di cosa
ha fatto? Ma si rende conto, Graziella, che mi ha fatto
spendere il doppio di quello che serviva? Ma dico io!>
<scusi dottore, ma cosa avrei dovuto fare?>
<ma come? Doveva fare la fotocopia su metà foglio,
evidente, o no? Non ha visto che metà foglio è bianco?>
<ha ragione... ma non si preoccupi! Domani mattina appena arrivo in ufficio le rifaccio le fotocopie su metà foglio, stia tranquillo, ci penso io!>
Così dicendo la segretaria Graziella, più veloce della
luce, si riappropriò dei fogli, li pareggiò e con due colpi
decisi li strappò per il lungo e per il largo gettando poi i
pezzi nel cestino sotto la scrivania.
Compiuto l'inconsapevole gesto riparatore e tutta concentrata sulla attività che l'indomani mattina avrebbe
dovuto affrontare la segretaria girò sui tacchi delle sue
scarpe da tennis e se ne uscì con leggiadria dall'ufficio
in cui l'allibito Darko iniziava a versare calde lacrime
sopra la scrivania su cui si era appena consumato un
evidente attacco alle sue finanze che uscivano impoverite da quella faticosa giornata lavorativa.
Cap 44
L'indomani Graziella fornì a tutti i colleghi l'ennesima
prova del suo innegabile talento nel compiere il proprio
dovere fino in fondo anche contro ogni possibile avversità: alle 8:30 era già nel sottoscala di fronte alla monumentale fotocopiatrice e alle 11:10 sulla scrivania di
Darko c'erano già tutte e 9 le fotocopie richieste.
Certo non tutte erano della stessa dimensione, non tutte
erano perfettamente linde e non tutte erano senza spiegazzamenti, ma... erano lì. Pronte!
Nel sottoscala, accanto alla fotocopiatrice, circa 250 fogli giacevano variamente tagliuzzati in ordinato disordine, a testimoniare le difficoltà incontrate dalla preziosa Graziella nell'eseguire le fotocopie una alla volta per
poi procedere alla rifilatura della parte non stampata;
certo che per la brillante segretaria continuava a rimanere un mistero di come si potesse pensare di risparmiare
metà foglio quando lo si tagliava e lo si buttava via...
mah....
Darko, entrando in ufficio alle 11:15, vide le fotocopie
della convocazione e, soddisfatto per essere riuscito a
far capire cosa si deve fare per risparmiare, le raccolse
per consegnarle di persona ai destinatari in modo da assicurare la regolare effettuazione della importante riunione.
E la riunione, puntualmente in ritardo di 40 minuti, iniziò ed iniziò con il consueto appello promosso da Zauri:
<per regolarità della riunione leggerò i nomi dei convocati e metterò a verbale l'esito:
resp. Acquisti - dott. Casini – presente
resp. Qualità - ing. Terrini - presente
resp. Progettazione - ing. Zauri - presente
resp. Commerciale - dott. Darko – momentaneamente
assente
resp. Produzione - dott. Darko – momentaneamente assente
resp. Risorse Umane - dott. Darko – momentaneamente
assente
resp. Logistica - dott. Darko – momentaneamente assente
resp. Sistemi Informatici – sig. Stamberga - presente
resp. Amministrativo – rag. Cirione – presente
a questo punto, verbalizzando, non posso non notare che
la proprietà che aveva indetto la riunione brilla per la
sua ”momentanea” assenza per cui mi chiedo e vi chiedo: cosa dobbiamo discutere in questa riunione urgente?
>
il primo a rispondere fu il pragmatico rag. Cirione: <
Ormai è mezzogiorno. Tagliamola su con 'ste stupidate
e andiamo a casa a mangiare la pastasciutta! Io, per me,
non so neanche perchè abbiamo perso 'sto tempo...>
<Ma, ragioniere! Se il dottor Darko ha indetto la riunione deve essere che era una cosa importante! > a parlare
fu Stamberga, noto leccaculo di ogni e qualsiasi potente
o presunto tale, ma le occhiatacce dei colleghi ed in particolare quelle del dott. Casini che doveva ancora fermarsi a fare la spesa commissionatagli dalla moglie, ricondussero Stamberga a più miti consigli:< vabbè...vuol
dire che dopo la pausa pranzo ci ritroviamo per ascoltare cosa deve dirci il dottore...>
Così con la solita rapidità la riunione si sciolse e ciascuno degli astanti prese la via del ritorno al desco.
Cap 45
Darko, con il volto ancora assonnato, entrò in ufficio
solo alcuni minuti dopo che i suoi “convocati” se ne erano dipartiti e, abbastanza stupito di trovare il locale deserto, si attaccò al telefono per ricercare suo padre che,
al dodicesimo squillo si degnò, bontà sua, di sollevare la
cornetta per rispondere: “ Chi è???”
“Sono io, chi vuoi che sia? Non vedi il numero del chiamante?”
“Il chiamante??? ma.. non sei Darko?”
“Certo che sono io, ma, dico, ti sei rincoglionito che non
mi riconosci neanche più?”
“ Sì che ti ho riconosciuto, ma tu mi fai le domande trabocchetto... cosa è che vuoi?”
“E' che avevo richiesto di fare una riunione, ma non c'è
nessuno! Mi sa che sono andati a pranzo...”
“Quante volte te lo devo dire che le riunioni non servono a niente! E poi... anche tu... le fai all'ora di mangiare!”
“Non potevo farla prima! Io ho tutte le cose da fare per
far marciare questa ditta! E più tardi devo andare allo
yachting club per ascoltare una conferenza sul tipo di
acqua più idoneo per le piscine di montagna!”
“Questa è una ditta di merda! Non star lì a fare tanti discorsi! Tanto tutti qui, operai, impiegati, dirigenti sono
come i muratori: quando suona la sirena mettono giù il
secchio e tutti gli attrezzi e...via a casa! Non c'è più spirito di collaborazione! Capaci solo dei chiedere i soldi a
fine mese, 'sti lazzaroni! Nessuno che facci un'ora di
straordinario a gratis ... Mi viene voglia di chiudere tutto
e andare in Messico, così imparano, 'sti barboni!”
“Ecco, bravo! Chiudiamo tutto! Con i soldi che recuperiamo vendendo gli immobili potremmo acquistare un
Locale in Malesia che un mio amico ha detto che viene
via a poco prezzo ed è comprensivo di ragazzine che
rendono un casino! Tu vai in Messico e io in Malesia a
dirigere il mestiere! Dai che lo facciamo!”
“No non possiamo! Dobbiamo prima fare l'aereo del
presidente se no ci mettono in galera, abbiamo già preso
l'acconto e ho firmato che lo consegniamo prima di Natale!”
“Ah ecco per cosa era la riunione! Adesso mi ricordo,
ma tu...perchè non sei venuto a riunirti?”
“Non sono venuto...non sono venuto... perchè...perchè...
perchè non lo sapevo! E poi... perchè dovevo venire?”
“Tu non sai mai niente! Non fai più niente in questa
azienda! Devo fare tutto io! Pazienza! Sono uno sfigato
con un padre rincoglionito...”
“Uhei! Modera le parole! Se questo rincoglionito non
c'era... tu a quest'ora non stavi qui in un ufficio di lusso
a grattarti la pancia! Se non ci fossi io... tu, questa ditta
di merda, la mangi fuori in meno di un mese! Ricordatelo!”
Cap 46
La conversazione, finalmente, aveva preso il giusto e
solito indirizzo dialettico di educata contrapposizione
fra le due generazioni che tornavano a confrontarsi sui
temi universali della libera imprenditoria dove padre e
figlio, pur accomunati dalla solida tradizione dinastica
di fancazzisti plurimi ed ignoranti, avevano ognuno una
propria linea di condotta che perseguendo il medesimo
ideale li poneva , però, in netto contrasto.
Dario perseguiva il dolce far niente attraverso la schiavizzazione dei dipendenti, mal retribuiti e continuamente repressi in ogni loro anelito alla libertà di pensiero, in
modo da poter disporre di bestie da soma adatte a produrre a basso costo ciò che egli riusciva a piazzare sul
mercato a prezzi che gli consentivano redditi al di sopra
di ogni ragionevole proporzione.
Darko, invece, era più propenso a realizzare profitti attraverso la gestione del denaro mediante acquisti al limite dello strozzinaggio o comunque della legalità di beni
che poi rivendeva con più o meno accentuati ricarichi
truffaldini ad ignari clienti.
Entrambi, a fine mese, verificavano i rispettivi introiti
secondo la raffinata e sofisticata tecnica bancaria delle
due tasche: se nella tasca sinistra metto i soldi che guadagno e nella tasca destra i soldi che devo spendere con-
tinuerò ad essere ricco ogni volta che la tasca sinistra
conterrà più soldi della destra.
Questa sopraffina contabilità aveva una variante escogitata da Dario ed ancora non ben assimilata dalle banche
che permetteva di travasare dalla tasca destra alla sinistra qualunque somma qualora il titolare delle tasche ritenesse opportuno che la tasca destra rimanesse vuota.
Ovviamente, come tutte le innovazioni, anche questa
manovra di tipo economico aveva qualche detrattore
che, stranamente, apparteneva sempre al gruppo dei creditori che qualche volta si rivolgeva alla magistratura,
ma di ciò Dario non si curava ben conoscendo i tempi di
reazione delle istituzioni e, soprattutto, di quanto cortesi
verso la sua augusta persona fossero i giudici regolarmente registrati sul suo personalissimo libro paga.
Tra un battibecco e l'altro padre e figlio riuscirono ad
impegnarsi sino a pomeriggio inoltrato allorchè, accortisi dell'ineluttabile trascorrere del tempo e sforzandosi
di vincere la forza di gravità che voleva ad ogni costo
far loro chiudere le palpebre verso il basso per un sonno
ristoratore, radunarono, come cani pastore con il gregge,
tutte le maestranze che capitarono loro a tiro per svolgere l'importantissima riunione introdotta dal verbo di
Darko:
Cap 47
“Come c'era scritto sul foglio della convocazione oggi
dobbiamo fare questa riunioncina per decidere un attimino su come fare per finire in tempo l'aereo del presidente che deve assolutamente essere consegnato entro
Natale”
“Scusa, Darko, ma lo sai quanti mesi mancano a Natale?
Per fare un aereo di normale produzione ci vogliono 18
mesi e questo è addirittura un tipo nuovo!”
“Ingegner Zauri, lei è il solito disfattista! Bisogna usare
un po' di fantasia.... che diamine! Se non dovesse essere
pronto tutto intero vuol dire che ne consegneremo metà.
L'importante è consegnare in tempo!”
“Scusate se mi intrometto – a parlare era Terrini – ma
non credo che sia possibile consegnare un aereo a metà,
credo che non possa volare...”
“Terrini, Terrini! Anche lei non vuole capire! Noi ci siamo impegnati a consegnare l'aereo entro Natale e lo
consegneremo! Per questo vi ho riuniti: così ognuno si
prende un compitino da fare e facendolo benino secondo
il mio programmino che ho già scritto sul mio quadernino faremo tutto l'aeroplanino! Cazzo! Bisogna trattarvi
proprio come bambini altrimenti non capite niente!”
“Senti un po', genio della programmazione – Zauri cominciava ad imbufalirsi – e maestro del marketing e
professore della progettazione: lo sai o non lo sai che, a
parte il tempo di progetto e di costruzione, ogni aereo
deve essere collaudato?”
“Ma allora lo fa apposta! Lei proprio non vuole capire:
non ho detto che dobbiamo collaudare l'aereo. Ho detto
che dobbiamo consegnarlo! In qualunque modo, ma
dobbiamo consegnarlo! Lei, Babaricò, che è una persona di esperienza cosa consiglia?”
“Ecco... secondo me mi pare che non c'è il tempo che ci
vorresse però se si fa fare qualche pezzo a qualche ditta
esterna e si fanno un po' di straordinari magari di domenica... si potrebbe anche riuscire a farlo, magari senza
montare i motori e senza verniciarlo....”
La risposta del prode vecchietto era in perfetta sintonia
con il Darko-pensiero e rischiava di far salire ulteriormente le quotazioni di Babaricò agli occhi della proprietà per cui Busoni intervenne immediatamente per guadagnarsi ulteriori punti di stima:
“Io sono sicuro che riusciremo a finirlo tutto l'aereo,
anzi! Senza fare straordinari, che costano e non rendono, si potrebbe farlo costruire tutto a una ditta fuori così
che se non fanno in tempo ci facciamo pagare la penale
e noi ci prendiamo anche quel guadagno lì”
L'uovo di Colombo!
Dario, il grande, non potè non ammettere che quel Busoni lì.... era un genio!
Ciononostante, ligio al suo pragmatismo, il grande si rivolse all'uomo-immagine della V.I.S.P.A. e, in tono burbero, esclamò:
“Non diciamo stronzate! Se lo facciamo fare a un'altra
ditta ci tocca pagarlo! Io non ho intenzione di fare guadagnare quelli che non fanno niente intanto che io ci rimetto! In ogni modo la riunione è finita. Darko dopo
vieni nel mio ufficio che ti spiego come faremo. Voialtri, intanto, cercate di fare finire i lavori che ci sono in
linea che poi faremo la cassa integrazione! ”
Cap 48
L'ultima frase di Dario, il grande, lasciò di sale tutti gli
astanti.
Ma, come? L'azienda aveva acquisito un'importante
commessa per il presidente della Repubblica e, invece
di attivarsi per incrementare le risorse ed il giro d'affari
con un'accorta campagna pubblicitaria, l'amministratore
unico, senza nessun preavviso, se ne usciva minaccian-
do la cassa integrazione!?
Nel silenzio gelido e foriero di tempesta la voce normalmente stentorea del dott. Casini risuonò improvvisamente cupa come rintocchi di campane a morto:
“Porca puttana! Ho appena acceso un mutuo per la
casa...”
Busoni, impietrito e, se possibile, ancor più scuro in volto sibilò:
“ma.. ma io ... io non c'entro con la cassa integrazione, a
me non possono farla fare!...Credo...”
Così dicendo la sua mente sveglia stava già valutando le
eventuali prospettive di accasamento presso aziende
concorrenti cui, era noto a tutti tranne che a Dario e
Darko, faceva regolarmente pervenire le copie di ogni
contratto e/o offerta che transitava in V.I.S.P.A. in
modo da garantirsi, se del caso e questo era uno di quei
casi, la giusta riconoscenza.
Terrini, rivolgendosi in particolare all'ing. Zauri, ma a
voce ben chiara per essere sicuro che tutti udissero:
“Ritengo che ci siano gli estremi per avvertire i sindacati e per convocare un'assemblea pubblica, ma non conosco le procedure...tu, Zauri, che sei stato anche sindacalista cosa dici che dovremmo fare?”
“tanto per cominciare mi sembra evidente che non si
deve permettere a questi due deficienti che vorrebbero
essere imprenditori di portare all'esterno alcuna lavorazione, poi, giustamente, facciamo in modo che i sindacati alzino il culo e vengano, una volta tanto a fare la
loro parte!”
Alea iacta est!
Cap 49
In un tempo passato Zauri, in effetti, era stato anche
eletto come rappresentante sindacale dagli operai della
V.I.S.P.A. creando il curioso caso di un dirigente che si
assumeva l'incarico di organizzare il movimento operaio
e le sue rivendicazioni salariali.
Il motivo di questa antitetica posizione, antitetica almeno dal punto di vista della cosiddetta normale gestione
delle imprese, è da ricercare nella piena fiducia che l'uomo si era guadagnata da parte di tutti gli operai che gli
riconoscevano indubbie qualità carismatiche di leader e
soprattutto una profonda onestà unita ad una altrettanto
profonda comprensione delle vicende personali ed il tutto condito con una dialettica accattivante supportata da
una cultura solida e di derivazione sessantottina.
Quando una delegazione delle maestranze si recò dall'ing. Zauri per comunicargli l'esito delle votazioni assembleari da cui il suo nome era uscito “motu proprio”
per acclamazione pressochè unanime, Zauri accolse
commosso la notizia e si premurò di richiedere immantinentemente una riunione plenaria per esprimere il suo
punto di vista.
La riunione si svolse dopo solo 20 minuti dall'avvenuta
proclamazione all'interno del reparto presse; su un approssimativo palco eretto per l'occasione fra le uniche
due presse, obsolete e non a norma, che davano il nome
al rumorosissimo reparto, Zauri fece tacitare la folla con
un gesto della mano e chiese di togliere corrente alle
presse per poter essere udito anche in fondo al reparto.
“Signori, non mi viene di dire compagni, ma, semmai
colleghi e uomini! Ho appena ricevuto la notizia in cui
mi si dice che, a mia insaputa, mi avete eletto vostro
rappresentante sindacale.
Questo significa che, fra di voi, non c'è più nessuno che
vuole prendersi 'sta briga; vuole anche dire che non sapete più che pesci pigliare per farvi riconoscere quei minimi diritti e quel minimo sindacale di stipendio da parte della proprietà di questa azienda; rivolgendovi a me
sperate che io possa “ammorbidire” Dario per il fatto
che sono abituato a tenergli quotidianamente testa senza
assurdi timori reverenziali.
Mi sta bene rappresentarvi! Ma.... occorre che siano ben
chiari alcuni punti su cui non posso transigere:
 con gli altri 3 delegati con cui viene costituito il
nuovo nucleo sindacale dovremo avere carta
bianca per impostare le strategie rivendicative.
 raccoglieremo democraticamente e in forma
anonima le richieste da presentare alla proprietà
e sottoporremo alla proprietà solo le richieste
“sensate” e comunque sostenute da un minimo
di 15 persone.
 Non sottoporremo alcuna richiesta sino a quando
anche uno, uno solo di noi tutti, non sarà assolutamente in regola con ogni dovere sancito
(esempio: timbrature in orario eseguite di proprio pugno e conseguente rispetto degli orari di
lavoro) perchè non possiamo chiedere nulla se
prima non ci siamo ripuliti di quei piccoli o
grossi “peccati” che potrebbero esserci rinfacciati e potrebbero poi essere usati come strumento
contro le nostre stesse richieste.
Se ci impegnamo tutti su questi principi: va bene! Si comincia!”
Inutile sottolineare che un'ovazione accolse le parole di
Zauri che venne, addirittura, portato a spalle sino al suo
ufficio fra due ali di lavoratori osannanti.
Da dietro le colonne Dario, il grande, accucciato nella
penombra profonda, aveva seguito ed ascoltato ogni parola tenendosi il fazzoletto appoggiato alle labbra che,
letteralmente, schiumavano di rabbia.
Nel suo petto il cuore batteva all'impazzata ed il grande
extra lavoro della vitale pompa traspariva anche dalle
tempie dove le vene pulsavano, ingrossate a dismisura,
in modo assolutamente percepibile anche ad un occhio
non allenato.
Nella sua testa, notoriamente vuota e non adusa a sollecitare i pochi neuroni presenti, un solo pensiero si librava nel vuoto pressochè assoluto andando ad urtare le
ossa craniche e producendo un tonfo sordo con un rumore di rimbazo come di un'eco profonda: “bisogna eliminare Zauri!”
Con questa, diciamo, idea in testa Dario, il grande, si discostò dal percorso che il corteo di operai andava tracciando e si recò nel suo ufficio dove era atteso da Sandrino che lo accolse con parole che definire rincuoranti
è veramente una stupenda esagerazione: “Alora? Te sei
contento che adesso dobbiamo darci i soldi agli operari?
Io te l'avo detto che il Zauri non dovevi prenderlo!
Quello lì è un diavolo! E adesso ci mangia fuori i nostri
soldi! Dovevamo chiudere la serranda cinque anni fa,
quando lo dicevo io! Prendevamo i nostri danée e andavamo in Tailandia a farci le ragazzine a gratis! Ma te ...
No! Te devi fare il capitano delle industrie! Pirla d'un
pirla!”
Con queste sante verità Sandrino uscì dall'ufficio, uscì
dall'azienda e si diresse al noto bar del ristorante-pizzeria El Tigre per una sana sbronza con cantatina finale.
Dal canto suo Dario scelse la strada dell'illuminazione:
entrò in bagno e, sedutosi comodamente sul water, diede
libero sfogo agli intestini desideri.
Morfeo lo accompagnò sino al mattino seguente tenendoselo in grembo come amoroso padre tiene l'indifesa
creatura.
Cap 50
A neppure cinque mesi dalla avvenuta investitura, i nuovi rappresentanti sindacali, capeggiati dall'ing. Zauri,
presentarono una formale richiesta di incontro sindacale
alla Proprietà mediante una lettera manoscritta fatta pervenire a mezzo delle Poste Italiane che, trattandosi di
una raccomandata con avviso di Ritorno, pensarono
bene di recapitarla nel tempo medio di recapito che, in
quei tempi, significava 2 mesi giusti giusti; certo! tempi
record che oggi manco ci sognamo, ma...tant'è.
Ricevendo la missiva, Dario, il grande, intuì che si trattava di una “grana” forse perchè aveva notato che sul retro della busta, accanto al mittente (Rappresentanti
Aziendali Sindacali della V.I.S.P.A.) qualche ignota
mano aveva disegnato un proiettile su cui era in bella
mostra la scritta “DA DARE A DARIO”.
Il possente imprenditore, sprezzante di ogni pericolo, lacerò la busta e, inforcati gli occhiali di lettura che teneva appesi ad una catena in oro massiccio normalmente
sufficiente a sostenere un'ancora da 25 Kg , iniziò a sillabare a mezza voce il manoscritto badando bene di eseguire a voce più alta la rilettura di ogni parola ogni volta
che la parola stessa era stata sillabata:
“e-gre-gio (egregio) sig. (sig) Da-rio (Dario),
a (a) no-me (nome) di (di) tut-ti (tutti) i (i) di-pen-den-ti
(dipendenti) ri-chi-e-di-a-mo (richiediamo) un (un) incon-tr-o (incontro)p-er (per) av-via-re (avviare) u-na
(una) tr-at-ta-ti-va (trattativa) con (con) trat-tu-a-le (trattuale ???) (ah!, contrattuale)”
La lettura del lungo brano si svolse, comunque, entro la
serata di quella stessa giornata lavorativa per cui, quasi
all'ora di cena, Dario si premurò di convocare nel suo
ufficio il fratello Sandrino per renderlo edotto dell'evolversi della situazione, cosa che fece usando termini
meno letterari di quelli appresi durante la lettura, ma,
comunque, in grado di chiarire sia cosa stava accadendo
sia il Dario-pensiero.
“Senti, Sandrino, i sindacalisti hanno scritto che vogliono avviare a trattarci come trattoristi, ma io adesso li
faccio venire domani e ci dico chiaro e tondo che noi
non trattoriamo, noi fiamo gli aereioplani e che non
rompano i coglioni; secondo te va bene?”
“mah... sei di sicuro che vogliono fare i trattori? Non è
che che non hai capito bene e loro vogliono che ci facciamo una mangiata in trattoria come facevamo una volta?”
“Ma che trattoria! Non sono scemo, neh! Son capace di
leggere,io!”
Detto questo i due fratelli si separarono ed ognuno raggiunse la propria abitazione dove entarmbi filarono direttamente a letto ad attendere che la notte portasse consiglio.
Il giorno seguente, di primissima mattina, alle 10:30,
Dario fece convocare i facinorosi sindacalisti nel suo ufficio dove, per la prima volta in assoluto alla V.I.S.P.A.
oltre alla poltrona di Dario c'era, al lato destro, una poltroncina su cui sedeva uno stranito imberbe ragazzino
che venne solennemente presentato da Dario il grande: “
Questo è Darko! Questo è il mio figliolo! Il mio figliolo
prediletto. A lui vi inchinerete così come a me. Ma a comandare sarò sempre io!”
Assolutamente colti di sorpresa da tale esternazione i
quattro R.A.S. trattennero a stento la spontanea risata
che affiorava alle labbra e per voce del più anziano di
loro, Nani Castelvecchio, dichiararono aperta la seduta:
“Caro Dario, le cose che dobbiamo chiederle, a nome di
tutte le maestranze sono poche, ma precise:
1. aumento di tutte le paghe almeno fino ai livelli
previsti dal contratto nazionale
2. istituzione di un premio di produzione
3. un locale mensa o, almeno, attrezzato a refettorio
4. la messa in sicurezza e a norma di tutti gli impianti.
Vorremmo una risposta entro 15 giorni”
Dario, dopo circa venti minuti di profonda riflessione, si
rivolse al piccolo Darko: “ Vedi? Ho fatto bene a portarti in ditta! Così capisci come è faticoso lavorare con
questi qui che cambiano idea dalla sera alla mattina! Ieri
volevano fare i trattoristi, oggi vogliono i soldi più un
premio per mangiarlo fuori in un refettorio fatto con i
miei impianti! Cosa faresti tu? Dai... dammi un parere,
anche se inutile perchè non sei ancora capace di fare
l'imprenditore...”
E Darko parlò.
“Papàaaaa! Che palleeeee! Io devo andare al Circolo del
Golf per iscrivermi al torneo, cosa vuoi che mi interessi
di queste storie qui?Ciao, io vado.”
E Darko uscì.
Confortato dal parere del figlio, sorretto dalla sua capa-
cità di discernimento e forte di una incontaminata arroganza Dario, il grande, optò per una soluzione morbida
della crisi che si stava profilando.
“Lazzaroni! Vi licenzio tutti! Altro che darvi i premi!
Fuori a calci in culo, bastardi!”
Detto questo anch'egli uscì e, salito su un aereo appena
ultimato, senza nessuna richiesta di piano di volo diede
tutta manetta e si diresse verso l'alto dei cieli.
Cap 51
La risposta sindacale alla “proposta” di Dario non si
fece attendere: bandiere rosse, striscioni con scritte non
proprio osannanti alla proprietà e volantini informativi
apparvero quasi per magia nel giro di pochi minuti e tutte le maestranze si riversarono all'esterno dell'azienda
per uno sciopero improvviso con picchettaggio e blocco
delle merci in entrata ed in uscita.
In effetti sulle merci in uscita furono fatti alcuni distinguo per consentire il regolare flusso degli autocarri caricati con le lamiere destinate alla Sicilia dal noto gruppo
di potere che presiedeva a tale attività, ma, nel complesso e per la prima volta alla V.I.S.P.A. si stava attuando e
stava riuscendo una manifestazione sindacale.
L'eco di tale avvenimento raggiunse anche la sede dei
sindacati confederali (C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L.)che si affrettarono ad inviare un gruppo di attivisti di supporto
dotandoli di uno sgangherato furgoncino da cui un posticcio e gracchiante altoparlante diffondeva slogans
standard e canzoni partigiane.
Con il calare della sera si accesero, di fronte al cancello
principale, alcuni fuochi ed intorno ad essi si disposero,
a cerchio, i dipendenti della V.I.S.P.A. con le loro famiglie che avevano portato, oltre al conforto morale della
vicinanza, anche conforto materiale sotto forma di lasagne al forno, spaghetti aglio olio e peperoncino e spiedini di salamelle da abbrustolire sui fuochi.
Prima di mezzanotte erano stati svuotati già diversi bottiglioni di Manduria e, inevitabilmente, erano iniziati i
primi canti da falò con lo stentoreo accompagnamento
di due chitarre suonacchiate dai figli di Giulietto.
Con l'incedere della notte si affievolirono le luci dei
fuochi e si abbassarono le voci dei cantanti che, piano
piano e uno a uno si rintanavano dentro i sacchi a pelo
per concedersi al sonno della prima notte di picchettaggio della storia dell'azienda di Dario, il grande.
L'aurora, rossa di fuoco, con i suoi bagliori solleticò le
palpebre di quelle genti e, a poco a poco, l'accampamento estemporaneo si animò, prima di ombre intorpidite e
poi, con l'alba, di figure ben distinte che si stagliavano
nitide contro la grigia recinzione aziendale trasformata,
ben presto, in un vasto orinatoio maleodorante.
I fuochi furono riattizzati e le donne prepararono caffè
bollente che venne servito in una grolla a suggellare l'unità di intenti di quella massa umana conscia, finalmente, di poter disputare un incontro quasi alla pari contro
un uomo che aveva tutta l'intenzione di mantenerli nello
stato di quasi semi-schiavitù che, sino a quel momento ,
aveva contraddistinto i rapporti lavorativi alla
V.I.S.P.A.
Poco prima dell'ora di pranzo arrivò, di fronte al cancello sbarrato, la berlina blindata di rappresentanza di Dario con, alla guida, un torvo elemento, già noto alle forze dell'ordine per danni al patrimonio, sfruttamento della prostituzione, aggressione a mano armata e porto abu-
sivo di armi da fuoco.
Sul sedile posteriore, ben rannicchiato nella morbida
pelle, sentendosi protetto dall'occasionale “guardia del
corpo” che si era scelto per la bisogna, Dario, il grande,
canticchiava una canzoncina che aveva imparato a memoria nei cinque anni che gli erano occorsi per frequentare le prime tre classi elementari e guardava, con aria di
sfida, quegli omuncoli che volevano impedirgli di entrare nella “sua” ditta.
“Dario! Scendi! Aumenta gli stipendi!”
“Stronzo! Padrone! Sei un gran buffone!”
Le rime non erano certo delle migliori sia dal punto di
vista metrico che da quello lessicale, ma, indiscutibilmente, rendevano i concetti che permeavano la protesta.
Dal suo sedile anche Dario, attraverso un microfono
collegato ad un megafono esterno, pensò bene di esprimersi con un linguaggio degno del clima sindacale di
cui era pervasa l'aria:
“Aprite il cancello o vi taglio via l'uccello!”
La frase, scandita e urlata dall'altoparlante, non fu accolta benissimo dai dimostranti che si sentirono un po' insultati e passarono, in un attimo, dal dire al fare menando grandissime mazzate con occasionali spranghe di ferro contro le lamiere dell'auto ammaccandola per ogni
dove; i vetri, pure se blindati, si incrinarono in più punti
e Dario, quando i “rivoltosi” misero mano al capottamento della vettura, sentì distintamente un puzzo nauseabondo salire dal sedile al suo naso mentre le sue natiche andavano come inumidendosi di qualcosa di altamente scivoloso.
Aggrappato al microfono come se fosse un fuscello con
proprietà taumaturgiche urlò con quanto fiato aveva in
gola:”Basta! Mi arrendo! Aprite che firmo!”
Purtroppo la frase venne recepita, all'esterno, con un attimo di ritardo ed in tale attimo la vettura fu girata a
ruote all'aria per cui anche quando il cancello fu aperto
non fu possibile far transitare la vettura in cui anche l'estemporaneo autista andava annusandosi per ogni parte
del corpo alla ricerca dell'origine dell'orrendo olezzo
che aveva invaso l'abitacolo.
Nel tardo pomeriggio, dopo una lunga doccia ed essersi
cambiato gli abiti, Dario ricevette nel suo ufficio i quattro R.A.S. Cui rivolse parole di equilibrato, sano senso
imprenditoriale: “Siete dei pirati! Mi state costringendo
a darvi i miei soldi, ma.....non finisce qui! Vi licenzierò
tutti, uno alla volta!”
L'ing. Zauri lasciò che queste e altre simili frasi venissero profferite dall'imprenditore magno tacitando ogni
tentativo di interloquire da parte dei suoi colleghi poi,
quando Dario cominciò a dare segni di apnea, intervenne:” Innanzitutto la ringraziamo per la cortese disponibilità ad incontrarci...”
“Disponibilità un cazzo! Mi state costringendo.......
(...ecc. ecc. ecc...)” Dario era paonazzo.
“Come le stavo dicendo, sig. Dario, noi, oltre alla richiesta di un miglior salario su cui vediamo che concorda...”
“Concordo un cazzo! Mi state costringendo.......(...ecc.
ecc. ecc...)” Dario era livido.
“Bene, dicevo.... desideriamo anche farle presente che
sarebbe oltremodo opportuno, per il bene dell'azienda,
che l'azienda stessa si dotasse di quei minimi elementi
di sicurezza per assicurare ai lavoratori un ridotto rischio di infortuni...”
“Infortuni un cazzo! Mi state costringendo.......(...ecc.
ecc. ecc...)” Dario era terreo; la sua voce era poco più
che un rantolo e il suo ansimare lo stava inesorabilmente portando verso un'ischemia.
“Perfetto! Vederla concorde ci rasserena e non mancheremo di segnalare ai lavoratori che ci stanno attendendo
nel nuovo locale refettorio che il forno a microonde
scalda pasti sarà offerto dalla proprietà”
“Proprietà un cazzo! Mi state ...” Dario svenne.
Cap 52
Ora, a distanza di così tanti anni, si stava profilando all'orizzonte della V.I.S.P.A. un nuovo momento ad alta
tensione, ma, questa volta , Zauri non aveva intenzione
di mettersi in gioco.
La sua discesa in campo di anni prima aveva, è vero,
portato ad una razionalizzazione dei comportamenti
aziendali e ad un aumento delle retribuzioni, ma poi,
con i vari clan esistenti e le subdole manovre della proprietà, si erano venute creando situazioni di ancor maggior tensione che mettevano lavoratore contro lavoratore
a discapito della faticata coesione iniziale.
Questa volta, Zauri, si chiamò fuori; che fossero i sindacati ufficiali a traghettare la sgangherata azienda al ventilato fallimento.
Con questa situazione “elettrica” ed un clima da ultima
spiaggia affrontato da tutti, proprietà, direzione e maestranze, con lo spirito del tanto peggio tanto meglio iniziò alla V.I.S.P.A. quella che avrebbe dovuto essere la
costruzione dell'aereo presidenziale.
Busoni stabilì, motu proprio, che le lavorazioni di carpenteria dovessero essere eseguite, su indicazione semplicemente orale, da due bravi ragazzi extra comunitari,
di origine egiziana, facenti parti di una cooperativa per
il lavoro interinale.
I due giovanotti nel nostro Paese da solo due mesi, capivano a malapena l’italiano ufficiale e decisamente non
comprendevano lo strano idioma italo-piemontese-calabro–siculo con inflessioni romagnol-umbre mitigate da
sfumature liguri che costituiva il normale mezzo di comunicazione verbale delle maestranze che Busoni si
onorava di poter comandare a suo piacimento in guisa di
novello paladino del lavoro (altrui, ovviamente).
Fatto sta che, nella totale assenza di un progetto effettivamente redatto e verificato, i poveri malcapitati volonterosi ragazzi alto-africani cercarono di capire, dai gesti
più che dalle parole di Busoni, cosa egli volesse da loro;
si guardarono negli occhi e, parlandosi nella lingua natia, stabilirono per proprio conto cosa dovessero fare.
Iniziarono così a tagliare di buona lena e rigorosamente
a mano quintali e quintali di tubi in lega leggera con dimensioni di tutti i tipi per poi tentare di saldarli fra di
loro a formare quella che avrebbe dovuto essere una intelaiatura a gabbia per definire la fusoliera.
Ovviamente, essendo nati pescatori del sacro Nilo, non
avevano molta dimestichezza con le tecniche di saldatura aeronautica (ed in questo erano perfettamente allineati con le capacità medie delle maestranze della
V.I.S.P.A.) per cui compensavano la loro scarsa capacità di saldatori con una davvero invidiabile abilità nell’eseguire ogni sorta di nodo marinaro utilizzando piccole
corde di juta con cui collegavano i vari tubi.
Nel corso di solo tre settimane nel reparto carpenteria si
stava materializzando, non si sa come e non si sa perché, un piccolo capolavoro di ingegneria strutturale che,
stranamente, per l’occhio di un eventuale esperto di
aviazione, andava assomigliando più ad una feluca che a
un aeroplano, ma …tant’è…. la costruzione procedeva
spedita e ricca di nodi marinari nella piena soddisfazione di Busoni e di Dario il grande.
Quest’ultimo ebbe più volte modo di insultare pesantemente i due egiziani, che non diedero peso alle offese
per il solo fatto che non comprendevano la lingua, definendoli mangiapane a tradimento e bastardi comunisti.
Vi è da dire che, come sempre quando alla V.I.S.P.A. si
iniziava a costruire un nuovo aereo, Dario si dimostrava
estremamente presente nel reparto di costruzione arrivando a passare anche più di due ore consecutive accanto alla nascitura opera dedicandosi a spronare i lavoratori con le più svariate espressioni gergali atte a sottendere
una professione di simil-meretricio per le madri dei dipendenti.
Dipendenti che, essendo spesso di lingua, usi e costumi
diversi, non sempre apprezzavano lo spensierato intercalare e, nel chinare il capo per non farsi udire più di
tanto, sbottavano contro la figura del padrone, sottovoce, in frasi che se fossero tradotte nella lingua di Dante
sonerebbero così offensive da far parere le invettive di
Dario innocenti giaculatorie profferite da novizie.
Anche Busoni e Darko, ovviamente, presenziavano
spesso all'incipiare dell'opera presidenziale e fra di loro
e Dario, il grande, era una gara continua a sparare ignobili direttive tecniche che, grazie al cielo, i due ragazzi
egiziani non capivano e, se capivano, non mettevano in
pratica.
Così venne il momento di rivestire con le lamiere d'alluminio la struttura tubolare allestita dai valenti carpentieri che, come detto, assomigliava più allo scafo di una
barca che ad un aereo, ma di questo nessuno parve ac-
corgersi.
Nessuno non è corretto: Babaricò, di ritorno da due mesi
di cure termali in Liguria, appena rientrato in fabbrica
vide lo scempio in corso e si precipitò da Zauri:
“Ma…ingeniere! Ma ha visto cosa stanno facendo in officina? Ci son là due beduini che hanno messo insieme
una … una… una cosa di tubi tenuti lì da corda e fil di
ferro! Sembra un … un barcone quella cosa lì!”
“Caro Babaricò, vada dai nostri due industriali, padre e
figlio, e da Busoni (spirito santo) e veda di spiegargli
che quella cosa che stanno facendo costruire non va
bene nemmeno come serra per i pomodori! Vada! Vada,
ha tutta la mia ammirazione, mi creda!”
“Ma ci vado sì! Cosa crede? Che c’ho paura di dircelo
che stanno facendo una cazzata?”
E Babaricò uscì dall’ufficio tecnico per entrare con fiero
cipiglio in quello di Dario il grande dove, con enorme
sorpresa non trovò il valente imprenditore bensì un manipolo della Guardia di Finanza.
Cap 53
“Buongiorno, come fate a essere qui? Chi è che
cercate?”
Babaricò, intimidito dalle divise ed ancora più dalle
stellette che si trovavano sulle divise, cercò, con gli occhi che roteavano a velocità incredibile, un punto in cui
le sue pupille non potessero incontrare lo sguardo inquisitore dei finanzieri.
Questi se ne stavano bellamente spaparanzati sui divani
che ospitavano di norma le due menti della V.I.S.P.A. e
da tali postazioni scorrevano gli sguardi qui e là per
l’ufficio direzionale cercando di comprendere quale sovrumana mente architettonica potesse avere ideato l’arredamento e la sua disposizione in quanto pareva evidente a tutti che se si fosse potuto prendere tutto il mobilio e lo si fosse fatto piovere alla rinfusa da 500 metri
di altezza sicuramente il risultato estetico finale non
avrebbe potuto essere peggiore di quanto stavano osservando.
Tali considerazioni erano perloppiù le stesse che chiunque entrasse nell’ufficio di Dario, il grande, si trovava
forzatamente a fare in quanto l’accozzaglia di stili, colori e la caotica disposizione non potevano che essere il
frutto di un primordiale big-bang mal riuscito o di una
mente indegna di essere ospitata persino nel cranio di un
ominide.
Le considerazioni di Babaricò ed il suo manifesto disagio di fronte alle fiamme gialle vennero interrotte dal
susseguirsi di un ritmico tonfo alternato ad uno strascicamento,rumori che contraddistinguono l’incedere dello
zoppo ed in particolare,alla V.I.S.P.A. segnalavano l’avvicinarsi di Lui, di Dario il glande.
Entrò, Dario, a fronte alta, con sguardo altero, sudorazione diffusa ed evidente, pancia prominente come prua
di ghiozzo e, senza passare per stupidi convenevoli tipici delle civiltà evolute, puntò diretto al nocciolo della
questione che ancora doveva essere esternata: “Non ho
fatto niente! La parte amministrativa la segue il mio ragioniere, la parte tributaria la segue il mio commercialista, la parte sicurezza sul lavoro la segue il mio consulente esterno, le tasse le segue il mio fiscalista e per
quanto riguarda infrazioni al codice della strada c’ho il
mio bravo avvocato…. Per cui… vi do i numeri di telefono e chiamate questi qui. Io adesso devo andare…”
“Mi spiace dirglielo, signore mio, ma … credo che lei,
per qualche giorno non potrà andare da nessuna parte. Io
sono il colonnello Versamento e ho con me, oltre agli
ufficiali e sottufficiali che poi le andrò a presentare, anche un mandato di perquisizione ed un avviso di garanzia che le mostro…”
“Ma no! Se le ho appena detto che io non c’entro! Ho
un appuntamento con il mio dentista che sono già 3 settimane che lo rinvio! Non ho tempo da perdere a stare
qui ad ascoltarvi!”
“Benissimo, signor Dario! Vuol dire che non staremo
qui ad annoiarla e la portiamo subito con noi in caserma
dove, nella tranquillità di una piccola celletta, avrà tutto
il tempo di rilassarsi e di raccontarci per filo e per segno come ha fatto, l’anno scorso, a portare in Svizzera,
a Lugano, per la precisione, presso l’USB, la bellezza di
360 milioni di Euro senza passare per le normali transazioni bancarie regolamentari…”
Babaricò, che si era quasi mimetizzato con le pareti in
un angolo dell’ufficio, ritenne opportuno non interloquire e decise di rimandare a migliori tempi le sue considerazioni sulla realizzazione in corso dell’aereo e, piano
piano, zitto zitto, quatto quatto, si strusciò sino alla porta.
“Altolà lei! Dove crede di poter andare? Ci dica, lei chi
è e a che titolo è presente in questo ufficio?”
La voce del colonnello gelò il sangue nelle vene al capo
officina.
“Io sono Babaricò, il capo officina, ma adesso sono in
pensione. Mi pagano in nero per non farmi abbassare la
pensione che sto prendendo, ma io di queste cose qui
non so di niente”
OOPS! Un altro uovo rotto si aggiunse alla frittata.
“E bravo, il nostro Babbariccò! Lui lavora in nero! Non
versa contribbuti, non li fa versare all’azienda, non dichiara redditi…. Bbene bbene bbene! Se non le spiace,
si accomodi sulla sedia che poi ci racconterà qualcosina
ancora, vero? Intanto, tenente Aiferri, faccia una segnalazione all’INPS ed all’ispettorato del lavoro, grazie.”
Se fosse stato umanamente possibile Dario avrebbe volentieri fatto teletrasportare Babaricò attraverso la parete
per farlo seppellire sotto qualche decina di metri cubi di
calcestruzzo in qualche fondazione di piloni autostradali
presso qualche cantiere “amico”, ma la presenza del colonnello e delle altre “bestie assatanate di sangue” (questo il suo modo di vedere la situazione) non gli permettevano certo di porre in essere la desiderata soluzione finale per cui, colto da una intensissima sudorazione fredda, si lasciò cadere, semisvenuto, sul divano preferito.
E si addormentò.
Cap 54
Come sempre, da che la V.I.S.P.A. ebbe modo di esistere, anche in quell'occasione di evidente cataclisma incipiente, la santa patrona della famiglia, ovvero Santa Bustarella del Silenzio d'oro, ebbe la capacità di evitare
ogni guaio a Dario e discendenza.
Le sole condizioni poste dalle innumerevoli ed integerrime personalità degli organismi statali di controllo intervenute a vario titolo nel prosieguo della vicenda furono quelle che prevedevano l'istituzione di un vitalizio a
carico dell'azienda aeronautica con beneficiarie le intere
famiglie dei funzionari di stato fino alla terza generazione; va da sé che le rendite erano esentasse e calcolate in
ragione del 70% dello stipendio lordo di ogni funzionario maggiorato, ogni anno, di un tasso fisso pari al 12,75
%, il tutto versato su anonimi conti correnti di un istituto bancario delle isole Cayman che già operava in
modo assolutamente ineccepibile con non meno di metà
dei Ministeri romani.
Per festeggiare degnamente la fine dell'incubo, Dario il
grande non si volle fare mancare niente e, in prima persona, senza il fidato apporto dell'Alfonso Tour, organizzò presso l'Hotel Principe di Savoia una “festicciola”
che riuscì a dare lavoro per non meno di otto mesi ai
vari rotocalchi e tabloids che si occupano da sempre degli eventi mondani e delle performances dei VIP e delle
Starlettes di turno.
Cap 55
La festa iniziò con un sontuoso aperitivo servito nel mitico giardino d'inverno dell'hotel che accolse gli ospiti in
un'atmosfera sfarzosa ispirata allo stile barocco con
marmi policromi e con un soffitto a cupola in vetro soffiato colorato composto a mosaico.
Lo champagne “Krug 1982 Collection” non scorreva a
fiumi, sgorgava da ogni dove per raccogliersi in piccoli
laghetti dove, dopo solo mezz'ora si erano languidamente sdraiate diverse ninfette seminude, pazientemente
raccolte una ad una sulla superstrada Milano-Lecco dal
volonteroso imprenditore che se ne circondava e beava
come se si trattasse di impareggiabili Muse.
Nel breve volgere di un'altra mezz'ora le troiette avevano raggiunti livelli alcoolemici tali da far loro cadere,
come se ce ne fosse stato bisogno, ogni freno inibitore
per cui, discinte e arrapate si trascinavano da un invitato
all'altro senza trascurare nemmeno gli azzimati camerieri poco avvezzi a veder sorgere dal nulla tutte le condizioni necessarie e sufficienti a trasformare quella che
doveva essere una garbata festa in un festino orientato al
sesso sfrenato.
L'acme lo si raggiunse alle 22 allorchè il sempre perfido
Busoni raggiunse l'allegra combriccola portando con sé
un sacchetto di cellophane contenente un mezzo kilo di
polverina bianca che, per non saper né leggere né scrivere, gettò in aria, con ampio e misurato gesto, vicino
alle bocchette dell'impianto di condizionamento in
modo che, in un attimo, tutta la sala ne fu pervasa e,
con la sala, ogni narice presente.
Dario, il glande, con i pantaloni rimboccati al polpaccio,
il villoso torso nudo, le scarpe di vernice slacciate, l'immancabile catenazza d'oro al collo ed un superbo Vacheron & Constantin in oro e diamanti al polso sinistro,
le braccia avvinte su due ragazze vestite di solo perizoma e con le tette ben serrate nelle flaccide mani era il sicuro ritratto della felicità.
I suoi occhi si beavano di cotanta lussuriosa gente e le
sue labbra erano avidamente protese verso ogni bocca
femminile che passasse nel suo raggio d'azione; con il
passare dei minuti cominciò a non andare troppo per il
sottile ed a non disdegnare anche qualche lingua maschile o, almeno tale in origine.
Cap 56
A mezzanotte, preceduta da body-guards e da uno stuolo di fotografi vocianti, arrivò anche la Star della serata:
alta, su possenti zeppe con tacco da 22, prosperosa
come sanno essere prosperose le trentenni rifatte, bionda
innaturale con riflessi grigio-cenere, vestita di un niente
di voile griffato, le lunghe unghie scure e a taglio quadrato, gli occhi civettuoli con grandi, enormi, ciglia finte che ammiccavano da dietro un paio di occhiali rosso
fuoco con lenti bianche “flashate” la Divina buzzurra
romana si avanzò sculettando e, raggiunto Dario, gli
sussurrò nell'orecchio destro: “a miciò! So' quattro cartoni, sa?! Nun famo che poi te dai, pija li sordi e ficcali
in d'a mano de Oreste mio che me fa d'aggente!”
Dario, solleticato sul lobo dall'alito profumato della futura promessa del cinema italiano, ebbe un fremito in
tutto il corpo e si scoprì capace di avere ancora un sano
precoce orgasmo.
Raggiunto così il primo traguardo della serata egli si rivolse con bovino occhio velato e languido alla bellona:
“ci metto altri 4 cartoni, come li chiami te, se adesso andiamo su nella suite con queste mie quattro amiche e
questi miei due compari!”
“ Eh no! bello mio! Li patti so' patti: 4 cartoni a testa!
Artrimenti vai de mano!”
La trattativa si concluse secondo i desideri di Dario che
dopo nemmeno 10 minuti era già sdraiato sul letto a baldacchino in compagnia del commercialista e dell'avvocato con le ragazze che se li coccolavano mentre terminavano di svestirli.
Non fu necessario andare sotto la doccia.
Dario, sopraffatto dalle abitudini, sentendo il morbido
materasso sotto il suo sederone pallido, in men che non
si dica si addormentò di un pesante sonno ristoratore.
Cap 57
Giù nel salone principale, Darko, sconsolato per lo sperpero di denaro e risorse attuato dal valente genitore, si
affannava a rincorrere i camerieri per assicurarsi che
ogni preziosa stilla di champagne venisse versata nei
flutes che gli innumerevoli ospiti protendevano in continuazione.
Nel mucchio selvaggio di “quasi-ministri” e relativo seguito, di “quasi-generali” e relativi attendenti, di “quasidive” ma sicure zoccole che gremivano il salone si aggirava anche un uomo che sembrava assolutamente spaesato.
Era, quest'individuo, di evidenti origini asiatiche e si
muoveva impettito come se avesse un palo infilato nel
sedere facendosi notare in quella infernale bolgia di desnudos per l'abito nero di Armani pervicacemente chiuso su una camicia in seta pura di un tenue rosa che accoglieva nel lungo colletto una cravatta itoriata con fili
d'oro zecchino mentre i polsini sfoggiavano quattro brillanti di pregevolissima fattura e grossi come pistacchi.
Le scarpe nere in vernice sfavillavano sotto le mille
lampade dei lampadari dorati ed i capelli dell'orientale,
neri già per natura, erano resi ancora più neri da una tintura protetta da una spessa impomatatura di solido e luccicante gel.
Diverse ragazze avevano tentato di coinvolgerlo nei
mille giochi che ben conoscevano, ma, sordo ad ogni richiamo dei sensi, l'uomo se le scrollava di dosso con un
tepido sorriso ed un piccolo movimento delle mani quasi a voler garbatamente scacciare fastidiose mosche;
sola presenza che pareva gradire era quella di una graziosa signora di evidente pari etnia che, in un magnifico
tailleur di Dior, rimaneva sorridente accanto a lui sfoggiando un sorriso patinato tra labbra lucidissime di color
rosso acceso.
Fra i due orientali, di tanto in tanto, si veniva accennando una conversazione in giapponese stretto infarcito di
nasalissimi “oh” profferiti dall'uomo.
Cap 58
Dopo circa due ore anche Darko si accorse prontamente
delle due presenze extra-europee e, felicitandosi in cuor
suo di aver trovato finalmente due persone morigerate
non dedite al gozzovigliamento gratuito, decise di
omaggiarle con la sua bella presenza.
Nel corso della presentazione seppe di trovarsi di fronte
ad uno dei più importanti imprenditori giapponesi, Shoko Fujito San, scortato dalla fedelissima interprete conoscitrice di dodici lingue dodici, di nome Si-Suk-Kio, venuto al Principe di Savoia in compagnia dell'amministratore delegato della camera di commercio italo-giapponese a sua volta invitato da un quasi-generale della
Guardia di Finanza che, appena varcato l'androne di ingresso, si erano subito volatilizzati con quattro procaci
ragazze.
La conversazione tra Darko e Shoko, grazie alla pronta
ed efficace interprete che si premurava di correggere gli
inevitabili errori di grammatica del figlio di Dario, scivolò ben presto su argomenti relativi alla finanza internazionale, alle difficoltà dei mercati e via su queste
amenità che Darko conosceva come conosceva a memoria la Divina Commedia.
Inevitabilmente il giapponese, che non per questo era
stupido, si accorse in fretta di avere a che fare con un
cialtrone della più bella razza, ma, da uomo di mondo
navigato, non abbandonò la conversazione ed, anzi, la
protrasse avviandola su temi che, a suo parere, avrebbero potuto rendergli sonanti Yen nel breve periodo approfittando dell'ingenuo interlocutore italiano che, lo si capiva benissimo, non aveva mai trattato con l'estero.
Tempo un'ora di conversazione Darko era pronto a sottoscrivere la cessione di una quota della V.I.S.P.A. all'illustre Shoko Fujito San e per formalizzare il tutto si diedero appuntamento per il mese seguente presso gli uffici
di Darko che, in tale lasso, avrebbe dovuto provvedere a
creare una apposita azienda a capitale misto.
Cap 59
Quando Shoko San si congedò dal ragazzo era ormai
l'alba; i camerieri iniziavano a riordinare i locali premurandosi innanzitutto di discernere tra i rifiuti accatastati
per ogni dove i corpi intontiti di ballerine, attricette,
ospiti illustri e meno illustri che sotto l'effetto di ogni
sorta di sostanza se ne stavano a rantolare e gemere
come mendicanti, pur non avendone la medesima dignità.
Dentro le camere del fascinoso albergo il russare dei festaioli invitati da Dario non oltrepassava i pesanti tendaggi e nei corridoi rivestiti di tappeti felpati risuonava
un che di quieto sospiro.
Fuori l'alba avanzava e sotto la sua luce opalescente la
nebbiolina notturna si sfilacciava in migliaia di vaporose ed inconsistenti nuvolette effimere.
La città metropolitana con il fragore dei tram, il rombo
delle automobili ed il vocio dei primi indaffarati uomini
della city di contrappunto al sonno degli ospiti dell'hotel
si svegliava vigorosamente, pronta ad irretire nelle sue
spire ogni umana energia del popolo lavoratore.
Dario, Darko e tutta la genia orgiaiola dormivano russando a più non posso e questo loro sforzo fisico era, di
tanto in tanto, sottolineato dall'emissione sfinterica di
gas da fermentazione che, seppur non scientificamente
definito in assoluto, sicuramente aiutava ad aumentare
sul nostro già malsano pianeta l'effetto serra la cui presenza certo non ci rassicura per l'avvenire.
Se si scioglieranno i ghiacciai del Polo Nord e quelli
delle catene alpine o della Patagonia non potremo additare Dario & C come colpevoli del cataclisma, ma, sicuramente, potremmo già da ora additarli, comunque, al
pubblico ludibrio come fulgidi esempi di purissimo inutile cazzismo lascivo.
Cap 60
Nel corso del mese che lo separava dal pianificato incontro con Shoko-san, Darko fu incredibilmente attivo
riuscendo, con sovrumano sforzo, ad essere quasi sveglio già alle 9:30 per organizzare quanto discusso e preventivato con il giapponese.
Per prima cosa, assistito da un ragguardevole numero di
legali e commercialisti, si dedicò alla ricerca del nome
per la nuova Società che stava creando e che avrebbe
ceduto all'uomo venuto dall'Oriente.
Al terzo giorno di brain-storming, mentre addentava voracemente un'economicissima pizza Margherita stando
rilassato alla sua scrivania, ebbe l'illuminazione: la na-
scitura azienda si sarebbe chiamata:” ROTTAMI USATI SELEZIONATI PER AVIAZIONE” in ciò inscrivendo già nella titolazione il ruolo precipuo che le era affidato.
Immediatamente Darko diede disposizione perchè fossero approntati i necessari documenti presso la Camera
di Commercio e le Istituzioni correlate, fece approntare
la carta intestata ed i biglietti di visita, i prospetti per le
fatturazioni e, immancabile, il logo, rigorosamente in
bianco e nero per contenere i costi.
Ovviamente lo studio del logo non venne affidato, come
logica vorrebbe, ad uno studio grafico, ma fu “allestito”
da Darko stesso che con mirabile senso estetico e assoluta incapacità cognitiva si limitò a fotocopiare, in bianco e nero, il logo dell'ALITALIA per trasformare la stilizzata “A” in una pressapochistica “R” sotto cui campeggiava la scritta “RUSPA”.
Fiero della geniale soluzione raggiunta il piccolo principe si dedicò allora a preparare il “pacco” da tirare all'illustre Shoko-san e per completare tale operazione si rivolse, anche se a malincuore, al vero genio del turlupinamento che, guarda caso, era il suo amato genitore e
Dario, il grande, non si fece pregare.
In quattro e quattr'otto, in totale autonomia e senza minimamente interpellare né i sindacti dei lavoratori né
l'Associazione Industriali, Dario licenziò dalla
V.I.S.P.A. quasi tutti i dipendenti che, immediatamente,
riassunse in RUSPA a stipendio ridotto.
Chi, timidamente, una volta appresa la notizia del proprio trasferimente alla nuova Azienda, ebbe l'ardire di
mugugnare venne subito ripreso, al calare del sole e nell'ufficio presidenziale, da Dario con argute parole: “
Senti, farabutto mangiapane a tradimento: se vuoi conti-
nuare a pagarti il mutuo della casa tu passi da VISPA a
RUSPA in silenzio e senza fiatare, altrimenti ti licenzio,
comunque, dalla VISPA e poi vai da un avvocato per
farmi causa e per i prossimi venticinque anni oltre a dover cercare i soldi del mutuo dovrai anche cercare i soldi
per pagarti gli avvocati e per cercare di mantenerti,, te e
la tua famiglia. Chiaro? In fondo ti faccio fare un affare!”
La prospettiva di passare venticinque anni a mantenere
avvocati e giudici e cartabollari vari ebbe su tutti i pochi
dissenzienti il potere di ridurli a più miti consigli e qualcuno anche si propose a Dario come uomo disponibile a
lavorare a titolo gratuito ogni ultimi tre giorni lavorativi
del mese pur di non vedere più arrabbiato il grande industriale od il di lui amabilissimo figliolo.
Tutto è bene quel che finisce bene e la RUSPA partiva
nel miglior modo possibile per poter ben naufragare a
comando.
Cap 61
Il molto onorevole Shoko Fujito San accompagnato dall'onnipresente traduttrice – segretaria – geisha Si-SukKio arrivò alla sede della RUSPA, ricavata mediante
veloce pitturazione in calce di uno dei magazzini dismessi dalla V.I.S.P.A. con lampade al neon ripulite alla
bell'e meglio e pavimenti pietosamente ricoperti da una
dozzinale moquette sintetica in color viola e giallo, a
bordo della sua Roll's Royce Silver Ghost in colore oro
zecchino guidata da un energumeno con la divisa da
fattorino del grand'hotel.
A ricevere l'ospite/acquirente Dario e Darko delegarono
Teresa, una delle segretarie più anziane della V.I.S.P.A.
che per l'occasione, trepidante e assolutamente compenetrata nel ruolo di “ambasciatrice” che le veniva assegnato, fece uno strappo alle sue decennali abitudini e si
recò da un'estetista per una seduta di messa a punto.
Maria Stella, l'estetista della donna bella, quando vide
entrare la lunga e ben pasciuta segretaria ebbe, di primo
acchito, l'impulso a mollare tutto il suo negozio per darsi ad una sana vita ascetica in prossimità delle cime innevate del Nepal, ma poi l'innato senso del volersi cimentare anche nelle sfide impossibili la costrinse a mettere mano a quell'essere vagamente femminile che le si
parava davanti.
Furono necessarie 14 ore di ininterrotta e frenetica attività, ma, alla fine, Teresa, almeno da ferma, sembrava
una piacente donna cinquantenne a dispetto dei suoi
quarant'anni; certo, quando prese a camminare, si ripalesò tutto il suo background contadino soprattutto nella
camminata che più che ad un incedere ancheggiante faceva pensare ad una sussultante andatura da dromedario
lanciato al galoppo sulle dune del Sahara.
Ebbene, con tale civettuola andatura ed una “mise” adeguata (camicetta in flanella verdolina stampata a fiorellini rosa, minigonna plissettata color amaranto, calze a
rete blu, stivaletti alla caviglia in pelle marrone con tacchi a spillo cromati) Teresa si avvicinò ai giapponesi e,
con un goffo inchino, aprì la bocca ad un fantasmagorico sorriso ben evidenziato dalle labbra con rossetto di
un bel carminio acceso per esclamare:”Venghino, che ci
faccio vedere dove dovete andare!”
Le tre persone entrarono in fila indiana negli uffici della
RUSPA dove trovarono una scrivania in ferro con ripiano in cristallo, l'angolo era palesemente rotto e mante-
nuto con nastro adesivo per imballaggi, due sedie da cucina impagliate, provenivano da una casa di campagna
di Dario, una poltroncina azzurra gonfiabile, rimasuglio
di un allestimento fieristico, un imponente divano in
pelle nera visibilmente antico e logoro; alle pareti alcune stampe dozzinali senza cornice ed appese con nastro
biadesivo mentre, di fianco alla porta di ingresso, era visibile un calendario di Playmen vecchio di quattro anni
e da cui la playmate del mese non negava ad alcuno il
piacere di ammirarne ogni fattezza.
“vi porto un caffè?adesso arriverà anche il signor Dario
che lo beve di sicuro!”
“grazie, signora, il molto onorevole Shoko Fujito san
gradirebbe un cappuccino italiano molto caldo in tazza
calda con latte freddo e con molta schiuma tiepida, polvere di cacao e un pochino di cannella con zucchero di
canna”
“Urka...”
Abbiamo un bel dire della globalizzazione.....i giapponesi hanno imparato tutto dei nostri gusti e delle nostre
raffinatezze, solo che siamo noi che non le conosciamo!
Così Teresa, affranta e sconsolata, si diresse verso l'unica macchinetta del caffè presente alla V.I.S.P.A. che era
in grado di erogare, a scelta:
1. caffè dolce
2. caffè senza zucchero
3. caffè dolce con bevanda al gusto di latte
4. bevanda al gusto di latte
Lesse e rilesse più volte le targhette di fianco ai pulsanti
sperando, in cuor suo, che qualche miracoloso evento
trasformasse la macchinetta in una replica del caffè del
corso, ma nonostante il tempo trascorresse, niente: le
bevande disponibili erano quelle e quelle rimanevano.
Teresa sospirò, si aggiustò la frangetta, si scaccolò la
narice sinistra e poi, presa da uno sconforto indicibile
introdusse i gettoni e premette il pulsante per l'erogazione di tre caffè dolci.
Con tutta la calma che le macchinette del caffè sono in
grado di possedere l'aggeggio sfornò le bevande richieste assicurandosi (ma le macchinette possono assicurarsi?) che il primo caffè fosse freddo prima di servire il
secondo che fin che non si fu raffreddato non permise
l'arrivo del terzo.
Teresa raccolse, con le mani quasi a coppa, i tre bicchierini di plastica e si diresse agli uffici della RUSPA; appena poco prima di entrare versò tutti e tre i caffè in un
solo bicchierino, miscelò il liquido e lo ripartì di nuovo
nei tre contenitori in modo da ottenere che le tre bevande avessero, quantomeno, la stessa temperatura.
“Ecco qua tre bei caffè! Purtroppo al bar non c'è il barista oggi, così dovrete accontentarvi del caffè della macchinetta...” arrossendo e con gli occhi bassi Teresa era
riuscita a rimediare la situazione, o, almeno, così credeva; non aveva calcolato la capacità di Dario, il grande,
di sputtanarsi a raffica.
“Teresa! ma cosa dici? da quando in qua c'abbiamo un
bar? E il barista, poi.... cosa hai bevuto? A te l'età ti fa
dei brutti scherzi, sai!”
Cap 62
La stipula del contratto, nonostante qualche inevitabile
intralcio burocratico, venne sancita alla fine di quell'anno e l'inizio ufficiale delle attività della RUSPA fu, per
la V.I.S.P.A. il prologo di una ingloriosa fine come, per
altro, ben immaginato dalla frangia disfattista delle maestranze più accorte.
Ogni profitto derivante dalle attività di costruzione degli
ormai obsoleti aerei della V.I.S.P.A. veniva abilmente
stornato dai libri contabili e girato rapidamente su uno
dei ricostituiti conti bancari all'estero che fagocitavano
il denaro e, di fatto, lo facevano scomparire ad ogni persona che non fosse Dario o Darko.
La RUSPA, per conto suo, ben pilotata dalla sopraffina
mente imprenditoriale di Darko, si incaricava di acquistare l'acquistabile dalla V.I.S.P.A. per poi cederlo alla
società consorella creata in Giappone da Shoko a prezzi
“truccati”.
Purtroppo, dopo aver dissanguato la V.I.S.P.A. avendone rilevato anche le pur fatiscenti attrezzature, ecco che
anche la RUSPA venne a subire un tracollo del tutto
inaspettato.
Proprio nel momento in cui Darko e Dario stavano per
tirare lo sgambetto che avevano programmato al “socio”
giapponese questi venne prima inquisito e poi arrestato
dalla magistratura nipponica per una sua collusione con
ambienti legati alla mafia internazionale.
Questa disgraziata evenienza fece di colpo svanire ogni
possibilità di incassare gli assegni emessi da Shoko-fujito san per le forniture eseguite e, di fatto, costrinsero
anche la RUSPA a chiedere prima l'amministrazione
controllata e poi a portare i libri in tribunale per dichiarare il fallimento.
Dario e Darko di fronte alle rimostranze degli ormai pochi dipendenti rimasti a presidiare il posto di lavoro ormai completamente inutile ed inutilizzabile convocarono un'assemblea aperta a tutte le maestranze e lo fecero
con un volantino distribuito a tutte le ex-maestranze:
“Carissimi operai ed impiegati,
è con profondo dolore che ci vediamo costretti a togliervi gli stipendi e ad annunciarvi tempi duri per voi e
per le vostre famiglie.
Siamo molto dispiaciuti di vedervi soffrire e di vedervi
patire le pene della fame e di vedere e sapere che anche
le vostre famiglie sono sul lastrico.
Ma non tutto è perduto!
Vi resta ancora la voglia di lavorare per cui, se troverete
un altro lavoro, magari guadagnando anche un po' di
meno, potrete, comunque, avere quei quattro soldi che
vi servono per tirare avanti.
Purtroppo non possiamo darvi neanche i soldi del T.F.R.
perchè abbiamo dovuto acquistare il carburante per l'ultimo aereo costruito dalla V.I.S.P.A. con cui stiamo ora
partendo per l'Australia dove, in un piccolo ranch, abbiamo iniziato l'allevamento di canguri da carne.
Chi di voi non trovasse di meglio da fare potrà raggiungerci colà tra il 4 ed il 21 di dicembre del prossimo
anno; in tale periodo elargiremo a chi si presenterà il
50% delle attuali spettanze mediante impegno di un bonifico bancario esigibile a partire dal prossimo decennio.
Chi non verrà, pazienza! Vuol dire che daremo la quota
in beneficenza all'ente DA.DA. che assiste gli imprenditori in difficoltà economica.
Buon Natale a tutti!
Dario e Darko”
A questo punto, cari, sconosciuti, pazienti e lontani lettori, interrompo la storia ...
Qualcuno potrà pensare che la storia di Dario, Darko e
della loro V.I.S.P.A. si è conclusa in modo ignominioso;
qualcun altro riterrà che tale epilogo è il giusto finale di
una saga tragicomica; qualcun altro, ancora, vorrà immaginare che i personaggi continuino la loro vita in
modo magari antitetico rispetto a quanto da loro espresso sino a questo punto di commiato.
Personalmente so che ci sono altre decine di momenti
memorabili che i miei personaggi hanno vissuto e che
ancora non ho avuto il tempo di trascrivere per il sorriso, spero, dei lettori; so, anche, che i miei personaggi
sono, e saranno, immortali perchè immortali sono gli
idioti che quotidianamente ci vengono tra i piedi così da
farci desiderare di essere onnipotenti per poterli sterminare.
Più modestamente, non aspirando io all'onnipotenza, mi
limito a considerare che, tempo e voglia permettendo,
potrei rimettere mano ai bianchi fogli per continuare il
racconto qui interrotto; senza alcun impegno vi invito ad
esprimere anche un vostro parere in merito sia a quanto
già vi è noto sia in merito al possibile ritorno di questa
italica saga per cui, sia chiaro che non risponderò a nessuno, ma, se lo desiderate, scrivetemi: kmem @ libero.it
ARRIVEDERCI.
Mario Enrico Mauri
Scarica

Scarica file - mauridesign