mensile dell'Aime, associazioneunitaria di comuni province e q i o n i
d a l
Q u a r t i e r e
a l l a
R e g i o n e
p e r
u n a
U n i o n e
E u r o p e a
F e d e r a l e
r u b r i c a di U m b e r t o S e r a f i n i
Perché mai l'unita europea?
Le origini del movimento comunale
europeo s o n o in buona parte a n c h e le
stesse origini del movimento europeo,
c o m e si evince dalla lettura della
recensione pubblicata nelle ultime
pagine di q u e s t o numero di "Comuni
d'Europa1'. Da qui la selezione delle
immagini scelte, che d a n n o conto, pur
s e in minima parte, dell'ampio c o n t e s t o
di cui bisogna t e n e r conto.
Chiaroscuro
di Umberto Serofini
Perchè partecipare alla Conferciiza
(li Ragusa
di Gianfranco Martini
Solo dall'Europa una risposta
di Ronberto Di Giovan Paolo
Le politiche europee
dell'ininiigrazione
di Rinaldo Bontempi
Un'agire a misura d'il01110
df Carlo Azeglio Ciampi
Cadtnos continua a cercarc Europa?
df Renato Landotti
1.e rcccnsioni di Coiiluni d'Europa
di Maria Speroni
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Non per ragioni autobiografiche e iticontrollato esibizionisnio, nia per autocritica o,
m e g l i o , r e v i s i o n e c r i t i c a e d e s a m e di
coscienza di "propagandista" cercherò di
abbozzare, in una prima nota sbrigativa
(per farlo più seriamente ci vorrebbe addirittura un libro o, meglio, un po' di tempo
tranquillo), i motivi che, fin da ragazzo
(anni Trenta), mi h a n n o spinto a rispondere
alla d o m a n d a posta dal titolo di q u e s t o
articolo. Cercherò di verificare se e come la
risposta positiva si basava, in t u t t o o prevalentemente, su motivi permanenti, validi
allora come oggi (rispondendo alla replica
scettica e ironica di parecchi - giovani e
anche vecchi -: "ora tutto è cambiato!" replica ambigua, perché senza dubbio è larg a m e n t e m u t a t o il quadro, ma probabilmente non sono mutati i valori o, se volete,
le ragioni di lunga strategia -1.
Sono, per così dire, nato (l'ambiente familiare] e cresciuto con l'idea che la guerra la guerra fra gli Stati - è un momento di un
progresso umano (dall'uomo delle caverne
alla "polis", eccetera eccetera) incompiuto:
h o sempre rispettato - per usare una esemplare espressione del mio amico Ruggero
Zangrandi - i milioni di morti (anche eroicamente) "senza sapere perché", ma mi ha
s e m p r e d a t o fastidio chi considerava la
guerra moderna, fra gli Stati, una forma
quasi religiosa di "giudizio di Dio" (con la
precisazione che certi filosofi, che dete5tavo
e detesto, chiosano il "giudizio di Dio" con
"prima o poi", nel senso che alla fine la
realtà si identifica col razionale e il "progresso" coincide col giusto).
No11 sorridete, ma d o p o una conoscenza
indiretta, divulgativa - che mi aveva entusiasmato per il maestro -, a tredici anni ho
letto e mentalmente commentato le "Cause
della grandezza dei Romani e della loro
decadenza" di Montesquieu. Poi mi aveva
colpito la riflessione di un professore, famoso, di mio padre (quando era studente di
Giurisprudenza, alla Sapienza di R o m a ) ,
Anzilotti, che il diritto internazionale (la sua
materia) non è un diritto vero e proprio,
perché noti ha la forza e la capacità di sanzione. Itifitie avevo tratto certe mie conclus i o n i ( p r o v v i s o r i e ) , c o m e ricavo d a u n
appunto conservato (credo di prima liceale:
1932-33): parlando di filosofia stoica, "tra il
sapiente e la moltitudine degli stolti c'è ...
un abisso incolmabile. Lo stoico sa però di
essere cittadino di uno Stato esteso quanto
il mondo (cosmopolitismo), sa di appartenere a una società universale di esseri ragionevoli, a m m e t t e la partecipazione di tutti a
certi diritti c h e s o n o posti dalla n a t u r a
(ingiustizia della schiavitù]: tuttavia, con
l'attuare l'unione con la Ragione universale
ritraendosi esclusivamente dentro di sé, lo
stoico non può tradurre il suo cosmopolitismo in azione concreta di fratellanza umana''. Appare dunque evidente la mia insoddisfazione: il passo s e g u e n t e sarà "quale
azione in favore di questo ideale"; facendo
attenzione che il cosmopolitisnio si sposa
con la difesa dei diritti di natura o "diritti
umani". Nello stesso periodo - fine del gin-
Comuni
d'f;inma
nasio superiore, inizio del liceo - mi rendevo conto che la battaglia per la libertà (civile e politica) doveva condursi senza compromessi, r e s p i n g e n d o c o m e matrice di
ambiguità e di corruzione la "fronda fascis t a " e rifiutando d u n q u e l'"offerta" dei
cosiddetti littoriali della cultura.
Ma il liceo classico "Tasso" di Roma, che
frequentavo, aveva un preside, Eliseo Grossi
(vulgo "Panzone"), che, oltre ad essere assai
colto (era s t a t o allievo del Beloch) s o t t o
l'apparenza di una ruvida scorza, proteggeva con abilità e coraggio varii professori
"uomini liberi" e talora apertamente, esplicitamente antifascisti: primo fra tutti l'ordinario di storia e filosofia della sezione C
(fortunosamente la mia sezione), Aldo Ferrari (vulgo Fifi). Ferrari era apertamente un
socialista riformista. democratico, e federalista, sopra e iiifranazioiiale: ci spiegò, tra la
2a e la 3a liceale (1933-34 e 1934-351, la
"Pace perpetua" di Kant e il federalismo italiano (era il biografo di Giuseppe Ferrari,
condiscepolo di Carlo Cattaneo nell'insegnamento del Romagnosi). Ci spiegò altresì
cos'è e come funziona uno Stato democratico, partendo per lo più da Locke, ma con
una ampia panoramica attuale, che mi trovò
preparato dalla lettura f a t t a in casa del
fanioso niatiuale Barbera di Diritto costituz i o n a l e d e l l ' o r l a n d o ( p r o f e s s o r e di m i o
padre). Noti niaticò di farci conoscere Marx,
spingendoci a riflettere sul materialismo
storico (il che mi intrigò nel mio primo
anno di Scuola Normale, di cui dirò). In una
gara annuale, che si faceva al "Tasso" su
varie materie, con la partecipazione di tutte
le sezioni, nel tema di storia (che questa
volta proponeva "i rapporti fra Stato e Chiesa dopo l'unità") Fifi riuscì incredibilmente a
far vincere il mio svolgimento (col premio di
3 0 0 lire), che era una severa analisi critica di
come era avvenuta la Conciliazione, irrispettosa dello Stato di diritto e del cavourriano
"libera Chiesa in libero Stato", nonché di un
autentico Cristianesimo, ovviamente contrario a uno Stato totalitario (tra l'altro - ma
io avevo già anche le mie motivazioni personali - Ferrari ci aveva fatto studiare in l a
liceale una scelta del Vangelo - l'etica del
Vangelo - fatta dal modernista Mignosi).
Ma soprattutto su di me ha agito profondamente la coerenza e la figura morale di Ferrari, che successivamente (ormai docente a
La Spezia), messo di fronte a una scelta tra
u n insegnamento fascista o l ' a b b a n d o n o
della missione di libero insegnante, ha preferito suicidarsi [ricordandoci il suicidio di
Catone d'Utica, che mi ha sempre esaltato
nelle pagine famose di Plutarco).
L'antifascismo militante mi spingeva a guardare anzitutto all'Europa, e l'obiettivo di un
legame tra piu nazioni era connesso con la
lotta per la democrazia: niente più guerre
fratricide, ma legami federali. Ferrari ci aveva s p i e g a t o c h i a r a m e n t e nella s o s t a n z a
quella che poi diverrà, lessicalmente, la differenza tra federazione e confederazione.
Quando, nel maggio 1935, u n onesto professore fascista ci propose in u n tema il
segue a pagina 14
Perché partecipare alla Conferenza di Ragusa
di Gianfranco Martini
Da alcuni anni un appuntamento importante sollecita la partecipazione
di Città e Comuni gemellati o comunque interessati a gemellarsi. Questo appuntamento, sotto forma di Conferenza, all'origine concordata
tra le Sezioni italiana e greca del Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa, si è poi progressivamente esteso - dato il successo riportato agli enti locali di altri paesi rivieraschi del Mediterraneo: di Francia, Spagna, Malta, Cipro e, per affinità di problemi, del Portogallo.
Via via che i paesi balcanici guardavano all'unione europea e al Consiglio d'Europa come al naturale sbocco della loro difficile transizione
alla democrazia e all'economia di mercato, le successive edizioni della
Conferenza hanno coinvolto anche i paesi che si affacciano al Mare
Adriatico: Slovenia, Croazia, Albania.
Quest'anno, infine, dal 12 al 15 tnaggio, la Vi1 Conferenza delle città
gemellate del Mediterraneo riunirà in Sicilia, a Ragusa, anche enti
locali della sponda sud e sud-est, oltre a Israele, Territori palestinesi,
Turchia, già invitati o presenti nel 1998.
È questa una grossa novità che non solo allarga le dimensioni quantitative della Conferenza, ma ne rende ancora più significativo l'obiettivo, quello di un dialogo complesso, e a volte non facile, tra tutti i
soggetti che si affacciano al Mediterraneo.
Quali soggetti? Siamo abituati, da una secolare tradizione, a vedere
negli Stati e nei loro organi costituzionali (parlamenti e governi) gli
unici attori di politica internazionale, specie nelle aree ove le relazioni
sono più complesse e conflittuali. Non è più così: altri soggetti si
sono aggiunti, con un loro specifico ruolo e tra questi gli enti temtoriali o, se si preferisce, le varie articolazioni della società civile: è questo il termine usato testualmente nel documento finale dell'iniportante Conferenza euro-mediterranea svoltasi a Barcellona nel 1995.
La Commissione europea, consapevole dell'importanza e attualità dei
temi che saranno affrontati a Ragusa, ha concesso, tramite la sua
Direzione generale X, una adeguata sowenzione: è non solo una
decisione finanziariamente significativa, ma anche un chiaro riconoscimento politico.
La Conferenza si articolerà in diverse sessioni tematiche.
La prima tratterà la cooperazione culturale per lo sviluppo locale e la
prospettiva di realizzare una Università del Mediterraneo, per il confronto e l'integrazione delle culture, dei processi formativi e delle tecnologie. La pace nel Mediterraneo è innanzitutto un problema di
migliore conoscenza reciproca, di rifiuto dei luoghi comuni, dell'intolleranza, dei facili pregiudizi, quindi di "cultura" nel significato più
pregnante della parola.
Seguirà la cooperazione economica; per lo sviluppo sostenibile delle
città del Mediterraneo tramite i programmi europei e le risorse locali e
il contributo dei gemellaggi alla realizzazione di tale obbiettivo.
aprile 1999
Saranno trattati anche i fenomeni migratori, che nel Mediterraneo
trovano da tempo il luogo geografico e sociale di crescente e spesso
drammatica intensità. Detti fenomeni saranno esaminati a Ragusa
sotto il duplice profilo dei paesi di emigrazione e di immigrazione.
Infine verrà dibattuto il quadro geo-politico nel quale i predetti problemi si pongono.
In filigrana corrono, attraverso tutti questi problemi, due interrogativi.
1 gemellaggi tra città e comuni quaie contributo possono e devono
portare alla loro soluzione e a quali condizioni? 11 processo di unificazione dell'Europa quali mutamenti porterà in questo contesto, quali
progressi potrà assicurare al dialogo e alla cooperazione nell'area
mediterranea? La Conferenza di Ragusa ci obbliga ancora una volta a
riflettere secondo uno schema cotnplesso in cui si intrecciano unificazione federale dell'Europa ed autonomie territoriali.
Una specifica comunicazione sarà inoltre dedicata al ruolo della donna nella regione mediterranea, mentre una relazione introduttiva cercherà di fare il punto sul ruolo dei gemellaggi per lo sviluppo della
democrazia locale, della partecipazione dei cittadini e del rispetto dei
diritti umani, nell'ambito del dialogo euro-mediterraneo.
Le autorità locali e regionali siciliane, la dirigenza dell'Aiccre, rappresentanti del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, autorità
parlamentari e governative del nostro paese, rappresentanti della
Commissione e del Parlamento dell7Unione europea e del Consiglio
d'Europa, porteranno il loro contributo al successo della Conferenza.
Una tavola rotonda di rappresentanti delle tre religioni abramitiche,
cristiana, ebraica, musulmana, concluderà l'appuntamento ragusano.
11 Mediterraneo è stato per secoli luogo di incontro e di conflitto tra
religioni diverse. È tempo che esse dialoghino e si confrontino in
maniera positiva al servizio dell'uomo e della pace.
In sintesi, la Conferenza di Ragusa - ed è questa la ragione essenziale
dell'impegno dell'Aiccre - ripropone, con modalità particolari legate al
ruolo dei gemellaggi, il fondamentale problema, spesso evocato ma
ancora purtroppo non risolto, di una politica estera e di sicurezza
cotnune per l'unione europea. Solo così le relazioni con i paesi di tutto il bacino mediterraneo (ma non solo con questo) potranno essere
poste su basi corrette, efficaci, di dialogo reale e permanente: la
democrazia e la pace ne risentiranno positivamente le conseguenze.
Vi sono quindi sufficienti ragioni, anche per gli enti temtoriali dell'ltalia, paese mediterraneo nel senso più pieno, per partecipare numerosi alla Conferenza.
Gianfranco Martini
Comuni
d'Empa
L A
T R A G E D I A
D E L L A
G U E R R A
P E R
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L
K O S O V O
Solo dall'Europa una risposta
di Roberto Di Giovan Paolo
È davvero difficile parlare di Europa mentre accanto a noi si svolge uiia guerra che reca con sé il carico di morte e di incotnunicabilità, a cominciare dal senso di oppressione e di dolore che invad e i l nostro animo e quello di chi sa che ogni guerra è una sconfitta dell'uomo e della sua cultura.
Che ogni violenza è un grido di sofferenza pritna ancora che collettivo, individuale, di chi non ha voliito sentire la forza della
ragione e del sentitnento, di chi non ha cercato fino in fondo le
ragioni del dialogo e del confronto.
Vengo da uiia famiglia cattolica e democratica: mio fratello e oggi
tra i militari che sono in prima linea nel difendere il nostro Paese
e la necessità indicata dal Santo Padre dell'ingerenza umanitaria.
11 mio cuore e la mia mente sono con lui, mentre il mio animo di
orgoglioso obiettore di coscienza, che sa che questa scelta è una
scelta che ti segna per la vita, grida che non t u t t o è finito, che
non posso non credere che oqni
- essere umano, perfin o Milosevic e i l s u o esercito o p p r e s s o r e e
nazionalista, possa recedere dal comportamento che lo ha caratterizzato in Kosovo, come prima in Bosnia. Croazia e
Slovenia, dove colpe e pregiudizi,
pulizia e t n i c a e n a z i o n a l i s m o
h a n n o f a t t o la l o r o t r a g i c a
comparsa, in misura diversa,
tra tutte le parti in conflitto.
Vorrei dire che t u t t o ciò mi
fa ancor più credere che
l ' E u r o p a , s o l o l'Europa
unita e federale può dare
risposta a questo dilemma a n g o s c i o s o e s t r a ziante, che io vivo perfin o nella mia famiglia.
Solo l'Europa unita,
quella che ha visto tnorire per la Bosiiia i militari
e gli obiettori di coscienza
o i nostri volontari cooperatori, può darsi i l coraggio
di avere un esercito di difesa
~ i i i i t a r i o s e c o n d o la v i s i o n e
degasperiatia; può darsi un esercit o di o b i e t t o r i al s e r v i z i o d e l l a
società civile e u r o p e a in s e n s o l a t o ,
dalllAtlantico agli Urali, dal polo Nord al
Mediterraneo.
Solo l'Europa dovrebbe avere, a mio avviso, il comand o delle forze militari di dissuasione e di pace, anche sotto I'etichetta della Nato se essa agisce in Europa. Solo l'Europa può
darci la visione di un incontro tra le culture, le mille culture che
sono la ricchezza della nostra umanità.
Per me, personalmente, come credente e t a n t o più vicino alla
Pasqua, sono fratelli in Cristo coloro che difendono questo diritto
e coloro che sono schiavi di dittature, più o meno formali, che l i
portano a subire, come il popolo serbo, la pena di una guerra
inutile e portatrice di distruzione, di morte, di incomprensioni per
gli anni a venire. E non c'e bisogno di essere credenti per provare
queste cose: I'Umanesimo laico in tutte le sue forme e distinzioni
è certo un grande antidoto contro la guerra, per sentirsi idealmente uniti a tutti gli uomini di buona volontà che, tanto più in
Paesi non democratici, mettono a rischio la loro vita per il bene
comune della pace e della cotnprensione tra i popoli.
Cosa fare oggi?
Chiudersi nel mutismo di una posizione giiista ma tninoritaria, o
comunque perdente agli occhi dei mille strateghi che vanno per
la maggiore nel circo tnediatico televisivo?
Lottare per una testimonianza di giustizia sapendo che i l mondo
guarda da un'altra parte?
Ancora una volta può essere la politica a soccorrerci.
La politica alta, certo, non "la politiqiie politicienne"!
Quella politica che ci impone di andare oltre I'Euro, che come
abbiamo visto da solo non basta a fare dell'Europa un Paese unit o e federale. A dargli una politica estera comune. A renderla non
alternativa agli Usa ma concorrente con essi e con tutti i Paesi
che si affacciano siil Vecchio Continente per garantire la pace e
la sicurezza a tutti nel rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo e
della donna.
E forse paradossale, ma è la storia che è sempre paradossale,
che l'indicazione di Romano Prodi a Presidente della Commissione Europea sia caduta nel giorn o di inizio di questa tragedia.
Quale dihattito interno, quale richiesta di parte, quale indicazione partigiana sia stata più vergognosa
nei giudizi espressi su questa
scelta, mentre per l'Europa
suonava un'altra ora di difficoltà e di a n g o s c i a , è
difficile dire.
Sta di fatto che la Presideiiza Prodi, le elezioni
e u r o p e e , lo spirito
c o s t i t u e n t e c h e si
dovrà i n f o n d e r e alle
istituzioni parlamentari e politiche dell'Unione Europea, non può,
n o n potrà prescindere,
da t u t t o questo.
Che Europa sarebbe
quella che fa, giustatnente, "le pulci" a funzionari,
parlamentari o Commissari
dal p u n t o di vista economico.
ma diviene i l l u o g o della n o n
decisione e della retorica per la
vita di migliaia di esseri umani solo
perché vivono qualche chilometro al di là
delle sue frontiere?
Che disastro sarebbe per l'Europa continuare senza
una legislatura Costituente, senza istituzioni politiche rafforzate, proclamando una finta sussidiarietà che maschera in alcuni
il ritorno all'egoismo nazionale o peggio nazionalistico?
Che Europa è quella che vuole costruire "l'Europa dei cittadini",
senza dare ai cittadini la visione di un minimo comune denominatore (nella varietà e nella differenza che è ricchezza, per carità)
in campo etico?
Questa guerra è davvero più drammatica di quel che già non
significa per chi ci vive materialmente dentro, soprattutto per noi
europei e per chi di noi vive la sua piccola fede (ma incrollabile)
in una Europa vera.
Davvero, in questo caso far viricere l'idea politica di una Europa
che 1'Aiccre da sempre vuole federalista e solidale, politicamente
forte e consapevole, significa lottare, con lucidità, anche contro
la guerra: questa, che speriamo finisca subito, e quelle che sapremo, allora, evitare di far mai nascere.
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Le politiche europee dell'immigrazione
di Rinaldo Bontempi
In un recente saggio, l'attuale presidente
della Commissione lvazionale per I'lntegrazione Giovanna Zincone sottolineava
come "l'imnligrazione costituisca da sempre un campo minato, un ambito politico
in cui è molto difficile conciliare principi
universalistici, consenso politico a breve
termine ed azioni pubbliche efficaci a
lungo termine".
Sottoscrivo l'analisi e aggiungo che tale
schema ci aiuta a capire non solo le difficoltà di costruire delle politiche coerenti nel rispetto della natura democratica
degli ordinamenti, ma anche la facilità e
la colpevole leggerezza (se non peggio)
con cui spesso, per ottenere un "consenso a breve termine", si bruciano le possibilità di politiche di prospettiva e si mettono a rischio addirittura le acquisizioni
in materia di diritti fondamentali, elaborate nel corso dei secoli dalla nostra cultura e divenute p u n t o di riferimento per
tutto il mondo.
Anche la lunga e tribolata storia delle
non-politiche europee in materia, a cui
a b b i a m o finora a s s i s t i t o , è f r u t t o di
q u e s t o n o d o politico, acuito dal f a t t o
c h e l'immigrazione resta u n o dei noccioli d u r i della s o v r a n i t à n a z i o n a l e ,
nonostante ciò possa sembrare paradossale, vista la ormai riconosciuta caratteristica s o v r a n a z i o n a l e del f e n o m e n o .
D e f i n e n d o i c r i t e r i di c i t t a d i n a n z a ,
infatti, si esercita il potere di includere
o escludere gli stranieri.
È vero però che con il Trattato di Amsterdam si sono compiuti passi in avanti in
d u e direzioni. In primo luogo i temi dell'immigrazione e dell'asilo verranno trasferiti dall'area intergovernativa del cosidd e t t o Terzo Pilastro (ove procedure di
unanimità poco trasparenti hanno finora
creato di fatto un blocco nelle azioni dell'unione) alla competenza comunitaria,
collaudata e controllabile democraticamente, quindi in condizioni istituzionali
che rendano possibile definire delle politiche comuni.
In secondo luogo, per quanto riguarda la
libera circolazione, la previsione dell'inserimento della Convenzione di Schengen
nell'ordinamento comunitario rappresenta
un progresso significativo; il meccaiiismo
di misure conipensative che h a n n o permesso (a tutti i paesi meno quelli, come il
Regno Unito e Irlanda, che non intendon o per ora partecipare) l'apertura delle
frontiere diventerà così meno farraginoso
e più controllabile d e m o c r a t i c a m e n t e .
Anche qui però non si è avuto il coraggio, varando il Trattato, di riconoscere
come effettivo ciò che peraltro e già scrit-
to nell'articolo 7a, e cioè il diritto di circolare liberamente anche per i cittadini
dei paesi terzi legalmente residenti in u n o
dei paesi europei.
Naturalmente le novità istituzionali del
Trattato non risolvono, di per sé. il prob l e m a di " q u a l i p o l i t i c h e " a d o t t a r e .
Secondo alcuni osservatori, sulla scorta di
q u a n t o e avvenuto in questi anni sia a
livello di Unione (poco), che di singoli
Stati membri [le varie leggi su asilo e
immigrazione), c'è il rischio che vengano
"comunitarizzati gli egoismi nazionali",
costruendo un'Europa fortezza.
I l Parlamento europeo, tra il 1995 e il
1997, ha già approvato varie ri5oluzioni
da cui il Gruppo del Partito del Socialismo Europeo può trarre gli elementi portanti di una propria posizione politica.
Dico ' p u ò ' perché s e all'interno della
Commissione Libertà Pubbliche e Affari
Interni i membri socialisti possono arrivare ad un accordo, in sessione plenaria è
probabile che i socialisti europei nel complesso avranno difficoltà ad accordare i
loro violini: o g n u n o di noi, infatti, è tributario di un contesto nazionale molto
diverso dagli altri.
Il Regno Unito, per esempio, non ha aderito alla convenzione di Schengen, e non
sembra volerlo fare. La Svezia è in una
situazione simile, tanto più che ha accord a t o la priorità alla sua a p p a r t e n e n z a
scandinava e ai suoi accordi con la Norvegia. Per quanto riguarda Francia e German i a , poi e s s e h a n n o t r a d i l i o n i m o l t o
diverse in materia di c o n f e r i m e n t o di
nazionalità e dei diritti ad essa legati: la
prima applica, abbastanza rigorosamente,
il diritto del territorio, mentre la seconda
si pronuncia piuttosto sul diritto di sangue. Il capitolo sui diritti dei residenti
installati stabiltnente riguarda proprio
queste questioni.
Si p o s s o n o q u i ricordare a l c u n e delle
principali opzioni che andrebbero poste a
base della proposta socialista. In materia
di asilo lo status di rifugiato deve essere
garantito a tutti coloro che sono perseguitati nei loro paesi d'origine, anche se
gli autori della persecuzione non sono le
autorità dello Stato. Le garanzie dell'asilo
dovrebbero inoltre prevedere a l m e n o il
rispetto dei seguenti criteri:
t u t t i c o l o r o c h e r i c h i e d o n o l'asilo
dovrebbero avere il diritto di essere
ascoltati in modo completo e corretto;
gli Stati non dovrebbero mandare coloro c h e chiedono asilo in paesi terzi,
senza u n e s a m e s o s t a n z i a l e della
richiesta e a m e n o che al richiedente
non sia garantita una protezione effi-
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stesso concetto con altre parole, affermando che si tratta di una legge in 'cont r o t e n d e n z a ' rispetto al clima e u r o p e o
che si è tradotto in questi anni, nei confronti delle d u e esigenze complementari
del controllo dei flussi e dell'integrazione, in un netto privilegio della prima a
scapito della seconda. L'anno '93 è stato
l'anno spartiacque: le leggi Pasqua sull'immigrazione in Francia e la modifica
della Costituzione tedesca sul diritto di
asilo hanno prodotto un'omologazione di
fatto verso i l basso, accrescendo restrizioni e penalità, anche su un terreno classico dell'integrazione come i ricongiungimenti familiari.
L'innovazione contenuta nella legge italiana è evidente: il ~ i u c l e oidentificativo
della legge è costituito dagli articoli che
prevedono molteplici misure volte all'integrazione, piuttosto che alla disciplina delle espulsioni, troppo spesso considerata
invece, da alcune forze politiche e dai
media, I'alfa e l'omega delle politiche in
materia, al p u n t o da concepire q u e s t a
pratica come una 'strategia' e non come
u n a p a r t e necessaria ma limitata e, in
ogni caso, da sottoporre al rispetto delle
garanzie fondamentali.
Naturalmente non mancano punti critici e
lacune, ma nel complesso la legge è avanzata e prevede istituti che sarà opportuno
usare come esempio anche in campo europeo, allo scopo di stimolare iniziative, sia
politiche c h e legislative, più a p e r t e e
coraggiose. Mi riferisco in particolare alle
norme che prevedono la possibilità di avere
un permesso di soggiorno anche per la
ricerca di lavoro, alle norme (scuola, salute,
non espellibilità) riguardanti i minori, etc.
Purtroppo la logica che ha caratterizzato la
legge, ossia più severità contro l'illegalità e
nei controlli alle frontiere da un lato, più
certezza nell'accoglienza e nell'integrazione
dall'altro, non ha potuto esprimersi nel fatto
più emblematico e significativo, cioè I'attribuzione del diritto di voto amministrativo
agli immigrati residenti legalmente. Sarebbe
s t a t o il primo caso di un grande paese,
dopo alcuni 'piccoli' (Irlanda, Danimarca,
Olanda), a riconoscere, con alto effetto simbolico, il presupposto fondamentale di ogni
processo reale di integrazione, riconoscendo
una nozione di cittadinanza distinta da
quella della nazionalità e legata alla vita
quotidiana, al lavoro, alla partecipazione
attiva al vivere nella collettività.
Sarà bene, credo, operare rapidamente per
introdurre quelle modifiche alla Costituzione, che consentono al Governo di ripresentare questa proposta. S o p r a t t u t t o , sarà
bene sviluppare un'azione convinta a livello europeo affinché nella prossima legislatura questo principio, insieme di civiltà e di
realismo, diventi regola comune e diffusa
della nuova Europa unita.
cace e duratura contro la possibilità di
essere rimandato indietro;
tutte le decisioni che prevedono il rifiuto
della richiesta devono essere prese solt a n t o da coloro che s o n o responsabili
per le richieste d'asilo;
tutti coloro la cui richiesta d'asilo è stata
rifiutata devono potersi appellare ad
un'autorità giudiziaria e l'appello deve
avere effetto sospensivo sull'espulsione.
Per q u a n t o concerne I'immigrazione le
principali proposte a nostro awiso sono:
- la posizione legale dei cittadini dei paesi
terzi che s o n o regolarmente residenti in
uno degli Stati membri deve essere rafforzata. 11 diritto di libertà di movimento nell'Unione deve essere applicato a tutte le
persone che vivono legalmente in una Stato membro, indipendentemente dalla loro
origine, nazionalità, religione o colore della
pelle. La Commissione deve elaborare delle
proposte sulla possibilità di offrire loro la
cittadinanza europea.
gli Stati membri dovrebbero facilitare le
procedure per i residenti regolari di ottenere la doppia nazionalità;
gli Stati membri dovrebbero accordare
agli immigrati provenienti da paesi terzi,
e residenti nell'unione da almeno cinque
anni, il diritto di voto e di elezione almeno a livello locale e regionale e alle elezioni del Parlamento europeo;
le d o n n e provenienti dai paesi terzi,
legalmente residenti nell'unione, dovrebbero avere il diritto ad avere u n o status
di r e s i d e n t e i n d i p e n d e n t e , c h e n o n
dovrebbe essere revocato in caso di emigrazione, divorzio o decesso dello sposo.
Infine c'è la questione drammatica per
noi, e per il Sud Europa in generale, dell'afflusso di immigrati clandestini sulle
coste. Bisogna sottolineare come questi
flussi non sono soltanto una questione di
ordine pubblico, ma esigono una politica
di solidarietà e cooperazione che i governi
dei paesi interessati, accanto all7Unione
nel suo insieme, devono prendere in considerazione. Recentemente il Parlamento
europeo ha votato una risoluzione sulla
cooperazione con i paesi mediterranei in
materia di immigrazione clandestina, in
cui si chiede che questo fenomeno n o n
costituisca per gli Stati membri solo una
questione di ordine pubblico, ma che I'Unione nel suo insieme intraprenda politiche di solidarietà e di cooperazione.
Personalmente s o n o convinto, a n c h e a
fronte di ciò che è avvenuto in Italia con
la recente legge approvata dal Parlamento, che si possa trovare una via accettabile di equilibrio tra le garanzie dei diritti
fondamentali, controllo dei flussi attraverso ingressi "governati" e fermezza nei
confronti del fenomeno della clandestinità, a cominciare da una dura lotta contro i trafficanti.
In effetti la legge italiana ir stata giudicata da molti la migliore tra le leggi dei
paesi europei, da altri si è espresso lo
Rinaldo Bonteinpi
Comuni
rl'Fi mna
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Un aaire a misura d'uomo
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di Carlo Azeglio Ciampi
Carlo Azeglio Ciampi
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o accolto con piacere l'invito del Rettore Professore Guido
Fabiani all'inaugurazione dell'Anno Accademico 98/99 della
Terza Università, convitito come sono che la cultura, la foriilazione
costituiscano le pietre angolari dello sviluppo di un paese. E la formazione, quale punto centrale per una maggiore duratura occupazione, per una solida crescita, è il motivo conduttore dell'azione del
Governo di cui faccio parte.
Sono lieto di essere qui, in questo Ateneo, giovane, in questa Facoltà
intitolata a un economista, Federico Caffè, uomo di grandi interessi
e di vasta cultura, al di là dei confini della scienza economica.
Non posso non ricordare con Voi Federico Caffè, che ebbi la fortuna di conoscere sin dai lontani anni cinquanta.
Uomo di straordinarie qualità, di indole solitaria ma estremamente
disponibile al dialogo, accoppiava orgoglio e modestia. In Lui dominava il rigore morale, che esercitava in primo luogo verso se stesso e
che si manifestava nel rispetto profondo, sostanziale e formale, nei
confronti del prossimo, soprattutto il prossimo minore, materialmente o intellettualmente bisognoso.
Persona generosa, animato da un profondo anelito sociale, spendeva se stesso senza limiti, salvo poi a ritrarsi con subitanea freddezza
se awertiva nel suo interlocutore insincerità di accento.
o p r i e 1399
Privilegiava il rapporto con i giovani, i quali, pur sapendolo insegnante severo, ne subivano il fascino. Apprezzavano in Lui il grande
economista; sentivano in Lui lo spessore uiiiano, che ne faceva uno
straordinario educatore.
Se, come è vero, educare significa trasinrttere la propria persona,
chiunque, coetaneo o più giovane, abbia avuto con Federico Caffè
occasione di dialogo, sente che qualcosa di Lui è oggi parte viva
di se stesso.
E vengo ora al tema scelto per il nostro incontro: la moneta unica,
l'Europa.
L'Euro - la moneta unica di undici Paesi europei - è oggi una realtà.
Una realtà, per essere veramente intesa, deve essere colta nelle radici del passato e proiettata coti sguardo chiaro nel futuro. Cosa vuol
dire, in una prospettiva storica, la creazione dell'euro? È solo un'invenzione mercantile che serve a oliare gli scambi? O è invece parte,
come è, di un processo di ampio respiro che può cambiare il volto
del vecchio continente? Insomma, quale è il significato profondo di
questo awenimento?
A
d ogni fase, ad ogni passaggio di questi anni lunghi e difficili
in cui siamo andati costruendo l'edificio della moneta unica, si
è rafforzata la convinzione che quello che stavamo facendo trascendeva il presente, che promovevamo e al tempo stesso eravamo
corne trascinati da un progetto iscritto nel solco della storia, da un
processo di unificazione dettato dal disegno della geografia e dalle
antiche cornunanze della cultura.
L'ltalia, presetite fin dall'inizio a tutti gli appuntamenti della costruzione europea, non ha mancato questo ultiino e decisivo passo.
L'Università non è il luogo dove si studia di tutto. È il luogo dove
Comuni
d'Europa
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si creano legami fra le parti e il tutto. Un grande scienziato disse
che essere universali vuol dire saper vedere l'Universo in una conchiglia. E io vorrei oggi chinarmi con voi su questa conchiglia delI'euro e cercare di riconoscere, nei bozzetti delle banconote e nelle
prime sonanti monete che la Zecca italiana, come le sue consorelle
europee, sta coniando a marce forzate, la filigrana di un disegno
che ha portato i Paesi d'Europa verso un tornante decisivo della
loro vicenda storica.
Duecento anni fa, nel 1799, il nobile disegno della Repubblica Partenopea fu cancellato nel sangue col ritorno dei Borboni. E Vincenzo Cuoco, ripercorrendo pochi anni dopo la vicenda di quella rivoluzione, scriveva: "Alla felicità dei popoli sono più necessari gli
ordini che gli uomini". Gli ordini, gli ordinamenti consolidano in
forme permanenti le idee e le azioni degli uomini. Idee e intuizioni
muovono la storia, ma intelligenza e passione civile da sole non
bastano. 11 metallo fuso dell'idea e dell'azione ha bisogno di essere
colato nello stampo delle istituzioni, che serbano la memoria dell'obbiettivo e incanalano l'agire nell'opera collettiva. Tornano alla
mente queste parole di Cuoco quando ripercorriatno il dipanarsi, in
questo dopoguerra, del filo rosso della costruzione europea.
Una costruzione che è anzitutto un edificio di pace. So che parlare di
pace può sembrare, specie per le giovani generazioni, u n fatto scontato. In Italia, in Francia, in Germania, in Spagna non c'è mai stata,
nel corso della vita di chi ha oggi fino a cinquant'anni, guerra alcuna.
Nell'ultimo mezzo secolo. invero, ci sono stati anche in Europa fatti
atroci di guerra, ma circoscritti al groviglio balcanico. Non si sono
estesi all'Europa nella sua interezza. Nel passato non è sempre stato
così - anzi, forse non è mai stato così. Alle due ultime generazioni è
stata risparmiata l'esperienza, che la mia generazione ha conosciuto,
di quella drammatica lacerazione della società civile che è il conflitto
armato. Nella tela dei secoli, questa parentesi di pace è purtroppo
l'eccezione e non la regola. Andando indietro nella storia, di cinquant'anni in cinquant'anni, e difficile ritrovare uri periodo in cui i
Paesi europei abbiano potuto vivere in pace, vivere la pace.
Dal dopoguerra ad oggi, questo periodo di pace è stato accoinpagnato, e non per caso, da uno sviluppo economico straordinario.
Uno sviluppo che è stato parallelo, già dall'inizio degli anrii cinquanta, alla ricerca, appassionata e laboriosa, di un'Europa sempre
più integrata, sempre più coesa. 11 sogno degli europeisti - il pensiero corre a Monnet, Schumann, Einaudi. De Gasperi, Adenauer - era
quello di un'Europa unita. Era un disegno di rinascita, tracciato sulle macerie di un'Europa sconvolta da una guerra orrenda, ultimo
prodotto di nazionalismi e di antagonismi che affondavano le loro
radici in secoli di insensate divisioni, di sanguinosi conflitti.
Come in tante esperienze della vicenda umana, dalle grandi crisi
nascono grandi rinascite. "Mai più la guerra", è stato il proposito
limpido e coinvolgente che guidò il pensiero e l'azione dei grandi
idealisti del federalismo europeo. Ma era un idealismo con i piedi
piantati per terra. E fu da questa combinazione di tensioni ideali e
di capacità realizzatrici che nacque la scelta vincente dell'integrazione europea. E questo il cambiamento più profondo e più significativo. La storia passata del nostro continente era una storia di
confini fatti e disfatti dagli eserciti e dalle alleanze, dalle combinazioni dinastiche e dalle cannoniere. E i confini cambiavano proprio
perché erano frutto di politiclie di potenza. erano imposti dall'alto.
La scelta dell'integrazione è stata un percorso di lungo periodo, che
ha affidato la prospettiva dell'unità e lo sgretolamento delle frontiere all'intensificarsi e al sedimentarsi degli scambi, alle convenienze reciproche dei commerci, all'infittirsi di viaggi, di conoscenze, di
comunanze di lavoro e di vita.
M
a gli uomini nori bastano, ci vogliono gli ordinamenti. Ed
ecco che l'ordinamento di un'Europa integrata comincia a
prendere forma: dapprima con la Comunità del Carbone e dell'Acciaio; poi con il tentativo di una Comunità europea di difesa che,
allora, non a n d ò a buon fine e che solo in questi mesi è stato
ripreso; infine - siamo al 1957 - con il grande evento della costituzione di un Mercato comune. Già in quel trattato di Roma era
contenuta in nuce la visione di un'Europa quale comunità integrata. Comunità economica europea, così fu chiamata la nuova istitu-
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zione, dove la parola "Comunità", se pur limitata dall'aggettivo
"economica", prevaleva su quello e prefigurava una "messa in
comune" sempre più ambiziosa.
Dieci anni dopo, nel 1968, i dazi fra i sei Paesi fondatori della
CEE erano ridotti a zero. E il successo del Mercato comune era
sotto gli occhi di tutti, anche di coloro che da noi avevano inizialmente osteggiato l'abolizione delle tariffe doganali perché temevano che l'industria italiana non ce l'avrebbe fatta a reggere la
concorrenza della Mitteleuropa.
1 filo rosso dell'integrazione coritinuava così a dipanarsi. L'aver creato un'area di libero scambio e aver fatto di quella intrapresa un successo non faceva altro che render più evidenti gli altri ostacoli che
impedivano al Ililercato comune di diventare u n mercato unico e sollecitava a superarli. 11 piano inclinato dell'integrazione spingeva, costringeva quasi, a fare altri passi avanti, rallentati solo da una fisiologica
resistenza dei nazionalisini nell'adeguarsi alla nuova situazione.
Di queste resistenze, forse la più difficile a superarsi era quella della
rinuncia alla moneta nazionale. La moneta, sentita giustamente
coine simbolo di identità nazionale, era anche fattore di competitivita fra Paesi legati da maglie coinmerciali sempre più fitte. E negli
anni settanta, con il dissolversi dei cambi fissi e il divaricarsi dei tassi
di inflazione, l'esistenza di tante monete diventava fonte di contrasti
e di divisione nei difficili negoziati per i rimescolamenti valutari. Non
solo, quindi, l'esistenza di una pluralità di monete era fattore oggettivo di attrito per la fluidità degli scambi nel Nlercato comune, ma
diventava anche fattore di sospetto fra le Nazioni europee.
11 Mercato comune insomma aveva chiamato il Mercato unico e il
Mercato uriico chiamava la moneta unica. 11 tentativo del cosiddetto "serpente monetario" dapprima e l'adozione del Sistema morietario europeo nel 1978-79, letti col senno di oggi e con l'arrière
pensée dei padri fondatori delle istituzioni europee, non furono
altro che le "prove generali'' della moneta unica. Nel 1986 viene firmato l'Atto unico europeo, che impegna all'abolizione di tutte le
barriere non tariffarie; e poco dopo coininciano i negoziati per il
Trattato di Maastricht. Di questo Trattato, firmato nel febbraio
1992, tutti conoscian~oi tempi, le vicende e il progetto della moneta unica; ma forse, in una prospettiva storica, l'articolo più importante di esso è quello in cui le parti contraenti "istituiscono fra loro
un'unione europea':
Non pii1 quindi "Comunità economica europea", ma "Unione europea''. Cambiamento di nome? No, di sostanza. e a dare corpo alla
sostanza ecco che si crea una moneta sola. 11 coraggioso progetto
della inoneta unica cancella con un tratto di penna le monete
riazioriali - frutto di una storia secolare - e le sostituisce con una
inoneta nuova e comune.
Ancora una volta. seguendo l'intuizione originale di Jean Monnet, il
salto di qualità nell'integrazione fra i popoli prende vesti economiche, si presenta sotto le specie di una riforma monetaria. Ma la
moneta è molto di pii1 di un fatto economico. La scommessa si fa
audace, perché la moneta è politica, è socialità, è psicologia; in una
parola, la inoneta è la carta di presenta~ionedi una comunità. La
sua sostituzione suscita pulsioni profonde nel conscio e nell'inconscio di tutti coloro che di quella comunità fanno parte.
Su un piano pii1 pratico, la moneta unica imprime un'inclinazione
ben più netta al versante dell'integrazione. Gli "ordinamenti", le
nuove istituzioni si allargano a cerchi concentrici. E i Paesi dell'euro, uniti nella moneta, sono spinti a estendere e approfondire la
collaboraziorie in tanti altri campi deli'azione pubblica e privata.
Questo procedere a tappe, l'un l'altra legate, sulla via dell'integrazione presenta certo il rischio di rinfocolare, ad ogni passaggio, gelosie
e resistenze nazionali. Ma l'affermarsi di una realtà europea non P di
per sé in contrasto col mantenimento dei valori nazionali. Al contrario, favorendo la crescita, sottolineando quel che è comune, porta a
stagliare con più nitore quel che è diverso. 1 valori di ogni Paese, di
ogni comunità, di ogni autonomia locale diventano ricchezze peculiari nel "tutto" europeo. E questo un punto che desidero sottolineare. L'affermarsi di una realtà unitaria europea allontana le antinomie
e i conflitti dei nazionalismi; non attenua, anzi rafforza, l'identità di
ogni nazione e l'orgoglio di esserne parte. I l principio unitario si
1
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d'Europa
aprile 1999
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sposa sempre più chiaramente con quello di "s~issidiarieta", che è il
riconoscimento concreto del valore delle autonomie.
Né è da pensare che l'aver affidato il governo della moneta a una
Banca centrale europea pienamente indipendente implichi necessariamente un deficit democratico nell'esercizio della politica monetaria. Le responsabilità della Banca centrale europea ripetono i l
m o d e l l o delle responsabilità delle B a n c h e centrali nazionali,
anch'esse organismi non eletti e autonomi nell'ambito dei compiti
che le leggi - fatte dai Parlamenti - hanno loro assegnato. In ogni
ordinarnetito statuale convivono poteri eletti e non eletti; questi
ultimi trovano la loro base democratica in leggi approvate dagli
organismi eletti e nell'obbligo di render conto del loro operato ai
Parlamenti e alla collettività intera.
Nell'ordinamento europeo che si va configurando molto è fatto e
molto resta da fare. È vero che la costellazione presente dei poteri esecutivo, legislativo, giudiziario e monetario, per aggiungervi il
"neo-potere" che si è creato con la costituzione del sistema delle
banche centrali europee - non ha la chiarita istituzionale che siamo
usi riconoscere negli Stati nazionali. Vi sono sovrapposizioni e confini incerti in alcune competenze. Si tratta di un cantiere e non di
una costruzione finita. 1Vla del cantiere ha il fervore creativo. e ques t o apparente groviglio istituzionale non impedisce certo il buon
governo. Ricorda piuttosto, corne osservava recenteinente Sabino
Cassese, l'esperienza medioevale, q u a n d o i poteri erano fluidi, in
una convivenza di comuni, istituti feudali, regni, vescovi, impero,
papato, con un rigoglio di assetti che ebbe quanto meno il merito
di impedire il formarsi di durature tirannidi.
Nell'Europa di fine niillennio la creazione della m o n e t a unica
obbliga - ed è questo u n aspetto positivo del "piano inclinato"
delle riforme - a uno sforzo di fantasia istituzionale per creare una
controparte governativa di politica economica. A un potere mone-
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tario, giustamente accentrato, deve essere posto di fronte un interlocutore governativo che parli con una voce sola: una voce che come quella della politica monetaria - guardi all'interesse complessivo dell'area dell'euro e non a quello dei singoli Paesi. Ed è ciò
che sta avvenendo, dal giugno scorso, con l'operare, all'interno
della Consiglio europeo dei Ministri finanziari, di un organismo
ristretto ai Paesi dell'euro, il cosiddetto Ecofin a 1 1 . Ecco, in fieri,
un esernpio del processo creativo generato dal "passo avanti" della
moneta unica. Ogni tappa del processo di integrazione diventa
trampolino e ragione per la tappa successiva, finché i Paesi vengon o condotti, dalla logica delle cose, verso forme di unione che
manifestano, sempre più nitidi, i contorni del grande sogno degli
europeisti: una Europa politicamente unita e solidale. Un'Europa
non dei mercati, ma dei popoli.
Ancora una volta bisogna saper sognare ad occhi aperti. Fuori dal
perimetro attuale dell'unione europea, rna sempre in Europa, si
affollano i Paesi che stanno emergendo da una difficile transizion e dall'econornia di c o m a n d o all'econoniia di mercato. E nello
spirito del grande progetto di comunità europea quello di allargare i confini all'intero continente. Proprio perché questo traguardo
è così importante bisogna perseguirlo in modo da render massime
le probabilità di successo. Ed allora, bisogna approfondire prima
di allargare. Bisogna prima mettere a punto, nei confini attuali
dell'unione, le istituzioni e le procedure per un efficace governo
dell'economia e per una più coesa collaborazione negli altri campi
dell'agire pubblico.
11 miglioramento nella qualità dello stare insieme è condizione per
ampliare i l numero dei Paesi da ricevere nell'accogliente recinto
dell'unione. 1Von a caso ho usato il tertnine "accogliente". Perché
l'Europa non vuole essere e non sarà una "fortezza Europa": termine, questo, coniato anni fa da chi paventava l'unificazione ilione-
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Comuni
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T E S T I M O N I A N Z A
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taria come un arroccamento protezionistico di un blocco ricco e
compiaciuto. Ma esso potrebbe essere usato anche per dipingere
un'Europa somma di egoismi nazionali, chiusa a coloro che vengan o a bussare alle sue porte. L'Europa non sarà se non sara solidale,
se non ricercherà, dall'Atlantico agli Urali, i modi e i tempi di una
unificazione che allontani per sempre istinti e memorie di tempi
antichi, quando i contatti fra i popoli percorrevano le vie sanguinose del conflitto e non le strade pacifiche degli scambi. Una solidarietà si impone anche nel ricercare una dimensione essenziale
nei rapporti fra le generazioni e nella'valorizzazione dell'ambiente:
il dovere morale di trasmettere intatto di padre in figlio il fragile
dono delle risorse non riproducibili..
LLa costituzione di un organismo sovranazionale che trascenda i
confini attuali degli Stati nazionali p u ò sembrare cozzi con una
tendenza che ha visto di recente la disintegrazione di realtà multiple, quali l'ex impero sovietico. Ma questi eventi hanno costituit o la reazione a raggruppamenti innaturali, mantenuti a forza.
Ben altra cosa è la realtà dell'unione europea, frutto di scelte
liberamente espresse da governi e da popoli, fondata su basi
comuni di civiltà, di storia.
La vera contrapposizione non è fra Stati piccoli e Stati grandi,
ma fra forme di governo che lasciano ampio spazio ai valori locali, alle minoranze etniche, e forme di governo che questi valori
soffocano. Vi sono vantaggi a essere grandi e vi sono vantaggi a
essere piccoli. E la sfida - una sfida che è di particolare attualità
per l'Europa - è quella di disegnare istituzioni che permettano di
raccogliere i vantaggi del localismo e quelli del centralismo,
attraverso l'adesione piena al principio di sussidiarietà e il rispett o delle diversità c o m e arricchimento di tutti. Abbiamo visto
come anche in Italia la partecipazione all'euro sia stata vissuta
come obbiettivo condiviso dalla larga maggioranza delle forze
politiche, rispondente al sentimento di larga parte degli italiani.
Una prova in più di come questa tappa dell'integrazione europea
sia molto di più di una riforma monetaria; di come vada a toccare i nervi vivi e i gangli nascosti della convivenza civile, facendo
riscoprire i grandi temi dell'identità nazionale e proiettando aneliti e pulsioni in uno spazio più grande, in quella cittadinanza
d'Europa che ogni nazione del continente va riscoprendo nella
propria cultura, nelle proprie tradizioni, nel profondo degli animi.
bbiamo seguito fin qui filo rosso dell'integrazione europea,
che da mezzo secolo andato annodando economie e popoli
A
in un ordito sempre più fitto di contatti e di rapporti. Quale sara la
il
è
prossima tappa di questo cammino comune?
La costruzione europea è andata avanzando su tutti i fronti, ma il
progresso è stato diseguale. Si impongono ulteriori avanzamenti
nella politica di difesa e di sicurezza comune, nella politica estera e
più in generale, come h o già detto, nel cammino verso una integrazione politica.
Restando nel campo economico, l'obbiettivo sul quale si devono
oggi concentrare gli sforzi di ogni Paese e dell'Europa nel suo complesso è quello di combattere la disoccupazione. È il problema più
pressante e più angoscioso. Per troppi anni l'economia europea si è
trovata, a ogni svolta del ciclo, con un tasso di disoccupazione più
alto di quello precedente. Da troppi anni il posto di lavoro è diventato il miraggio dei figli e l'angustia dei genitori, che vedono la
nuova generazione crescere nello sconforto, vedono il contratto
sociale e la convivenza civile degradarsi nelle difficoltà di inserimento in un mondo del lavoro sempre più difficile.
L'Europa sara solidale o non sarà. E la prima solidarietà è quella
fra chi lavora e chi non lavora. Per questo la lotta alla disoccupazione si salda alla riforma dello Stato sociale. Una riforma che
mantenga e migliori quella rete di sicurezza che è vanto della
società europea. Ma che riveda quel sistema complesso e disorganico di provvidenze che negli anni si è andato sedimentando nella
spesa sociale, spesso s o t t o pressioni casuali e n o n secondo un
disegno sistematico.
Non vi è contrapposizione fra efficienza e solidarietà. Anzi, la
migliore tradizione europea mira a volgere l'imperativo etico della
i (1
solidarietà in una convenienza per il buon funzionamento dell'economia. L'equità di schemi di protezione rettamente intesi favorisce
l'impegno , infonde serenità e fiducia.
Abbiamo bisogno di riorientare le risorse per stimolare ad intraprendere, ad assumere iniziative, per provvedere formazione in favore
dei disoccupati di lunga durata. per favorire le conversioni rese
necessarie da una stagione straordinaria di progresso tecnologico e
dalla redistribuzione internazionale del lavoro.
E in questa opera di riorientamento delle risorse dobbiamo associare al merito il metodo. Dagli altri Paesi europei, in questi anni di
risanamento, abbiamo imparato molto. Ma forse abbiamo anche
noi insegnato qualcosa. E la lezione più efficace la possiamo ritrovare nel metodo italiano della concertazione. Una pratica, lontana
sia dal consociativismo che dalla cogestione, fondata sul rispetto
reciproco e su un approccio triangolare - Governo, lavoratori, datori
di lavoro - che mira a soluzioni volte a conseguire l'affermazione
vera degli interessi di parte nel perseguimento dell'interesse generale. Un metodo che ha permesso all'ltalia di tenere testa a d u e
ondate di svalutazione e di inflazione e di affermare il bene pubblico della stabilità dei prezzi.
Di questo metodo non vi è minor bisogno ora che l'attenzione si
sposta dal risanamento del bilancio - per il quale le cure non sono
finite anche se il più è stato fatto - alle riforme strutturali necessarie perché l'economia possa realizzare tutti i benefici potenziali della moneta unica.
a trasparenza dei prezzi, le opportunità di investimento, le
economie di scala possono essere sfruttate solo se il grande
mercato dell'euro permetterà un incontro più agevole fra domanda e offerta, di prodotti, di capitale, di lavoro. Dobbiamo continuare a operare per aprire alla concorrenza i settori protetti, per
rimuovere privilegi, per incoraggiare la mobilità, per attenuare le
rigidità, per migliorare le infrastrutture e cancellare gli ostacoli
normativi e regolamentari alla creazione d'imprese. Lo Stato deve
essere più Stato, nel senso che deve tornare ai suoi compiti fondamentali di fornitore efficiente di beni pubblici e di regolatore
imparziale dell'economia privata, dismettendo l'anomalia di una
presenza diretta nel m o n d o della produzione, giustificata e
necessaria solo laddove si manifestino situazioni di monopolio.
Dai dazi alle barriere non tariffarie, dal sistema monetario alla
moneta unica, dall'euro all'occupazione e alla spesa sociale, dai sei
Paesi agli undici e ai quindici e domani ancora di più: le maglie
della costruzione europea si estendono nel tempo e nello spazio.
Nel tempo, perché la coesione dell'Europa attinge dai secoli passati, dalla linfa dell'umanesimo e del cristianesimo, le ragioni
profonde di comunanze culturali e le radici intellettuali del processo di unificazione.
Nello spazio, perché le forze centripete dell'unione europea ne
fanno il centro di gravità non solo per i Paesi limitrofi all'area, ma
anche per le rive meridionali e orientali del Mediterraneo, dove
premono civiltà diverse e popolose, che storia e geografia hanno
destinato all'incontro con l'Europa, ripetendo corsi che nei millenni hanno scritto la storia della civiltà. Un incontro che non deve
essere scontro, u n o scacchiere che è la nuova frontiera, una realtà
geo-politica nella quale I'ltalia è destinata a giocare un ruolo
essenziale di cerniera.
Oggi, e ancor più domani, le impronte delle riforme europee si
allargano ormai dall'economia strettamente intesa a istituzioni che
abbracciano la società tutta intera, dall'homo oeconomicus all'uom o senza aggettivi, all'uomo disegnato da Leonardo da Vinci e
riprodotto sulla moneta di un euro. Ed è appunto quel simbolo
che vuole dare la misura dell'agire nella nuova Europa. Un agire a
misura d'uomo, che ponga la persona umana al centro di unlEuropa dello spirito, linfa essenziale dell'Europa della politica e dell7Europa dell'economia.
Starà a Voi giovani delineare compiutamente e realizzare il disegno
dell'Europa del nuovo millennio. Come essa sarà, dipenderà dai
valori che sarete capaci di sentire come parte essenziale di Voi stessi, di viverli e di esprimerli nelle Vostre opere.
L
Comuni
d7;mQa
I X
B I E N N A L E
DEI
G I O V A N I
ARTISTI
DELL'EUROPA
E
DEL
M E D I T E R R A N E O
Cadmos continua a cercare Europa?
di Renata Landotti
1 29 maggio pro'ssirno si inaugura a
Roma la 1X Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo, un
incontro di culture e linguaggi artistici
unico in Europa. Dal 1983, nel corso delle
otto edizioni che si sono tenute di volta
in volta a Barcellona (due volte), Salonicco, Bologna, Marsiglia, Valentia, Lisbona
e Torino, la manifestazione ha offerto il
suo palcoscenico ad oltre cinquemila artisti europei. Da vetrina di nuove creatività
a strategia per valorizzare le t e n d e n z e
dell'arte giovane, dopo una lunga fase di
lancio si propone ora come manifestazion e qualificata per il terreno artistico in
s e n s o l a t o , c h e rappresenta u n a delle
priorità giovanili e che può costituire un
terreno fertile per un dialogo permanente
tra i Paesi europei, quelli del bacino del
Mediterraneo e quelli dell'Est.
a p r 1 I ~19'19
L'edizione del 1 9 9 9 è dedicata al rapporto con l'altro da se. Presenta molte
innovazioni: il Comitato internazionale
organizzatore, di cui Roma ha la presidenza, si è costituito in rete permanent e ; il C o m u n e di Roma, per affiancare
l'Assessorato alle politiche giovanili e
l'Assessorato alle politiche culturali nella
g e s t i o n e di q u e s t a r e t e e di q u e s t o
evento, ha costituito ad h o c la società
Zone attive Srl; la città di Parigi, c h e
avendo una sua iniziativa parallela non
partecipava alla Biennale, dall'edizione
del 1999 è ospite della manifestazione e
dall'edizione del 2001 farà p a r t e della
rete permanente del Comitato organizzatore. Per la prirna volta una edizione
della m a n i f e s t a z i o n e è p r o g e t t a t a p e r
integrarsi con quella successiva, che si
terrà a Sarajevo. La Biennale dei Giovani
Comuni
d'Empi3
Artisti dell'Europa e del Mediterraneo si
propone insomma come soggetto attivo
e si m e t t e al servizio di un'azione concreta di cooperazione e solidarietà.
Tra i lavori pervenuti in risposta al band o di concorso, con scadenza il 3 0 giug n o 1998 poi prorogata al 3 0 settembre
1998 e che ha coperto per la prima volta l'intero territorio nazionale, s o n o
stati selezionati:
* l 0 0 0 artisti provenienti da oltre 2 2
Paesi,
* l 0 0 spettacoli di musica, danza, teatro, urban perforrnances,
* l 0 0 0 opere esposte nelle sezioni arti
visive e arti plastiche,
O30 film,
* l 20 opere letterarie tra testi di narrativa e poesie.
Artisti di f a m a i n t e r n a z i o n a l e h a n n o
11
I X
B I E N N A L E
D E I
G I O V A N I
o r g a n i z z a t o l e r a s s e g n e di s e z i o n e
composte con le opere selezionate. Tra
gli a l t r i , Xavier M a r i s c a l p e r l e a r t i
applicate (design, grafica di comunicazione, f u m e t t o e illustrazione), J a n n i s
Kounellis per le arti visive (arti plastiche, video art, cyber art, fotografia), M.
V a s q u e z M o n t a l b a n p e r la s c r i t t u r a
(poesia, narrativa, saggistica).
Itre alle sezioni previste, s o n o
s t a t e programmate tre rassegne
ad inviti: musica c o n t e m p o r a nea, gastronomia e moda, curate
r i s p e t t i v a m e n t e d a Veiiiero Rizzardi,
G i a n f r a n c o Vissani ed E n n i o C a p a s a ,
che d a r a n n o l u o g o a:
1 sfilata di m o d a ,
1 ristorante con menu preparati da chef
provenienti ogni sera da Paesi diversi,
5 concerti di musica contemporanea.
Inoltre, laboratori di architettura, eventi
straordinari per raccogliere fondi destinati alla costruzione dell'Auditorium a
Sarajevo, decine di eventi collaterali iniziative promo5se d i r e t t a m e n t e dalle
istituzioni cultiirali, dagli operatori di
settore e dai gruppi giovanili che vorranno essere presenti nella sezione fring e biennale - e varie produzioni indipendenti dei giovani artisti troveranno
in u n o s p a z i o della s c e n a c h e r u o t a
a t t o r n o alla Biennale una platea ampia
e variegata, in u n o spazio senza e g e rnonie culturali c h e accolga o g n i lingua, ogni espressione, ogni ricerca del
rapporto con l'altro da sè.
1 partecipanti, giovani con un'età massima di 36 arini, provengono da Albania, Algeria, B o s n i a , C i p r o , C r o a z i a ,
E g i t t o , Francia, Grecia, Israele, Italia,
Libano, Macedonia, Marocco, Palestina,
Portogallo, Repiibblica Jiigoslava, San
Marino, Slovenia, S p a g n a , Turchia,
Tunisia. S o n o inoltre avviati rapporti
con le pii] significative realtà artistiche
di Finlandia, Germania, Gran Bretagna,
Svezia e Ungheria.
Ma la IX edizione della Biennale comincia in e f f e t t i a Sarajevo, n e l l ' o t t o b r e
1998: per d u e settimane, settanta giovani artisti di ogni parte d'Europa ed
altrettanti artisti bosniaci h a n n o partec i p a t o ai laboratori specializzati, allo
s c o p o di d o c u i n e n t a r e lo s t a t o della
rinascita della città e di realizzare produzioni collettive che saranno esposte e
r a p p r e s e n t a t e a Roma nel corso della
Biennale, d a n d o corpo alla programmazione dello spazio dedicato a Sarajevo.
"Nel corso dei prossimi mesi la qualità e
la ricchezza dell'intero p r o g e t t o sarà
visibile e comprensibile ad un pubblico
sempre più ampio. Ritengo che riuscirem o a dimostrare, come è già accaduto
in o c c a s i o n e di q u e s t i 6 l a b o r a t o r i dichiara I'assessore Fiorella Farinelli c h e dal m o n d o giovanile e m e r g o n o
straordinarie risorse per le n o s t r e
A R T I S T I
D E L L ' E U R O P A
società, purché le istituzioni s a p p i a n o
accorgersene e mettere in campo politic h e all'altezza dei problemi. Oggi mi
dichiaro soddisfatta del lavoro svolto,
s a p e n d o p e r o c h e l'attesa c h e s t i a m o
suscitando in migliaia di giovani e meno
giovani in oltre 2 0 paesi dell'Europa e
del Mediterraneo attribuisce alla nostra
c i t t à (alla c a p i t a l e del n o s t r o p a e s e )
grandi responsabilità e difficili compiti.''
È s t a t a messa iii m o t o una macchina
c h e resterà in movimento fino al 2001,
a n n o in cui la città di Sarajevo ospiterà
la X edizione della Biennale dei Giovani
Artisti dell'Europa e del Mediterraneo.
o speciale rapporto di Roma con
Sarajevo rappresenta i l filo coiid u t t o r e di u n p r o g e t t o voluto e
d i r e t t a m e n t e c u r a t o d a l C o m u n e di
Roma grazie ad un protocollo siglato a
Sarajevo tra il Governo della città ed i l
C o m u n e di Roma, r a p p r e s e n t a t o d a l l'assessore all'urbanistica Domenico
Cecchini e dall'assessore alle politiche
giovanili Fiorella Farinelli. 11 C o m u n e di
Roma ha s o s t e n u t o le spese e I'organizz a z i o n e del b a n d o di concorso per la
p r o g e t t a z i o n e d e l l ' A u d i t o r i u m di
Sarajevo, riservato a giovani architetti e
ingegneri, che è s t a t o pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale Italiana, sulla Gazzetta Ufficiale Europea, nel quotidiano
Oslobodjenje di Sarajevo e su Internet.
Alla selezione s o n o stati presentati prog e t t i provenienti da Albania, Algeria,
Andorra, Bosnia, Cipro, Croazia, Egitto,
R e g n o di G i o r d a n i a , I s l a n d a , Israele,
Libano, Libia, Malta, Monaco, Marocco,
Palestina, Norvegia, San Marino, Siria,
Sloveiiia, Svizzerra, Tunisia e Turchia. 11
concorso per la progettazione dell'Auditorium di Sarajevo si svolge in d u e
fasi: tra i progetti pervenuti v e n g o n o
selezionati i primi dieci c h e verranno
esposti d u r a n t e la Biennale. Tra questi,
ne verranno selezionati cinque dai q u a l i uscirà il progetto vincitore.
Comuni
d'EimTXi
E
D E L
M E D I T E R R A N E O
n o degli intenti dei curatori
della manifestazione - amministratori, artisti, critici - è quello
di n o n a c c e t t a r e pii1 p a s s i v a m e n t e i l
materiale selezionato ed inviato dai
c o m u n i , m a di c o n t r i b u i r e ad a l z a r e
livello della qualità dei lavori selezionati. Però, a l m e n o per q u a n t o riguarda la
s e z i o n e delle arti visive, i l m a t e r i a l e
pervenuto è risultato di qualità piuttos t o s c a d e n t e e iiiiiforme. Le r a g i o n i
s o n o varie e, a parziale rimedio, il curat o r e della s e z i o n e h a p r o i n o s s o u n a
r i c o g n i z i o n e d i r e t t a , sia in Italia c h e
negli altri Paesi, da p a r t e d e i critici
coadiutori. 11 materiale così raccolto e
selezionato sarà esposto ad integrazione del materiale selezionato tra i lavori
pervenuti con i l b a n d o di concorso.
I n senso stretto la Biennale è l'effetto
di volontà e comuni iniziative rivolte ai
giovani artisti da parte di città, ministeri ed associazioni di diversi Paesi del
Mediterraneo per realizzare, ogni d u e
anni in una città diversa, un l u o g o simbolico per la messa in scena di differenti creatività artistiche delle giovani
generazioni in u n o spazio a l t r e t t a n t o
s i m b o l i c o , la z o n a del M e d i t e r r a n e o ,
u n i t a e divisa dal m a r e s t o r i c a m e n t e
più importante per l'umanità. La Biennale è stata infatti concepita c o m e lo
s t r u m e n t o per realizzare, attraverso gli
scambi culturali e la vivacità dei giovani che ne s o n o protagonisti, una intensa traina di fatti e relazioni c h e leghino
l'Europa ai paesi extra-europei c h e si
affacciano sul Mediterraneo.
1 tavolo della Biennale siedono i
rappresentanti bosniaci accanto a
quelli serbi, quelli palestinesi
accanto a quelli israeliani. 1 sindaci delle
grandi città, i ministri della cultura, alcuni tra i più significativi intellettiiali dell'area mediterranea, saranno il nucleo del
C o m i t a t o cui è a f f i d a t o i l c o m p i t o di
c o m u n i c a r e c o n forza ed incisività i l
messaggio della Biennale. 11 c o m i t a t o
lavorerà per la costruzione di occasioni e
progetti di cooperazione concreta tra i
Paesi ospiti e promuoverà in questo quadro un incontro iriternazionale sullo stat o delle relazioni culturali nel Mediterraneo e sul ruolo di queste relazioni nella
c o s t r u z i o n e dell'unità europea e delle
relazioni tra l'Unione ed i Paesi vicini in
quel Mediterraneo che, nelle parole di
Adonis, è la nostra c o m u n e poesia, i l
nostro comune avvenire, il nostro infinito da condividere.
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P
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Le origini del movimento comunale europeo
di Maria Speroni
In un sommario percorso a ritroso nella storia del Consiglio dei
Comuni e delle Regioni d'Europa (Ccre), attraverso il Consiglio dei
Comuni d'Europa (Cce) e la International Union of Local Authorities (lula), focalizziatiio l'attenzione sulla Union Internationale des
Villes (Uiv), oggetto del breve saggio Alle origini del movimento
comunale europeo: dall'union lnternationale des Villes al Consiglio
dei Comuni d'Europa (1913 - 1953) di Oscar Gaspari*. E questo I'evento in cui vengono ufficialmente poste le basi per una sociologia
municipale ed una scienza dell'amministrazione comunale.
Come risulta dalla lettera di convocazione per il Congresso Municipale Internazionale che si tiene a Gand (Belgio] dal 27 luglio al l o agosto 1913, ... "all'inizio di questo XX secolo, i comuni, i municipi
riprendono nella vita nazionale ed internazionale l'importanza che
essi cessarono di avere nel corso di questi ultimi secoli': Con queste
premesse ed iti quest'ambito nasce I'Union Internationale des Villes
(Uiv), incentrata sul ruolo delle città, che nel primo '900 rappresentavano "il luogo dove si esprimeva in tutta la sua forza e complessità lo
sviluppo economico, sociale e politico che aveva iniziato a cambiare il
volto del Vecchio continente a partire dalla rivoluzione industriale".
Tra gli eventi prodroini della Uiv, il primo congresso dell'lstituto
Internazionale di Scienze Amministrative (lisa) si tiene a Bruxelles
nel 1910 ed è mirato, soprattutto, alla documentazione reciproca
ed al raffronto di tutti coloro che, per via del proprio ruolo o delle
proprie funzioni, o per l'oggetto dei propri studi, si interessavano in
clie appartiene alla fisionomia particolare di ciascuna municipalità".
In termini molto vicini a quello che oggi viene definito principio
di sussidiarietà, esaltando il ruolo dei comuni "non si volevano
creare stati nello Stato tiè distruggere il principio di gerarchia che
doveva presiedere tra i poteri centrali, regionali e locali, si volevano piuttosto stabilire con precisione i confini delle rispettive attribuzioni per ridurre i possibili conflitti, però la delimitazione dei
confini deve essere stabilita a vantaggio dell'autonomia coinunale, ossia del decentraniento; piìi grande sarà la sua autorità più
vivificante sarà la sua azione':
In un clima di cooperazione iiiiiversale e socialismo comunale, che
aveva spinto personalità di tutta l'Europa a comunicare tra loro
"senza tener conto delle barriere costituite da storia, cultura, lingua
e confini, e nemtneno del principio di gerarchia, clie governava i
rapporti tra Stato e Comuni tielle pubbliche amministrazioni", le
reti politiche e tecnico-scientifiche - concetto che la Unione europea ha contribuito a diffondere ed a radicare attraverso innumerevoli iniziative - hanno avuto [in ruolo "fondatore" nell'organizzare
stabilmente lo scambio di informazioni, la comunicahilità e la
riproducibilità delle esperienze.
Grazie all'iniziativa della classe dirigente locale europea, a quella
schiera di dirigenti della seconda internazionale che avevano
costruito una rete di comunicazione di esperienze municipali ad
uso dei socialisti europei, ed allo straordinario contributo collettivo,
forma specifica alla pubblica amministrazione; su iniziativa delle
maggiori città d'Italia e sul modello dell'organizzazione statistica
delle città della Gertnania, tiel 1907 nasce l'Unione statistica delle
città italiane (Usci): nel 1901 era nata la Associazione nazionale dei
coinuni italiani (Anci).
Nel suo discorso conclusivo al Congresso di Gand, il presidente del
comitato esecutivo della Esposizione universale, Gérard Cooremati,
afferma che "un uomo ha due patrie: il proprio comune ed il proprio paese ... per quanto sia una piccola patria, il comune... acquista
nel sistema amiiiinistrativo contetnporaneo una importanza che si
accresce con la complessità dei bisogni e degli organismi destinati a
soddisfarli ... è importante salvaguardare non solo, entro giusti limiti, l'indipendenza del comune rispetto al potere centrale ed al potere regionale, nia anche, nella misura più grande possibile, tutto ciò
durato anni, largamente anonimo e sconosciuto, l'organizzazione
internazionale dei comuni nasce prima di quella degli Stati, la
Società delle Nazioni, costituita nel 1919.
Prospettiva politico-utopica e tecnico-scientifica, proprie del movitnento comunale italiano ed europeo, si intrecciano infine nella
figura di Alessandro Schiavi, presidenfe dell'AlCCE dal 1952 al
1956. Figura che può impersonare il legame ideale tra le due organizzazioni (UIV e CCE), impegnata nello studio delle esperienze
municipali straniere e parte di una rete europea di relazioni scientifiche e organizzative con la quale si alitnenta una vera e propria
cultura della riforma sociale.
".
"Estrritro do "Arlc.irroi.inc Kicci.co Kii)i.si(i (li storiti co~iroliporcrirr(r,
iliccrirbre 1997. 11. 10, .Soc.ierii l!rli/ricc " I l Poritt, Vccc~l7io".C~>srrlri
Comuni
d'E~mpa
riormente la risposta al titolo dell'articolo.
11 fine supremo è ancora, senza dubbio, la
pace kantiana, ma non basta. La caduta
dell'illusione marx-leninista fa' si che il
federalismo possa essere anche considerato
il movimento che mira alla giustizia - radicalmente - realizzata col contributo di
uomini liberi (semplificando grossolanamente si potrebbe dire che la giustizia è
passata per ipotesi totalitarie - a buon
fine, s'intende - da Platone a Stalin o
almeno a Lenin: ora lo stesso socialismo è
federalista o non è).
La definizione del federalismo come democrazia dell'interdipendenza di tutte le comunità umane torna spesso opportuna. Nel
1932 usci l'intelligente romanzo-favola "11
Mondo Nuovo" di Aldous Huxley (subito
pubblicato in traduzione dalla preziosa collana "La Medusa" del Mondadori): si ipotizzava un governo tirannico mondiale, senza
via d'uscita, e perfino capace di una clonazione umana, e mi colpi profondamente.
Del resto anche la pace di Kant non era
calata dall'alto: la pace federalista è un processo, e la garanzia deve essere formata dalla democrazia delle realtà componenti (non
solo gli Stati, ma, secondo una scuola teorica, perfino le autonomie territoriali possono
essere considerate come contropoteri di
sicurezza). Ancora una volta il nemico del
federalismo è Hegel (con tutti i suoi discepoli e discendenti, consapevoli o inconsapevoli]: egli è il padre filosofico del corporativismo, sul quale ci soffermiamo un momento (ottimo per la questione è il libretto "11
pensiero politico di Hegel" di Giuseppe
Bedeschi, Bari 1993, editori Laterza).
Una qualsiasi società libera e le sue istituzioni si esprimono attraverso una serie di
strutture intermedie, che associano i cittadini in funzione della formazione del potere politico. Queste associazioni sono di due
tipi antagonisti: o rappresentano interessi
(settoriali) già costituiti o classi sociali (le
corporazioni) - solidali al loro interno e,
salvi gli interessi per cui si sono costituite,
disponibili complessivamente a favorire una
loro organizzazione della comunità politica
- oppure sono associazioni già in partenza
politiche, cioè impegnate a trovare e difendere aspetti universali o specifici dell'interesse generale (tipici i partiti politici, che
avrebbero in primo luogo il compito di proporre forme alternative di governo, in cui
l'interesse generale della comunità politica
regola a priori e sistema tutti gli interessi
settoriali e soprattutto i cosiddetti "interessi
acquisiti", contrastando tutti i privilegi "di
posizione"). Un'ala particolare del federalismo, cosiddetto integrale, propone un federalismo non solo politico ma altresì economico-sociale; a sua volta questa ala si suddivide in due orientamenti: uno corporativo
e uno anticorporativo. L'orientamento corporativo si può far risalire agli anni trenta e
in primo luogo alla persona di Robert Aron
(Ordre Nouveau), che fece tra l'altro una
serie di conferenze a Milano "sul modo di
vedere il corporativismo italiano (cioè fascista) da parte dei giovani francesi". L'orientamento anticorporativo (e anche antitecnocratico) è t r a t t a t o rigorosamente nel
classico volume federalista "L'ordine politico delle c o m u n i t à " di Adriano Olivetti
aprile 1999
(anche se non si è obbligati, praticamente,
ad accettare i suoi coerenti "ordini politici":
c o m u n q u e va a p p r o f o n d i t o lo s t u d i o
dell'"irrinunciabile" partito politico e criticato l'abuso, antidemocratico, del referendum). Al congresso federalista di Montreux
(1964) il sottoscritto criticò severamente la
"Carta federalista" presentata da Alexandre
Marc - col quale per altro condividevo la
linea politica generale (la Costituente europea), insieme a Hirsh e a Spinelli e contro
Mario Albertini e la corrente purista e settaria di "Autonomia federalista" - perché la
"Carta" era inquinata dal corporativismo,
che discendeva evidentemente - soprawiveva - da Robert Aron. La mia posizione si
è indurita successivamente, polemizzando
contro una interpretazione discutibile del
principio di sussidiarietà (che finisce per
i g n o r a r e q u e l l o di i n t e r d i p e n d e n z a ) e
soprattutto contro il principio di prossimità,
che dà ad esso - il piccolo spazio locale nella gerarchia etico-politica un rilievo
immeritato: è qui che polemicamente insis t o perché il cosmopolitismo nasca e si
affermi già all'ombra del proprio campanile
(debbo onestamente sottolineare che, prima
di conoscere Adriano Olivetti, il mio anticorporativismo era stato nutrito da Salvemini e dal suo "Under the Axe of Fascism",
meditato durante la mia prigionia in India].
Queste posizioni polemiche anticorporative
le ho anche insistite nelle note (non firmate) della edizione italiana [edizioni Comunità) del "Panorama del pensiero federalista" di Brugmans.
Allora, sono riuscito a illustrare per sommi
capi (e prowisoriamente) perché l'unità europea sarà bene realizzarla fino in fondo (come
una tappa storica nel cammino dell'umanità,
che comprenda una Paneuropa federale e
non trovi tra l'altro un impedimento in un
fondamentalismo cattolico, che non tiene
conto del Vaticano 11 e ha portato alla beatificazione di Monsignor Stepinac)? Dopo tanti miei attacchi a Hegel, a Gentile e prossimamente - se campo - a Heidegger, rimangono gli assai più seri interrogativi sollevati
da una parte del nichilismo: il progresso non
ha un valore assoluto, "Dio è morto", a furia
di indagare si può scoprire che l'universo non
ha un senso e siamo tutti particelle di un
caso, eccetera. Ebbene, anzitutto il nichilismo può determinarci logicamente al suicidio o alla paralisi, non alla propaganda o
all'azione che porta al genocidio o semplicemente alla guerra: il nichilismo non può portarci a Hegel contro Kant. Ma personalmente
- in attesa di ulteriori sviluppi (chi sa?) vorrei confessare che finché esisto (nel tempo) sono sostenuto da una situazione, che
definisco rubando il titolo di un libro intelligente di u n o psichiatra: "La dimensione
interpersonale della Coscienza" (di Giovanni
Liotti). Mentre all'amato Heidegger Hanna
Arendt poteva, in un momento felice, rivolgere l'amaro rimprovero di "esistenzialismo
solipsistico", la mia coscienza vive (e, perché
no? quando non è disperata, gode) della certezza dell'esistenza altrui, di altre coscienze
che, mentre ammiro un quadro o sono scosso da una musica, ciò è alla portata di altri,
che debbono pur sempre esistere e che anzi
n o n voglio e n o n debbo assolutamente
distruggere - la loro vita è la mia vita -.
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