stagione 2008-09, numero 1, 8 ottobre 2008
foto Francesco Bruni
in questo numero
›To be or not to be
›La vita xe fiama
›Alvin Ailey®
American Dance Theater
Politeama Rossetti
TO BE
OR NOT TO BE
di Maria Letizia Compatangelo
regia di Antonio Calenda
con Giuseppe Pambieri,
Daniela Mazzucato
Platea A-B 2★★ Platea C - Gallerie 1★
Biglietti
Platea A-B interi € 28 ridotti € 23
Platea C interi € 20 ridotti € 16
Gallerie interi € 15 ridotti € 12
Sala Bartoli
20.30
PRI
16.00 E
20.30 A
20.30
B
20.30
C
16.00
D
mer
8
ottobre
gio
9
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10
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sab
11
ottobre
dom
12
ottobre
lun
13
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mar
★ 14
ottobre
mer
15
ottobre
gio
 16
ottobre
ven
17
ALVIN
AILEY
american dance theater
Platea A-B 4★★★★
Platea C 3★★★ Gallerie 2★★
20.30
DAN
16.00
20.30
ottobre
sab
Sola me ne vo
Ritter/Dene/Voss
Il giorno
della tartaruga
Anvedi Goethe
Sola me ne vo
Ritter/Dene/Voss
Il giorno
della tartaruga
Anvedi Goethe
21.00
21.00
21.00
18
21.00
19
17.00
ottobre
dom
ottobre
lun
20
LA
RIGENERAZIONE
di Italo Svevo
regia di Antonio Calenda
con Gianrico Tedeschi
Platea A-B 2★★ Platea C - Gallerie 1★
Biglietti
Platea A-B interi € 28 ridotti € 23
Platea C interi € 20 ridotti € 16
Gallerie interi € 15 ridotti € 12
20.30
PRI
16.00
E
20.30
A
20.30
B
20.30
C
16.00
D
ottobre
mar
★ 21
ottobre
mer
Così è (se vi pare)
Hairspray
La luce di dentro
22
ottobre
gio
 23
ottobre
ven
21.00
19.00
Così è (se vi pare)
Hairspray
La luce di dentro
21.00
24
21.00
25
21.00
26
17.00
ottobre
sab
ottobre
dom
ottobre
lun
27
SOLA ME NE VO
regia di Giampiero Solari
con Mariangela Melato
Platea A-B 3★★★
Platea C-I Galleria 2★★ II Galleria 1★
Biglietti
Platea A-B interi € 39 ridotti € 33
Platea C interi € 35 ridotti € 29
I Galleria interi € 29 ridotti € 24
II Galleria interi € 24 ridotti € 19
Loggione interi € 7,50
20.30
PRI
16.00
E
20.30
A
20.30
B
20.30
C
16.00
D
ottobre
mar
★ 28
ottobre
La parola ai giurati
Robin Hood
21.00
mer
29
ottobre
gio
 30
ottobre
19.00
La parola ai giurati
Robin Hood
21.00
ven
31
21.00
1
21.00
2
17.00
ottobre
sab
novembre
dom
novembre
LA VITA
XE FIAMA
omaggio a Biagio Marin
a cura di Roberto Damiani
regia di Furio Bordon
con Massimo De Francovich
Posto unico 1★
Biglietti
Posto unico
interi € 15
ridotti € 12,50
“prosa”
In anteprima la nuova produzione dello Stabile diretta da Antonio Calenda
“To be or not to be” apre la stagione
Giuseppe Pambieri e Daniela Mazzucato ricreano i personaggi di Lubitsch
To be or not to be: un intero
universo può essere racchiuso
in questa battuta, la più celebre della storia del teatro. Essa
può rivelare un pensiero, come
nell’Amleto shakespeariano, ma
può anche apparire un codice segreto di guerra o d’amore; può essere l’orgoglio di un
attore o il suo tormento, può
rappresentare un dubbio esistenziale: “essere o non essere
onesti, coraggiosi, traditi?”.
E può essere un titolo: quello
della grande produzione che
inaugura la Stagione 2008-2009
dello Stabile regionale nel segno
del divertimento e dell’amore
per il palcoscenico.
Presentata in prima nazionale,
To be or not to be è la commedia
che Maria Letizia Compatangelo
ha elaborato sulla base del
soggetto originale dell’autore
ungherese Melchior Lengyel,
divenuto nel 1942 un film di
successo (Vogliamo Vivere, il titolo italiano) di Ernst Lubitsch,
genio delle commedie sofisticate hollywoodiane. Se sul piano
cinematografico il soggetto è
stato ripreso negli anni Ottanta,
il teatro lo ha invece trascurato
a lungo.
Curiosamente, dopo tanta
assenza, oggi lo spettacolo è
sulla ribalta a Broadway, per la
regia di Casey Nicholaw, e al
Politeama Rossetti nell’edizione firmata da Antonio Calenda,
interpretata da una compagnia
capeggiata da due protagonisti raffinati, Giuseppe Pambieri
4
e Daniela Mazzucato, e impreziosita dalle arie composte dal
maestro Nicola Piovani.
To be or not to be è una commedia deliziosa e interessante, che
da un lato permette di innescare il gioco tutto teatrale delle
infinite rifrazioni fra realtà e
finzione, recita e verità, “essere”
e “non essere” come suggerisce
il titolo. Dall’altro lato accetta
la sfida di ritrarre il nazismo
attraverso gli stilemi della comicità, una sfida vinta costruendo
una satira validissima dell’apparato e della logica hitleriani.
Inoltre – al contrario di quanto
paventavano ottusamente alcuni
critici davanti al film di Lubitsch
– senza offendere il ricordo di
quel periodo tanto doloroso,
To be or not to be lo racconta
riconoscendo al teatro il ruolo
di un’“arma segreta”, di una luce
che indica la via della salvezza.
«Ho amato To be or not to be
– commenta Antonio Calenda
– proprio perché offre una bella
e struggente elegia del mondo
dello spettacolo, un leggero e
dolce apologo su quanto nella
vita sia necessaria la poesia. E in
tempi cupi per la cultura, come
sembrano diventare irrimediabilmente i nostri, rimarcare tale
“necessità”, non appare affatto
scontato. Credo che qui il teatro stesso sia un grande protagonista: in scena si ricorre agli
esponenziali giochi di specchi e
ribaltamenti che solo esso permette, con le sue convenzioni, il
coinvolgimento e la complicità
del pubblico. E grazie al talento
d’interpreti di cui sono molto
soddisfatto e che sono chiamati
al difficile compito di restituire il
profilo della vita nella sua bellezza, lasciando però intuire anche
l’imperscrutabile che essa cela».
Facendo propria la precisione
dei ritmi vorticosi, delle battute graffianti e dei trasformismi
che connotano una commedia
il cui congegno surreale non
ammette sbavature, essi impersonano inizialmente una compagnia di Varsavia impegnata nelle
prove dello spettacolo Gestapo.
Bloccati dalla censura, ripiegano
su Amleto, vero pallino del primo
attore, Ian Tura: il “To be or not
to be” però diviene il suo incubo.
La moglie Maria, infatti, durante
il monologo si fa raggiungere in
camerino da uno spasimante –
Sabinsky pilota polacco – che
lascia la sala rumorosamente.
Esilarante lo sconforto di Ian
davanti a tanto spregio per la
sua arte: il problema però è
presto travolto – come tutta la
dimensione evanescente e un
po’ ingenua dei teatranti – dal
precipitare degli eventi storici.
È il 1939 e Varsavia è asservita
a Hitler. Poco dopo è proprio
Sabinsky, sulle tracce di una spia
della Gestapo, a coinvolgere la
compagnia nella resistenza. E gli
attori, con le armi dei travestimenti e della fantasia riescono
a giocare gli oppressori fino a
farsi portare in salvo a Londra
con l’aereo di Hitler.
di Ilaria Lucari
“To be or not to be”
di Maria Letizia Compatangelo
regia di Antonio Calenda
scene di Pier Paolo Bisleri
costumi di Stefano Nicolao
musiche a cura di
Pasquale Filastò
canzoni di Nicola Piovani
con Giuseppe Pambieri,
Daniela Mazzucato
foto Tommaso Le Pera
Politeama Rossetti
dall’8 al 12 ottobre 2008
durata 2h e 45’
con intervallo
5
“prosa”
“Il teatro è l’ultimo baluardo
contro la volgarità”
Antonio Calenda racconta la sua regia
6
esso se ne allontana anche, assumendo una propria legittimità teatrale. Merito del lavoro minuzioso
di Maria Letizia Compatangelo
che – ottenuti dalla vedova di
Lengyel i diritti – ha composto una
commedia piacevole ed efficace,
che pone in luce non solo i lati
esilaranti ma anche quelli delicatamente malinconici e surreali della
da Nicola Piovani …
«L’ottenuta collaborazione con
il Premio Oscar Piovani, è una
gemma preziosa per lo spettacolo:
ha composto due arie molto belle,
che Daniela Mazzucato interpreta
magistralmente».
In uno spettacolo che è un
inno all’arte della recitazione, ha potuto contare su un
storia. In tale dualità ravviso una
dimensione fondamentale della
piéce: la vorticosa manovra degli
attori che sconfiggono i nazisti grazie alla loro arte, al di là del significato metaforico, adombra anche
inquietudini e profondi segni di
amarezza, lascia intuire l’imperscrutabile che appartiene alla vita.
La drammaturgia assume così una
complessità ricca di induzioni».
Di alta qualità anche il contributo musicale assicurato
cast di ottime potenzialità…
«Molto spesso purtroppo, non si
riesce a realizzare l’aspirazione di
creare una compagnia che possieda aderenza con i personaggi.
Qui sono stato fortunato, perché
il cast è molto preciso: Giuseppe
Pambieri è uno Ian Tura perfetto
a mio avviso, come anche Daniela
Mazzucato, molto dotata nell’interpretazione, nel gesto oltre che
nella sua straordinaria voce. L’ho
diretta due volte quale Susanna
foto Tommaso Le Pera
«Sono passati più di vent’anni da
quando ho visto Vogliamo vivere di
Ernest Lubitsch rimanendo subito
colpito dalla levità e dalla carica
simbolica del film: credo di poter
dire che fin da allora ho iniziato ad accarezzare l’idea di trarre
dallo stesso soggetto un lavoro
teatrale». Antonio Calenda guarda
con soddisfazione il progetto di
To be or not to be sostanziarsi
finalmente sul palcoscenico del
Politeama Rossetti. «Ho amato
molto questo testo – commenta
– proprio perché ritengo che offra
una bella e struggente elegia del
mondo dello spettacolo, un leggero e dolce apologo su quanto
nella vita sia necessaria la poesia. E
nel nostro tempo, in cui il mondo
della cultura e dell’arte sembra
destinato a orizzonti sempre più
cupi, lo spettacolo offre una metafora valida e nient’affatto scontata
dell’arte contemporanea, minacciata dalla negligenza, oppressa dalla volgarità». Il soggetto di
Melchior Lengyel che Maria Letizia
Compatangelo ha elaborato fino
a trarne una commedia, è ciò che
più distante si possa immaginare
dalla grossolanità.
Come si è trovato a lavorare
con il costante confronto del
film?
«È il mio primo lavoro con un
precedente cinematografico –
spiega – e sebbene fossi felice di
affrontarlo, questa vicinanza con il
film mi preoccupava un po’. Ma nel
testo drammaturgico avviene un
piccolo miracolo: pur mantenendo
una corretta fedeltà al soggetto,
“To be or not to be”
nelle Nozze di Figaro e desideravamo incontrarci nella prosa. Così
come con Pambieri che dirigo per
la prima volta e con grande soddisfazione. Vorrei continuare a lavorare con entrambi. Pregevoli sono
anche le interpretazioni di Fulvio
Falzarano, di Umberto Bortolani,
punti di riferimento del nucleo
di interpreti che applaudiremo in
scena e che fa ormai parte della
famiglia dello Stabile. Guardo con
orgoglio alla crescita di questo
assieme, alla piena espressività di
Francesco Benedetto, al talento
di Venturiero, un attore di belle
promesse, alla forza di Carlo
Ferreri. Fra loro abbiamo voluto
inserire anche Paolo Cartago e
Jacopo Zucca, due ragazzi del
nostro laboratorio di introduzione al teatro, animato da Luciano
Pasini: il palcoscenico rappresenta
sempre un’esperienza piena di
magia e formativa dal lato artistico
e umano»..
Nello spettacolo
due canzoni originali del
Premio Oscar Nicola Piovani
L’interpretazione affidata a Daniela Mazzucato
È di grande prestigio per lo Stabile la
collaborazione con Nicola Piovani, che
per To be or not to be ha composto due bellissime romanze “Il cielo su
Varsavia” e “Il teatro della vita”, affidate
all’emozionante interpretazione di Daniela
Mazzucato. Pianista, compositore e direttore
d’orchestra, Piovani è un personaggio di
assoluta levatura nel mondo musicale:
allievo di Manos Hadjidakis, ha collaborato
con molti registi italiani, tra cui Monicelli,
Moretti, Tornatore, Giuseppe Bertolucci,
Magni, i Taviani, Fellini e stranieri, Ben Von Verbong, Bernard Favre, Pal Gabor, Dusan
Makavejes, George Sluizer, Bigas Luna, Jos Stelling e John Irvin. Ha realizzato colonne
sonore di numerosi sceneggiati televisivi italiani di grande successo. Per il teatro ha scritto
musiche di scena per Cecchi, il Gruppo della Rocca, la Cooperativa Pupi e Fresedde, Luca
De Filippo, Scaparro, Gassman. Sue le musiche de I Sette re di Roma di Magni,
di Concha Bonita di Alfredo Arias. Si esibisce in Italia e all’estero, suonando il
pianoforte e dirigendo la sua Orchestra Aracoeli, con la Compagnia della Luna che ha
fondato con Vincenzo Cerami, e per la quale insieme a lui ha scritto vari lavori (Canti
di Scena, La Pietá, L’Isola della Luce). È inoltre attivo come compositore
di canzoni (ricordiamo quelle per Fabrizio De André e Roberto Benigni) e di musica da
camera. Innumerevoli i premi tributatigli: dal David di Donatello per i film Ginger e
Fred e Caro Diario al Nastro d’argento, dal Ciak d’oro al premio Colonna Sonora,
al Premio Rota... Fra tutti spiccano il Premio Oscar nel 1999 e nel 2000 la nomination
al Grammy per le musiche del film La vita è bella di Roberto Benigni.
la locandina
Ian Tura, prim’attore
Giuseppe Pambieri
Rowitch, attore e direttore di scena
Stefano Bembi
Greenberg, attore caratterista
Francesco Benedetto
Bromski, attore caratterista/
Hitler/ Colonnello Hauer
Carlo Ferreri
Sonia, giovane attrice
Giulia Beraldo
Primo attor giovane/
Pilota della divisione 303
Raffaele Sinkovic
Attore della compagnia/Pilota della
divisione 303/Soldato nazista/
Ufficiale marina britannica
Jacopo Zucca
Attore della compagnia/Pilota della
divisione 303/Soldato nazista
Paolo Cartago
Attore della compagnia/
Soldato nazista
Paolo De Paolis
Attore della compagnia/
Soldato nazista
Filippo Cattinelli
Krakov regista
Gianfranco Candia
Maria Tura, prima donna
Daniela Mazzucato
Anna, sarta di compagnia
Daniela Di Bitonto
Tenente Dimitri Sabinsky, pilota
della divisione 303
Jacopo Venturiero
Professor Albert Druginsky
Umberto Bortolani
Capitano Ross controspionaggio
britannico gentiluomo con mantello
Luciano Pasini
Colonnello Ehrhard
Fulvio Falzarano
Capitano Schulz/Gentiluomo con
mantello/Attendente inglese
Francesco Gusmitta
7
“prosa”
foto Francesco Bruni
«Ian Tura è un tipico primo attore degli anni Trenta, vive il suo
mestiere con impetuosa passione,
basti pensare alla sua fissazione
per il monologo dell’Amleto, ma
soffre anche di tutti i vezzi più
classici dell’artista: è un po’ frivolo,
egocentrico, vive in una dimensione tutta particolare dove non gli
giungono chiari gli echi del conflitto mondiale, ormai incombente».
Giuseppe Pambieri descrive
con affetto divertito il personaggio
che interpreta in To be or not to be
e con cui – chi scrive desidera
proprio sottolinearlo – condivide
sicuramente la simpatia e l’amore
per il teatro, ma per nulla invece
gli egoismi e gli atteggiamenti da
divo… Nemmeno dall’alto di una
carriera eccellente, che lo vede
richiesto – subito dopo la formazione alla Scuola del Piccolo di
Milano – dal palcoscenico come
pure dalla televisione. Due mondi
che ha amato intrecciare fra validi
sceneggiati e spettacoli teatrali,
che lo hanno portato a recitare
diretto da prestigiosi registi e ad
affrontare repertori vastissimi, dai
grandi classici della drammaturgia
ai contemporanei. Inoltre ha intrapreso anche la strada della regia.
Era appunto impegnato a dirigere la Scuola delle mogli quando
Antonio Calenda gli propose
– ormai due anni orsono – il
ruolo di Ian Tura: «Non ero mai
stato diretto da lui e devo dire
che sono felice che il progetto
sia andato in porto, mi trovo
benissimo» commenta Pambieri
che sorride anche dell’imponenza
del lavoro intrapreso: «È stato
impegnativo sia dal punto di vista
della recitazione, sia per la macchina vivacissima che il regista ha
congegnato: diciotto attori, ventinove cambi scena che sono quasi
8
l’inter
Giuseppe Pambieri
dei traslochi, con pannelli che
scendono, quinte colossali che
si manovrano longitudinalmente,
mobili da spostare. Vi contribuisce
ciascuno, interpreti, macchinisti…
È bello perché l’allestimento è
fatto con grande amore ed è tangibile la motivazione di tutti».
«Sul piano dell’interpretazione –
prosegue l’attore – non abbiamo
scelto una via semplice: chi conosce il film di Lubitsch sa che la
vicenda parte da una situazione
leggera, dove le piccole ripicche e
gelosie fra gli attori si intrecciano a
quelle di Ian per sua moglie Maria,
corteggiata da un giovane pilota dell’aereonautica… Quando
su questo orizzonte spensierato
irrompe la guerra è uno choc
violento: sostenendo la resistenza
polacca, gli attori che hanno sempre recitato nella vita si trovano
a dover recitare “per la vita”. E
qui la difficoltà sta nel saper mantenere un doppio binario nella
recitazione, dove c’è spazio per la
tensione, la nostalgia, la paura, ma
dove si deve sentire sempre presente anche la commedia, l’effetto
del turbinio di equivoci, travestimenti, gag che gli attori scatenano
per giocare i nazisti. Bisogna far
attenzione che la situazione non
sia mai completamente realistica,
ma nemmeno troppo svagata. È
una dimensione molto difficile da
tenere». «Esemplare da questo
punto di vista – conclude – è il
monologo di Greenberg, l’attore
ebreo che declama per un’ultima
volta il monologo di Shylock da
Il Mercante di Venezia. “Non ha
Daniela Mazzucato
occhi, un ebreo? Non ha mani,
organi, statura, sensi, affetti, passioni? non si nutre anche lui di cibo,
come voi?” recita, stremato dai
lavori forzati cui lo costringono
i nazisti. Fra tanto divertimento,
ci fa vivere un momento molto
toccante».
«Qui si fa sul serio e io mi sento
in dovere di fare del mio meglio
nella recitazione» interviene
Daniela Mazzucato, una vera
stella della lirica e dell’operetta
che qui si è messa al servizio del
suo personaggio e del testo con
una generosità rara. Straordinaria
nei ruoli di soprano-soubrette e
ammiratissima in quelli del repertorio lirico, ha cantato diretta da
illustri maestri e registi, calcando le scene dei più prestigiosi
teatri del mondo, dalla Scala di
Milano al Massimo di Palermo,
dal Covent Garden all’Opéra di
Parigi... Anche in To be or not to be
avremo modo di ascoltare la sua
bella voce, nell’emozionante interpretazione delle romanze inedite
di Nicola Piovani: «La musica è
molto interessante e intrigante»
dice. «Il regista è riuscito poi a
inserire le due canzoni di Piovani,
nel primo e nel secondo tempo,
senza dar l’impressione che si
crei una frattura, c’è un passaggio
molto organico e delicato, senza
accorgersi si passa dalla parola
recitata al canto».
Anche Daniela Mazzucato è
alla prima esperienza con Calenda
e parecchio tempo è trascorso da
quella Fräulein Pollinger di von
Horvath che nel 1984 l’aveva
coinvolta in una prima produzione
dello Stabile regionale: «Ammiro
questo ambiente disciplinato, così
serio, che vive di passione vera.
La Compatangelo – aggiunge –
ha scritto in una maniera tanto
scorrevole da facilitare nelle intonazioni, nel fraseggio anche me
che non sono una vera attrice. E
poi amo il mio personaggio: Maria
Tura mi si addice ed è affascinante
il suo cambiamento dall’iniziale
frivolezza alla consapevolezza che
assume verso la patria e verso il
marito che ama profondamente:
è una donna che sa mettersi in
gioco e un ruolo che ti mette
molto alla prova».
Anche Ian Tura vive nello spettacolo un’evoluzione positiva, anche
se, col suo tormentone del “To
be or not to be” conquista gli
spettatori fin dal suo primo apparire: «Riesco a ribaltare tutta la
situazione, inganno la spia della
Gestapo, umilio il Colonnello
Ehrhard, quindi nel secondo
atto il mio personaggio si riscatta appieno» spiega Giuseppe
Pambieri che nel finale passa da
un travestimento all’altro, da un
registro all’altro con una versatilità
incredibile, seguendo il vortice
di macchinazioni fantasiose ed
efficaci che il suo Ian inventa
contro i nazisti. «Sento questo
spettacolo – conclude – come
un grande inno all’espressione
artistica attoriale che attraverso la
finzione può scardinare la realtà e
migliorarla. Se vogliamo, il modo
in cui gli attori in To be or not to
be riescono a dare un contributo
per la liberazione della Polonia
talvolta non appare molto naturalistico, ma anche sentire questa
dimensione di favola rende bella,
metaforica, la storia».
di Ilaria Lucari
foto Francesco Bruni
rvista
“To be or not to be”
9
“altri percorsi”
Furio Bordon riporta alla Sala Bartoli il testo curato da Roberto Damiani
“La vita xe fiama” di Biagio Marin
Massimo De Francovich è il protagonista dell’omaggio al poeta gradese
Biagio Marin e la sua delicata
poetica si rivelano al lettore
– inizialmente con timidezza,
ma riga dopo riga con emozione crescente – sgorgando dalla
costruzione dei suoi versi, dalla
musicalità delle strofe, dalle sue
meravigliose descrizioni della
natura, dominate dalla mutevolezza delle luci del cielo e
soprattutto del mare, che sembrano riverberare le inquietudini interiori, le esultanze e le
ombre dell’animo umano. Il linguaggio del cuore, quel dialetto
gradese sincero, spontaneo, è
una materia preziosa che lo
scrittore plasma sapiente, per
toccare ancor più nel profondo
la sensibilità di chi legge…
L’universo delicato e semplice,
eppure metaforico che pervade
l’opera di Biagio Marin sarà
al centro di La vita xe fiama,
che apre la stagione altripercorsi alla Sala Bartoli. Si tratta
del riallestimento di un lavoro
presentato per la prima volta
nel 1992 e nato grazie all’interessamento critico di Roberto
Damiani all’opera del poeta gradese. Scomparso recentemente,
Damiani – che per lo Stabile
regionale è stato uno stimato
presidente oltre che una figura intellettuale di riferimento
– riceve proprio attraverso
questo spettacolo un sentito
omaggio.
Nella prima edizione fu Damiani
infatti a selezionare gli scritti, articolandoli in un raffinato
collage, che alterna pagine di
10
diari a liriche di straordinaria
suggestione. Furio Bordon si
assunse invece il compito di
trovare le dinamiche sceniche
per farne materia teatrale: un
elegante scorrere d’immagini, le
armonie calde e appassionate
di un violoncello (lo strumento
preferito da Marin), un’interpretazione attoriale di classe.
Bordon ricreerà l’incanto di
tale riflessione poetica firmando anche la nuova edizione
dello spettacolo: il suo è un
gradito ritorno, dopo le tante
regie, gli anni di lavoro e i molti
testi che ha donato al palcoscenico dello Stabile.
A interpretare il recital è
stato chiamato Massimo De
Francovich anch’egli ospite assiduo al Politeama Rossetti: lo
abbiamo apprezzato in prove
eccellenti, come l’interpretazione di Paolo Borsellino in
Essendo Stato di Cappuccio e
quella impeccabile in Inventato
di sana pianta di Broch. La sua
intensità interpretativa, la sua
espressività limpida ne fanno
uno dei maggiori protagonisti
delle nostre scene e renderanno ancor più palpitante il
ritratto mariniano. La sua voce
si armonizzerà alle note del violoncello del Maestro Zannerini,
che percorrerà partiture di
Bach, Tartini, Corelli e Schubert,
mentre sullo sfondo trascoloreranno l’una nell’altra immagini
del poeta e di quella laguna che
è stata per lui il solo luogo della
serenità, dell’ispirazione.
Biagio Marin non ebbe in effetti un’esistenza quieta: nato a
Grado nel 1891 rimane presto
orfano di madre. Ventenne va
a Firenze dove entra in contatto con l’ambiente letterario
della “Voce”, e poi a Vienna. La
prima guerra mondiale lo trova
nuovamente a Firenze, sposato
a Pina Martini, e poco incline
a svolgere il servizio militare sotto l’Impero asburgico.
Chiuso il lacerante periodo bellico si laurea a Roma in filosofia
e intraprende l’insegnamento
per abbandonarlo, in polemica col clero. Diventa dirigente
dell’azienda balneare e di cure a
Grado, ritorna all’insegnamento
a Trieste per assumere infine
il ruolo di bibliotecario alle
Assicurazioni Generali. Lo colpisce duramente la morte del
figlio Falco, ucciso in Slovenia
nel 1943: negli anni successivi
presiede il CNL a Trieste per
fare poi definitivamente ritorno
nella sua Grado. Ha pubblicato molte raccolte da Fiuri
de tapo (1912), a Le litanie de
la Madona (1947), da I canti
dell’isola (1951), ai più recenti
E anche el vento tase (1982)
e Lontane rade (1985) edito
nell’anno della morte: rattristato dai lutti familiari e dalla cecità, alla fine trova nella parola il
“solo rifugio” ma con lo spirito
rimane, come scrive Pasolini,
«a fare tutt’uno col mare, col
cielo, coi gabbiani, coi bambini,
con le sabbie, con le paludi, col
sole». (i.lu.)
“La vita xe fiama”
foto Francesco Bruni
omaggio a Biagio Marin
a cura di Roberto Damiani
regia di Furio Bordon
con Massimo De Francovich
al violoncello
Severino Zannerini
Sala Bartoli dal 15 ottobre
al 2 novembre 2008
durata 1h e 10’
senza intervallo
11
“altri percorsi”
“La vita xe fiama” rimane in scena alla Sala Bartoli fino al 2 novembre
Marin, il dialetto gradese è musica
Il regista Furio Bordon confronta i due allestimenti dello spettacolo
“Figio (…) tu sempre fermo in te
la cassa,
fermo sul siolo co’ la bala in fronte,
i vogi verti che più no’ se abassa,
che varda in maravegia l’orisonte.”
In questi versi, nei quali Marin
immagina il corpo del figlio ucciso
in guerra da una pallottola al capo,
c’è tutta la sua grandezza e la sua
specificità di poeta. Uno sguardo
da bambino, uno sguardo infantile
e candido (“co’ la bala in fronte”), che al tempo stesso diventa inconsapevolmente crudele,
come spesso è oggettivamente
crudele la verità detta in modo
innocente dai bambini.
Del resto basta guardare il ritratto fotografico di Marin con cui
apriamo e chiudiamo il nostro
spettacolo, per rimanere sorpresi
da quegli occhi infantili sgranati in
un viso da vecchio.
Della poesia di Marin incanta – da
un punto di vista contenutistico
– la semplicità e l’incapacità di
mentire, e – da un punto di vista
formale – la dolcissima musica
del dialetto gradese. È un’alchimia così miracolosa e delicata
che, a intervenire su di essa per
farne uno spettacolo teatrale, si
ha paura di guastarla. Il problema nasce naturalmente già prima
dello spettacolo, fin dal montaggio
drammaturgico del vasto repertorio di poesia e prosa poetica
che costituisce la sua produzione.
E devo dire che qui la sensibilità di Roberto Damiani è stata
fondamentale. Perché Roberto,
mio vecchio compagno di scuola,
12
possedeva, sepolta sotto lo strato
dei suoi vizi minori e della sua
erudizione, una sensibilità vulnerabile e dolce. Possedeva anche
quel famoso “orrore di se stessi”,
di cui la gente oggi ha smarrito
non solo la pratica, ma finanche la conoscenza del significato.
Lui lo esercitava abitualmente,
con un’autoironia feroce che ti
costringeva a dimenticare ogni
altro punto di dissenso personale
e a provare nei suoi confronti
soprattutto simpatia.
Abbiamo lavorato bene insieme,
in quel lontano 1991. Eravamo
tutti e due scrittori e tutti e due
avevamo elaborato quella spregiudicatezza pragmatica di cui il lavoro sul palcoscenico (soprattutto
nel mio caso) e quello radiofonico
(soprattutto nel suo) arrichisce il
mestiere di un autore.
Io avvertivo alcuni segnali di necessità che il palcoscenico mi inviava,
ne parlavo a Roberto, che subito
li capiva, li condivideva, e cambiava
di conseguenza, in modo rapido e
puntuale, il suo montaggio drammaturgico. Il quale, però – vorrei
qui ripeterlo – era già nato in
una versione assolutamente felice,
frutto dell’alleanza spirituale tra “il
bambino Roberto” e “il bambino
Biagio”. Il primo aveva ricostruito
il mondo poetico e la biografia del
secondo procedendo per associazioni allusive e sottili, alle volte per
semplici suggestioni, rispondenti
più a un’urgenza emozionale che
a una logica strettamente narrativa: insomma, una tecnica di montaggio “poetica”, come la materia
stessa su cui veniva esercitata.
Oggi, a distanza di sedici anni, su
richiesta del teatro Stabile che
intende rendere omaggio non
solo a Biagio Marin, ma anche
al suo ex-presidente Roberto
Damiani, mi ritrovo ad allestire
nuovamente questo spettacolo.
Che posso dire, molte cose sono
cambiate, a partire dall’attore protagonista (allora Gastone Moschin,
oggi Massimo De Francovich, due
giganti comunque della scena
italiana). È cambiata totalmente
l’impostazione scenografica e, in
parte, il corredo iconografico al
testo. Il fascino del violoncello
di Severino Zannerini è rimasto
immutato, come sono rimaste
immutate le difficoltà del commento per immagini e la bravura
dei nostri tecnici. È aumentata
invece, ma questa è una considerazione personale e ininfluente
sullo spettacolo, la mia ammirazione per la poesia di Marin e la mia
consapevolezza di quanto abbia
contato l’apporto drammaturgico
di Roberto Damiani.
di Furio Bordon
“La vita xe fiama”
Roberto Damiani, autore, docente,
politico e presidente del Teatro Stabile
È dedicato alla sua memoria lo spettacolo inaugurale della Sala Bartoli
Roberto Damiani nella sua casa di Trieste
Roberto Damiani ha saputo dell’omaggio
che il Teatro Stabile gli voleva dedicare
riportando in scena il suo La vita
xe fiama qualche giorno prima della
sua morte avvenuta nel febbraio scorso.
L’auspicio di tutti era quello di poterlo
rivedere a teatro dopo l’addio (a dir la
verità un po’ polemico e burrascoso) del
settembre 2001, pochi mesi dopo la sua
elezione a deputato.
Della sua collaborazione in veste d’autore
con il Rossetti Roberto andava molto
fiero: negli anni in cui è stato presidente
dello Stabile non perdeva l’occasione per
segnalare che preferiva essere ricordato
più per la sua opera di autore teatrale
che per quella di uomo politico alla guida
della più importante istituzione culturale
regionale. Andò su tutte le furie quando
scoprì che per una banale dimenticanza
il suo testo non compariva nell’elenco
delle produzioni dello Stabile pubblicato
su ogni numero della collana “I Quaderni
del Teatro”.
Roberto Damiani con Vittorio Gassman
al Politeama Rossetti
La sua presidenza dello Stabile regionale
ha lasciato un segno profondo: l’investitura
arrivò nel 1993, pochi mesi dopo la sua
nomina ad Assessore alla Cultura del
Comune di Trieste. Fu sua l’intuizione di
chiamare Antonio Calenda alla direzione
del Teatro, e suo l’impulso decisivo alla
ristrutturazione del Rossetti e al rilancio
della sua funzione storica di Politeama,
luogo nel quale possono convivere forme
e generi di spettacolo anche molto
diversi tra loro. È anche grazie al suo
impegno che il Rossetti è diventato oggi
uno dei più importanti teatri della scena
nazionale.
Prima di intraprendere la carriera politica,
l’impegno di Damiani era stato quello di
professore di letteratura contemporanea
all’Università di Trieste: in quella veste
aveva pubblicato parecchi libri, soffermandosi in particolare sugli autori dialettali
triestini. Al lavoro accademico affiancava
quello di sceneggiatore e opinionista
radiofonico e televisivo, di autore teatrale
e di presidente dell’International School of
Trieste. Instancabile viaggiatore, ha visitato
i paesi più lontani e avrebbe continuato
le sue spedizioni intorno al mondo se
non fosse stato fermato dal morbo di
Parkinson. Una malattia che ha saputo
affrontare con coraggio e dignità, esponendosi senza timori agli occhi dell’opinione
pubblica e proseguendo l’attività politica
fino all’ultimo.
Come ha scritto in un testo affidato alla
lettura di suo figlio Demetrio Filippo nella
commemorazione del regista Mario Licalsi,
“per oltre mezzo secolo mi sono rifugiato
nella parola scritta e a essa ho demandato
di elevare una siepe tra me e il mondo.
Lo faccio ancor oggi, scusandomi con i
convenuti per una debolezza che è più
forte della mia debolezza di sempre”.
Grazie alla magia del teatro, le parole
scritte da Roberto Damiani, e prima di
lui da Biagio Marin, riprendono oggi
vita nell’interpretazione di Massimo De
Franvocich. (s.cu.)
13
“danza & dintorni”
Un grande evento internazionale inaugura il cartellone “danza e dintorni”
Alvin Ailey, quando il gospel è danza
La celebre compagnia newyorkese per la prima volta in scena a Trieste
Bellezza, spirito, speranza e passione non conoscono limiti. È
questo il principio di Ailey, è
questa l’irrefrenabile carica di
energia, armonia, gioia che travolgerà il pubblico del Teatro
Stabile del Friuli Venezia Giulia
durante le esibizioni dell’Alvin
Ailey American Dance Theatre.
Dopo le due edizioni consecutive
di Roberto Bolle & friends, dopo la
Hubbard Street Dance Chicago,
l’appuntamento di eccellenza
con la danza vede protagonista l’Alvin Ailey American Dance
Theater, senza dubbio una delle
espressioni più alte della danza
moderna.
Nel 1958 Alvin Ailey presentò,
con un gruppo di giovani ballerini di colore, delle coreografie
a New York che avrebbero cambiato per sempre la danza americana. Da allora la Compagnia si è
esibita davanti ad oltre 21 milioni
di persone nei cinque continenti,
ha intrapreso due storiche residenze in Sudafrica e, cosa mai
vista per un ensemble di danza
moderna, ha danzato sul palcoscenico del leggendario Teatro
Mariinskij di San Pietroburgo.
Quest’anno
l’Alvin Ailey
American Dance Theater, l’ambasciatore culturale dell’America nel mondo, festeggia il
Cinquantesimo anniversario
della sua missione, ovvero portare l’espressione culturale AfroAmericana e la danza moderna americana sui palcoscenici
di tutto il mondo. E proprio
nell’ambito di questo tour del
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cinquantenario si inseriscono
le date che portano sul palcoscenico del Politeama Rossetti
la celeberrima compagnia: un
appuntamento di raro prestigio
e appeal.
E di grande rilevanza è anche
il programma che – sotto la
guida dell’attuale direttrice Judith
Jamison – i danzatori presenteranno a Trieste. Vi sono inserite coreografie di fama assoluta,
come Revelations, un capolavoro
di Ailey che si conferma senza
dubbio il più visto al mondo
e altre, tutte di straordinaria
bellezza, come Night Creature,
concepita da Ailey sulle musiche
di Duke Ellington, Unfold firmata
da Robert Battle e Love stories,
creazione di Judith Jamison a cui
Alvin Ailey – al momento della
sua prematura scomparsa nel
1989 – ha affidato il futuro e la
guida della Compagnia. Nato a
Rogers nel Texas il 5 gennaio
1931, Alvin Ailey si è avvicinato
alla danza grazie alle rappresentazioni della Katherine Dunham
Dance Company e ai Ballets
Russes di Montecarlo. Ha iniziato a studiare danza grazie alla sua
amica Carmen de Lavallade che
lo ha invitato a seguire le lezioni
di Lester Horton, pioniere della
danza moderna.
Le sue prime esperienze come
coreografo traevano ispirazione
dai ricordi del suo Texas: il blues,
i canti religiosi e il gospel. Così è
nata nel 1960 la sua coreografia più famosa e più acclamata
dalla critica: Revelations. Nella
sua parabola artistica, ha creato
ben 79 coreografie ma non ha
mai imposto alla sua Compagnia
l’esclusività del repertorio.
Pertanto, oggi la Compagnia presenta le coreografie del passato
e ne commissiona costantemente delle nuove. In totale, oltre
200 opere di più di 70 coreografi sono state rappresentate
dall’Alvin Ailey American Dance
Theater: un numero che certo è
destinato a crescere.
A dirigere la Compagnia è ora
Judith Jamison, designata a tale
ruolo dal suo mentore, del quale
persegue i principi, dedicandosi ad affermare e promuovere l’importanza delle arti nella
nostra cultura. Si dedica inoltre
– come il suo predecessore –
alla scoperta di nuovi coreografi
di talento anche all’interno della
Compagnia stessa ed è estremamente impegnata nel promuovere la missione di Ailey: la
danza come mezzo per onorare
il passato, celebrare il presente
e coraggiosamente guardare al
futuro. Nata a Philadelphia, ha
studiato con Marion Cuyjet, e
scoperta da Agnes de Mille ha
debuttato nel 1964 con l’American Ballet Theatre. Nel 1965
è entrata a far parte dell’Alvin
Ailey American Dance Theater
con il quale ha danzato per
quindici anni ottenendo sempre
un grande successo, ma è stata
anche una ammirata artista ospite in ensemble prestigiosi e le sue
coreografie sono molto richieste
e applaudite. (i.lu.)
Alvin Ailey
American
Dance Theater
Judith Jamison
Direttore Artistico
Masazumi Chaya
Direttore Artistico Associato
Politeama Rossetti
dal 18 al 19 ottobre 2008
durata 2h
con due intervalli
Judith Jamison - foto © Jack Mitchell 1976
ATTENZIONE!
La Compagnia non consente
l’ingresso in sala dei ritardatari
fino al termine del numero
coreografico
15
“danza & dintorni”
NIGHT CREATURE
da “Ailey Celebrates Ellington” (1974)
“Night creatures, unlike stars, do not
come OUT at night they come ON,
each thinking that before the night is
out he or she will be the star.”
Duke Ellington
coreografia di Alvin Ailey
musica di Duke Ellington (“Night Creature”)*
costumi originali di Jane Greenwood
ripresa costumi Barbara Forbes
luci di Chenault Spence
Night Creature è un’allegra e vivace celebrazione della
musica di Duke Ellington. Evocando il movimento animale istintivo,
questo balletto inerente i riti della vita notturna usa lenti passi
jazz, boogie woogie e arabesques per creare particolari configurazioni e stili. Con la sua stupefacente bravura, la Compagnia fluttua
e si diverte al ritmo notturno del jazz di Ellington.
il progr
dolcezza e l’estasi dell’aria di Gustave Charpentier cantata dalla
grande Leontyne Price. Con la sua grazia fluida, questa gemma
esemplifica il talento del coreografo nel creare una gestualità
sfumata e un vivace vocabolario visivo.
Questa nuova produzione è stata possibile grazie a una generosa donazione
di Elma Linz Kanefield.
Robert Battle si è diplomato alla New World School of the Arts e in
danza alla Julliard. Come membro della Parsons Dance Company (1994-2001),
ha iniziato a montare le sue coreografie con la Compagnia nel 1998. Le sue
coreografie sono state presentate dalla Parsons Dance Company per ben cinque
stagioni a New York. Ha fondato la Battleworks Dance Company nel 2001. La
Compagnia si è esibita a New York al Joyce Theater, alla St. Mark’s Church,
all’Evening Stars, al Julliard Theater e al Dance Theater Workshop. Gli sono
state commissionate nuove coreografie e chiesto di rimontare il repertorio della
Battleworks da diverse compagnie, quali l’Alvin Ailey American Dance Theater,
l’Ailey II, il Dallas Black Dance Theater e PARADIGM. Nel 2005 Robert Battle
è stato insignito della medaglia “Masters of African-American Choreography”
al Kennedy Center for the Performing Arts. Ha creato la coreografie intitolate
Juba e Unfold per l’Alvin Ailey American Dance Theater.
photo by Andrew Eccles
* Louise, Atto III, Dupuis Le Jour interpretata da Leontyne Price, composta da
Gustave Chapentier, su gentile concessione di SONY BMG MASTERWORKS e SONY
BMG MUSIC ENTERTAINMENT
Questa produzione è stata resa possibile, in parte, grazie a una donazione della
Ford Foundation e dai fondi pubblici del National Endowment for the Arts.
Nato a Washington, DC nel 1899, compositore americano, pianista e leader di
gruppi jazz, Duke Ellington è una delle figure più influenti della storia
della musica. Nei primi anni ‘30 il suo gruppo è diventato famoso come il
leggendario Cotton Club di Harlem. Successivamente, il gruppo musicale è stato
in tournée negli Stati Uniti e nel mondo. “The Duke” ha scritto più di 900
composizioni prima della sua morte nel l974; tra queste, i classici Mood Indigo, Solitude, Caravan, Sophisticated Lady, Black, Brown,
and Beige.
Tintura dei tessuti per i costumi di Elissa Tatigikis Iberti
*su concessione di G. Schirmer, Inc., editore e copyright.
UNFOLD (2005)
coreografia di Robert Battle
assistente del coreografo Kanji Segawa
musica di Leontyne Price*
costumi di Jon Taylor, luci di Lynda Erbs
Il vorticoso e sensuale passo a due di Robert Battle evoca la
16
- intervallo -
ramma
Alvin Ailey
stati forniti da The Harkness Foundation for Dance; NJPAC Alternate Routes, New
Jersey Performing Arts Center; Elaine e Stephen Wynn; Camille O. e William H.
Cosby; Laren e Jesse Brill.
Lorenzo (Rennie) Harris è nato e cresciuto nella comunità AfroAmericana di North Philadelphia. Dall’età di 15 anni ha tenuto workshop e
classi in diverse università del paese ed è un influente portavoce dell’importanza delle origini di “strada” della danza. Nel 1992 ha fondato Rennie Harris
Puremovement, una compagnia di danza hip-hop impegnata nel preservare e
divulgare la cultura hip-hop attraverso workshop, classi, lecture demonstration,
residenze a lungo termine, programmi di mentorato artistico e rappresentazioni.
La Compagnia ha intrapreso numerose tournée in tutto il mondo. Rennie Harris
si dedica a varie tecniche hip-hop, tra le quali B-boy, house dancing e stepping
e a tutti quegli stili che nascono spontaneamente dagli ambienti urbani americani. Ha quindi portato queste danze sociali sul palcoscenico creando uno stile
unico che ben si adatta al mondo del teatro. Considerato una delle figure più
influenti nella storia di Philadelphia degli ultimi cento anni, ha vinto un Herb
Alpert Award in the Arts.
LOVE STORIES (2004)
coreografia di Judith Jamison
con Robert Battle e Rennie Harris
assistente di Rennie Harris Nina Flagg
musica di Stevie Wonder
composizione originale scritta e prodotta
da Darrin Ross
costumi di Susan Hilferty
assistente ai costumi Maiko Matsushima
luci e ideazione visiva di Al Crawford
Love Stories, dinamica collaborazione di Judith Jamison con
il pioniere hip-hop Rennie Harris e lo spirito libero della danza
moderna Robert Battle, si ispira a Sankofa, la parola Akan che
significa “tornare indietro” (Sanko) e “prendere” (fa).
- intervallo REVELATIONS (1960)
coreografia di Alvin Ailey
musica tradizionale
scene e costumi di Ves Harper
costumi per “Rocka My Soul”
ridisegnati da Barbara Forbes
luci di Nicola Cernovitch
Alvin Ailey diceva che uno dei più preziosi tesori dell’America
era l’eredità culturale degli Afro-Americani - ”a volte triste, a
volte esultante ma sempre ricca di speranza.” Questo classico è
un tributo a quell’eredità e al genio di Ailey. Grazie alla musica
religiosa Afro-Americana - spirituals, sermoni cantati, gospel e holy
blues – questa suite esplora il dolore più profondo e la gioia
sacra dell’anima.
photo by Andrew Eccles
photo by Andrew Eccles
Love Stories è stata creata grazie all’Ailey New Works Fund, con il sostegno
di Altria Group, Inc. Questa coreografia è stata realizzata grazie al sostegno
dell’Ailey New Choreography Initiative, sponsorizzata da AT&T. Love Stories
è stata realizzata grazie al sostegno della Ford Foundation. La coreografia è stata
realizzata grazie al generoso supporto del Fred Eychaner New Works Endowment
Fund, dei Kansas City Friends of Alvin Ailey e dal Sara & Bill Morgan New Works
Endowment Fund. Ulteriori fondi per la creazione di Love Stories sono
*Musica su gentile concessione di Stevie Wonder dalla raccolta – Stevie Wonder
At The Close of A Century; “Fingertips” (Clarence Paul-Henry Cosby) – pubblicato
da Jobete Music Inc. & Stone Agate Music, EMI Music Publishing; “If It’s Magic” &
“Another Star” (Stevie Wonder) – pubblicato da Black Bull Music Inc. & Jobete
Music Inc., EMI Music, 1999 Motown Record Company. L.P.
Tutte le rappresentazioni di Revelations sono finanziate da una generosa donazione di Donald L. Jonas per celebrare il compleanno di sua moglie Barbara e il
suo profondo impegno per l’Alvin Ailey American Dance Theater.
Le eventuali variazioni al programma saranno comunicate con
avvisi nel foyer del Teatro.
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“danza & dintorni”
OLIVIA BOWMAN (Brooklyn, NY) si è diplomata alla LaGuardia High School of the Performing
Arts. Ha vinto una borsa di studio alla North
Carolina School of the Arts ed è stata una studentessa borsista alla Ailey School. Ha fatto parte di
Donald Byrd/The Group e di Complexions. È entrata
a far parte della Compagnia nel 2001.
KIRVEN J. BOYD (Boston, MA) ha iniziato
a studiare danza alla Boston Arts Academy ed
è entrato a far parte dei Boston Youth Moves
nel 1999 diretto da Jim Viera e Jeannette Neill.
Ha studiato al Conservatorio di Boston e, come
borsista, alla Ailey School. Ha ballato con la
Battleworks Dance Company, la Parsons Dance
Company e l’Ailey II. È entrato a far parte della
Compagnia nel 2004.
HOPE BOYKIN (Durham, NC) ha ricevuto per
ben tre volte la Young Tuition Scholarship dell’American Dance Festival. Ha frequentato la Howard
University e ha danzato con la Lloyd Whitmore’s
New World Dance Company a Washington, DC. È
stata una studentessa dell’Ailey School. È stata
assistente di Talley Beatty e uno dei primi membri
di Complexions. Hope Boykin ha fatto parte di
Philadanco ed è stata insignita del Premio “Bessie”.
Nel 2005 ha creato la coreografia intitolata
Acceptance in Surrender in collaborazione con
Abdur-Rahim Jackson e Matthew Rushing per l’Alvin
Ailey American Dance Theater. È entrata a far parte
della Compagnia nel 2000.
CLIFTON BROWN (Goodyear, AZ) ha iniziato
a studiare danza in varie scuole, quali la Take 5
Dance Academy, il Ballet Arizona, la New School
for the Arts e l’Ailey School, dove ha preso parte
all’Ailey/Fordham BFA Program in Dance. È stato
insignito del Donna Wood Foundation Award e del
Level 1 ARTS Award del National Foundation for
Advancement in the Arts e nel 2005 è stato candidato in Gran Bretagna al Critics Circle National
Dance Award come miglior ballerino. Nel 2007 ha
ricevuto un Bessie Award per il suo impegno con
l’Alvin Ailey American Dance Theater. Ha danzato
con Diversity of Dance di Earl Mosley e come
ballerino ospite con il Miami City Ballet. È entrato
a far parte della Compagnia nel 1999.
ANTHONY BURRELL (Filadelfia, PA) ha
iniziato a studiare danza al Point Breeze Performing
Arts Center all’età di 12 anni. Successivamente, ha
studiato in varie istituzioni tra i quali Philadanco,
Pennsylvania Ballet, la University of the Arts e
l’Ailey School. Come ballerino e coreografo, Anthony
Burrell ha lavorato con vari artisti quali Beyoncé,
Destiny’s Child e Rihanna e ha partecipato a
numerose pubblicità, video e film. Ha fatto parte di
18
Ailey II e ha vinto la medaglia d’oro alla NAACP
ACT-SO Competition in Dance. È entrato a far parte
della Compagnia nel 2000.
COURTNEY BRENÉ CORBIN (Brentwood,
TN) è nata a Overland Park, KS. Ha iniziato a studiare danza al Ballet Oklahoma per poi continuare
i suoi studi al Dancenter North e alla scuola del
Nashville Ballet. Ha anche girato un episodio-pilota
per Nickelodeon e ha fatto la modella per la
rivista Harper’s Bazaar/Japan. Nel maggio 2004
si è diplomata all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in
Dance. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrata a
far parte della Compagnia nel 2005.
ROSALYN DESHAUTEURS (New Orleans,
LA) ha studiato al New Orleans Center for Creative
Arts. Ha studiato al Perry Mansfield, alla School
of the American Ballet e all’Ailey School. Dopo
essersi diplomata alla Juilliard School, ha fatto
parte dell’Ailey II. È entrata a far parte della
Compagnia nel 2000.
KHILEA DOUGLASS (Baltimora, MD) ha
studiato danza al Dance Theatre of Harlem, alla
Baltimore School for the Arts e all’Ailey School come
borsista. Ha danzato con il Lula Washington Dance
Theatre e con l’Ailey II. È entrata a far parte della
Compagnia nel 2005.
ANTONIO DOUTHIT (St. Louis, MO) ha
iniziato a studiare danza all’età di 16 anni al
Center of Contemporary Arts diretto da Lee Nolting
e all’Alexandra School of Ballet. Ha studiato anche
alla North Carolina School of the Arts, alla Joffrey
Ballet School, al San Francisco Ballet e alla Dance
Theatre of Harlem School. Dopo essersi diplomato
nel 1999, è entrato a far parte del Dance Theatre
of Harlem dove ha interpretato South African Suite,
Dougla, Concerto in F, Return e Twist di Dwight
Rhoden. È stato nominato ballerino solista nel
2003. Ha danzato anche con Les Grands Ballets
Canadiens di Montreal. È entrato a far parte della
Compagnia nel 2004.
VERNARD J. GILMORE (Chicago, IL) ha
iniziato a studiare danza alla Curie Performing and
Creative Arts High School di Chicago e, successivamente, al Joseph Holmes Chicago Dance Theater
con Marquita Levy, Harriet Ross e Emily Stein. Ha
frequentato il Barat College come borsista e ha
vinto la NAACP ACT-SO Competition di danza nel
1993; grazie ad una borsa di studio, ha studiato
alla Ailey School. È anche insegnante, coreografo ed
ex-membro dell’Ailey II. È entrato a far parte della
Compagnia nel 1997.
ABDUR-RAHIM JACKSON (Filadelfia, PA)
si è diplomato alla Franklin Learning Center High
School e alla Juilliard School. Ha vinto una borsa
di studio del Freedom Theatre, della Philadanco,
del Dance Theatre of Harlem, del Boston Ballet
e dell’Ailey School. Ha vinto il Marion D. Cuyjet
Award e ha preso parte nel 2003 al documentario
della PBS “American Masters” intitolato Juilliard. Ha
danzato con l’Ailey II nel 2000 ed è entrato a far
parte della Compagnia nel 2001.
CHRIS JACKSON (Chicago, IL) ha studiato allo
Stairway of the Stars dance studio. Nel 1998 ha
iniziato a studiare danza alla Chicago Academy for
the Arts High School diretta da Anna Paskevska e
Randy Duncan. Successivamente, ha studiato all’Ailey
School grazie alla 2001-2002 Alvin Ailey Fellowship.
Da studente, ha lavorato con la River North Dance
Chicago ed ha fatto parte dell’Ailey ll. È entrato a
far parte della Compagnia nel 2004.
GWYNENN TAYLOR JONES (Berlin, PA)
ha iniziato a studiare danza al Pittsburgh Youth
Ballet all’età di 13 anni. Ha continuato i suoi studi
alla Ballet Met Dance Academy di Columbus. Si è
trasferita a New York dove ha studiato alla Ailey
School come borsista per poi entrare a far parte
dell’Ailey II. Ha danzato con l’Earl Mosley Diversity
of Dance, la Fred Benjamin Dance Company, il Cedar
Lake Ensemble ed ha interpretato la coreografia di
George Faison per Aretha Franklin. È entrata a far
parte della Compagnia nel 2004.
WILLY LAURY (Parigi, Francia) ha iniziato
a studiare danza al Janine Stanlowa Institute de
Danse e allo Studio Harmonic di Parigi. Si è trasferito a New York dove ha continuato a studiare danza
al SUNY Purchase, alla Juilliard School e all’Ailey
School dove ha interpretato le coreografie di Judith
Jamison, Alan Barnes e Matthew Rushing. Ha preso
parte al film Ever After ed è apparso sulle riviste
Vogue (edizione italiana) e Nylon Magazine. Ha
lavorato anche con la fotografa Maria Elena Giuliani
di “Men’s Health” ed ha fatto parte dell’Ailey II. È
entrato a far parte della Compagnia nel 2004.
photo by Andrew Eccles
GUILLERMO ASCA (Rego Park, NY), detto
“Moe”, si è diplomato alla LaGuardia High School
of the Performing Arts. Ha studiato come borsista
all’Ailey School e ha danzato con l’Ailey II, il Ballet
Metropolitano de Caracas, il Ballet Hispanico, Dance
Compass, lo Shapiro & Smith and Foot Prints Dance
Project. È entrato a far parte della Compagnia
nel 1994.
YANNICK LEBRUN (Cayenne, Guyana
Francese) ha iniziato a studiare danza nel suo
paese nativo alla Adaclam School diretta da Jeanine
Verin. Dopo il diploma nel 2004, si è trasferito a
New York City per studiare alla Ailey School come
borsista. Ha interpretato le coreografie di Troy
Powell, Matthew Rushing, Abdur-Rahim Jackson,
Debbie Allen, Scott Rink, Thaddeus Davis, Nilas
Martins e Dwight Rhoden e ha danzato Modo
Alvin Ailey
MALIK LE NOST (Parigi, Francia) ha iniziato
a studiare danza nel sud della Francia al Dance
Energy. Dopo essersi diplomato, ha continuato a
studiare al Conservatoire National de Musique
de Danse di Parigi. Ha lavorato in televisione
con Mariah Carey, con Redha e Kamel Ouali in
vari musical e con Jean Paul Goude in uno spot
commerciale. Nel 2005 si è trasferito a New York
dove ha studiato alla Ailey School come borsista.
Ha fatto parte dell’Ailey II. È entrato a far parte
della Compagnia nel 2006.
ROXANNE LYST (Annapolis, MD), ha iniziato a
studiare danza a Washington, DC con Alfred Dove e
Adrian Bolton. Ha continuato i suoi studi al Jacob’s
Pillow, alla Pennsylvania Academy of Ballet e, come
borsista, alla Ailey School. Ha fatto parte dell’Ailey
II e di Philadanco. È entrata a far parte della
Compagnia nel 2004.
AMOS J. MACHANIC, JR. (Miami, FL) ha
studiato danza alla New World School of the Arts
per poi continuare alla Ailey School come borsista.
Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrato a far parte
della Compagnia nel 1996.
RACHAEL MCLAREN (Manitoba, Canada) ha
iniziato a studiare danza alla Royal Winnipeg Ballet
School. Dopo il diploma, è entrata a far parte del
cast di Mamma Mia! a Toronto. Successivamente, si è
trasferita a New York per studiare alla Ailey School
come borsista ed ha poi fatto parte di Ailey II.
Ha interpretato le coreografie di Karole Armitage,
Dwight Rhoden, Francesca Harper e Nilas Martins. È
entrata a far parte della Compagnia nel 2008.
AISHA MITCHELL (Syracuse, NY) ha iniziato
a studiare danza all’Onondaga Dance Institute,
al Dance Centre North e alla Tony Salatino of
Syracuse University. Ha studiato al North Carolina
Dance Theater, alla Lines Ballet School, alla Joffrey
Ballet School e alla Ailey School come borsista. Ha
partecipato all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in
Dance e ha fatto parte dell’Ailey II. Ha interpretato
le coreografie di Alonzo King, Dwight Rhoden,
Debbie Allen, Sean Curran e Nacho Duato. Ha vinto
la medaglia di bronzo alla NAACP National ACT-SO
competition nel 2001. È entrata a far parte della
Compagnia nel 2008.
AKUA PARKER (Kinston, NC) ha iniziato a
studiare danza all’età di tre anni. Nel 2000 è
entrata a far parte del Dance Theatre of Harlem
dove ha interpretato i ruoli principali in Giselle,
Agon e The Four Temperaments. Ha poi danzato
con il Cincinnati Ballet e il Ballet San Jose. Ha
avuto l’opportunità di esibirsi in tutto il mondo e
il piacere di lavorare con icone leggendarie quali
Fredric Franklin e Geoffrey Holder. È entrata a far
parte della Compagnia nel 2008.
BRIANA REED (St. Petersberg, FL) ha iniziato
a studiare danza all’Academy of Ballet Arts e al
Pinellas Country Center for Arts. Ha studiato anche
alla Ailey School come borsista. Nel 1997 si è
diplomata alla Juillard School ed ha fatto parte
dell’Ailey II. È entrata a far parte della Compagnia
nel 1998.
JAMAR ROBERTS (Miami, FL) si è diplomato
alla New World School of the Arts. Ha studiato al
Dance Empire di Miami e, come borsista, alla Ailey
School. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrato a
far parte della Compagnia nel 2002.
RENEE ROBINSON (Washington, DC) ha iniziato a studiare danza classica alla Jones-Haywood
School of Ballet. È stata insignita di due borse
di studio della Ford Foundation per entrare alla
School of the American Ballet, di una borsa di
studio per la Dance Theatre of Harlem School e
per l’Ailey School. Nel 2003 ha danzato alla Casa
Bianca in occasione della cena di stato in onore
del Presidente del Kenya, Mwai Kibaki. Ha fatto
parte dell’Ailey II ed è entrata a far parte della
Compagnia nel 1981.
MATTHEW RUSHING (Los Angeles, CA) ha
iniziato a studiare danza alla Los Angeles County
High School for the Arts. È stato insignito dello
Spotlight Award ed è stato candidato a una
Presidential Scholar in the Arts. Ha studiato alla
Ailey School di New York per poi entrare a far
parte dell’Ailey II, con il quale ha danzato per un
anno. Durante la sua carriera, ha danzato come
ballerino ospite in numerosi gala in Francia, Russia,
Canada e Ungheria e si è esibito per il Presidente
Bill Clinton in occasione del suo insediamento. Nel
2003 ha danzato alla Casa Bianca in occasione
della cena di stato in onore del Presidente del
Kenya, Mwai Kibaki. È entrato a far parte della
Compagnia nel 1992.
GLENN ALLEN SIMS (Long Branch, NJ) ha
iniziato a studiare danza all’Academy of Dance
Arts di Red Bank, NJ. Ha studiato come borsista
all’Ailey School e si è esibito al Garden State Arts
Center’s Talent Expo nel 1993. Ha frequentato la
photo by Andrew Eccles
Fusion con il Francesca Harper Project. Ha fatto
parte dell’Ailey II. È entrato a far parte della
Compagnia nel 2008.
Juilliard School diretta da Benjamin Harkarvy ed
ha interpretato le coreografie di Glen Tetley, Paul
Taylor e Lila York. Ha danzato per il re del Marocco
le coreografie di Fred Benjamin e si è esibito con
l’Urban Dance Theater e il Creative Outlet Dance
Theater di Brooklyn. Nel 2004 è stato inserito nella
Alumni Hall of Fame della Long Branch High School.
È entrato a far parte della Compagnia nel 1997.
LINDA CELESTE SIMS (Bronx, NY) ha iniziato a studiare danza alla Ballet Hispanico School of
Dance e si è diplomata alla La Guardia High School
of the Performing Arts. Ha vinto un Presidential
Scholar Award della National Foundation for
Advancement in the Arts. Duranti le estati 1993 e
1994 ha studiato come borsista alla Pennsylvania
Ballet School. Ha danzato con El Piccalo Theatro
de la Opera e con il Ballet Hispanico. È entrata a
far parte della Compagnia nel 1996.
YUSHA-MARIE SORZANO (Miami, FL)
è originaria di Trinidad. Ha iniziato a studiare
danza alla New World School of the Arts, al Miami
Conservatory e al Dance Theatre of Harlem. Ha
partecipato all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in
Dance ed ha fatto parte dell’Ailey II. Ha danzato
con Nathan Trice/Rituals, TU Dance (Direttori
Artistici: Uri Sands e Toni Pierce-Sands) ed ha fatto
parte di Complexions. Si è esibita anche con artisti
pop quali Destiny’s Child e Rihanna. È entrata a
far parte della Compagnia nel 2007.
CONSTANCE STAMATIOU (Charlotte, NC)
ha iniziato a studiare danza al Pat Hall’s Dance
Unlimited e al North Carolina Dance Theatre. Nel
maggio 2002 si è diplomata alla Northwest School
of the Arts e ha studiato al SUNY Purchase prima
di studiare come borsista alla Ailey School. Ha fatto
parte dell’Ailey II ed è entrata a far parte della
Compagnia nel 2007.
TINA MONICA WILLIAMS (Elizabeth, NJ)
ha iniziato a studiare danza alla scuola di ballo
locale diretta da Michele Selvanto-Kowalski. Nel
1994 ha studiato alla Ailey School, vincendo una
borsa di studio dopo appena un anno. Ha danzato
con la Footprints Dance Company, il Millennium
Project, la Shore Ballet Company ed è stata invitata
a danzare in Italia nel 1994 nell’ambito di un
programma di scambio culturale. Nel 1998 è stata
invitata a far parte dell’Ailey II. È entrata a far
parte della Compagnia nel 2000.
MARCUS JARRELL WILLIS (Houston, TX)
ha iniziato a studiare danza alla Johnston
Performing Arts Middle School, alla High School for
the Performing and Visual Arts e al Discovery Dance
Group di Houston, Texas. A 16 anni si è trasferito a
New York dove ha studiato alla Ailey School come
borsista. È stato insignito del Level 1 ARTS Award
dal National Foundation for the Advancement in the
Arts ed ha vinto numerose borse di studio, tra le
quali quella della Juilliard School. Ha fatto parte
dell’Ailey II e ha lavorato anche con il Pascal Rioult
Dance Theater, il Dominic Walsh Dance Theater e la
Tania Pérez-Salas Compañía de Danza. È entrato a
far parte della Compagnia nel 2008.
19
Foto E. S. Ummarino
UN CAFFÈ ESPRESSO COME NON
L’AVETE MAI VISTO. NÉ GUSTATO.
NÉ IMMAGINATO.
IL METODO
Un espresso eccellente è fatto di 6,7
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pressione, tempi esatti: l’arte del barista. illy
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consistenza è incredibilmente vellutata, l’aroma
straordinariamente intenso. La crema, sempre
densa e persistente, si forma dentro, e non sopra
il caffe: merito della capsula, che lavora per
infusione ed emulsione. Il metodo Iperespresso
è semplice anche per chi non ha mai fatto un
caffe in vita sua. Lo trovate nei migliori bar
illy e negozi di design, da Media World e su
www.iperespresso.it
caféRossetti news
Gli appuntamenti
Le novità 2008-2009
Giovedì 23 ottobre
dalle ore 21.30
Teatro a Tavola @ 25 euro
Jazz Session on Stage
3 portate & 3 bicchieri & acqua & caffè
se l’acquisto avviene contestualmente
a quello dei biglietti per lo spettacolo
Vino in abbonamento
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news
diretto da Antonio Calenda
È stato lo spettacolo
più visto della passata stagione teatrale
Biglietto d’oro per “Vita di Galileo”
Il Teatro Stabile ha ricevuto il prestigioso riconoscimento a Spoleto
Vita di Galileo di Bertolt Brecht,
lo spettacolo prodotto dal Teatro
Stabile del Friuli Venezia Giulia con
il Teatro de Gli Incamminati, diretto
da Antonio Calenda e interpretato da
Franco Branciaroli, ha vinto il Biglietto
d’Oro come spettacolo italiano con
maggior successo per la Stagione
2007-2008. Il prestigioso riconoscimento, assegnato dal Comitato d’Onore
per i Biglietti d’Oro Agis-Eti sulla base
dei dati Agis relativi alla presenza
di pubblico in tutti i teatri italiani
è stato conferito lo scorso 11 luglio
in una cornice di assoluto rilievo per
il mondo del teatro e della cultura
nazionale: il Festival dei Due Mondi
di Spoleto. Alla premiazione sono
intervenute autorità e rappresentanti
di istituzioni ed enti nazionali, primo
fra tutti il Ministro per i Beni e le
Attività culturali Sandro Bondi.
Il premio Biglietti d’oro per il teatro
nasce su iniziativa dell’Agis nel 1984
e si svolge fino al 1997 prima al
Teatro Antico di Taormina, poi a Roma,
al Teatro Quirino, e infine a Parma,
al Teatro Farnese e al Teatro Regio.
Tutte le edizioni hanno avuto ampia
eco mediatica e una partecipazione di
artisti, autori e registi ai massimi livelli
del teatro italiano. Significativa anche
la larga presenza di pubblico. Dopo un
periodo di sospensione, i Biglietti d’oro
vengono riassegnati per la stagione
2007-08 su impulso del Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali.
22
Al via a Londra le
prove di Rocky Horror
Lo spettacolo debutta il 31 ottobre a Berlino
Hanno preso il via nei giorni scorsi a Londra le prove del Rocky Horror
Show, il musical di Richard O’Brian che debutterà il prossimo 31 ottobre all’Admiralpalast di Berlino e che sarà in cartellone al Rossetti dal 1° al 5 aprile 2009.
Il musical, che va in scena sotto la diretta supervisione dell’autore, è diretto da
Sam Buntrock, regista di assoluto prestigio candidato quest’anno al Tony Award per
la sua memorabile edizione di Sunday in the Park with George di
Stephem Sondheim, andato in scena prima a Londra e poi a Broadway. Protagonisti
dello spettacolo saranno l’inglese trapiantato a Vienna Rob Fowler (già applaudito
protagonista tre stagioni or sono del concerto Musical Christmas from
Vienna), che interpreterà il ruolo di Frank’n’Furter e Ceri-Lyn Cissone in quello
di Janet. Il tour europeo dello spettacolo toccherà quest’anno, oltre a Trieste e
Berlino, Vienna, Zurigo, Düsseldorf, Monaco di Baviera e Francoforte.
un assaggio della prossima stagione
“Mamma Mia!”,
tutti in fila al cinema
Il film è campione d’incassi dell’ultimo weekend
Debutto di successo al cinema per
MAMMA MIA!, il film tratto
dall’omonimo musical che sarà in
scena al Rossetti dal 22 aprile al 3
maggio 2009 nell’edizione originale di
Londra e New York. Nel primo weekend
di uscita il film ha conquistato il 25
per cento del pubblico cinematografico
italiano con 287.476 presenze e un
incasso di quasi 2 milioni di euro.
E notevole è stato il successo della
prima giornata a Trieste, che ha visto
il Teatro Stabile collaborare con il
Cinema Nazionale per le prime quattro
Periodico del Teatro Stabile
del Friuli Venezia Giulia
redazione Viale XX Settembre, 45
34126 Trieste
tel. 040-3593511 fax 040-3593555
www.ilrossetti.it [email protected]
Anno XVI - numero 158
8 ottobre 2008
Aut. Tribunale di Trieste n° 846
del 30.7.1992
stampa Stella Arti Grafiche,Trieste
direttore responsabile
Stefano Curti
redazione Ilaria Lucari, Ivis Lasagna
proiezioni, alle quali gli abbonati del
Rossetti hanno potuto assitere a prezzo speciale. Particolarmente affollata
è stata la proiezione delle ore 20.15,
al termine della quale il pubblico ha
salutato il film con un vero e proprio
applauso! L’edizione cinematografica
di MAMMA MIA!, magistralmente
interpretata da Meryl Streep, Pierce
Brosnan, Colin Firth, Julie Walters e
Christine Baranski è stata prodotta e
realizzata dallo stesso team creativo
che ha reso il musical teatrale un successo planetario: la regia cinematografica, come quella teatrale, è di Phyllida
Lloyd, la sceneggiatura è adattata dal
libretto di Catherine Johnson, mentre le
coreografie sono di Anthony Van Laast.
Il film resterà in programmazione nelle
sale cinematografiche cittadine anche
nelle prossime settimane: ricordiamo
nell’occasione che agli abbonati del
Rossetti vengono praticate condizioni
di favore nei cinema del gruppo EGM
(4,50 euro per tutte le proiezioni dal
lunedì al venerdì; 4 euro al martedì,
escluso festivi). I biglietti per il musical,
che in Italia andrà in scena soltanto
al Rossetti di Trieste e al Teatro degli
Arcimboldi di Milano, saranno in vendita a partire da martedì 16 dicembre.
Gli abbonati stelle potranno prenotare
i biglietti dal 9 dicembre.
la lettera
Essere o non essere
spettatori consapevoli
Da Peter Pan a Masaniello, dal musical
alla prosa, da Rossini a Bennato, dalla prima alla
terza media. Eravamo così piccoli nelle grandi
poltrone azzurre del Rossetti, con tutti quegli
adulti davanti che ci oscuravano la visuale. E per
quanto ci piacesse lo spettacolo, per quanto felici
fossimo di essere lì con i nostri amici, più di tanto
non potevamo capire quello che veramente voleva
trasmettere la commedia, ammaliati solo dalle luci
e dalla musica. A teatro... noi ragazzi, con altri
ragazzi al posto dei soliti fratelli, con professori
come genitori... è diverso, è strano, è un’esperienza
nuova, nuova... ma bella. Dalla prima alla terza
media tanto è cambiato. I professori che in prima
appena conoscevamo e che chiamavamo, inciampando nell’ombra del ricordo delle elementari “maestri”
con troppa confidenza, ora sono così strani nelle
vesti di persone al nostro stesso livello, semplici
adulti da chiamare pur sempre professori ma
con cui scambiare quattro chiacchiere e qualche
opinione. È così strano non vederli dietro alle loro
cattedre e ai loro registri ma sentirli più simili a
genitori che a insegnanti. È nata un’atmosfera insolita e quando ritorniamo a scuola, il giorno dopo,
è tutto diverso, tutto più scuro e cupo; l’atmosfera
magica della cupola stellata è sparita... il soffitto
è grigio, le lampade al neon brillano di un alone
opaco; gli insegnanti sono tornati insegnanti e noi
siamo tornati dietro i nostri banchi...
Ma un paio di forbici, una colla e un cartoncino
sono la nostra porta verso il ricordo del teatro.
Jekyll e Hyde e I due gemelli veneziani ricominciano a guardarci dalle immagini
che occhieggiano sui corridoi. Il teatro è arrivato
anche a scuola! Poi aspettiamo nuovamente
quell’istante della lezione, in cui la professoressa
ci lascia uno scintillante biglietto blu in mano,
quando ci dice “a stasera allora ragazzi! Puntuali
mi raccomando!”
Ritrovo alle 8:30 all’entrata principale del teatro.
Ed essere puntuali per le ragazze è un vero suicidio: bisogna prepararsi con circa tre ore d’anticipo,
per poi riuscire a truccarsi in solo due ore!
Ma cos’è veramente il teatro per noi? Non è solo
un modo per farsi vedere con abiti sfarzosi o
acconciature per cui hai lavorato ore. È diventato
quasi uno svago per noi giovani, un momento da
passare con gli amici, scambiandoci opinioni sul
secondo atto e su quanto sia originale l’ellissi
della scena cruciale.
E quando tutte le sedie sono state occupate,
quando le luci si spengono e il soffitto si accende
di stelle, quando la voce metallica avvisa di spegnere i cellulari e mettere da parte le macchine
fotografiche, una scintilla di emozione divampa
in tutti noi. Il tendone rosso vibra leggermente
e… si apre.
Vi ringraziamo e speriamo che queste emozioni si
ripetano nuovamente
Lila Banterle e Stefania Catalan
della 3D 2007/08 Scuola Media Divisione Julia
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Adolfo Levier (Trieste, 1873-1953) - Caffè all’aperto, 1910 - olio su tela, cm 65x92
il colore del benessere sociale
Non può esserci stabile ricchezza economica
senza ricchezza spirituale.
In qualsiasi ambito siano rivolti
– dalla sanità allo sviluppo economico, dalla scienza alla cultura,
all’arte, al tempo libero –
gli interventi della Fondazione sono sempre caratterizzati
da concreto impegno verso la collettività.
In una società evoluta
sono modulazioni che arricchiscono di felici tonalità
il colore del benessere sociale.
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periodico n° 1 del 8 ottobre 2008