Campidoglio, niente scioglimento per mafiama solo ispettori che controlleranno delibere e appalti. Il sindaco Marino sta sereno, i romani un po’meno
Mercoledì 10 dicembre 2014 – Anno 6 – n° 340
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
“CARMINATI SOCIO DELLA COOP
E VI RACCONTO LA CENA CON RENZI”
Il braccio destro di Buzzi rivela al Fatto: “L’ex Nar era iscritto alla 29 Giugno. Con
i soldi della struttura abbiamo versato 10 mila euro alla kermesse del premier all’Eur.
Salvatore girava tra i tavoli e festeggiava con i politici vip”
Massari » pag. 2
SACRI PALAZZI
E il figlio
di Diotallevi
cercava lavoro
(e affari)
in Vaticano
Vecchi » pag. 5
Coop: la banca parallela
(che nessuno vuol vedere)
comincia a scricchiolare
Sopra,
S. Buzzi.
A destra,
C. Bolla
ALLEANZE A DESTRA
ODEVAINE (PD)
I camerati di Mokbel
e quel pacchetto
di 10 mila voti “offerti”
ad Abrignani (Pdl)
L’ex uomo di Veltroni
pretendeva mazzette
sulle forniture di caffè
per il centro rifugiati
Di Cesare » pag. 4
Raccolgono risparmio,
ci sono perfino bancomat
nei supermercati, all’insaputa
di Bankitalia. E in Friuli due
società sono saltate
mandando in fumo risparmi
per 130 milioni
Meletti » pag. 11 - 14
Lillo » pag. 6
» EUROPA » Presidenziali anticipate ad Atene: -12,8% in Borsa
Ricrolla la Grecia,
la Troika ha fallito
L’emergenza ellenica torna
a minacciare la zona euro:
il Parlamento non ha i numeri
per scegliere il presidente
della Repubblica. Scontate
le elezioni anticipate: ora
i mercati temono la vittoria
di Tsipras, contrario
all’austerità. La conseguenza
sarà che il trio dei creditori
resterà fino a primavera
per vigilare Palombi » pag. 8
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!$!=!z
IL SENATO USA
I DECRETI FRA TRE MESI
Jobs Act:
grazie al Pd,
più licenzi
più guadagni
Cannavò » pag. 7
Udi Salviamo la Costituzione
IL DELITTO DI RAGUSA
“Così ha ucciso Loris”
Ma la mamma non crolla
NUOVO SENATO
E ITALICUM
VIOLANO
LA CARTA
La donna: “Non sono stata
io”. Ma i pm: “La sua versione
non concorda con gli
spostamenti ripresi dalle
videocamere”. La nonna
e la zia: “Veronica alienata,
il bambino non c’è più”
Lo Bianco » pag. 10
“Cia, torture brutali
183 waterboarding
su un unico detenuto”
Il dossier sul post 11 settembre: di 119
persone, 26 prese per sbaglio. Obama:
“America tradita”
Vitaliano » pag. 17
LA CATTIVERIA
» pag. 22
Salvini: “A Roma ci vorrebbe un sindaco
della Lega”. Così, tanto per infierire
» www.forum.spinoza.it
Battere il Renzi finché è caldo
di Marco Travaglio
ercoledì, a una mia domanda a Bersaglio MoM
bile su La7, Renzi ha risposto che contro la
corruzione non occorrono nuove leggi. Ieri ha an-
nunciato una nuova legge contro la corruzione.
Non mi illudo che mi abbia dato retta: molto più
probabilmente ha fiutato, da quel notevole annusatore che è, l’aria che tira e ha capito che sventolare il bel nome di Raffaele Cantone e mandare
in giro il commissario Orfini non basta a frenare
l’ondata di discredito che tracima dalle carte di
Mafia Capitale. La paura fa 90. Sia come sia, è una
buona notizia il fatto che abbia cambiato idea.
Anche se, per diventare un fatto, l’annuncio deve
tradursi in un disegno di legge e, soprattutto, il
disegno di legge deve passare al vaglio del Consiglio dei ministri poi della Camera poi del Senato,
dove gli allergici agli inasprimenti di pena per i
colletti bianchi sono legione. Molto meglio sarebbe stato ricorrere a un decreto, i cui requisiti di
necessità e urgenza non c’è nemmeno bisogno di
spiegare: basta leggere i giornali. Oltretutto, in base al “favor rei”, le norme più severe in materia
penale valgono solo per il futuro (cioè per le corruzioni di domani, non per quelle di oggi e di ieri):
dunque un decreto non lederebbe alcuna garanzia. Ma bisogna accontentarsi. Pare che Renzi sia
rimasto molto colpito dal caso di Giancarlo Galan, tuttora incredibilmente presidente della
commissione Cultura della Camera, che dopo
quasi tre mesi al fresco ha ottenuto di patteggiare
2 anni e 10 mesi di carcere (finto: a parte la custodia cautelare già scontata, andrà ai servizi sociali) e di restituire 2,6 milioni (una parte delle
tangenti contestate dai pm). Dunque ha annunciato l’aumento della pena minima per la corruzione, dagli attuali 4 anni a 6. E alcune modifiche
della prescrizione (per allungarla) e della confisca
dei beni per chi ha rubato (per obbligare il condannato a “restituire il maltolto fino all’ultimo
centesimo”). Domani, quando il testo uscirà dal
Consiglio dei ministri e passerà dalla tradizione
orale a quella scritta, ne sapremo di più.
Al momento si può dire che l’aumento del minimo della pena non incide sulla prescrizione
(che si calcola sul massimo). Però può essere utile
per impedire i patteggiamenti al ribasso: oggi la
media delle pene patteggiate in Italia per corruzione è inferiore ai 2 anni e non solo consente al
condannato di scansare la galera, ma anche di andare o restare in Parlamento (la Severino, guardacaso, salva da decadenza e ineleggibilità i pregiudicati fino a 2 anni). È vero però che non basta
alzare il minimo di pena da 2 a 4 anni per garantire
la galera a chi patteggia: sia perché il gioco delle
attenuanti può portare a condanne inferiori ai 4
anni, sia perché le continue leggi svuotacarceri
(quattro dal 2010 a oggi, una per governo: da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi) hanno portato a 4
anni la pena totale o residua che si può scontare ai
servizi sociali anziché in galera. Quanto alla confisca dei beni del corrotto, è già prevista dalla legge
attuale, anche “per equivalente”: cioè, una volta
dimostrato che Tizio ha incassato una mazzetta di
tot milioni, gli si possono confiscare beni di pari
entità, anche non in denaro. Quello che manca è
l’estensione ai corrotti delle regole vigenti per i
mafiosi: la confisca dei beni di cui il titolare non
riesce a dimostrare la legittima provenienza, anche se intestati ad altri, invertendo l’onere della
prova (non è il giudice a dover dimostrare che li
hai rubati: sei tu che devi provare di averli guadagnati lecitamente). Se è questa l’intenzione di
Renzi, è un altro passo in avanti. A questo punto,
però, perché non riprendere l’idea lanciata nel '93
dal pool Mani Pulite a Cernobbio? Semplificava
l’infinita gamma di reati dei pubblici ufficiali infedeli, che costringe pm e giudici a fare i salti mortali per distinguere fra corruzione, concussione,
traffico d’influenze e altre fattispecie. Come?
Creando un unico reato, punito col carcere da 4 a
12 anni (come la vecchia concussione), per qualunque pubblico ufficiale accetti soldi da un privato, senza sindacare la causale del versamento.
Siccome il ferro va battuto finché è caldo, la buttiamo lì: vedi mai che lassù qualcuno ci ascolti.
2
Z
ingaretti: “Gara
da 60 milioni
bloccata dal Lazio”
Claudio Bolla
di Antonio
I
ROMANZO CRIMINALE
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
Massari
l tavolo alla cena di
Matteo Renzi è costato
10 mila euro, ha pagato tutto la cooperativa
e, tra i soci della nostra cooperativa, la 29 giugno, c’è anche Massimo Carminati”. A
parlare è Claudio Bolla, braccio destro di Salvatore Buzzi,
l’uomo delle cooperative rosse in affari con Massimo Carminati, il capo di Mafia Capitale. Bolla – che non è indagato – era al tavolo dell’ormai famosa cena di finanziamento per Matteo Renzi,
quella del 7 novembre, e con
lui c’erano anche Buzzi e Carlo Maria Guarany, entrambi
arrestati nell’inchiesta romana con l’accusa di associazione mafiosa.
Bolla, al tavolo eravate in cinque, oltre agli arrestati Buzzi
e Guarany, chi erano gli altri
due?
Sono due soci della cooperativa, persone senza alcuna carica, non vi dico il nome perché non mi va di metterli in
questo tritacarne senza motivo.
Due soci della cooperativa,
senza alcuna carica, che hanno pagato mille euro a testa
per finanziare Renzi?
Ma no, non hanno pagato un
centesimo, Buzzi mi ha detto
che ha sborsato tutto la cooperativa.
L’ha chiesto lei di partecipare
alla cena?
Io? Ma se non ci volevo neanche andare... è Buzzi che un
giorno mi chiama, mi dice:
“Abbiamo preso un tavolo alla cena del Pd, c’è Renzi, ti va
di venire?”. La verità è che
non ci voleva andare nessuno, era in difficoltà a trovare
gente disponibile, così l’ha
chiesto a me e agli atri due,
perché, pensando che in quel
contesto ti trovi a parlare con
imprenditori e amministratori locali, voleva qualcuno in
grado di spiccicare due parole in italiano...
Così lei ha stretto la mano a
Renzi.
Ma quando mai? Renzi era
inavvicinabile.
Avete soltanto mangiato?
Abbiamo mangiato poco e
male.
E quanto è costata la cena?
Presumo 10 mila euro, poi
non so se Buzzi ha millantato
d’aver pagato, e invece non
ha pagato niente...
Almeno Buzzi avrà stretto
buoni rapporti, quella sera,
Renzi l’avrà incrociato.
Salvatore non se l’è filato nessuno...
Ma insomma: che ci siete andati a fare?
Gravitando
intorno
a
quell’area politica, visto che
non esiste più il finanziamento pubblico, la cooperativa s’è
sentita in dovere di intervenire in favore del partito... ma
si va lì per cercare contatti,
relazioni, mica per la politica.
LE MANI di Mafia Capitale non hanno toccato gli appalti della Regione Lazio: nessuna delle 18 gare organizzate dalla Centrale unica degli acquisti da maggio 2013,
una partita da ben 3 miliardi di euro, è stata
aggiudicata a una delle società coinvolte
nell’inchiesta “Mondo di mezzo”. Bloccata
in itinere anche la gara più preoccupante,
il Fatto Quotidiano
quella da 60 milioni sul Centro unico prenotazioni delle Asl, quella cioè su cui il presunto sodalizio criminale agli ordini di
Massimo Carminati stando agli investigatori aveva messo gli occhi: per precauzione sarà pubblicato un nuovo bando. È l’esito dell’indagine interna disposta dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti.
Il vice di Buzzi
“Alla cena del Pd
per selfie e relazioni
Er Cecato socio”
Salvatore e Guarany andavano di tavolo in tavolo a cercare d’intavolare rapporti, ci
sono un bel po’ di selfie...
Per partecipare era necessario l’invito di un politico: chi
vi ha invitati?
Salvatore s’è auto-invitato.
Non ha bisogno d’essere invitato. Per una cooperativa
come la nostra, 10 mila euro,
cosa vuole che siano? Non è
bello se non ci andiamo, visto
che è in corso il finanziamento del partito e non c’è più il
finanziamento pubblico.
Carminati lo incontrava spesso in cooperativa?
Ho iniziato a incontrarlo alla
fine del 2012 e le assicuro che
non mi ha sorpreso per niente: la nostra cooperativa, che
ha avuto al suo interno tante
persone che hanno commesso reati gravi, è nata apposta
per contribuire al loro reinserimento. A noi non interessa cosa abbia fatto in passato:
è lo spirito della cooperativa.
E lui mi ha risposto: “È un
socio lavoratore”.
Quindi Carminati, il camerata
dei Nar, è socio della cooperativa rossa.
Sì, ma i soci non sono tutti
allo stesso livello. C’è il consiglio d’amministrazione, la
presidenza, insomma c’è una
scala gerarchica: Massimo
era uno dei soci, non uno dei
dirigenti, non prendevo ordini da Carminati.
Con chi aveva rapporti, in
cooperativa, il socio Carminati?
Con Buzzi e Guarany. Parlava soprattutto con i dirigenti, ma la sua presenza era
sporadica, solo negli ultimi
tempi era più presente. Ha
segnalato dei fornitori.
Che tipo di fornitori e perché?
Posti da affittare nel settore
Qualche domanda a Buzzi, su
Carminati, l’ha fatta?
Certo. E non soltanto io. E
alle nostre domande Buzzi ha
risposto: “È un lavoratore
della cooperativa”.
Che significa un “lavoratore
della cooperativa”?
Un socio.
Un socio?
Ho chiesto a Buzzi: “Carminati in che ruolo viene qui?”.
LA SERATA
ALL’EUR
In realtà abbiamo
mangiato poco e male.
Il capo ha detto di aver
pagato 10 mila euro con
i soldi della cooperativa.
Il premier era
inavvicinabile
dell’accoglienza, case, palazzi. Carminati ha segnalato a
Buzzi degli amici, dei piccoli
costruttori, quindi anche a
me, ma di tutti i posti che ha
segnalato, che sono due o tre,
nessuno andava bene: in un
caso si trattava di un albergo
all’Ostiense mentre le altre
due strutture erano fuori Roma, ma li ho scartati.
Ma Carminati era un socio
vero o fittizio secondo lei?
Penso che sia
stato un socio
vero.
Ha letto il suo
nome sull’elenco
dei soci?
Io l’elenco dei
soci non l’ho mai
visto.
Mai visto?
Pensi che l’abbiamo cercato
per quattro giorni, da quando ci
sono stati gli arresti, e l’abbiamo
trovato soltanto
oggi: sono tre
faldoni di nomi
che abbiamo appena consegnato al nuovo
consiglio di amministrazione.
E il nome di Carminati c’è?
Voglio verificarlo anche io.
Voglio capire fino a che punto Buzzi può averci raccontato balle.
29 GIUGNO Il braccio destro di Salvatore Buzzi, Claudio Bolla, intervistato da “Piazzapulita” su La7 e poi dal “Fatto Quotidiano”, ha raccontato la partecipazione alla cena di finanziamento
del Partito democratico all’Eur, quartiere di Roma. Secondo il suo
racconto, Buzzi avrebbe detto di aver pagato 10 mila euro con i soldi della cooperativa. Inoltre, Buzzi avrebbe anche affermato che Er
Cecato Carminati, capo di Mafia Capitale, sarebbe socio della cooperativa 29 giugno. Sopra, il premier Matteo Renzi Ansa, LaPresse
SEMPRE A GALLA
Carminati, Re di Roma e dell’indulto
di Valeria Pacelli
n 56 anni di vita, Massimo
I
Carminati, adesso in carcere
con l’accusa di essere a capo di
quella che è stata denominato
Mafia Capitale, ha avuto la fortuna di beneficiare di ben tre
indulti. Come si scopre scorrendo le cinque pagine di casellario giudiziale che raccontano
i guai con la giustizia – dai quali
è sempre uscito indenne –
dell’ultimo Re di Roma e che affondano le radici negli anni
80.
È INFATTI il 1979 quando par-
tecipa alla rapina alla filiale romana della Chase Manhattan
Bank. Durante una conversazione finita nei nastri della Procura di Roma nell’ambito
dell’indagine “Mondo di Mezzo”, Carminati descrive così
quell’episodio: “Il giorno dopo
la Chase Manhattan Bank siamo andati lì… gli ho fatto compra’ il 323 (una Bmw, ndr) pure a
lui… c’aveva una baracca gli ho
detto… ’annamose a compra’ il
323’… ancora me lo ricordo. 11
milioni… calcola pigliavamo
stecche da 50-60 milioni… ti facevi una macchina che adesso
varrà 40-50.000 euro … con 50
milioni m’ero comprato casa…
la prima casa che mi sono comprato… con una stecca”. Eccolo, l’ultimo Re di Roma che parla di sé e di quello che è stato il
passato. Per quella rapina messa a segno assieme a esponenti
di Avanguardia nazionale e dei
TRE VOLTE
Condannato solo
per rapine, mai per reati
di terrorismo legati
ai Nar, ha beneficiato
a ripetizione
di misure di clemenza
Nar, come Valerio Fioravanti,
la sentenza definitiva arriva ad
aprile 1987 con una condanna a
3 anni e 6 mesi di reclusione e
l’interdizione dai pubblici uffici
per 5 anni. Tutto cancellato
dall’indulto del 1986. E non solo. Perché sulla stessa sentenza
poi arriverà anche un secondo
indulto, quello del 1990, anno
in cui Francesco Cossiga era al
Quirinale e Giulio Andreotti a
Palazzo Chigi. Alla fine su questa condanna emessa dal Tribunale di Roma nel 1992 interviene anche la liberazione anticipata prevista dall’ordinamento
penitenziario (7 mesi e 15 giorni con la buona condotta). L’indulto del governo Andreotti
cancella anche una seconda pena a un anno e mezzo di reclusione inflitta a Carminati dalla
Cassazione nel 1991 per i reati
di rapina, detenzione e porto illegale di armi per fatti che risalgono al 30 luglio 1980. Condonata anche una terza pena inflitta stavolta nel 1988 per un
reato di ricettazione commesso
il 20 aprile del 1981, un giorno
che segnerà per sempre la vita di
Carminati.
STAVA SCAPPANDO verso la
Svizzera con due avanguardisti
quando in provincia di Varese
la polizia, convinta che con loro
si trovassero i capi dei Nar, apre
il fuoco. Carminati viene ferito
ad un occhio e ne perderà l’uso
per sempre. Da qui i soprannomi “Er Cecato” e “Er Pirata”.
Passano pochi anni e la sua storia s’incrocia di nuovo con il tribunale di Roma. Nel 2000 viene
condannato a sei anni e 1 mese
di reclusione per associazione a
delinquere, detenzione e porto
illegale di armi, ricettazione
continuata in concorso. È questo il processo alla Banda della
Magliana con i suoi 69 appartenenti. Il pm Andrea De Gasperis chiede, per Carminati,
una pena pari a 25 anni di carcere. Ma alla fine è stato condannato a 10 anni di reclusione
in primo grado ridotti a 6 anni e
6 mesi in appello. A causa
dell’accumulo delle condanne,
gli anni di reclusione poi diventano 11 e 9 mesi, scontati in parte per poi passare alla libertà vigilata, finché nel 2006 il magistrato di sorveglianza non ne ha
disposto la revoca. Certo, al di là
degli indulti, gli sarebbe andata
diversamente se fosse stato condannato per banda armata nel
processo ai Nar, dove invece è
stato assolto. Come per l’omicidio Pecorelli e il depistaggio
relativo alla strage di Bologna.
Passano gli anni e Carminati
viene accusato di essere la mente dell’organizzazione del furto
del caveau. Con altre 23 persone
avrebbe aperto 147 cassette di
sicurezza di “proprietà” di dipendenti del Palazzo di giustizia romano, portando a casa un
bottino di oltre 50 miliardi di lire in oro e gioielli, oltre a diversi
documenti riservati appartenenti a giudici. Ad aprile del
2008 viene condannato dal tri-
ROMANZO CRIMINALEMERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
L’ULTIMO SONDAGGIO
LA LEGA TALLONA FORZA ITALIA
L’inchiesta Mafia Capitale influenza anche
i sondaggi. Secondo i dati dell’Istituto Ipr
Marketing, in uno studio per conto del
Tg3, per tre italiani su quattro (72%) la vicenda romana colpisce allo stesso modo
sia la destra sia la sinistra. Perde fiducia il
premier Renzi, al 47%, che si attesta per
la prima volta sotto il 50%. Ripercussioni
anche sulla fiducia dell’esecutivo che perdendo due punti percentuali scende al
31%. Sulle intenzioni di voto, il Pd in un
mese passa dal 40,5% al 38%. Salgono
invece le prospettive per la Lega, data al
12,5%, con un miglioramento del 3 per
3
cento. Nelle intenzioni di voto scende anche il M5s che accusa una flessione
dell’1,5%, scendendo al 16%. A influire in
questo caso le contestazioni della linea
ufficiale del movimento da parte di attivisti ed elettori. Stabile invece Forza Italia
al 14%, ormai tallonata dalla Lega. Buone
notizie anche per Sel che sale al 4%.
Il partito: “C’è la privacy
Non si possono fare nomi”
SOLTANTO UNA SETTIMANA PRIMA IN TV RENZI DICEVA: “I PARTECIPANTI
SARANNO REGISTRATI E RESI PUBBLICI”. SENZA LIBERATORIE ADDIO TRASPARENZA
di Wanda Marra
I
nomi dei partecipanti alle cene di finanziamento
del Pd sono pubblici e registrati”. Così Matteo
Renzi diceva in diretta tv a Bersaglio mobile, mercoledì scorso.
Una settimana dopo però gli
elenchi è impossibile averli.
I vertici dem alla richiesta di conoscere i nomi di chi c’era
all’Eur all’iniziativa romana del
7 novembre scorso fanno muro.
L’imbarazzo però aumenta con
il passare dei giorni. Dal Nazareno sussurrano che è impossibile renderli noti, a causa della
legge sulla privacy. La stessa che
impedisce di conoscere per intero i nomi dei finanziatori della
Leopolda. Con buona pace della
trasparenza, evocata dallo stesso segretario-premier. Perché,
per diffondere i nomi dei finanziatori, serve una liberatoria.
Molti non l’hanno data e forse
non lo faranno mai. Anzi, da
quando si è capito che a cena
quella sera c’era anche Salvatore
Buzzi, le reticenze aumentano:
nessuno vuol essere accomunato al capo della cooperativa 29
giugno, coinvolto nell’inchiesta
su Mafia Capitale.
Poi, ci sono una serie di altre
questioni: per esempio, in molti
il bonifico non l’hanno ancora
fatto. E per alcuni dei presenti
hanno pagato altri. E dunque, se
pure un elenco (di massima) dei
commensali, gli organizzatori
assicurano di averlo, è presso-
fatto
a mano
ché impossibile averne uno
completo di chi ha pagato. Lo
stesso Matteo Orfini, presidente del Pd, e ora anche commissario del partito romano, lunedì
sera a Piazza pulita ammetteva
che sarebbe importante rendere
pubblici gli elenchi. E sottolineava come questa vicenda
metta in luce tutte le falle del finanziamento privato alla politica, una volta che si è deciso di
rinunciare a quello pubblico.
Insomma, uno dei cavalli di battaglia del Pd secondo Renzi mostra tutte le problematiche del
caso: come controllare chi paga
il partito? E come stabilire chi
può e non può farlo? Non solo:
come evitare di incorrere nel
reato di traffico di influenza, introdotto dalla Severino?
SULLA PRESENZA di Buzzi ai
tavoli di Roma l’imbarazzo dei
dem diventa stellare. Francesco
Bonifazi, il tesoriere affermava
in un tweet: “Buzzi non ha dato
un euro al @pdnetwork naziona-
LA CASSA
Francesco Bonifazi:
“Da quella coop zero euro
ai democrat nazionali”.
Il tesoriere romano
Cotticelli: “Non parlo,
sono commissariato“
Poi, corregge il tiro:
“Sono commissariato.
Non sono tenuto a parlare”. Però, il 7 novembre non c’era ancora
alcun commissario.
Tra i vertici dem della
Capitale è tutto un generico “non so niente”.
Da notare che all’ultimo momento quella
sera fu fatto saltare il
tavolo di Marco Di Stefano. Non senza resistenze locali.
DA ORFINI allo stesso
Bonifazi, stanno lavorando per uscire da
questa impasse. Ma
sembra una di quelle
sabbie mobili nelle quali si affonda sempre di
più. Sempre per rimanere alla questione Buzzi, si apre un altro versante: quelli arrivati
dalla 29 giugno sono
Il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi Ansa soldi pubblici, visto che
provenivano da appalti
deliberati dal settore
le”. E adesso, ora che Claudio pubblico. Si profila una sorta di
Bolla, il braccio destro di Buzzi, gioco delle tre carte: il Comune di
sostiene che invece lui ha pagato Roma finanziava Buzzi, che ha fiper sé e per chi era con lui, ri- nanziato il Pd. Tutto anche grazie
badisce: “Buzzi non ha pagato al alla poca conoscenza del territoPd nazionale”. Perché, spiegano rio di Renzi e dei suoi. Al Nazadai vertici del Nazareno, quattro reno dicono che non potevano
o cinque tavoli erano appaltati al immaginarsi un mese fa che saPd Roma. Impossibile, però, rebbe scoppiato questo bubbone.
avere risposte dal partito locale Oggi i rischi e i problemi di opsu chi ci fosse. “Non so niente”, portunità politica di quelle cene
dice il tesoriere Carlo Cotticelli. sono sotto gli occhi di tutti.
Corruzione, la video-offensiva
del governo: domani nuove norme
n Italia il vento è cambiato e chi ruba,
I
chi corrompe, sarà perseguito fino
all’ultimo giorno, fino all’ultimo cente-
Massimo Carminati, capo indiscusso di Mafia Capitale
bunale di Perugia per questo
furto a quattro anni di reclusione, pena sospesa con un decreto
del procuratore generale del tribunale finché non arriva un altro indulto, quello del 2006 con
Giorgio Napolitano al Quirinale, Romano Prodi al governo e
Clemente Mastella ministro
della giustizia.
LA LEGGE fu anche chiamata
salva-Previti perché cadde a
pennello poco dopo la condanna nel processo Imi-Sir. E non
salvò solo l’ex ministro della Difesa, ma ne ha beneficiato, molti
anni dopo anche Silvio Berlusconi quando nel 2012 è stato
condannato a 4 anni di reclu-
sione per i reati fiscali nell’ambito del processo per l’acquisizione dei diritti tv di Mediaset.
Tre anni della condanna all’ex
premier sono stati condonati
proprio per gli effetti della legge
sul condono del 2006. Di cui ha
tratto beneficio anche Carminati. Rideterminando la pena
da scontare così per Carminati
la pena che resta da scontare
ammonta a un anno. Pochi
giorni fa però l’ex Re di Roma è
finito in un guaio davvero grosso: stavolta l’accusa di associazione a delinquere di stampo
mafioso stampo mafioso. Chissà se il futuro ci riserverà qualche altro condono, salva tutti.
Twitter @PacelliValeria
simo”. Matteo Renzi passa alla controffensiva. E lo fa con lo stile delle grandi
occasioni: video messaggio alla nazione
(tre minuti e 51 secondi) dallo studio di
Palazzo Chigi. In piedi, camicia bianca,
cravatta e tono combattivo, annuncia
“quattro piccole grandi modifiche contro la corruzione”, che saranno presentate al Cdm di domani.
LA VICENDA di Mafia Capitale è una bu-
fera che fa male al premier e al Pd. Parla
chiaro il sondaggio che l’Istituto Ipr Marketing ha effettuato per conto del Tg3: per
tre italiani su quattro (72%) la vicenda
romana colpisce allo stesso modo sia la
destra che la sinistra, mentre per il 13% è
maggiormente coinvolta la destra e per
l’8% la sinistra. Nelle intenzioni di voto,
però, a lasciare sul piatto più consensi è il
Pd che passa in un mese dal 40,5% al 38%.
Renzi lo sa bene: “Apri un giornale, apri
un sito, accendi la televisione, tutto ti
porta a parlare di ciò che sta accadendo a
Roma”. E allora, “il governo non può
mettere le mani in quello che fa la magistratura”, ma “io ho da prendere un
impegno: chi ruba deve pagare”. Perché
“non è vero che siamo tutti uguali”. Prosegue con un dato sconcertante: “È inaccettabile che in carcere per corruzione ci
siano solo 257 persone”. Poi, spiega le
misure. Primo: “La pena minima per la
corruzione passa da 4 a 6 anni. Puoi patteggiare, ma un po’ di carcere lo fai comunque”. Secondo: “La confisca dei beni
di chi ha rubato. Chi è condannato per
corruzione con sentenza passata in giudicato potrà vedere la confisca dei propri
beni esattamente come accade oggi per
reati più gravi”. Terzo: “Il maltolto lo
devi restituire. Se è provata la corruzione
restituisci fino all’ultimo centesimo”.
Quarto: “Si allunga la prescrizione”. La
decisione di provare a reagire così all’impatto dell’inchiesta romana, che si sente
anche in Europa e sugli investitori stranieri, è stata presa ieri mattina a Palazzo
Chigi. Certo, adesso bisognerà vedere cosa resta dopo l’annuncio. Anche perché,
proprio sulla giustizia, e in particolare
sulla prescrizione il governo è arenato da
mesi. Nell’ultimo Cdm, di una settimana
fa, tutte le misure più delicate in materia
penale, all’ultimo momento sono rimaste
fuori, causa l’opposizione del Ncd. Il ministro della giustizia, Andrea Orlando la
Andrea
Orlando,
ministro
Ansa
spiegava così: “Modificare il codice penale, agire sulle pene, è più importante
che allungare semplicemente i tempi della prescrizione”. Domani in Cdm arriverà non un decreto, ma “un ddl complessivo sul processo penale”, come dice
lo stesso guardasigilli. E poi, “si lavorerà
su norme già incardinate in commissione al Senato sulla criminalità economica”.
CON LE NUOVE pene previste per la cor-
ruzione (da 6 a 12 anni), la prescrizione
arriverà a 15 anni. Se poi mai dovesse
andare in porto il progetto di legge del
governo, a 18. Le dichiarazioni di intenti
sono chiare, bisognerà vedere la realizzazione. Il Parlamento come reagirà? David Ermini, responsabile giustizia del Pd
si dice certo che “non si può non essere
uniti su misure di questo genere. E per
quanto riguarda il Pd noi siamo disposti
a procedere in tempi strettissimi”.
wa.ma.
4
ROMANZO CRIMINALE
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
L’
avvocato del Re:
“Non esiste
la mafia romana”
“CARMINATI è tutto tranne che
un mafioso. Non esiste la mafia
romana”. Lo ha detto ieri a
SkyTg24 l’avvocato di Massimo
Carminati, Giosuè Bruno Naso,
commentando l’inchiesta “Mondo
di Mezzo” che vede coinvolto il
suo assistito. Sui soggetti intercet-
tati e le loro dichiarazioni Naso ha
commentato: “Stiamo parlando di
personaggi tipici del sottobosco
romano, quindi con quella burineria e volgarità che è tipica di questo humus umano. Se andiamo a
grattare, dopo quattro anni di indagini, milioni e milioni spesi per
IL LEGHISTA CAPITALE
pedinare, intercettare, documentare, non è che sia venuta fuori poi
questa cosa...”. A proposito
dell’umore del suo assistito in carcere ha invece detto: “Carminati è
una roccia. Mi chiede se uscirà indenne dalla faccenda? Ha un buon
avvocato”. Cominceranno domani
il Fatto Quotidiano
le prime udienze del tribunale del
Riesame per i ricorsi presentati
dagli arrestati nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Sono, in
particolare, quelli di Massimo Carminati, appunto, Riccardo Brugia,
Raffaele Bracci, Fabrizio Franco Testa e Roberto Lacopo.
IL PARLAMENTARE FI
E i lavori del Comune Quei 10 mila voti
finiscono a casa
offerti al deputato
dell’uomo di Salvini vicino a Scajola
NELLE CARTE ANCHE POMARICI CHE PERÒ SMENTISCE:
“BIANCONI MILLANTA, HO PAGATO IO E HO LE RICEVUTE”
NE PARLA DENARO, LEGATO A CARMINATI, MA ABRIGNANI
MINIMIZZA: “ERANO I MILITANTI MODERATI DI CASA POUND”
di Davide Vecchi
di Loredana
arco Pomarici è il
grande contestatore della Giunta
di Ignazio Marino, di cui invoca le dimissioni
da quando sono scattate le manette per Mafia Capitale. Ex
presidente del consiglio comunale in quota Pdl ai tempi
di Gianni Alemanno sindaco,
poi passato a Ncd e da fine ottobre portabandiera nella Capitale e unico rappresentante
in Campidoglio della nuova
Lega di Matteo Salvini, Pomarici è finito nelle carte dell’inchiesta. Secondo i riscontri effettuati dai carabinieri del Ros,
Pomarici si è fatto ristrutturare casa dal costruttore Patrizio
Amore, impegnato nei restauri dell’aula consiliare Giulio
Cesare del Comune di Roma
negli anni in cui guidava il
consiglio.
Il particolare è emerso
dall’ascolto delle telefonate intercorse tra Patrizio Bianconi
e Luca Gramazio, esponenti
del centrodestra romano, nei
primi mesi del 2013. I due sono entrambi candidati alle amministrative. Bianconi ha la
necessità di coprire le spese
della propria campagna elettorale e chiede i fondi a Gramazio, consigliere di Forza Italia
iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di associazione mafiosa. Il 23 marzo, alle
14.47 battendo cassa. “Uno si
esaspera no? Perché vedi Pomarici, vedi Cochi, senti la cena de quello, l'incontro di
quell’altro... Facciamo le cacciatine degli Iban bancari e verifichiamo quanti soldi sono
usciti dai conti correnti, poi se
non so’ usciti ci spiegheranno
perché gliel’hanno finanziato i
vari Fabrizio Amore, guarda
caso quello che ha fatto i lavori
nell’aula e che ha fatto anche la
ristrutturazione a casa di Pomarici”.
Le richieste di Bianconi però
per settimane cadono nel vuoto. E i rapporti degenerano rapidamente perché le elezioni si
avvicinano e i fondi per la
campagna elettorale scarseggiano. Bianconi arriva a minacciare di morte Gramazio e i
suoi familiari. Il 15 aprile 2013
durante una telefonata all’una
di notte Bianconi accusa Gramazio e Alemanno “di essere
mafiosi e tangentari e che lui
voleva i soldi che gli spettavano”, annotano gli investigatori. “La telefonata proseguiva
con una serie di insulti reciproci”. Alle otto del mattino
successivo Bianconi manda un
iecimila
voti
pronti per l’“uomo vicino a Berlusconi”. È il
febbraio di quest’anno,
quando il Ros dei carabinieri
scopre che Manlio Denaro,
uomo legato al presunto
boss Massimo Carminati,
tenta di avvicinare Ignazio
Abrignani, deputato di Forza Italia ed ex capo della segreteria di Claudio Scajola.
“Io vengo con mio cognato –
dice Denaro, parlando al telefono con Abrignani – lui ti
spiegherà bene la situazione,
poi vi fissate un secondo appuntamento perché stiamo
parlando di un gruppo che
su Roma non so se abbia
10.000 voti, ’na cosa del genere… tu m’avevi detto che
ti volevi radicare su Roma...
politicamente...”.
Il cognato di Denaro è Riccardo Corsetto, candidato
nel 2008 alla Presidenza del
XIX Municipio di Roma e
delegato alle Politiche sociali
dello stesso Municipio. Corsetto, si legge nell’informativa del Ros dei carabinieri,
“desidera inserirsi nel contesto politico capitolino”.
Ma il personaggio chiave di
questa vicenda è Denaro che
viene descritto dagli investigatori come “pregiudicato
ed elemento di spicco storicamente legato agli ambienti
della destra extraparlamen-
M
D
Marco Pomarici è passato dal Pdl a Ncd e ora alla Lega LaPresse
LE INTERCETTAZIONI
Agli atti telefonate e sms secondo i quali la ditta impegnata nell’aula
Giulio Cesare avrebbe ristrutturato la dimora dell’allora presidente
del Consiglio comunale, oggi volto del Carroccio e non indagato
sms a Gramazio e rispunta Pomarici: “Racconta di quando
smazzettavi i soldi di Parnasi
con Cantiani Quarzo e Tredicine (consiglieri comunali,
ndr) Ladro. Oppure quando
hai coperto Pomarici sulla ristrutturazione dell’aula... Fabrizio Amore... ladri”.
DA QUI SONO PARTITE le ve-
rifiche da parte del Ros che
hanno portato ai riscontri sui
lavori effettuati nell’abitazione
di Pomarici. Contattato dal
Fatto, l’esponente romano del
Carroccio nega categoricamente: “I lavori a casa li ho fatti
nel 2008 e li ho pagati con soldi
miei, della mia famiglia, con
mia moglie”. Io, insiste, “non
ho la più pallida idea del perché
mi tirino in mezzo”. Ancora:
“Siamo pronti a far partire le
querele e comunque a me sembra fuori dal mondo come riferimento”. Ma l’azienda che le
ha fatto i lavori a casa è stata
l'azienda di Fabrizio Amore?
“No, no, no... assolutamente
no: ho tutte le carte che possono testimoniare il contrario,
se qualcuno pensa sia così denunci il fatto e poi vedremo e lo
dico con grandissima serenità”. E delle sue cene e dei suoi
manifesti elettorali di cui parla
Bianconi? Amore ha finanziato la sua campagna elettorale?
“Guardi, io ho tutti i riscontri
delle spese sostenute, tutte le
ricevute, non ho alcun problema”. Pomarici non figura tra
gli indagati nell’inchiesta Mafia Capitale a differenza di altri
consiglieri citati da Bianconi
nella telefonata come Alessandro Cochi. Ma gli inquirenti
confermano di aver trovato riscontri sui lavori effettuati nella sua abitazione.
Non sarebbe di certo un
bell’esordio per la Lega di Salvini a Roma. Il leader del Carroccio cerca in ogni modo di
offrire un’immagine pulita al
movimento, dopo gli scandali
delle lauree in Albania e dei
diamanti in Tanzania, ma i fatti riporterebbero alla memoria
i vizi della Padania che gridava
“Roma Ladrona” e poi con i
fondi del partito ristrutturava
la casa di Umberto Bossi.
Di Cesare
LE DIFESE Negano tutto
i quattro ai domiciliari
anno respinto le accuse i quattro indagati agli
H
arresti domiciliari interrogati ieri negli uffici
giudiziari romani di piazzale Clodio nell’ambito
dell’inchiesta su Mafia Capitale: sono Emanuela Salvatori, dipendente del comune di Roma accusata di
corruzione aggravata, Rossana Calistri, direttore della fondazione “Integra Azione” (rivelazione di segreto e turbativa d’asta), Patrizia Caracuzzi, segretaria
dell’ex ad di Ama – la municipalizzata romana per
l’ambiente – Franco Panzironi (corruzione) e Franco
Cancelli, responsabile della cooperativa Edera (turbativa d’asta). I primi tre hanno risposto alle domande del gip Flavia Costantini, mentre Cancelli ha affidato la propria difesa ad una dichiarazione spontanea. Oggi, con gli interrogatori di garanzia di Raniero Lucci, Sergio Menichelli, Marco Placidi e Mario
Schina, a loro volta ai domiciliari, si concluderanno le
audizioni di tutte le persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare. Fin qui solo Nadia Cerrito, la contabile della coop “29 giugno” di Salvatore
Buzzi, ha fatto ammissioni. In particolare sulla contabilità parallela che serviva anche a pagare i politici.
Ignazio Abrignani, parlamentare Pdl, ex collaboratore di Scajola Ansa
IL PERSONAL TRAINER
L’onorevole non nasconde la conoscenza con l’amico di Mokbel:
“Vent’anni fa giocavamo insieme a rugby e football, ci alleniamo
ancora insieme. Facciamo politica, incontriamo persone”
tare in particolare a quelli riferibili alla compagine eversiva di Ordine Nuovo”. E all'interno di Ordine Nuovo,
secondo il Ros, “Denaro rivestiva un ruolo di assoluta
centralità, tanto da averne
costituito una personale
'Squadra Denaro Manlio'
dedita ad attività eversive”.
Denaro è stato anche indagato – poi assolto in primo
grado – nell’indagine della
Procura di Roma Fastweb
Telecom Sparkle, sul maxiriciclaggio da due miliardi di
euro che ha portato alla condanna di Gennaro Mokbel a
15 anni. Che Denaro – non
indagato nell’inchiesta sulla
Mafia capitale – sia strettamente legato a Carminati è
dimostrato dai numerosi incontri tra i due, annotati dal
Ros, tra il 23 dicembre 2012
e il 24 ottobre 2013, avvenuti
spesso in compagnia del
braccio destro del “Cecato”,
Riccardo Brugia, all’ormai
noto distributore di Carburanti Eni su Corso Francia.
IN RELAZIONE ai rapporti
con Mokbel, invece, negli atti si legge: “Per delineare lo
spessore criminale di Manlio
Denaro, nonché le sue interessenze con Gennaro Mokbel, appare importante evidenziare che, sin dagli anni
80, lo stesso gravitava sia negli ambienti dell’estrema destra romana sia nel sodalizio
criminale capitolino della
Banda della Magliana”. È
questo l’uomo che contatta
Abrignani per introdurre il
cognato, Riccardo Corsetto,
che desidera “inserirsi nel
contesto politico capitolino”.
Per realizzare il suo desiderio
Corsetto pensa ad Abrignani
“perché anzitutto è vicino a
Berlusconi... c’ha quel ruolo
nell’ufficio elettorale (responsabile dell’ufficio elettorale di Fi, ndr)... sulle liste... e
poi è uno che non è bruciato
politicamente”.
Denaro
s’impegna con Corsetto a
contattare Ignazio Abrignani: “Lo chiamo e gli dico ...
quand’è che ci possiamo
prendere una cosa insieme?
... ci incontriamo io te e lui ...
parliamo io te e lui e poi tu
dici ‘io questa cosa la proporrò al gruppo di Santori’
(si presume Fabrizio, consigliere regionale eletto con La
Destra e ora al gruppo misto,
ndr)... proprio chiari eh ...”.
“Sì”, acconsente Corsetto.
Insomma il presunto pacchetto di voti sarebbe stato
offerto di qua e di là.
Abrignani, contattato dal
Fatto Quotidiano, conferma di
conoscere Denaro: “È il mio
personal trainer nella palestra in cui mi alleno, nel
quartiere Fleming di Roma”.
Un’amicizia di vecchia data:
“Vent’anni fa giocavamo entrambi a rugby e a football
americano”. Assicura di non
conoscere Corsetto e sulla vicenda dei dieci mila voti a lui
offerti dice: “Sapevo che Denaro voleva presentarmi dei
militanti di CasaPound che
avevano assunto posizioni
più moderate rispetto al movimento e mi sono reso disponibile. Facciamo politica,
incontriamo persone”.
ROMANZO CRIMINALEMERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
G
rillo oggi
in Senato, lancerà
referendum su euro
GRILLO ritorna a Roma. Oggi alle 16 il fondatore dei Cinque Stelle sarà in Senato per
una conferenza stampa “per il lancio del
referendum sull’euro e del #firmaday di
sabato 13 dicembre in 150 comuni italiani”.
La notizia l’ha data ieri su Facebook il deputato del M5S Girgis Giorgio Sorial, che
aggiunge: “Sabato Beppe sarà in prima fila
al gazebo di Genova, mentre martedì 16 dicembre lancerà il referendum dal Parlamento europeo riunito in sessione plenaria
a Strasburgo, e informerà tutte le delegazioni europee sugli ultimi sviluppi in merito
all'uscita dall'Euro, campagna del #M5S
seguita con grande interesse anche da altri
gruppi politici”. Dopo il videomessaggio di
5
domenica, in cui rivendicava di “essere più
vivo che mai” e di aver fatto “un passo
avanti, non indietro” con la nomina del direttorio, Grillo vuole dare un altro segnale
di presenza. Nel frattempo ha incassato
l’atto di fedeltà del sindaco di Livorno Filippo Nogarin: “Sto con Beppe senza se e
senza ma”.
MARINO, LO SCIOGLIMENTO PUÒ
ATTENDERE: SÌ AGLI ISPETTORI
ALFANO DELEGA AL PREFETTO L’ACCESSO AGLI ATTI: LA GIUNTA DI ROMA VA AVANTI
di Luca De Carolis
S
i scrive accesso agli atti, si legge mossa obbligata. Per Alfano, che
doveva dare un segnale. Per il prefetto Pecoraro, che
assicura: “Questo non è un
commissariamento”. E perfino
per Marino: che scaccia lo
spauracchio dello scioglimento
per mafia, e accetta tre controllori che verificheranno tutto
ma non potranno bloccare nulla. Per poi sibilare in serata a
Ballarò: “Il ritorno alle urne è
l’obiettivo della mafia”. Nel
giorno in cui poteva vacillare il
sindaco di Roma rimane in piedi, forse pure più stabile. Non
pare una minaccia la decisione
del ministro dell’Interno Alfano, che ieri ha delegato al prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro “di esercitare i poteri di accesso e di accertamento nei
confronti del Comune”. Tradotto dal burocratichese, Pecoraro nominerà una commissione d’indagine composta da tre
funzionari della pubblica amministrazione, che per tre mesi
(prorogabili per altri 90 giorni)
controllerà gli atti del Campidoglio e dei Municipi: passati,
presenti e futuri.
I TRE ISPETTORI non avranno
potere di veto. Passeranno tutto
al setaccio per poi formulare
delle “conclusioni”, su cui poi
Pecoraro baserà la sua relazione
per Alfano. In linea teorica, la
fine di questo processo potrebbe anche essere lo scioglimento
del Comune. Ma per ora è
un’ipotesi di scuola, a sentire le
varie parti in causa. Convinte
che non esistano i presupposti
tecnici e politici per mandare a
casa la giunta di centrosinistra,
almeno allo stato attuale dell’inchiesta. Ieri dal Campidoglio ricordavano: “Sciogliere il Comune significherebbe commissariare Roma per 18 mesi. E al
momento di indagato per associazione mafiosa in Campidoglio c’è solo un consigliere”. Ossia l’ex sindaco Gianni Alemanno. Sullo sfondo, il testo unico
sugli enti locali, secondo cui lo
scioglimento si può disporre
solo in presenza di “emergono
concreti e rilevanti elementi su
collegamenti diretti o indiretti
con la criminalità organizzata
di tipo mafioso o similare degli
amministratori”, o davanti a incisive “forme di condizionamento” sulla giunta di turno.
Pochi giorni fa, Pecoraro aveva
prospettato tre ipotesi: “Accesso agli atti, scioglimento, o una
terza via che prevede di non intervenire”. Ieri mattina, nell’incontro al Viminale, Alfano gli
ha dato il via libera per l’accesso.
Un passaggio quasi inevitabile,
anche per mostrare che il ministero non rimane inerte. Marino ne discute con il commissario del Pd Matteo Orfini, con
cui si incontra nel primo pomeriggio in Comune. Orfini gli ri-
LA COMMISSIONE
Tre esperti per tre mesi
(prorogabili) vaglieranno
le decisioni passate
e future del Campidoglio
e dei Municipi, senza
potere di veto
pete che il Pd e Renzi “sono dalla tua parte”: e pazienza per un
anno e mezzo di guerra fredda.
Parlano della manifestazione
del Pd di oggi pomeriggio al
Laurentino 38, periferia sud di
Roma, dove il sindaco e il giovane turco dovrebbero dare un
segnale di vitalità del partito romano, semi-travolto da Mafia
Capitale. All’uscita Orfini fa atto di umiltà: “La giunta la fa il
sindaco e lui fa quello che ritiene. Per noi va bene”. Postilla:
“Lo scioglimento non è possibile, credo lo pensi anche Renzi”. Poco dopo Marino entra al
ministero dell’Economia. “Ma
non era per questioni relative
all’inchiesta” assicurano dal
Comune.
ALLE 18 il sindaco incontra Pe-
coraro. Gli chiede di nominare
nella commissione uno o più
ispettori del Mef: “Conoscono
già i conti, li chiamai io l’anno
scorso per controllare i bilanci
della gestione Alemanno”. Si
arriva a un’intesa: i tre ispettori
saranno un prefetto, un viceprefetto esperto in appalti e appunto un tecnico del Mef.
Il prefetto Giuseppe Pecoraro con il sindaco Ignazio Marino LaPresse
Uscendo Pecoraro precisa:
“Non è un commissariamento”.
Marino assicura che lo scioglimento non è pensabile: “L’inchiesta si basa soprattutto sugli
anni del governo Alemanno, e
in questo momento non c’è nessuna evidenza della attualità
della presenza mafiosa in Campidoglio”. Nei prossimi giorni,
l’assessore al Bilancio, Silvia
Scozzese, invierà documenti su
appalti sospetti al pool anti-corruzione di Raffaele Cantone, a
cui il sindaco ha chiesto pubblicamente aiuto. Marino cerca
anche un possibile assessore alla legalità: un ex giudice della
Consulta o della Corte dei conti.
Infine, la promessa: “Sono al lavoro con il consigliere Riccardo
Magi (Radicali) su un piano per
superare definitivamente il sistema dei campi per Rom”.
OLTRETEVERE
Il figlio del boss Diotallevi
cercava lavoro in Vaticano
di Davide Vecchi
D
obbiamo andare da don
Angelo Comastri”. Il 22
dicembre 2012 a bordo di una
Fiat 500 Mario Diotallevi, figlio del boss settantenne Ernesto (indagato come referente di Cosa Nostra a Roma), si presenta all'ingresso del Vaticano e agli uomini della Gendarmeria annuncia di avere un appuntamento
con don Comastri, vicario generale di Sua Santità nonché presidente della Fabbrica di San
Pietro, ente appositamente creato per la gestione di tutto l'insieme delle opere necessarie
per la realizzazione edile e artistica della Basilica. Ad accompagnarlo c'è E. S. che è riuscito
ad ottenere di essere ricevuti dal monsignore.
Diotallevi, contattato telefonicamente, non ha
spiegato il motivo della visita: “Sì, ho incontrato
Comaschi o almeno credo fosse lui, magari era
un altro monsignore; ci ha dato la benedizione
e poi siamo andati a visitare i giardini”.
Il fascino della tonaca:
“Facciamo piccole cose carine”
Il giovane Diotallevi subisce il fascino del Vaticano. L'anno successivo, sempre a bordo della
sua Fiat 500, parla con il padre Ernesto e gli racconta di come a breve riuscirà anche lui a entrare
nella città del Papa e coronare quello che sembra
un suo sogno: lavorare nella sicurezza. È il 21
febbraio 2013. Mario illustra al padre Ernesto la
possibilità di un investimento immobiliare da
operare su Firenze grazie all'interessamento di
“Paolo”, annotano gli inquirenti, un “colonnello della Finanza”, futuro “capo della sicurezza al
Vaticano” descritto come “mitomane”, “corrot-
PRELATO
Piazza San Pietro.
A destra,
il cardinale Angelo
Comastri Ansa
to” e appartenente ai servizi segreti che subiva
“er fascino” del boss Diotallevi, quindi del padre. Paolo, prosegue Mario, spiega di voler
“concludere affari immobiliari ritenuti sicuri e
remunerativi” con lui. “Facciamo piccole cose
carine” nella speranza, dice Mario, di entrare
nelle grazie di Paolo così da essere poi cooptato
nella sicurezza vaticana: “'Me pii a lavorà co tè...',
'aspetta che vado in Vaticano', m'ha detto”.
È un Colonnello “della Finanza – prosegue - finisce l'incarico a và a fare il capo della sicurezza
al Vaticano, perché lui stà bene con questi anche
ne...
Mario: me frega un cazzo... però nà volta sistemato... se compramo er maserati quattro porte,
oh sai che famo... lo famo impazzì Leonardo ... je
mettemo pure nà piatta sur conto... così c'hai
Maris fai come cazzo... però da questo momento
in poi fai come cazzo te pare proprio...
Ernesto: allora quello che vojo fa...
religiosi che stanno dentro”. Papà, prosegue il Mario: lo chiamamo, famo i clienti, preparace a
figlio entusiasta, “questo è uno di quelli di un barca... capito
pratico... si chiama Paolo, è pratico da morì... Mario: mo io m'accosto .. s'accostamo insieme a
c'ha quarantott'anni nè un pischello. C'ha cin- quello, ar Colonnello...
quant'anni, c'ha na figlia di vent'anni, e non è Ernesto: ma quello con me ce se accosta patà?
stupido”. Ancora: “Mi ha accompagnato con la Mario: si... è un corrotto papà...
macchina, nà pezza de piede, in ufficio... con Ernesto: ma lo sà chi sò?
l'autista, con la Delta veramente”.
Mario: ti conosce benissimo...
Ernesto: diventamo miliardari... se quello c'ha
“Cacciano via pure er Papa, tu ti immagini
una mossa per questi prelati... cose... (...)
entrare nella sicurezza”
Ernesto: ma io faccio il pensionato... te stò dietro
Il fascino del potere colpisce anche il padre. soltanto per quello che pò esse...
“Bella la Delta eh?”, chiede ErMario: lui... abbastanza mitonesto. “A me .. dovevi vedè comane, pur essendo un Colonme ce stavo dietro”. Il padre:
nello, è mitomane...
“Te lo stò a dì a mejo machina”.
Il Paolo di cui parlano è stato
Mario: “Ce credo ce credo...
individuato dagli inquirenti in
perchè davanti c'avevamo tutta
Paolo Oliverio, faccendiere vila radio... e cose... i lampegcino ad ambienti religiosi, che
gianti... m'hanno portato sotto
vanta legami con servizi segreti
l’ufficio me sentivo stò cazzo”.
e Finanza. Oliverio è finito in
“Mamma mia... cacciano via
carcere a novembre 2013 per la
pure er Papa... tu t'immagini
truffa all'Ordine dei Camilliaentri a far parte da sicurezza ar
ni. Nonostante l'impegno proVaticano... Mario: lui diventa
fuso però Mario non riuscirà a
er capo della sicurezza, è come
entrare in Vaticano e sopratquello là...
tutto non comprerà la tanto deCON IL CARDINALE siderata “Maserati quattro
Ernesto: eh quello che hanno
intervistato
porte”, continuando a girare
L’incontro con
Mario: si ma quello è robba de
sulla sua intercettata Fiat 500.
guardie svizzere...
Comastri: “Andiamo
Ernesto: quello sà tutti i segreti
da don Angelo”.
sà
Mario: quello è un paraculo...
E il tentativo
quello è un matto... visto che
faccia dà schizzato serio
di farsi assumere
Ernesto: così ti stavo dicendo,
dalla gendarmeria
stavo pensando... dann'amme-
6
ROMANZO CRIMINALE
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
B
uzzi al “Nero”:
”Grillo è riuscito
“IL PROBLEMA è che non ci stiamo più noi... una cosa incredibile...
Grillo è riuscito a distruggere il
Pd”. Finché nella stanza dei bottoni c’erano la destra di Gianni
Alemanno o il Pd andava bene, ma
poi gli uomini di Mafia Capitale
hanno avuto un problema: Beppe
a distruggere il Pd”
Grillo. Il capo delle cooperative
rosse di assistenza Salvatore Buzzi, ora in carcere, parlava con
Massimo Carminati della nomina
di Giovanni Fiscon a direttore generale della municipalizzata romana per l’ambiente, Ama SpA.
Un uomo “nostro” è stato definito
Fiscon, da Buzzi, in alcune intercettazioni. “Venerdi stava da Alemanno...”, chiede Carminati a
Buzzi, che gli risponde: “Stavo da
Berlusconi, venerdì”. “Da Berlusconi il cantante...” scherza Carminati. E aggiunge: Sei contento
de Fiscon, si?”. “Sì, ammazza”, ri-
Odevaine, Letta, i prefetti
e quel caffè per i rifugiati
A
volte ritornano. Il
Fatto Quotidiano ha
aperto le sue pubblicazioni il 23 settembre del 2009 con la notizia tabù
(“Letta indagato da 10 mesi e
nessuno lo scrive”) dell’indagine del pm Henry John Woodcock sulle manovre della galassia di società che gravitavano intorno alla Cooperativa La Cascina, vicina a Comunione e Liberazione, per aggiudicarsi la gestione dei Cara, i centri di assistenza per i richiedenti asilo. I
protagonisti di quelle indagini
furono prosciolti poi da ogni accusa e oggi ritornano negli atti
dell’inchiesta Mafia Capitale,
anche se non sono indagati. L’allora sottosegretario Gianni Letta viene contattato per superare
la resistenza del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro all’ampliamento del Cara di Castelnuovo di Porto (Roma) mediante l’affitto di alcuni immobili, di
interesse della “Cupola” diretta
da Salvatore Buzzi. Il 18 marzo
scorso i carabinieri del Ros pedinano e fotografano il ras della
cooperativa rossa “29 giugno”
Buzzi , con il fido Carlo Maria
Guarany, mentre entrano nel
palazzo di Largo del Nazareno
dove si trova l’ufficio di Gianni
Letta.
APPENA USCITI chiamano il
loro uomo, Luca Odevaine, ex
vicecapo di gabinetto di Walter
Veltroni al Comune di Roma,
poi nominato capo della polizia
provinciale, partecipante al Tavolo di coordinamento nazionale insediato al ministero
dell’Interno dove si decide la destinazione degli immigrati: “Il
pilastro portante” dell’attività
economica di Buzzi e compagni, secondo il Ros.
Appena uscito dall’incontro
con Letta Buzzi dice a Mario
Il Cara “Residence degli Aranci” a Mineo, Catania LaPresse
Luca Odevaine Ansa
Schina, che risponde al telefono
di Odevaine: “Mi ha mandato
dal prefetto... alle sei vedo il prefetto di Roma!”. Anche l’ingresso in Prefettura è filmato dal
Ros. Appena uscito Buzzi racconta l’effetto-Letta al suo “pilastro” Luca Odevaine: “È andata molto bene (...) m’ha detto:
‘basta che il sindaco me dice di sì
io non c’ho il minimo problema, anzi la cosa è interessante, lasciatemi tutto’ allora già abbiamo
ricontattato”. Odevaine chiede:
“Gli hai detto che, che anche la
Scotto Lavinia (il prefetto Rosetta Scotto Lavinia, direttore
servizi per l’immigrazione, ndr)
LA SOLUZIONE
L’indagato offrì
alla coop bianca di
pagare un prezzo
gonfiato sull’acquisto
in Costarica: “Così te
rimangono i soldi”
era stata già informata?”. Buzzi
replica: “Sì, non c’è stato nemmeno bisogno perché lui ha
sposato subito il problema perché ne era già informato però
vuole il consenso del sindaco (di
Castelnuovo di Porto, ndr)”.
Il prefetto Pecoraro nei giorni
scorsi, anche per evitare polemiche sul suo ruolo delicato
sull’accesso agli atti e l’eventuale
scioglimento, ha precisato che
poi non se ne fece più nulla.
Anche il prefetto Mario Morcone (recentemente tornato a capo del dipartimento immigrazione dopo essere stato
all’Agenzia dei beni confiscati e
candidato sindaco di Napoli) è
citato nelle intercettazioni.
Conversando con Mario Schina, consigliere della cooperativa
Il percorso, a lui vicina, Odevaine il 18 giugno 2014 parla a ruota libera di Morcone. Sono affermazioni non riscontrate che
provano solo la spregiudicatezza di Odevaine: “Le cose gliele
posso dire proprio ... non dico ...
ma quasi insomma, però adesso
stava ... me stava venendo in
mente tant’è che anche oggi cioè
m’ha chiesto dice ‘ah, ma mio
figlio si sta laureando, non so in
che cosa’ dice ‘mi piacerebbe
fargli fare uno stage’, dico ‘guarda te lo prendo io in Fondazione’, dico ‘Mario ... figurati sai...’,
io posso pure a un certo punto
che ne so dirgli a Mario - ecco
pure il rapporto che c’è - Mario,
famme la cortesia prendimi al
centro le 70 persone a Tivoli che
io ... però devo licenzia’ due persone e le metto a lavora’ ecco ... su
una ... relazione con lui io posso,
posso anche dirgli un cosa del
genere”.
Infine La Cascina: “Nel corso di
una riunione con il dipendente
Gerardo Addeo l’indagato Odevaine, dopo aver verificato la
possibilità di effettuare delle
movimentazioni di carattere
economico, disponendo delle
cooperative satelliti Abitus e Il
Percorso, gli illustrava le diverse
soluzioni da attuare al fine di
poter acquisire, senza lasciarne
traccia, il denaro frutto dei compensi operativi con i diversi partners con i quali operava nell'ambito della gestione dell'emergenza migratoria sull'intero
territorio nazionale”. Odevaine
raccontava di avere parlato con
il consigliere della Cooperativa
La Cascina Salvatore Melolascina, già arrestato nel 2003, indagato nel 2009 di Woodcock e
sempre prosciolto. E dunque timoroso di finire in nuovi guai.
“Dice: ‘Luca io però lo dico per
E ora l’Elefantino
“ripudia” Fiandaca
D
iceva a La Stampa il professor Giovanni Fiandaca che “Mafia capitale può rientrare tra le
organizzazioni criminali che operano con metodo
mafioso”, insomma l’inchiesta romana può reggere anche per “la preparazione tecnica e la prudenza
del procuratore Pignatone”, aggiungeva il penalista, coautore di un fortunato manuale su cui hanno
sgobbato generazioni di studenti di Legge. L’intervista non è piaciuta a Giuliano Ferrara, che da mesi
esalta Fiandaca per il libro scritto con Salvatore Lupo contro il processo sulla trattativa Stato-mafia
(La mafia non ha vinto - Il labirinto della trattativa, Laterza 2014). La “strana intervista del prof. Fiandaca” era ieri il bersaglio di un editoriale del Foglio. Un
po’ perché gli piace fare il bastian contrario, un po’
perché uno spazio deve pur ritagliarselo quando
anche il Giornale e Libero “cavalcano” l’inchiesta romana, Ferrara sostiene che Mafia Capitale sia “una
evidente montatura che origlia la Corleone dei cravattari e la spaccia per ‘cupola della mafia’”. E la
“stima troppo diffusa” per il “moderato” ed “equilibrato” procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, gli dà l’orticaria. Orfano di Fiandaca, Ferrara è
un po’ più solo. Ma gli va bene così.
tutti ma lo dico a te ... tu sei almeno sicuro, tranquillo’, dice,
‘perchè a me m'hanno arrestato lui è stato arrestato a suo tempo
nella vicenda Cascina - ‘c'avevo il
telefono sotto controllo e quant'altro è stato un problema che
sono stato accusato di essere di
fatto l'amministratore’”. Allora
Odevaine racconta di averlo rassicurato: “per cui ... io gli ho detto: guarda ... troviamo un altro
sistema (...) per cui avremmo trovato appunto due ... possibilità:
una. .. su lavori edili, perchè loro
hanno milioni di lavori all'anno
... per ristrutturazioni dobbiamo
... (incomprensibile) una ... società di fiducia ...”. Poi, prosegue il
ROS, Odevaine entra nel dettaglio: “gli affidiamo dei lavori. .. sia
sulla parte di progetto che sulla
parte dei lavori realizzati ti paghiamo in più ... la cifra che ... ti
dobbiamo riconoscere e poi ... tu
te la ... te la fai dare in contanti in
qualche modo’. Al riguardo
Odevaine dice di avere già parlato con il padre di Daniele Pulcini, un costruttore legato al giro
e interessato a entrare nel settore
dell’emergenza: “mese per mese
Alemanno, rogatoria in Argentina
LA PROCURA SI RIVOLGERÀ A BUENOS AIRES PER CHIARIRE L’INTERCETTAZIONE SUI SOLDI DELL’EX SINDACO
di Valeria Pacelli
a Procura di Roma inoltrerà una rogatoria in
L
Argentina per verificare la fondatezza di
quanto riferito dall’ex vice capo di gabinetto di
Veltroni, Luca Odevaine, che intercettato racconta di una presunta esportazione di denaro in
Argentina da parte di Gianni Alemanno. L’ex
sindaco di Roma ha già smentito: “Si tratta di una
millanteria totalmente infondata – ha detto domenica –. Non ho portato mai soldi all’estero,
tantomeno in Argentina. Ci sono stato per pochi
giorni con la mia famiglia e un gruppo di amici a
capodanno 2011 per andare a vedere i ghiacciai
della Patagonia”. La Procura – secondo indiscrezioni – è intenzionata a fare chiarezza su questo
aspetto e la faccenda non sembra essere ancora
chiusa. La vicenda viene fuori dopo che le cimici
della Procura registrano una conversazione avvenuta negli uffici della Fondazione Integrazione tra Luca Odevaine, Mario Schina (ex responsabile del Decoro urbano del Comune di Roma) e
Sandro Coltellacci (dirigente di
una cooperativa).
È IL 31 GENNAIO SCORSO e
Odevaine, riferendosi ad una
persona che avrebbe litigato con
Alemanno, dice: “Abita qua,
dentro a ’sto palazzo che fijo de ’na
mignotta... ha litigato con Alemanno. Per soldi se so’ scannati...
ma sai che Alemanno si è portato via... ha fatto quattro viaggi... lui ed il figlio con le valigie
piene di soldi in Argentina... se
sponde Buzzi. “Bono, eh?”, insiste
Carminati. “Er problema è un altro”, conclude Buzzi. “È che non ce
stanno più noi se mo’ ... (inc). ..
una cosa incredibile. Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. E questo,
per la presunta associazione mafiosa, non andava affatto bene.
IL PROF SUL “FOGLIO”
L’EX CAPO DI GABINETTO DI VELTRONI MOBILITÒ L’ALLORA SOTTOSEGRETARIO
PER POTENZIARE UN CENTRO. E PROGETTAVA AFFARI CON LA CASCINA (CL)
di Marco Lillo
il Fatto Quotidiano
so’ portati... con le valigie piene de contanti... ma te
sembra normale che un sindaco..”. La conversa-
zione riprende poco dopo: “Me l’ha detto la Polaria”, dice Odevaine. E Mario Schina chiede: “E
nessuno lo ha controllato?”. E
Odevaine risponde: “No è passato al varco riservato”. Poi agLA DIFESA
giunge altri dettagli: “A un certo
punto deve essere successo un
“È una millanteria
casino, perché ad Alemanno gli
totalmente infondata, hanno fatto un furto a casa...
Cercavano qualche pezzo de
mai portato denari
carta... credo che hanno litigato
perché lui ha pensato che ce li ha
in Sudamerica. Andai mandati questo”. Sulla vicenda
ci sono già stati i primi riscontri
a vedere i ghiacciai
dei carabinieri del Ros i quali
della Patagonia”
cercano di capire chi sia la per-
... loro ce li ce li trasferiscono sul
conto come se avessimo ... fatto,
io ho parlato già con Tonino Pulcini”. L'indagato - prosegue il
ROS - chiosava sull'argomento
accennando ad una seconda soluzione, ovvero "l'altra strada ... è
... appunto il ... caffè ...... inc ... caffè ... per cui se tu ... ci trovi il caffè
... qui da comprare ... in Costa Rica. .. loro lo comprano in Honduras, in Costa Rica e ... noi te lo
compriamo a te il caffè e te lo paghiamo più di quello che ... che
sarebbe il prezzo e ti rimangono i
soldi eh ... allora io... .. . inc... ecco,
per tutta la questione... la parte
diciamo così di attività internazionale ... inc ... direttamente lì in
Costa Rica e così ... ", illustrando
contestualmente quale fosse di
fatto il volano economico che alimentava i suoi investimenti in
Sudamerica”. Non basta. In
un’altra intercettazione Odevaine dice: “però ragionando con
Salvatore Menolascina alla fine ci
siamo fatti un pò di conti e lui
m'ha detto ‘guarda,con la Cascina insomma con lui personalmente; possiamo comprare un
pastificio”.
NEI GUAI
L’ex sindaco di Roma,
Gianni Alemanno
Ansa
sona, “domiciliata
in via Poliziano, dove ha sede la Fondazione Integrazione,
che avrebbe avuto
un litigio con Alemanno per motivi attinenti un presunto trasferimento all’estero di valuta”.
Gli agenti hanno fatto le verifiche presso l’anagrafe del Comune di Roma, chiedendo l’elenco
delle persone che abitavano in quel palazzo. E
concludono: “È stata effettuata anche una ricerca
su fonti aperte sui residenti sopra elencati, con
l’obiettivo di individuare notizie che potessero
evidenziare un rapporto con Alemanno, ma non
sono emersi indizi utili per poter dare riscontro o
effettuare altri approfondimenti”. Se si tratti di
una millanteria lo stabilirà la procura di Roma.
SENZA DIRITTI
il Fatto Quotidiano
Sfuggono
empre più italiani
all’estero
Da noi meno stranieri
di Salvatore
G
Cannavò
li elementi oscuri
del Jobs Act spuntano come funghi.
Come quello denunciato dalla Uil alla voce
“licenziare conviene”. Ma si
potrebbe proseguire con i vizi
già denunciati dal professor
Francesco Giavazzi sulla mobilità negata nel mondo del
lavoro. Oppure sulle disparità che si verranno a creare tra
lavoratori impiegati nelle
stesse mansioni e nello stesso
posto di lavoro ma con contratti diversi.
Più tagli occupati, più
soldi incameri
Il risvolto conveniente del licenziamento era deducibile
già a una prima lettura del
Jobs Act. La Uil, però, si è incaricata di quantificarlo mettendo a confronto gli sgravi da
nuove assunzioni per le imprese con le ipotesi di indennizzi che potranno essere erogati a fronte di un licenziamento economico. Questo,
prima del Jobs Act, se ritenuto
illegittimo da un giudice, prevedeva il reintegro, sia pure rivisto dalla legge Fornero; ora,
le nuove norme prevedono un
indennizzo “certo e crescente”. Di quanto? Le stime ruotano attorno a una mensilità e
mezzo per anno lavorato. Secondo il sindacato diretto da
Carmelo Barbagallo la differenza tra il costo del licenziamento e il guadagno dello
sgravio contributivo oscillerebbe tra 2.800 e più di 5.000
euro per ogni lavoratore. Licenziare un lavoratore, quindi, sia pure ingiustamente, per
assumerne un altro potrebbe
convenire E anche molto. Una
falla evidente che può essere
risolta in due soli modi: prevedere una norma che vieti alle imprese di assumere in presenza di un licenziamento ingiustificato oppure alzando
NON HANNO PIÙ la valigia di cartone, ma gli
italiani emigrano di nuovo. L’anno scorso in
82.000 se ne sono andati a vivere all’estero, il
numero più alto degli ultimi dieci anni, in crescita del 20,7% rispetto al 2012. A fotografare il
fenomeno è l’Istat nel suo ultimo report dedicato a Migrazioni internazionali e interne della
popolazione residente (anno 2013). L’indagine
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
rivela pure che l’Italia ha perso appeal anche per
gli immigrati: non solo nel 2013 gli arrivi
dall’estero sono stati il 12,3% in meno rispetto
all’anno precedente, ma il numero di stranieri
che lasciano l’Italia è in aumento rispetto all’anno precedente (+14,2%). Sebbene in calo rispetto agli anni precedenti, l’Italia rimane, tuttavia, meta di consistenti flussi migratori
7
dall’estero: la comunità straniera più rappresentata è quella rumena che conta 58 mila iscrizioni. Seguono il Marocco (20 mila), la Cina (17
mila) e l’Ucraina (13 mila).
Nel 2013 ben 13 mila laureati sono andati a cercare fortuna oltre confine. Meta preferita il Regno Unito (3.300 individui). A seguire Svizzera
(2.400), Germania (2.000) e Francia (1.600).
INCONGRUENZE
Lavoro, un pasticcio
chiamato Jobs Act:
licenziare conviene
CON LA NUOVA LEGGE, CHE CANCELLA L’ARTICOLO 18,
L’IMPRENDITORE CHE CACCIA PER RIASSUMERE CI GUADAGNA
gli indennizzi a un livello non
più conveniente. La decisione
del Pd al Senato di presentare
una norma contro “i licenziamenti facili” (vedi articolo in
basso) fa pensare che il problema ha più di un fondamento.
recupererà alcuna mobilità e
chi ha un posto di lavoro farà
di tutto per non perderlo senza avventurarsi in territori
sconosciuti. I tentativi di replicare alle osservazioni di
Giavazzi da parte del senatore
Pietro Ichino – relatore del
provvedimento in seconda
lettura al Senato – non hanno
risposto al cuore della domanda, lasciando irrisolto il problema.
Tutti meno uguali:
chi è garantito, chi no
Così come rimane irrisolto
quanto sollevato più volte dalla Cgil, la disparità di condizioni tra lavoratori impiegati
nelle stesse mansioni. Secondo l’articolo 3 della Costituzione, infatti, “tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e
ART.
3
TUTTI
Fermi sul posto, l’eddio alla
mobilità
Così come resta irrisolto il
problema evidenziato sulle
pagine del Corriere della Sera
dal professor Giavazzi, il quale
scrive: “Il rischio maggiore è il
UGUALI
5EURO
.00DI0
sono uguali davanti alla legge”. Un lavoratore assunto dal
momento in cui il Jobs Act sarà in vigore, però, non godrà
degli stessi diritti di uno che è
stato assunto prima. E questo,
nonostante abbia lo stesso
contratto, a tempo indeterminato e sia impiegato nella stessa condizione. Fonti della Cgil
hanno più volte ribadito che
potrebbe essere proprio questo l’appiglio per ricorrere in
sede europea contro la legge-simbolo del governo Renzi.
La stessa Cgil ha scandito una
serie di “domande e risposte”
sul provvedimento a cura di
Corrado Ezio Barachetti che si
BENEFICI
blocco della mobilità”. “È improbabile – afferma – che un
lavoratore oggi tutelato
dall’articolo 18 decida di spostarsi, firmando un nuovo
contratto che invece non lo
prevede. Alcuni lo faranno
perché non temono il licenziamento, ma altrettanti non
ne vorranno sapere”. Non si
occupa di contrattazione nazionale. Il dirigente sindacale
fa notare alcuni punti incongruenti della norma di legge.
Matteo Renzi ha sbandierato
più volte l’abolizione dei
co.co.pro, ma il testo parla solo di “superamento”.
“Richiami che non possono
essere scambiati con la sua
abolizione, così come la semplice individuazione delle forme contrattuali esistenti, in
ragione di una loro semplificazione, non può valere un
reale disboscamento in favore
di poche forme contrattuali”.
Al di là di quello che si pensa
sul demansionamento – e su
queste pagine abbiamo già
spiegato ampiamente come
cambia, in peggio, la normativa – il provvedimento, fa notare la Cgil, punta a “un’azione
unilaterale del governo” visto
che la nuova regolarizzazione
“può” e non “deve” definirsi in
sede di contrattazione collettiva anche di secondo livello.
Secondo il presidente del
Consiglio, poi, il contratto a
tutele crescenti diventerà la
norma dei rapporti di lavoro
ma nel provvedimento non si
parla mai di abolire i contratti
a termine acausali, quelli che
prevedono fino a cinque rinnovi in 36 mesi senza specificazione della causale: come si
può ritenere che agli imprenditori convenga di più quello a
tutele crescenti, si chiede Barachetti?
Infine, per i licenziamenti
economici si definisce un indennizzo “certo e crescente”.
Vuol dire, quindi, che verrà
esclusa “l'attuale discrezionalità del giudice nello stabilire il
giusto compenso”? Oppure il
“certo” “sarà puntualmente
declinato nei suoi valori?
Quali?”. Le domande sono più
delle risposte. Così come i pasticci di una legge che non è
ancora legge.
Una manifestazione per il lavoro Ansa
RITARDO DOPO L’ALTRO
Poletti: operativi fra tre mesi
icenziamenti troppo facili. Decreti attuativi rinviati nel tempo. Il cammino del
L
Jobs Act è fatto di ostacoli e colpi di scena che
dovranno stabilire moltissimi aspetti lasciati
in sospeso dalla legge-delega. Tra cui proprio
la questione dell’indennizzo. Riferendosi alle
si susseguono a ritmo crescente.
cifre rese note dalla Uil (vedi articolo sopra), il
Prendiamo il caso dei decreti attuativi. Matteo responsabile economico del Pd, Filippo TadRenzi aveva assicurato con grande enfasi che dei, le definisce improbabili, anzi “un po’ bassarebbero stati pronti entro il mese di dicem- sine”. Lasciando quindi immaginare un inbre in modo da far divenire operative le norme tervento in tal senso nei decreti attuativi (la
già dal prossimo gennaio. Anche in questo scrittura di questi testi sarà molto laboriosa)
caso il premier ha peccato di ottimismo, o di La denuncia della Uil, in ogni caso, non ha
presunzione. Ieri il ministro del Lavoro, Giu- mancato di provocare una discussione all’inliano Poletti, infatti, ha assicurato che i decreti terno del Pd. Il presidente della commissione
non saranno pronti “prima di tre mesi”. “In Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, si è riotto mesi - ha affermato - abbiamo approvato ferito al problema in questo modo: “L’indenuna delega che riguarda tutte le tematiche del nizzo in caso di licenziamento per le nuove
lavoro e abbiamo preso l’impegno di fare en- assunzioni con il contratto a tutele crescenti tro tre mesi tutti i decreti atspiega - deve essere superiore
tuativi. Nessuno in passato ci
allo sgravio contributivo, alaveva mai pensato, noi lo abtrimenti si potrebbero geneBRUTTE FIGURE
biamo fatto”. Resta il problerare atteggiamenti opportuma di una tempistica che vieda parte di alcune imIl premier aveva assicurato nistici
ne disattesa anche se, ancora
prese. Ci auguriamo che il laieri, presente a Milano
voro di correzione in atto al
che i provvedimenti
all’Univesità Bocconi, la preSenato tocchi questi temi olsarebbero stati pronti
sidente del Fmi, Christine Latre a quello dell’aggiunta di almeno 400 milioni di euro per
garde non ha mancato di esientro l’anno. Il ministro fa
gli ammortizzatori sociali e
bire i proprio appoggio alla
del blocco dell’aumento dei
nuova legge sul mercato del
retromarcia: per i decreti
lavoro.
contributi previdenziali per le
ci vuole tempo
Partite Iva autentiche”. L’ipoI decreti sono decisivi perché
tesi di un emendamento
del Pd in tal senso sembrava prendesse corpo in
serata al Senato ma, raggiunta dal Fatto, la capogruppo democratica in
Commissione Lavoro, Annamaria Parente, ha
smentito un intervento di
tale misura. E lo stesso Filippo Taddei si è detto
Il premier Matteo
convinto che non possa esRenzi LaPresse
serci un nesso tra la legge
di Stabilità e il Jobs Act, anche perché quest’ultima “non è ancora legge definitiva”.
In questo dibattito fatto di ritocchi normativi
e di posizionamenti tattici punta a inserirsi nel
modo migliore il sindacato. Per lo meno Cgil e
Uil che ieri hanno presentato, in una conferenza stampa congiunta (anche questa una
novità) le ragioni dello sciopero generale del
12 dicembre. “Così non va!” sarà il titolo della
giornata che si articolerà in tutta Italia con 54
manifestazioni, 10 regionali, 5 interprovinciali e 39 territoriali. L’obiettivo hanno spiegato
Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo “è
cambiare le politiche del governo” sia sul lato
del Jobs Act che su quello della legge di Stabilità.
sal. can.
ANTITRUST Maxi
multa per spot
contro le banche
Antitrust ha multato “Sdl CenL’
tro Studi”, con una sanzione di
100.000 euro, per una pubblicità in-
gannevole/comparativa illecita che
pubblicizzava la soluzione dei problemi per i correntisti che hanno rapporti con le banche. Iniziativa che riceve il plauso dell’Adusbef che aveva
denunciato il 4 aprile 2014 ad alcune
Procure e all’Antitrust. Sdl, si reclamizza come: "Una realtà capace di
fornire supporto ad aziende e famiglie, attraverso una metodologia che
comprende una prima fase, dedicata
a predisporre check-up gratuiti su
tutti i suoi prodotti/servizi offerti, al
fine di ripristinare la correttezza dei
rapporti tra il sistema finanziario/bancario e imprese e famiglie".
L’Adusbef rileva come "Sdl promette
check - up gratuiti su tutti i suoi servizi
che sono invece a pagamento con costi minimi di 1.575 euro, oltre al 25%
del valore che riesce a recuperare nei
confronti delle banche .
8
EUROPROBLEMI
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
Icontinua
l surplus tedesco
a salire:
a ottobre 20 miliardi
LOCOMOTIVA tedesca? A stare ai dati - scoperti
anche dal governo italiano dopo le recenti risposte
dei sottosegretari Delrio e Gozi alla Merkel - più
che altro l’ultimo e il più pesante dei vagoni da portarsi dietro. La bilancia commerciale tedesca, infatti, mostra per l’Unione persino dati peggiori del
mese precedente: il surplus commerciale è infatti
salito a 20,6 miliardi di euro dai 18,6 miliardi di
settembre. Questo risultato - che secondo palazzo
Chigi sta uccidendo l’Europa (e anche secondo la
Commissione, anche se ancora non ha avviato la
relativa procedura d’infrazione) - è stato realizzato,
nonostante un calo delle esportazioni dello 0,5%,
“grazie” al crollo delle importazioni, scese a ottobre
addirittura del 3,1% dopo il +5,2% del mese prima.
Se Berlino accumula crediti con l’estero, invece, la
La Grecia torna nel caos
Ue e mercati temono il voto
PIL A PICCO, DISOCCUPATI AL 26%, MA PER LA TROIKA IL PROBLEMA È SE VINCE TSIPRAS
di Marco Palombi
L
a realtà ha il vizio di
sbucare fuori nel racconto
pubblico
quando meno te lo
aspetti. Erano ancora nell’aria i
peana di quelli che la Grecia era
uscita dalla crisi, che la medicina magari è amara - e il dottore
tedesco non troppo simpatico ma fa tanto bene e invece tra
manifestazioni di piazza, sondaggi e questo spiacevole fatto
che certe volte è necessario fare
le elezioni il banco è saltato
un’altra volta: governo in bilico,
investitori in subbuglio, nuvole
sull’Italia. E, ovviamente, Borse
europee a picco: Atene ieri ha
lasciato sul terreno il 12,78% (il
peggior ribasso da 27 anni), Milano il 2,81%, Madrid il 3,79%,
Londra il 2,14%, Francoforte il
2,21%, Parigi il 2,55%. A fine
giornata s’erano volatilizzati
quasi 220 miliardi.
PER CAPIRE cosa succede oc-
corre andare per gradi. La Grecia - che negli anni della Troika
ha perso un quarto del Pil rispet-
to al 2007 e ha una disoccupazione sopra il 26% - quest’anno
dovrebbe crescere di un misero
0,6% (ma l’anno prossimo, promettono a Bruxelles, si ritorna a
galoppare). I greci non sembrano convinti che la medicina gli
abbia fatto bene e nei sondaggi
premiano i partiti anti-Troika:
in particolare Syriza, partito di
sinistra guidato da Alexis Tsipras, risulta primo nei sondaggi.
Lo è da tempo, ma oggi il dato
spaventa i creditori visto che le
elezioni anticipate sono assai
probabili: se il 17 dicembre non
-2IL,TONFO
81%
DI MILANO
LaPresse
si riuscirà ad eleggere il nuovo
presidente della Repubblica
(l’uscente è Karolos Papoulias),
la legge greca prevede che si tengano le elezioni politiche.
E qui la tolleranza per la democrazia di istituzioni internazionali (Bce, Unione europea e Fmi,
che in trio fanno la Troika) e
mercati si ferma: i greci non possono e non devono votare Syriza. La sinistra greca (che, comunque la si pensi in proposito,
non è affatto anti-euro come
scrivono i giornali italiani) ha in
programma l’uscita immediata
dall’ombrello della Troika, la
denuncia del Fiscal Compact e
una conferenza europea per tagliare il debito dei paesi in crisi.
Roba largamente irrealizzabile,
forse persino velleitaria, ma che
basta a mandare fuori di testa
chi sulla crisi greca continua a
guardagnare.
Joerg Sponer, per dire, analista
di Capital Group (uno dei più
grandi fondi d’investimento del
mondo), è stato uno degli invitati al meeting londinese in cui
Syriza - un paio di settimane fa ha esposto il suo programma alla City. La sua reazione è affidata
a un appunto riservato svelato
dal Financial Times lunedì: sarebbe “peggio del comunismo”,
“un caos totale”. Segue pacata
dichiarazione: “Tutti siamo
usciti da lì volendo vendere tutto quel che abbiamo in Grecia”.
IERI, quando è diventato probabile che il premier Antonis Samaras non riuscirà a trovare i
180 voti (su trecento) necessari a
eleggere il nuovo capo dello Stato s’è scatenato l’inferno o meglio l’incubo “comunismo” di
quelli che da capitali lontane
fanno soldi coi soldi ad Atene.
Che le speranze siano poche,
d’altronde, lo testimonia lo stesso candidato di Samaras e del
partito Nea Dimokratia: Stavros
Dimas, un tecnocrate senza appeal il cui picco curriculare è
l’esperienza da commissario Ue
all’Ambiente (cosa che in Grecia
non è necessariamente un vantaggio presso l’opione pubblica). Il commissario europeo agli
Affari economici, Pierre Moscovici, ha tentato di minimizzare:
“Samaras sa dove sta andando,
il Fatto Quotidiano
Francia si conferma un paese che si sta mettendo
sempre più nei guai in termini di debito con l’estero:
la bilancia commerciale di Parigi a ottobre si chiude
con un deficit di 4,6 miliardi (rispetto ai 4,7 miliardi
di settembre): a fine anno dovrebbe comunque superare i 50 miliardi. Difficile per Parigi mantenere a
lungo un ruolo di rilievo se i suoi debiti con gli altri
paesi, Germania in testa, continua ad aumentare.
ITALICUM Il Pd propone
liste bloccate (a metà)
iter della legge elettorale riparte in Senato.
L’
Ieri la senatrice del Pd, Anna Finocchiaro, ha
presentato in commissione Affari costituzionali gli
emendamenti all’Italicum, di cui è relatrice. Tra le
proposte - anticipate a palazzo Chigi dopo un vertice tra le forze che sostengono il governo - c’è
l’innalzamento del premio di maggioranza al 40%,
anzichè al 37, da applicare solo alla lista (spariscono le coalizioni). Un’altra modifica importante
riguarda la soglia di sbarramento, abbassata al 3%,
per far contenti i piccoli partiti. Infine per l’elezione della Camera (il Senato dovrebbe essere abolito) si crea un sistema misto: un po’ liste bloccate
e un po’ no. Nei cento collegi plurinominali, infatti,
il capolista (che può candidarsi in massimo dieci
collegi) sarà “bloccato”, per gli altri si possono
usare due preferenze con alternanza uomo-donna:
in questo modo, però, solo il Pd e - in pochi casi Forza Italia e M5S eleggeranno qualcuno con le
preferenze, gli altri se li nomineranno i segretari.
CROLLANO LE BORSE
Ieri Atene ha chiuso sotto
del 12,7%, Milano del 2,8,
Londra del 2,2%: bruciati
220 miliardi in Europa.
L’uomo di Capital Group:
”Syriza peggio dell’Urss”
credo che i mercati dovrebbero
sentirsi più sicuri di quanto fossero stamattina”.
I mercati, però, che sono testardi almeno quanto la realtà, più
che altro hanno tenuto conto del
segnale arrivato dall’Eurogruppo lunedì: il patronage della
Troika sul governo greco - che
potremmo meno elegantemente definire potere di ricatto - è
stato prolungato a marzo (Samaras chiedeva di essere liberato a fine anno per potersi giocare
la probabile campagna elettorale con le mani libere). La Ue, la
Bce e il Fmi, però, amano i governi con le mani libere giusto
un po’ più dei popoli con le mani
libere, cioè non abbastanza e
non hanno intenzione di lasciare Samaras libero di fare una
campagna elettorale “clientelare”: il loro compito, d’altronde, è
garantire il rientro dei miliardi
dati in prestito ad Atene al tasso
del 5% e dispari (pudicamente
chiamati “aiuti”) e non altro.
COME CHE SIA il ballo macabro
attorno alla Grecia è ripartito e
ovviamente questa è una pessima notizia anche per l’Italia: le
tensioni sui mercati possono rapidamente tornare ad essere
una tempesta perfetta sul modello di quella dell’estate 2011. A
quel punto la battaglia sullo zero
virgola intrapresa con la Commissione europea sembrerà
quello che è: un esercizio ridicolo.
PRIMA CHE SIA TARDI
L’azzardo di Samaras per restare vivo
di Roberta Zunini
a Borsa di Atene è crollata,
L
subito. Ma il morale di
molti a Bruxelles è salito. Eu-
roscettici ed europeisti, seppur
da prospettive diverse e con finalità divergenti, hanno reagito bene alla decisione del premier greco Samaras. Dopo settimane di indecisione, il primo
ministro conservatore greco,
ha deciso di anticipare al 17 dicembre il primo round di votazioni per la nomina del nuovo presidente della Repubblica
LA SCOMMESSA
Il nuovo capo
dello Stato va eletto
a dicembre: siccome
il premier non ha i voti,
probabilmente si andrà
a elezioni anticipate
previsto per metà febbraio. Il
vero motivo dell’anticipazione
è prima di tutto arrivare a indire nuove elezioni politiche.
Se non verrà infatti individuata
una maggioranza qualificata di
180 voti su 300, e l’esecutivo di
unità nazionale ne ha solo 154,
il presidente uscente della Repubblica, Papoulias, sarà costretto a sciogliere il Parlamento e dunque a indire nuove
consultazioni. Ma perché se i
sondaggi danno in testa col
32% circa dei voti la sinistra radicale di Syriza, Samaras ha deciso di compiere questo passo
prima del tempo? “Il governo
deve rimuovere le incertezze
che sono emerse negli ultimi
tempi e ristabilire il più presto
possibile la stabilità politica accelerando le elezioni del presidente della Repubblica”, ha risposto Samaras.
MA È UNA SPIEGAZIONE che
non convince e non chiarisce la
situazione che va ovviamente
legata alla questione degli ac-
Protesta ad Atene Ansa
cordi con la Trojka. L’altro
giorno i ministri delle Finanze
della Ue hanno infatti deciso
che la Grecia sarà ancora almeno per due mesi nel programma di salvataggio. Il perché il
capo del governo abbia deciso
di correre questo rischio è semplice da spiegare per Vassilis
Primikiris, membro della segreteria di Syriza: “La risposta di
Samaras è fasulla. Lui è stato
costretto ad anticipare le elezioni presidenziali non per le
incertezze emerse ma perché
nella data stabilita non avrebbe
comunque trovato i 180 voti (e
quindi le elezioni politiche sarebbero state inevitabili) con
un bel problema in più però e
cioè che a febbraio sarà costretto a procedere con le richieste
della Troika di nuovi tagli e innalzamento di tasse a causa del
memorandum. Misure che l'opinione pubblica, che alle europee ha scelto Syriza come primo partito, non tollererebbe”.
Insomma Samaras si gioca il
tutto per tutto ora perché ha
ancora una debole chance di
scamparla, ma non l’avrebbe
più a febbraio. “Qui in Grecia la
situazione è tragica, c’è uno
scollamento sempre più grande
tra il governo e la gente, una
trentina di parlamentari la settimana scorsa sono usciti dai
partiti di maggioranza: Nea
Demokratia e Pasok. E se anche
Samaras proponesse per assurdo come presidente della Repubblica il nostro padre nobile,
Manolis Clezos, noi non lo voteremmo perché bisogna andare a elezioni anticipate”, conclude Primikiris.
Il governo è stato costretto ad
ammettere che il piano di salvataggio della Troika non si
chiuderà a fine anno, come sperava appunto Samaras per motivi elettorali. La Troika chiede
una correzione dei conti di 2,5
miliardi anche il prossimo anno, mentre Atene puntava a
uno stop definitivo dell’austerity. In attesa delle ultime tranche dei 240 miliardi di euro di
prestiti, la Grecia dovrà restare
almeno per la prima metà del
2015 ancora sotto il controllo
delle istituzioni internazionali.
“Chi voterà per il nuovo presidente voterà per prolungare
la politica di rigore che ha portato la disoccupazione al 26%”,
ha dichiarato ieri il leader di
Syriza, Alexis Tsipras.
10
STORIE D’ITALIA
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
A
ncona, spara
a moglie e figlio di
5 anni. Poi si uccide
ERA UN APPASSIONATO DI ARMI Daniele Antognoni, il 38enne che ieri mattina alle 11.30 ha ucciso a Numana, in provincia di Ancona, la moglie e il
figlio di 5 anni e si è poi suicidato. L’uomo faceva il
commerciante, abitava dai genitori e aveva il permesso di detenere armi per uso sportivo. Prima ha
telefonato a Paula Andreia Corduneanu, 28enne romena, annunciando il suo arrivo. La donna ha chia-
il Fatto Quotidiano
mato il 112. Ma i carabinieri sono arrivati tardi. Entrato nell’appartamento l’uomo ha esploso otto colpi contro la moglie e il piccolo di cinque anni, dopodiché si è suicidato. I coniugi non erano ancora
separati. Il giorno prima della strage l’uomo aveva
scritto su Facebook: “Il bambino è l’unica cosa che
mi è rimasta. I figli sono l’unica cosa che conta, il
resto è solo qualcosa che non sai se rimarrà o no”.
“Loris ucciso con cinismo”
Ma la mamma non crolla
I PM: LA VERSIONE DELLA DONNA “CONFLIGGE CON I VIDEO”. INTERROGATA
HA NEGATO TUTTO. POI È STATA TRASFERITA IN CELLA. LA FOLLA: “ASSASSINA”
di Giuseppe Lo Bianco
L
Ragusa
oris aveva otto anni e
per la procura la sua
mamma lo ha strangolato in casa, forse
con fascette da elettricista nei 36
minuti in cui Veronica e suo figlio sarebbero rimasti soli, e poi
con una freddezza insospettabile ha caricato il corpo in auto dirigendosi sulla provinciale 35
per poi svoltare a destra “immettendosi nella strada poderale che conduce al Mulino Vecchio”, dov’è stato trovato Andrea, come recita il decreto di
fermo per omicidio volontario
aggravato e occultamento di cadavere firmato ieri dal procuratore Carmelo Petralia e dall’aggiunto Marco Rota.
MA LEI, Veronica Panarello, ne-
ga tutto, e alla fine dell’ultimo
interrogatorio subito da indagata, ieri, ha ripetuto tra le lacrime:
“Io collaboro ma non ho ucciso
mio figlio”. Ma i primi a nutrire
dubbi sono sua madre e sua sorella: nel pomeriggio del giorno
del delitto, quando la sua versione comincia a vacillare, gli investigatori mettono sotto controllo i telefoni dei parenti. E salta
fuori questa intercettazione tra
la sorella, che ha appena finito di
partecipare al sopralluogo al
Mulino Vecchio, e la mamma di
Veronica. La sorella: “La fontanella, lì è stato trovato il bambino, lo sai come mi sono sentita? (...) Lei ha potuto prendere
al contrario con la macchina e
andarsene a Donnafugata, mi è
caduto il mondo addosso”. La
madre: “Noi non abbiamo colpa
Linuzza, se questa è alienata”.
Ancora la sorella: “No, mamma
è per il bambino”. La madre: “Il
bambino non
c’è più gioia
mia”. La sorella: “Buio che
era mammà,
buio che era
(...) il luogo lei
lo conosceva,
no che dice di
non sapere
dove era il
Mulino”.
Conclude la
madre:
“Si
certo, ci veniva sempre lei a
prendere l’acqua con me”.
E ieri sera, con il marchio d’infamia di una moderna Medea, i
pm l’hanno trasferita nel carcere
catanese di piazza Lanza dove ad
accoglierla c’erano un centinaio
di persone che si sono unite ai
detenuti in un solo urlo: “Assassina, assassina, devi morire’’.
ERA COMINCIATA sabato 29
novembre come una storiaccia
di sesso, bugie e videotape nel
cuore della provincia operosa
del commissario Montalbano, a
Santa Croce Camerina, nel
sud-est della Sicilia: ma di violenze sessuali nel decreto non c’è
traccia e le bugie sono contestate, punto per punto, dall’avvo-
fine si arriverà alla verità”.
In un’inchiesta fortemente indiziaria che si avvia a diventare
molto simile a quella di Cogne
restano i videotape, ovvero le
immagini raccolte dalle 42 telecamere disseminate per le strade del paese e depurate dai tecnici della scientifica di tutti i “rumori video’’ che consegnano
agli investigatori tre scene difficilmente compatibili con le parole di Veronica: 1) quella mattina vicino la scuola nessuno ha
LA DIFESA
L’avvocato Francesco Villardita: “La mia assistita
ha ribadito che i bimbi sono entrati nell’auto e che
li ha portati a scuola. Non ha fatto ammissioni”
L’INTERCETTAZIONE
Dopo il ritrovamento del corpo, la mamma
e la sorella di Veronica nutrono dubbi sulla sua
versione. “Non abbiamo colpa, questa è alienata”
cato Francesco Villardita, difensore della donna, che ora parla
di indagini “leggermente frettolose’’, mette in guardia dal creare mostri e si dice “certo che alla
visto il bimbo e nemmeno l’auto, che non compare nelle immagini di nessuna telecamera.
Su questo punto l’avvocato Villardita ha detto di avere pronti
Veronica Panarello dopo il fermo Ansa
“alcuni testimoni’’, e tra questi
forse anche una vigilessa. 2) le
immagini della telecamera del
negozio di fronte casa Stival riprendono “la figura riconducibile al bambino di maggiore età”
che invece di entrare in auto per
andare a scuola tornava “molto
velocemente nel ballatoio che
conduce al portone d’ingresso”
dell’abitazione degli Stival e
“spariva introducendosi all’interno dello stabile”.
MA L’AVVOCATO sostiene che
la figura, ripresa dalla telecamera a oltre 50 metri, è troppo opaca per poter individuare Andrea. 3) Nei sei minuti di buco,
secondo l’accusa, Veronica ha
raggiunto il Mulino Vecchio, ha
scaricato il corpicino nel canalone, ed è tornata indietro, verso
casa, dove è rimasta appena tre
minuti, prima di dirigersi a
Donnafugata. Lei dice di essere
andata in quella strada, l’unica
con i cassonetti, per gettare l’immondizia. Ora il gip deciderà
entro oggi, o al massimo domani, di convalidare o meno il fermo. La procura ha disposto un
prelievo del Dna di Veronica
per confrontarlo con i reperti
eventualmente utili, a partire
dalle fascette semibruciate trovate sul luogo del ritrovamento
del corpo da un inviato della trasmissione Chi l’ha visto.
Non sulle forbici sequestrate a
casa della donna: quella era una
bufala.
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE
di Antonella Mascali
S
Sbarre e Arcobaleno: nel carcere
delle 70 madri assassine
e Veronica Panarello dovesse essere condannata per
l’assassinio di suo figlio Loris, 8
anni, e se i giudici dovessero ritenerla, in base a una perizia di
esperti, incapace di intendere e
di volere e socialmente pericolosa, allora per lei si aprirebbero
le porte dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione
delle Stiviere, in provincia di
Mantova, l’unico ad avere una
sezione femminile e l’unico a
non essere gestito dalla Polizia
penitenziaria. È una struttura
della Asl, gestita solo da medici e
infermieri, che ha una convenzione con il ministero della Giustizia. Attualmente ospita 70
donne. Sono quattro i reparti:
Il cortile esterno dell’ospedale di Castiglione delle Stiviere LaPresse
Arcobaleno, che è quello femminile, Virgilio e Aquarius, i reparti maschili e poi c’è un’ “area riabilitativa” e ma è sopravvissuta. O la mamma che ha ucciso il
una comunità (mista), all’esterno, in un’area figlio buttandolo dalla finestra. La sezione Arcobaleno si trova al piano terra e ha 4 reparti destinati
adiacente alla struttura.
a pazienti condannati con diversi gradi di patoNELL’OSPEDALE psichiatrico giudiziario di Ca- logia. Nelle camere, con due o tre letti ci sono arstiglione delle Stiviere tanti i casi di donne che madi con doppia chiave: una per le “ospiti” e una
hanno ucciso i propri figli. Come, per esempio, la per gli operatori. In tutte le stanze, con le sbarre ai
mamma che si è buttata nel lago con i suoi due figli vetri, c’è un climatizzatore. Le donne con più gravi
e uno l’ha fatto affogare. O come un’altra mamma problemi psichici possono stare nelle proprie cache ha ucciso la figlia di 4 anni e poi si è accoltellata, mere dalle 13 alle 15, per il riposo pomeridiano e
dalle 19 alle 8 del mattino, per quello notturno.
Tutto questo per evitare l’isolamento. Negli spazi
comuni c’è la sala da pranzo e la televisione. Nella
struttura con parco ci sono anche una piscina e
una palestra. Dal 2000 ci sono stati 3 suicidi. Le
evasioni sono arrivate anche a 5-6 l’anno.
Alla dottoressa Cristina Cofano, psichiatra
dell’ospedale di Melzo, abbiamo chiesto se le donne che uccidono i propri figli hanno delle caratteristiche comuni: “Ogni storia è a sé, ma se vogliamo schematizzare, possiamo dividerle in due
categorie. Le madri con una patologica immaturità, centrate su se stesse. Non tollerano la presenza del figlio, totalmente dipendente da loro,
perché rappresenta un impedimento alla propria
realizzazione. A questo proposito mi viene in
mente una mamma che voleva fare carriera nel
mondo dello spettacolo e ha ucciso il figlio perché
lo riteneva un ostacolo. Oppure sono madri profondamente sofferenti, affette da depressione grave. Di solito dopo aver eliminato il figlio si suicidano, o ci provano. Sono le madri che soffrono di
‘delirio di rovina’, non vedono alcuno spiraglio nel
mondo e prima di uccidersi, o di provarci, uccidono il figlio per un eccesso d’amore patologico,
per difenderlo da una società senza speranza. In
famiglia i segnali sono estremamente sottovalutati, queste donne sofferenti, in genere, non vengono mai portate da medici”.
DOTTORESSA COFANO, ci sono donne che uc-
cidono il proprio figlio e poi lo negano con convinzione. Ma davvero possono aver rimosso? “Si
possono commettere dei gesti talmente gravi che
la mente dell’omicida si dissocia per proteggersi.
In termini semplici, la coscienza si sdoppia”. Il caso di Veronica Panarello se venisse confermato,
come lo vede da psichiatra? “Se sarà dimostrata la
sua colpevolezza sono tanti gli elementi da appro-
fondire. Per esempio maltrattamenti in famiglia, la sua volontà
o meno di avere quel figlio a 17
anni, un forte disturbo di personalità. Anche in merito al suo
comportamento attuale davanti
agli inquirenti non ci sono risposte certe. È innocente? È colpevole ma ha rimosso l’omicidio del figlio? O è in malafede? Ma se
non dovesse crollare e dovesse essere colpevole è
più probabile che abbia rimosso. Comunque, solo
il tempo ci potrà dire che cosa sia accaduto veramente”.
SECONDO LA PSICOLOGA Paola Vinciguerra,
presidente di Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), sono tre le spie che
devono far scattare l’allarme in famiglia: “Se le persone hanno grossi sbalzi di umore, se sono in alcuni momenti molto nervose, aggressive, intolleranti e in altri momenti estremamente amorevoli e
stucchevoli, allora c’è un disagio. Se la persona
passa da un eccessivo accudimento e attenzione
nei confronti di un figlio a momenti di grande aggressività e intolleranza rispetto anche ad atteggiamenti normali dei bambini, vanno monitorate.
Anche una profonda rigidità nei confronti di un
figlio nasconde qualcosa di non sano. Secondo indicatore di pericolo: la mitomania. Se notiamo che
un nostro familiare racconta cose che noi sappiamo non essere vere e se ha la tendenza a non raccontare le cose in modo aderente alla realtà, allora
attenzione. Terzo: il vittimismo e le sensazioni
persecutorie o il fanatismo religioso”.
10 DICEMBRE 2014
BUONI PASTO
PER TUTTI
il FATTO
ECONOMICO
» Poche grandi aziende
si contendono a colpi
di ribassi colossali
il mercato crescente
di ticket restaurant
11
MERCATO
VS MAFIE
PATRONATI,
VIVA I TAGLI
» La riduzione dei fondi
del governo non è uguale
per tutti: più soldi
ai maggiori sindacati,
nulla ai piccoli
» Il primo passo
per sconfiggere la
criminalità organizzata
è prosciugare il suo
brodo di coltura
All’interno
BANKITALIA DISTRATTA A Trieste e in Friuli bruciati da
due cooperative 130 milioni di risparmi. I supermercati
raccolgono e impiegano 11 miliardi contro ogni regola
IL MIRACOLO COOP:
LA GRANDE BANCA
ALL’INSAPUTA
DELLA VIGILANZA
di Giorgio Meletti
A
lla Banca d'Italia devono essere
un po’ distratti. Ci sono circa 11
miliardi di risparmi degli italiani depositati presso i supermercati a marchio Coop e gli
occhiuti vigilantes del governatore Ignazio Visco nemmeno lo sanno. O fingono di non saperlo. La storia della banca sommersa di nome Coop è una utile chiave di lettura
per lo scandalo Mafia Capitale. L’ormai celebre
foto dell’attuale ministro del Lavoro e allora presidente di Legacoop Giuliano Poletti con il ras della cooperativa 29 giugno Salvatore Buzzi non segnala indicibili complicità o silenzi ma una realtà
alla luce del sole: alle cooperative, bianche, rosse o
nere, tutto è permesso. E secondo una retorica ben
rodata chi le critica è un nemico del popolo, anche
quando al popolo fanno sparire i risparmi.
Il problema della banca clandestina è stato sollevato dal Fatto un anno fa. Se uno porta i suoi soldi
in banca, in caso di crac dell'istituto prescelto il
suo deposito è garantito dal Fondo interbancario
di garanzia. Se uno porta i soldi alla Coop, invece,
non c’è nessuna garanzia. Enrico Migliavacca , vicepresidente dell'Associazione delle cooperative
di consumo, scrisse al Fatto: “È falso affermare che
siano a rischio 10 miliardi di risparmi delle famiglie”. I fatti hanno smentito tanto ottimismo. A
Trieste la Cooperative Operaie ha fatto crac al termine di un'acrobatica agonia su cui sta facendo
luce la magistratura, e si sono volatilizzati 103 milioni di risparmi di 17 mila risparmiatori. Subito
dopo, in Friuli, è saltata la CoopCa, la cooperativa
della Carnia. Altri 30 milioni di risparmi. È un
mondo a due velocità. I clienti della Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo commissariata dalla
Banca d'Italia e il cui direttore generale, accusato
del crac, è imputato di associazione a delinquere,
non hanno perso un euro. I clienti delle Coop,
invece, con il crac rischiano di perdere tutto.
COM'È POSSIBILE? Basta chiamarsi cooperativa,
come insegna il maestro Buzzi. Nella citata missiva
Migliavacca affermava con nettezza: “Coop non è
una banca”. Infatti la raccolta del risparmio che
organizza in ogni suo punto vendita (11 miliardi di
euro, circa dieci volte la raccolta della Tercas) si
chiama “prestito soci”. Il Fatto ha posto alla Banca
d’Italia la seguente domanda: “Esiste una forma di
vigilanza sul cosiddetto “prestito soci” delle cooperative?”. La risposta è stata: “No. In base
alla legge, la Banca d’Italia è
competente per la vigilanza sulle banche”. Una
seconda, più stringente,
domanda (“Un’attività
definita di ‘gestione della
liquidità dei soci’ può essere svolta da una cooperativa?”), ha ricevuto una
risposta più stupefacente
della prima: “In assenza
di dettagli sulle specifiche
caratteristiche
dell’attività di ‘gestione
della liquidità dei soci’,
non è possibile affermare
se essa rientri o meno tra
le attività riservate agli
ricerca su Internet. Lo stesso Migliavacca di “la
Coop non è una banca” scrive nel “Decimo rapporto delle cooperative dei consumatori”: “Il prestito sociale è una forma di deposito a vista immediatamente liquidabile”. A vista. E continua: “I
soci prestatori possono utilizzare la carta SocioCoop per prelevare contante dal proprio libretto di
risparmio e trasferire denaro sul proprio conto
corrente bancario. Inoltre (...) i soci prestatori possono utilizzare la carta SocioCoop come strumento di pagamento della spesa e per il prelievo di contante alle casse dei punti di vendita”.
C'È ANCHE IL BANCOMAT. Un milione 218 mila
italiani hanno portato i loro risparmi alla Coop, cui
hanno consegnato mediamente 9 mila euro a testa,
per un totale di 10,86 miliardi che hanno fruttato
intermediari finanziari”. Per aprire una banca ser- interessi totali per 139 milioni di euro. Funziona
ve l'autorizzazione della Banca d'Italia e bisogna così: si va alla Coop, si diventa soci, si chiede di
sottoporsi alla sua vigilanza. Ma se uno apre una aderire al prestito soci, si ottiene un libretto tipo
banca seguendo due accortezze (non scriverlo quelli della Posta, si portano i soldi da depositare.
nell’insegna e non fornire dettagli alla Banca d'I- Ci sono vantaggi notevoli rispetto alla banca, per
talia) può fare quel che gli pare.
esempio nessun costo e, soprattutto, nessuna tracLa questione è quasi teologica. Che cos'è una ban- ciabilità. Comunque nessun vincolo. Il preavviso
ca? Nelle “Istruzioni di vigilanza” della Banca d'I- delle 48 ore previsto dal regolamento è una fortalia si trova la definizione: “La raccolta del rispar- malità dettata da qualche avvocato per far vedere
mio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle che si sta sopra le 24 ore previste dai regolamenti
banche, fatte salve le deroghe previste dall’art. 11, Bankitalia. Ma quando uno ottiene una tessera
comma 4, del T.U.”. La deroga riguarda il prestito magnetica con cui può pagare la spesa al supercon cui il socio finanzia l'attività della sua coope- mercato o addirittura prelevare il contante dal
rativa. Poi si legge: “Sono comunque precluse ai Bancomat, sempre con addebito sul suo prestito
soggetti non bancari la raccolta di fondi a vista e sociale, che cosa può più giustificare la finzione di
ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla non chiamare tutto questo una grande banca?
gestione di mezzi di pagamento”. Quindi chi fa Alla Banca d'Italia però si ostinano a far finta di
raccolta “a vista” o è una banca o delinque. Che niente. L’avvocato Stefano Alunni Barbarossa, a
cos’è la raccolta a vista? “La raccolta che può essere nome dei soci della cooperativa di Trieste che hanrimborsata su richiesta del depositante in qualsiasi no perso i loro risparmi, ha posto un quesito inmomento con un preavviso inferiore a 24 ore”.
terpretativo su una circolare Bankitalia sulla racAdesso vediamo le cose che i distratti della Banca colta del risparmio tra i soci da parte delle cood'Italia – dopo aver scritto le stringenti regole – perative.
potrebbero vedere con una sia pure superficiale Il direttore della sede di Trieste ha così risposto: “Si
fa presente che la Banca d'Italia fornisce riscontro diretto alle banche e agli altri sogGLI INVESTIMENTI PERSONALI
getti vigilati mentre, di regola, non dà risposta diretta ai
Oltre un milione di libretti distribuiti alla clientela
quesiti formulati da altri soggetti”. È la linea dura di semgarantendo che si tratta di “depositi a vista”, cioè ritirabili
pre: finché non arrestano
anche col Bancomat. Proprio ciò che la legge vieta a chi non qualcuno alla Banca d'Italia
piace far finta di niente.
ha apposita autorizzazione. Ma a Palazzo Koch non risulta
(ha collaborato Ivana Gherbaz)
IL VERO TABÙ
Vietato tagliare
i sussidi
alle imprese
di Stefano Feltri
ALTRO CHE ARTICOLO 18: in Italia c’è
un tabù che resiste a tutto: i sussidi alle
imprese non si possono tagliare. Poco importa che siano utili, meri regali o scandalosi furti alla collettività. Come documentato nel 2012 da La Stampa, di circa
33 miliardi versati dallo Stato alle aziende
quasi 30 finiscono a partecipate dallo
Stato per far risultare sostenibili bilanci
che altrimenti sarebbero in rosso. Da
consulente del governo Monti, Francesco
Giavazzi presentò un piano di tagli troppo
radicale e quindi dimenticato. Poi è arrivato Matteo Renzi che, nel programma
delle primarie 2013 per la segreteria del
Partito democratico, prometteva questo:
“Una riduzione del 20-25 per cento degli
investimenti e dei trasferimenti alle imprese. Base aggredibile: 60-70 miliardi.
Obiettivo di risparmio: 12-16 miliardi”.
Ora che è al governo il Pd renziano si
muove in tutt’altra direzione come dimostra questa vicenda istruttiva. Il deputato
di Scelta Civica Paolo Vitelli presenta un
emendamento alla legge di Stabilità che
voleva correggere una delle storture peggiori: per finanziare il taglio della componente lavoro dell’Irap, l’imposta sulle imprese, Renzi si è rimangiato lo sconto precedente assegnato per decreto a giugno
assieme agli 80 euro. Col risultato che
per molte aziende le tasse 2014 aumentano a sorpresa, aspettando le riduzioni
2015. L’aliquota Irap, scesa
dal 3,9 per cento al 3,5 torFINANZA
na al 3,9. Vitelli propone di
ROSSA
tenerla più bassa, al 3,62
Il sistema
per cento per limitare i
finanziario
danni. La copertura: tagliaparallelo
re i finanziamenti pubblici
del prestito soalle imprese con un mecciale visto
canismo studiato dall’ecoda Emanuele
nomista Riccardo Puglisi.
Fucecchi
Si limano di 1,4 miliardi
l’anno i trasferimenti pubblici usando un algoritmo
che privilegia i tagli sui sussidi vecchi a
mera copertura di perdite e limita al massimo la sforbiciata su quelli per ricerca e
investimenti. Così si evita il salasso generale per le imprese e il futuro taglio
dell’Irap si copre con una diminuzione di
privilegi antichi e spesso immotivati invece che da uno sgradevole aumento di tasse retroattivo. Niente da fare: il Pd ha
chiesto a Scelta Civica di ritirare l’emendamento. Al massimo se ne riparla in Senato, hanno detto. L’onorevole Vitelli si è
impuntato e il Pd ha votato contro. Così
nella legge di Stabilità restano soltanto i
tagli decisi da Renzi: altro che i “12-16 miliardi” promessi, soltanto 68 milioni nel
2015, 95 milioni nel 2016 e 18 milioni dal
2017. Noccioline. Vedremo se al Senato
qualcosa cambierà, ma è lecito dubitarne.
Così gli investitori stranieri da fuori guarderanno un Paese dove non c’è più l’articolo 18, ma resistono sussidi pubblici
che distorcono la competizione e premiano le imprese più vicine alla politica.
12
il FATTO ECONOMICO
10 DICEMBRE 2014
TICKET RESTAURANT I tagliandi che sostituiscono
la mensa aziendale ormai sono diventati una
moneta parallela. In mano a pochi grandi gruppi
IL PASTO È BUONO
MA NON PER TUTTI
di Carlo Di Foggia
N
ella guerra
dei “buoni”, sono in
pochi
a
vincere. Quello dei ticket
che sostituiscono la
mensa aziendale è un
mercato da 2,7 miliardi e
zero controlli: tra giganti
stranieri e arrembanti
italiani, Stato e privati
incassano i frutti di una
battaglia legale a colpi di
ribassi tra le società che
emettono i tagliandi, vera e propria moneta parallela usata per comprare di tutto. In mezzo, ci
sono 2,5 milioni di lavoratori (900 mila statali) e
oltre 120 mila ristoratori
esasperati dalle commissioni, fino al 15 per cento.
L’ultimo regalo ha tam-
ponato i malumori. La
potente federazione degli esercenti, con il supporto della società di
lobby Cattaneo Zanetto
(che assiste anche società emettitrici) ha ottenuto la defiscalizzazione fino a 7 euro per il buono
pasto (ferma a 5,29 da 15
anni), grazie a un emendamento Pd alla legge di
Stabilità. Un aiuto alle
aziende che non entusiasma gli esercenti. “Vale
solo per quello elettronico - spiega un ristoratore
- Il valore nominale dei
buoni salirà e così anche
l'importo della commissione”. In Francia, dove
è stato inventato, non
supera il 3 per cento. In
Italia, grazie alla doppia
aliquota Iva, le società
guadagnano prima ancora di chiedere l’aggio
ai ristoratori (45 centesimi su 5 euro), il mercato
continua a crescere. Finora il matrimonio d'interesse tra Anseb, l'associazione di categoria degli emettitori, e i ristoratori della Fipe, ha frenato
la rivolta. La paura di essere tagliati fuori da un
settore che assicura pur
sempre una clientela fissa ha fatto il resto.
COME PER I COLOSSI
pubblici, anche nel privato per ottenere i contratti migliori, quelli da
migliaia di clienti, le società si battono fino
all’ultimo sconto al committente, rifacendosi sui
ristoratori. Con i costi
dei servizi, un buono da 5
euro viene rimborsato,
con ritardi anche di mesi,
per meno di 4 euro. E chi
conosce il settore sa che il
peggio non è alle spalle.
A giorni, infatti, la Consip (la centrale acquisti
della Pa) darà il via alla
nuova gara nazionale per
gli impiegati statali. Un
maxi-appalto
che
nell’ultima versione valeva 910 milioni di euro.
Il 40 per cento del mercato (1,1 miliardi) passa
dalla mano pubblica.
“Chi vince i lotti regionali fa il colpo - spiega un
esperto del settore che
chiede l'anonimato perché le amministrazioni centrali sono obbligate a utilizzare i suoi
buoni pasto, mentre gli
enti locali possono scegliere se aderire, e di solito lo fanno perché nessuno offre di meglio: si
diventa
monopolisti,
con un potere enorme”.
DAL 2012, sulla carta i
bandi vengono assegnati
in base all’“offerta economica più vantaggiosa”. In pratica, denuncia
l'Anseb, il meccanismo
rimane il “massimo ribasso”: chi propone lo
sconto più alto vince. Il
sistema è complesso, si
difendono da Consip, e
considera anche la qualità del servizio. Ma l’ultima gara è finita con
sconti fino al 20,7 per
cento. Cifre irragionevoli. “Significa operare in
perdita o rifarsi sui ristoratori”, spiega Franco
Tumino, presidente di
Anseb. Le proteste e i numeri gli danno ragione.
Sempre più spesso, i
clienti si vedono rifiutare
alcuni ticket, sempre gli
stessi.
Stando ai valori di gara,
EDITORIA
“Meno fondi?
Lavoro a rischio”
N
egli ultimi due anni 32 testate hanno
chiuso i battenti, a causa delle difficoltà
del sistema dell’informazione, ma anche della
riduzione del sostegno pubblico. Altre 82 testate potrebbero essere costrette a farlo nelle
prossime settimane se il governo non assicurerà i rimborsi per il 2013 e non stanzierà i
fondi per questo e gli anni a venire. È l’allarme
lanciato da sindacati e associazioni di settore
in una conferenza stampa al Senato dal titolo
“Salviamo i giornali cooperativi o non profit”.
Degli oltre 50 milioni promessi per l’anno passato, il governo ne ha al momento messi a
disposizione meno della metà. Il sottosegretario con delega all’Editoria Luca Lotti è al
lavoro per reperire le risorse tra i fondi a disposizione della Presidenza del Consiglio e secondo le ultime informazioni - dovrebbe
presto essere garantita una somma comples-
CHI CI RIMETTE
Nella legge di Stabilità il Pd
ha alzato la soglia di esenzione
fiscale a 7 euro: un aiuto
a un settore sull’orlo
della rivolta per le commissioni
imposte ai ristoratori
le società dovrebbero
perderci. La maggior
parte dei bilanci, però,
non sono in rosso, anche
se gli utili risultano magri. Per i ristoratori la
colpa è dei “servizi aggiuntivi” che rifilano agli
associati, su “base volontaria”. “Dentro c'è di tut-
to, dalle commissioni
per essere pagati subito,
invece che a due mesi, alla pubblicità, fino all'idraulico - spiega un ristoratore romano mostrando le clausole in miniatura - Passano a pranzo per ‘aggiornare i dati’,
tu sei distratto e non sai
cosa firmi. Poi scopri che
la percentuale da dare è
passata dal 5 al 10 per
cento. E con i ritardi si
arriva al 20”. In un mercato senza controlli, con
grossi movimenti di liquidità che gonfiano i bilanci, il timore di infiltrazioni criminali è alto. Alcune relazioni della Direzione investigativa antimafia parlano di rischio riciclaggio.
La giungla dei buoni pasto Ansa
CASO VINYLS Dopo anni di lotte e promesse ecco le lettere di licenziamento
di Maddalena Brunetti
Cagliari
ame over”. La ViG
nyls di Porto Torres (Sassari) non esiste
siva di poco superiore ai 55 milioni per il 2013.
Per quanto riguarda il futuro gli stanziamenti
dovrebbero arrivare con emendamenti alla
legge di stabilità al Senato.
Il tema è stato lanciato ieri in prima pagina da
Manifesto che titola “Un solo padrino” con una
foto di Al Pacino con in mano il quotidiano e
l’editoriale del direttore Norma Rangeri. "Con
una scelta senza precedenti - si legge -, il governo taglia i rimborsi per l’editoria 2013 già
previsti nel bilancio dello stato e degli editori.
Una vera e propria decapitazione del Manifesto e di una parte dell’informazione. Nessuna logica economica spiega questa spending review. Se Palazzo Chigi non tornerà sui
suoi passi, di soldi ne dovrà spendere assai di
più per fronteggiare il fallimento di decine di
testate e il licenziamento di centinaia di lavoratori".
Infografica di Pierpaolo Balani
più e domenica scorsa gli
88 operai rimasti nello
stabilimento - che è stato
uno dei simboli della
chimica italiana prima e
della lotta per il lavoro
poi - sono stati licenziati
dopo cinque anni di cassa integrazione straordinaria. Sull’ingresso, sigillato con il nastro adesivo, campeggia la scritta
“Game over!!”, tracciata
con lo spray: una sorta di
GAME OVER
L’operaio che denunciò la storia
in tutte le tv: “Politici, ministri
e anche Napolitano ci hanno
presi per il culo. Tanti proclami
e poi più niente quando
si sono spente le telecamere”
ADDIO ALL’ISOLA
DEI CASSINTEGRATI:
TUTTI LICENZIATI
epitaffio alla storica battaglia de “L’Isola dei cassintegrati”. Era il febbraio del 2010 quando
un gruppo di operai della Vinyls – fabbrica che
produceva pvc (policloruro di vinile), già finita
in mano ai commissari
che cercavano investitori per rilanciare la produzione - decise di auto
recludersi nell’ex super
carcere dell’Asinara. Lì
diedero vita al “primo
reality reale”, rimanendo dietro quelle sbarre
per 15 mesi e riuscendo a
sollevare un clamore
mediatico
insperato.
Così mentre gli operai
spiegavano le loro ragioni ai microfoni dei telegiornali di mezzo mon-
do, iniziava anche la passerella dei politici pronti
a sbarcare sulla sabbia
bianca dell’Asinara carichi di promesse, esaurite
in quel “game over” che
da domenica campeggia
all’ingresso della Vinyls.
“Sono tanti. Ci hanno
preso per il culo in tutti
questi anni, specie i personaggi del mondo politico, venuti in passerella
all'Asinara e alla Torre
Aragonese sotto le luci
delle telecamere, per fotterci un briciolo di popolarità”. A parlare è Tino Tellini, ex cassintegrato della Vinyls e leader della protesta. Tellini che, in diretta ad Annozero, aveva risposto a
muso duro all’allora mi-
nistro dell’Economia
Giulio Tremonti, oggi fa
i nomi di chi ha speso in
parole senza poi far seguire i fatti. “Il primo che
viene in mente è Paolo
Romani, oggi capogruppo di Forza Italia al Parlamento, ex ministro
dello Sviluppo. In un ristorante a Porto Torres
mi disse che gli avrei potuto sputare in un occhio
se lui non avesse risolto
la vertenza. Non l'abbiamo più visto”.
E ANCORA: “Ma vorrei
parlare anche del nostro
presidente, di Giorgio
Napolitano. Ci coprì di
elogi al nostro incontro,
ma nella realtà non fece
nulla, al pari degli altri.
Ma ce n'è anche per coloro che prima erano all'opposizione e ora ci governano.
Prendiamo
Pier Luigi Bersani, venne
anche lui all'Asinara, fece l'amicone, ma quando
i fari della vicenda si
spensero si dileguò come
i suoi colleghi”, conclude
Tellini in una nota amara
nella quale ripercorre la
vicenda. Ospiti in diverse trasmissioni, ricevuti
dal presidente della Repubblica, gli operai dell’
“Isola dei cassintegrati”
sono diventati anche
protagonisti di libri e
film (il docufilm “Pugni
chiusi”, premiato alla
mostra del cinema di Venezia) ma quando nel
giugno 2011 hanno lasciato l’ex supercarcere,
sono lentamente scivolati nel dimenticatoio. Loro però hanno continuato a lottare e, soprattutto,
a lavorare: in questi anni,
tutti i giorni sono andati
allo stabilimento per garantire la sicurezza
dell’impianto chimico.
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
13
PRIVILEGI La riduzione dei fondi del governo non vale
per tutti: i grossi guadagnano di più, i piccoli spariscono
CGIL,CISL E UIL, CHE AFFARE
IL TAGLIO DEI PATRONATI
di Salvatore Cannavò
T
agliare i fondi ai patronati può diventare un
affare per quelli più
grandi, Cgil, Cisl e Uil in
primo luogo. Ma anche
Acli, Confcommercio,
Coldiretti e altri ancora.
È quanto sta avvenendo
con la legge di Stabilità,
attualmente in discussione al Senato. Il taglio
da 150 milioni di euro,
disposto dal governo, è
stato ridotto della metà
nella discussione della
Camera, ma non si abbatterà in modo uniforme sui 28 patronati nazionali ammessi alla ripartizione dei contributi. E così, 18 di questi rischiano di rimanere
fuori dal finanziamento. La stima dei posti di
lavoro perduti è di circa
4000 unità.
NEL TUTTI contro tutti,
succede che il leader del
mercato, la francese Edenred - 1,2 miliardi di fatturato - sia fuori dai bandi Consip: “Abbiamo
fatto offerte sostenibili,
altrimenti da qualche
parte devi rifarti”. Nel
2002 l'Antitrust comminò una multa da 34 milioni di euro – mai pagata
– a 8 società per aver fatto
cartello sulle offerte. Oltre dieci anni dopo, la situazione è ribaltata: ora
la concorrenza è feroce. I
due lotti più grossi (353
milioni di euro) dell'ultimo bando li ha vinti la
Qui Group di Gregorio
Fogliani, imprenditore
di origini calabresi trapiantato a Genova, dove
ha creato un impero da
mezzo miliardo di euro.
Secondo Anseb, ha proposto “prezzi insostenibili per altri operatori”,
tanto da vincere quasi
tutti i lotti, poi ceduti
perché la legge vieta il
vincitore unico. “Ci premiano per l’offerta tecnica, non per il prezzo: offriamo servizi innovativi
che permettono rimborsi istantanei”, replicano
dalla società. In un mercato dominato dai francesi (Accor, Sodexo
etc..), Qui Group cresce a
ritmi vertiginosi, più del
settore (ma ha utili striminziti: 994 mila euro).
Vicino all'Opus Dei e
con amicizie ad alto livello in Vaticano, negli anni
I lavoratori della Vinyls di Porto Torres Ansa
Pagati male e spesso in
ritardo, hanno continuato a sperare che un fantomatico investitore –
dal Qatar, dalla Svizzera
o dal Brasile – arrivasse
davvero. E invece, inesorabile, è arrivato solo il licenziamento a cui seguiranno pochi mesi di ammortizzatori sociali.
“GAME over”: si chiude
così la storia della Vinyls
nata nel 1986 come joint
venture tra Enichem
(l’azienda petrolchimica
di Eni) e gli olandesi di
Ici. Erano gli anni della
chimica rampante: gli stabilimenti di Ravenna, Porto Marghera e Porto Torres davano lavoro a oltre
400 operai. Ma poi iniziò il
declino, che divenne irreversibile nel 2008, quando
gli inglesi della Ineos, subentrati nel 2005, decidono di vendere tutto il comparto italiano. Cominciamo così gli anni delle illusioni con gli investitori che
sembrano interessati da
ogni parte del mondo ma
che poi non firmano mai.
Fino alla fine.
Fogliani ha conquistato
quasi tutti i colossi pubblici, dalle Ferrovie a Poste, passando per Eni,
Enel, Bankitalia, Corte
dei Conti e ministeri vari, per finire alla stessa
Consip. Da tempo promette la quotazione in
Borsa, e spende milioni
di euro in pubblicità. Nel
2012 si è preso il ramo
buoni pasto del gruppo
italo-francese Gemeaz
che gli ha portato in dote
la ricca convenzione con
la Compagnia delle Opere, il braccio economico
di Comunione e Liberazione.
GLI SCONTI PIÙ FORTI,
fino al 20,7 per cento, però, li ha fatti registrare la
Repas Lunch – 86 milioni di ricavi – controllata
attraverso una società
lussemburghese dall'imprenditore napoletano
Antonio Lombardi, attivo nelle agenzie interinali. Fino al settembre scorso, secondo azionista era
la Fedra, fiduciaria della
potente banca Finnat,
l’Istituto della famiglia
Nattino, vicina al Vaticano. Attraverso la Avagliano editore, Repas
controlla anche la Edizioni Lavoro, la casa editrice della Cisl, il sindacato che ha aperto i servizi della Qui Group di
Fogliani ai suoi 4 milioni
di iscritti. Oltre alla francese Day (17,5 per cento
di sconto), l’ultimo lotto
(88 milioni di euro) è andato alla napoletana Ep
di Pasquale Esposito, che
serve procure, comandi
Finanza e Ospedali.
A ottobre scorso, il Consiglio di Stato ha deciso
che non tocca ai Tribunali amministrativi bloccare le gare con i ribassi
troppo pesanti. Tutto,
quindi, è nelle mani della
Consip. La spending review impone di risparmiare. Chi ci rimettera?
LA SITUAZIONE di que-
sti enti è regolata dal
Fondo per i patronati,
che ammonta annualmente a circa 430 milioni di euro ed è composto, prima delle norme
della Stabilità, dallo
0,226 per cento del
monte contributi obbligatori versati agli enti
previdenziali. All’atto di
licenziare la legge di Stabilità il governo aveva
tagliato questo contributo di 150 milioni di
euro. Con l’approvazione dell’emendamento
della maggioranza il taglio è stato portato da
150 a 75 milioni di euro.
L’emendamento, però,
ha introdotto nuove disposizioni particolar-
mente restrittive. D’ora
in poi, infatti, i patronati
ammessi alla ripartizione dei contributi devono
operare “in un numero
di province riconosciute
la cui somma della popolazione sia pari ad almeno il 60 per cento della popolazione italiana”.
Prima bastava un terzo.
Lo stesso accade con le
regioni. Non solo: gli
istituti di patronati devono avere “sedi in almeno otto Paesi stranieri”, anche se esclude
quei patronati “promossi dalle organizzazioni
realizzata sul totale, cioè
la quantità di pratiche
che ciascun patronato
svolge sul complesso
dell’attività totale. Questa percentuale, oggi,
forma una graduatoria
che vede al primo posto
l’Inca-Cgil,
con
il
19,79%
dell’attività
complessiva,
seguita
dall’Inas-Cisl (15,91) e
dalle Acli (10,97%). Seguono,
ancora,
l’Ital-Uil, l’Epaca della
Coldiretti, il patronato
della Confcommercio,
fino alla Epas della Fna.
Sotto la quota del 2,5% ci
-4MILA
355
POSTI DI
MLN
LAVORO
DAL 2015
FORBICI
Il taglio dei finanziamenti è stato
deciso dalla legge di Stabilità
sindacali agricole”. La
norma che però fa scattare la tagliola per le organizzazioni più piccole
è quella che esclude dal
finanziamento gli istituti che abbiano “realizzato per due anni consecutivi attività rilevante ai
fini del finanziamento
in una quota percentuale accertata in via definitiva dal ministero del
Lavoro e delle Politiche
sociali inferiore al 2,5
per cento del totale”. La
quota di attività svolta è
concretamente l’attività
sono 17 piccoli patronati che d un giorno all’altro si vedono sparire i
contributi su cui finora
avevano contato.
IL PARADOSSO è che,
per tagliare quello che i
sindacati definiscono
un servizio ai cittadini,
ai pensionati e ai lavoratori, si realizza il risultato di aumentare i fondi
per i patronati più grandi. Dovendo dividere la
“torta” con meno soggetti, il vantaggio è diretto. Nonostante il ta-
glio di 75 milioni operato già alla Camera, infatti, che riduce i contributi
complessivi da 430 a 355
milioni, il patronato della Cgil, Inca, si troverebbe a incassare da 85,1
milioni a 87,33. La
Inas-Cisl passerebbe da
68,4 milioni a 70,18
mentre le Acli potrebbero passare dagli attuali
47,2 a 48,39 milioni di
euro. Il beneficio riguarderebbe, poi, la Uil, la
Coldiretti, Confcommercio, la Cia, la Cna,
l’Acai e la Fna che con la
sua Epas si troverebbe a
passare da 12,7 a 14,7
milioni.
Restano all’asciutto i patronati minori per i quali la legge prevede solo
sei mesi di tempo per
mettersi in regola con le
nuove procedura. Tra
questi ci sono l’Ugl, la
Confagricoltura,
la
Confesercenti per un totale di 18 sigle. Questa la
situazione se il taglio si
fermasse a 75 milioni.
Diverse fonti interessate
all’argomento, però, ritengono che il Senato si
preparerebbe a ridurre il
taglio a 30 milioni di euro portando il fondo
complessivo a 400 milioni di euro. La ripartizione per i 10 fondi che
supererebbero le asticelle poste dalla legge migliorerebbe ancora. Nel
pieno di uno scontro
sindacale che vede impegnato il governo si
realizzerebbe un vantaggio per strutture che
forniscono un servizio
ma che, allo stesso tempo, rappresentano un
solido punto di appoggio per i sindacati italiani.
GARANTE PMI: “Ero scaduto a febbraio
Mi hanno rinnovato solo da pochi giorni”
di Marco Palombi
S
ull’inserto economico della scorsa
settimana ci siamo occupati di Giuseppe Tripoli, il Garante delle Pmi (“non
brilla per vivacità, ma per stipendio sì”)
e torniamo a farlo questa settimana
grazie a una telefonata dello stesso Tripoli. Una premessa: come dicono i dati
del Cerved, le Pmi italiane (cioè escluse
le tre milioni e dispari di microimprese)
valgono 850 miliardi di fatturato, 180
miliardi di valore aggiunto, incidono sul
Pil per il 12% e danno lavoro a 4 milioni
di persone. Parliamo di circa 140 mila
aziende, 24 mila delle quali rischiano il
default nei prossimi mesi.
Detto questo si può apprezzare appieno l’amara ironia del racconto del Garante: “I dati che avete pubblicato
erano effettivamente quelli della mia
pagina sul sito del ministero dello
Sviluppo, però... il sito era sbagliato”. E qui c’è la prima sorpresa: “Intanto io non ero più il Garante da
febbraio, quando il ministero dello
Sviluppo è stato riorganizzato”. In
sostanza, il governo s’è dimenticato
di nominare l’uomo che dovrebbe
“proteggere” un settore così fondamentale dell’economia italiana: “La
mia nuova nomina è arrivata nei giorni
scorsi, dopo il vostro pezzo”. Anche lo
stipendio, dice Tripoli, ahilui non è più
quello: “Prendevo 260 mila euro lordi
quand’ero capo dipartimento del ministero, oggi ne guadagno circa 144 mila
come dirigente”. E come Garante? E qui
arriva la seconda sorpresa, che aggiunge un tocco di naïveté al tutto: “L’incarico è a titolo gratuito, per questo lo ricopre un dirigente del ministero”. E lo
staff? “Non c’è staff, chi collabora con
me – personale del Mise, dell’Ice, delle
Camere di Commercio – lo fa a titolo
gratuito e fuori dal proprio normale lavoro. Per me è un onore: io lo chiamo
volontariato istituzionale”.
Sarà, ma non sembra proprio che il legislatore e i governi abbiano puntato
molto sulla figura del Garante delle
Pmi: se lo dimenticano, non lo pagano,
non gli danno collaboratori. “Io – dice
Tripoli, che evidentemente esercita anche l’ottimismo istituzionale – sono
convinto che la funzione di tutela delle
Pmi potrà crescere in Italia: da noi spesso le cose si fanno per strati successivi
e anche la funzione del Garante potrà
essere irrobustita piano piano”.
14
il FATTO ECONOMICO
10 DICEMBRE 2014
DEFICIT Renzi e Padoan, perché non vi parlate?
IERI Matteo Renzi ha in-
contrato lo staff del Tesoro
per fare il punto. E meno
male, perché palazzo Chigi
e ministero dell’Economia
non danno l’idea di parlarsi molto. Pier Carlo Padoan, che di esoteriche
formule europee capisce
sicuramente più dell’ex
sindaco di Firenze, ha elaborato tutti gli argomenti
teorici per affrontare le
burocrazie di Bruxelles.
Ma Renzi non schiera il
suo peso politico dietro
quegli argomenti tecnici.
Forse perché neppure li ha
letti.
Eppure Padoan ha scritto
la ricetta per affrontare la
Commissione prima nella
sintesi del Def spedita a
Bruxelles e poi, nel caso
qualcuno se lo fosse perso
(tipo il premier), il 22 ottobre ha pubblicato il box
cruciale tradotto in italiano sul sito del ministero. Il
Financial Times se ne è accorto, Renzi no. Titolo del
giornale inglese: “L’Italia
dice che Bruxelles calcola
male la gravità della recessione”. In sintesi: tutto il
contenzioso con la Com-
di Marco Ponti
P
remessa: liberalismo
significa fiducia nella
libera concorrenza
per aumentare il benessere collettivo,
mentre per liberismo
si intende fiducia nel privato “a prescindere”. E i “libertari” (l’aggettivo in
italiano non si usa) son quelli che credono nello Stato minimo “a prescindere”
IN QUALI SETTORI prosperano e si arricchiscono maggiormente le mafie?
Considereremo solo tre settori, e in
modo non completo, per ragioni di
spazio e di competenza. Il primo, e di
gran lunga il principale, è la produzione e distribuzione di “sostanze psicoalteranti proibite”. Cioè droga. Non di
sostanze psicoalteranti lecite da noi (alcolici), ma non altrove (paesi islamici
di stretta osservanza), né di sostanze
solo lievemente psicoalteranti ma
estremamente dannose (tabacco). Le
ipotesi alla base della proibizione delle
droghe sono che: i cittadini siano stupidi, e non percepiscano i danni alla loro salute e che poi allo Stato, cioè agli
altri, tocchi curarli con soldi pubblici.
Non abbiamo possibilità di approfondire qui le (serie) obiezioni possibili a
tali principi, ci limitiamo a enunciarli.
Ma i fatti comunque suggeriscono che,
proprio perché illegale, quello della
droga è diventato un business planetario controllato dalla malavita e che
genera migliaia di morti all’anno. La repressione ha costi pubblici enormi,
senza consistenti effetti di riduzione
dei consumi, e quindi delle conseguenze per i consumatori di droghe e dei costi per la sanità pubblica. La repressione
è però una sorta di “business parallelo”
con molte centinaia di migliaia di addetti.
Un gran numero di economisti e di studiosi, Roberto Saviano compreso (si
veda il suo libro Zero zero zero), concorda che liberalizzare il settore sarebbe
male minore. L’esempio del proibizio-
missione si basa sul pareggio strutturale di bilancio,
cioè sul portare a zero il
deficit corretto per il ciclo,
ovvero scorporati gli effetti della crisi (che riduce le
entrate e fa aumentare la
spesa per ammortizzatori
sociali, tra l’altro). Ma
quanto pesano questi effetti? Secondo Padoan parecchio: applicando i calcoli del Tesoro l’Italia ha
già raggiunto il pareggio di
bilancio strutturale nel
2012, mentre stando alle
analisi della Commissione
ne è ben lontana (per quasi
una quindicina di miliardi) e quindi il governo sta
chiedendo di spostare la
verifica dell’obiettivo dal
2016 al 2017. La strategia
di Padoan ha quindi una
sua coerenza: tenere il deficit nominale sotto il 3 per
cento in modo da risultare
sufficientemente virtuosi
da contestare le formule di
calcolo di quello strutturale (soltanto da quest’ultimo dipendono le richieste
di ulteriore austerità di
Bruxelles negli ultimi tre
anni). Renzi, invece, ha ceduto sull’aggiustamento
RACCONTANO
BALLE
strutturale portandolo da
0,1 a quasi 0,4 punti di Pil
ma ha costruito una legge
di Stabilità che, soprattutto sul 2014, rischia di far
sfondare all’Italia il 3 per
cento del rapporto tra deficit e Pil. Se in primavera
la crescita sarà più bassa
del previsto, Padoan avrà
ulteriori argomenti a suo
favore. Ma Renzi deve capire come usarli. Farebbe
meglio a studiare f le formule che il ministero ha
anche fatto tradurre in italiano a suo beneficio.
Ste. Fel.
DROGA, APPALTI, PIZZO L’Italia è poco liberalizzata e molto
corrotta. Introdurre più concorrenza e trasparenza può
arginare i danni della criminalità organizzata in economia
DECRETO
POLETTI,
IL SALDO
È NEGATIVO
400
MILA
I POSTI
DI LAVORO
STABILI
MENTRE L’ISTAT pubblicava numeri pesanti, per depistare, il ministro del Lavoro
Poletti faceva uscire le anticipazioni delle
Comunicazioni obbligatorie del terzo trimestre 2014: “400 mila nuovi contratti a
tempo indeterminato”, titolavano i giornali. Una bugia statistica, perché trattasi
appunto di dati incompleti. Quelli che invece sono arrivati mercoledì scorso. Responso? I posti a tempo indeterminato sono scesi di 81.380 unità. Secondo il ricercatore Ocse Thomas Manfredi, a fine anno il saldo sarà negativo per 356 mila unità, con soli “70 mila nuovi posti creati”
grazie all’aumento di 340 mila unità a T.
D., cioè precari. Merito del decreto Poletti.
L’arma del mercato
per battere le mafie
temente chi ci lavora. Ma se il settore
fosse veramente liberalizzato, i profitti
praticamente sparirebbero (è la regola
generale della concorrenza). I consumatori vedrebbero prezzi in discesa, e
le uova d’oro si ridurrebbero drasticamente. Molti tentativi sono stati fatti,
ma le resistenze sono forti, anche perché già all’origine il rilascio delle licenze è un affare lucroso per le amministrazioni locali corrotte.
LA TERZA FONTE di arricchimento
nismo dell’alcol negli Stati Uniti degli
anni Venti del secolo scorso è illuminante: fioritura di una agguerrita criminalità, produzione senza controlli di
alcolici semitossici, modesto calo del
consumo. La pericolosità per la salute
dell’alcol liberalizzato non sembra inferiore a quello della cannabis, però
non genera l’interesse di mafie. Per fortuna il fronte proibizionista, per ora solo per le droghe leggere, comincia a
sgretolarsi, soprattutto in America. Più
delicato il discorso per gli oppiacei, la
cocaina e le droghe sintetiche. L’enor-
me incentivo economico generato dai
divieti (che mandano prezzi e profitti
alle stelle) continuerà a promuovere la
ricerca “scientifica” di sostanze di sintesi più efficaci, meno costose da produrre “in garage”. E, finché proibite, incontrollabili per pericolosità.
LA TUTELA DELLA SALUTE, in un
contesto più liberalizzato, sarebbe affidata maggiormente all’educazione,
anche scolastica, alla fiscalità, come in
Svezia per gli alcolici, o alla pubblicità,
come per gli alcolici in Francia (noi ab-
biamo le scritte sui pacchetti di sigarette, ma la lobby dei produttori di alcol
finora è riuscita a evitare ogni intervento). Tutto questo sarebbe realizzabile
con costi pubblici molto inferiori a
quelli connessi alla repressione.
Un secondo settore è il “pizzo”, e mi
limiterò al piccolo commercio. Le imprese maggiori hanno più mezzi per difendersi. Le mafie non vogliono far fallire i commercianti che pagano il pizzo:
morirebbe la gallina dalle uova d’oro.
Quindi scremano parte dei profitti,
non quanto serve a far vivere decen-
delle mafie, come dimostra l’inchiesta
su Roma, sono gli appalti pubblici. E
l’intreccio con la corruzione politica è
strettissimo. La malavita organizzata
controlla strettamente le attività che gli
economisti chiamano non foot loose,
cioè che è necessario acquistare in loco:
movimento terra, inerti, trasporti di
cantiere. Anche qui, denari pubblici, e
senza vincoli reali: la “grande opera” va
finita, costi quel che costi. La storia
dell’Alta Velocità è illuminante, con
extracosti fenomenali rispetto a quelli
di Paesi vicini al nostro (si veda una recente ricerca della Reason Foundation
americana). Tutti gli attori, mafie comprese, sanno che alla fine lo Stato pagherà. Questo, appunto, se paga lo Stato. Se ci fossero più soldi privati, e meno
garanzie pubbliche, le difese dal racket
sarebbero molto più vivaci e organizzate, perché motivate dalla ricerca del
profitto. E forse si farebbero anche meno opere inutili.
In sintesi: certo la gamma dei rimedi,
tutti difficili, è ampia. Ma non sembrano esservi dubbi che una cultura più liberale sarebbe uno strumento efficace,
tra i molti necessari. La malavita organizzata prospera dove ci sono alti profitti e rendite di monopolio, che è proprio ciò che una concorrenza ben governata tende a erodere, a vantaggio
della collettività. Forse non è proprio
un caso che in tutte le classifiche internazionali risultiamo un Paese contemporaneamente poco liberalizzato e con
fortissima presenza mafiosa.
SOLUTION ECONOMY Un’ambizione legittima:
risolvere i problemi del mondo con la tecnologia
P
SOLUTION
ECONOMNY
William D. Eggers
e Paul MacMillan
Rizzoli Etas,
pagg. 327, 21.00 ¤
otete prendere una parola
qualunque, abbinarla a
“economy” e avrete creato un
nuovo paradigma. Dopo la
“sharing economy”, l’economia della condivisione, o quella
del “costo marginale zero” di
Jeremy Rifkin, ecco la “solution
economy”. L’etichetta “economia delle soluzioni” non aggiunge molto al dibattito, ma i
casi raccolti da William Eggers
e Paul MacMillan nel libro “Solution economy” sono invece
parecchio interessanti. Grazie
alla tecnologia oggi sono risolvibili alcuni dei grandi problemi
dell’umanità. Non si sa bene
che impatto questo avrà sul Pil,
se qualcuno si arricchirà e come, ma di sicuro ora non ci sono più alibi: cambiare il mondo
è possibile. Le grandi fondazioni no-profit come quella di Bill e
Melinda Gates finanziano la ricerca di base che i governi non
hanno più le risorse per affrontare. Il crowdfunding, cioè il fi-
nanziamento diffuso, permette di accedere al credito quei
soggetti innovativi snobbati
dal sistema bancario, l’istruzione a distanza (guardatevi i
video della Khan Academy) ha
raggiunto livelli elevati che
permettono a un ragazzo del
più sperduto villaggio indiano,
se dotato di una connessione,
di accedere al sapere a lungo
riservato alle élite. I social media offrono spazi di azione politica a chi aveva rinunciato alla
possibilità di incidere sul mondo in cui vive. Anche i governi, a
rischio inutilità causa globalizzazione, ora scoprono di avere
una risorsa preziosa che la crisi
non intacca: una enorme quantità di dati da cui possono trarre informazioni cruciali per migliorare la propria efficienza.
Troppo ottimismo? Il libro è a
cura di Deloitte, una società di
consulenza e revisione contabile, uno degli autori è il capo
dell’area ricerca, l’altro un con-
sulente di governi e imprese. È
chiaro che vogliono segnalare
a potenziali clienti che ci sono
sfide tecnologiche ed economiche che potrebbero richiedere l’aiuto di Deloitte. Ma è
comunque un libro utile a ricordarci che mentre noi ci piangiamo addosso per la nostra
crescita zero, il Fiscal compact
ecc., là fuori il mondo sta cambiando. E ci sono opportunità
per tutti. Anche per l’Italia.
Ste. Fel.
UN GIORNO IN ITALIA MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
R
iina, l’avvocato:
“Sta malissimo,
si deve intervenire”
“IL MIO ASSISTITO sta malissimo e a
giorni faremo un’iniziativa per la sua salute”. Lo ha detto il difensore di Totò Riina, l’avvocato Luca Cianferoni, in una
pausa del processo sulla strage del rapido 904 in cui il boss di Cosa Nostra è
imputato come mandante dell’attentato
che il 23 dicembre 1984 causò 16 morti e
267 feriti in una galleria del tratto Firenze-Bologna. Il legale ha spiegato che
si tratterà di “una richiesta” al tribunale
di sorveglianza di Bologna (Riina è detenuto nel carcere di Parma) e che “è
urgente occuparsene” perché il boss,
che ha 84 anni, secondo l’avvocato è
cardiopatico, ha una forma di Parkinson
15
e problemi a fegato, reni e tiroide. Nelle
settimane scorse è stato sottoposto ad
accertamenti medici nel centro clinico
del carcere. Ieri ha assistito in video-collegamento a tutta l’udienza e alla fine si
è si è alzato da solo, senza essere aiutato, per allontanarsi dalla stanza
dov’era e tornare in cella.
Il tritolo per Nino Di Matteo
è arrivato dalla Calabria
LO RIVELA IL PENTITO GALATOLO: L’ESPLOSIVO PROVERREBBE DAL MERCANTILE COSULICH
AFFONDATO NELLA 2ª GUERRA MONDIALE. MA ERA AVARIATO E COSA NOSTRA PRETESE IL CAMBIO
di Sandra Rizza
I
Palermo
l tritolo che doveva servire per eliminare Nino
Di Matteo proveniva
dalla Calabria. È l’ultima
rivelazione di Vito Galatolo, il
mafioso dell’Acquasanta che ha
ricostruito davanti agli inquirenti il piano di morte confezionato dal gotha di Cosa Nostra
nel dicembre 2012 per il pm
della trattativa Stato-mafia. Nei
giorni scorsi, il neo-pentito
aveva già raccontato che una
parte di quell’esplosivo, in tutto
150 chili, era arrivata a Palermo
in cattivo stato di conservazione, dal momento che presentava tracce di infiltrazione di acqua, al punto che i boss decisero
di restituirla e di farsela cambiare. Il particolare della polvere ritenuta “troppo umida” dai
boss è adesso all’attenzione degli inquirenti perché ipotizza
un possibile collegamento con
l’esplosivo che giace all’interno
della stiva della nave mercantile
“Laura Cosulich”, affondata
durante la Seconda guerra
mondiale al largo delle Saline
Ioniche, tratto di mare di fronte
a Reggio Calabria.
DA PIÙ DI SESSANT’ANNI, le
stive della Laura C. sono adagiate sui fondali calabresi con il loro carico di esplosivo, circa una
tonnellata secondo la questura
di Reggio Calabria: nel maggio
2014, i sommozzatori del Comsubin (Comando subacquei e
incursori) sono riusciti a recuperarne 121 panetti da 200
grammi per un totale di 24 chili
di tritolo.
Dalla testimonianza di numerosi pentiti, è emerso tra l’altro
che la ’ndrangheta si sarebbe
servita più volte del tritolo incamerato all’interno del mercantile, e che in alcuni casi i capi
delle ’ndrine avrebbero venduto quantitativi di quelle polveri
ripescate dal mare a Cosa Nostra, anche se i confronti con
l’esplosivo utilizzato nelle stragi
del 1992 hanno sempre dato esito negativo. Secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, anche per la strage di Capaci Cosa Nostra si sarebbe servita di esplosivo proveniente dai
fondali marini. Nelle fasi iniziali
della sua collaborazione, il pentito ha indicato il nome del pescatore Cosimo D’Amato che,
dai fondali al largo di Porticello,
recuperava bombe risalenti alla
Seconda guerra mondiale, per
estrarne quantitativi di materiale esplodente poi utilizzati per il
botto sull’autostrada.
STRAGI DI MAFIA
Secondo Spatuzza,
anche a Capaci
i boss
avrebbero usato
materiale proveniente
dai fondali marini
L’esplosivo di via D’Amelio sarebbe invece dello stesso tipo di
quello piazzato sul Rapido 904.
Lo ha raccontato ieri mattina,
l’ex dirigente della Polizia scientifica Giulio Vadalà, sentito nel
processo a Totò Riina che si celebra davanti alla Corte d’assise
di Firenze. L’esperto esplosivista ha spiegato che sul convoglio, partito da Napoli e diretto a
Il pubblico ministero di Palermo, Nino Di Matteo LaPresse
Milano, “furono utilizzati 16
chili di esplosivo, collegati su
una reticella porta valigie in un
corridoio del treno, in una carrozza di seconda classe, la nona,
tra l’undicesimo e il dodicesimo
scompartimento”. L’ordigno
esplose mentre il treno percorreva la Grande Galleria dell’Appennino, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro, il 23 dicembre del 1984, e fece 17 vittime. “L’esplosivo – ha spiegato
il perito – era collegato a un sistema di trasmissione radiocomandato con un ritardo affinché esplodesse in una galleria”.
Ma il passaggio più importante
della deposizione del consulente della procura è quello dedicato ai residui ritrovati sul luogo
dell’attentato dopo l’esplosione.
“Furono trovati – ha detto Vadalà – residui di pentrite, T4, nitroglicerina e tritolo”: e cioè gli
stessi elementi che compongono la base chimica dell’esplosivo di tipo plastico Semtex, di
produzione cecoslovacca, la cui
importazione era vietata in Italia. Tracce di pentrite e T4 furono ritrovate anche sul luogo
della strage di via D’Amelio, che
il 19 luglio 1992 uccise Paolo
Borsellino e cinque uomini della scorta.
16
ALTRI MONDI
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
EMIRATI COMPRATA SEDE SCOTLAND YARD
L’edificio che dal 1967 ospitava la sede di Scotland
Yard a Londra, nel cuore di Westminster è stato
venduto per 370 milioni di sterline (468 milioni di
euro) ad Abu Dhabi Financial Group. La Metropolitan Police dovrà trasferirsi nella nuova ma più
piccola sede sul Victoria Embankment. LaPresse
SPAGNA GIUDICE SOSPENDE UBER: CONCORRENZA SLEALE
Il tribunale di Madrid ha ordinato la sospensione precauzionale del
servizio di prenotazione taxi Uber in Spagna, poiché rappresenterebbe una forma di concorrenza sleale. Gli autisti del servizio Uber non
avrebbero i permessi appropriati per il trasporto passeggeri. LaPresse
BRASILE TE LO DO IO IL PETROLIO
DILMA ANNASPA CON PETROBRAS
IL PRESIDENTE ROUSSEFF E LA TANGENTOPOLI CHE PUÒ TRAVOLGERE IL SUO GOVERNO
di Giuseppe Bizzarri
P
Rio de Janeiro
etrobras, l’anelata
società petrolifera di
economia
mista
brasiliana, è al centro di uno scandalo. L’oscuro
caso della tangentopoli brasiliana è analizzato dalla Commissione parlamentare d’Indagine del governo di Dilma
Rousseff, ma anche dalla Polizia Federale, che ha chiamato
Lava Jato il dossier che si allunga ogni giorno di più con i nomi di loschi faccendieri, deputati, senatori, governatori e
persino un ministro. Nelle indagini sono finiti i principali
partiti del governo, ma anche
quelli dell’opposizione, sulla
scena politica brasiliana sin
dall’inizio del processo democratico del paese. Il gotha
dell’imprenditoria ha pagato
tangenti colossali per aggiudicarsi appalti per la costruzione
d’impianti, tra cui quelli legati
allo sfruttamento dei giacimenti del Presal, la cui scoperta ha fatto schizzare il Brasile al
quarto posto nella classifica
mondiale dei paesi produttori
di petrolio.
della Rousseff, riconfermata
presidente grazie ai voti della
nuova classe media emergente,
che ha riconosciuto in lei,
nell’ex presidente Lula e il Pt,
gli artefici di un cambiamento
socio-politico che preoccupa
sempre più la destra brasiliana
e Washington. La vittoria democratica della Rousseff non è
stata sufficiente a fare diminuire la pressione sulla presidente.
Neves, il Psdb e la destra chiedono persino il ritorno dei militari e l’impeachment della pre-
ZAMPINO YANKEE
Engdahl, esperto di
geopolitica: “Dietro
lo scandalo ci sono gli
americani. Se Neves
avesse vinto le elezioni
non sarebbe successo”
NELLA RETE DEI FEDERALI
non ci sono finiti solo ‘petisti’
(Pt, il partito di Lula, ndr), come
vorrebbe mostrare la stampa
brasiliana, ma anche importanti membri del Pmdb, il partito che ha governato il Brasile
con qualsiasi tipo di governo
succeduto a quello dei militari.
Lo scandalo Petrobras ha avuto
un’impennata durante la campagna elettorale presidenziale
in cui Aecio Neves, il candidato
liberista alla presidenza del
Psdb, ha cercato di sfruttare la
tangentopoli brasiliana per impedire inutilmente la vittoria
sidente, accusata di essere stata
al corrente della scandalo, poiché era nel consiglio di amministrazione della Petrobras fino
al 2010. “Abbiamo avuto nelle
presidenziali un gioco molto
duro - come non si è mai visto da parte dell’imprenditoria e
del capitale finanziario. La
pressione persiste e non si tratta solo di politica interna. Gli
Stati Uniti non gradiscono la
politica della Rousseff e del suo
partito. La presidente è molto
cauta in questo momento. Dilma teme soprattutto il potere di
demistificazione degli americani nei confronti dei governi.
L’abbiamo visto con Chavez e
con l’Iran”, afferma la politologa Argelina Cheibub al Fatto
Quotidiano. Rousseff ha fatto
conoscere al Brasile, e al mondo, i nomi della sua nuova
equipe economica in un evento
organizzato dalla banca d’investimento americana JP Morgan.
L’ANNUNCIO è stato un mes-
saggio al mercato, che ha festeggiato nel conoscere il nuovo staff legato all’ortodossia finanziaria ma non è stato sufficiente a quietare Washington,
soprattutto quando Rousseff,
in piena crisi ucraina, si è fatta
fotografare assieme al presidente Putin e gli altri membri
dei Brics, (Brasile, Cina, India,
Sudafrica e Russia) durante
l’ultima riunione del G20 in
Australia. Lo scandalo Petrobras, secondo William Engdahl, consulente di rischio
strategico e autore di best-seller
su petrolio e geopolitica, fanno
parte di un ‘disegno americano’. Il 2 novembre, pochi giorni
dopo la vittoria della presidente brasiliana, la società di revisione contabile degli Stati Uniti, Price Waterhouse Coopers
(Pwc), ha declinato di firmare
gli utili del terzo trimestre della
Petrobras. La Pwc, che ha richiesto un’inchiesta sulla Petrobras, è una società coinvolta
in diversi scandali negli Usa.
Forse tutto questo non sarebbe
succeso con Neves, sostenuto
in America. Se fosse diventato
presidente, il suo capo consigliere economico, Arminio
Fraga, caro amico ed ex-socio
di Soros, sarebbe diventato ministro delle Finanze; mentre il
consulente alla presidenza o
probabile ministro degli Esteri,
sarebbe stato Rubens Antonio
Barbosa, oggi senior director
dell’Asg di São Paolo. L’Asg, secondo Engdahl, è la società di
consulenza di Madeline Albright, ex segretaria di Stato americano.
Piattaforma Petrobras al largo di Rio. Sotto a sinistra, Rousseff LaPresse
PERFIDA ALBIONE
La baronessa e gli inglesi
in crisi: “Il porridge li salverà”
di Caterina
Soffici
Londra
he mangino brioche. AnC
zi porridge! Brutto scivolone della baronessa Jenkin di
Kennington, conservatrice,
una delle Pari del Regno (i
membri della
Camera
dei
Lords), che ha
così commentato il rapporto
sulla fame in
Gran Bretagna
e il crescente
utilizzo delle
banche alimentari: “I poveri
non sanno cucinare”. Perché gli inglesi fanno
sempre più ricorso agli enti
benefici che distribuiscono
generi alimentari? La baronessa non ha dubbi: “Abbiamo perso la nostre abilità culinarie” ha detto parlando a
Westminster. “Io stamattina
ho mangiato una grande ciotola di porridge, costo 4 pence. La stessa ciotola di cereali
zuccherati costa 25 pence”.
La fame, insomma, non deriva dalla crisi e dai tagli alla
classe media, ma dalla scomparsa della conoscenza necessaria per creare
pasti a buon
mercato e nutrienti. Un po’
Maria Antonietta: “Il popolo
non ha più pane? Che mangino brioche”. Un
po’ Tremonti,
quando incitava
le massaie italiane a fare la spesa nei mercati
giusti per ovviare al problema
del carovita. L’infelice discorso della baronessa è stato infelicemente pronunciato a
commento di una inchiesta
parlamentare bipartisan istituita per indagare sulla por-
tata, la diffusione e le cause
della fame e della povertà alimentare nel Regno Unito. I
risultati della ricerca sono devastanti: sempre più famiglie,
anche insospettabili, ex ceto
medio, fanno ricorso ormai
all’aiuto del banco alimentare
per arrivare a fine mese e sfamare la famiglia. Capìta la
portata della gaffe, Lady Jenkin ha poi chiesto scusa, dicendo che non voleva offendere nessuno.
Poi alla Bbc ha spiegato: “Volevo dire, come società abbiamo perso la nostra capacità di
cucinare, che non sembra essere tramandata nel modo in
cui è stato fatto nelle generazioni precedenti. La vita è
molto più conveniente se si è
in grado di cucinare”.
Insomma non sono solo i poveri a non saper cucinare, ma
tutti gli inglesi. E su questo è
difficile darle torto.
@caterinasoffici
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
ISIS GAY LAPIDATO E DEFENESTRATO
Gettato dal tetto di un edificio e poi finito a colpi
di pietra: è il supplizio riservato dallo Stato islamico a un uomo giudicato “colpevole” di omosessualità, secondo l’annuncio del califfato tra Siria e
Iraq, corredato da foto. È del mese scorso l’annuncio della lapidazione di due giovani gay. Ansa
FRANCIA OSTAGGIO LIBERO DOPO 3 ANNI
Serge Lazarevic, da tre anni nelle mani dei terroristi
di al Qaeda nel Maghreb, è stato liberato: “La Francia non ha più ostaggi, in nessun paese del mondo”, ha osservato il presidente Hollande. Lazarevic,
51 anni, era stato rapito in un albergo di Hambori,
nell’est del Mali, il 24 novembre 2011. Ansa
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
17
AMNESTY Crimini a Gaza
Israele: “Non è vero”
esercito israeliano ha commesso crimini di
L’
guerra durante l’operazione “Margine protettivo” della scorsa estate a Gaza e bisogna avviare un’inchiesta: è questa l’opinione di Amnesty International.
L’abbattimento di quattro edifici a più piani negli ultimi quattro giorni dell’operazione costituisce una
violazione del diritto umanitario internazionale, secondo l’ong. “Tutte le prove che abbiamo dimostrano
che questi abbattimenti su larga scala sono stati effettuati deliberatamente e senza una giustificazione
militare”, dichiara Philip Luther, direttore di Amnesty per il Medio
Oriente ed il Nord Africa. I fatti e le
dichiarazioni dei militari israeliani
all’epoca indicano che gli attacchi sono stati “una punizione collettiva inflitta agli abitanti di Gaza”e destinati
alla distruzione delle loro proprietà,
ha aggiunto Luther. Durante i 50
giorni di combattimento, Israele ha
condotto circa un centinaio di bombardamenti e, negli ultimi giorni di guerra, sono stati
rasi al suolo un centro commerciale a Rafah e tre palazzi a più piani di Gaza. Le forze di Israele avvertirono in anticipo i residenti, ma Amnesty sostiene
che decine di persone rimasero comunque ferite e
senza casa. Israele si difende affermando che gli edifici distrutti erano usati da Hamas come centri di comando e ha definito “infondato” il rapporto di Amnesty. L’ultimo conflitto nella Striscia di Gaza ha causato circa 2200 vittime tra i palestinesi (secondo loro
fonti) e 73 tra gli israeliani.
Una manifestazione contro il waterboarding a New York LaPresse
Brutali, falsi e inutili
i metodi Cia alla sbarra
IL RAPPORTO DEL SENATO SULLE TORTURE E LE MENZOGNE A WASHINGTON. “NON SONO
SERVITE A SALVARE VITE UMANE”. OBAMA: “MAI PIÙ. DANNEGGIATO IL PAESE”
di Angela
Vitaliano
U
New York
n’onta per l’America che l’America stessa è capace
di cancellare. Il
rapporto del Senato su torture&bugie della Cia provoca la
reazione di Obama (e lo sdegno in tutto il mondo, e rabbia in Medio Oriente) e del
segretario di Stato Kerry che
promettono: mai più.
Nessun rinvio, dunque,
nell’annunciata pubblicazione del rapporto messo a punto dalla Commissione Intelligence del Senato sui metodi
utilizzati negli interrogatori
dei prigionieri sospettati di
terrorismo, dopo l’11 settembre. O, meglio, nessun ulteriore ritardo nella divulgazione dei risultati di un’indagine
che da anni, ormai, ha gettato
un’ombra sulla Cia, accusata
di aver praticato delle vere e
proprie torture.
VIOLENZE Si parte dalle tecniche degli interrogatori messe in atto sui prigionieri accusati di terrorismo e che non
si limitano al gia’ famoso “waterboarding”. I prigionieri, secondo il rapporto venivano
privati del riposo per giorni e
anche settimane, oltre ad essere seviziati analmente con
manici di scopa e con getti di
acqua. Il rapporto condanna
questi metodi come “fisicamente dannosi”, precisando
che il waterboarding, a esempio, provoca vomito e convulsioni che hanno ucciso almeno un detenuto tra quelli sottoposti a questa pratica. Un altro punto importante evidenziato dall’indagine e’ quello
della gestione degli interrogatori stessi, condotti spesso da
personale non sufficiente-
mente addestrato e/o coadiuvato da personale medico non
all’altezza della situazione.
I metodi di interrogatorio erano, inoltre, basati su un programma messo a punto da
due psicologi senza esperienza sufficiente nell’ambito specifico della lotta al terrorismo.
MENZOGNE
Chiarissime
emergono anche le responsabilità della Cia nell’impedire
al Congresso di venire a conoscenza della realta’ dei fatti;
anche alla Casa Bianca veniva
riportata una situazione molto meno critica di quella poi
rivelata dal rapporto, con informazioni menzognere relative al numero dei prigionieri
sottoposti a interrogatori
coercitivi, alla loro durata e ai
risultati ottenuti. Il rapporto
mostra, a esempio, che operazioni importantissime come
la cattura di Osama Bin Laden
non furono portate a termine
grazie ad informazioni ottenute tramite la tortura ma,
piuttosto, grazie a testimoni
che decisero di collaborare
prima ancora che venisse loro
torto un capello. Il rapporto
rivela anche, per la prima volta, i nomi delle 119 persone
che sono state detenute
dall’agenzia di Intelligence
Usa e sottoposte a questo tipo
di interrogatori (una addirittura oltre 180 volte) che,
Dianne Feinstein, la democratica a capo della commissione
del senato che ha condotto le
indagini, non esita a definire
vere e proprie torture.
LE SCUSE “Sono stati fatti er-
rori, ma si sono evitati attacchi contro gli Usa. Nell’applicare il programma di interrogatori, la Cia non sempre si è
attenuta agli elevati standard
che abbiamo stabilito per noi
stessi e che il popolo americano si aspetta da noi”, ha affermato il direttore della Cia
John Brennan in un comunicato facendo quasi eco alla dichiarazione di lunedì di George Bush che, piuttosto che
prendere le distanze dalla Cia,
si è affrettato a sottolineare
l’importanza cruciale del lavoro dell’intelligence per il
paese. Dal rapporto emerge
anche che i metodi usati dalla
Cia durante gli interrogatori
erano così cruenti che gli stessi agenti chiesero di sospenderli ricevendo, però, una risposta negativa da parte dei
loro superiori. L’ordine di sospensione dell’utilizzo di tali
tecniche arrivò con l’insediamento di Barack Obama alla
Casa Bianca che ieri ha detto
che la Cia ha “danneggiato il
paese, è andata contro i suoi
valori morali. Non accadrà
più”.
Affogamento simulato
(nemmeno troppo)
525 PAGINE da ieri accessibili
pubblicamente e che sono il
frutto di cinque anni di indagini e del vaglio di milioni di
documenti sparsi in diverse
parti del mondo. Una piccola
fetta di un rapporto composto
da oltre 6.000 pagine che, per
il momento, restano ancora,
in gran parte, “riservate”, che
rivela, tuttavia, macabri dettagli che contribuiscono a
rendere una situazione già nota nelle sue linee generali, addirittura insopportabile nella
sua assoluta inumanità.
Una decina i punti chiave evidenziati dal rapporto che
smentisce completamente le
affermazioni dell’allora presidente George W. Bush che
aveva reiteratamente assicurato che i metodi usati dalla
Cia erano “umani e legali”.
VIOLENZE RIPETUTE
Un presunto terrorista
è stato sottoposto 180
volte al waterboarding.
Altri catturati per errore.
Timori per le reazioni
nel mondo arabo
CAMBIO DELLA GUARDIA
Bush ha lasciato la Casa Bianca a Obama il 20 gennaio 2009.
Sotto, il direttore della Cia John Brennan Ansa
IN CILE, nel 1975, i soldati e i servizi di sicurezza di Pinochet utilizzavano una residenza, chiamata Villa Grimaldi, come luogo di detenzione e tortura: fra le tecniche
comuni negli interrogatori, c’era pure il waterboarding,
ovvero, mettevano in posizione orizzontale i detenuti, gli
premevano sul volto uno straccio bagnato e poi gli versavano sul viso acqua fredda. Ma i militari di Pinochet,
così come gli agenti della Cia specializzati in interrogatori, non hanno inventato nulla. Secondo lo storico Ed
Peters dell’Università della Pennsylvania, il metodo risale
al quattordicesimo secolo ed era conosciuto come “tortura dell’acqua” o “cura dell’acqua”: i malcapitati erano
spesso criminali , il sistema era rudimentale, con un tubo
in bocca e fiotti d’acqua in gola; fu poi perfezionato dai
marinai olandesi nel diciassettesimo secolo che ne facevano uso sulla “concorrenza” inglese nella sfida per la
gestione del commercio nelle lontane Indie. L’intento da
parte di chi conduceva gli interrogatori, ieri come oggi, è
sempre lo stesso: portare al limite il detenuto - è impossibile resistere oltre i due minuti - e farlo parlare dei
segreti che conosce, senza lasciare alcuna traccia di tor-
tura su di lui. Così utilizzarono il waterboarding - come
ricostruito da un approfondimento di Npr, la National Public Radio americana, i giapponesi nel secondo conflitto
mondiale contro i marines nel Pacifico, e gli stessi americani in Vietnam (il Washingon Post nel 1968 pubblicò
persino una fotografia dell’interrogatorio di un vietcong),
i francesi in Algeria e i Khmer Rossi in Cambogia, contro
i loro stessi connazionali. Dopo l’11 settembre 2001, il
waterboarding è diventato una sorta di “marchio di fabbrica” della Cia. Gli specialisti di Langley, dunque, hanno
solo rispolverato una tortura tanto antica quanto terribile: questo non li rende meno responsabili.
val.cat.
18
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
BOB DYLAN CANTA SINATRA
L’ALBUM USCIRÀ A FEBBRAIO
DEL PIERO IN SALSA INDIANA
TROVA IL PRIMO GOL SU PUNIZIONE
Esce a febbraio il disco di Bob Dylan
“Shadows In The Night”. Contiene 10
cover di Sinatra. “Da tempo volevo fare
un disco come questo”, ha detto Dylan
ADDIO AL “PICCOLO” DELLA FAMIGLIA
ADDAMS: L’ATTORE AVEVA 59 ANNI
Ken Weatherwax, l’attore che interpretò il
piccolo Pugsley Addams nella serie tv degli
anni Sessanta è morto all’età di 59 anni
per un attacco cardiaco
Alex Del Piero ha trovato la sua prima rete
con la maglia dei Delhi Dynamos. Ha
realizzato il suo primo gol nel campionato
indiano con un capolavoro su punizione
SECONDO
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Una Genova felice. Anzi, due
GENOA E SAMPDORIA VOLANO IN CAMPIONATO DIETRO ALLE CORAZZATE JUVENTUS E ROMA. COSÌ IN ALTO INSIEME
NON LE SI VEDEVA DAI TEMPI DELLO SCUDETTO DI BOSKOV E DAI GOL A GRAPPOLO DELLA COPPIA SKUHRAVY-AGUILERA
S
di Malcom
Pagani
i chiamava Pippo Spagnolo,
era il più grande tifoso del Genoa dal dopoguerra e della
Sampdoria, semplicemente,
negava l’esistenza: “Il derby è
la partita che mi interessa meno al mondo, perché io con gli
altri non gioco mai. Non li riconosco. Per me l’unico derby
è quello contro gli argentini
del Boca”. Dall’alto, in cielo,
con le dita gialle di nicotina, i
capelli in tinta e la battuta
pronta, oggi Spagnolo vedrebbe le cose nella giusta
prospettiva e forse, finalmente, cambierebbe idea. Dopo
essersi inseguiti con gli insulti
per decenni (“Rumente”,
“Buliccio”) al ritmo di un
“parlar camallo” che mascherava nello striscione feroce
(“Noi siamo nordici / voi sudici” o anche “Se Via Isonzo è
blucerchiata / Moana Pozzi è
illibata”) i poveri orizzonti
pallonari cittadini, i sostenitori di Genoa e Sampdoria
possono guardarsi allo specchio e aspirare a qualcosa di
diverso. In città, nell’incredulità generale che lenisce altre
recenti ferite, si irride ora la
Scala del calcio divenuta in un
amen sottoscala e si discute
seriamente di Champions
League. A qualcuno, con ge-
sto apotropaico incorporato
(la scaramanzia pulsa da sempre tra i vicoli di un luogo magico e ad alto tasso di mistero
ed esoterismo) vengono in
mente paragoni con l’alba degli Anni 90. Fotografie. Rimandi. Coincidenze. Volti e
voci.
LO SCUDETTO vinto da quello
straordinario filosofo di strada di nome Vujadin Boskov.
Le rovesciate di Vialli, i calzini
abbassati di Mancini, il basco
di Osvaldo Bagnoli, le parate
di Simone Braglia ad Anfield
Road, i gol di Skuhravy, le rovesciate di Aguilera. Ai tempi
in cui Gianluca Pagliuca sbagliava meno di quanto non si
dedicasse a parare le mosche e
il piccolo Pato d’Uruguay, anche nelle disgrazie giudiziarie,
restava un figlio a cui perdonare tutto (Dentro o fuori /
Pato nei nostri cuori) avven-
alto rischio, accolto dalla
Nord, come negli ultimi anni,
da ironie e smaccato scetticismo. Dall’altro, l’esordio di
Massimo Ferrero, il presidente “cinematografaro” succeduto al sabaudo petroliere
Garrone, non aveva suscitato entusiasmi dalla
Sud. Ora, prodigio, Preziosi è tornato ad avere
agibilità democratica e
persino applausi in tribuna
d’onore e, miracolo, Ferrero cammina dalle parti
di dio perché dopo aver
incautamente auspicato
il ritorno in Europa, ha
per ora avuto ragione
su tutto, mantenendo
ogni singola promessa fatta.
Sulla credibilità di
Ferrero e sulle sue
maniere inurbane,
nei
giorni in
turarsi tra le ombre di Marassi
non era uno scherzo.
Quest’anno, un simile cammino virtuoso in campionato
non l’avrebbe potuto immaginare neanche il più ottimista
tra gli adepti di stanza al Ferraris. La stagione del rinnovato amore genovese per le aree
di rigore era nata tra i fischi.
Da un lato, quello genoano, li
aveva copiosamente collezionati in estate proprio la squadra costruita da Enrico Preziosi. Il solito patchwork fitto
di pezze e di scommesse ad
cui le sue parole dovevano essere ancora sottoposte all’onere della prova, i teorici del
buon gusto e della noia obbligata avevano già emesso
una non reversibile sentenza di condanna.” È cafone”, “Ci fa vergognare”, “Questa società ha
avuto sempre uno stile”.
Adesso i disfattisti
non si sentono più e
Ferrero, invece di
uniformarsi a quello
degli altri, ne ha creato uno suo. Scatenato,
irrituale, vincente.
DERBY
Pinilla e Objang
durante il derby
del 28 settembre
vinto dalla Samp
LaPresse
DOPO le lacrime, la
paura di retrocedere, le
maglie fatte restituire
d’imperio dalla curva e
lo sciopero dei tifosi,
ora la Genova del calcio
ride nuovamente. Nella
resurrezione di un ambiente depresso hanno
avuto meriti chiari anche
gli allenatori. Gasperini, il
tecnico del Grifone che anni fa con il suo 3-4-3 si guadagnò l’Inter (forse, magari,
osservando le macerie attuali,
l’addio precoce non fu neanche sua esclusiva colpa) è tornato ad avere il coraggio di
giocare alla pari con chiunque,
il suo marchio di fabbrica in
un recente passato. Ritrovata
l’autostima, proprio come faceva l’indimenticato professor
L’INCHIESTA
Russia, ombre di doping di Stato
di Luca Pisapia
arebbe pesantemente compromessa anche
S
la Iaaf (Federazione mondiale di atletica)
nel nuovo, enorme, scandalo doping esploso in
Russia. Quella stessa Iaaf che per bocca del suo
vicepresidente (e principale candidato alla futura presidenza) Seb Coe pochi giorni fa aveva
detto che era intenzionata ad andare fino in fondo, anche a costo di sospendere l’intera atletica
russa dalle gare internazionali. Quella stessa
Iaaf che avrebbe dovuto collaborare attivamente con la Wada (agenzia mondiale antidoping)
nell’inchiesta. Andiamo con ordine. La settimana scorsa, un documentario della tv tedesca
Ard, realizzato dal giornalista investigativo Hajo Seppelt, accusa l’atletica russa di praticare un
vero e proprio doping di Stato. L’inchiesta, dal
titolo “Doping confidenziale: come la Russia
fabbrica i suoi vincitori”, si avvale di preziose
testimonianze: dalla maratoneta Liliya Shobukhova che confessa di aver pagato 450 mila dollari al laboratorio antidoping per tacere sulla
sua positività e poter partecipare a Londra 2012,
alla lanciatrice del disco Jevgenia Pescherina
che dice che il 99% degli atleti russi fanno uso di
doping. Poi ci sono l’ex fondista Yulia Stepanova, squalificata per doping, e il marito Vitaliy
Stepanov, ex membro dell’agenzia antidoping
russa Rusada, che raccontano il funzionamento
del sistema: se sei famoso sei protetto dalla federazione, in costante contatto con ministri e
funzionari per discutere quali atleti proteggere
e come, se invece sei un pesce piccolo allora sei
sacrificato dai piani alti, senza rendere pubblica
la positività, e poi sostituito con qualcun altro.
Non è la prima volta che l’antidoping russo finisce nell’occhio del ciclone. Nel novembre
2013 la Wada ordina la chiusura coatta del laboratorio della Rusada e la sostituzione del suo
direttore. Mentre nel febbraio 2014, in piene
Olimpiadi di Sochi, un giornalista della tv tedesca WDR riesce a farsi consegnare dall'Accademia Russa della Scienza di Mosca un milligrammo del doping di ultimissima generazione, il Full Size MGF: una sostanza che ha effetto
sul potenziamento muscolare addirittura raddoppiato rispetto ai tradizionali ormoni della
crescita, e che soprattutto non è possibile individuare con le tradizionali metodologie antidoping. Ritornando a quanto sollevato dall’ultima inchiesta, quello che emerge ora è un durissimo attacco alla Iaaf, colpevole di avere taciuto su oltre 150 casi sospetti tra il 2006 e il
Franco Scoglio, ha delimitato
anche il diritto di critica. Ai
primi fischi ingenerosi (piovuti dopo il pari interno con il
Verona) ha zittito i contestatori e ottenuto a brutto muso il
dovuto rispetto. Il suo omologo, Siniša Mihajlović, dal
canto suo ha dimostrato nuovamente la personalità già
messa abbondantemente in
scena da giocatore e non ha
sbagliato un colpo creando un
gruppo monolitico in cui gli
interpreti sono intercambiabili e i giocatori rimessi a nuovo, da Okaka a Romero, sorprese inattese che hanno ora il
dovere di ringraziarlo come si
farebbe con un secondo padre.
Se il domani sarà davvero dol-
UNA CITTÀ STANCA
Da una parte le solite
rivoluzioni di Preziosi,
dall’altra l’impresentabile
Ferrero. Nessuno
ci avrebbe scommesso,
eppure funziona
ce, si vedrà. Il torneo è a un
terzo e se non si possono sigillare i sogni, non si può farlo
neanche con le certezze. Ci sarà da soffrire, da lottare, probabilmente da incazzarsi come è nello stile di due squadre
che per trionfare, sono costrette a correre due volte più
degli altri. Adesso il vento è a
favore. Per sapere se si trasformerà in una scimmia di luce,
di follia e festa collettiva, lo si
saprà in primavera. Non più
maledetta, ma felice. È Genova. La Genova che non sperava più di esserlo.
Sebastian Coe.
Lo Iaaf
avrebbe in
mano una lista
di 150 atleti
sospetti non
solo russi
2008, principalmente russi ma anche britannici,
tedeschi e africani, ma ci sarebbero anche quattro italiani. E così ora mentre la Iaaf dovrebbe
collaborare con la Wada nell’inchiesta sul doping di Stato russo, il Comitato Etico della Iaaf
dovrebbe investigare sulle coperture offerte
dalla stessa Iaaf al doping di Stato russo: un
circolo vizioso che rappresenta alla perfezione
la poca trasparenza e le connivenze degli organismi che gestiscono lo sport mondiale.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
19
Von Karajan, l’uomo
che sconvolse la musica
IL DIRETTORE D’ORCHESTRA DISCUSSO PIÙ PER LA SUA FIGURA CHE NON PER L’ARTE
di Carlo
Antonio Biscotto
S
e c’è un mito che
aleggia, a volte in
misura soffocante,
sulla storia della
musica classica del XX secolo, senza dubbio è quello di
Herbert von Karajan, icona
ed enigma, artista e personaggio. Il suo volto, incorniciato dai capelli bianchi sapientemente spettinati, fotografato sempre da sinistra (il
suo lato migliore, diceva il
maestro), ci guarda dalla copertina di milioni di album,
video, Cd e Dvd. Il grande
direttore d’orchestra salisburghese è senza dubbio colui che ha fatto più di ogni
altro per far uscire la musica
sinfonica dall’angusta cerchia degli appassionati e dei
conoscitori trasformandola,
nel dopoguerra, in un prodotto culturale di largo consumo.
LE PERPLESSITÀ riguardano
per lo più l’uomo che continua a essere sfuggente,
enigmatico, opaco. A parte il
carattere dispotico, la macchia più grande sulla sua reputazione è rappresentata dal
suo passato politico. Von Karajan è stato membro del partito nazionalsocialista e, probabilmente proprio per questo, oggi la maggior parte dei
direttori d’orchestra – a volte
con pretesti poco verosimili
– ripudiano apertamente la
sua eredità musicale. L’approccio di Karajan alla musica – affermano quelli dei
suoi colleghi che non lo amano – rappresenta una ideologia all’interno della quale
l’esteriore apparenza di perfezione e la pulizia formale
della sonorità orchestrale sono un fine, una sorta di stampo utilizzabile per tutto il repertorio, da Bach a Berg, da
Mozart a Mahler.
È proprio su tutte le leggende, gli stereotipi, le polemiche, le lodi, le critiche alimentati da Karajan che si interroga il nuovo documentario di John Bridcut – La magia
MANGO Muore anche il fratello
Infarto durante la veglia funebre
di Caterina
Minnucci
e ne sono andati a distanza di appena un
S
giorno l’uno dall’altro, il destino ha voluto che restassero separati solo per poche
ore. Giuseppe Mango, in arte Mango, per
gli amici Pino, è stato stroncato da un infarto domenica notte mentre intonava davanti al suo pubblico uno dei suoi più grandi successi. Stessa sorte per suo fratello,
Giovanni Mango classe 1939, scomparso ieri mattina per un malore improvviso che lo
ha colpito mentre si trovava nella villa familiare di Lagonegro a Potenza, dove era
stata allestita la camera ardente per il fratello. Una
tragedia nella tragedia che
lascia stupefatti. Nonostante il tempestivo trasferimento in ospedale, anche
per lui, muratore in pensione e fratello maggiore
dell’artista, non c’è stato
nulla da fare. Del tutto inutili i tentativi da parte dei
soccorritori che hanno
provato invano a rianimar-
lo per alcuni minuti prima del trasferimento al pronto soccorso. Le sue condizioni
sono apparse subito gravi, ha perso conoscenza e non si è più ripreso, ma è arrivato
ancora vivo in ospedale. Un brutto destino
che nel misterioso gioco della vita e della
morte, li ha uniti per l’ultima volta. L’artista
Pino Mango appena sessantenne, è morto
invece ancor prima di arrivare in ospedale,
infarto fulminante. Domenica sera si stava
esibendo a Policoro, nella sua Basilicata,
non molto distante da casa, quando seduto
davanti alla tastiera ha accusato il malore,
quei pochi attimi in cui ha cercato di chiedere aiuto per lui sono stati
fatali. A Lagonegro, la scomparsa anche di Giovanni,
morto di crepacuore per il dolore grande della perdita di
suo fratello minore, ha commosso tutta la cittadinanza
che si è stretta intorno alla famiglia. Il sindaco ha proclamato il lutto cittadino per il
giorno dei funerali che saranno celebrati nella Chiesa Madre della città lucana.
e il mito di Karajan – trasmesso
dalla Bbc lo
IL MAESTRO
DISCUSSO Herbert von Karajan,
scorso 5 dicem- icona ed enigma,
bre a circa 25 artista e personaggio
anni dalla sua molto controverso:
morte. Il docu- era filonazista
mentario
ha
momenti suggestivi: interviste con i musicisti della Filarmonica di
Londra risalenti ai primi anni
Cinquanta, con colleghi quali
Harnoncourt e Mark Elder e
con alcuni solisti con i quali
collaborò negli ultimi anni
della sua folgorante carriera:
Placido Domingo, Anne-Sophie Mutter e Jessye Norman.
Ne esce un ritratto che fa giustizia di alcuni luoghi comuni. In realtà von Karajan, come uomo e musicista, non
IL DOCUMENTARIO
corrisponde alla caricatura di
gelido perfezionista nella
Filonazista,
quale è stato confinato da
ampi settori della critica mudittatoriale
sicale. Il film documenta annel rapporto coi suoi
che l’indubbia vanità del
maestro. Non solo si preocmusicisti e vanitoso.
cupava di essere ripreso e fotografato dal suo lato miglioMa fu un terremoto
re, ma faceva in modo che il
che resiste ancora
suo primo flauto, James Galway – noto con il soprannome di “uomo dal flauto
d’oro” – non apparisse mai flessibile i suoi orchestrali? Il
nei film e nelle foto. Detesta- film avanza diverse ipotesi.
va “il suo volto irsuto”. In Anzitutto ricorda il contratto
realtà aveva una barbetta per di ferro che gli consentiva,
di più sempre molto curata. ogni qual volta si trovava a
Aveva in odio anche la cal- Berlino, di convocare i muvizie e sembra costringesse i sicisti a qualunque ora del
musicisti a mettere una par- giorno o della notte, senza
rucca quando il concerto do- preavviso e senza rispetto per
veva essere filmato o tra- l’orario di lavoro. C’erano
poi il suo magnetismo e il suo
smesso in televisione.
carisma che sembravano paMA IL DOCUMENTARIO di ralizzare le volontà indiviBridcut – al pari dei molti che duali degli orchestrali non
lo hanno preceduto – lascia appena metteva piede sul posenza risposta l’interrogativo dio, alzava la bacchetta e li
più importante: come riusci- guardava. In quel momento i
va a produrre quella insupe- musicisti diventavano “sue
rata armonia di suoni e a di- creature”, strumenti essi stesrigere con mano ferma e in- si. E malgrado tutto questo
non è facile capire come riuscisse a imporre la sua volontà assoluta sui musicisti e
sulla scena musicale dell’epoca.
Il documentario di Bridcut
conferma che la cultura musicale odierna non potrebbe
tollerare il fenomeno von Karajan anche se la mitizzazione dei direttori d’orchestra è
una realtà anche oggi. Preoccupa invece il masochistico
impulso a distruggere il più
grande mito musicale del XX
secolo. Perché masochistico?
Perché rifiutando Karajan rischiamo di sottovalutare l’intensità e l’incancellabile potenza del mondo di suoni da
lui creato e l’uso visionario e
pionieristico che seppe fare
dei media. A un quarto di secolo dalla sua morte, lo si voglia o meno, Herbert von Karajan rimane un figura sismica della musica classica, un
direttore d’orchestra che è
stato capace di terremotare il
panorama musicale e con il
quale tutti ancora oggi debbono fare i conti. A prescindere da quello che era o quello che voleva far apparire.
Renzi e suor Cristina, fenomeni da Youtube
TRA I VIDEO PIÙ VISTI DELL’ANNO C’È QUELLO DEL PREMIER CHE CERCA DI ESPRIMERSI IN INGLESE. BENE I TALENTI SFORNATI DA X FACTOR, SPOPOLA ENRIQUE IGLESIAS
di Valerio
Venturi
cosa serve il web? A cerA
care notizie e approfondimenti o a cazzeggiare? La
seconda che hai detto, direbbe il Corrado Guzzanti di
“quelo”. Lo dimostra la classifica dei video più visti
dell’anno su Youtube, da poco resi noti dagli addetti alla
comunicazione del social di
video più importante del
mondo. I risultati, pubblicati
per tutti anche sul blog youtube rewind, parlano chiaro.
Cosa hanno cercato gli italiani? Ai primi posti, frattaglie di talent televisivi. E anche altrove. Ecco nel dettaglio.
NUMERO dieci? Tenetevi
forte, i connazionali hanno
cercato la sfida epica tra Suor
Cristina Scuccia contro Luna
Palumbo. Cioè clip della religiosa trasformatasi in pop
star per intercessione di dj
Ax nel talent show “The voi-
ce of italy”.
Sopra, al posto 9, da X Factor, il rappettaro cattivaccio
Fedez che piange perché
commosso da un tenerissimo emergente capitatogli in
esame. Andando ai posti alti,
troviamo quindi i Pandellas,
duo comico del varesotto,
con una clip satirica sul
mondiale disastroso degli
azzurri. Ancora loro, al posto
sei, con la parodia di Shakira
cantante pop trash ufficiale
di Brasile 2014. Nel mezzo,
Tatiana Pilieva, dall’est con il
progetto “First kiss”, un
bianco e nero che mostra
persone che si baciano. Poi ci
sono video dedicati ai videogame, molto per nerd under
18, quindi la top 3. Al terzo
posto, c’è Renzi che parla inglese. Cioè, che tenta di parlare inglese (cercatevi su vice.com la trascrizione dei
suoi discorsi internazionali
tradotti secondo un anglo-
Suor Cristina
a X Factor, una
delle più cercate su
Google LaPresse
BILANCI
Google ha fatto
la classifica, un primo
bilancio arriva anche
da Facebook e i risultati
non cambiano. Funziona
quello che strappa risate
sassone). Anche questo esilarante. Jackal è al secondo
posto, con Gli effetti della serie Gomorra sulla gente. Anche in questo caso, un microfilm che fan riferimento a
ciò che è passato su piccolo
schermo. Al primo posto,
ariecco la suora: la sorella
Cristina di X Factor è in cima
alle classifiche con il video
“Blind 2”.
Curioso che la Scuccia non
sia considerata tra le pop star
nei contenuti generici. Perché Youtube, cioè Google, ha
reso pubblici anche i video
musicali piu cliccati. Pop e
rap. Qu parliamo solo dei
numeri uno.
Eccoli: spopola Enrique Iglesias con la sua hit “Bailando
(Español)”, al primo posto.
Katy Perry, zuccherosa, si
sgola al secondo gradino con
“Dark Horse (Official) ft.
Juicy”. Poi Rocco Hunt, con
“Nu juorno buono”, è al terzo posto.
Tempo di bilanci. Oggi an-
che Facebook, l’altro gigante
della rete, ha reso noti dati
interessanti. come sempre a
fine anno, il social blu ha diffuso news sui dieci argomenti più commentati del 2014.
COSA HA interessato, smos-
so o divertito i navigatori del
network di Mark Zuckerberg? qui le cose cambiano,
rispetto ai fruitori dei video.
C’è meno divertimento e più
attualità. Nei trend topic per
l'Italia c’è Papa Francesco al
terzo posto, Matteo Renzi al
quarto e il virus Ebola al decimo. Poi spuntano Mondiali di calcio, al primo posto, la
Pasqua al secondo, e ancora,
in ordine sparso, Serie A, festival di Sanremo e altre
amenità.
Ora manca solo Google, a rivelarci come passiamo il
tempo in rete, a cercar cosa.
Probabilmente svago, in e off
line via di fuga da un quotidiano che suona più banale
di un talent su Sky.
20
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
SHIT
AND DIE
Torino, Palazzo
Cavour, fino all’11
gennaio 2015
ARTE
Torino, una città
secondo Cattelan
“SHIT AND DIE” A PALAZZO CAVOUR, L’EVENTO CONTEMPORANEO
DELL’ANNO FINO ALL’11 GENNAIO CURATO DALL’ARTISTA PADOVANO
di Laura Cherubini
S
hit and Die è un progetto espositivo originale
concepito da un artista
(che si definisce “in
pensione”), Maurizio Cattelan,
affiancato da due giovani curatrici, Myriam Ben Salah e Marta
Papini, a Torino. Il “non-curatore” Cattelan è stato invitato
dalla direttrice di Artissima Sa-
FUMETTO
rah Cosulich a fornire uno
sguardo inedito sulla città e a
metterlo in mostra a Palazzo
Cavour che fu la residenza del
Conte di Cavour. Esplorando
con curiosità nei meandri della
città i tre riscoprono oggetti
provenienti dalla storia torinese
e li mescolano con opere di circa
sessanta artisti in un racconto
per immagini. Vengono presi in
considerazione vari aspetti: il
di Stefano
Feltri
Sognando l’amore
nella bora di Trieste
IL RICHIAMO DI ALMA
di Vanna Vinci, Bao Publishing, 80 pagg, 14 euro
L’ULTIMO volume a fumetti di Vanna Vinci è
l’adattamento di un romanzo del 1980 di Stelio
Mattioni, scrittore triestino che è considerato
uno dei massimi interpreti della cultura della città più misteriosa d’Italia, quasi un corpo estraneo lassù, scomoda per auto e treni, quasi isolata eppure così impregnata della storia nazionale ed europea. Si chiama “Il richiamo di Alma”,
ma potrebbe essere anche un adattamento della canzone “Le passanti” di Fabrizio De André,
quella dedicata “ad ogni donna pensata come amore”. La seconda
strofa sembra la sinossi de “Il richiamo di Alma”: “A quella quasi
da immaginare, tanto di fretta l'hai vista passare, dal balcone a un
segreto più in là, e ti piace ricordarne il sorriso, che non ti ha fatto
e che tu le hai deciso, in un vuoto di felicità”. La storia poteva
passato industriale di Torino e il
suo attuale declino, la tradizione magica ed esoterica, il feticismo per gli oggetti e il fascino
del collezionismo, la città
dell’Arte Povera, ma non solo…
NE VIENE fuori una racconto
colorito e discontinuo del luogo
attraverso i suoi più disomogenei personaggi, una narrazione
a tratti interrotta in cui le star sono Rita Pavone e Alba Parietti,
ma anche e soprattutto la Contessa di Castiglione, Virginia
detta Nicchia, che pare fosse stata incaricata da Cavour di sedurre Napoleone III al fine di
trovare alleanze per la nascitura
Italia e le cui foto appaiono nella
sala Fetish tra i mobili dello studio di Cavour coperti da trasparente plastica. Il titolo è tratto da
un’opera del 1984 di Bruce Nauman One Hundred Live and Die.
TEATRO
di Camilla
pana come percorso narrativo
non esauriente, costruito da una
pluralità di punti di vista che attraversa vicende come la follia di
Nietzsche e siti come il mercato
multietnico di Porta Palazzo.
Gli oggetti, che sopravvivono
all’uomo, come ricorda nel testo
in catalogo il filosofo Maurizio
Ferraris, o meglio i feticci, hanno le più disparate provenienze,
dall’unità residenziale Olivetti
Tagliabue
Rezza, il teatro
si è fatto corpo
©Clamori al vento
Flavia Mastrella, Antonio Rezza
Il Saggiatore, pagg. 398, euro 19,50
L'OPERA d’arte di un attore è egli stesso: il
suo corpo, il suo “spirito-muscolo”. Antonio
Rezza riesce benissimo in quest’arte funambolica di tenere assieme il dentro col fuori, la
sua fisicità nervosa con un’ancor più nervosa, se possibile, postura intellettuale: in
scena, così come sulla pagina, egli è muriatico, aguzzo, picassiano. E anche chi non
apprezza fino in fondo il suo teatro, perché
troppo violento o “volgare”, dovrebbe leggere il suo recente libro “Clamori al vento.
L’arte, la vita, i miracoli”, scritto con la sodale
Flavia Mastrella.
Finalmente un manifesto culturale redatto
da due “intellettuali” che non si vergognano di dirsi tali: una raccolta di testi spuri,
tranche de vie e stralci di canovacci, montata con piglio surrealista, debordante,
L’INSTALLAZIONE
svolgersi solo in una città di vento, fantasmi e illusioni come Trieste: un ragazzo viene folgorato da una fanciulla bionda in bilico
sulla Scala dei Giganti, uno dei punti più belli della città. Passerà la
vita a cercarla, incrociandola, spesso non riconoscendola se non
da qualche dettaglio, chiedendosi se esista davvero, perché ogni
volta abbia un aspetto diverso, quasi irriconoscibile. La misteriosa
Alma parla poco, ma di lei al protagonista senza nome resta soprattutto una frase, “la vita bisogna percorrerla tutta, prima di
decidere se è sogno o realtà”. E a quel punto, quando trovi la
risposta, scopri che non era poi così importante, che proprio l’ambiguità era ciò che dava senso alle giornate. E l’ambiguità suprema, il campo in cui la realtà si confonde con i desideri e i sogni,
è ovviamente l’amore. “Il richiamo di Alma” è uscito a puntate sul
Piccolo di Trieste e ora torna in formato libro (ma orizzontale) per
Bao. Come tutti gli ultimi romanzi di Vanna Vinci nasconde densità dietro un’apparente leggerezza di narrazione e disegno che
potrebbe sembrare scarsa ricercatezza. E invece la Vinci si sta
specializzando in fumetti eterei, sofisticati senza esibizionismi,
dove tutto lo sforzo è a sottrarre il superfluo, la pesantezza, lasciando soltanto un’atmosfera di soffusa malinconia.
Brevi slogan scritti al neon accomunano gli esseri viventi: una
di queste frasi che compongono
l’opera, che “sintetizza cento
possibili modi, banali e tragici di
vivere e morire” (Cattelan) è appunto Shit and Die che indica
l’impotenza dei mortali rispetto
al loro destino. Una tragica coscienza, filtrata sempre attraverso le armi dell’ironia. Articolata
in sette sezioni la mostra si di-
al Museo di Antropologia Criminale Lombroso, dal Museo di
Anatomia Umana a quello del
Risorgimento. Tra gli artisti troviamo torinesi irregolari e trasgressivi come Carol Rama e
Carlo Mollino, gli architetti Gabetti e Aimaro d’Isola che immaginarono la città ideale di
Talponia, Benglis, Creed, Emin,
Export, Leonard, Tayou, Schinwald, Signer fino a giovani
emergenti come Favaretto, Vezzoli, Carrubba e Halilaj.
La mostra segna anche la riscoperta di un grande artista italiano scomparso e ingiustamente
trascurato negli ultimi anni: Aldo Mondino che dispone di una
sezione tutta per sé sotto il titolo
di Aldologica. La sua Torre di
Torrone è circondata dai Tappeti stesi fatti di compensato e
appesi alle pareti. Tutto il lavoro
di Mondino è un ludico e comico controcanto all’Arte Povera,
la sua Torino non è la città
dell’industria automobilistica
Fiat e del suo indotto, ma quella
delle pasticcerie, i suoi materiali
non sono tubi e fascine, ma caramelle e cioccolato, le sue opere
non sono “senza titolo”, ma si
intitolano a motti di spirito, sono anzi giochi di parole concreti
e praticabili.
stralunato,
cangiante,
come gli “Habitat scenici” di Mastrella: “La volontà di mettersi a nudo,
io con la forma e Antonio
con il corpo, alla fine fa ridere, e ridere rinvigorisce
il senso civico e l’autocritica”.
Guai però a parlare di
“impegno civile”: “L’arte
non deve essere etica, non è fatta per essere la cornicetta dell’infelicità… Non ci interessa la gente che sta male, altrimenti
staremmo lì ad aiutarla”.
Scrollatosi da qualsivoglia pelosa retorica,
Rezza è spettinato come Lac e vanta l’esattezza della crudeltà di un Artaud, i suoi cari
maestri “mai letti. I libri belli non vanno
letti, bisogna avere il coraggio di fidarsi”.
Ora i due teatranti irregolari, approfittando della tournée editoriale, stanno ripro-
di Diletta
Giulio Mazzi
ponendo alcune delle opere più famose:
all’Elfo di Milano si è appena rivisto “Fratto_X”, mentre a Torino, da domani a domenica all’Astra, andrà in scena “Bahamuth” (stasera il libro è presentato al Circolo
dei Lettori). Come a dire: “Finché il corpo
funziona daremo spazio al teatro, con le
prime infermità ci occuperemo del cinema, con la paralisi della scrittura e con le
primissime ischemie potremo finalmente
riordinare l’archivio”.
Parlangeli
Come scolpire la libertà di parola
© Anything to say
Davide Dormino e Charles Glass
CHE IL PUNTO di vista sulle cose
cambi le cose stesse, per quanto
possa suonare retorico, è la realtà
dei fatti: una verità soggettivamente oggettiva. E se questo meccanismo è lampante nella fotografia – per esempi pratici vedere la
mostra di Cartier Bresson all’Ara
Pacis di Roma – non è sempre facile spiegarlo a parole. Figurarsi
con una scultura. L’operazione
portata avanti da Davide Dormino
(scultore) e da Charles Glass
(scrittore e giornalista), va esattamente in questa direzione.
“Anything to say?” è un progetto
artistico dedicato a tutti, e che
vuole arrivare a tutti, con lo scopo
di simboleggiare la libertà dell’informazione, e il coraggio e la forza
necessari a portarli avanti. È una
scultura in bronzo, a grandezza
naturale, di tre persone che stanno
in piedi su una sedia. Una quarta
sedia vuota è il posto dedicato al
pubblico, che salendo al fianco dei
tre potrà guardare il mondo dalla
stessa prospettiva. Le tre persone
rappresentate sono Chelsea/Bradley Manning, Julian Assange ed
Edward Snowden: protagonisti
della storia contemporanea, emblemi del coraggio di rendere pubbliche informazioni fino ad allora
accessibili solo a pochi.
L’opera si sposterà di città in città
per sensibilizzare sui temi della
disinformazione, dei dati detenuti da pochi, dei meccanismi poco
chiari di gestione e controllo.
Il progetto, frutto dell’esigenza di
Glass di difendere ancora una
volta la libertà di accesso all’informazione, sarà finanziato con
una raccolta fondi su Kickstarter.
Il video promo della campagna è
d’impatto – sfrutta anche al motto “il coraggio è contagioso” – e si
è posto come obiettivo 100mila £
(raccolti oltre 19 mila, a 23 giorni
dalla fine della campagna). Davide Dormino ha recentemente
esposto a Roma la sua “Derail”,
un’opera posizionata su un evocativo binario morto, nell’ambito
dell’Outdoor 2014. “Mi piace immaginare che nel mondo possa
esserci un monumento che raffiguri tre rivoluzionari contemporanei, insieme ad altri che hanno
cambiato il corso della storia di
ogni paese – spiega su “Anything
to say?” - Sono consapevole che
l’altra metà del mondo li vede come tre traditori e per questo
l’opera può anche esser vista come un’esecuzione pubblica”.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
21
DAL 1973 “Protestantesimo”, rubrica della
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
ONDA SU ONDA
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Riforma del servizio
pubblico: ora o mai più
di Loris Mazzetti
enzi ha capito che BerluR
sconi, come ha fatto con tutti sin dall’epoca della Bicamerale di
D’Alema, lo sta prendendo per i
fondelli, lo vuole portare al voto sul
presidente della Repubblica senza
riforme per poter trattare chiedendo in cambio il consenso del Pd al
suo candidato. Questa è l’unica
spiegazione per aver dato il via, finalmente, alla riforma della governance della Rai. I tempi sono strettissimi, il rischio è che la nomina del
prossimo Cda avvenga con la legge
Gasparri e questo sarebbe, oltre a
una iattura, inaccettabile per l’Europa. La squadra che se ne sta occupando è formata da Luigi Zanda
nel ruolo di regista, poi Roberto
Speranza, Antonello Giacomelli,
Luca Lotti, Matteo Orfini, Salvatore
Margiotta, Vinicio Peluffo, Marco
Filippi, Mario Tullo e Lorenza Bonaccorsi. È riunita a oltranza per discutere la proposta da portare nella
Commissione competente del Senato entro le dimissioni di Napolitano, per poi arrivare, al massimo a
marzo, in aula per l’approvazione.
A quel punto il governo potrebbe
anche recepire il testo emanando un
decreto legge d’urgenza causa scadenza del Cda Rai, in carica al massimo fino all’approvazione del bilancio. Se ciò avvenisse, la Gasparri
sarebbe la prima legge ad personam a essere seppellita. Contrari
Forza Italia (comprensibile impegno a preservare le aziende del capo) e il M5S che invece dovrebbe
tuffarsi anima e corpo chiedendo in
cambio l’appoggio del Pd alla propria legge sul conflitto di interessi
persa in qualche Commissione.
IL MODELLO per una nuova Rai (la
cui proprietà potrebbe rimanere al
Tesoro e alla Siae) a cui la squadra
potrebbe ispirarsi è quello già discusso pubblicamente, detto duale,
presente nel sistema bancario (Intesa), che garantirebbe alla Rai una gestione molto più snella: al posto del
Cda e del Collegio Sindacale un
Consiglio di Sorveglianza nominato, per una parte dai presidenti di
Camera e Senato, i rimanenti da associazioni di settore o culturali come: Anica, Anci, Fieg, Confindustria, Sindacati, Conferenza dei Rettori, che sceglieranno tra esperti del
settore della comunicazione (escludendo politici in carica), i tre componenti del Consiglio di Gestione,
tra questi il presidente il cui ruolo
assomiglierà più a quello dell’amministratore delegato. Solo il CdG opererà sul quotidiano e definirà le scelte strategiche della Rai. Speriamo
che la squadra non dimentichi che
gli unici proprietari del servizio
pubblico devono essere i cittadini.
Protestantesimo, il ‘900
abita ancora la notte Rai
di Elisabetta Ambrosi
vviso ai maniaci dello zapping notturno: una domenica su due, alle
A
una e trenta di notte, potreste perico-
losamente incappare, su Rai due, in un
programma che parla di verità, giustizia
e misericordia. E per di più senza alcun
riferimento a Vaticano, papi e parroci
cattolici. Si chiama Protestantesimo, ed è
la rubrica curata dal lontano 1973 dalla
Federazione delle Chiese Evangeliche
in Italia in convenzione con la Rai, e
attualmente diretta da Marco Davite.
Già lo studio segnala che il programma
è antropologicamente diverso dal prodotto medio made in Rai: rosso e blu si
alternano sobriamente su sfondo beige
e parquet, mentre le luci soffuse illuminano scritte di testi sacri. I temi sui
quali il conduttore Paolo Emilio Landi,
accompagnato dalle musiche della
band del jazzista e sassofonista Gabriele
Coen, invita gli ospiti intervenire – uno
a uno, senza effetto salotto – non hanno
l’adrenalina della cronaca, ma di sicuro
ci riguardano da vicino più del calcolo
della Tasi o degli effetti della manovra.
L’ultima puntata, ad esempio, partiva
dal comandamento “non dire falsa testimonianza”, sottraendolo all’odore di
sacrestia e declinandolo nei suoi aspetti
universali. Niente economisti, politici,
giornalisti: Protestantesimo è il regno
di teologi – come Paolo Ricca che spiega
perché “senza verità non si può fare giustizia” –, di rabbini, che raccontano come nell’ebraismo non si possa mai istituire un procedimento senza testimoni,
di medici – come l’oncologo a cui si
chiede se sia giusto dire sempre la verità
a un malato grave o terminale – di psicoanalisti, come la junghiana Giovanna
Gay, che spiega il potere liberatorio della verità in terapia.
MA IL PROGRAMMA prende spesso an-
che la forma, quanto mai necessaria, di
inchiesta sui temi della libertà religiosa
in Italia, ad esempio mettendo al centro
di una delle ultime puntante, con interviste a studenti e docenti, il diritto negato nella scuola italiana a conoscere altre realtà religiose. Perché se gli studenti
che non scelgono l’insegnamento della
religione cattolica sono sempre di meno
gli insegnanti di religione cattolica sempre di più? Come può ancora oggi una
Gli ascolti
di lunedì
FRANCESCO
Spettatori 4,33 mln Share 16,7%
QUINTA COLONNA
Spettatori 1,68 mln Share 7,91%
reliquia di Don Bosco andare in giro per
le scuole italiane? Perché la laicità nella
scuola pubblica è seriamente compromessa? Questioni non proprio secondarie, di cui nessuno nell’informazione
“diurna” si occupa. Proprio come
l’enorme tema del dialogo interreligioso, in particolare il dialogo tra Cristianesimo e Islam, al quale il viene dedicato
un approfondimento che cerca di spiegare perché l’Islam “insegna tutto l’opposto di ciò che fa l’Isis”.
nsomma: mentre ci dobbiamo sorbire le
dirette della Messa su Rai uno, un programma che cerca di rompere la malsana idea, diffusa soprattutto in Italia,
che l’etica sia monopolio del cattolicesimo, con la disperante conseguente tesi
che fuori da quel credo non ci sia nulla
da credere, viene mandato in onda
neanche in seconda, in terza serata, nonostante l’ascolto di voci di altre religioni, sia pure soprattutto cristiane,
produca lo stesso liberatorio effetto che
si ha seguendo le Olimpiadi dopo quattro anni di monoteismo calcistico. Chi
potrò liberare Protestantesimo dalla sua
gabbia notturna? Forse, solo papa Francesco.
LEZIONI DI CIOCCOLATO 2
Spettatori 3,00 mln Share 12,4%
PIAZZA PULITA
Spettatori 1,14 mln Share 5,35%
22
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL BADANTE
L’APPELLO
Non demolite
la Costituzione
Pubblichiamo ampi stralci del
documento finale approvato
dall’assemblea nazionale
dell’associazione “Salviamo la
Costituzione: aggiornarla, non
demolirla”, presieduta dal
professor Alessandro Pace, a
proposito del ddl costituzionale n.
2613 “Renzi-Boschi” in
discussione alla Camera e della
nuova legge elettorale per la
Camera (“Italicum”) in
discussione al Senato.
1.
L’assemblea ribadisce il proprio favore
per la tesi, già sostenuta dal presidente
Scalfaro, secondo la quale una
legge di revisione costituzionale
dovrebbe essere sottoposta a referendum
confermativo
quand’anche venisse approvata
con la maggioranza dei 2/3 dei
componenti di ciascuna Camera; auspica quindi che il Parlamento colga questa occasione
per rivedere in tal senso l’art. 138
della Costituzione.
2. L’assemblea rileva la disomo-
geneità che caratterizza il contenuto del ddl in quanto introduce
contestualmente modifiche sia
alla forma di governo sia alla forma di Stato. Così facendo il ddl
viola gli articoli 1 e 48 della Costituzione – che proclamano rispettivamente la sovranità popolare e la libertà di voto – in quanto
costringe l’elettore, in sede di referendum confermativo, a votare
a favore o contro entrambe tali
modifiche ancorché sia favorevole solo a una delle due. L’assemblea auspica (...) che il referendum debba avvenire separatamente per gruppi di disposizioni omogenee all’argomento trattato (…) e che la Camera disponga lo stralcio di una delle due riforme per consentire agli elettori
di votare liberamente sull’altra.
3. Il fatto che il governo Renzi,
contro ogni logica, abbia ritenuto di sottoporre all’approvazione
del Parlamento la sola legge elettorale della Camera, autorizza
l’assemblea a valutare contestualmente sia il ddl costituzionale n. 2613 sia l'Italicum (…).
L'Italicum, distaccandosi dalle
precise indicazioni contenute
nella sentenza n. 1/2014 della
Corte costituzionale, rischia di
privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentatività, anche e soprattutto in conseguenza
del sistema prevalentemente
monocamerale cui darebbe vita il
ddl. Al riguardo è stato prospettato il rischio che il premio di
maggioranza, a seguito del ballottaggio, possa spettare – senza
adeguati correttivi sui requisiti
per la partecipazione al ballottaggio – non alla prima lista ma alla
seconda ancorché questa sia stata
votata soltanto dal 20% degli
elettori. Con la conseguenza che
le verrebbe attribuito un premio
assolutamente irragionevole.
4. Nel merito del ddl l’assemblea,
pur convenendo sull’opportunità di aggiornare la forma di governo e quindi di attribuire alla
sola Camera dei deputati il rapporto fiduciario col governo,
Matteo Renzi e il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi Ansa
PUNTO PER PUNTO
L’assemblea nazionale
dell’associazione
presieduta dal professor
Alessandro Pace
in merito al “ddl Boschi”
e dell’“Italicum”
manifesta la sua decisa contrarietà all’accentramento di poteri
in capo alla Camera, e quindi alla
maggioranza di governo. La Camera (…), grazie alla sproporzione tra i suoi componenti (630)
e i componenti del futuro Senato
(100), potrebbe procedere praticamente da sola alla revisione
della Costituzione, all’esercizio
della funzione legislativa – tranne i pochi casi di esercizio collettivo di tale funzione –, all’elezione del presidente della Repubblica, dei componenti del
Csm e di tre dei cinque giudici
costituzionali.
5. Oltre all’assenza di un forte ed
effettivo contro-potere esterno –
il Senato essendo stato delegittimato quanto alla fonte dei suoi
poteri, al numero dei suoi componenti e alle attribuzioni a esso
conferite – l’assemblea rileva la
carente previsione di contro-poteri interni: la disciplina delle garanzie delle minoranze parlamentari viene demandata ai regolamenti parlamentari (che sono approvati dalla maggioranza); nel procedimento legislativo
viene escluso, salvo eccezioni,
l’esame in commissione referente dei disegni di legge; non è stata
prevista la possibilità di ricorso
alla Corte costituzionale contro
le decisioni delle Camere in tema
di ineleggibilità, incandidabilità
e incompatibilità, da anni auspicato dai più autorevoli studiosi.
6. I senatori non rappresentereb-
bero più la Nazione, come se il
Senato – ancorché ridotto a soli
100 componenti – non fosse anch’esso un organo dello Stato che
partecipa al procedimento di revisione costituzionale e alla funzione legislativa, elegge il presidente della Repubblica e due dei
cinque giudici costituzionali. Per
quanto limitati siano i poteri riconosciuti dal ddl al Senato a
fronte di quelli riconosciuti alla
Camera (significativo è che il Senato non potrebbe istituire commissioni parlamentari d’inchiesta sulle materie sulle quali po-
trebbe legiferare o esercitare il
controllo!), ciò nondimeno allo
stesso Senato viene attribuito sia
il potere di partecipare alla revisione costituzionale sia alla funzione legislativa, senza però che i
senatori siano eletti con suffragio
diretto in sede regionale oppure
grazie a un serio sistema di elezione indiretta. Ciò urta contro
un principio fondamentale del
costituzionalismo, risalente ad
almeno 800 anni, secondo cui i
detentori del potere legislativo
debbono essere eletti dal popolo
e al popolo debbono rispondere. (…) I 1032 futuri “grandi
elettori” del Senato (tra consiglieri regionali e sindaci) “sceglierebbero”, tra di loro, i 95 senatori che continuerebbero a
esercitare part time le funzioni di
consigliere regionale o di sindaco, laddove in Francia sono 150
mila i “gradi elettori” (deputati,
consiglieri regionali, consiglieri
generali e delegati dei consiglieri municipali) che eleggono i
circa 330 senatori.
Il “tutto va bene”
di Giuliano Ferrara
di Oliviero Beha
n QUALCHE giorno fa, a tiepido sullo scandalo di Mafia Capitale, sul giornale da lui diretto Giuliano Ferrara ha esternato. A lungo. L’articolo si intitolava “La Corleone dei cravattari”. Una bella articolessa,
contro il “pensiero unico” della
cronaca dei media secondo lo
stile quasi sempre inutile
dell’amato Falstaff de’ noantri:
articolessa sbagliata, per almeno tre motivi. 1) La sottovalutazione dell’inchiesta, derubricata dall’uomo del Foglio
a “bufala” tipo Amici miei, e del
“migliaio di pagine della Procura”, quando la faccenda sta
invece montando sempre più,
le pagine delle sole intercettazioni sono più di 70 mila, possiamo aspettarci di tutto nei
prossimi giorni, magari non
solo al di qua del Tevere… 2) Il
considerare
tecnicamente
esagerata la definizione di
“mafia”, quando trattavasi secondo lui di qualche “ladro”, di
“millantatori”, dei “cravattari”
appunto e di un humus diffuso
“in ogni grande città”: poi si
scopre che gli agganci con Cosa Nostra e la ‘ndrangheta
zampillano con palesi e gravissimi risvolti elettorali. 3) La disattenzione nei confronti della
disgraziata mafiosità antropologica italiana, figlia del cosiddetto “familismo amorale”
che ci perseguita e ci fa sciascianamente come siamo. Per
cui non solo non è più affare di
coppola e lupare, ma neppure
soltanto di legalità o illegalità:
si esce dalla porta principale
del reato per rientrare dai finestroni dell’etica devastata e
polverizzata. Lo so, a Giuliano
che fa di sé provincia non piacciono i “moralisti”, tendono alla noia…
Ma di questo passo la palude
avanza e resta acquisita e indifferenziata. Il buco nero è assai più profondo di quel che
sembra, e giacché in nulla si
sopporta il vuoto, nella politica
come nell’imprenditoria come
nelle cooperative, nella routine quotidiana esso viene occupato da un altro pieno, appunto quello intercettato dalle
indagini (fatta salva la presunzione d’innocenza). Ma questa vicenda macroscopica non
è solo cosa giudiziaria. Non lo
dico io, ma un libro di quattro
anni fa che cito passim: “Eppure non ci vogliono i giudici
per comprendere che la corruzione è tornata come forma
normale di rapporto tra politica e impresa; che nessuno può
pensare che si fermi sulla so-
PERSEVERANZA
A minimizzare
il macroscopico
buco nero della Mafia
Capitale è rimasto
solo l’intramontabile
direttore del “Foglio”
glia del centrosinistra; che
questo rende ancora più indisponente e fragile il moralismo che si leva troppo spesso
dalle nostre fila; che la risposta
sta in un coraggioso cambiamento delle istituzioni, della
rappresentanza, della forma
politica; che l’esempio va dato
prima di tutto da noi; che i cittadini vogliono testimonianze
di una diversità dei comportamenti; che questo vale più di
mille processi a Berlusconi;
che, infine, per cambiare rotta
non bastano piccoli accorgimenti, ma una virata, uno choc
che ridia voglia al popolo di
credere più profondamente
nella nostra sincerità e voglia
di alternativa…”.
PIÙ CHE un libro sui partiti
che non esistono più se non
per quello che “non” dovrebbero essere (Oltre i partiti. Ed.
Marsilio), è un libro sulle persone, su come sono diventate,
su come considerano la politica ecc. C’è dentro tutto quello che ora le cronache riempiono di circostanze e nomi, senza aspettare riscontri né analizzare con un minimo di cura
quello che è stato intercettato,
in un’indistinzione sovrana
dove tutto sembra eguale. Per
il cinico Ferrara è una “supercazzola”, per Goffredo Bettini,
autore del libro citato, era già
allora invece un presepe degenerato alla moviola, in un discorso politico e culturale. Lo
ripete oggi, dopo il ruolo importante giocato fino a qualche anno fa nel Pd romano, la
distanza che ne ha preso
nell’Alemanneide, gli schizzi di
fango della centrifuga delle intercettazioni. In un mondo di
“cecati” forse la sua lente di ingrandimento è preziosa. Oltre
la canizza, certo…
n
PIOVONO PIETRE
Racconto un sacco di balle,
ma se le chiamo storytelling...
di Alessandro Robecchi
icesi
un complesso sistema
D
di pubblicazioni, notizie, modi di comunicarle, stili innovativi, segnali mediastorytelling
tici, ripetizioni ossessive perché il concetto entri anche nelle teste più dure, nuovi
approcci, citazioni. Insomma un po’ tutto
quello che una volta si chiamava “comunicazione” e ora fa più fico dirlo in inglese.
“L'arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva”, dice il vocabolario. Ecco. Ora va da sé
che il confine tra storytelling e leggenda
metropolitana è un po’ labile e viene ogni
giorno superato. Molto spesso invece impatta con la realtà con la potenza di un
frontale tra camion e allora si crea un effetto lisergico: da una parte lo storytelling, e
dall’altra quello che succede veramente.
Ora si può scegliere, naturalmente: abbeverarsi alla leggenda, che si ripete nella
speranza che qualcuno la prenda per vera,
oppure guardare ai fatti. Immaginiamo,
per esempio, un medio imprenditore tedesco, o cinese che voglia investire qui.
Potrà valutare lo storytelling corrente e ben
oliato dai media – ottimismo, ripresa, riforme, Jobs act, camicie bianche, ministri
da copertina, modernità, parole inglesi –
oppure valutare lo stato delle cose: leggi
complicatissime, giustizia lenta, corruzione, malavita, er Guercio, il mondo di
mezzo e altro ancora.
zista. Lasciamo da parte
PAROLE, PAROLE
Potrà leggere i discorsi
gli slogan facili e leopol“luminosi e progressideschi e prendiamo inPoi capita che ciò che
vece il succo: faremo, savi”, oppure i titoli delle
remo – o meglio torneinchieste in corso. I reuna volta si chiamava
remo a essere – sviluppecenti fatti di cronaca,
comunicazione (in
per esempio, rendono
remo, cresceremo, attil’attuale storytelling goreremo capitali stranieri,
inglese fa fico) impatti
vernativo, tutto inceneccetera eccetera.
trato sul futuro, un po’
Lo storytelling è positivo e
con la realtà; l’effetto
fuori luogo. Bella storia,
ottimista e si lascia intenche si crea è lisergico
insomma, ma smentita
dere che domani andrà
ogni giorno. Si è provatutto molto meglio. Into, è vero, all’inizio e per
tanto, non domani ma
un annetto a ridicolizzare che si opponeva oggi, uno non riesce ad avere un appalto
al racconto sorridente, ottimista e posi- perché non conosce nazisti dell’Illinois, o
tivo (“gufi”, è già parola sorpassata, sepol- di Roma, oppure viene licenziato, oppure
ta), ma poi le smentite della realtà si sono viene demansionato, oppure ascolta la
fatte implacabili, e quel racconto, quello solfa dell’abbassamento delle tasse più postorytelling, oggi non sfonda più, non con- deroso dai tempi di Ramsete II e si trova a
quista. Non perché gli manchino elementi pagarne di più. Ecco, allarme: lo storyteldi fascino: a chi non piacerebbe essere ling renziano è molto distante dalla realtà.
moderni, carini, sexy, glamour, con Futuro è un concetto luminoso ma distanun’economia frizzante e un governo di ra- te, mentre qui e ora di luminoso c’è pogazzini ben pettinati? Piuttosto perde cre- chino. E siccome sanno tutti che per avere
dibilità perché fornisce immagini troppo un buon futuro si parte da oggi e non da
distanti dalla realtà che si vive ogni giorno. domani, la storia scricchiola, stona, suona
In certi casi, insomma, anche se è inglese e falsa, e può diventare irritante. Si richiede
fa fico, costruire un elaborato racconto – un veloce ridisegno dello storytelling, una
una narrazione – troppo lontano da quel cosa che in italiano potrebbe suonare così:
che accade può trasformarsi in autogol.
“Su, ragazzi, raccontatecene un’altra, che
Un caso di scuola è l’uso del concetto di questa non ha funzionato”.
“futuro” per la nuova classe dirigente ren@AlRobecchi
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
23
MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Il naufragio
di una società
Mafia Capitale è una risposta anche a chi pensava
che la giustizia nostrana
fosse un problema di giorni di ferie dei magistrati. E
all’uopo, direbbe Totò, ha
preparato una legge sotto
il titolo “Chi sbaglia paga”.
Sbaglieremmo tuttavia se
pensassimo che sul banco
degli imputati ci sono solo
i politici: anche il modo di
raccontare la politica è
naufragato: di certi personaggi si parla sempre in
termini di agiografia, pubblicando i loro comunicati
stampa. C’è un giornalismo che trova le notizie
per nasconderle sotto al
tappeto. D’altronde, abbiamo costruito una società senza meritocrazia,
che ora ci frana addosso.
Le ideologie tenevano
l’uomo a freno dandogli
un po’ di etica, appannate
quelle è la foresta: ognuno
risponde ai suoi istinti, appetiti, carriera. Siamo nella terra di mezzo: dalla democrazia transitiamo verso qualcosa d’altro.
politica, rientrerà nei ranghi del suo Pd. D’altronde
non sostiene che il suo
ruolo non è politico ma
soltanto sindacale? Delusi
e sconfortati ci rifugiamo
nel rivoluzionario pensiero di Francesco e nella lucida analisi di Raniero La
Valle che scrive con grande lucidità e passione politica, tra le altre tante interessanti cose: “Che ci
vuole un Partito nuovo,
dove si cammina a piedi, si
incontrano le persone, si
studia e si fa politica, un
partito con i gettoni... un
Partito che giochi un’altra
partita che non è quella del
Potere, ma quella del bene
dibile come l’ex simpatico
sindaco interpreti il suo
ruolo, siamo oltre la politica-spettacolo: lui si veste
a seconda del target. Va
dalla De Filippi? Si traveste da Fonzie, va dagli industriali? Impeccabile in
giacca e cravatta e così via.
Lui non fa politica, interpreta, non porta contenuti, affabula. Una volta un
politico era le idee che
portava avanti, Togliatti o
De Gasperi non si vestivano a seconda delle platee
alle quali si rivolgevano al
massimo argomentato nel
modo che poteva risultare
più chiaro. Con Renzi siamo arrivati all’avanspetta-
Corr uzione,
vi spiego
che cos’è
CARO COLOMBO, che cos’è la corruzione? Non è una malattia, non è una necessità (il bisogno), non è (non può essere)
un vanto perché deve restare segreta. Allora?
Mario
CREDO CHE L’ULTIMA ipotesi (un vanto)
ci possa fare da guida. E poiché in tanti sono
arrivati in questo “mondo di mezzo” in cui
tutti appaiono corrotti o non contano, vediamo di rifare a ritroso il cammino senza
cedere al luogo comune: “I corrotti ci sono
sempre stati”. Vero. Ma qui, nell’Italia e
nella Roma di oggi, siamo arrivati al comportamento abituale, diffuso e accettato.
Ammettiamolo: “Lo scandalo” di cui si
stanno gonfiando le notizie in questi giorni
consiste non nell’immensa organizzazione
di appropriazione indebita e di libero accesso ai fondi pubblici, ma nel fatto che i giudici
lo abbiano scoperto, e ci stiano raccontando
dettagli abitualmente riservati. Provo a
mettere in ordine due o tre pensieri. La fine
delle ideologie, nel senso del legarsi a un progetto di miglioramento della vita di tutti, di
promessa elettorale e di impegno politico
con un pubblico a cui si chiede sostegno (e
che dubita, ma preferisce seguire la speranza di qualcosa) ha provocato un vuoto più
grande del previsto. A questo vuoto si è arrivati in due mosse, la prima ovvia, la seconda imprevedibile. La mossa ovvia è l’imprenditore che si fa politico mostrando la
sua ricchezza come modello per il futuro di
tutti. Ognuno, da solo e contro gli impedimenti delle leggi, può diventare ricco o almeno più ricco, e comunque impara che ne
ha diritto. Sto parlando di Berlusconi.
L’evento imprevedibile è che chi avrebbe dovuto fare opposizione, perché custodiva valori più grandi (non il comunismo, ma le
idee di uguaglianza, di comunità, di partecipazione), ha abbandonato il suo carico di
progetti e speranze lungo la strada e ha deciso di presentarsi al confronto privo di ingombri. D’ora in poi la gara sarebbe stata
alla pari: il niente valori di Berlusconi contro il niente valori delle tre tappe non felici
della ex sinistra, Pds, Ds e Pd (in combina-
la vignetta
Francesco Greco
Il partito che manca
della dignità
Caro Direttore, Renzi demolisce ogni giorno la nostra Costituzione ,il fascismo formato Salvini dilaga al nord ma anche al centro e si sposta pericolosamente anche al Sud , la cosiddetta “sinistra” del Pd
fa finta di opporsi e quella
antagonista, cui mi sento
sentimentalmente e politicamente di appartenere,
è come un pugile suonato
e messo all’angolo. Tutto
questo accade mentre
Landini non intende cogliere la possibilità “storica” di raccogliere attorno
a sé le forze capaci veramente di opporsi all’uomo
solo al comando e costruire, finalmente, un fronte
per difendere la Democrazia e una Sinistra che freni
la pericolosa deriva neodemocristiana del nostro
Paese. E la Camusso? Passata la bufera dello sciopero generale necessario per
non perdere il potere contrattuale nei confronti del
governo, pena la sua fine
comune, solidale ed inclusiva. Un Partito non per
sé, o per riesumare il suo
passato ma per rappresentare e dare voce all’enorme
potenzialità dei candidati
ad una vita secondo equità
e giustizia”. Un Partito che
restituisca dignità e diritti
ai lavoratori.
Toti Costanzo
I cambi d’abito
del premier Renzi
Per parlare ai giovani democratici il “Caro Leader”
Matteo Renzi ha sfoggiato
un inedito maglioncino
rosso fiammante per accattivarsi la platea dei ragazzi. Si sa: si nasce incendiari si muore pompieri, o
meglio, si nasce di sinistra
si muore renziani. È incre-
colo fatto e finito. Aspettiamoci di vederlo quanto
prima parlando ad una
kermesse di pizzaioli partenopei, nei panni di un
Ciccio Formaggio 2.0.
Mauro Chiostri
DIRITTO DI REPLICA
In riferimento all’articolo
“Tessere e soldi, così s’è
scannato il Pd”, pubblicato su Il Fatto Quotidiano il
7 dicembre, vorrei solo
precisare, senza alcuna
polemica, quanto segue.
Quando nel 2008 sono
uscito dal PDL, il centrodestra andava alla grande
e, come possono raccontare testimoni attendibili, mi
era stato proposto il ruolo
di assessore al turismo
nonché vicesindaco di Roma, incarico poi andato a
Mauro Cutrufo. Dal 1997
al 2008, come consigliere
comunale di Roma, in solitario, ma molto in solitario, ho combattuto contro
Cerroni e la discarica di
Malagrotta, Caltagirone,
il Fatto Quotidiano
Direttore responsabile
Antonio Padellaro
Condirettore Marco Travaglio
Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez
Caporedattore centrale Ettore Boffano
Caporedattore Edoardo Novella
Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo
Art director Paolo Residori
Redazione
00193 Roma , Via Valadier n° 42
tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230
mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it
Editoriale il Fatto S.p.A.
sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42
Presidente: Cinzia Monteverdi
Consiglio di Amministrazione:
Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez,
Antonio Padellaro, Layla Pavone,
Marco Tarò, Marco Travaglio
zione con frammenti di mondo cattolico opportunamente bloccato sia dai “valori non
negoziabili”, sia dalla destra rigorosa del
cardinale Ruini. Per chi si accostava alla politica, due segnali sono caduti: dove, come
sono diversi i due schieramenti. E perché, in
un mondo di sacrifici e di solitudine, non
dovrei usare il passaggio nella politica per
giovare a me e alla mia famiglia. Si è cominciato a dire: “Come tutti”. Restano le diversità morali degli individui. Se si piantasse,
come in Israele, un albero per ogni “giusto”
(in Italia “giusti” sarebbero coloro che non
partecipano al bottino) non avremmo una
foresta ma almeno un boschetto da indicare
ai più giovani. La foresta invece è dalla parte della politica diventata affare con espedienti creativi a volte straordinari, e una capacità, che va riconosciuta, di innovazione
continua. Ma da quando è sopraggiunta la
novità distruttiva delle “larghe intese”, che
ha il suo simbolo triste e indimenticabile nel
caldo abbraccio di Maria Elena Boschi, giovane e gradevole simbolo di ciò che fu la sinistra, e del senatore Verdini, molto atteso
anche dai giudici e simbolo autorevolissimo
di ciò che è stato l’avversario politico, si è capito che ogni impresa, d’ora in poi doveva
considerarsi congiunta. Cadevano insieme
due frontiere, una fra uno schieramento (la
promessa di arricchirsi) e la sua opposizione (che un tempo era l’uguaglianza). L’altro
fra infra-politiche, reticolati di connessioni
e di convenienze, amicizie fondate sui conti
bancari sparsi nel mondo. Gli americani,
sia nel giornalismo che nelle spietate serie
televisive sulla parte in ombra della loro politica descrivono così questa nuova militanza: “What’s in it for me?” Io che cosa ci guadagno? Corruzione è quando questa parola
d’ordine smette di essere vissuta come un
reato (se ti beccano, poi passa, come una
malattia) e diventa abituale, accettato e diffuso modo di agire. In un mondo senza bandiere e senza barriere è tutto più naturale e
più facile. E molto più praticato.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
Panzironi e parentopoli,
Mancini e scandalo Luneur, contro le vicende
dell’appaltone Atac, del
piano regolatore, dei
Mondiali di Nuoto e contro tante altri illeciti così
come ampiamente documentato. Sono uscito dal
Pdl, e quindi da tutti i partiti, quando rivestivo l’incarico di capogruppo in
consiglio comunale, con
motivazioni forti che sono
ben riportate in uno dei
pochi articoli e in una delle
poche interviste che mi furono fatte in quel periodo.
A quel punto sono rimasto
5 anni a casa! E malgrado
offerte da vari partiti, non
ho accettato né chiesto
poltrone che, ripeto, mi
venivano offerte da tutti
gli schieramenti. In compenso col mio piccolo Movimento per Roma, sono
stato l’unico ad avere il coraggio di andare a Montecitorio a contestare il
pranzo della vergogna tra
Alemanno e Bossi subendo anche la carica dei leghisti e del Popolo di Roma di Alemanno. Dopo 5
anni, attraverso un gruppo
di amici della società civile
come Andrea Mondello e
Lorenzo Tagliavanti, mi
sono rimesso in discussione in una Lista Civica con
Nicola Zingaretti, persona
che ritengo capace e onesta. E dopo essere stato
eletto sono serenamente
nella Lista Civica Zingaretti avendo giurato, e così
sarà, di non rientrare in
nessun partito compreso il
PD.
Michele Baldi, capogruppo
Lista Civica Zingaretti
Consiglio Regionale Lazio
In merito a quanto riportato nell’articolo “Scarica
Marino e poi santificato. È
il ballo del Pd”, a firma di
Giampiero Calapà, voglio
precisare che in nessuna
occasione ho mai chiesto
al sindaco Marino di proporre chicchessia per la
giunta capitolina. Avendo
fatto l’amministratore locale resto convinto che la
scelta sia e debba rimanere
una prerogativa del Sindaco.
Lorenzo Guerini,
vicesegretario Pd
Prendiamo atto della precisazione del vicesegretario
Guerini, ma confermiamo
quanto scritto (rispetto
all’indicazione di Mirko
Coratti come nuovo vicesindaco data dallo stesso
Guerini a Marino prima
del coinvolgimento di Coratti nell’inchiesta Mafia
Capitale) con il riscontro di
diverse qualificate fonti.
g.cal.
Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
Abbonamenti
FORME DI ABBONAMENTO
COME ABBONARSI
• Abbonamento postale annuale (Italia)
Prezzo 290,00 e
Prezzo 220,00 e
Prezzo 200,00 e
• 6 giorni
• 5 giorni
• 4 giorni
• Abbonamento postale semestrale (Italia)
Prezzo 170,00 e
Prezzo 135,00 e
Prezzo 120,00 e
• 6 giorni
• 5 giorni
• 4 giorni
• Modalità Coupon annuale * (Italia)
Prezzo 370,00 e
Prezzo 320,00 e
• 7 giorni
• 6 giorni
• Modalità Coupon semestrale * (Italia)
Prezzo 190,00 e
Prezzo 180,00 e
• 7 giorni
• 6 giorni
• Abbonamento in edicola annuale (Italia)
Prezzo 305,00 e • 7 giorni
Prezzo 290,00 e • 6 giorni
È possibile sottoscrivere l’abbonamento su:
https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/
• Abbonamento in edicola semestrale (Italia)
Prezzo 185,00 e • 7 giorni
Prezzo 170,00 e • 6 giorni
Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati
tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167
o all’indirizzo mail:
[email protected]
ABBONAMENTO DIGITALE
• Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone)
Abbonamento settimanale
5,49 e
Abbonamento mensile
17,99 e
Abbonamento semestrale
94,99 e
Abbonamento annuale
179,99 e
• il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc)
Abbonamento settimanale
Abbonamento mensile
Abbonamento semestrale
Abbonamento annuale
4,00 e
15,00 e
80,00 e
150,00 e
* attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano
Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130,
20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4;
Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo;
Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n° 35
Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l’estero:
Publishare Italia S.r.l., 20124 Milano, Via Melchiorre Gioia n° 45,
tel. +39 02 49528450-52, fax +39 02 49528478,
mail: [email protected], sito: www.publishare.it
Distribuzione Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A.,
Sede: 20132 Milano, Via Cazzaniga n° 1,
tel. + 39 02 25821, fax + 39 02 25825203, mail: [email protected]
Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003):
Antonio Padellaro
Chiusura in redazione: ore 22.00
Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013
Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599
• Servizio clienti
[email protected]
MODALITÀ DI PAGAMENTO
• Bonifico bancario intestato a:
Editoriale Il Fatto S.p.A.,
BCC Banca di Credito Cooperativo
Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129
Iban IT 94J0832703239000000001739
• Versamento su c. c. postale:
97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A.
00193 Roma , Via Valadier n° 42,
Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al
numero +39 06 92912167, con ricevuta
di pagamento, nome, cognome, indirizzo,
telefono e tipo di abbonamento scelto
• Pagamento direttamente online
con carta di credito e PayPal.
Scarica

Scaricare - File PDF