DIRITTO DI STAMPA

Giovanni Ceccarelli
Fading away: dipingendo l’addio
Medicina e Arte
Prefazioni di
Roberto Burgio
Vincenzo Nesi
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 Roma
() 
 ----
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
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I edizione: novembre 
Vuole trovare parole che nessuno potrà mai dimenticare;
esse varranno per chiunque le scaglierà in faccia alla morte.
E C: The secret hearth of the clock
Munich 
. . . queste cose dovevano accadervi
e voi dovete accettarle
questa è la vostra parte dell’eterno fardello
. . . dimenticherete queste cose
faticando alle faccende di casa
le ricorderete oziando accanto al fuoco
quando l’età e la dimenticanza addolciranno il ricordo
come un sogno che fu narrato
e
spesso nel sogno si mutò . . .
esse appariranno irreali.
Il genere umano non può sopportare molta realtà.
T S E: Assassinio nella cattedrale
, parte seconda
Indice

Prefazione

Prefazione

Premessa

Capitolo I
L’amore tra Hodler e Valentine nel contesto della loro vita

Capitolo II
Valentine nei dipinti di Hodler prima della malattia

Capitolo III
La maternità e la malattia di Valentine

Capitolo IV
Ferdinand dipinge Valentine durante la malattia
.. Un’ulteriore considerazione: importanza di una datazione controversa, .

Capitolo V
Due temi connessi
.. Le dernier portrait,  – .. Love and Death, .

Capitolo VI
Tra psicoanalisi e voyeurismo

Indice


Capitolo VII
L’attesa della fine. Diversi punti di vista
.. Il ciclo di Hodler su Valentine: una interpretazione “ottimista” (con
qualche limite),  – .. Il ciclo di Hodler su Valentine: una interpretazione “pessimista”,  – .. Il ciclo di Hodler su Valentine: una
interpretazione fattuale, .

Capitolo VIII
Considerazioni finali

Postfazione

Bibliografia

Bibliografia citata nel testo e relativa alla storia della medicina
Prefazione
Vivere la propria vita svolgendo con eguale entusiasmo due diverse attività professionali non è comune, ma non è, nemmeno, proprio raro; letterati e maestri di scherma, medici e maestri di yoga,
architetti–impresari e musicisti, amministratori e/o critici d’arte non
sono abbinamenti eccezionali, e possono, anzi, entrambi gratificare.
Più raro è, come è volutamente capitato a Gianni Ceccarelli, viversi
medico–pediatra e docente–pediatra fino a già tarda età e aver poi
abbandonato questa attività per dedicarsi a scienze umane: a “critica e
storia dell’arte pittorica”, sempre con l’entusiasmo “a tempo pieno”
che ne era stato alla base per il lungo tempo precedente della sua vita
di Pediatra.
Anch’io, Pediatra come lui, come lui anch’io forte estimatore
dei valori che più contano nella vita, spesso, reiteratamente con il
pensiero mi sentivo affine al Prof. Gianni Ceccarelli nella mente e
nel cuore (azzardato fare riferimento a un cuore “pensante”: eppure
possibile se si è riusciti, con Pascal, a formulare l’aforisma che il
cuore ha delle ragioni che la ragione — la mente — non conosce); e
ho vissuto le affinità elettive che per vari idealismi erano intessute
di ricordi e non si erano assopite. Godetti della libera docenza in
Pediatria che ben meritatamente Gianni acquisì poco dopo la sua
prima laurea. E godetti della notizia di una sua seconda laurea (a 
anni) in “Studi storico artistici” presso la “Sapienza” Università di
Roma, la stessa dove tanti anni prima si era laureato in Medicina e
Chirurgia.
L’ordine nei propri cassetti o nei propri scaffali (“a muro” o in
armadi dedicati) regge molto meno nel tempo di altri arredamenti
in mobili, ma è più vicino al modo di vivere di molti di noi: i meno
attenti, i più costretti a tirar fuori, sequenzialmente, un po’ tutto,
a mano a mano e a rimettere poi “un po’ tutto a posto”, magari
senza aver trovato l’oggetto della ricerca. Recita un severo proverbio:
l’ordine è pane, il disordine è fame.


Prefazione
Ma il senso dell’ordine fa parte di noi. . . almeno quando lo abbiamo; non è come il talento, il prodotto di una intuizione o di una
ideazione, sentire il bello (ed esserne affascinato) crearsi uno spazio
perché coltivarlo faccia parte del nostro modo di vivere, dia gioia
sequenzialmente (o alternativamente) alla gioia che può dare l’aver
curato (mai trascurato) il proprio dovere (routine) di lavoro a volta a
volta, quale che ne sia stato l’ambito o la professione, l’arte, il mestiere
o l’impiego.
“Beati” si può dire coloro che svolgono il loro lavoro in un ambito
occupazionale che li appaga e che renda loro possibile di farsi intensamente coinvolgere nell’attività che espletano. Vorrei andare avanti
per venire immediatamente a esemplificare la descrizione di questi
“vari modi di vivere” che, tutto sommato, potremmo parafrasare nel
“modo di essere”; e, molto facile, parafrasare ancora: “viviamo come siamo”. Pensare che il Prof. Ceccarelli abbia curato con lo stesso
scrupolo e impegno il primo archivio, il primo “scaffale”, di lavoro professionale quale “Pediatra di famiglia” come, vogliamo dire,
ugualmente l’archivio pittorico di personaggi che hanno animato la
raccolta artistico–storica della sua seconda collezione iniziata nella
ottava decade della sua nuova laboriosissima vocazione.
E sta più che bene avviata, questa seconda collezione, nel volume
a ricco contenuto iconografico Medici, malati, malattie e farmaci nella
storia dell’arte; quella materia (come ha ben scritto, prefandolo, anche
Jolanda Nigro Covre) con l’entusiasmo che evoca nel lettore anche
per “il segreto di una instancabile e allegra superattività” dell’autore.
Tocca, quella materia, vette e altissime.
Ora, in questo secondo ripiano dello stesso scaffale, Gianni conduce
il lettore in un’altra vicenda, come ne fosse un partecipe, un interessato
testimone o, addirittura, un passante–spettatore coinvolto: là, incontri
con vaporose eleganze femminili o raccapriccianti tristezze di asili
notturni; e che le fascinose figure femminili siano danzatrici in serie
o in quadri isolati, poco conta. Ora, qui, nella vicenda umana — oh
come umana ! — il ricordo di Hodler afferra anche il nome di ognuna
delle figurette femminili che ne accompagnarono la esaltante vita di
tombeur de femmes e che non ebbero, per lui, un peso rilevante: ha
più gran peso, per un Pediatra, che Hodler ne ha reso madri alcune.
Non si era trattato di madri, in linea di massima, intenzionalmente
stabili. La durata di una sua relazione poteva oscillare fra due o tre
Prefazione

anni, salvo però, magari, a riprendere dopo più o meno significativa
interruzione. I bambini — questo è quanto meno l’abitudine delle
varie coppie di “repertorio genitoriale” — erano in fondo “effetti
collaterali”. E spiace, inoltre, profondamente che anche la tubercolosi
crescesse allora florida in un siffatto vivaio. . . sociale.
Ferdinand Hodler visse con Valentine Godé–Darel il suo rapporto
di tenerezza (tuttavia una tenerezza amara) che si esaurì per volere di
una “funerea figura di Parca” che su di lei si avvolse.
Sarà bene e sarà bello — come è stato per me — vivere il testo e le
sue figure dalla prima all’ultima pagina.
Il prof. Gianni Ceccarelli vi fa qui, ora, vivere la vita (e la miseria)
dell’arte pittorica (che esalta e uccide: o “baratrizza”?) anche se ci
viene trasmessa e comunicata con gli occhi sempre sinceri, sereni e
salvifici “dalle iridi di autentica acqua marina” incapaci di mistificare o
di mentire.
Roberto B
Professore Emerito di Pediatria
Università degli Studi di Pavia
Prefazione
Il libro di Giovanni Ceccarelli è tante cose insieme. Non posso negare
al lettore il godimento di arrivare dalla prima all’ultima pagina scoprendo alcuni aspetti peculiari, ma voglio suggerire subito che il libro
non è quello che sembra essere dopo la lettura dei primi capitoli. Non
ci troviamo soltanto di fronte ad un “saggio”. Non si tratta di leggere
un’opera di un medico esperto che trae simultaneamente vantaggio
dalla sua cultura scientifica acquisita in giovane età e dalla sua formazione in storia dell’arte, acquisita in età matura, per affrontare il tema
di una recensione pittorica che attiene alla malattia di una donna descritta dalle opere di un grande pittore. Allora cosa c’è in questo libro?
C’è di sicuro un’analisi che a me pare molto convincente, da profano
quale sono, di un segmento piuttosto singolare della storia pittorica
di Hodler. Quest’analisi porta il lettore alla scoperta d’interessanti
osservazioni sulla maestria con la quale viene seguito, viene da dire
ossessivamente documentato, il decorso della malattia di Valentine
Godé–Darel fino alla sua morte. Ed oltre.
C’è, però, un tentativo di dire molto di più. Si potrebbe dire di
sconfinare in altre discipline: la filosofia, il sentimento religioso, l’etica.
Ma si direbbe male. Non è uno “sconfinare” ma piuttosto un “non
confinare” la vicenda a questione tecnica, sia pure ad un interessante
livello accademico.
Ci si pone quindi domande di carattere allo stesso tempo intime
ed universali. Il significato della dignità umana conquista, lentamente,
come in un giallo ben costruito, il centro del palcoscenico e si erge a
principio etico imprescindibile.
Non sfugge e non viene negata una particolare partecipazione di
Gianni, l’autore, legata alla propria esperienza personale. Gianni è
stato privato del suo amore, a causa della malattia della moglie, “Vandina”, poco dopo i cinquant’anni. Per chi conosce Gianni, i riferimenti
potrebbero essere molteplici ma, se ne raccontassi anche uno solo,
dimostrerei di essere come quei cultori di libri gialli che, dopo aver


Prefazione
letto il libro, incorrono in un’interpretazione banalizzata della genialità
del finale. In un giallo non si tratta di capire chi è il colpevole. Se ben
costruito, il giallo colpisce per la maestria con la quale si sono seminati
tutti gli indizi necessari, non senza aver cercato di depistare il lettore
nella prima parte del racconto. Nel nostro caso “l’arringa finale” di
Gianni, come quella di un Perry Mason chiamato a risolvere un mistero su basi puramente indiziarie, è irresistibile ed inchioda il lettore alla
propria sottovalutazione degli indizi che pure, a posteriori in maniera
lampante, erano stati disseminati lungo il tempo della lettura. Il lettore
scopre ad un tratto il vero tema del libro ed è chiamato a cimentarsi
in una sorta di scelta ideale della quale parlerò nella postfazione.
Il libro costringe a riflessioni profonde, ma ci porta verso di esse con
estrema gradualità. Un gioiellino, sia detto riprendendo un concetto
molto bene ricordato e sviluppato nel libro, che richiede un tempo di
lettura, che individualmente parlando, ho vissuto come assai veloce.
Vincenzo N
Preside della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
“Sapienza” Università di Roma
Premessa
Il mio primo incontro con la vicenda pittorica e umana del pittore
svizzero Ferdinand Hodler e della sua amante (come si diceva nel
linguaggio del tempo) Valentine Godé–Darel risale a moltissimi anni
fa, in un congresso di medicina a Milano in cui il professor Hugo
Tristam Engelhardt jr., che insegnava medicina e medicina sociale
al Baylor College of Medicine di Houston nel Texas, mostrò alcune
diapositive dei dipinti che Hodler produce durante la malattia di
Valentine che si concluderà tragicamente. Alcune vicende familiari
che allora pesavano — come continuano a fare — sulla mia vita mi
appassionarono a quella antica vicenda di quasi un secolo fa, allora.
Ricordo che scrissi al professor Hengelhardt se era possibile avere
le diapositive da lui mostrate e, con mia grande sorpresa, pochi giorni
dopo mi arrivò un pacchetto con le foto.
Fu l’inizio di una ricerca che ebbe — per ora — una fine molti
anni dopo, con questo libretto in cui ho tentato di raccontare quanto
quella vicenda, di cui per caso proprio quest’anno  si celebra
il centesimo anniversario, presenta di aspetti attuali e problematici
ancora oggi; e forse ben più oggi — nell’atmosfera molto più attenta
che non allora ai temi etici da essa sottesi — che non nel momento,
nel lungo momento in cui essa si svolse.
Il testo è arricchito e impreziosito da due “Prefazioni”: una scritta
dal professor Giuseppe Roberto Burgio, Emerito di clinica pediatrica nell’Università di Pavia. Il professor Burgio, che è il decano dei
Pediatri italiani, firmò quasi cinquanta anni fa un’altra prefazione in
un altro mio libro, dedicato — quello — alla Vaccinazione contro il
morbillo, un tema a quel tempo molto attuale in Medicina; l’ho sempre considerato un Maestro non solo di Pediatria, come senza alcun
dubbio è, ma anche di vita; gli sono profondamente grato per questa
sua costante attenzione e simpatia nei miei riguardi. L’altra del Prof.
Nesi, che si occupa nella sua vita di studioso di un contesto — come
Analisi matematica — del tutto diverso, e che ha distinto il suo scritto


Fading away: dipingendo l’addio
in due parti. La prima, premessa al racconto, è una sorta di accurata presentazione dell’opera, una presentazione che ne lascia aperte
molte possibilità interpretative. La seconda, posta qui al termine del
testo — in una postfazione da leggere proprio e soltanto dopo aver
compiuta la lettura — appare, al contrario, una presa di posizione
su quanto si è scritto e letto. Anche se alquanto difficile da credere
a prima vista, il “mestiere” del matematico, con le sue necessarie e
“analitiche” consequenzialità, fornisce chiavi di lettura ulteriori e certo
non peregrine. A entrambi i “prefatori” va, in eguale ed entusiastica
misura, la gratitudine dell’Autore per la loro non lieve, ma si spera
gradevole o almeno non troppo spiacevole, fatica.
Inoltre, mi è sembrato, sempre anche in rapporto con le mie vicende personali, che si potesse — e forse si dovesse — con questo
mio piccolo saggio rendere omaggio a Valentine che se da un lato
sopravvive, come a me sembra, solo in virtù dell’opera di Hodler,
può dall’altro ben rappresentare quella immensa folla di malati che
nessuno più ricorda, ma che in ogni tempo soffrirono e continuano a
soffrire e soffriranno per le loro malattie, dalle quali vengono sollevati
— a volte — dalla Medicina, ma sempre — almeno in qualche misura
— dall’amore, dal rispetto e dalla vicinanza da cui dovrebbero sempre
essere circondati, come Roberto Burgio (per me “il Professore”) ha
sempre insegnato.
Di conseguenza, dedico questo lavoro a tutti i malati di tutti i
tempi; e tra essi mi sia consentito menzionare ancora una volta la mia
Vandina.
Giovanni C
Roma, estate 
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