Club Alpino Italiano
Sezione di Padova
Commissione per l’Escursionismo
Domenica 21 Febbraio 2016
Altopiano di Asiago – gruppo delle Melette
Monte Fior, la città di roccia (EAI)
Conduttori::
ASE PODESTA’ Paolo - ASE Riccardo Parisi - Oss Marina Braida
Grado di difficoltà del percorso:
EAI - ciaspolata
Partenza escursione:
Valle di Campomulo (Gallio, 1400 m)
Arrivo escursione:
Foza (1056 m)
Dislivello complessivo e lunghezza:
580 m in salita e 940 m in discesa, complessivi
 11,5 km (circa)
Quota massima raggiunta:
Monte Fior (1824 m)
Durata complessiva dell’escursione:
6 h circa (soste escluse)
Cartografia:
1:25.000 – Tabacco n°050 “Altipiano dei Sette
Comuni, Asiago, Ortigara” - Kompass 623 - Sez.
Vicentine del CAI “Altopiano dei Sette Comuni”.
Segnavia del percorso
CAI 860 – 861
Presenza di acqua lungo il percorso:
SI
Rifugi e altre infrastrutture ricettive
d'appoggio:
Baita la Solaia (impianti le Melette) - quota 1620 m
Riferimenti bibliografici:
Libretto CAI “Con le ciaspe sull’altopiano dei Sette Comuni” Risorse di rete (web) – Note illustrative della Carta Geologica
d’Italia alla scala 1:50.000, foglio 082 “Asiago”
Equipaggiamento necessario:
Scarponi con suola ben marcata, sono vietate assolutamente le scarpe da ginnastica,
Abbigliamento adatto alle condizioni e alla stagione in corso. Guanti e Berretto. Ghette, Ciaspole e
bastoncini telescopici. Potrebbero risultare utili i ramponcini in caso di terreno ghiacciato.
Abbigliamento di ricambio da lasciare in pullman.
Accettate con spirito di collaborazione quanto suggerito dai Conduttori dell'escursione e restate
uniti alla comitiva di cui fate parte evitando “fughe” e “ritardi inutili”.
Evitate, senza autorizzazione od avviso, percorsi diversi da quelli stabiliti e non create situazioni
difficili e pericolose per la vostra ed altrui incolumità.
Ricordate che il CAI propone la filosofia del “camminare di qualità”, cioè non inseguendo la performance o tanto meno - la “lotta con l'Alpe”, ma ricercando la natura e la cultura dei luoghi.
Rispettate la natura e non uscite dai sentieri; passate all'interno o vicino alle proprietà private mantenendo
un comportamento civile e cortese. Non raccogliete fiori, vegetazione di varia natura o altro e non
gettate o abbandonate rifiuti. Rispettate la montagna.
CAI Padova – Monte Fior, la città di roccia – 21.02.2016
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Descrizione sintetica dell’escursione:
6 ore circa (tempi approssimativi, soste escluse):
NB: In funzione delle condizioni di innevamento, e ad insindacabile giudizio degli accompagnatori, il percorso
potrà essere modificato in loco, percorrendo in alternativa altri sentieri.
tempo parz. tempo tot.
0:00
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1:00
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1:50
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2:30
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3:10
( 0:30 )
0:40
3:50
0:50
4:40
1:20
6:00
Quota (m)
1400
1620
1606
1628
1721
1724
1824
1707
1056
Località di arrivo
Valle di Campomulo – inizio escursione
Baita La Solaia (impianti “Le Melette”)
Bocchetta Slapeur
Malga Slapeur
Pozza del Biasio
Casera Nova
Pausa pranzo (al sacco)
Monte Fior
Casera Meletta
Foza - arrivo e fine escursione
Introduzione:
Escursione bella e panoramica che ci darà la possibilità, a seconda dei propri interessi, di
valutare aspetti storici relativi alle battaglie svoltesi in questi luoghi durante la Grande
Guerra, aspetti geologici relativi alle formazioni rocciose di calcare “rosso ammonitico” (la
“città di roccia”), “calcari grigi” e “biancone”, e aspetti paesaggistici che potremo apprezzare
durante quasi tutto il percorso che si svolge in campo aperto, nonché dalla cima del Fior.
Descrizione generale dell’escursione:
Arriveremo in pullman al punto di partenza a quota 1400 m circa, in corrispondenza
dell’arrivo della pista da sci delle Melette, e da qui partiremo risalendo la strada (innevata)
di servizio della pista stessa, facendo attenzione in un punto dove saremo costretti ad
attraversare la pista. In circa un’ora raggiungeremo l’arrivo degli impianti (stazione a monte
della seggiovia), dove troveremo all’occorrenza la baita aperta. Da qui in poi ci lasceremo
alle spalle la “civiltà” dirigendoci in campo aperto su ampia strada forestale, dapprima verso
Bocchetta Slapeur e poi verso la malga omonima. Dalla malga prenderemo il sentiero 861 in
salita e poi con traverso in quota che ci porterà a lambire la base della cosiddetta “città di
roccia” (formazioni di calcare rosso ammonitico) che sta al piede della cresta (molto larga)
del Monte Fior, giungendo alla casera Montagna Nova dove presumibilmente sosteremo per
la pausa pranzo (al sacco). Proseguiremo seguendo ancora il sentiero 861 che dopo poco
vira a sinistra per prendere la cresta del monte Fior. Dalla cima ci sarà il tempo per fare foto
ed ammirare il maestoso panorama a 360°.
Torneremo sui nostri passi fino al bivio che avevamo preso in salita, dirigendoci però dalla
parte opposta fino ad incontrare il sentiero 860 che prenderemo verso destra. In breve, su
strada forestale, arriveremo alla casera Meletta. Poco più avanti il sentiero si inoltra nel
bosco e si fa più ripido, però in breve ci farà perdere quota fino ai circa 1000 metri di Foza,
dove ci attenderà il pullman per il rientro, previsto in serata.
NOTA:
Il percorso nella parte alta dell’itinerario, sulla cresta del Monte Fior, costeggia numerose
trincee scavate nella roccia, che saranno solo parzialmente visibili a causa della copertura
nevosa. Si richiede pertanto ai partecipanti alla gita di prestare la massima attenzione,
attenersi alle indicazioni degli accompagnatori e non uscire per nessun motivo
dall’itinerario e dai percorsi tracciati.
CAI Padova – Monte Fior, la città di roccia – 21.02.2016
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 NOTE GEOLOGICHE
Il passato geologico dell’Altopiano di Asiago è testimoniato dalle formazioni rocciose
(semplificando: pacchi di strati di rocce aventi caratteristiche litologiche comuni ed età
analoghe) affioranti sulla sommità dello stesso e lungo le ripide scarpate che lo
delimitano, isolando il “blocco altopiano” dalle vallate circostanti: la Valsugana a nord, il
Canale del Brenta ad est (un vero e proprio canyon), la Valdastico ad ovest, le colline
marosticane a sud. Le rocce più antiche della serie stratigrafica affiorano alla base del
versante settentrionale dell’altopiano e sono costituite da filladi quarzifere pre-permiane
(basamento cristallino); le più recenti affiorano a sud, sulle colline marosticane, costituite
anche da vulcaniti di età oligocenica (Terziario).
Sopra le filladi, in discordanza stratigrafica, poggiano i sedimenti terrigeni e carbonatici
del Permo-Triassico (età compresa tra 250 e 220 Ma) che costituiscono il livello
impermeabile alla base dell’esteso sistema acquifero carsico soprastante, che drena gran
parte delle acque del versante settentrionale dell’altopiano.
Al di sopra si trovano le rocce sedimentarie carbonatiche deposte, tra 220 e 55 milioni di
anni fa (Ma), in un ambiente marino via via più profondo.
Alla base della successione troviamo la formazione della Dolomia Principale (con uno
spessore complessivo di 600-800 m), costituita da dolomie di colore biancastro o grigiorosato, depositate in una zona di mare basso in prossimità della linea di costa (piana di
marea o tidale) nel periodo Norico-Retico (Trias superiore, 220-205 Ma circa). Alla fine
del Trias l’oceano invase l’area costiera creando le condizioni per la deposizione, in un
contesto di lagune e mare comunque poco profondo, dei Calcari Grigi (Giurassico
inferiore, 205-180 Ma circa, spessore 300-600 m).
Successivamente, tra il Giurassico medio e il Cretaceo inferiore (180-130 Ma) l’area si
inabissò raggiungendo profondità considerevoli (fino a un migliaio di metri) consentendo
la deposizione, nel Giurassico medio-sup., dei sedimenti carbonatici (calcari) che oggi
costituiscono il “Rosso Ammonitico”, largamente utilizzato come pietra ornamentale fin
dall’epoca romana.
Queste rocce, di colore rosso-rosato o grigiastro, si presentano con un aspetto “nodulare”
e contengono spesso “lenti” o interi strati di selce color rosso mattone, e sono fittamente
stratificate con spessori di alcuni centimetri. Altra caratteristica peculiare è la presenza
(frequente, ma non sempre) di resti fossili di “ammoniti” (molluschi cefalopodi estinti,
simili all’attuale Nautilus) che danno il nome a questa formazione. In affioramento
formano caratteristiche paretine suddivise in blocchi per effetto di fratture verticali ed
erosione (sia di tipo meccanico che chimico, per effetto del carsismo superficiale), fino a
creare le cosiddette “città di roccia” di cui quella del Monte Fior è senz’altro una delle
più belle (un altro magnifico esempio, nei Lessini, è la famosa “valle delle sfingi” nei
pressi di Camposilvano). La gravità agisce poi inesorabilmente, isolando ulteriormente i
blocchi di roccia e facendone crollare alcuni, che scivolano verso il basso sul pendio
disponendosi come dei “libri”, sui quali oggi possiamo “leggere” la storia geologica della
regione.
CAI Padova – Monte Fior, la città di roccia – 21.02.2016
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Dalla fine del Giurassico e per tutto il Cretaceo inferiore (90 Ma) si depositarono
nell’area, in un contesto di acque calme, i finissimi fanghi carbonatici (costituiti in
prevalenza da frammenti di gusci calcarei di nanoplancton) che formano oggi gli strati
rocciosi della formazione del Biancone o Maiolica (spessore 300 m). Anche qui possiamo
ritrovare lenti o letti di selce, generalmente di colore nero o grigio scuro, intercalati agli
strati calcarei di colore bianco, fittamente stratificati con spessori di pochi cm e
fortemente fratturati.
Le caratteristiche meccaniche del biancone e la sua maggiore “sensibilità” ai fenomeni di
fratturazione (per effetto di crioclastismo e termoclastismo) fanno sì che la roccia, a
differenza dei sottostanti “rosso ammonitico” e “calcari grigi” (che tendono a formare
pareti anche verticali) dia luogo a morfologie più dolci, che costituiscono normalmente le
parti sommitali dei nostri altipiani prealpini, spesso coperte da prati (usati per il pascolo
del bestiame) anziché da boschi (peccete e faggete).
Tra 90 e 55 Ma circa (Cretaceo sup.-Terziario) si depositarono nell’area fanghi calcareoargillosi in un contesto di mare profondo. La formazione della Scaglia Rossa ed i
successivi sedimenti terziari sono però poco rappresentati sull’altopiano, essendo stati
asportati dai processi erosivi più recenti (a partire dal Pleistocene) ed affiorano solo nel
versante meridionale sulle colline marosticane, insieme alle vulcaniti conseguenti ad una
intensa attività vulcanica che interessò la regione nell’Oligocene (circa 25 Ma) con
fenomeni effusivi ed esplosivi.
I depositi e le coperture quaternarie risentono, qui come altrove, dei fenomeni legati alla
estese glaciazioni del Pleistocene. La parte settentrionale dell’altipiano era coperta,
fino a 20-30.000 anni fa, da un ghiacciaio che scendeva verso la conca a sud, con lingue
glaciali lungo la Val Galmarara, Val d’Assa, Val di Nos e verso la piana di Marcesina. Sui
fianchi di queste valli possiamo ritrovare accumuli morenici a testimonianza dell’antico
ghiacciaio. Contemporaneamente, grandi lingue glaciali scendevano da nord scavando
solchi profondi lungo la valle del Brenta e dell’Astico, con spessori di centinaia di metri
che lambivano (fino a superarla) la soglia altimetrica dell’altopiano.
Dal punto di vista tettonico-strutturale l’altopiano dei Sette Comuni è una zona
relativamente “indisturbata”. Il sollevamento dell’altopiano rispetto alla pianura veneta è
dovuto (come per il sollevamento dell’intera catena alpina) alla compressione tra la
placca europea e quella africana (promontorio o microplacca adriatica). Il basamento
cristallino pre-Permico è stato sollevato (insieme alla sovrastante successione
sedimentaria) da due sovrascorrimenti, a nord e a sud del blocco, che hanno lasciato la
stratificazione con una modesta inclinazione (strati in prevalenza orizzontali o quasi, con
alcune pieghe a grande scala). Nella parte meridionale la morfologia è troncata da una
grande scarpata (flessura pedemontana) determinata dal sovrascorrimento a scala
regionale della Linea Bassano-Valdobbiadene.
Una nota a parte merita l’osservazione dell’assenza totale sull’altopiano di una rete
idrografica superficiale, nonostante le precipitazioni medie annue siano consistenti (1500
mm/anno). Le acque meteoriche infatti, anziché scorrere in superficie, si infiltrano nel
sottosuolo attraverso numerosi inghiottitoi (generalmente sul fondo di doline, più o meno
grandi) per effetto della natura carbonatica delle rocce, sulle quali hanno agito e agiscono
estesi fenomeni di carsismo che hanno interessato l’ammasso roccioso per centinaia di
metri in profondità, formando un imponente sistema carsico sotterraneo. In queste cavità
l’acqua scorre con veri e propri fiumi sotterranei, che vengono a giorno alla base
dell’altopiano, incontrando gli strati impermeabili lungo i solchi vallivi del Brenta e
dall’Astico. Famosa, al riguardo, la risorgenza in corrispondenza delle Grotte di Oliero
(Valstagna) dove l’acqua esce in pressione da un sifone sotterraneo, costituendo uno
degli affluenti principali del fiume Brenta.
Vedi stralcio carta geologica a pag.7
CAI Padova – Monte Fior, la città di roccia – 21.02.2016
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 NOTE STORICHE: LA GRANDE GUERRA SULL’ALTIPIANO
Campi di battaglia e trincee sul Monte Fior (m.1824)
Su queste balze infernali combatteva e moriva la 'mejo' gioventù europea. Testimone di
quei tragici avvenimenti Emilio Lussu nel suo libro 'Un anno sull'Altipiano', drammatico
resoconto di avvenimenti in questi spaventosi luoghi. Ispirato al libro il film "Uomini
contro", di Francesco Rosi.
Introduzione storica
Tra il Monte Castelgomberto, il Monte Fior e il Valbella, oltre la val Frenzela, correva la
linea di massimo arretramento e di massima resistenza italiana a giugno 1916, sulla
spinta della Offensiva di Primavera, la Strafexpedition. Il Castelgomberto-Fior-Melette
divenne un invalicabile baluardo che bloccò l'avanzata che mirava alle discese nel Canal
di Brenta, e di conseguenza verso Bassano, per la Marcesina e Enego e per la val
Frenzela e Valstagna. Il settore delle Melette era definito "la chiave degli altipiani".
A malga Slapeur era insediato il comando Bosniaco. La linea del fronte arretrò
sull'Ortigara-Zebio-Assa con la successiva ritirata austriaca che razionalizzava la linea
imperiale. Tutto il settore delle Melette venne nuovamente occupato dagli austriaci con
l'avanzata del novembre 1917, che ridisegnava la linea del fronte dopo la disfatta di
Caporetto e l'arroccamento italiano sul Grappa.
La massima resistenza italiana si ritirò sulla linea dei "Tre Monti", a sud di Gallio oltre la
val Frenzela. Ancor oggi tutto questo settore è punteggiato di cippi commemorativi,
piccoli monumenti, lapidi, resti di cimiteri e sepolture sparse.
Un siciliano a Monte Fior – Altipiano di Asiago (V. Rabito)
E Ciampietro diceva: – Vede quello monte dove spareno sempre? Si chiama Monte Fiore
- Ed era um posto avanzato per li austriace. E siccome era molto alto, per questo che
non potiammo avanzare, l’italiane, a causa di questo Monte Fiore. E neanche potiemmo
antare al paese di Aseaco, che c’era tanto lavoro da fare, che ad Aseaco c’era un crante
diposeto di filo spenato e non si poteva antare a prentere per fare li retecolate, perché li
austriace ci sparavino, che era tutto alla vista di questo Monte Fiore.
Ma qualche volta, Rabito, – mi deceva Ciampietro, – se vedrà qualche spavento, che li
taliane, tra qualche ciorno, vedrai che viene l’ordene del comando cenerale, e lo
prenteranno sicuro.
E così, venne il porta ordene, che ci faceva capire, non direttamente che l’ordine lo
portava al comando di battaglione, ma noi lo abiammo saputo lo stesso, che fra 4 o 5
ciorne ci doveva essere l’ofenziva per prendere Monte Fiore, e la nostra bricata doveva
fare questo sacrafizio.
Così, da Vecenza hanno fatto venire 3 battaglioni della compagnia di morte, che questi
battaglioni di morte erino tutti Ardite, e tutti delinquenti, tutti fatti uscire appositamente
dalla galera propria per queste difficile imprese. Ogni battaglione di questi erino 1.000
soldati delinquenti e anche gli ufficiali erino delinquente. E voi dovete sapere che questi,
quando davino l’assalto, quello che dovevino fare lo avevino a fare in 3, 4 ore, e in
queste 3 o 4 ore la posizione vero che la conquistavano, e ni partevino 3.000 di queste
malandrine soldate vive, ma ne potevano retornare 300, perché tutti li ammazzavino,
perché certo che uno che va nella casa dell’altro sempre ci avevino la peggio.
Così quella mattina, hanno venuto queste fanatice soldate, senza portare né zaino e
coperte né niente, neanche manciare, solo una ciacca che di dietro alle spalle aveva una
grande tasca, la riempivano di bombe, il pugnale alla bocca e il moschetto con la
baionetta incastata e partevino come tante cane arrabbiate. E poi, prima che partevino,
si bevevino mezzo litro di licuore, e macari se umpriagavino. Manciavino bene, la musica
avevino, una bandiera italiana portavano, e partievino con tutto il coraggio che avevino.
CAI Padova – Monte Fior, la città di roccia – 21.02.2016
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E quella mattina, verso le ore 5, hanno dato l’assalto alla fortezza di Monte Fiore
all’improvviso, butando bombe in quelle trincieie come li diavole, che hanno fatto una
carneficina; li artiglierie che sparavano, sia li nostre e chelle suoi, che il Monte Fiore era
diventato una vampa. E compuro che c’era la nebbia si vedeva che il monte era rosso
che sembrava li fuochi artificiali della festa del patrono. E il rumore che si sentiva di dove
ero io e Giampietro, rumore di bombe e di cannonate, e poi li gride e il pianto che se
sentiva e li bestemmie. E la terra tutta tremava, e io e Gianpietro tremammo come
tremava la terra, perché avevamo troppo paura. E a Gianpietro, che ci aveva stato nelli
battaglie, ci stavano scappando le lacrime, perché sapeva che il peggio veniva dopo, che
li veri guai erano dopo che gli Ardite prendevino quel monte. Perché voi dovete sapere
che gli Ardite, quelle che restavano vive, si n’antavino e toccava a noi andarece in quel
monte e starece per defenderlo, a non ni lo fare levare un’altra volta, perché gli austriaci
facevano la controffensiva e noi la dovemmo reparare.
E così, alle ore 10, Monte Fiore era un’altra volta italiano. E venne l’ordine di avanzare
anche noi, e andare. Così, tutta la brigata Ancona andiamo in quello Monte Fiore pieno di
cadaveri, per fare la resistenza, che già li austriaci hanno contrattaccato e sparavano e li
nostri comandanti gridavano: «Avante Savoia!» E noi, tutti con bombe a mano e
moschetto e baionetta incastata e pugnale camminando camminando, di quanti morti e
ferite che c’erino, non avemmo dove mettere li piedi.
Così, avemmo visto migliaia di ferite che gridavano e correvano come pazzi, con il tanto
dolore che sentivano, poveretti, e ce n’erano che morivino mentre che correvino. Che
della nostra brigata Ancona, ni hanno ammazzato, gli Austriaci, più della metà.
Quanti morti, quanti ferite, quanti pianti, quanti dolori, quante bestemmie. . .
E così, amme, tutta la paura che aveva, mi ha passato che deventaie un carnefice.
Impochi ciorne sparava e ammazzava come uno brecante, no io solo, ma erimo tutti li
ragazze del 99, che sparavimo e ammazzavimo come brecanti, avemmo revato
piangento, perché avemmo il cuore di piccole, ma, con questa carneficina che ci ha stato,
deventammo tutti macellaie di carne umana.
Questa fu la prima battaglia che io Rabito Vincenzo ho fatto.
Vincenzo Rabito, Terra matta, Einaudi, 2007
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Altimetria del percorso (dati approssimati)
NB: In funzione delle condizioni di innevamento, e ad insindacabile giudizio degli accompagnatori, il percorso
potrà essere modificato in loco, percorrendo in alternativa altri sentieri.
Stralcio carta geologica 1:50.000 – foglio 082 “Asiago”
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Stralcio carta 1:25.000 (non in scala)
Edizione a cura delle Sezioni Vicentine del C.A.I. - “Altopiano dei Sette Comuni”.
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