CONTRAPPUNTI pag. 1 / Settembre 2013 MENSILE DI CULTURA SPETTACOLO COSTUME Redazione via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari. Spediz. in Abb.to Postale 70% CNSA BA - Anno XX N. 6 (187). Giugno 2014 Il «Valle d’Itria» taglia il 40° nastro. E pensare che era stato boicottato dai circoli culturali di Martina che lo giudicarono «pericolosamente fuorviante» PROSIT, FESTIVAL! Se questo non è un miracolo U n tempo, d’estate in Puglia, scrupolosamente chiusi i teatri, anche la musica andava in vacanza. Soltanto sulle accaldate, roventi piazze del Salento, al calar della sera, Carlo Vitale allestiva palcoscenici all’aperto per portare l’opera lirica anche nei paesi più piccoli. Ma non a Martina Franca. Accadde però che nella primavera del 1975, proprio a Martina maturò un progetto, un’idea venuta ad Alessandro Caroli, appassionato di musica e nella vita funzionario della sede Rai di Bari. Non lo conoscevo, lo conobbi quando venne a parlarmene. Ma, gli chiesi non poco incuriosito, proprio a Martina? E mi disse che aveva progettato addirittura un festival, che si sarebbe inaugurato il 27 agosto con «Orfeo ed Euridice» di Gluck. Un’opera che non si era mai data nemmeno al Petruzzelli. E infatti all’annuncio, a scattare era stato proprio Carlo Vitale, diciamo che era un affronto al suo orgoglio: una iniziativa così impor- Franco Chieco (continua a pag. 2) Michele Damiani - L’elegante barocco di Martina saluta il 40° Festival della Valle d’Itria Dal 18 luglio al 3 agosto tre opere, vari concerti e il premio ad Alberto Zedda Sempre titoli rari di varie epoche, poi «la festa» Dal 18 luglio al 3 agosto, il Festival della Valle d’Itria celebrerà il quarantennale con un programma di grande interesse e curiosità a partire dall’opera inaugurale, La donna serpente di Alfredo Casella, opera moderna eppure di non frequentissimo ascolto. Laboratorio di scoperta o di [ri]scoperta il Valle d’Itria ha consegnato alla pratica teatrale corrente partiture dimenticate, semisconosciute trovando una sintesi (continua a pag. 10) Dino Foresio TORNA A SETTEMBRE BUONE VACANZE pag. 2 / Giugno 2014 Dalla prima pagina Se questo non è un miracolo tante sfuggiva alla sua intraprendenza? Non ci pensò due volte. In men che non si dica, organizzò uno spettacolo lirico all’aperto a Lecce, il 4 agosto nell’Anfiteatro Romano di piazza Sant’Oronzo. Ci teneva, e non ne fece mistero, ad essere il primo a rappresentare proprio l’«Orfeo ed Euridice» in Puglia. E così un’opera tanto rara per le nostre scene, apparve ben due volte nello spazio di soltanto tre settimane: incredibile ma vero, a Lecce nella versione di Vienna, a Martina in quella di Parigi. Nasce così un festival che entrerà nella storia. Una storia singolare dai risvolti paradossali. Non è possibile dimenticare che la manifestazione, calata di colpo e con un impatto traumatico su un territorio invero impreparato, provocò una autentica scossa tellurica. La «città», più che restare perplessa, si dimostrò apertamente ostile, ritenendola una iniziativa «non popolare». E a sostenerlo con veemenza, con furore, erano soprattutto taluni accreditati circoli culturali che non esitavano a definirla «pericolosamente fuorviante». Per fortuna, a scongiurare le ipotesi di chiusura, che sembravano inevitabili, era Paolo Grassi allora sovrintendente della Scala, prossimo ad assumere la presidenza della Rai. Perentori furono i suoi «messaggi» affinché Franco Punzi, al tempo sindaco di Martina, si assumesse insieme a Lorenzo D’Arcangelo l’onere di «salvare» un festival che, nonostante fosse puntualmente a corto di risorse finanziarie, andava imponendosi all’attenzione internazionale per l’originalità della sua linea «ideologica» sapientemente tracciata da Rodolfo Celletti e Alberto Zedda. Una linea che presto si era rivelata un punto di riferimento aperto al nuovo e senza dubbio squisitamente culturale, tutt’altro che una vetrina aristocratica, di tipo esclusivo, elitario, un’occasione mondana da svago sotto le stelle. Siamo giunti alla «edizione 40». È questo il miracolo del festival che ha cambiato radicalmente la vita della città che lo rifiutava, quando nel pieno dell’estate alle dieci di sera – sintomatica, non casuale ma scientifica coincidenza – non riuscivi mai a trovare un bar aperto un minuto prima che iniziasse l’intervallo dello spettacolo. È stato il festival a cambiare radicalmente il volto di quella città che di proposito aveva abbassato le saracinesche dei negozi: ebbene quella stessa città, qualche anno dopo, si è arricchita di nuove insegne, e con la tipica vivacità cosmopolita del «dopo spettacolo», ha scoperto CONTRAPPUNTI «Fantastico» Damiano D’Ambrosio al Collegium Musicum Antipasti pietanze frutta bizzarra musica in cucina L’Expo 2015 programmato a Milano, incentrato (opportunamente!) sull’alimentazione, ha innescato un fervore creativo di preludi… e prologhi…, estrinsecatisi con varie modalità. Può pertanto essere inserito in questa cornice culturale risplendente di internazionali caleidoscopici cristalli, il concerto tenuto dal Collegium Musicum nell’Auditorium Vallisa di Bari, sul tema «La cuisine fantasque». Autentico protagonista è stato il compositore lucano Damiano D’Ambrosio, il quale ha magistralmente elaborato per orchestra da camera i brani pianistici rossiniani «Quatre Hors-d’oeuvres» e «Quatre Mendiants» («Quattro Antipasti» e «Quattro qualità di frutta secca»), articolandoli in un unico Divertissement, in ossequio alla constatazione della crescente importanza che l’arte culinaria assume nel processo culturale ed economico della società. Il titolo del Divertissement, «La Cuisine fantasque», «sembra appropriato – afferma D’Ambrosio – se si attribuisce all’aggettivo fantasque il significato di bizzarro, estroso e, se si vuole, ammiccante, del tutto consono al carattere dell’autore (Rossini), quale appare dalle sue numerose lettere, in cui spesso metafore gastronomiche sono evocate e declinate per illustrare concetti musicali e giudizi estetici». L’esemplare esecuzione dei brani da parte del Collegium Musicum, diretto da Rino Marrone, è stata integrata dalla voce di Vito Signorile, il quale ha gustosamente recitato testi tratti dalle lettere di Gioacchino Rossini. I «quattro antipasti» offerti all’ascolto erano: «Ravanelli, Acciughe, Cetriolini, Burro»; le «Quattro qualità di frutta secca» erano: «I fichi secchi, Le mandorle, L’uvetta, Le nocciole». Ciascun brano era strutturato in più movimenti e, dal punto di vista ritmico, l’autore ha «cercato un montaggio serrato nella distribuzione dei temi (spesso accuratamente sezionati) ai singoli solisti. Nel brano «L’uvetta», dedicato da Rossini «alla mia piccola pappagallina», D’Ambrosio ha inserito una voce ad libitum «che imitasse il volatile con i versi estrosi e burleschi dello stesso Rossini». La «Tarantella» conclude strepitosamente la serie dei brani gastronomici, esaltandone l’agile freschezza e il brio. L’elaborazione cameristica delle pagine pianistiche rossiniane, condotta con geniale intuito creativo da Damiano D’Ambrosio, ha scandagliato la cifra stilistica del Rossini, optando spesso per l’espansione motivica, ed estrinsecando per l’ensemble ciò che, come sempre, negli spartiti pianistici rossiniani è latente. Il suo linguaggio idiomatico spesso suggerisce le scelte coloristiche opportune. Damiano D’Ambrosio è autore di numerose partiture orchestrali, cameristiche e corali. Originalità, rispetto della tradizione compositiva, e insieme rivisitazione della tradizione secondo personali e innovativi orientamenti musicali, costituiscono le peculiarità. Docente di composizione. D’Ambrosio è stato allievo della grande Scuola dell’indimenticato Raffaele Gervasio, e ne ha assimilato, altresì, il brillante gusto timbrico e l’abile maestria nell’orchestrazione. Adriana De Serio un nuovo modo di vivere, affollando i ristoranti, le trattorie, attardandosi a passeggiare per il corso, come a Salisburgo, a Bregenz, Glyndebourne, Aix en Provence, Verona, Torre del Lago. Del festival oggi si parla molto anche all’estero. A Martina giungono assiduamente critici e spettatori tedeschi, francesi, svizzeri, persino americani e giapponesi. Forse perciò – e diciamola tutta – qualcuno potrebbe addirittura sorridere se gli ricordassi che un giorno questo festival veniva accusato di essere «non popolare» (ma che significa?). E stenterebbe a credere che un giorno pretenziosi, provincialotti circoli culturali, discettando goffamente di musica (!), affilavano le armi della polemica «sociale» per definirlo «pericolosamente fuorviante». Piuttosto, dove sono oggi costoro? Dove sono finiti quanti, all’epoca, firmavano bellicosi manifesti, proclami e documenti (i famosi «documenti» della kultura dell’epoca!), in nome di una sociologia da strapazzo. E mi ricoprivano di insulti volgarotti, nero su bianco, perché io difendevo, nero su bianco, i valori, i criteri rigorosi, gli obiettivi evidenti di un festival di cui essi incoscientemente auspicavano, pretendevano «la definitiva scomparsa». È questo il miracolo di un festival che è rimasto povero (di soldi) ma indiscutibilmente ricco (di idee). Il sottoscritto ha avuto la fortuna, ne é felice, di essere stato fra i pochi testimoni della nascita di una bella, prestigiosa realtà. Prosit! Franco Chieco CONTRAPPUNTI pag. 3 / Giugno 2014 Il capolavoro di Leoncavallo è tornato al Petruzzelli dopo 38 anni Ridi Pagliaccio, ma fra le sbarre Marco Bellocchio racconta l’opera, a posteriori Una regia che non stravolge, uno spettacolo che funziona anche sul versante musicale. Paolo Carignani sul podio di un’orchestra che vanta ormai una sua precisa identità Perché no? Avrebbe tutti i titoli, Marco Bellocchio, per fare il ministro di grazia e giustizia, in un paese che è afflitto dal problema e dalle conseguenze del sovraffollamento delle carceri. Non scherzo, l’idea m’è venuta un’ora dopo la conclusione dei «Pagliacci» di Leoncavallo, in scena al Petruzzelli (dopo ben 38 anni e senza il tradizionale accoppiamento con «Cavalleria rusticana» di Mascagni). Il pluripremiato cineasta emiliano è tutt’altro che un dissacratore dell’opera lirica, anzi con i «Pagliacci» sembra a suo agio, non sente il bisogno di stravolgere trama e vicende. Semmai intende superare gli eventi. Il copione prevede che Canio, il pagliaccio della commedia, uccide Nedda, la sua giovane compagna, e Silvio, il suo spasimante. Lo fa coram populo, sulla ribalta ad una spanna dal «suo» pubblico che deve commuoversi pur sapendo che si tratta di pura finzione scenica. Ed é ben consapevole che non potrà evitare le manette (e infatti nelle regie di Zeffirelli, spuntano sulla scena almeno due carabinieri). Di conseguenza, si farà avanti Tonio, per dire «La commedia è finita…». Come sappiamo, tutto accade sulla piazza di un paesino della Calabria dove si é fermata, a Ferragosto, una compagnia di guitti, e Tonio, nel Prologo, ci terrà ad avvertire il pubblico: «…vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete de l’odio i tristi frutti». La regia di Bellocchio, invece, va oltre gli eventi, li rievoca a posteriori, portandoci all’interno del carcere dove è rinchiuso Canio, colpevole di un duplice omicidio. E nel cortile del penitenziario, immaginiamo all’ora dell’aria, fa svolgere lo spettacolo scrupolosamente così come l’ha scritto e volu- to Leoncavallo (autore, rammentiamolo, anche del libretto). Tutto scorre a puntino, e lo spettacolo funziona. Semmai, vien da chiederci: aperto anche ai bambini e rispettoso della parità di genere, in Italia, più «rieducativo» di così, dove lo troviamo un carcere? Funziona anche sul versante musicale. Il maestro Paolo Carignani, disponendo di un’orchestra che vanta ormai una sua precisa identità, ha colto l’ardore e la varietà degli umori e dei colori di cui è ricca la partitura (a lungo frettolosamente vituperata), soprattutto nell’intrico armonico di quel «gioco tragico» che, siamo al second’atto, segna mirabilmente la finzione del teatro nel teatro. Quando – a osservarlo almeno da mezzo secolo é René Leibowitz, autorevole musicista radicale – «i due piani dell’azione scenica tendono a confondersi lasciandoci una sola intensa impressione di vertigine». Abbiamo anche ascoltato ottimi cantanti. Anzitutto il tenore Stuart Neill, voce calda e perentoria per un possente Canio. Una Nedda di intensa tenerezza è Maria Katzarava. Un Tonio dalla vocalità fremente, tagliente è il baritono Alberto Gazale, mentre Dario Solari, l’altro baritono, rende con impeto l’ingenua passione del giovane Silvio per Nedda (toccante il duetto famoso). Gustoso anche l’Arlecchino di Francesco Marsiglia. Positivo, ci è stato riferito, anche il giudizio sul secondo cast: Giuseppe La Malfa sul podio, Yusif Eyvazov (Canio), Sofia Solovy (Nedda), Elia Fabbian (Tonio), Marcello Rosiello (Silvio), Emanuele D’Aguanno (Arlecchino). Coro adulto e voci bianche assolutamente impeccabili. Franco Chieco Sette concerti, il 13 giugno dirige Nicola Piovani. Collaborazione con il Petruzzelli L‛Orchestra di Lecce un‛estate dalla classica al jazz Nicola Piovani, ma anche Paolo Fresu, Uri Caine, Enrico Rava, Raffaele Casarano ed i Sud Sound System per la stagione sinfonica estiva dell’Orchestra «Tito Schipa» di Lecce che spazierà dalla classica al jazz. Un programma dunque molto ricco e variegato che prevede dal 13 giugno al 24 luglio sette concerti che a Lecce si svolgeranno fra il Chiostro dei Teatini, il Cortile dei Celestini e l’Anfiteatro Romano. A firmarlo il direttore artistico Ivan Fedele, leccese di nascita, tra i massimi compositori contemporanei ed una delle voci più rappresentative ed eseguite all’estero da alcune delle più rinomate compagini, e da due anni anche direttore della Biennale Musica di Venezia. L’inaugurazione, venerdì 13 giugno al Chiostro dei Teatini, sarà con Nicola Piovani che incontra per la terza volta l’orchestra «Tito Schipa» dopo le serate «magiche» del 2009, quando dal podio diresse le sue indimenticabili colonne sonore, e di tre anni fa quando fu protagonista con Luca De Filippo del racconto sinfonico «Padre Cicogna», tratto dal poemetto di Eduardo De Filippo scritto nel 1969. In questa circostanza eseguirà nuovamente le sue celebri colonne sonore tratte dalla «Notte di San Lorenzo» e «Good morning Babilonia» dei fratelli Taviani, da «La vita è bella» di Benigni, chiudendo con la «Suite Fellini» (La voce della luna, Ginger & Fred). Vincitore del premio Oscar proprio per le musiche del film «La vita è bella», Nicola Piovani non ha certamente bisogno di presentazioni. Pianista, compositore e direttore d’orchestra, Piovani ha anche ricevuto tre David di Donatello per «Ginger e Fred» di Fellini, «Caro diario» e «La stanza del figlio di Moretti», quattro premi «Colonna sonora», due Nastri d’argento e due Ciak d’oro. Con «L’équipier» di Philippe Lioret ha ottenuto la nomination al César, il premio del pubblico e la menzione speciale della giuria al festival «Musique et cinéma» di Auxerre. Il 20 giugno, sempre ai Teatini, Michele Carulli dirigerà brani di Giovanni Gabrieli (Canzoni e Sonate per ottoni), Giacomo Puccini (Capriccio Sinfonico), Pëtr Il’ič Čajkovskij (Capriccio Italiano per orchestra op. 45), Felix Mendelsshon-Bartholdy (Sinfonia n. 4 «Italiana» in la maggiore. op. 90). Venerdì 27 giugno, nel Cortile dei Celestini l’Orchestra «Tito Schipa» ed il Coro del Conservatorio «Tito Schipa» Eraldo Martucci (continua a pag. 8) pag. 4 / Giugno 2014 CONTRAPPUNTI Registrato in un dvd il dittico rappresentato dalla Filarmonica Romana Fadwa e Lena, donne sognano la libertà Due storie laceranti scolpite in un dramma musicale Rappresentato in prima assoluta a Roma per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, Donna, Serva della mia casa è un dittico di teatro musicale contemporaneo che ora possiamo rivedere in un dvd prodotto della stessa istituzione. Due atti unici, commissionati dalla Filarmonica a due giovani compositori Daniele Carnini e Dimitri Scarlato, che rappresentano coraggiosamente storie ispirate a fatti di cronaca dei nostri giorni sul tema della violenza contro le donne. Fadwa di Scarlato si ispira alla vicenda di HinaSaleem, la giovane di origini pakistane, assassinata dal padre nel 2006 in provincia di Brescia. Sua unica colpa l’amore ricambiato da un ragazzo italiano. La Storia di Lena di Carnini trae spunto dalla vicenda di Natascha Kampusch, la ragazza austriaca rapita per dieci anni e vittima di segregazione e umiliazioni. Il contributo del comitato «Donne per il nostro tempo» ha reso possibile l’attuazione di questo progetto. Donne di tutte le età, mestieri, opinioni politiche e fedi religiose hanno condiviso l’iniziativa. Accanto a queste donne in una rete di collaborazioni improntate a rapporti interpersonali di amicizia e solidarietà, compaiono Amnesty International, Donne per la Dignità, Casa Internazionale delle Donne, Telefono Rosa, Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani, Stampa Romana, Tavola Valdese – Ufficio Otto per Mille e ancora Ambasciata del Regno del Marocco, Forum Austriaco di cultura, Reale Ambasciata di Norvegia, Fondazione Spinola Banna per l’Arte, Lega e altre istituzioni. La rappresentazione di Fadwa inizia con urla laceranti di rabbia e disperazione nello stesso tempo. Il padre musulmano uccide la figlia che ha osato disobbedirgli. Una storia che si svolge a ritroso in un racconto di mancata integrazione di Saalih, il padre, che continua a frequentare solo ed esclusivamente gente che professa la sua stessa religione e che vive il dramma della lingua che non conosce, della mancanza di lavoro, della ostilità e della diffidenza. Il dramma dell’immigrazione. La figlia Fadwa ha un nome profetico: colei che si sacrifica. È un’adolescente che scopre l’amore di un ragazzo italiano, una società completamente diversa e che di conseguenza vive la sua conflittualità di violenze e restrizioni con il padre integralista. Convinta di aver raggiunto una maturità superiore a quella del padre, lo considera un bambino al suo confronto. Persino il momento della preghiera comune si svolge in una scena simmetrica e mai così distante. Fra le due figure si inserisce il Prete che conforta i due personaggi e che sostiene la «litania» dell’accoglienza. «La religione e la terra dove sei nato non ti rendono migliore o peggiore di altri». A Fadwa che gli chiede consiglio, risponde di seguire il suo pensiero e infatti il pensiero di Fadwa si adagia fra le braccia del suo ragazzo. A Saalih, il buono, il giusto, chiede pazienza e comprensione, perché la diversità fa paura. A dramma compiuto non gli resta che chiedere perdono: voleva aiutare, ma non aveva capito. Non è riuscito a ricostruire una speranza. Sfondo della rappresentazione è un coro schierato che accusa il prete di intromissioni e gli immigrati di mancata integrazione, ma che nella scena finale si stringe con lo stesso prete intorno a Fadwa, vittima innocente del suo destino. La stanza di Lena non è la mera descrizione di una storia di dolore, ma mette a fuoco «il sogno di libertà di una donna e la sua indomita voglia di autoaffermazione», come dichiara la stessa protagonista del dramma reale, Natascha Kampusch. Lena è una bambola su un letto con le sbarre e canta la filastrocca dei colori. È l’immagine della resistenza insopprimibile della donna, purtroppo sempre più soppressa. Il dialogo con il suo lui, che non ha neppure un nome, è quello fra due persone che non si ascoltano. Dichiarata la sua fragilità, Lena prende coscienza dei diktat di un lui che decide il bene, il male, la luce e la vita: il signore dei giocattoli. Ripresa la sua filastrocca dei colori che in questa fase di coscienza diventano i colori dell’umiliazione e delle punizioni, decide di ribellarsi, le luci vanno a dissolvere l’immagine della bambola e illuminano la sagoma di una donna che ha ritrovato la sua libertà. «È oggi che voglio vivere». Oltre all’attualità del tema e dall’efficacia dei libretti di Dimitri Scarlato per Fadwa e di Renata M. Molinari per La stanza di Lena, lo spettacolo convince per il taglio concettuale deciso dal regista Cesare Scarton: l’Unicità. Perché l’Unicità è la donna, punto focale dello spettacolo drammatico. L’Unicità sono i due lavori decisamente distinti in due differenti strutture che confluiscono in un’unica rappresentazione che inizia con un omicidio e che in una naturale catarsi prosegue sfociando naturalmente in una forma di liberazione. L’Unicità coglie nel titolo Donna, Serva della mia casa i due lavori: Fadwa e La stanza di Lena. L’Unicità è la scenografia basilare che in un unico contenitore modulare rappresenta i due lavori per dare allo spettatore un senso di continuità. Unicità è infine il letto sul quale si svolgono le scene delle due rappresentazioni l’omicidio e la liberazione dalla prigionia. In una perfetta linearità di pensiero si assiste a un passaggio di consegne fra le due donne che subiscono un rapporto devastante con l’uomo, che sia amante o padre padrone. Un rapporto morboso di possesso che si esplicita nel primo lavoro in una accecante fede religiosa che nulla concede all’immediatezza di una relazione adolescenziale e nel secondo in un rapporto che annulla l’altro da sé. Se non nella realtà, almeno nella rappresentazione non è data una via di scampo ai due protagonisti maschili che ricorrono al suicidio. La scenografia efficace pur nella sua essenzialità riesce a cogliere gli stati d’animo dei protagonisti, e i costumi aiutano a definire i personaggi. Fadwa, la ragazza pakistana che ormai vive in Occidente, emancipata dal velo, veste come una qualsiasi adolescente del paese ospite. Lena, in posizione statica, perché immobilizzata fisicamente oltre che psicologicamente, indossa un vestito da bambola. La stessa bambola oggetto dei desideri del suo uomo. Il contrasto con tanto colore risalta sullo sfondo di personaggi grigi che siano il padre, l’amante, il coro o gli altri personaggi. In entrambi i racconti si giunge al finale senza respiro. L’integrazione di scena e musica è un feedback di emozioni: magia del teatro. Due racconti su un tema di attualità, entrambi con un finale senza respiro: la magia del teatro Maria Cristina Caldarola CONTRAPPUNTI pag. 5 / Giugno 2014 La commedia di Nicola Saponaro messa in musica da Angelo Inglese La bottega dei sogni (andati in fumo) Storie e personaggi, ecco rivivere il Fantasma dell’Opera Sabato 10 maggio: ancora una volta il Petruzzelli si è aper- centuale e propone come sposo un bravo giovine, l’ingegnere to, sotto l’occhio benevolo di San Nicola che rende questa Cicciomessere, capo dell’ufficio tecnico del Comune, brava città una capitale religiosa nel mondo. Ma forse non tutti san- persona anche se di povere origini e di insopportabile cognono che questa città ha anche un altro nume, che è il Fantasma me. Infatti Maria, appostatasi nel gabinetto della bottega per dell’Opera – così come lo conobbe Antonio Rossano – che poter osservare il candidato sposo, lo trova passabile ma a abita il Politeama. E l’altra sera si è incarnato nelle storie e nei condizione che cambi il suo cognome dal popolano Cicciopersonaggi dello spettacolo «La bottega dei sogni», un’opera messere nel più signorile Messeni. buffa rappresentata in forma di concerto con cantanti, che il La cronaca ci dice che anni dopo qualcuno, con involonmusicista Angelo Inglese ha composto su libretto del dram- taria citazione scarpettiana, operò una ulteriore metamorfosi maturgo Nicola Saponaro. L’evento è stato finanziato dalla per cui i signori Cicciomessere-Messeni diventarono i princiestinguenda Amministrazione Provinciale, col supporto della pi Messeni Nemagna. Ma i due fratelli sono disposti a passare relativa orchestra. In verità dietro l’evento – che un prolo- sopra la mancanza di sostanza dello sposo perché egli potrebgo del comico barese Ciardo ha cercato di trasformare in un be favorire la concessione di licenze di costruzione. Spinti pezzo di sapore elettorale – si poteva leggere la domanda sul anche della passione per l’opera i fratelli decidono che con le destino delle orchestre provinciali della Puglia, a seguito della molte monete che giacciono nel pozzo verrà costruito un poliabolizione delle Provincie. Certo bisognerebbe vederle non teama. In fase di avvio essi sollecitarono e si avvalsero, grazie tanto come delle spese, ma come delle risorse, degli strumenti alla nuova parentela, delle agevolazioni che comprendevano per far emergere e soddisfare un potenziale nuovo pubblico; il terreno in concessione gratuita per 99 anni; ma soprattutse cioè la Regione spostasse una parte delle notevoli risorse to dell’impegno formale del Comune a non consentire che che eroga dalla offerta (gli oltre 200 enti di spettacolo finan- venissero costruiti altri teatri concorrenziali sul suolo cittaziati) alla domanda (gli oltre 200 istituti scolastici superiori dino. Vedremo poi che, con astuzia da Commedia dell’arte, pugliesi comprensivi di alunni e famiglie) si potrebbe vedere il Comune aggirò questo solenne impegno facendo costruire il problema sotto una luce diversa. Comunque la questione un nuovo teatro ma non sul suolo cittadino bensì sull’acqua dovrà essere affrontata seriamente in altra sede. Ma tornia- cittadina, cioè sulle palafitte del Teatro Margherita. mo all’opera, che Angelo Inglese ha arricchito di una muLa costruzione del Politeama dunque non era un sogno ma sica gradevole e spiritosa, un progetto fondato sull’idea dirigendola con fervore sul di creare una azienda teatraMusica & Letteratura podio dell’Orchestra della le con un suo mercato, da Provincia (hanno cantato veri e seri operatori culturali Sandra Pastrana, Roberto ante litteram, come non ce Jachini Virgili, Giuseppe ne sono più stati fino ai noAltomare, Carmine Monaco, stri giorni, in cui si vive del Cesidio Iacobone). In breve più puro assistenzialismo la trama vede agire cinque pubblico. E il suo mercato personaggi: il cavaliere don era non solo una borghesia «Straniero sono giunto, straniero vado via. Maggio mi ha Onofrio Petruzzelli, suo frain cerca di protagonismo e sorriso, la fanciulla mi ha parlato d’amore. Ora il mondo tello minore don Antonio, la di crismi culturali ma anè triste, la strada sepolta nella neve. Non posso scegliere loro sorella donna Maria, il che una piccola borghesia il tempo del mio viaggio, da solo dovrò andare in questa commesso della ditta Nicoin cerca di facili emozioni oscurità. Mio compagno sarà l’ombra di luna sui prati imlino Scattarelli, detto «Venda operetta; cioè un pubblibiancati. Buona notte, amore mio!». Così scriveva il poeta to» per la velocità di corpo e co pagante in un politeama tedesco Wilhelm Müller (1794-1827) nel II volume della mente, e l’ingegnere Angelo di 3.000 posti – condizioni raccolta «Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines Cicciomessere. L’azione si che il Teatro Piccinni non reisenden Waldhornisten [Poesie dalle carte postume di svolge nel retrobottega del garantiva – che poteva renun girovago suonatore di corno silvano]», pubblicate nel loro negozio in via Melo dere sostenibile e proficua 1824 e dedicate all’amico Ludwig Tieck, lo scrittore berdurante l’ora dell’intervallo. l’impresa. Partendo da quelinese che, con Novalis e i fratelli Schlegel, condivideva I fratelli Petruzzelli non si ste premesse e forse senza gli ardori spirituali del conclamato Romanticismo tedesco. sono sposati ed hanno dedineppure rendersene conto, Müller fu poeta dalla vena lirica facile e spontanea in cui, cato tutto il loro tempo e le essi costruirono il più grantra amori irrisolti, angosce esistenziali e viaggi senza meta, loro energie a vendere tessude teatro privato del mondo, domina il motivo del mormorio del ruscello, dello scorrere ti ed a riempire di monetine circostanza che – al di là incessante del tempo, del monotono crepitare della ruota il pozzo secco che hanno in delle intenzioni – un secolo del mulino e del mugnaio (in tedesco «Müller» come il suo casa. Fra gli altri impegni i dopo sarà poi forse la causa cognome), alter-ego dell’irrequieto scrittore, deluso dalla fratelli hanno urgenza di madell’incendio e della storia vita e dall’amore che, se nel mondo poetico evocava lande ritare la sorella Maria, che infinita per la ricostruzione di desolata solitudine, nella vita reale con valore di soldato ha le «caldacine» – come si del teatro. Alessandro Cazzato dice a Bari – ed ha superato Però lo spettacolo dell’al(continua a pag. 11) Bepi Acquaviva i trent’anni. Il commesso si (continua a pag. 6) improvvisa mezzano a per- Schubert, viaggio d‛inverno ruota della vita pag. 6 / Giugno 2014 CONTRAPPUNTI Ormai i giornali preferiscono occuparsi di cronaca e del vacuo gossip La critica cinematografica vive se… Attenti agli spazi che si va conquistando la rete Nell’ambito del fittissimo programma (troppo fitto: sarebbe meglio ridimensionarlo) del Bifest svoltosi a Bari, una sezione particolarmente interessante è stata quella occupata dalla Tavola rotonda che ha avuto ad oggetto la critica, intitolata con un pizzico di ironia «La critica cinematografica è morta! viva la critica cinematografica!». Vi hanno partecipato i critici di alcuni quotidiani (la «Gazzetta del Mezzogiorno» era rappresentata da Anton Giulio Mancino) fra cui Paolo Mereghetti del «Corriere della sera», autore di un monumentale quanto fortunato dizionario del film. Si è trattato di un convegno vero e proprio, che purtroppo ha richiamato poco pubblico (infatti non c’erano neppure gli addetti locali ai lavori). Ciò non ha compromesso ovviamente la rilevanza della manifestazione, nonostante il tema conduttore, principalmente quello sulla «decadenza» della critica cinematografica, fosse già stato esaminato in altre occasioni, essendo uno di quegli argomenti che periodicamente negli ultimi anni sono riproposti all’attenzione dei lettori e soprattutto degli interessati, cioè i critici: non soltanto quelli più letti perché scrivono sui quotidiani ed hanno di per sé una più ampia audience, ma anche quelli che scrivono sulle riviste specializzate. L’oggetto del convegno implica molti temi collaterali, primo fra i quali la sempre più accentuata riduzione dell’interesse del lettore comune circa i problemi critici legati al film, che ha il suo pendant nel fatto che talvolta, per fortuna non frequentemente, la rubrica cinematografica viene assegnata a giornalisti di grande nome ma di incerta specializzazione su una materia che richiede conoscenze appropriate. Ma più in generale come sintomo di questo fenomeno va segnalata la consuetudine di dare la prevalenza sulla critica vera e propria alla notizia insignificante relativa ai cineasti e alla loro vita privata e pubblica: un punto di vista che trascura irrimediabilmente il film come oggetto da analizzare con strumenti appositi. Naturalmente non bisogna generalizzare, resistono ancora a questo andazzo critici molto acuti e intelligenti (mi riferisco ai quotidianisti) il cui giudizio su un film si rivela spesso interessante, stimolo all’approfondimento e al confronto: insomma esempi preziosi di come dovrebbe essere esercitata la critica cinematografica. Dalla quinta pagina La bottega dei sogni (andati in fumo) tra sera costituisce solo il primo tempo di questo dramma. In realtà c’è un secondo tempo che inizia negli anni ’80, quando entra in ballo la politica che darà alla vicenda una torsione tragica, in un contesto che è decisamente cambiato. Infatti la legislazione italiana degli ultimi decenni consentiva solo ai teatri di proprietà pubblica di candidarsi al titolo di Enti lirici ed essere così beneficiari di un cospicuo finanziamento, assai maggiore rispetto a quello di un teatro privato quale è un «Teatro di tradizione». È dunque questo il vero nodo dell’intera vicenda. Un nodo però che non è risultato A tal proposito particolarmente acuta nonché pungente è stata la relazione introduttiva di Piero Spila, Vicepresidente del SNCCI e curatore della rivista «Cinecritica» (all’incontro era presente anche il Presidente, Franco Montini, che ha guidato gli interventi): con la sua relazione introduttiva ha cercato di delineare un identikit del critico «ideale», quello che non indulge a certi aspetti negativi del suo mestiere: nel lungo elenco di ciò che non dovrebbe essere la critica cinematografica proposto da Spila c’è l’invito a lasciare da parte le «stellette», pratica ormai invalsa nel proposito di riassumere «numericamente» il giudizio su un film che richiede semmai un’argomentazione ben più motivata di una così sbrigativa valutazione, il cui risultato più sicuro è quello di alimentare la pigrizia del lettore. Della critica in senso stretto, dei suoi fini dovrebbero prendersi carico le numerose riviste cinematografiche: non soltanto quelle tradizionali e cartacee ma anche quelle sul web. Fra i suoi aspetti discutibili c’è talvolta l’adozione di uno lessico contorto e esasperato, la prassi di un ermetismo che contrasta con la chiarezza che dovrebbe esserne il requisito fondamentale, disatteso per una sorta di narcisismo intellettuale. Non tutti coloro che sono interessati al cinema e vogliono avvicinarsi ai suoi problemi teorico-estetici hanno il necessario bagaglio di conoscenze specifiche per comprendere una scrittura brillante quanto impervia. Ma la novità vera in tale campo è data dall’allargamento dell’orizzonte verificatosi in questi ultimi tempi grazie alla rete: una proliferazione di testate dell’universo internet, all’interno del quale si notano ovviamente molti punti di contatto con la critica tradizionale cartacea. Ne ha parlato Maurizio De Bonis, antesignano e sostenitore di questo fenomeno, che se assicura una più larga circolazione delle idee non garantisce quel processo selettivo cui è sottoposta la critica tradizionale. Si trova comunque del buono, del meno buono, dello scadente e dell’ottimo in ambedue i campi, come è stato fatto notare e come è logico che sia. Ma a favore delle riviste della rete c’è da riscontrare un’apprezzabile attenzione alla storia del cinema e ai suoi protagonisti nonché alle loro opere: un versante invece poco o punto battuto dalle riviste cartacee. evidente a chi non era addentro alla materia come magistrati, opinionisti e tuttologhi che si sono esercitati nelle sedi più varie attorno alla vicenda dell’incendio. A quasi tutti è sfuggito che qualcuno aveva deciso che l’incendio era l’unica possibilità per poter far diventare il Petruzzelli un Ente lirico, per poter sottrarre il teatro alla proprietà privata, che sarebbe stata costretta a contravvenire alla norme della concessione comunale che imponeva ai proprietari di restaurare l’immobile in caso di incendio o di crollo. Dunque il lungo e ricorrente racconto del Fantasma dell’Opera ha preso di volta in volta le forme e i generi del melodramma, dei tourbillons piccanti dell’ operetta, della commedia, del tea- Vito Attolini tro danza e dei grandi spettacoli forniti dall’agenzia di Mario Dradi alla gestione di Ferdinando Pinto. E poi alla lista degli spettacoli manca il cinema, in particolare il genere «noir». Ed è strano perché si sa che la Puglia è oggi una regione cinematografica quant’altre mai grazie anche all’opera della Apulia Film Commission, l’ente regionale che promuove location e produzioni ambientate in Puglia. Mi chiedo come mai non si sia mai pensato di produrre un film o un programma TV sulle vicende del Petruzzelli: una nuova Gomorra pugliese che finalmente alzi il sipario su quel putrido e maleodorante buco nero nella storia della città. Ma forse, anche grazie allo spettacolo a cui abbiamo assistito, qualcuno ci penserà. Bepi Acquaviva CONTRAPPUNTI pag. 7 / Giugno 2014 Apprezzato a Berlino, «In grazia di Dio» è un forte messaggio di Þducia Potete essere felici, nonostante tutto Quattro «leonesse» salentine in un bel Þlm di Edoardo Winspeare Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio pae- rappresentare la metafora di un Sud che ce la può fare, senza se, / così sgradito da doverti amare… (Vittorio Bodini) i soliti piagnistei su se stessi e senza aspettare gli improbabili Presentato con successo nella sezione Panorama all’ultimo aiuti dall’alto. «Volevo raccontare un mondo femminile nel Festival del cinema di Berlino, In grazia di Dio (Italia, 128’) quale gli uomini fossero satelliti – spiega Winspeare – Penso è il nuovo lungometraggio di Edoardo Winspeare (classe che le donne siano le colonne della società e ho visto come 1965), regista salentino che in Germania è di casa, avendo di fronte alla crisi si dimostrino più forti e reattive rispetto studiato alla Film Hochschule di Monaco e avendo presentato agli uomini. Poi mi piace molto la figura della donna merial Filmfest berlinese il suo primo film, Pizzicata, nel lontano dionale». 1995 (seguito da Sanguevivo, 2002, Il miracolo, 2003, GaNel film non ci sono attori, solo gente del luogo. Il suo falantuomini, 2008 e L’anima attesa, 2013). Ma Winspeare è scino sta anche nella verità di grandi attori per caso, perché, anche documentarista, produttore, sceneggiatore e attore ed è come dice Winspeare, «le loro facce esprimono un’anima e profondamente legato alla sua terra (è cresciuto a Depressa, il dialetto le preserva dal ridicolo; al loro posto, sarebbero vicino a Tricase): quest’ultima opera è stata girata interamen- goffi anche i più consumati professionisti». E sono proprio gli te nel Salento, a tre chilometri da casa tra Corsano e Giuliano attori l’aspetto più sorprendente di questo film: sono i volti, di Lecce. Winspeare è stato il primo a cogliere, appunto da gli sguardi, i toni sempre autentici delle protagoniste (Celeste Pizzicata in poi, lo spirito del Salento: lì entrava nel mistero Casciaro, Laura Licchetta, Barbara De Matteis e Anna Boccadelle antiche tradizioni, per poi affrontare in maniera profon- damo, che di mestiere fanno la mamma, l’estetista, la barista, da, film dopo film, le connessioni tra classi sociali alte e fuo- la cuoca) a dare vitalità e malinconia struggente a questa pelrilegge, civiltà, misteri della fede e della ritmica. licola low budget (appena 500mila euro, raccolti con il sosteFilm della piena maturità, In grazia di Dio è tutto sommato gno del baratto, delle cooperative contadine, dei produttori di un film sulla tradizione, anche se qui i valori e gli umori di pasta, vino, olio locali e la regione). «Non tutto è in vendita», una terra così unica devono confrontarsi stavolta con la cro- dice Adele al ricco signore che vuole comprare la masseria. naca, e l’urgenza, della crisi economica. Due fratelli (Adele Non sono in vendita, per la gente del Sud, dignità e voglia di e Vito), che gestiscono una piccola industria tessile a con- cambiare. Lei (Celeste Casciaro, nella vita moglie del regista) duzione familiare, si ritrovano sommersi dai debiti e dalla è l’archetipo della donna salentina: fiera, orgogliosa, diffidenconcorrenza della manodopera cinese. E mentre Vito emigra te. L’unica figura maschile è il coproduttore del film, Gustavo in Svizzera, Adele assieme alle altre componenti femmini- Caputo, che fa un tenero corteggiamento alla protagonista. li della famiglia (tre generazioni diverse, forti e imperfette Pur con alcune imperfezioni e qualche dilatazione tempoin egual misura) provano a rale di troppo, In grazia di reagire: una madre vedova Dio è un film importante e cerca di tenere unita la famirappresenta (come ci ricorda glia e contemporaneamente Roberto Saviano) «la prima, s’innamora dell’unico uomo vera opera su cosa stiamo affidabile in tutto il film; la diventando e cosa stiamo La Città di Conversano continua a guardare avanti. Ma, figlia maggiore vende casa perdendo». Ed è una sana lesempre ed opportunamente, con lo sguardo rivolto indiee bottega e porta tutte quanzione a tanta paccottiglia citro per seguire i percorsi segnati dalla sua antica e ricca te in una masseria sul mare, nematografica nostrana, farstoria cercando di riscoprire le proprie radici nel mondo l’ultima proprietà rimasta; cita di piaggerie estetiche e dell’arte, della musica, dell’archeologia ed anche dell’abla sorella minore e la figlia di furbizie autoriali: l’intento bigliamento, del design e della moda in genere, soprattutadolescente sono deboli (la di Winspeare non è quello di to quella artigianale, attraverso le recuperate o ricostruite prima vorrebbe diventare drammatizzare né educare o fonti documentarie con il coraggioso incessante studio di attrice, la seconda rimane denunciare: racconta e basta. ricerca e di approfondimento di giovani studiosi che fanno incinta ed è quanto mai diCome nelle altre sue opecapo all’Archivio Storico Diocesano «D. Morea», diretto sorientata). Eppure queste re, l’elemento locale è molto dall’instancabile don Angelo Fanelli. Perché la parte midonne, con tutte le loro deforte, ma il tema è universagliore, responsabile e studiosa della comunità cittadina è bolezze, si rivelano quattro le: la metamorfosi della crisempre più convita che «nella cultura c’è il futuro». Ebbeleonesse, capaci di ritrovare si economica, la crisi vista ne, proprio presso la sala-forum dell’Archivio-Biblioteca proprio nella memoria ancome possibilità, come un Diocesano, ormai unanimemente considerato «tabernacolo cestrale della loro terra la nuovo inizio. In fondo, si della memoria», si sono succeduti Incontri con la Storia forza per andare avanti: risitratta di una storia di felicidi notevole livello con larga partecipazione popolare, nel stemano la vecchia struttura tà, nonostante le peripezie e corso dei quali sono stati presentati, alla presenza dell’Ordi poche stanze e coltivano i conflitti. dinario Diocesano mons. Domenico Padovano, del sindaun orto che consente loro di Un film duro e dolce al co di Conversano avv. Giuseppe Lovascio e dell’archivista tirare avanti e di scambiare tempo stesso. «È un film suldell’Abbazia di Noci padre Gennaro Galluccio, gli ultibeni essenziali con altri abila possibilità di essere felici, mi due volumi (n.17 e n.18) della Collana «Crescamus» tanti della zona, costruendo nonostante tutto». Chiunque Domenico Roscino un po’ alla volta una nuova possa farlo, vada a vedere In (continua a pag. 10) prospettiva economica. grazia di Dio. Alfonso Marrese Queste donne potrebbero Conversano rievoca l‛antico artigianato pag. 8 / Giugno 2014 CONTRAPPUNTI Una antologia di Vittorio Polito, cultore della baresità, pubblicata da Levante Sanda Necole, il più internazionale Il miracolo dei bimbi risuscitati unisce Oriente e Occidente «Sanda Necòle, Tu cha si’ l’attane, acchiaminde dò, damme na mane…». «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», diceva Brecht. Fortunata invece quella benedetta dai santi: all’amara considerazione dello scrittore tedesco, sembra fare eco l’ispirata pluralità di poeti e autori che hanno dedicato «un pensiero» a San Nicola. È il patrono di Bari, le sue reliquie sono custodite nella cripta sotto la Basilica romanica della Città Vecchia, il suo culto attrae devoti e pellegrini di lingue e riti cristiani differenti ed è certamente uno dei più diffusi al mondo, come sottolinea il priore dei custodi domenicani del Santo, padre Lorenzo Lorusso, nella presentazione della nuova fatica di Vittorio Polito («San Nicola, il dialetto barese e... Miracoli, leggende e curiosità», aprile 2014, 258 pag. 24 euro). L’inesauribile cultore della baresità ha curato un’antologia di prosa, di testi, articoli e versi, in particolare, di numerosi autori, soprattutto vernacolari, a partire dal primo poeta dialettale, Francesco Saverio Abbrescia. Un volume ben vestito dagli editori cittadini Levante e che merita attenzione, a partire da una copertina elegante e ben scelta. Su fondo cobalto, riproduce un collage di legno, una tecnica mista dell’artista barese Anna Maria Di Terlizzi, raffigurante un San Nicola stilizzato modernamente, in biancorosso e paramenti gialli, a cavallo del galletto Barium, Fange stà nzime azzeccàte, fange stà nzime acchecchiàte… Un santo internazionale. Il più internazionale. E unisce Oriente e Occidente. Drei finger, drie vinger, trois droigts, three fingers (tre dita): è infatti la versione in tedesco, olandese, francese, inglese, in varie lingue mondiali, di un passo del leggendario miracolo dei bambini risuscitati («Come ho ben dormito», «Pure io m’ero assopito», «Credevo d’esser proprio in paradiso!»). Testimonia la notorietà planetaria del vescovo di Mira e protettore di Bari. Uno dei santi più conosciuti e venerati al mondo, assimilato da ogni popolo attraverso le proprie rappresentazioni tipiche (si pensi a Santa Klaus e non solo). Un Santo per tutte le latitudini, sottolinea Nico Veneziani, cardiologo e a sua volta ricercatore di tradizioni locali, che a sostegno dell’universalità del culto nicolaiano cita una corrispondenza di Luigi Barzini dall’Estremo Oriente. Il grande giornalista riportava di aver visto in Giappone, al tempo della guerra russo-nipponica del 1904-05, un’icona di San Nicola adorna di fiori freschi, nel tempio scintoista di una città che ospitava prigionieri di guerra dell’esercito zarista. Sanda Necòle, Sanda Necòle mì, acchiamindeme notte e dì… Protagonista del lavoro di Polito è San Nicola, indubbiamente. È evidente, però, che raccontarlo attraverso «miracoli, leggende e curiosità» rappresenta il mezzo. Il fine è indubbiamente esaltare il dialetto e quindi l’identità barese, attraverso le espressioni, tra le più sincere e spontanee, di quella lingua materna e paterna che più dell’idioma nazionale è capace di esprimere sentimenti con la massima autenticità e naturalezza. «Per Baresità – fa presente Vittorio Polito, già curatore con Rosa Lettini, sempre per Levante, di un’antologia di preghiere dialettali («Pregáme a la barése», 2012) – s’intende tutto quello che riguarda Bari: dialetto, tradizioni, folclore, cucina, monumenti, chiese, modi di dire, comportamenti, proverbi, soprannomi, usi e costumi, teatro, poesie e, prepotentemente rientra anche il nostro San Nicola e tutto quello che lo riguarda, dialetto compreso». E mmenz’o casine e a le lite, acchiaminde le figghie e u marite… Non solo racconti agiografici e miracoli, soprattutto un Patrono al quale ci si rivolge col tu, con amorevole rispetto, più che confidenza. Gli si dedicano rime baciate (Quand’è bedde u Sande neste quanne iesse pe la feste…, Vito Barracano), si rivolgono preghiere (Gloriùse e sande vèscheve de Criste…), si cantano ninne nanne (la popolare e anonima Sanda Necòle va pe mmàre, va vestùte a marenàre…). Si cerca di guadagnare la sua benevolenza, indirizzandogli confessioni irrituali simpaticamente sfacciate, come quella della «devota Tua Domenichella Jusco»: Care Sanda Necole, veleve sci a la chijèssie pe chembessarme, ma po’ ssò penzate, ci megghe du Sande mì pe discenge cusse peccate citte citte? (Caro San Nicola, volevo andare in chiesa per confessarmi, ma poi ho pensato: chi meglio del Santo mio per dirgli questo peccato zitto zitto?). Che poi, la trasgressione è tutta qua: Domenichella non sa resistere ai ricci di mare, tanto pungenti fuori, quanto deliziosi dentro. Fange acchià la Pasce e l’Amòre, non nge sì lassàne ijnd’ò delòre… E fortunata quella terra che ha i poeti a renderla dolce e amorevole e, dentro e fuori. Di poesia c’è un grande bisogno in questa terra del Santo, nella quale i ragazzi sembrano essersi dati di questi un modello unico di riferimento, tutt’altro che un esemplare di buona educazione, che li rende acuminati e pungenti come i ricci. Per fare amare e rispettare da tutti la Città di Sande Necòle, i suoi cittadini di domani dovrebbero imitare di meno gli Antonio Cassano e seguire di più i Vito Maurogiovanni ed, ora, i Vittorio Polito. Felice Laudadio Dalla terza pagina L’Orchestra di Lecce un’estate dalla classica al jazz di Lecce si uniranno, dirette da Giovanni Pellegrini, per una delle composizioni più note ed emblematiche di Carl Orff per soli, coro e orchestra, i «Carmina Burana». Gli ultimi quattro appuntamenti saranno i meno «classici», ad iniziare dal 4 luglio all’Anfiteatro Romano, quando l’orchestra, diretta da Pasquale Corrado, incontrerà i Sud Sound System per una prima esecuzione assoluta appositamente commissionata dalla Fondazione Ico «Tito Schipa» con gli arrangiamenti di Accursio Cortese. Ed poi la grande attesa per i due appuntamenti (al Cortile dei Celestini) in collaborazione con la Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari. Sabato 12 luglio l’orchestra, diretta da Carlo Tenan e con ospiti d’eccezione Uri Caine al piano e Paolo Fresu alla tromba, eseguirà brani di George Gershwin (An American in Paris), George Gershwin / Gil Evans (Porgy and Bess per tromba e orchestra jazz), Ludwig van Beethoven / Uri Caine (Diabelli Variations per pianoforte e orchestra) Uri Caine / Paolo Fresu («I loves you Porgy» and other music). Sabato 19 luglio la grande chiusura con «Rava On The Road», con musiche di Enrico Rava e arrangiamenti di Paolo Silvestri, che nell’occasione salirà anche sul podio. Con la tromba di Rava ci saranno la chitarra di Roberto Cecchetto, il pianoforte di Giovanni Guidi, il contrabbasso di Stefano Senni e la batteria di Zeno De Rossi. La grande chiusura, infine, ai Celestini il 24 luglio, ancora con il Jazz e la musica sinfonica che dialogheranno nel concerto-evento «Jazz Bistrot». Tra i protagonisti, oltre al sassofonista salentino Raffaele Casarano e l’orchestra diretta da Alfonso Girardo, anche l’eclettico Erik Honoré. Un progetto «made in Salento» che coinvolge pure i musicisti Mirko Signorile (piano), Marco Bardoscia (contrabbasso), Cristiano Calcagnile (batteria) e Alessandro Monteduro (percussioni). Eraldo Martucci CONTRAPPUNTI pag. 9 / Giugno 2014 Nostalgico addio alla «Dueffe» all’ombra del conservatorio musicale Leo Morelli, guardando all’Arcadia Un sogno interrotto la sua pittura immersa nell’Olimpo «Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo sé stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne» (Andrea G. Pinketts, scrittore). Tranne quelle scritte di circostanza, che un artista «figurativo» le riceve, almeno qui dalle nostre parti, più nelle esequie che in vita... Ci sono «ricordi» che angustiano, ma che noi della nostra generazione in questa stagione dei commiati, dovremmo capacitarci ad affrontare come un «arrivederci». Noi che da sognatori, abbiamo una visione della vita forse un tantino più filosofica, richiamati da quella «conversione» spirituale che ci vuole liberi delle ombre e protesi verso la luce del sole. In un magma culturale che rimesta natura e sacralità, sogno e fantasia, umanità e realtà. Dura inesorabile realtà! Quei sentimenti che nell’amico Leo Morelli si erano amalgamati, artisticamente ed esistenzialmente, finché era approdato forse ad una vita meno aspra e ingenerosa, all’apparenza rassegnata, al vuoto della sua compagna. Ritrovando sé stesso in scelte espressive lungo il viaggio evolutivo intimo, alla ricerca dell’io profondo e consolatorio, con le evoluzioni di un briciolo di nipotina che gli gironzolava intorno. Inondandogli quel Leo Morelli, particolare di Elegia Mitologica (1991) suo cuore, che si è fermato d’improvviso il lunedì dell’Angelo, volando forse attraverso il «giardino» dell’Arcadia, le atmosfere bucoliche, il trionfo degli dei. ricco di fermenti giovanili, già all’Accademia di Roma a Perché le sue scelte espressive da tempo si erano immerse partire dal 1958, allievo di Pericle Fazzini, «lo scultore del in quell’Olimpo celeste e poetico, secondo gli schemi cari ad vento», per quel sommovimento di masse agitate (il «Cristo una certa letteratura secentesca romana e non solo, con alcune che risorge» nella Sala Nervi in Vaticano!). Una lezione che incursioni nel romanticismo francese. l’allievo immagazinerà, perché rientrando a Bari, in lui erano A pensare che qualche giorno prima (Giovedi Santo), por- preponderanti quel che gli artisti romani (Vespignani, Attardi, tando via amareggiati quei due nostri dipinti dal Torrione An- Calabria, Ferroni.... con i critici Micacchi, Del Guercio) – gioino di Bitonto, l’ultimo sguardo fu alle sue opere, lì sospese superate le esperienze neorealistiche – erano approdati alla di fronte, con una Venere solare e formosa che s’adagiava dis- «Nuova Figurazione». La fuga dalle campagne e le tute blu, tesa (che qui illustriamo), in una scena mitologica dai colori lo sdradicamento umano e il suburbio in degrado, i cimiteri vibranti; quasi per ricordare a noi stessi: dobbiamo avvertirlo di carcasse... Nel 1968/69 con altri quattro colleghi fonda «Il che venga a riprendersi i suoi, prima che si disperdano. Sareb- Fante di Fiori», che legherà le sue sorti a quei protagonisti. be l’ennesina jattura, uno sfregio insopportabile, come tutti Finché l’ideologia li dividerà, per scelte diverse che spaziergli artisti che reclamano la propria dignità dalle Istituzioni, anno attingendo all’ironia e alla dissacrazione del consumincredibilmente supponenti, affogate nel profitto.... di chie- ismo con quella pittura cosiddetta «oggettiva». Che si andrà a dere, depauperare e mai «riconoscere»! sfumare in certe contaminazioni «surrealistiche» con la scomUn percorso di esperienze molteplici e coerenti nella «figu- posizione dell’immagine e la ricostruzione caustica e grottesrazione», quello di Leo Morelli, artista valente e generoso; ca degli attori della scena contemporanea. Negli Anni ‘80 nei turbamenti esistenziali, rimemora le lezioni ai corsi di Nudo in Accademia e alle bellezze neoclassiche dei maestri epocali, rivisita i loro capolavori, allineandosi ai «citazionisti», la «Nuova Maniera». Il drammatico «Viaggio sulla zattera» di Théodore Géricault, sarà il punto focale, perché si aprisse al mondo de’ Gentili col Mito dei personaggi dell’Olimpo. MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE «POLTRONA AGGIUNTA» Intanto apre la «Dueffe», un caffèletterario e galleria d’incontri fra artisti, all’ombra del Conservatorio musicale. FRANCO CHIECO Mentre le sue opere si fanno più avvincenti, in un disegno direttore responsabile lieve a descrivere baccanali, ninfe semidei ed eroi, centauri Redazione: via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari - Tel. 080.5610992 e sileni, in masse e volumi plastici, forme e rotondità in una Una copia € 2,00 - Abbonamento annuo € 21,00 eleganza creativa di metafore e allegorie festanti, tormenti, Conto corrente postale n. 21682703 - Cod. Þsc. P. Iva 04699910727 Fotocomposizione La Matrice - Bari, Via Trevisani, 196/a - Tel. 080.5231546 inquietudini, misteri. Un «sogno» tramontato, interrotto; Stampa: Tipolito Mare - Bari, Via Torre dei Cani, 1 - Tel. 080.5341413 probabilmente visionario, per altri Eden, nell’abbraccio di un Registrazione Tribunale di Bari n. 1213 del 2-3-1995 Amore ritrovato, indissolubile, per l’eternità. Manlio Chieppa pag. 10 / Giugno 2014 Dalla prima pagina Sempre titoli rari anche di varie epoche, poi «la festa» tra momento scientifico, momento esecutivo e momento, per così dire, ricreativo. L’opera caselliana, datata 1932 e tratta da una fiaba teatrale di Carlo Gozzi, sarà diretta dal maestro Fabio Luisi, nato e cresciuto artisticamente al festival ed oggi star di riconosciuto prestigio internazionale. Lo spettacolo, coprodotto con la Fondazione Teatro Regio di Torino, sarà firmato dal regista Arturo Cirillo, Dario Gessati per le scene e Gianluca Falaschi per i costumi. Stesso collaudato team della rotiana Napoli milionaria del 2010. Secondo importante titolo operistico (in realtà una festa teatrale) l’Armida del bitontino Tommaso Traetta (27 luglio, Palazzo Ducale). Un omaggio ad un grande musicista nato in Puglia e tra i massimi esponenti della scuola napoletana. Si tratta ovviamente di una prima esecuzione in tempi moderni nella revisione critica commissionata alla musicologa leccese Luisa Cosi. Dopo il grande successo ottenuto nel 2010 con la Rodelinda di Haendel, ritornerà a drigere al festival, nel repertorio a lui più congeniale, il maestro Diego Fasolis. La regia sarà affidata alla francese Juliette Deschamps, le scene porteranno la firma di Nelson Willmotte e i costumi verranno realizzati da Vanessa Sannino. Nei due ruoli protagonistici canteranno Roberta Mameli, Marina Comparato e Simon Ewards, affiancati da alcuni giovani cantanti di indiscusso valore come Federica Carnevale, Mert Sungu e Leonardo Cortellazzi. Il restaurato Chiostro di San Domenico ospiterà (25 luglio) la prima esecuzione in tempi moderni del divertimento in un atto del vescovo-compositore di Castelfranco veneto Agostino Steffani: La lotta d’Ercole con Acheloo a cura dell’Accademia Belcanto «R. Celletti» e diretta dal maestro Antonio Greco. La regia sarà di Benedetto Sicca, apprezzato giovane regista di prosa al suo debutto nell’opera lirica. Innumerevoli le proposte collaterali, a partire dalla serata dedicata al Premio Celletti (19 luglio), che quest’anno verrà doverosamente assegnato a uno dei padri artistici del Festival: Alberto Zedda. Il tradizionale concerto sinfonico a Palazzo Ducale (29 luglio) sarà ancora una volta diretto da Omer Meir Wellber. Vi saranno poi i tre programmi di Concerto dell’Europa (22,23 e 24 luglio), frutto di una significativa collaborazione internazionale, che ha preso le forme di un progetto pluriennale europeo condiviso tra Italia, Svezia, Estonia e Gran Bretagna. CONTRAPPUNTI Completano il cartellone il consueto Concerto per lo Spirito in Basilica il 23 luglio, altri due concerti del ciclo «Novecento e oltre». Ai musicisti dell’Orchestra Internazionale d’Italia si affiancheranno per alcuni concerti quelli della ICO «Magna Grecia» di Taranto che suoneranno anche nell’opera per ragazzi di Britten. Nell’edizione 2014 collaboreranno il Coro della Filarmonica di Stato «Transilvania» di Cluj-Napoca diretto da Cornel Groza e nove danzatori/performers di Fattoria Vittadini. Il cartellone dei quarant’anni si chiuderà con un autentico evento: un omaggio alla storia e ai protagonisti del Valle d’Itria, una festa musicale affidata al talento del coreografo e regista Nikos Lagousakos. Una vera e propria fantasmagoria di immagini, musica, coreografia e canto, che ripercorrerà i quattro decenni del festival. Molti e suggestivi effetti visuali e scenici esalteranno le forme e lo spirito del Palazzo Ducale, con la tecnica del videomapping affidata all’estro immaginifico del videoartist Matthias Schnabel. Una carrellata di immagini, dal bianco e nero dei primi anni a quelle dei bozzetti e figurini storici, di manifesti e fotografie fino ai più recenti spettacoli, racconterà il festival con la materia stessa di cui è pervasa la sua storia: volti, scenografie, emozioni. Sei performers si esibiranno in assoli, passi a due e pezzi d’assieme. Anghela Alò curerà l’originale e articolata drammaturgia della serata che accompagnerà il pubblico nell’immersione di una performance multimediale: un ideale percorso musicale di omaggio alla storia del Festival. Dino Foresio Dalla settima pagina Conversano rievoca l’antico artigianato dell’Archivio Diocesano. I volumi sono stati illustrati magistralmente dal dott. Antonio Fanizzi, che ha sviluppato il tema: «Le carte di Conversano: un percorso storico». Si tratta di un lavoro molto interessante da cui emergono pagine finora sconosciute della storia antica della città, estratte con perizia dalle ricercatrici ed autrici del vol.17, Rosaria Colaleo e Mariarosaria Lippolis, dalle pergamene del «Fondo Conversano», che datano dal 901 al 1266, provenienti dal monastero di S. Benedetto e conservate presso l’Archivio Diocesano; mentre il vol. n.18, scritto dalle stesse ricercatrici insieme alla collega Aurora Martino, approfondendo «le carte degli Acquaviva d’Aragona, conti di Conversano e duchi di Nardò negli archivi spagnoli» (di Barcellona, Simancas e Madrid), costituisce un ulteriore contributo al decisivo recupero della memoria sommersa della città nel periodo degli Acquaviva d’Aragona fra i secoli XVI-XVIII. La stessa sala-forum dell’Archivio Diocesano ha ospitato la serata dedicata alla presentazione della mostra «Moda Arte nell’abbigliamento tra ‘800 e ‘900», che – come è stato rilevato dall’ideatrice ed organizzatrice, la prof. Fulvia Fiorino Dotoli (di origine martinese e ormai conversanese d’adozione), e dalla relatrice ufficiale prof. Patrizia Calefato – «riscopre la storia del nostro passato, narrandola nei dettagli con l’ago e il filo, con l’intento di proporre e valorizzare i mestieri e le arti del nostro territorio barese e regionale. Soprattutto per dare la spinta giusta alla ripresa dell’Artigianato, cui devono guardare i giovani, oggi più che mai, per dare sfogo alla loro creatività». Infatti, sono oltre trecento i «pezzi» della mostra inaugurata subito dopo ed allestita nelle sale a piano terra del Palazzo Vescovile in piazza Conciliazione, messe a disposizione degli organizzatori dal Vescovo mons. Padovano, e che hanno suscitato tanto apprezzamento nei numerosi visitatori. Molto ammirati sono i capi ricamati, i vestiti luccicanti di lustrini, paillettes e monili vari, gli abiti da sposa del primo novecento, gli abiti lunghi da sera di velluto e di seta dalle linee fluide, tempestati di coralli, il tabarro e, particolarmente, la «mantilla» bianca della festa e quella della Settimana Santa e tanti altri elementi (ventagli, scialli, borsette e perfino scarpe e bottoni d’epoca) di alto artigianato. Che si inseriscono nello stile Liberty con decorazioni di fiori e farfalle e figure femminili del periodo de l’Art Nouveau, in un’atmosfera di eleganza e di colori, tanto da far profferire al sindaco Lovascio: «L’arte della moda ci veste di gioia e ci invita all’ottimismo»; e a mons. Padovano:» Questa mostra merita tanta attenzione! Contiene uno scrigno di storia, di arte, di buon gusto estetico che fa onore soprattutto al genio femminile». La mostra, allestita insieme alla prof. Fulvia Fiorino Dotoli dalla specialista Mara Trione, titolare dell’atelier Nebraska di Bari, con la collaborazione dell’Associazione culturale «L. Sturzo» di Conversano e di un gruppo di signore di Bari, rimarrà aperta al pubblico, la mattina dalle 10 alle 12,30 e il pomeriggio dalle 18 alle 20, fino alla prima settimana di giugno, allorché si spera, tempo permettendo, di allestire la festosa e gustosa edizione 2014 della «Sagra della ciliegia ferrovia». Domenico Roscino CONTRAPPUNTI DISCHI pag. 11 / Giugno 2014 Rivediamo il capolavoro di Richard Strauss in una storica edizione andata in scena a Salisburgo nel 1965 Una deliziosa Arianna a Nasso Karl Böhm arteÞce di una esecuzione che esalta lo splendore della partitura. Una lezione è la regia di Günther Rennert: non servono artiÞci per assecondare le trame del teatro nel teatro Tante grazie alle tecnologie se oggi possiamo ammirare, mento insiste nel mescolare i due generi. Nell’isola di Nasso, merito di un dvd, una «Arianna a Nasso» di straordinaria Arianna è afflitta per essere stata abbandonata da Teseo, ma bellezza andata in scena a Salisburgo nell’agosto del 1965 corrono a consolarla la piccante, spiritosa Zerbinetta e quattro avallata dalla autorevole direzione musicale di Karl Böhm e Maschere, finché non sbarca una divinità (Bacco) a eleggerla dalla storica regia di Günther Rennert. È un capolavoro in- sua sposa. Prevale, dunque, lo spirito romantico ed ecco lo comparabile, questa singolare opera di Richard Strauss che stupendo monologo di Arianna e l’ardente duetto finale della sfida il tempo anche per l’originalità della stessa con Bacco. concezione teatrale, un prologo di una quaAvvincente l’esecuzione che vede prorantina di minuti e un atto di altri 80 minuti. tagonista la formazione cameristica della Un’opera che forse è il frutto più delizioso Filarmonica di Vienna: è il campo giusto del sodalizio intellettuale del musicista baperché Karl Böhm possa sfoggiare tutta la varese con Hugo von Hofmannsthal, basato sua sensibilità nell’esaltare lo splendore delsu una vicenda paradossale che fa convivere la partitura. Di straordinario livello le voci. il serio e il comico mediante un geniale gioHildegard Hillebrecht, cantante di innegaco di incastri che si richiama alla veneziana bile musicalità, è una Arianna di affasciCommedia dell’Arte. Situazioni che si acnante intensità espressiva. Reri Grist, voce cavallano e si rincorrono: lo spirito romanlimpida e tecnica spericolata, «esplode» Richard Strauss tico che domina nelle fasi auliche e ci rivela nella famosa travolgente aria di coloratura tutto lo spessore della dottrina straussiana, la vivacità, la fre- di Zerbinetta. Bravissima anche Sena Jurinac nel rendere la schezza che percorre con eleganza le intromissioni burlesche. vibrante malinconia del Compositore, così come Jess Thomas Questa la trama. Nel palazzo del «più gran signore di Vien- delinea con ardore appassionato il duplice ruolo del Tenore na» fervono le prove di uno spettacolo per il dopo banchetto, (nel prologo) e di Bacco. Sono le immagini in bianco e nero quando un maggiordomo annuncia che il padrone di casa, per a ricordarci che lo spettacolo è «datato» (sta per compiere non ritardare i fuochi d’artificio, vuol dimezzare i tempi per mezzo secolo!). Ma proprio per questo reca tutto il fascino, cui l’opera seria dovrà essere eseguita contemporaneamente il gusto di una concezione del teatro irrinunciabile. Günther al balletto. Un ultimatum mortificante che getta nella coster- Rennert resta un grande maestro, e ce lo dimostra con le armi nazione il giovane Compositore. Così il Prologo compie un della semplicità se vogliamo più disarmante. Non servono arsalto indietro, fino al Settecento: agli intermezzi buffi che si tifici per assecondare le trame del teatro nel teatro. (Un dvd eseguivano fra un atto e l’altro delle opere serie. Ma quando TDK DV-CLOPAAN). Franco Chieco si passa alla seconda parte, denominata «L’Opera», il procediDalla quinta pagina Schubert, viaggio d’inverno ruota della vita volontario calcava i campi di battaglia delle guerre antinapoleoniche per poi dedicarsi, deluso nelle aspirazioni di libertà dal pesante clima politico della Restaurazione, alla guerra di indipendenza del popolo greco contro il dominio turco, guerra sentita e cantata nei più accesi Griechenlieder, che valsero al poeta il soprannome di Griechen-Müller. Poeta soldato, dunque, la cui impronta nella letteratura tedesca sarà lasciata, però, dalla morbida cantabilità lirica della vicenda dell’infelice mugnaio e dell’eterno viandante delle lande innevate, raccolte da Franz Schubert (1797-1828) rispettivamente per i cicli liederistici Die schöne Müllerin [La bella mugnaia, 1823] e Die Winterreise [Il viaggio d’inverno, 1827]. Composto pochi mesi prima della morte, Il viaggio d’inverno è un ciclo di 24 Lieder per canto e pianoforte, un poetico viaggio immaginario del deluso che va senza meta, un percorso allegorico che conclude una vita di dolore e disillusione nella landa desolata di un’epoca che nel gelo politico, nella glaciazione di anime e di cuori, ha raffreddato perfino gli ideali. Così anche il Wanderer Schubert va, deluso e sospinto dal vento dell’inverno che gli congela le lacrime, dal dolore che, spezzando gli ultimi ricordi, gli congela l’anima, dall’inerzia del suo stesso corpo privo di sensi, di sentimenti e di sogni, che lo conduce su strade deserte tra stridule grida di cornacchie e latrati di cani selvatici. Avrebbe forse preferito il fragore vivo della tempesta, ma la natura gli concederà solo una foglia caduca, un’ultima speranza svanita. E mentre brandelli di nuvole riflettono l’antica lotta del suo cuore, egli continua a vagare solo e senza un dio, ad attraversare strade, rupi e passaggi nascosti, ovunque emarginato, respinto, rifiutato perfino da un freddo cimitero, dove già verdi ghirlande invitano al riposo. Ma, in fondo alla via, un compagno lo attende: è Der Leiermann, l’uomo con l’organetto, un Orfeo straccione che, scalzo sul ghiaccio, barcollando gira la manovella. Nessuno lo ascolta, nessuno lo guarda, i cani gli ringhiano intorno ma lui lascia che tutto vada come vuole, che tutto sia come deve, e nella totale indifferenza continua a girare la manovella di un organetto che non avrà riposo. Il poeta non lo evita, il musicista non rifugge: «Oh, meraviglioso vecchio strampalato! e se venissi con te? Suoneresti i miei canti sul tuo organetto?». Su quella nenia infinita gira la ruota della vita, il tempo del passato e del futuro, cristallizzato sull’ostinato melodico, sulle terze minori della melodia del pianoforte, sul malinconico declamato discendente del canto, su una nota finale che non conclude e che rimanda alla “parabola senza fuoco” del viandante straniero ed estraniato, che però ha preso coscienza che ogni ricerca di un «senso centrale» o di un «principio fondante» risulta vana. Ultima struggente confessione di un musicista la cui agonia può avere fine solo nella follia. Alessandro Cazzato pag. 12 / Giugno 2014 CONTRAPPUNTI Programmi dal classicismo al novecento, concerti per le scuole La Primavera dei Solisti Dauni E in autunno la classica rassegna dei Teatri Possibili Con la «Primavera Musicale» i Solisti dauni hanno realizzato nei mesi di marzo e aprile scorsi la prima parte della loro 42a Stagione concertistica. Dodici le manifestazioni, tenute presso il Teatro del Fuoco, l’Aula Magna del Liceo Polivalente Poerio e il Salone Regio del Palazzo Dogana di Foggia, dedicate ad alcune fra le composizioni cameristiche più celebri dal Classicismo al Novecento, di cui otto in esclusiva per gli studenti, nel rispetto dei protocolli d’intesa con importanti Istituti scolastici di Foggia. Il primo programma ha proposto il Quartetto in Si bem magg. K 458 di W.A.Mozart e il Quartetto n. 1 in Sol magg. Hob III, n. 75 di F.J. Haydn per 2 violini, viola e violoncello, con i Solisti Saveria Mastromatteo e Laura Aprile (vio- lini), Pasquale Lepore (viola) e Nicola Fiorino (violoncello) e con la presentazione di Michela Tanzi. Il secondo programma ha visto l’esecuzione del Trio n. 2 in Mi bem magg. Op. 70 di L. van Beethoven e il Trio in re min op. 63 di R. Schumann, per violino, violoncello e pianoforte, con i Solisti Francesco D’Orazio (violino), Nicola Fiorino (violoncello) e Gianpaolo Nuti (pianoforte), e con la presentazione di Francesco Mastromatteo. Il terzo programma ha proposto l’interpretazione del Trio n. 1 in Si bem Magg D 898 di F. Schubert e del Trio n. 2 in Do magg. Op. 87 di J. Brahms, per violino (Anna Pugliese), violoncello (Nicola Fiorino) e pianoforte (Domenico Monaco), con la presentazione di Giulio D’Angelo. La Primavera Musicale si è conclusa con l’interpretazione dei Contrasts per violino, clarinetto e pianoforte di B. Bartòk la Suite italienne per violino e pianoforte e la Suite dall’Histoire du Soldat per violino, clarinetto e pianoforte di I. Strawinski. Per l’occasione si sono esibiti i Solisti: Federico Guglielmo (violino), Vincenzo Conteduca (clarinetto), Nunzio Aprile (pianoforte), con la presentazione di Agostino Ruscillo. Nel corso della manifestazione conclusiva si è tenuta la cerimonia del Premio Teatri Possibili, sponsorizzata dal Rotary Club Umberto Giordano di Foggia: il presidente dei Solisti dauni, Gianni Buccarella e il direttore artistico Domenico Losavio, insieme al presidente del Rotary Giordano, Pasquale Vaira, hanno premiato i tre giovanissimi vincitori: Cecilia Caccavo, 3a G Scuola Media Bovio (1° Premio Scuole Medie Inferiori), Viola Teresa – 2a P Liceo Polivalente Poerio e Valentina Capparella, 2a B Liceo Classico Lanza (1° Premio exaequo Scuole Medie Superiori). Ancora una volta le sinergie con il territorio si sono concretizzate con Enti patrocinanti, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con scuole di diverso ordine e grado di Foggia e provincia. Il Progetto Musica 2014 dei Solisti dauni proseguirà nel prossimo autunno (ottobre e novembre) con le manifestazioni in prima esecuzione della Rassegna Teatri Possibili. Il primo appuntamento (23 ottobre) prevede la realizzazione dello spettacolo «Chaplin. La storia di un vagabondo», con musiche originali di Mario Rucci e testi di Francesco Nikzad, con l’attore Giuseppe Rascio, la regia di Roberto Galano e I Solisti dauni diretti da Domenico Losavio. Seguirà il 30 ottobre lo spettacolo Soirèe Satie, di e con Giulio D’Angelo, con testi e musiche di Erik Satie, il soprano karina Oganian e l’ensemble i Solisti dauni diretto da Domenico Losavio. Su testi tratti dai racconti di G. B. Basile sarà realizzato lo spettacolo «Tre favole da Lo cunto de li cunti: La gallenella, Lo polece, Zezzola», voce narrante di Paolo Panaro e i Solisti dauni diretti da Domenico Losavio. La rassegna si concluderà il 13 novembre con lo spettacolo dal titolo Sancio, su testo di Miguel de Cervantes riadattato da Leonardo Losavio, con musiche originali di Mario Rucci, con gli attori Roberto Galano e Leonardo Losavio e I Solisti dauni diretti da Domenico Losavio. La scenografia degli spettacoli è affidata a Nicola delli Carri, le luci a Vania Taronna.